Futurismo legami con il fascismo e Marinetti

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Futurismo legami con il fascismo e Marinetti

Futurismo e fascismo

Un lungo, spesso filo lega il movimento artistico e politico futurista all’esperienza fascista italiana. Solo calandosi nella temperie culturale del Futurismo è possibile scoprire l’”Humus” che permise alla pianta del Fascismo di germogliare in Italia e di alimentarsi per oltre due decenni.
Fin dagli esordi il futurismo è per sua natura politico: "Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore…" Siamo nel 1909 e Marinetti lancia già il primo proclama politico ispirato al nazionalismo. Obiettivo: l'orgoglio, l'energia e l'espansione nazionale contro i vecchi e i preti, per una rappresentanza in Parlamento che deve essere "sgombra da mummie e libera da ogni viltà pacifista". Anche in questo caso il vitalismo irrazionale è il collante e la molla delle posizioni interventiste e irredentiste di Marinetti e i suoi. Un altro elemento "politico" del primo futurismo è la guerra al parlamentarismo: "Quasi tutti i Parlamenti d'Europa - scrive Marinetti - non sono che pollai rumorosi, greppie e fogne".
La campagna di Tripoli è l'occasione migliore per ribadire il panitalianismo: Marinetti dirà che "la parola Italia deve dominare sulla parola libertà" e proprio il nazionalismo costituirà il motivo di radicale disaccordo coi futuristi russi.
Nel 1913, Marinetti insieme a Boccioni stila il Programma politico futurista. Nel 1914 vengono promosse manifestazioni interventiste dei futurísti contro l'Austria. La campagna interventista offre l'occasione per manifestazioni antiaustriache che esplodono in forme spettacolari. Il 15 settembre del '14, al teatro Dal Verme di Milano, Marinetti sventola da un palco una grande bandiera tricolore mentre l'orchestra suona la Marcia Reale; devono intervenire i questurini per sedare il tumulto. Anche nei cosiddetti vestiti neutrali disegnati da Balla e indossati dai futuristi nelle manifestazioni negli atenei di Roma contro i professori definiti "tedescofili" c'è il gesto simbolico, importante, che caratterizza il futurismo.
Lo stesso Mussolini, appena cacciato dal Partito socialista, scrive a P. Buzzi ricordando di aver parlato con Boccioni delle sue simpatie per gli innovatori e per i demolitori, per i futuristi, ammettendo che i futurísti avevano manifestato prima di lui intenti rivoluzionari e interventisti.
Il ruolo dei futuristi nel distruggere le fondamenta della società borghese a cavallo tra i due secoli è riconosciuto peraltro anche da Antonio Gramsci: "I futuristi hanno svolto questo compito nella cultura borghese: hanno distrutto, distrutto, distrutto; hanno avuto la concezione nettamente rivoluzionaria, assolutamente marxista, quando i socialisti non si occupavano neppure lontanamente di simile questione".
Nel 1918 esce il Manifiesto del Partito politico futurista e il Partito politico futurista, che vuole essere nettamente distinto dal movimento artistico futurista.
Il manifesto del partito futurista italiano mette a fuoco le coordinate politiche del movimento futurista. Al primo posto ci sono l'educazione patriottica del proletariato, la lotta all'analfabetismo, la lotta all'insegnamento classico, l'educazione sportiva, l'insegnamento tecnico obbligatorio nelle officine, la libertà di sciopero, di riunione, di organizzazione, l'abolizione della polizia politica, la giustizia gratuita, la trasformazione della beneficenza in assistenza e previdenza sociale… Più che un programma di partito è lo specchio dello spirito vitalistico ed estetico dell'avanguardia futurista che per molti aspetti alimentò il fascismo. Marinetti a buon diritto dirà nel '24 che "il fascismo nato dall'interventismo e dal futurismo si nutrì di principi futuristi". Benedetto Croce ribadì che "per chi abbia il senso delle connessioni storiche, l'origine ideale del fascismo si ritrova nel futurismo".
