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Introduzione alla MECCANICA DELLE TERRE
Una terra si differenzia da un materiale a comportamento lapideo (roccia) in quanto le sue particelle sono tenute insieme da forze inferiori di diversi ordini di grandezza rispetto al secondo (un’argilla immersa in acqua per alcune ore si disgrega completamente mentre un calcare o un granito rimane integro). Qui si trattera’ esclusivamente della meccanica delle terre; le rocce hanno un diverso comportamento che va studiato in modo differente.
Una terra e’ costituita da un aggregato di particelle separate da vuoti che possono essere colmati da acqua o aria. Un terreno e’ dunque definibile come sistema multifase in cui coesistono distinguibili i seguenti tre elementi:
L’insieme di queste tre fasi determina il comportamento di un terreno.
Fase Solida:
Nello studio di una terra, la prima cosa da osservare e’ la granulometria dei costituenti la sua fase solida, ovvero la distribuzione granulometrica della fase solida.
CLASSIFICAZIONE puramente granulometrica¹ (non mineralogica²) delle particelle secondo la scala M.I.T. (Massashuttes Institute of Tecnology):
DIAMETRO (ø) CLASSE
<2µ Argilla
2µ - 64µ Limo ( 2µ = 0,002mm )
64µ - 2mm Sabbia ( 64µ = 0,064mm )
>2mm Ghiaia
¹) differente pero’ da quella usata in sedimentologia;
²) per es. le argille sono quei terreni le cui particelle hanno diametro ø<2µ indipendentemente dalla presenza dei “minerali delle argille”;
*) all’interno del Limo e della Sabbia vi e’ l’ulteriore suddivisione Fino, Medio, Grande.
La classe e’ una caratteristica indice, indipendente dallo stato in cui si trova il materiale, che condiziona il comportamento del materiale stesso:
Prevalenza della frazione sabbiosa » comportamento granulare
Prevalenza della frazione argillosa » comportamento coesivo
Basta infatti una presenza di argilla del 20% per condizionare il comportamento del materiale. Questo e’ il motivo per cui il primo elemento da studiare in un terreno e’ la granulometria della fase solida. Il diverso comportamento dei terreni in funzione della granulometria e’ dovuto all’interazione tra le particelle.
Le FORZE DI INTERAZIONE tra le particelle solide si dividono in forze di massa e forze di superficie. Le forze di massa agiscono sul volume (es. forza di gravita’), mentre le forze di superficie interessano esclusivamente la superficie della particella (es. Forze di natura elettrica). La prevalenza di un tipo di forze sull’altro dipende principalmente dalle dimensioni delle particelle. Le forze di massa infatti variano con la dimensione al cubo, mentre quelle di superficie con la dimensione al quadrato, dunque partendo da una determinata dimensione granulometrica e dimezzando progressivamente, le forze di massa diminuiscono in maniera molto piu’ rapida delle forze di superficie.
Morale: in una sabbia prevalgono le forze di volume, in un’argilla quelle di superficie e di conseguenza queste saranno le forze che condizionano l’interazione delle particelle nelle rispettive due classi.
*) Le sostanze in cui le forze di coesione sono legate essenzialmente a forze di superficie e quindi di natura elettrica sono dette “colloidi”. Si tratta di materiali costituiti da particelle di ø<1µ.
Per poter esprimere questo concetto di prevalenza delle forze di superficie su quelle di massa si adotta la SUPERFICIE SPECIFICA. Si tratta della superficie contenuta nell’unita’ di massa (m²·g), cioe’ preso un grammo di materiale, e’ la superficie che si otterrebbe se si potesse svolgere tutta la superficie di tutte le singole particelle che contiene.
