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Come è il cacao?
Il cacao si ricava dai semi di un albero (Theobroma Cacao) originario dell’Amazzonia. Il frutto dell’albero del cacao si chiama cabosse ed è una bacca ovale, di colore giallo rossastro, che contiene una quarantina di semi. I frutti maturano ogni sei mesi e vengono raccolti due volte all’anno, rigorosamente a mano. Dopo la raccolta i frutti vengono aperti e si estrae la polpa, la si lascia fermentare per alcuni giorni affinché i semi si ammorbidiscano e possano essere essiccati e torrefatti. È proprio la torrefazione che dona al cacao il caratteristico aroma. Dai semi polverizzati si ottiene la pasta di cacao, che viene successivamente trasformata in polvere e burro di cacao.
Il cacao contiene un alcaloide simile alla caffeina, che gli dona proprietà stimolanti. Forse per questo già nell’antichità le popolazioni precolombiane consideravano il cacao un cibo sacro e i suoi semi venivano anche usati come moneta.
Il cacao venne introdotto in Europa nel 1500, dove divenne una bevanda alla moda ben prima del caffè, ma fu solo nella seconda metà del 1800 che gli svizzeri inventarono il cioccolato, prodotto utilizzando cacao, burro di cacao e latte in polvere.
LA PIANTA DEL CACAO
L’ambiente di sviluppo
Le aree dove la pianta del cacao viene tradizionalmente coltivata, si trovano nei terreni equatoriali, dove il clima caldo umido per almeno sei mesi, favorisce il suo sviluppo, oppure nelle zone subequatoriali che vengono irrorate da piogge abbondanti e ben distribuite nel corso dell’anno. Importante risulta essere la bassa altitudine (da 400 m. ad un massimo di 1000 m. a seconda delle varietà) dove la temperatura sia costantemente elevata (fra i 20°e i 30°, già a 15° soffre) e precipitazioni regolari intorno ai 200 millimetri l’anno. Possiamo perciò individuare il bacino amazzonico (prossimo all’habitat originario della pianta), l’area centro americana e quella del Golfo di Guinea e il Sud Est asiatico (solo di recente) come zone di massima produzione di cacao.
I terreni preferiti sono quelli prevalentemente alluvionali, cristallini o vulcanici. Inoltre devono essere ricchi di humus, privi di pietre, profondi, permeabili, non eccessivamente argillosi e riparati dal vento. Una povertà di terreno od una eccessiva esposizione al sole e al vento, metterebbero a repentaglio lo sviluppo della pianta con conseguente suscettibilità a malattie o a insetti nocivi.
Per i nuovi impianti necessari ogni anno, vengono disboscate enormi superfici di foreste, distruggendole spesso e volentieri con incendi, senza altri lavori al terreno e favorendo così l’erosione accelerata dalle piogge abbondanti e frequenti.
L’albero è del genere THEOBROMA e appartiene alla famiglia delle STERCULIACEE. La specie più utilizzata è la THEOBROMA CACAO, nelle sue varietà CRIOLLO, FORASTERO, CALABACILLO.
La prima, la Criollo, è la più delicata, poiché è la più suscettibile alle variazioni di temperatura e soggetta alle malattie parassitarie, ma anche la più pregiata poiché fornisce un prodotto poco amaro, di qualità superiore, contenente solo il 50% di burro di cacao. Le zone dove viene maggiormente coltivata sono soprattutto in America Centrale e Meridionale. Il Forastero è il più sensibile al vento e alla luce ma meno soggetto alle malattie parassitarie. Il prodotto necessita di un periodo di fermentazione più lungo rispetto alle altre varietà e ha un aroma di qualità inferiore rispetto al criollo. Viene coltivato prevalentemente in Brasile e in Africa. La terza variante e il Calabacillo, è la più rustica e fornisce un prodotto di qualità molto inferiore alle altre. Esistono altre qualità come il Theobroma Bicolor che però sono coltivate in quantità limitata perché danno un prodotto ancora meno pregiato e non utilizzabile commercialmente se non mescolato alle qualità migliori.
L’origine del Thobroma cacao è limitata alle foreste del bacino dell’Orinoco e del Rio delle Amazzoni e si può considerare fra il 23° parallelo nord e il 20° parallelo sud, con un limite altimetrico di 500 m. suscettibile tuttavia a piccole variazioni a seconda delle varietà (Criollo intorno ai 500 m. mentre il Forastero fino ai 700 m., il Theobroma Bicolor arriva invece fino ai 1000 m.).