Nel '19 Marinetti promuove la costituzione dei Fasci politici futuristi che nasceranno in diverse città italiane.
La politica marinettiana oscilla tra nazionalismo ed anarchismo, libertarismo e socialismo, tanto che alcuni critici parlano, soprattutto tra i seguaci di Marinetti, di un futurismo di destra e di un futurismo di sinistra.
Nel 1920 Marinetti scrive: "Al di là del comunismo", considerando il comunismo "un'esasperazione del cancro burocratico che ha sempre corroso l'umanità", odia la caserma militarista quando quanto quella comunista, vuole gli artisti al potere e assume posizioni molto simili ai movimenti studenteschi dell'epoca.
Ma dopo la nascita dei fasci futuristi, Mussolini organizza i suoi fasci per la scalata al potere. Lo scontro è inevitabile. Nel 1920 i futuristi escono dal movimento fascista. E due anni dopo, nel '22, quando Mussolini riceve l'incarico di formare il governo e comincia a trasformare la rivoluzione in "regime", i futuristi sentono subito di essere stati traditi. 
Giuseppe Prezzolini, in un articolo intitolato Fascismo e futurismo, pubblicato il 3 luglio del '23, scrive: "Evidentemente nel Fascismo c'è stato del Futurismo e lo dico senza alcuna intenzione. Il futurismo ha rispecchiato fedelmente certi bisogni contemporanei e certo ambiente milanese. Il culto della velocità, l'amore per le soluzioni violente, il disprezzo per le masse e nello stesso tempo l'appello fascinatore alle medesime, la tendenza al dominio ipnotico delle folle, l'esaltazione di un sentimento nazionale esclusivista, l'antipatia per la burocrazia, sono tutte tendenze sentimentali passate senza tara nel fascismo dal futurismo".
Ma lo stesso Prezzolini, più avanti, spiega che nello sviluppo del Fascismo non c'era più posto per il Futurismo. Il ribollire di forze per Prezzolini andava bene per la rivoluzione, ma "stona in un periodo di governo". "Se il fascismo vuol segnare una traccia in Italia - continuava Prezzolini - deve espellere ormai tutto ciò che vi rimane di futurista, ossia di indisciplinato e anticlassico. Sarei troppo seccante se ai miei conoscenti del movimento futurista chiedessi un franco giudizio sulle riforme classiciste del ministro Gentile?".
Nonostante gli strali di Prezzolini, nel '24, con Le "Onoranze a Marinetti" a Milano e col 1° Congresso Nazionale futurista, il Movimento si riavvicina al fascismo, chiedendo aiuti agli artisti, nell'ottica dell'affermazione del Futurismo come unica arte innovatrice. I futuristi si attestano su posizioni che potremmo definire "di sinistra". Più tardi Marinetti verrà nominato da Mussolini "accademico d'Italia", ma la spinta modernista del movimento è ormai in gran parte già neutralizzata dal regime.

Il Cinema

 

Più che Amedeo Nazzari, più che Vittorio De Sica è Benito Mussolini il divo italiano degli anni 30 in testa alle classifiche di presenza sugli schermi attraverso i cinegiornali Luce che lui stesso controlla, taglia e infine suggerisce di non inflazionare troppo con la sua immagine. Frasi di lancio pubblicitario scritte dai suoi fans con piglio futurista: "Testa prominente proiettile quadrato cubica volontà di Stato", con andamento da star system alla Tyrone Power: "Un uomo eccezionale dai grandi occhi neri e profondi, dallo sguardo penetrante e affascinatore" oppure diretti scambi di un amore oceanico: "C'è forse qualcosa di cambiato tra noi?" chiede. "No" risponde la folla alla Trionfale giornata del duce a Bologna.