Se una Sabbia puo’ avere una superficie specifica di 10-² m²·g, un’Argilla come la Caolinite risulta invece 20 m²·g mentre la Montmorillonite raggiunge addirittura gli 800 m²·g (idealmente ne basterebbero 12g per ricoprire un campo di calcio!) Si capisce bene che nelle argille le forze di superficie acquistano una importanza prevalente. Questa notevole differenza nella superficie specifica e’ dovuta non soltanto alle dimensioni dei granuli ma, specie nella Montmorillonite, essenzialmente alla composizione mineralogica. Se nelle frazioni sabbiose infatti prevalgono minerali come quarzo, feldspati, plagioclasi e calcite, nella frazione granulometricamente rientrante nella classe delle argille prevalgono invece i cosiddetti minerali delle argille (Illite, Montmorillonite, Caolinite ecc.) i quali, avendo forma lamellare, presentano una superficie molto ampia rispetto alla massa, specie se confrontati ai sopra citati minerali delle Sabbie.
Le forze di superficie che agiscono nelle particelle dei Minerali delle argille sono dovute a cariche negative in eccesso o distribuzione disomogenea delle cariche (effetto dovuto alla struttura atomica delle particelle, costituite da pacchetti di catene di tetraedri). La presenza di cariche negative sulla superficie delle particelle delle argille provoca l’attrazione sia delle molecole dell’acqua che di eventuali cationi presenti nell’acqua (sodio, potassio, calcio, secondo la salinita’ dell’acqua), tali ioni sono a loro volta idrati (legati anch’essi a molecole d’acqua). In tali condizioni si dice che il materiale ha “elevata attivita’ superficiale”. In conclusione, intorno alla superficie della particella di argilla si fissera’ uno strato d’acqua in modo molto forte. E’ l’acqua cosiddetta “adsorbita”, che non risente piu’ della forza di gravita’, e la cui eliminazione richiede molta energia, essendo vincolata alla particella da legami elettrici, quindi relativamente forti.
Una conseguenza di tutto cio’ e’ ad esempio la quantita’ d’acqua necessaria perche’ un terreno raggiunga un comportamento da liquido. Ricordando i valori di superficie specifica della Caolinite e della Montmorillonite, e’ evidente che la seconda e’ maggiormente interessata dall’adsorbimento, offrendo una superficie notevolmente maggiore. Di conseguenza se prendiamo una medesima quantita’ dei due tipi di argilla ed aggiungiamo acqua, la Caolinite raggiunge piu’ rapidamente il comportamento liquido, mentre la Montmorillonite immagazzinera’ molta acqua per adsorbimento ed altra dovra’ essere aggiunta fino a raggiungere il comportamento liquido. E’ dunque dimostrata l’importanza dello studio granulometrico della fase solida al fine di determinarne il comportamento di un terreno.
I METODI usati per verificare la distribuzione granulometrica del sedimento sono la setacciatura e l’aerometria; la prima e’ usata per la frazione piu’ grossolana, la seconda per la frazione fine. Esiste comunque una sovrapposizione tra i due metodi, ovvero ci sono delle classi granulometriche intermedie che ricadono nel campo di indagine di entrambi i metodi.
Veniamo ora alla procedura. Nel nostro campione potremmo aver rappresentate tutte le frazioni granulometriche, la prima cosa da fare quindi e’ separare la parte del campione che va studiata per setacciatura da quella da studiare in aerometria. Per fare cio’ si usa un setaccio (mirabile strumento costituito da una vaschetta il cui fondo e’ una rete a maglie quadrate; un “setaccio”, appunto!). La caratteristica che distingue un setaccio da un altro (incredibile ma vero) e’ la dimensione delle sue maglie. Tale dimensione, espressa secondo la scala della “A.S.T.M.” (la ASTM stabilisce gli standard delle apparecchiature usate in geotecnica) e’ un valore corrispondente al numero di maglie contenute in un pollice quadrato.
Bisogna anche considerare pero’ che il nostro campione, cosi come e’ stato raccolto, e’ certamente umido. Per eliminare la fase liquida dovra’ quindi essere opportunamente seccato prima di essere manipolato.
