Cimabue

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Cimabue

 

Le notizie attualmente in nostro possesso non permettono di conoscere con precisione la vita dell'artista nella seconda metà del XIII secolo. Due date giunteci attraverso documenti dell'epoca sono in pratica i soli indizi in grado di indicarci l'arco cronologico della sua produzione: Cimabue è menzionato in un documento romano del 1272 e si testimonia inoltre la sua presenza a Pisa negli anni 1301-02 allorché egli assume l'incarico di eseguire, oltre ad altre commissioni, la figura a mosaico di San Giovanni nell'abside della cattedrale. Si sa inoltre che lavorò, intorno al 1285, alla decorazione delle basiliche superiore e inferiore di San Francesco in Assisi. È necessario usare grande precauzione nel ricostruire la genesi della sua opera, diffidando di interpretazioni fantastiche di alcuni periodi oscuri della sua vita o di valutazioni troppo schematiche; lo stesso atteggiamento va tenuto nei confronti delle affermazioni del Vasari, tendenti a mitizzare la figura artistica e umana del grande pittore toscano. Tuttavia non è impossibile tracciare un quadro generale dell'evoluzione artistica di Cimabue. Risale verosimilmente al periodo del viaggio romano (1270-75) l'elaborazione di uno stile originale sorto come reazione alla «maniera greca» bizantineggiante assai diffusa in quel periodo a Firenze e in numerose città italiane. Lo stile di Costantinopoli si era diffuso in Italia con l'afflusso degli artisti orientali che emigravano a causa dell'affermazione degli iconoclasti. Alla fine del XIII secolo la fonte ispiratrice della loro arte, i cui modelli erano stati tramandati di generazione in generazione senza che vi si apportassero sostanziali innovazioni, appariva ormai inaridita. Il giovane Cimabue compie il suo apprendistato di pittore e mosaicista in questo ambiente. L'aneddoto del piccolo Cenni che si allontana dalla scuola per ammirare i Greci venuti a restaurare le decorazioni della cattedrale fiorentina testimonia assai bene, pur nei toni leggendari del racconto vasariano, l'atmosfera culturale della Firenze di quegli anni. Cimabue prende così a prestito dalla tradizione bizantina i diversi modelli iconografici: i grandi crocifissi, le ieratiche immagini della Vergine e i «dossali» d'altare. I crocifissi sono le opere più antiche; in quello conservato al museo dell'Opera di Santa Croce a Firenze, gravemente danneggiato dall'inondazione del 1966, la disposizione a «S» della grande figura dolorosa del Cristo sembra staccarsi dalla croce le cui estremità hanno la forma di piccole icone raffiguranti la Vergine e San Giovanni; l'impassibile solennità dei modelli orientali sembra ripiegarsi su se stessa assumendo, come il volto dell'evangelista, un atteggiamento pensoso. L'originalità di questa visione iconografica può forse essere messa in relazione col soggiorno romano dell'artista; in molti centri italiani infatti (la Siena di Duccio, la Pisa dei nuovi scultori, la Roma di Pietro Cavallini, attivo tra il 1270 e il 1330) fervevano intense ricerche artistiche. Ad Assisi, dove vari importanti pittori partecipano alla decorazione della basilica di San Francesco, Cimabue entra in contatto diretto con l'architettura (si tratta infatti di dipingere a fresco) inserendo in essa le immagini a lui più congeniali: un disegno più morbido determina forme più ampie ed espressive non senza una certa influenza dei ritmi gotici. La Vergine in trono con angeli e profeti, dipinta per Santa Trinità di Firenze e oggi agli Uffizi, risale probabilmente al 1285. In essa l'unità plastica non è ancora perfettamente realizzata ma il linguaggio formale, ormai delineato, preannunzia l'arrivo di un nuovo artista, Giotto, iniziatore di una lunga gloriosa stagione dell'arte italiana. Come nel Giudizio e nella Crocifissione, un abisso separa queste immagini dalle interpretazioni bizantineggianti dei pittori della stessa generazione. Del resto i contemporanei furono i primi a dare alla personalità del Cimabue lo spessore di un maestro, giustamente collocandolo in una posizione superiore rispetto a quelli che erano venuti prima di lui e insieme con lui. Con il mosaico di San Giovanni nell'abside della cattedrale di Pisa si chiude il ciclo delle opere attribuite a Cimabue lasciando tuttavia aperto un problema riguardante ancora una volta la città di Roma e l'inizio della carriera del pittore: la sua opera non si ispira in qualche punto all'arte dell'antichità? La lenta riscoperta dell'arte classica, verso cui la città di Firenze prima e in seguito tutta la civiltà rinascimentale avranno debiti notevoli, compie i suoi primi passi nell'arte del XIII secolo.

