Appunti Sallustio

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Appunti Sallustio

SALLUSTIO.
Gaio Sallustio Crispo, secondo San Girolamo nacque presso Amiternum (l’Aquila, paese di San Vittorino)) nell’86 a.C da una famiglia di estrazione plebea, ma benestante che potè garantirgli una formazione accurata. Infatti, ancora giovane, Sallustio si trasferì a Roma dove frequentò un circolo di intellettuali capitanato da Nigidio Figulo. Pare che si sia dedicato anche alla poesia filosofica scrivendo gli Empedoclea (un poema in esametri che riprendeva la dottrina filosofica del filosofo agrigentino Empedocle). A tali teorie si era rivolto anche Lucrezio. Pare che Cicerone, sempre che si tratti del Sallustio storico e non di un altro, si fosse espresso in termini molto negativi nei confronti di quest’opera: “ Ti riterrò un eroe, non un uomo, se leggerai gli Empedoclea di Sallustio”. A Roma Sallustio, che dimostrava un carattere ambizioso, si avvia alla carriera politica. Una carriera politica di secondo piano, occorre dire, ma vissuta tutta all’ombra del suo mentore Giulio Cesare. Infatti Sallustio militò nel partito dei populares e ricoprì la carica di questore e di tribuno della plebe (a partire dal 55 a.C.). Si trovò ad accusare il conservatore Annio Milone, (difeso da Cicerone con la Pro Milone) dalla pesante accusa di omicidio del tribuno della plebe Clodio (Publio Clodio Pulcro era il fratello della famosa Clodia, amante di Catullo). Intorno a quest’accusa contro Milone si muovevano molte chiacchiere: pare che lo stesso Milone avesse sorpreso Sallustio in fragrante adulterio con sua moglie Fausta (una donna abbastanza discussa), figlia di Silla ed ex moglie di Gaio Memmio (il dedicatario del De rerum natura  di Lucrezio). Per questo motivo pare che Sallustio venisse espulso dal senato per immoralità (50 a.C.) Pare che in quella seduta un  Sallustio molto giovane (e questo fa nascere molti dubbi) avesse pronunciato un’invettiva contro Cicerone (Invectiva in Ciceronem).  Scoppiata la guerra civile, Sallustio militò tra le file di Cesare senza ottenere particolari successi (la conquista di un deposito di viveri, nell’isola di Cercìna vicino alla Tunisia, sembra uno tra questi). Dopo la sottomissione del regno di Numidia, Sallustio ottenne l’incarico di governatore dell’Africa nova. In questi anni (50-46 a.C.) avrebbe scritto le due epistole a Cesare che gli sono attribuite. Dopo il mandato in Africa, Sallustio tornò a Roma con ingentissime ricchezze (la corruzione era comune tra i governatori) che gli permisero di acquistare una tenuta meravigliosa tra il Pincio e il Quirinale: gli horti sallustiani. Con lo stesso denaro acquistò anche la villa di Cesare a Tivoli. Poi sposò Terenzia, la prima moglie di Cicerone. Le ricchezze predate in Africa mossero nuovamente molte voci sul suo conto: Sallustio venne accusato di concussione. Solo l’intervento di Cesare impedì un processo infamante. Ma la sua carriera politica finì con la morte del suo protettore nel 44 a.C. A quel punto Sallustio si ritirò a vita privata dedicandosi alla composizione di opere storiche, le due monografie, il De coniuratione Catilinae (42-41 aC), il Bellum Iugurthinum (41-39 aC) e le più tradizionali Historiae (39-35 aC). La morte lo colse a Roma nel 35 aC, all’età di cinquant’anni.
Sallustio democratico “moderato”: le due Epistulae ad Caesarem.
Sallustio ebbe come protettore e mentore Gaio Giulio Cesare. Tutta la sua non pur esaltante carriera politica si svolse all’ombra del grande condottiero. Quando egli morì, Sallustio dovette ritirarsi dalla vita politica attiva. Cenni espliciti delle convinzioni politiche di Sallustio si trovano già in tempi non sospetti in due lettere che egli scrisse a Giulio Cesare. Molti critici mettono in dubbio l’autenticità di tali lettere, sembrerebbero infatti le esercitazioni di un retore di età imperiale. Che siano autentiche o no, le due epistole mostrano quello che sarebbe stato l’impianto ideologico che avrebbero avuto le opere storiche di Sallustio. Esse risalirebbero al periodo di maggiore impegno politico di Cesare, fra il 50 e il 46 e potrebbero anche costituire come un manifesto politico dell’operato di Cesare in quell’epoca (opera di propaganda dunque). La prima epistola, scritta dopo la vittoria di Cesare a Tapso nel 46 aC, quando ormai il generale si era trasformato in dittatore, ruota attorno ai seguenti motivi: esortazione alla clementia, pacificazione sociale (concordia ordinum). Per  eliminare i conflitti civili, Cesare avrebbe dovuto realizzare un piano di moralizzazione, in primo luogo ponendo fine all’avidità di denaro, causa principale di ogni male per Sallustio. Con un piano di interventi a favore della plebe come la condanna dell’usura, la riforma del servizio militare, la maggiore sicurezza dell’Italia e delle province la classe sociale più umile sarebbe stata placata e accontentata. La seconda lettera precede cronologicamente la prima (è collocabile nel 50 aC). Siamo alla vigilia del grande conflitto civile tra Cesare e Pompeo. In questa lettera il bersaglio di Sallustio è costituito dalla classe degli Optimates: i suoi esponenti, tranne Catone l’Uticense, sono presentati come corrotti e avidi. Cesare ha il merito di voler sollevare la plebe dal suo stato di subalternità e in ciò si sostanzia il suo programma politico che si articola in due momenti. Riguardo alla plebs, l’autore, dopo