Per farla breve, la ricetta e’ la seguente:
Porre il campione in forno ventilato alla temperatura di 110°C per un tempo variabile in funzione della granulometria (circa mezz’ora per la Sabbia, 24 ore per l’Argilla - 24h per un campione generico). A cottura ultimata, dopo aver pesato il campione, lo si passi al “Setaccio #200” (200 “buchi” per pollice quadrato; apertura di ciascuna maglia = 0,074mm) separando cosi la parte con ø>0,074 mm che chiameremo “trattenuto al setaccio #200”, da quella che, con ø<0,074 mm, e’ invece passata attraverso le maglie e chiameremo quindi “passante”. Abbiamo cosi separato grossolanamente due parti del campione: da Ghiaie a Sabbie medie nel trattenuto, da Sabbia fine ad Argilla nel passante (vedi tabellina sopra). Ora il trattenuto andrebbe studiato in setacciatura ed il passante in aerometria per poter studiare come entrambi sono distribuiti nelle ulteriori classi granulometriche.
Attenzione pero’: questo e’ il procedimento teorico, nella realta’ viene invece usato il Setaccio #10 (apertura delle maglie = 2mm) che trattiene soltanto la ghiaia, e il passante verra’ studiato sia per aerometria che per setacciatura, ottenendo cosi una maggiore sicurezza nel risultato.
La SETACCIATURA si effettua facendo filtrare il campione attraverso una pila di setacci di misura decrescente dall’alto verso il basso in modo da suddividerlo nelle varie classi granulometriche (il setaccio piu’ fino sara’ il 200). Per circa mezz’ora un apposito agitatore meccanico provochera’ vibrazioni orizzontali e verticali per facilitare la filtratura (in alternativa sheckerare a passo di samba). Naturalmente, se non si pone un coperchio in cima e un recipiente in fondo, stiamo solo perdendo tempo.
*) per usare correttamente il sottile setaccio 200 si usa bagnare il materiale trattenuto dimodoche’ la frazione piu’ fine possa filtrare agevolmente insieme all’acqua. Sotto il setaccio ci sara’ questa volta un filtro di carta che lascera’ passare l’acqua trattenendo l’argilla, che dovra’ poi essere nuovamente seccata.
Alla fine il contenuto di ogni setaccio verra’ pesato in grammi con una bilancia di precisione in grado di raggiungere la terza cifra decimale. Conoscendo il peso totale del campione seccato, si puo’ calcolare ora la percentuale¹ di incidenza di ciascuna classe granulometrica.
¹) %TRATT = gTRATT·100/gTOT (la formula e’ banale ma, come dicevano gli antichi torinesi, “repetita JUVE”)
Nella tabella della setacciatura (vedi fotocopia Ia) va riportato il peso del trattenuto per ogni dimensione granulometrica ovvero il peso del contenuto di ciascun setaccio (nota bene che alla voce diametro, associata alla dimensione delle maglie, si deve intendere invece la dimensione minima delle particelle di trattenuto, che non sono necessariamente sferiche). In questa tabella va calcolata la percentuale di trattenuto ad ogni setaccio, e da quest’ultima la percentuale cumulata, ovvero la somma delle percentuali di quel trattenuto e di tutti i trattenuti di dimensioni maggiori (in quanto ciascun setaccio avrebbe da se’ trattenuto anche i materiali trattenuti dai setacci maggiori). Naturalmente al setaccio piu’ fino risultera’ una percentuale cumulata del 100%.
L’AEROMETRIA (sostanzialmente un altro metodo per fare la stessa cosa) utilizza la legge di Stokes per risalire al diametro di una particella, data la sua velocita’ di caduta. Quello che otteniamo in realta’ e’ il ø di una sfera teorica¹ che, immersa in un liquido, precipita con la medesima velocita’ delle nostre particelle. Le particelle reali pero’ hanno forma irregolare o addirittura lamellare (argille) e quindi otterremo sempre un’approssimazione.
¹) il risultato dell’aerometria e’ il “diametro equivalente” e dunque e’ ha insito un errore, ma questo e’ l’unico metodo per misurare particelle delle dimensioni di un’argilla.