Paragonato a Dio, a Foscolo, a Santorre di Santarosa, può interpretare tutto, a parte i condottieri, troppo scontati: Za la Mort e Douglas Faibanks, Fregoli e Maciste. Il documentario "Dux" ha 15.350 proiezioni in 7254 comuni [a parte le 867 proiezioni all'estero], La Paramount nelle sue riprese, lo preferisce in atteggiamenti domestici o sportivi.
IL CANALE DEGLI ANGELI [35] di Pasinetti è un film che resterà nella storia del cinema come un punto di riferimento sussurrato che si contrappone al documentario ufficiale, il genere più tipico dell'epoca, costruito secondo un'equazione fissa di inquadrature affollate e speakeraggio forte. La silenziosa ma drammatica vicenda ambientata a Venezia, lento scorrere di acqua nei canali, un marinaio in attesa di imbarco, una donna e un bambino introverso. Francesco Pasinetti, classe 1911, il primo a laurearsi in Italia con una tesi sul cinema [Padova], critico e studioso, insegnante e poi direttore del Centro Sperimentale appena fondato, scrive sceneggiature, è un punto di riferimento per i giovani [con Chiarini e Barbaro] per morire, nel 49, giovane lui stesso.
ALGIERS di John Cromwell [38] rilancia da Hollywood la viennese Hedy Lamarr [Eva Maria Kiesler], diventata famosa in tutto il mondo quando apparve completamente nuda, censura permettendo, in "Estasi" [33] di Gustav Machaty. Al suo incontro con l'amore sensuale indossava solo il nome alla boema di Hedy Kieslerova. A Hollywwod sposa un mercante di cannoni che si darà molto da fare per comprare tutte le copie del film osé. Hedy Lamarr nel film di Cromwell ["Un'americana nella Casbah"] si aggira con maggiore freddezza nella Casbah di Algeri, remake di "Pepé le moko" con Charles Boyer al posto di Jean Gabin [en attendant Totò].
Fosco Giachetti interpreta GIUSEPPE VERDI [39] di Carmine Gallone che aveva iniziato il filone "melodramma italiano" con "Casta Diva" nel 35, di grande successo popolare. Tra i due film si piazzava con lo stesso impeto da opera "Scipione l'Africano" [le musiche erano di Ildebrando Pizzetti], Gallone continuerà a far cantare per tutta la durata della guerra, la resistenza e il dopoguerra. Aveva iniziato come critico cinematografico quasi in contemporanea con le prime proiezioni, per diventare poi il cineasta delle dive e l'autore dei grandi colossal storici. Il pubblico corre a vedere i notissimi intrecci [Butterfly, Alfredo e così via] italianissimi attori doppiati dai celebri cantanti, anche perché con il decreto del 4 settembre 38 si istituisce il monopolio che limita l'importazione di film stranieri [americani] in Italia.
Non è un caso se "Una notte all'opera" dei fratelli Marx è tra le poche pellicole che ottengono il visto. Arrivano I DIAVOLI VOLANTI [39]. Per dimenticare una donna Olllio seguito da Stanlio si arruola nella legione straniera, tipica location del cinema degli anni 30. Nel giro di pochi anni sono già stati nell'esercito inglese in India [Gli allegri eroi 35], in trincea in Europa a difendere la postazione per venti anni dopo la fine della guerra [Teste dure,'38], Vestiti da legionari, lancieri del Bengala o con il fango della trincea non sembrano evocare la guerra che sta per scoppiare, anzi incarnano uno spirito antimilitaresco, trasformando ogni esercito in un giardino d'infanzia, annientando ogni autorità. Il regime li ritiene più sani e meno pericolosi di Charlot, a cui si perdona, perché è un grandissimo, quella "sofferenza malaticcia che viene più che dal sangue, dal cervello e dal cuore".