averne rievocato l’antica condizione di serenità e di libertà, pone l’accento sul decadimento di essa, che si è trasformata da ceto di piccoli proprietari in una massa informe, priva di concordia al suo interno. Una sorta di proletariato urbano. In favore di essa Sallustio pensa ad un grande progetto di lavori pubblici, alla fondazione di nuove colonie, all’estensione del diritto di cittadinanza. La seconda parte è dedicata ai patres. Essi sono dipinti come nullafacenti, indolenti, traditori, arroccati nei lori privilegi. Quest’epistola è più faziosa dell’altra ma trasmette in sostanza gli stessi messaggi: viene condannata l’avidità, l’ambizione sfrenata, il desiderio di denaro che corrompe sia i nobili che la plebe. Tutti motivi che verranno ripresi nelle opere maggiori. In questi due scritti Sallustio mostra di possedere un’idea moderata della democrazia (pienamente in sintonia con il programma politico di Cesare). Il tema principale si snoda attorno al concetto della concordia ordinum, che dovrebbe assicurare in primo luogo la sicurezza dei boni cives, cioè in sostanza dei ceti abbienti. Occorre cioè prevenire ogni mutamento radicale della situazione e quindi proteggere i cittadini abbienti e fare in modo che anche i contadini diseredati possano tornare ad essere dei piccoli proprietari terrieri. Solo in questo modo si potrà prevenire una rivolta che parte dal basso. Cesare deve quindi trovare in primo luogo il sostegno dei ceti medi. Diversamente sarà per Catilina, un nobile rovinato, che voleva allearsi con gli strati più bassi della popolazione per determinare un radicale cambiamento dei rapporti tra classi e gruppi sociali. Sallustio mostra di aderire al programma moderato della democrazia cesariana e ciò può spiegare, il suo atteggiamento oscillante fra condanna e simpatia, nei confronti di Catilina.
Anche l’Invectiva in Ciceronem(scritto di dubbia autenticità databile al 54 aC) sembrerebbe essere uno scritto legato alla propaganda politica contro il partito dei conservatori. In questo breve libello contro Cicerone (decisamente più famoso di lui) vengono pronunciate accuse durissime contro l’uomo politico: aver condannato a morte i congiurati senza processo, essersi proposto al popolo come un nuovo Romolo, come un nuovo padre della patria. (Romolo di Arpino) Non manca in queste parole una forte carica di sarcasmo e di derisione. Ma si sa che i due furono nemici acerrimi. Traspare in questo scritto tutta l’avversione di Sallustio nei confronti di un’aristocrazia divenuta, nel tempo, sempre più corrotta, venale e arrogante.
Il De coniuratione Catilinae.
Abbandonata la carriera politica dopo la morte di Cesare, Sallustio, tra il 42 e il 41 aC, compose la sua prima opera storiografica, il De coniuratione Catilinae. Con quest'opera viene inaugurata a Roma la storiografia artistica, una storiografia più scaltrita e potente dal punto di vista retorico e stilistico. Occorreva raggiungere la perfezione dei grandi maestri greci come Erodoto e Tucidide. Si tratta di una monografia, cioè un’opera storica in cui viene trattato un solo episodio o un solo momento della storia. Sallustio stesso afferma di aver deciso di narrare la storia di Roma per argomenti staccati (carptim in latino) per venire incontro al proprio pubblico. Per Sallustio la storiografia è prima di tutto uno strumento conoscitivo in grado di indagare sulle origini della decadenza dello Stato romano, e quindi intende rintracciare e studiare i singoli fatti che hanno contribuito allo sfaldamento della repubblica. Solamente rintracciando le cause remote di quei singoli fatti, lo storico ha la possibilità di spiegarli a fondo e di inquadrarli in un più ampio complesso di valutazioni, di ordine moralistico, dalle quali si possa trarre un proficuo insegnamento. Il motivo per il quale Sallustio decide i indagare sulla congiura di Catilina (l’evento che sconvolse la repubblica romana dal 64 aC – insuccesso elettorale di Catilina- eil 62 che coincide con la morte di Catilina sul campo di Pistoria) per la singolarità del delitto e la minaccia portata allo Stato. Egli individua nel tentativo di questa rivoluzione sgangherata il centro della crisi dello Stato e il culmine di un processo degenerativo sulla cui nascita e evoluzione vuole indagare con cura. Ma tutta l’opera mira al raggiungimento di un chiaro intento politico: l’autore vuole fare luce sulla corruzione dell’aristocrazia contemporanea, e in modo particolare sul mondo dei giovani; l’aristocrazia sobilla la plebe per i suoi loschi progetti e corrompe i giovani che cadono preda dei suoi vizi. Vuole anche scagionare il suo protettore Cesare dall’accusa infamante di essere uno dei cospiratori e mettere in ombra la figura di Cicerone per il ruolo che svolse in questa ambigua e complessa vicenda.
La struttura dell’opera: l’opera si compone di 61 capitoli.
La monografia si apre con un proemio (Capp. 1-4) in cui Sallustio riflette sul lavoro dello storico; quindi passa a ritrarre il protagonista della congiura Lucio Sergio Catilina (5), uomo dotato di indubbie qualità fisiche e intellettuali, ma di animo corrotto e depravato.
Primo excursus: (6-13) Sallustio esalta i costumi dell’antica storia di Roma, che prosperò con la virtù e la sobrietà della vita, mentre poi cominciò a decadere con il diffondersi delle ricchezze, del lusso e dell’ambizione per il potere. Punto cruciale il 146 aC con la conquista di Cartagine.