*) Legge di Stokes: D = Ö[18m/(gs-gw)]×Ö(zr/t) dove: m=viscosita’; zr=profondita’ a cui si misura la densita’ (baricentro densimetro)
Come abbiamo gia’ visto, in teoria dovremmo trattare con questo sistema il passante al setaccio #200 ma in realta’ utilizzeremo il passante al #10 (materiale con ø<2mm). La ricetta e’ questa:
si prendano 45g di campione secco passato al setaccio #10 e vi si aggiungano 100ml di Acqua Ossigenata¹. Mescolare bene. Aggiungere 125ml di MetaFosfato di Sodio² e mescolare ancora. Allungare il tutto con Acqua Distillata finche’ la miscela non raggiunge i 1000ml (1 litro, facciamo prima).
¹) l’acqua ossigenata (H2O2) brucia la sostanza organica eventualmente presente nel campione, che altrimenti altererebbe i risultati;
²) il metafosfato di sodio (NaPO3) e’ un deflocculante che impedisce alle particelle di argilla di legarsi a ioni positivi che a loro volta si fisserebbero ad altre particelle facendo da ponte tra l’una e l’altra per formare aggregati di particelle, figurando cosi come un’unica particella di maggiore ø.
La soluzione va mescolata con cura con l’ausilio di uno strumento detto agitatore, frutto della tecnologia piu’ avanzata (una paletta avanzata in cucina).
Supponiamo ora di aver agitato i nostri 1000ml fino al tempo “0”. In questo istante la densita’ della miscela e’ uguale in tutti i punti. A partire dal tempo 0 le particelle cadranno verso il basso con una velocita’ tanto maggiore quanto maggiore e’ la dimensioni della particella. Misurata la densita’¹ iniziale della miscela, dopo un tempo T, ad una data profondita’ P dal pelo libero, la densita’ sara’ diminuita a causa della mancanza delle particelle piu’ grossolane che saranno gia’ precipitate oltre la quota P. In altre parole alle diverse quote la densita’ sara’ condizionata dalla presenza delle sole particelle inferiori ad un certo determinato diametro che e’ quello delle particelle che in quell’istante T hanno appena oltrepassato quella data profondita’.
¹) la densita’ viene misurata con uno strumento chiamato densimetro. La profondita’ a cui viene misurata e’ detta anche “baricentro del densimetro”;
*) attenzione: la temperatura influisce sulla viscosita’ del mezzo entro cui precipitano le particelle e quindi sulla legge di Stokes.
In base a questo principio la densita’ della soluzione punto per punto e’ proporzionale alla quantita’ di materiale presente in un determinato istante ad quella determinata profondita’. Si effettueranno cosi delle misurazioni a profondita’ standard decrescenti e a intervalli di tempo standard, che saranno piu’ frequenti all’inizio e poi via via sempre piu’ distanti, per evitare di rimisurare ø gia’ presenti in precedenza ma nel frattempo scese a livelli piu’ bassi.
Dopo opportune correzioni relative al tipo di densimetro utilizzato, alla temperatura e alla presenza del deflocculante (la cui densita’ ha certamente alterato quella della soluzione), si ottiene un dato che chiameremo ø equivalente trattenuto, come se avessimo usato un setaccio ideale (di una finezza che materialmente e’ irrealizzabile). Conoscendo il peso totale del campione secco, su una tabella (fotocopia Ia) verranno infine indicate, per ciascun ø equivalente, la corrispondente percentuale di trattenuto e la percentuale cumulata, analogamente a quanto gia’ visto per la setacciatura.
Il DIAGRAMMA GRANULOMETRICO (fotocopia Ia) si costruisce in base ai risultati della setacciatura e dell’aerometria eseguite sul nostro campione per conoscere come questo materiale si distribuisce all’interno delle varie classi granulometriche. In ascissa abbiamo il diametro¹ delle particelle riportato in mm e su scala logaritmica, dato l’ampio range di dimensioni. In ordinata (in scala lineare) abbiamo da un lato la % cumulata di trattenuto e dall’altro la % cumulata di passante, ovviamente con scale reciprocamente inverse. In base alle tabelle compilate in precedenza, si individuano nel diagramma i punti che hanno come coordinate trattenuto e ø, unendo i quali si otterra’ la curva granulometrica (vedi fotocopia Ia).
¹) ricordiamo che usando il termine “diametro” intendiamo per la setacciatura la dimensione minore e per l’aerometria un diametro teorico che definiamo equivalente.