ABUNA MESSIAS di Goffredo Alessandrini nel 39 vince il festival di Venezia e la Coppa Mussolini come miglior film italiano, tipico esempio di premio pilotato dalla politica. Il regista nato e vissuto per venti anni in Egitto torna volentieri in Africa con un apparato tecnico non indifferente di tecnici e artisti, un parco lampade di sessanta riflettori che dovrebbe restare come base di materiale cinematografico stabile in Africa orientale. Il film, tra i pochissimi di soggetto cattolico all'epoca, racconta la missione del cardinale Guglielmo Massaia morto alla fine dell'ottocento in Abissinia, la sua amicizia con il ras Menelik, gli attacchi della chiesa copta. Un prologo poi eliminato, mostrava i luoghi della guerra in Etiopia. Al regime piace creare figure esemplari di un passato che può ricordare il presente.
MILLE LIRE AL MESE [39] è un film dalle intuizioni futuribili sulla televisione [mentre già negli Usa si brevetta la tv a colori], Un ingegnere ottiene un posto alla televisione di Budapest, immancabile città astratta nelle commedie dell'epoca.
Appena arrivato, schiaffeggia senza saperlo il direttore generale e per rimediare la fidanzata manda un amico a firmare il contratto. Ma il direttore vuole essere presente ai lavori.
Emblematica la canzone che ispira il titolo, lievemente scherzosa la trama con quell'atmosfera da ministero, di grande richiamo popolare Alida Valli. Max Neufeld [nei titoli Massimiliano] regista austriaco famoso anche in Germania, lascia il paese all'avvento del nazismo per la sua origine ebrea e porta con successo il suo stile leggero ["alla Neufeld"] in Italia.
BRINGING UP BABY di Howard Hawks è tra i pochi film americani distribuiti nel 39, dopo le restrizioni del monopolio cinematografico. Katherine Hepburn è talmente eccentrica che non c'è pericolo che guasti il modello di donna italiana che porta a passeggio bambini, non certo pantere al guinzaglio nè si traveste da uomo. Stravaganze da star, seguite con curiosità dalla stampa specializzata, così come Joan Crawford, smesse le sue intemperanze da movimentata comunista, si chiude a cucire nel suo camerino portatile dopo aver girato una scena o Greta Garbo prende bagni di sole nuda sul prato. Anche lei inonda di profumo comunista le sale

Documenti

Quando conquista il potere (1922) Mussolini intuisce
la crescente incisività di questo nuovo mezzo di comunicazione.
E lo usa spregiudicatamente per sostenere la sua politica


IL CINEMA, GRANCASSA
DEL REGIME FASCISTA

Quando nel 1922 Mussolini prende il potere in Italia, subito afferma pubblicamente di ritenere il cinema “l’arma più forte dello Stato”. Già allora, quando il sonoro era ancora di là da venire e la produzione italiana era scarsa e di non eccelso livello, con la sua ben nota “lungimiranza fascista”, il duce aveva capito l’importanza dell’immagine per fare presa sul popolo. Eppure il regime non cercò mai di asservire totalmente il cinema alla propaganda della sua ideologia, come avrebbe invece fatto il nazismo. Grazie anche all’intelligente consiglio di alcuni responsabili politici, in primis Luigi Freddi, Mussolini lasciò al cinema italiano la possibilità di realizzare pellicole con sufficiente autonomia, tenne leggera la scure censoria e si limitò a controllare i documentari didattici e i cinegiornali educativi.
Egli imbocca così una via italiana al cinema che permetterà a registi come De Sica e Visconti, in un certo senso anche a Blasetti, di non sentirsi troppo frustrati e di preparare, già alla fine deglianni Trenta, il neorealismo del dopoguerra. I film di evasione, quelli storici, quelli romantici, non interessano più di tanto il partito, che invece ci tiene ad esportare nel mondo un’immagine vincente dell’Italia, anche attraverso i suoi lungometraggi. Diverso è il discorso per quanto riguarda l’informazione, che viene proiettata in tutti i cinematografi prima di ogni spettacolo, e alla quale è affidato il compito di mostrare alla popolazione i fasti del regime. Nel 1923 nasce L’Unione Cinematografica Educativa (LUCE) per la produzione di documentari e, soprattutto, di cinegiornali. Tutta la produzione LUCE è tesa a fornire al pubblico sia italiano che straniero una documentazione precisa delle imprese e dei successi dell’Italia fascista.