Prima fase della congiura:  (14-36, 1-3) Catilina che già aveva tentato nel gennaio 65 aC, di eliminare i consoli designati, raduna attorno a sé molti seguaci di eterogenea provenienza, ma tutti ostili alla repubblica aristocratica: giovani ambiziosi e corrotti, aristocratici indebitati, nobili decaduti e numerosi gruppi di schiavi, ai quali promette abolizioni di debiti, nuove proscrizioni e confische, magistrature e cariche sacerdotali. La nobilitas senatoria, fiutato il pericolo, fa eleggere consoli Gaio Antonio e Cicerone (63 aC), mentre Catilina fa adepti anche tra gli avidi veterani di Silla e coinvolge nella congiura perfino qualche donna, come la corrotta Sempronia.  Si raduna  a Fiesole un esercito di ribelli, capeggiate da Manlio. Con un discorso abile e appassionato, Catilina esorta alla rivoluzione i complici (tra i quali ci sono anche personaggi assai noti in politica, come L. Cassio Longino, C. Cornelio Cetego e P. Cornelio Lentulo) e tenta di far uccidere Cicerone, che però riesce a far arrestare i sicari. Allora Catilina l’8 novembre si reca in Senato, dove il console Cicerone lo attacca duramente, costringendolo a lasciare Roma e a unirsi con i ribelli a Fiesole. Il senato decreta nemici pubblici Catilina e Manlio.
Secondo excursus (36, 4-39, 5): condizione politiche e sociali di Roma.
Seconda fase della congiura: (39, 6-49): Cicerone ottiene una prova decisiva contro i congiurati grazie ad un’ambasceria dei Galli Allòbrogi giunti Roma per protestare contro i soprusi del loro governatore del 64 L. Murena. Il congiurato Lentulo tenta di guadagnarli alla causa dei ribelli, ma essi si confidano con il loro patrono che si rivolge a Cicerone: si studia allora un piano per cui i Galli fingono di accettare e si fanno rilasciare una lettera compromettente per i catilinari, che vengono poi arrestati sul ponte Milvio. La lettera è la prova scritta del “colpo di Stato” e grazie ad essa Lentulo, Cetego e gli altri catilinari vengono arrestati.
La seduta del senato del 5 dicembre 63: (50-33, 1) malgrado il parere contrario di Cesare, il quale con un discorso ampio e articolato, domanda solamente l’esilio e la confisca dei beni, nonché il diritto alla provocatio ad populum per gli arrestati, contro di essi viene decretata la pena di morte, sostenuta da un discorso altrettanto forte di Catone Uticense. Riflessione sulla grandezza di Roma e confronto tra le figure di Cesare e Catone.
Conclusione della vicenda (53, 2-61): nella sera dello stesso giorno i cinque ribelli vengono strangolati. Catilina e i suoi soldati tentano la fuga in Etruria verso la Gallia Transalpina, ma presso Pistoia, nel gennaio del 62 aC, finisce la loro avventura rivoluzionaria. L’esercito regolare romano comandato da Antonio e Petreio sconfigge Catilina e i suoi. Dopo una valorosa resistenza, i catilinari vengono duramente battuti, ma Catilina riscatta la sua fama, perché muore combattendo eroicamente.
L’esigenza di una storiografia monografica.
L’atteggiamento precipuamente moralistico con cui Sallustio si avvicinava al vasto campo della storia di Roma, comportava già di per sé un criterio decisamente selettivo degli avvenimenti, a seconda che essi presentassero  più o meno in evidenza i valori e disvalori che vi individuava il giudizio etico dell’autore. Urgeva d’altro canto l’urgenza di un taglio monografico, avvertita da tempo dalla storiografia romana, specialmente per influsso del greco Polibio che scrisse una monografia importante sulla guerra del Peloponneso.  Gli storici cioè sentivano l’esigenza di andare oltre rispetto alla bruta cronaca aneddotica  degli antichi annalisti in virtù dell’interesse per i moventi spirituali degli avvenimenti: esigenza teorizzata da Cicerone stesso quando indicava la monografia come la forma letteraria più idonea a rievocare in modo suggestivo e drammatico le vicissitudini di qualche personaggio illustre. E’ ovvio poi che le amarezze patite da Sallustio negli ultimi anni della sua carriera politica lo orientassero a  alla scelta di temi atti a chiarire in maniera icastica e esemplificativa i precedenti della grande crisi contemporanea. Queste considerazioni, e anche qualche altro movente più soggettivo (Sallustio stesso confessa di essere stato impressionato dall’inaudita audacia di quel tentativo criminoso), spiegano plausibilmente la scelta dell’argomento della prima monografia sallustiana.
L’importanza del proemio.
Dei primi quattro capitoli dell’opera fa parte il proemio. Sallustio vi affronta un argomento di carattere generale: i principi ai quali si deve attenere la vita umana per ottenere la gloria presso i posteri. Si tratta di un’argomentazione basata su una lettera di Platone nella quale il filosofo professava il proprio disgusto per la vita politica ateniese. Partendo da questo spunto Sallustio crede di giustificare di fronte all’opinione pubblica la delicatezza e l’importanza dell’attività intellettuale che non deve essere sottomessa  alla partecipazione attiva sotto le vesti dell’uomo politico o del grande proprietario. Per lo storico si è ugualmente cittadini degni di rispetto anche se si coltiva l’otium letterario perché l’uomo si differenzia dagli animali per la sua componente spirituale che non va mai mortificata. Sallustio afferma di voler continuare a giovare allo stato scrivendone la storia. Il proemio non costituisce solamente un pezzo di bravura letteraria, già in uso presso gli storici ellenistici, dato che la storia veniva ancora considerata un’opera letteraria e non ancora un’opera “scientifica”, ma contiene come detto una giustificazione più profonda. A Roma nel I secolo aC, era accesissimo il dibattito intorno al rapporto conflittuale tra otium, inteso come condizione indispensabile per  le attività dell’intelletto, e negotium, cioè l’attività pratica: i conservatori, ancora legati al mos maiorum, ritenevano l’attività pratica molto più importante; mentre ora,  con l’influsso della cultura greca,  si andava diffondendo l’opinione che anche l’attività intellettuale meritasse rispetto e dignità. Secondo l’autore l’attività dello storico è utile alla res publica tanto quanto quella politica, economica e militare. Egli che in altri momenti esalta il mos maiorum, ora si trova sul campo dei più moderni, di coloro che sponsorizzavano il “nuovo”.