Ragazzo prodigio nel racconto di Vasari

«... crescendo, per esser giudicato dal padre e da altri di bello e acuto ingegno, fu mandato, acciò si esercitasse nelle lettere, in S. Maria Novella a un maestro suo parente, che allora insegnava grammatica a' novizi di quel convento; ma Cimabue in cambio d'attendere alle lettere, consumava tutto il giorno, come quello che a ciò si sentiva tirato dalla natura, in dipingere, in su' libri et altri fogli, uomini, cavalli, casamenti et altre diverse fantasie; alla quale inclinazione di natura fu favorevole la fortuna; perché essendo chiamati in Firenze, da chi allora governava la città, alcuni pittori di Grecia, non per altro, che per rimettere in Firenze la pittura più tosto perduta che smarrita, cominciarono, fra l'altre opere tolte a far nella città, la cappella de' Gondi, di cui oggi le volte e le facciate sono poco meno che consumate dal tempo, come si può vedere in S. Maria Novella allato alla principale cappella, dove ell'é posta. Onde Cimabue, cominciato a dar principio a questa arte che gli piaceva, fuggendosi spesso dalla scuola, stava tutto il giorno a vedere lavorare que' maestri; di maniera che, giudicato dal padre e da quei pittori in modo atto alla pittura, che si poteva da lui sperare, attendendo a quella professione, onorata riuscita; con non sua piccola soddisfazione fu da detto suo padre acconciò con esso loro; là dove di continuo esercitandosi, l'aiutò in poco tempo talmente la natura, che passò di gran lunga, sì nel disegno come nel colorire, la maniera de' maestri che gli insegnavano». Giorgio Vasari.

     Correggio

 

Figlio di Pellegrino e di Bernardina Piazzoli detta Degli Aromani, di cultura modesta ma economicamente benestanti, tra l'altro proprietari della casa in cui vivono, sposa Girolama Merlini, che muore giovane, nel 1529, sette anni dopo la nascita del loro unico figlio, Pomponio. Studia arte dapprima nell'ambito familiare, presso uno zio e un cugino, quindi nella Mantova dominata dalla personalità del Mantegna. È comunque in contatto con le principali correnti della cultura figurativa del suo tempo. Il suo cammino artistico viene solitamente suddiviso dagli studiosi in tre periodi: quello dei dipinti giovanili su temi e forme tradizionali dell'Emilia e del Mantegna; quello delle opere cosiddette di ricerca personale tra il 1513 e il 1518, prima del viaggio a Parma; e, infine, quello dei cicli trionfali di Parma, compimento dello sviluppo della sua personalità con il passaggio alla decorazione monumentale (dopo il 1518).

Gli affreschi della Camera della Badessa

Tra le sue prime opere ricordiamo gli affreschi in Sant'Andrea a Mantova e alcuni dipinti come Madonna con bambino e angeli (Firenze, Uffizi) e Natività (Milano, Brera): con quest'ultima dimostra di aver assimilato la lezione leonardesca del chiaroscuro elaborando soluzioni personali che influenzeranno le scuole successive. L'opera è dapprima dominata dalla figura del pastore che ha appena avuto la visione degli spazi celesti spalancati con gli angeli che cantano: «Gloria a Dio nell'alto dei cieli». Per contrapposizione la stalla, in basso, è oscura, rischiarata solo al centro dal Bambino appena nato che irradia luce tutt'intorno, illuminando anche il volto bellissimo della madre felice. Ecco due servette, una abbagliata dalla luce che proviene dalla mangiatoia trasformata in culla e l'altra intenta a osservare il pastore. Intanto san Giuseppe, nell'oscurità fitta dello sfondo, rigoverna l'asino. Correggio, tra il 1514 e il 1515, realizza la pala della Madonna di San Francesco (Dresda, Staatliche Gemaeldegalerie) quindi compie un viaggio a Roma ammirando la magnificenza delle Stanze Vaticane e della Cappella Sistina. Viene chiamato a Parma, per suggerimento di Scipione Montino della Rosa, da una nobile piacentina, Giovanna Piacenza, badessa del monastero di San Paolo. Riceve l'incarico di decorare la camera in cui la badessa accoglie abitualmente le rappresentanti dell'aristocrazia cittadina intrattenendole in alati conversari, in dotte disquisizioni religiose. Correggio trasforma la volta della Camera della Badessa in un padiglione a tralicci, con fronde e ghirlande di frutti, sostenuto da un fregio e da un giro di lunette con figurazioni mitologiche monocrome dentro delle nicchie. Le finte sculture sono animate da luci argentee come se le figure prendessero vita. L'artista si ispira al mito di Diana-Artemide, dea della caccia, ma anche protettrice delle vergini e della castità. Veramente memorabile è la raffigurazione della dea sul carro trainato da cervi veloci, che torna alla sua dimora dopo una battuta di caccia. L'antica favola della bellissima fanciulla e delle sue ninfe trova qui una seconda giovinezza. Di questo ciclo, la cui grandezza non viene subito intesa appieno, si scriverà che «è uno dei più violenti trapassi tra il vecchio e il nuovo mai veduti in arte».