*) nella realta’ la % cumulata del trattenuto al ø minore non risultera’ sempre 100% poiche’ vi potra’ essere al di sotto di quella dimensione una certa quantita’ di materiale tanto fino da non essere discriminabile neppure all’aerometria.
Il diagramma pone in rapida evidenza la distribuzione granulometrica del nostro campione e quindi qual e’ la componente che influisce sul suo comportamento. Ad esempio per conoscere l’incidenza dell’argilla bastera’ osservare la % di passante che ricade nella gamma delle argille. Una curva molto ripida indica un materiale poco diversificato, viceversa la presenza di molte classi granulometriche produce curve meno pendenti. Per esprimere questo concetto si definisce il Coefficiente di Uniformita’ = D60/D10, dove “D60” e’ il ø che corrisponde al 60% di passante e “D10” e’ il ø corrispondente al 10% di passante. D60 e D10 si ricavano molto semplicemente, dopo aver individuato la % sulla scala del passante, andando ad intersecare la curva e leggendo il corrispondente valore di ø. Se il materiale e’ rappresentato da una sola classe granulometrica (caso limite), la curva risultera’ una linea verticale ed il rapporto equivarra’ ad 1. E’ definito invece uniforme un materiale con Coefficiente di Uniformita’ <2.
Una prima classificazione del tipo di terreno e’ quella granulometrica che si puo’ ottenere sul DIAGRAMMA GRANULOMETRICO DELL’ U.S. BUREAU OF SOILS in base alle percentuali di Sabbia Limo e Argilla riscontrate nel campione (vedi fotocopia Ia, diagramma triangolare). Una classificazione granulometrica in generale e’ significativa per classificare materiali come Sabbie e Ghiaie ma insufficiente per terreni Argillosi, per i quali occorre definire anche altri parametri.
Si definisce PESO PER UNITA’ DI VOLUME DELLA PARTE SOLIDA il peso del volume unitario di solido “gs”, riferito cioe’ esclusivamente alla fase solida¹. L’unita’ di misura e’ il g/cm³, o kN/m³, o t/m³, equazione dimensionale: [M·L-³] (per le conversioni vedi fotocopia IIIb).
L’ordine di grandezza del gs va da 2,5 a 2,9 (²) e sara’ generalmente il risultato di una miscela di differenti minerali.
Il gs e’ indispensabile per effettuare stime che vedremo in seguito e si determina sperimentalmente con il cosiddetto metodo dei picnometri.
¹) di conseguenza, in un terreno costituito da un unico minerale, si avra’:
Quarzo gs=2,65 g/cm³
Calcite gs=2,72 g/cm³
Montmorillonite gs=2,8 g/cm³
²) se risultera’ ad esempio 2,1 allora sara’ evidente che c’e’ stato qualche errore.
Il METODO DEI PICNOMETRI consente di ricavare il volume occupato da un certo peso (noto) del materiale e quindi di ottenere il gs dal rapporto g/cm³. Partendo da un certo quantitativo di peso secco, per determinarne il volume si osserva il volume di liquido che sposta quando vi viene immerso.
Il picnometro e’ un contenitore di vetro graduato che porta 100ml max di liquido. Per ogni picnometro si usa un certo quantitativo di materiale secco, orientativamente 12g (purche’ il valore esatto sia pesato alla 3ª cifra decimale).
Le operazioni da eseguire materialmente (vedi fotocopia II) e da ripetere per tre volte per poi ricavarne un valore medio, sono le seguenti:
si pesa il picnometro, ottenendo il valore T o tara. Si introduce il campione secco nel picnometro e si pesa tutto ottenendo Pls. Si aggiunge Acqua Distillata¹ fino a raggiungere i 100ml indicati sul picnometro. Si pesa il tutto, ottenendo Plu. A questo punto si versa via tutto e si ripesa il picnometro riempito solo di Acqua Distillata fino ai 100ml.