La funzione del primo excursus.
Il primo excursus, composto sul modello di tucidide, ha come il proemio una precisa funzione all’interno dell’opera: esso non è solamente un abbellimento o una pausa nel flusso della narrazione, ma serve a porre le basi ideologiche dell’intera monografia. Infatti, nella mente di Sallustio, al passato virtuoso del popolo romano, si oppone, dalla distruzione di Cartagine in poi, un suo decadimento che culmina nello squallore del presente. L’excursus, insomma, è funzionale alla connessione fra storia, politica e pensiero etico, che è la vistosa operazione intellettuale compiuta da Sallustio. Il presente non si può comprendere a fondo se non si capisce il passato. Se lo storico è abbastanza attendibile in questa analisi che mette al centro di tutto i valori morali ed etici lo è di meno quando si tratta di analizzare politicamente le vicende: questo limite è imputabile alla sua collocazione politica, è infatti uno storico di parte, la parte di Cesare. Spesso i fatti sono analizzati solo sotto quest’ottica, così che il bene finisce per stare tutto da una parte e il male tutto dall’altra. La stessa contrapposizione tra l’idealizzazione del passato e la decisa condanna del presente ne è una prova. Sallustio è uno storico manicheo. L’impostazione moralistica delle sue opere produce questo difetto. Lo storico giudica gli avvenimenti come fosse un giudice supremo. Da un lato c’è il bene e dall’altro c’è il vizio e il male. Non esiste un personaggio che ci presenta dei toni sfumati. Tutto è bianco o tutto è nero. Il passato è l’idealizzazione di ogni bene e il presente è il ricettacolo di ogni vizio e di tutto il male. Il presente, dalla distruzione di Cartagine, si è snodato lentamente attraverso un percorso che ha visto lo scatenamento di vizi e colpe terribili: avaritia, ambitio, libido, luxuria. Queste convinzioni contenute soprattutto nel secondo excursus, quello politico sociale, costituiscono l’ossatura ideologica dell’opera. Sallustio non conosce altri strumenti di analisi e di indagine: gli eventi, le loro cause, le loro conseguenze, i prodromi e i risvolti ricadono tutti sotto la lente del suo moralismo. Per lui la forza della malattia morale ha contagiato tutta la città come se si trattasse di una peste. Una peste che si sviluppa attraverso la corruzione delle classi dirigenti. Secondo le sue parole “tutti quanti facevano finta di agire nell’interesse dello Stato, di fatto si adoperavano, ciascuno, a salvaguardia del proprio interesse”.
I discorsi di Cesare e Catone.
Nella seduta del senato del 5 dicembre del 63 aC, Cicerone  (console per quell’anno) si rivolge ai colleghi per chiedere quale fosse la loro opinione sulla sorte dei congiurati. Arrivò il turno di Cesare e di Catone Uticense che si fecero portavoce di soluzioni opposte.  Era abitudine dei grandi storici “condire” le proprie opere con discorsi fittizi che procurassero l’interesse del pubblico e movimentassero la narrazione. Si trattava di discorsi molto elaborati dal punto di vista retorico e stilistico e spesso venivano presentati discorsi dal tono differente posizionandoli uno dopo l’altro e in forte opposizione e antitesi tra loro. I greci chiamavano tale pratica synkrisis, cioè discorsi opposti. Cesare che pure non sottovaluta il misfatto, è fautore di una linea morbida. E’ convinto che anche in Catilina ci sia  del “buono”, e che la spinta al rinnovamento della società, malgrado i metodi siano sbagliati, debba essere presa in considerazione perché è sintomo di un grande malessere sociale. Occorre ricordare che Cesare, da alcuni e forse nemmeno a torto, era considerato uno degli ispiratori della congiura. Ecco che quindi Cesare parla di pietà, di clemenza, di concordia. Lo stato non deve cadere nell’altro male che corrisponde allo scatenarsi dell’ira e dell’odio. La posizione di Catone è decisamente contraria: i congiurati devono morire. La repubblica può essere salvata unicamente con il ritorno alle tradizioni dei padri. Il discorso di Cesare è lento e pacato, quello di Catone vibrante e violento. Per Catone, Catilina rappresenta lo spirito del tempo: corruzione, immoralità, violenza. Tale male va estirpato con violenza. E Sallustio da che parte sta? Verso Cesare si riscontra un atteggiamento ambiguo: sta a cuore a Sallustio scagionare il suo idolo da ogni sospetto di aver fatto parte della congiura;  e per questo ce lo presenta come una figura pienamente istituzionale, pronta al perdono ma allo stesso tempo come un garante della sicurezza dello stato. A Catone Sallustio si sente vicino per il continuo richiamo al mos maiorum, per l’atteggiamento fortemente moralistico. Entrambi per l’autore incarnano le qualità del perfetto politico, peccato che si tratti di due persone e non di una sola. In loro si può vedere la sintesi delle prerogative che dovrebbe possedere l’uomo che salverà Roma. Il ruolo dei due discorsi è senza dubbio quello di movimentare una narrazione che rischierebbe di risultare troppo noiosa. I discorsi servono a far concludere una porzione della vicenda, attraverso i discorsi viene a concludersi un momento nodale del racconto. Quindi siamo di fronte anche ad un trucco narrativo, un’espediente già usato dai grandi storici greci. Attraverso i discorsi si aggiunge pathos e drammaticità teatrale alla vicenda.