La coltivazione della pianta del cacao richiede molto lavoro. Le piantine vengono sistemate ad un distanza di 4-5 m. le une dalle altre, ed è importante che nei primi anni vengano mantenute ombreggiate abbinandole, per esempio, ad altri alberi come i banani poiché, essendo il cacao una pianta di sottobosco, non tollera né la luce diretta, né il vento. Contemporaneamente bisogna tenere sotto controllo la vegetazione lussureggiante eliminandola attorno alle piante con il machete più volte l’anno. Successivamente uno dei lavori più importante consiste nella potatura: se lasciato crescere, l’albero può raggiungere anche i 10 m., ma per facilitare la raccolta dei frutti, si cerca di mantenere un’altezza che varia fra i 2,5 m. e i 6 m. L’albero del cacao è sempreverde, ha foglie alterne, di forma ovale oblunga, a margine lievemente ondulato, lunghe circa 22-24 cm. Solo al terzo anno di vita nascono sul tronco e sui rami principali piccoli fiori, con 5 petali, biancorosati e privi di profumo, ma è solo dal decimo anno che si raggiunge la massima produttività. La fioritura continua per tutto l’anno, ma solo alcuni fiori vengono impollinati e danno frutti. Questi, chiamati cabosse, si sviluppano o solitari o raggruppati direttamente sul tronco e sui rami principali. Solamente dal 2% dei fiori di una pianta maturano mediamente tra le 30 e 150 cabosse (a seconda del tipo di varietà della pianta). Queste sono lunghe circa 15-20 cm., larghe 7-10 cm. e hanno un peso variabile da 200 g. a 1 kg. Il colore varia dal giallo al rosso bruno e la buccia è ruvida con profonde scanalature. Al suo interno, immersi in una polpa zuccherina commestibile, ci sono 30-40 semi.
Disposti su cinque file, hanno la forma più o meno appiattita, simile alle mandorle e sono molto ricchi di grassi e di amidi, ma poveri di proteine.
La raccolta delle cabosse non è limitata ad un breve periodo di tempo, ma si protrae per parecchi mesi. In realtà l’albero porta a maturazione i propri frutti continuamente, durante tutto l’anno, ma la raccolta viene eseguita nei periodi di maggiore produttività, una o due volte l’anno a seconda delle zone di coltura. Il procedimento per la raccolta è prevalentemente manuale: le cabosse mature vengono recise dal tronco con il machete circa ogni quindici giorni. I frutti vengono portati nei centri di raccolta dove vengono aperti e i semi tolti assieme alla polpa. Questa viene trasformata in alcol e aceto dopo un processo di fermentazione, mentre la buccia può essere usata come combustibile ai fini del riscaldamento o come concime. I semi vengono poi messi in ceste o casse, o perfino in terra in mucchi a forma di cono e poi coperti con foglie di banano e lasciati fermentare per qualche giorno. Si genera così quel calore necessario per liquefare la polpa zuccherina ancora presente e soprattutto per permettere al tannino dei semi di formare, tramite ossidazione, il colore bruno e l’aroma propri del cacao. Questo processo viene eseguito con grandissima precisione poiché una fermentazione ben riuscita determina la qualità del cacao e dunque anche il suo prezzo sul mercato. Dopo circa sei giorni i semi vengono fatti essiccare o sotto il sole, o con il calore artificiale per 8-15 gg. Alla fine da venti cabosse, si ricava un Kg di semi essiccati, ovvero il Cacao Grezzo.
Le prime piantagioni di cacao nascono in America Centrale, nel sec. XVII a.C., per opera dei Maya. La pianta si diffuse molto, in tutta la regione, tanto che quando gli Europei arrivarono in America ne conobbero il gusto grazie agli Aztechi.
Gli Aztechi credevano che fosse un dono del loro Dio Quetzacoatl e alla pianta del cacao collegavano una leggenda. Il cacao per gli Atzechi era piuttosto importante: in occasione della piantagione e della raccolta, essendo un dono divino, organizzavano cerimonie religiose. Inoltre, utilizzavano i semi del cacao come moneta.
Il primo europeo ad assaggiare il cacao fu Cristoforo Colombo, ma a lui non piacque. In realtà, egli non assaggiò la nostra cioccolata, ma una specie di minestra di granturco condita con cacao, zenzero peperoncino e miele.
Dopo Colombo, di là passò un conquistatore spagnolo, tale Cortez. Anche a Cortez, il cacao risultò sgradevole, però vedendo che gli Aztechi lo usavano come moneta, pensò bene di tenerlo da conto. Quando il Re degli Aztechi, il famoso Montezuma, gliene regalò una piantagione, ne fu molto contento e cominciò ad acquistare oro e pietre preziose da riportare in Spagna, pagandole con i semi di cacao.
Qualche spagnolo, infine, ebbe l’idea di aggiungere al cacao, di per sé piuttosto amaro, dello zucchero e nacque, così, la prima cioccolata, da bere. All’inizio, si diffuse solo tra i nobili della corte spagnola, a causa del suo altissimo prezzo, ma col passare del tempo, nel ‘600, la bevanda si diffuse in Francia, in Germania, in Inghilterra e anche in Italia, dove diventano subito famosi i cioccolatieri di Firenze e di Venezia.