Considerando che il peso del campione secco Ps=Pls-T, avremo:
RELAZIONE TRA FASE SOLIDA E FASE LIQUIDA
Abbiamo gia’ detto che per classificare una Sabbia o una Ghiaia e’ sufficiente, in prima approssimazione, conoscerne la composizione granulometrica, per materiali invece con un certo contenuto di frazione fine, la composizione granulometrica non e’ sufficiente. Occorre conoscere anche come si comporta il materiale rispetto al suo contenuto d’acqua.
Il CONTENUTO IN ACQUA del terreno (W o Wn)¹, detto anche umidita’, si esprime in percentuale, non ha un valore massimo ed e’ adimensionale, essendo il rapporto tra due pesi. Esprime infatti il rapporto tra il peso dell’acqua ed il peso del solido in un certo materiale: W=Pw/Ps·100.
Procedimento per la determinazione:
si pesa un contenitore (T); si introduce nel contenitore il campione umido e si pesa tutto (Plu); si secca il campione² e si ripesa con tutta la tara (Pls).
Considerando che il peso del campione umido (Pu) =Pw+Ps, avremo Pu-Ps=Pw (³), dove Pu=Plu-T e Ps=Pls-T.
¹) perg n si intende il contenuto naturale d’acqua;
²) solita cottura per 24 ore in forno ventilato a 110°C;
³) non facevamo prima a fare PW=Plu-Pls?
STATI DI CONSISTENZA e LIMITI DI ATTEMBERG. I limiti di Attemberg definiscono dei passaggi di stato del materiale in base al suo contenuto d’acqua (W). I diversi stati che un materiale puo’ assumere al crescere del suo contenuto d’acqua sono quattro: solido, semisolido, plastico, liquido, separati tra loro dai tre limiti: “di ritiro”, plastico, liquido.
¹) nello Stato Solido, dopo 1h di cottura, diminuisce il contenuto in acqua ma non il volume del campione.
La DETERMINAZIONE DEL LIMITE LIQUIDO si effettua mediante la Coppella di Casagrande: un sofisticatissimo strumento meccanico costituito da una vaschetta emisferica¹ in grado di sobbalzare sotto l’azione di piccoli ma costanti colpi prodotti da un meccanismo a manovella. (Praticamente un portacenere a catapulta: siamo a un livello tecnologico da Mago Merlino!)
Procedura:
si passa il campione di terreno al setaccio #40. Il passante viene sottoposto a rimaneggiamento (impasto), cioe’ lo si dispone su una lastra di vetro, si aggiunge acqua² e si mescola fino a renderlo uniforme. Si depone il tutto nella Coppella di Casagrande e si produce nel materiale un solco diametrale della larghezza di 2mm. Si producono dei colpi ruotando l’apposita manovella e si contano finche’ il solco non si richiude per una lunghezza di 13mm. A questo punto si misura il W. Il Limite Liquido del nostro materiale corrisponde al contenuto d’acqua per il quale il solco si chiude con 25 colpi. Per determinarlo con esattezza si eseguiranno 5 prove con contenuti d’acqua crescenti e si riporteranno i dati su un diagramma W\colpi dove, tracciato l’andamento relativo alle 5 prove, si estrapolera’ il valore corrispondente ai 25 colpi, che sara’ il Wll³ (vedi fotocopia Ib).
¹) le dimensioni e tutti i parametri sono standard;
²) il campione avra’ dunque un determinato W;
³) ma, se si e’ fortunati, una delle prove puo’ gia’ risolversi con 25 colpi!
La DETERMINAZIONE DEL LIMITE PLASTICO si effettua anch’essa sul passante al setaccio #40 ma con la seguente procedura:
si impasta il materiale con acqua e si lavora con le mani su di un piano in modo da ottenere degli “spaghetti” (ormai non non ci sorprende piu’ nulla). Cosi facendo l’acqua contenuta nella pasta evapora progressivamente fino al punto che lo spaghetto si spezzera’. A questo punto si misura il contenuto d’acqua del materiale manipolato. Si ripete il procedimento con un secondo spaghetto e si mediano i due valori W: il risultato sara’ Wlp.
Fonte: http://www.universinet.it/appunti/app_geologia_applicata.doc
Sito web da visitare: http://www.universinet.it/
Autore del testo: A.Nardi
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"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
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