Lo sfondo moralistico.
Si è già parlato dei valori morali che si innestano nell’opera sallustiana e ne costituiscono la colonna portante. Si tratta di una bipartizione forte: da un lato i boni mores, dall’altro i vitia, i primi appartengono al passato glorioso di Roma, i secondi all’orrido presente. Il punto di discesa di questa parabola etica corrisponde alla conquista di Cartagine (146 aC). La congiura di catilina non è nient’altro che il culmine di un processo degenerativo che viene da lontano. Ma quali sono i mali che lentamente dilagarono: si tratta essenzialmente dell’avaritia (brama di denaro), dell’ambitio (brama di potere): queste due passioni, causa di tutti i mali attentarono alla virtus e progressivamente la distrussero. Così il definitivo trionfo del male sul bene si ebbe al tempo di Catilina, quando la luxuria (desiderio di lusso sfrenato), si accompagnò ai due mali antichi: l’avaritia e l’ambitio.
Gli errori di Sallustio.
In generale Sallustio può essere considerato uno storico piuttosto attendibile, preciso, che basa i fatti su documenti, che spiega cause e conseguenze; ma non sempre è così. Spesso l’autore non è in grado di individuare una corretta cronologia degli avvenimenti. E’ strano che storici più moderni di lui siano stati più precisi (Plutarco, Appiano, Cassio Dione). Si possono ipotizzare due ragioni: un fatto abbastanza recente, ancora vivo nella coscienza dei presenti, può essere più complicato da indagare per la difficoltà di accedere a documenti, a fonti, a informazioni di diversa natura e provenienza. I fatti non si sono ancora ben sedimentati nei documenti. Ma questa ipotesi è facilmente ribaltabile nel suo contrario, e quindi appare poco convincente. Una seconda ipotesi, forse più credibile,  risiede nella considerazione che Sallustio voglia deliberatamente alterare la cronologia dei fatti per ragioni politiche  e ideologiche: così, come accorda maggiore o minore peso a circostanze, non sempre marginali, allo stesso modo interviene nella sistemazione cronologica degli eventi. Non pochi esempi sembrerebbero confermare questa seconda ipotesi.
I personaggi.
Nell’opera Sallustio cita circa una settantina di personaggi: congiurati, magistrati, uomini politici, senatori, consoli, tribuni, capi militari, uomini comuni. Ma solo alcuni sono i protagonisti: Catilina, Cesare, Catone. Cicerone è relegato ad un ruolo di secondo piano. Sallustio più che uno storico moderno sembra un fine conoscitore della psicologia umana. Una psicologia sempre piegata  alla riduzione moralistica di un personaggio: o buono o cattivo. Secondo lui Catilina è un personaggio dalla connotazione fortemente negativa: ha un progetto grandioso che è quello di sovvertire l’ordine della res publica, è pronto a tutto per riuscirci, ha dato prova di grandi doti fisiche e intellettuali; ma queste qualità sono votate al male. Si è circondato di uomini, se è possibile, peggiori di lui, cioè cattivi senza nemmeno le sue qualità. Scialacquatori, perdigiorno, viziosi, violenti. Ha corrotto i giovani con vane promesse, ha corrotto la plebe. Insomma rappresenta il male assoluto. Ma in lui non manca una certa grandezza d’animo, un coraggio che dimostrerà nei momenti più drammatici. E’ poi convinto di battersi per una causa giusta: la redenzione degli ultimi (nel corso dei secoli spesso Catilina verrà interpretato come un protorivoluzionario o un protosocialista che si batte per risollevare gli ultimi di fronte ai privilegi dei potenti). In ogni modo Sallustio rivela una certa dose di empatia nei confronti del protagonista. Catilina, però è una maschera, così come i suoi complici. E’ un personaggio fisso che non presenta nessuna evoluzione dal punto di vista psicologico. L’autore ci presenta anche dei ritratti terribili di donne: un caso è quello di Sempronia che sembra l’antenata di Lucrezia Borgia. Curioso è il caso di Cicerone. Non è chiaramente relegato nell’ombra, sarebbe impossibile, dato che si tratta del console che ha sventato la congiura. Solo in alcuni casi Sallustio ci racconta dei consensi che circondavano la figura di Cicerone, solo quando non ne può fare a meno. Lo storico non vuole ridurre una vicenda così complessa ad un duello tra due figure titaniche. Egli vuole allargare le sue analisi del fatto alla più ampia crisi dello Stato, al cui interno la congiura rappresenta solo la punta dell’iceberg. Per lui comunque Cicerone rimane il supremo garante dell’aristocrazia, e del senato. Di una classe dirigente che Sallustio giudica corrotta nel suo insieme, tranne poche eccezioni. Poi occorre dire che Sallustio fu politicamente solo una “comparsa”, mentre Cicerone svolse un ruolo di primo piano nella vicenda e non solo. Alcuni critici parlano di vera e propria antipatia, ma forse è esagerato. Cicerone e Sallustio trattarono ambedue il tema della congiura di Catilina. Se Sallustio comprese più a fondo la natura sociale del malessere che aveva generato la congiura, Cicerone si limitò alla descrizione degli avvenimenti. Per lui la congiura non aveva ragion d’essere: Cicerone fu lo strenuo difensore dello statu quo, non vedeva oltre la sfera dei boni cives che corrispondeva alla classe dei medi e grandi proprietari italiani. Tutti gli altri non avevano quasi il diritto di esistere, erano contorno. Sallustio ha una sensibilità sociale più sviluppata, comprende meglio le ragioni di tutte le classi sociali, anche se spesso non le giustifica.