Fino al 1931 i cinegiornali sono muti. Con l’avvento del sonoro, le parole pronunciate enfaticamente e la musica acquistano un’importanza fondamentale nel sottolineare le immagini, anzi a volte sono proprio le parole che danno senso ad immagini banali, magari anche riciclate.
La grandezza e il valore del duce, i progressi dell’Italia, l’aumento di produttività dell’industria e del grano nei campi, il prestigio in campo internazionale, sono i temi ricorrenti in tutti i cinegiornali. L’Italia è il Paese nel quale si vive onestamente, dove tutti lavorano, dove le famiglie sono numerose e serene, dove insomma tutto va bene… perché come un buon pater familias il duce veglia sulla nazione: le disgrazie, la delinquenza, la violenza, sono sempre mostrate come brutture che possono avvenire in altri Paesi, ma dalle quali noi siamo fortunatamente immuni. Ampio spazio è sempre dedicato alle inaugurazione, ai taglio di nastro o alla posa della prima pietra, alle strette di mano tra personaggi illustri, ad ogni campagna lanciata dal partito, così come alle imprese sportive, alle prove atletiche, alle vittorie italiane in campo internazionale. Durante la guerra d’Africa si vedono gli indigeni stringersi grati attorno alle truppe italiane, apportatrici di benessere e di civiltà… Dal 1940 al 1943 i cinegiornali si prefiggono tre scopi ben definiti: mostrare la perfezione dei nostri armamenti, lodare la vittoriosa esecuzione delle nostre imprese belliche, prevedere l’inevitabile sconfitta del nemico.
Un tema particolarmente importante è quello che riguarda l’immagine del duce. Lui, l’artefice di ogni successo, l’incarnazione di tutti i valori dello Stato, il solo responsabile del bene del Paese, è mostrato sempre sicuro di sé, forte, robusto, un punto di riferimento per tutti sia quando passa in rassegna le truppe che quando visita un ospedale, falcia il grano o stringe la mano ad un capo di Stato straniero. Quando declama un discorso, la sua posa e la sua intonazione, le lunghe e sapienti pause tra una parola e l’altra, sono un invito a nozze per riprese enfatiche e glorificanti. Solo dopo la tragedia del 1943 la sua immagine si appanna, e neppure i cinegiornali possono nascondere la stanchezza dell’uomo, la sua delusione e la rassegnazione con cui compie i gesti ufficiali di sempre: la rivista delle truppe repubblichine, il taglio di un nastro, il saluto a un gerarca nazista. La produzione LUCE comprende anche numerosi documentari, destinati alle riunioni politiche, alla didattica, spesso anche al normale pubblico delle sale cinematografiche. I titoli sono molto illuminanti e vanno da “Mussolinia” a “Dall’acquitrino alle giornate di Littoria”, a “Nell’agro pontino redento” e “Nella luce di Roma”. Per quanto riguarda invece la produzione cinematografica indipendente, negli anni che vanno dal 1923 al 1929, prima dell’avvento del sonoro, i produttori italiani cercano di riprendere le fila interrotte dalla I guerra mondiale, e realizzano una serie di film fastosi in costume: è del 1923 “Quo Vadis?”, del 1924 “Cirano de Bergerac”, del 1926 “Maciste all’inferno”. La storia passata è vista come preparazione all’avvento del fascismo, e i grandi avvenimenti storici sono volentieri mostrati come precorritori dei fasti dell’Italia mussoliniana.