In quegli anni la cioccolata fu al centro persino di una disputa religiosa. Accadeva che durante i periodi di digiuno i frati e i monaci non potessero mangiare, ma solo bere. Ora, stare diversi giorni potendo bere solo acqua, era dura, il fisico si indeboliva. Ma se in quei giorni potevano bere cioccolata, questa era molto più energetica e li aiutava nel digiuno. Però la cioccolata era una bevanda molto particolare, molto densa, sembrava quasi un cibo, come la minestra, e allora la chiesa si interrogò se la cioccolata fosse un cibo o una bevanda. Fu incaricato di decidere il cardinale Brancaccio, il quale era golosissimo di cioccolata, e lui, ovviamente, decise che, per quanto strana, la cioccolata era pur sempre una bevanda. Così i monaci poterono continuare a berla durante i digiuni.
Verso la fine del 1700 la rivoluzione industriale coinvolge anche il mondo del cacao e cominciano ad affermarsi molte fabbriche il cui nome è famoso ancora oggi.
Nei primi anni dell’800, si scoprono nuove tecniche per la lavorazione del cacao. Un gruppo di cioccolatieri torinesi, insieme allo svizzero Cailler, scoprono il modo di separare la polvere di cacao dal burro di cacao e poi, riunendoli in dosi diverse e con l’aggiunta di zucchero, riescono a solidificare il cacao. Nel 1820, in Inghilterra, viene prodotta la prima tavoletta di cioccolata.
Nel 1876 lo svizzero Peter inventò il cioccolato al latte e nel 1879 Lindt quello fondente. La lavorazione in tavolette permise al cioccolato di essere maggiormente apprezzato e conosciuto da tutti e fu un successo enorme, tant’è che divenne un alimento alla portata di un sempre più vasto numero di persone e non solo di pochi come era successo nel passato.
Data la grande richiesta le fabbriche che lo producevano si espansero velocemente in Europa e tra tutte, le più note furono Menier, Van Houten, Peters e Lindt.
Alla fine del 1800 gli inglesi impiantarono nella loro colonia africana Costa D’Oro, l’attuale Ghana, piantagioni di cacao e da qui si diffusero in tutte le colonie del golfo di Guinea. Queste regioni sono da allora le più grandi produttrici di cacao e ancora oggi detengono il primato mondiale della coltivazione della preziosa bacca.
A questo punto i semi sono pronti per essere venduti e portati nelle industrie di trasformazione del nord: i processi che portano alla produzione del cioccolato non avvengono quasi mai nei paesi di produzione, a causa della mancanza di norme igieniche, ma generalmente negli Usa dove padroneggiano le imprese Mars e Hershey e in Europa con la Kraft Jacobs Suchard, la Cadbury, la Ferrero e la Nestlè. Le enormi quantità di cacao grezzo che arrivano vengono conservate a temperature adatte in sacchi depositati nei silos o in magazzini. Prima di effettuare la torrefazione, procedimento fondamentale che influisce sull’aroma più o meno deciso che il cacao assumerà, è necessario depurare molto accuratamente i semi. I semi torrefatti vengono poi sminuzzati a formare quelle che in commercio si chiamano briciole di cacao (pebbles). A questo punto avviene la spremitura della massa di cacao attraverso presse idrauliche, riscaldando il tutto a 80°. Il procedimento serve ad estrarre il burro di cacao, componente grassa dei semi (oltre il 50%): ciò che resta è chiamato panello da cui, tramite polverizzazione, si ricava la polvere di cacao.
Per ottenere il cioccolato vero e proprio è necessario mischiare la massa di cacao macinata finemente con il burro di cacao e lo zucchero. In questo modo si ottiene il cioccolato comunemente chiamato amaro o fondente; se invece si vuole ottenere quello al latte è necessario aggiungere latte in polvere. Invece il cioccolato bianco non contiene cacao ma solo burro di cacao, latte in polvere e zucchero. Comunque infinite sono le possibilità: cioccolato con spezie, ripieno, con noci, nocciole e mandorle, al cocco o all’arancia, dipende solo dal gusto. La qualità dipende invece dalla quantità della massa di cacao e dagli altri ingredienti e dall’accuratezza con la quale viene effettuata la lavorazione. Purtroppo l’industria ha utilizzato, e sta tuttora utilizzando, surrogati al posto del burro di cacao: miscela di oli commestibili e grassi che simulano il burro di cacao… ma questa è un’altra storia.
Fonte: http://web.tiscali.it/equamagliana/scarica/cacao.doc
Sito web da visitare: http://web.tiscali.it/
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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