Storiografia tragica.
Sallustio enfatizza in modo potente gli elementi drammatici che caratterizzano gli eventi e la psicologia dei personaggi. La componente “tragica” della narrazione punta al raggiungimento del pathos, cioè della particolare e accentuata tensione emotiva, che attrae il lettore e gli consente di gustare più pienamente ciò che viene narrato. Ciò si spiega col fatto che per gli antichi la storiografia non è opera scientifica, ma opera letteraria e come tale deve fare ricorso a tutte le strategie stilistiche e retoriche del mondo letterario. Così nel De Coniuratione Catilinae, abbondano pagine cariche di pathos tragico e, contemporaneamente, non mancano esempi di ricostruzioni approssimative dei fatti, imprecisioni cronologiche (anche volute per ragioni politiche), omissioni, giudizi poco motivati: insomma nella prima monografia sallustiana, sulla impeccabile attendibilità dello storico prevale la sua propensione per la componente artistico-letteraria.
IL BELLUM IUGURTHINUM.
Subito dopo aver composto la prima monografia, Sallustio, tra il 41 e il 39 aC, si dedicò alla seconda opera, anch’essa una monografia, il Bellum Iugurthinum. La motivazione che lo indusse a scegliere questo argomento è duplice ed è dichiarata dallo stesso Sallustio dopo il proemio: “Mi accingo a scrivere sulla guerra che il popolo romano condusse contro Giugurta, in primo luogo perché essa fu grande, atroce e di esito incerto, poi perché allora , per la prima volta si andò contro l’arroganza della nobilità”. Dunque si tratta di un fatto storico importante in sé e per sé , e poi i risvolti sociali e politici portati da tale conflitto coincidevano con la visione moralistica che Sallustio aveva della storia romana. Si tratta di una maturazione degli spunti già emersi nella prima monografia: anche qui l’autore è convinto che sia necessario individuare, ripercorrere e analizzare gli antecedenti, più o meno remoti, del fatto sul quale si ricerca, in quanto solo così si potrà fare chiara luce sui mali che travagliano la condizione attuale dello Stato romano; inoltre, ancora una volta lo storico crede che tali mali siano da ricercare nel degrado morale che ha progressivamente investito la società e , in special modo, la nobilitas e i ceti, come quello degli equites, che hanno sobillato la plebe per i loro scopi poco trasparenti. Così Sallustio, davanti alla guerra di giugurta crede che si debba risalire ai moti popolari dei fratelli Gracchi, nelle cui lotte egli individua i primi sintomi di cedimento morale che si rivelerà letale per lo stato romano. Ma qui sembra che l’autore maturi un pensiero più storiografico più adulto: non c’è spazio solamente per un’analisi puramente moralistica, trova invece terreno fertile una riflessione più meditata sulle cause politiche,  sociali ed economiche della vicenda. In questo caso i fatti sembrano più sedimentati nella coscienza dello storico. Nella prima monografia la vicenda era fresca, di appena vent’anni prima; qui i fatti risalgono ad un passato più lontano, tra il 111 e il 105 aC. Egli si muove quindi con più sicurezza e disinvoltura.
Il fatto: alla morte di Micipsa, re della Numidia (stato alleato di Roma), si scatenò la lotta per il potere tra i figli del re Aderbale e Iempsale e il nipote Giugurta. Quest’ultimo, più cinico e violento dei suoi parenti, uccise Iempsale e costrinse alla fuga Aderbale, che chiese l’aiuto di Roma. Giugurta la mena per le lunghe e riesce a corrompere con le sue enormi ricchezze alcuni politici romani. Promette che il regno sarà diviso equamente tra lui e suo cugino Aderbale. Una volta eliminato anche il cugino, Giugurta si vide attaccato dalle forze romane per non aver rispettato i patti. Inizia una guerra lunga sei anni, alla quale la classe dirigente romana, formata dagli aristocratici, si trova impreparata sia dal punto di vista militare, sia dal punto di vista morale. I generali aristocratici inviati da Roma sembrano incapaci di resistere alle blandizie di Giugurta che con ogni mezzo tenta di corromperli. La situazione sembra sbloccarsi solamente nel 107 aC quando Caio Mario, homo novus, prende il comando dell’esercito e il consolato. Mario, di estrazione plebea e vicino alle posizioni politiche dei populares, era uomo, secondo Sallustio, di forte tensione morale, oltre che di grande competenza militare. Mario, che non si fece corrompere dall’oro di Giugurta, dapprima sconfisse il re traditore e poi sconfisse anche il re Bocco di Mauritania, che con Giugurta si era alleato.
La struttura dell’opera.