Le opere della maturità

Durante le pause tra i viaggi e le commissioni il maestro torna volentieri nella terra natale. Ama la campagna e vi investe quasi tutti i guadagni. Per uno dei suoi dipinti più belli, La Madonna di San Girolamo, accetta a completamento dei pagamenti una partita di maiali e di fascine di legna. Dopo i quadri del periodo di transizione come La Madonna Campori (ora custodito nella Galleria Estense di Modena), come Madonna col Bambino e San Giovannino (Madrid, Prado) e Zingarella (Napoli, Pinacoteca di Capodimonte), ecco la serie della maturazione, ricchezza di colori e raffinata armonia di composizione: Sposalizio mistico di Santa Caterina (Parigi, Louvre); Madonna di San Sebastiano (Dresda, Staatliche Gemaeldegalerie), Ecce Homo (Londra, National Gallery), Martirio dei Santi Flavia e Placido (Parma, Galleria nazionale). Nel 1520 è di nuovo chiamato a Parma, stavolta per decorare l'abside (che sarà abbattuta nel 1587) e la cupola di San Giovanni Evangelista con Ascensione di Cristo. I lavori per questa commissione durano un triennio. Alla fine si grida al miracolo. Intanto, la cupola è stata affrescata non più suddivisa in tanti scompartimenti, come usava a quei tempi, ma mediante un'unica composizione. Inoltre, le figure, per il senso audace dello scorcio e del loro moto vorticoso, raggiungono un effetto molto singolare di prospettiva aerea. Correggio sarà imitato nei secoli successivi per la sua tecnica intesa a dare ai fedeli, raccolti nella navata sottostante, l'illusione che la cupola si fosse spalancata sulla visione della gloria dei cieli. La padronanza degli effetti di luce gli consente di riempire la volta di nubi illuminate dal sole e fra le quali paiono librarsi stuoli celesti, con le gambe penzoloni. La figura di Cristo sembra quasi risucchiata nel vuoto. Per usare un'espressione moderna: «pedala nel vuoto», cioè partecipa con lo scorcio delle gambe (ma anche delle braccia) al moto e alla prospettiva delle figure in basso, con la veste chiara svolazzante nella luminosità delle nubi e del cielo. Intanto stende il contratto per la decorazione pittorica della cupola del duomo, sempre a Parma, sul tema Assunzione della Vergine. È la prima risposta del mondo cattolico latino ai fermenti della Riforma, che con Lutero e Calvino esige tra l'altro l'abolizione del culto della Madonna. Chiede e ottiene un compenso di mille ducati d'oro. Il contratto viene firmato con grande solennità e alla presenza di molti testimoni, tanta era la convinzione che ne sarebbe scaturito una sorta di prodigio pittorico. I diametri dell'opera nel suo complesso sono di metri 10,93 e 11,55. Si tratta in sostanza di affrescare una superficie pari a circa 250 metri quadrati. I lavori iniziano effettivamente nel 1526 e si concludono nel 1530, date entro le quali risultano effettuati, secondo documenti giunti sino a noi, i pagamenti previsti. Il maestro riprende qui l'impianto compositivo già messo a fuoco per affrescare la cupola della chiesa di San Giovanni Evangelista moltiplicandolo e complicandolo. Dopo aver aumentato, dando loro la forma di grandi conchiglie, la cavità e lo slancio dei pennacchi (strutture portanti della cupola), nasconde gli spigoli del tamburo ottagonale dietro grandi figure dipinte di scorcio. Figure che hanno le vesti agitate dal vento: l'insieme dà la sensazione di una rotazione sempre più rapida dei giri alternati di figure e di nuvole. Tra queste nubi i personaggi sembrano letteralmente nuotare muovendo con forza le gambe e le braccia. Un altro accorgimento consiste nell'accentuare il chiaroscuro sfumato dei corpi la cui sostanza viene a imparentarsi con quella soffice e luminosissima delle nuvole. Insomma, se Raffaello e Michelangelo contengono le figure e lo spazio entro precisi ordini architettonici, il Correggio rovescia qui l'ideologia del tempo: inventa cioè uno spazio dominato dalla luce e dal movimento, dipingendo per primo non solo le figure ma l'aria che si interpone tra queste e l'occhio.