L’opera comprende 114 capitoli e ha una struttura più complessa rispetto alla prima monografia. Infatti Sallustio oltre che descrivere e studiare uno spazio di tempo più esteso (i fatti si svolgono in sei anni) decide di abbinare al racconto della guerra anche il racconto delle contemporanee vicende di politica interna che interessavano Roma. Al solito proemio l’autore fa succedere un primo excuesus sull’antefatto che spazia anche sulle condizione geo-etnografiche dell’Africa. Segue il racconto dei tentativi di Roma di comporre la vicenda per via diplomatica poi il racconto del fallimento di tali tentativi (fallimento dovuto alla corruzione della classe politica romana). La guerra intanto inizia e Sallustio fa un passo indietro con un secondo excursus che riguarda la corruzione di Roma dalla fine del conflitto punico alle vicende dei fratelli Gracchi. Segue poi una parte in cui si trattano le fasi finali dello scontro e viene messa in risalto la figura di Gaio Mario. Come si può vedere questa monografia ha un andamento più lineare rispetto alla prima: le sezioni storiche sono intervallate in modo equilibrato dagli excursus. E’ più armonica l’alternanza tra parti narrative della guerra e parti più riflessive e speculative.
La finalità politica dell’opera.
Come al solito Sallustio cerca nella guerra giugurtina e nei suoi antecedenti l’inizio degli sconvolgimenti e delle cause delle guerre civili che hanno insanguinato Roma. E fin qui siamo ancora sul versante dell’analisi etico-morale. L’obiettivo politico sallustiano è invece di più vasta portata: egli tende a contrapporre a una classe politica dirigente, ormai in via di decadenza a causa della corruzione di cui si è macchiata e della conseguente inadeguatezza, l’homo novus Mario, espressione di ceti moralmente più sani che hanno trovato voce nella politica del partito popolare e guida nell’uomo di Arpino. In questo caso la fede politica di Sallustio diventa meno ingenua e più faziosa in modo calcolato. Ogni qualvolta è possibile lo storico assesta una staffilata al partito politico avversario. Ma tale partigianeria sembra più motivata dal punto di vista argomentativo, sembra più matura anche perché Sallustio non si esime dal condannare anche i vizi dei populares o della plebe. Anche in quest’opera Sallustio ribadisce l’opposizione tra il buon tempo passato e lo scandalo del presente, tra i boni mores e i vitia della classe aristocratica contemporanea. Ma nella seconda monografia Sallustio compie un ulteriore passo avanti: mentre in quella la crisi dello stato veniva motivata genericamente con la brama di ricchezze e di potere, in questa invece è imputata al comportamento dei partiti politici e delle fazioni, che si lasciano travolgere dalla discordia, causa fondamentale della rovina dello stato. E’ la mancanza di timore del nemico esterno (metus hostilis) che produce la discordia, l’assenza di consapevolezza che Roma potrebbe essere minacciata dal nemico che fa smarrire quella compattezza interna che, sola, potrebbe salvarla.
Giugurta, una personalità in fieri.
Il grande avversario di Roma, in questo caso, è un principe straniero, che ha saputo per lungo tempo tenere in scacco le legioni romane. La figura di Giugurta, delineata a tinte fosche quanto quella di Catilina, incarna la progressiva degenerazione di una forte personalità che, senza freni morali, è destinata fatalmente a divenire malvagia e corrotta: anche in questo caso la negatività del personaggio è ingigantita da Sallustio, per renderlo un esempio più evidente e per rendere più drammatica la narrazione. Una tecnica narrativa più matura permette però allo storico di costruire un ritratto del principe numida non statico, chiuso in un “medaglione”, ma in fieri: Giugurta entra in scena come un giovane e valoroso alleato dei romani, agli ordini dei quali combatte sotto le mura di Numanzia, guadagnandosi anche la loro ammirazione. Sono i cattivi consiglieri e l’esempio dei nobili e  corrotti ufficiali romani a gonfiare la sua ambizione: egli diviene così un implacabile e astuto cacciatore di potere, capace di usare la violenza contro i suoi parenti e la corruzione nei confronti di una classe dirigente romana per la quale tutto è in vendita (Romae omnia venalia esse). Anch’egli, come Catilina, lotta fino all’ultimo e deve arrendersi solo di fronte al tradimento (da parte dell’ex alleato, il re Bocco di Mauritania) e all’inganno di un nuovo ufficiale romano, che si presenta con le caratteristiche dell’astuzia e della spietatezza: è Silla, il futuro dittatore, che esegue la cattura di Giugurta.
Mario: l’allargamento della classe politica.
Come si è detto, lo scenario dell’opera è duplice e certamente le vicende che hanno per sfondo Roma sono le più importanti e gravide di conseguenze. Nella grande città, infatti, si afferma la figura di Mario su cui Sallustio impernia un’importante riflessione. Il generale dichiara apertamente nel suo autoritratto di non poter esibire immagini di antenati o elenchi di trionfi importanti, ma di poter mostrare, se richiesto, medaglie e decorazioni militari e soprattutto le cicatrici sul petto! E’ un nuovo concetto di nobiltà che si afferma a Roma, basata non più sull’eredità di sangue, ma sui meriti e il valore personale (virtus individuale). Certo, l’ammirazione che Sallustio mostra per Mario non è totale e senza limiti: rende più sfumato il suo giudizio la valutazione negativa di quel provvedimento da lui adottato, che permetteva di arruolare nelle file dell’esercito come professionisti i nullatenenti. Lo storico sapeva per esperienza diretta quante violenze e quante sanguinose rivolte e interminabili lotte civili sarebbero derivate, anche a causa dello stesso Mario, dal potere incontenibile dei militari divenuti ceto di governo per la forza delle armi. Si può affermare, però, che nella figura di Mario Sallustio veda una possibile via d’uscita dalla crisi istituzionale romana: era fondamentale per lui l’apporto di una nuova classe politica che si fondasse sulla virtus individuale, al di là dell’appartenenza all’antica nobilitas romana. Per Sallustio, quindi, la guerra giugurtina è un chiaro esempio di come l’opposizione antinobiliare dei populares e degli homines novi fosse finalmente riuscita a dimostrare di poter costituire un’alternativa politica a una classe sociale ricca ormai solo di privilegi ereditati senza meriti.
Le Historiae: il ritorno all’annalistica. (scritte tra il 39 e il 35 aC)
Le Historiae sallustiane, un’opera strutturata in 5 libri, abbandonano il genere monografico per trattare invece un periodo ampio, secondo i canoni della storiografia annalistica tradizionale. Essa probabilmente ricopriva un arco cronologico compreso tra il 78 aC (anno della morte di Silla) e il 63 aC, ricollegandosi in tal modo alle vicende della congiura di Catilina. Attualmente non possediamo che pochi frammenti delle Historiae, la parte più significativa dei quali è costituita da 4 discorsi e da 2 lettere. La narrazione doveva imperniarsi su uno scenario ben più vasto di quello delle monografie,rappresentando luoghi del mondo romano e barbaro distanti tra loro geograficamente e culturalmente. Inoltre, ben più complesse e articolate dovevano essere le vicende descritte, che si riferivano a conflitti, ribellioni, tensioni situate contemporaneamente in Roma e in altre parti della repubblica. Nella visione di Sallustio, tuttavia, si veniva a sottolineare l’incapacità a governare dell’aristocrazia senatoria, la corruzione di molti, l’avventura politica di uomini pronti a strumentalizzare le forze politiche a proprio vantaggio. Ad esempio, nelle due lettere rimaste, Sallustio esprime ancora una volta la sua critica nei confronti dell’oligarchia e del suo potere, simpatizzando idealmente con gli uomini capaci di virtù, qualunque sia la loro provenienza. Dai frammenti superstiti di quella che doveva essere la sua opera maggiore, emerge una visione più pessimista, forse dovuta all’uccisione di Cesare e alla perdita di punti di riferimento politici per lo storico, che amplia i confini della crisi istituzionale e non vede più soluzioni a una politica dominata dall’ambizione e dalla corruzione.
Lo stile di Sallustio.
Abbiamo più volte considerato come il forte moralismo di Sallustio si esprimesse attraverso la severa condanna del decadimento dello stato romano, dello sfaldamento dei costumi e delle istituzioni, che progressivamente avevano perso credibilità e prestigio. Questo suo moralismo, dunque, era la formula attraverso la quale si scioglieva l’altrettanto severo giudizio politico dello storico sui propri tempi e sui periodi della storia di Roma che ne provocarono le cause profonde: in questo modo, in  Sallustio, il nesso tra politica ed etica era molto stretto. La sua inquietudine di fronte al presente, poi, lo induceva a guardare al passato lontano di Roma con l’occhio del rimpianto: era quel buon tempo andato il depositario dei boni mores, che si erano via via dissolti attraverso il tempo. E così, mentre per il presente il suo punto di riferimento era Cesare, il solo, a suo giudizio, in grado di salvare lo stato e di farsi voce ufficiale delle istanze del partito popolare, d’altro canto Sallustio assumeva ad emblema degli antiqui mores Catone. In tutta la sua produzione, sia pure attraverso un processo di precisazione e di maturazione, Sallustio sosteneva queste sue idee: dalle Epistulae ad Caesarem alle monografie e alle Historiae, sicuramente la sua opera più elaborata e accurata. Quando egli si indusse a dedicarsi alla storiografia, doveva confrontarsi con la tipologia di questo genere letterario auspicata da Cicerone in un passo famoso del De Oratore: “Riguardo alla forma lo storico, deve ricercare uno stile facile e sciolto, che scorra con una certa dolcezza e uniformità, senza quell’asprezza propria dello stile giudiziario e i motti pungenti dei discorsi forensi”. Sallustio elaborò uno stile molto personale, divenuto nel tempo inconfondibile: esso si basava, in primo luogo, sui procedimenti propri dell’uso vivo della lingua, lontano dal puro abbellimento letterario fine a se stesso.  Lo storico dava vita, così, a una scrittura articolata, nervosa, che era il riflesso immediato dell’inquietudine di cui dicevamo appena sopra. “La posizione ideologico-morale sallustiana non poteva non avere un riflesso sul suo stile, in una duplice relazione: da una parte la ripresa del modello di Catone, il più adatto per chi aspirava a salvaguardare i valori politici e morali della tradizione; dall’altra l’adesione alla storiografia di Tucidide per via delle concisae sententiae, della brevitas, della gravitas e che si confà pienamente al tipo storiografico che Sallustio perseguiva” (G. De Meo)
L’elemento più tipico della prosa sallustiana è il frequentissimo ricorso agli arcaismi che lo riporta all’antica tradizione di Roma. Per quanto riguarda l’uso dei modi verbali, è notevole l’impiego dell’infinito storico-narrativo in luogo del perfetto o dell’imperfetto indicativi. Ancora, l’uso del presente storico, della frase nominale e dell’indicativo in luogo del congiuntivo. La sintassi sallustiana è quanto mai varia per soddisfare le esigenze della brevitas e della variatio. La prima consiste nel riuscire a esprimere un concetto con un numero ridotto di parole e comporta il prevalere della subordinazione sulla coordinazione. La variatio consiste nel mutamento, spesso improvviso e inatteso, del costrutto o dell’impiego di categorie grammaticali o, ancora, di termini: così, per esempio, a un aggettivo, che regge un determinato caso, può seguire, sempre in dipendenza del medesimo aggettivo, un caso diverso. Nella prosa nervosa, tesa e scattante di Sallustio è frequente l’uso di figure retoriche come l’asindeto e l’ellissi, che servono a potenziare la brevitas, così come lo zeugma, ma non mancano l’allitterazione, l’omoteleuto, il poliptoto.

 

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