Il commento ammirato del grande Tiziano

Correggio ha l'audacia e la personalità del precursore, la cui influenza è destinata a durare a lungo nel tempo (il barocco, per esempio, guarderà più a lui che a Raffaello). «Mai in nessun tempo è stato rilevato» e «in nessun paese la pittura aveva raggiunto altrettanti movimento, varietà e coraggio d'atteggiamenti». Ma non tutti comprendono, non subito. Un canonico del duomo riferendosi alla danza frenetica degli angeli che la luce del paradiso sembra strappare verso gli abissi celesti la paragona a un disgustoso «brodetto di rane». Eppure il contemporaneo Tiziano passando per Parma al seguito dell'imperatore Carlo V dopo aver ammirato la volta dice ai cittadini che lamentano il prezzo pagato: «Rovesciate la cupola, riempitela d'oro e non sarà pagata abbastanza». Mentre all'incirca due secoli e mezzo più tardi il famoso tipografo-editore Giambattista Bodoni propone questa immagine: «Il Correggio cammina a grandi passi sull'orlo del precipizio, senza tema di sdrucciolare e di cadere».

Come attirare l’attenzione dello spettatore

Nella parte finale della sua non lunga esistenza il Correggio continua anche la pittura di cavalletto. Accanto a soggetti religiosi come La Madonna di San Giorgio (Dresda, Pinacoteca) dipinge per il duca Federico Gonzaga di Mantova la famosa serie mitologica dedicata agli amori di Giove: Antiope (Parigi, Louvre); Ganimede, Io (Vienna, Kunsthistorisches Museum); Danae (Roma, Galleria Borghese); Leda (Berlino, Staatliche Museun).Il nucleo principale dei quadri religiosi e dei dipinti mitologici appartiene allo stesso periodo delle due cupole. E come nelle due cupole, ma con tecnica ancora più elaborata, il maestro cerca di attirare l'attenzione dello spettatore «trasportandolo» nello spazio pittorico: facendo affiorare al piano-limite figure che poi sfuggono con rapido scorcio verso l'interno in uno spazio reso come sdrucciolevole dalle prospettive rapide, dall'atmosfera morbida dello sfumato, dai colori cangianti. Dall'interno proviene anche il sentimento, l'amore, impulso degli uomini verso gli altri uomini o verso Dio (non c'è confine tra i due tipi di amore). Un concetto, questo, che ha le sue origini nelle teorie leonardesche (i moti del corpo in relazione e sintonia con i moti della mente) e che sarà sviluppato in epoca barocca soprattutto dal Bernini. Il Correggio fa appena in tempo a esprimersi compiutamente, a concludere il messaggio antesignano della sua magica pittura. Nel 1534, quando ha soltanto 45 anni, rimane vittima di una disavventura che il Vasari collega maliziosamente alla sua avarizia. Dunque: il maestro riceve in Parma un sacco di monete in pagamento di un'opera e subito si affretta al paese dove lo attendono delle scadenze economiche. A piedi, carico, sotto il solleone. Strada facendo, accaldato, si ferma più volte alla fontana in cerca di ristoro. Giunto a casa, viene colto da una febbre violenta e si mette a letto con il corpo squassato dai brividi. Non si riprenderà più. Spira nel volgere di pochi giorni dopo aver raccomandato Pomponio, il suo unico figlio, agli anziani genitori. Le cronache riferiscono di funerali piuttosto miseri avvenuti il giorno 6 del mese di marzo e della sepoltura nella chiesa di San Francesco. Ma della sua salma i posteri non troveranno traccia alcuna.

 

Fonte: http://www.scicom.altervista.org/storia%20sociale%20arte/GRANDI%20MAESTRI%20ARTE%20(appunti%20Stefania).doc

Sito web da visitare: http://www.scicom.altervista.org

Autore del testo: Tribenet

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