Queste pellicole non riscuotono però il successo sperato, e il cinema italiano stenta a trovare la via per conquistare il suo pubblico, tutto preso dall’ammirazione per il cinema straniero, soprattutto americano, cosicché nel 1926 vengono prodotti solo venti lungometraggi italiani. Va ricordato, del 1929, il primo grande film fascista, “Sole”, per la regia di Alessandro Blasetti. Esso è incentrato sui temi relativi alle bonifiche delle paludi pontine e ci mostra grandi scenari naturali colti attraverso belle fotografie, mentre anche le nuove angolazione delle riprese rendono questo film degno di essere menzionato. Molto lodato dai critici, “Sole” è però completamente ignorato dal pubblico. Nello stesso filone ispirato al mito del buon contadino, si collocano altri film come “Forzano”, “Quattro passi fra le nuvole”, “Selvaggio”, “Strapaese”, che riprendono le campagne per l’aumento della produzione agricola e criticano il capitalismo basato sulla rendita fondiaria dei grandi proprietari terrieri. La buona e sana vita contadina esce vincente dal confronto con la logorante vita di città. L’avvento del sonoro apre una nuova era nella cinematografia italiana.
Alla fine dell’anno una trentina di sale si sono già dotate delle moderne apparecchiature e nel giro di cinque o sei anni tutti i cinematografi in Italia offrono film parlati. All’inizio non mancano comunque le difficoltà, per offrire al pubblico una traduzione accettabile dei film stranieri: il doppiaggio presenta ancora molti problemi tecnici, e si tenta addirittura di rifare i film americani con attori italiani! Il personaggio fondamentale dell’industria cinematografica degli anni Venti è l’industriale Stefano Pittaluga che, nel 1931, produce addirittura il 90% dei film italiani, col marchio Pittaluga Cines. Egli riesce anche a fare approvare una prima legge protezionistica a sostegno del settore (ne seguirà una seconda nel 1933), ma non riesce a goderne i benefici effetti poiché muore poco prima della sua entrata in vigore.
La Cines continua comunque, sotto la direzione di Emilio Cecchi, la produzione di film con registi di valore come Blasetti, Camerini, Bragaglia, e autori come Pirandello e Alvaro, ponendosi come punto d’incontro tra cinema e cultura: fino al 1933, anno in cui viene acquistata da Carlo Roncoroni.
Produttori come Gustavo Lombardo, Giuseppe Amato e Angelo Rizzoli sono interessati soprattutto a film commerciali, con grande successo di pubblico. Nel 1932 Mussolini inaugura la prima Mostra del Cinema di Venezia, il festival che avrebbe contribuito molto al prestigio della cultura italiana nel mondo, portando a girare in Italia registi come Max Ophuls, Abel Gance, Jean Epstein. A Venezia, a testimonianza della notevole autonomia di giudizio della commissione giudicante, riceve un premio anche Jean Renoir per “La grande illusion”. In questo periodo si affermano le case produttrici Lux, Titanus, ERA, mentre lo Stato continua la sua opera di sostegno istituendo una Direzione Generale per la Cinematografia guidata da Luigi Freddi. Pur provenendo dalle fila del partito, Freddi sostiene idee liberali. Egli è infatti convinto che lo Stato debba sostenere il cinema senza costringerlo entro i ristretti argini dell’ideologia fascista. Critico del metodo coercitivo applicato alla decima musa dal nazismo, Freddi incoraggia un cinema che non entri in conflitto con le tematiche di partito, ma che si rivolga invece a temi d’evasione, a imitazione del cinema americano. E’ il momento dei film coi telefoni bianchi, delle storie sentimentali a lieto fine, degli attori che riscuotono grande successo di pubblico.
Quando nel 1935 gli studi della Cines vengono distrutti da un terribile incendio, Freddi coglie l’occasione per realizzare il suo sogno di una Hollywood italiana, e fonda, alla periferia di Roma, “Cinecittà”. Si devono a Freddi anche l’istituzione di un Centro Sperimentale di Cinema e la nascita della rivista “Bianco e Nero”, veri vivai di giovani talenti. Tra le altre riviste di critica cinematografica ricordiamo: “Film”, “Lo Schermo”, e soprattutto “Cinema”, diretta prima da Luciano De Feo, poi da Vittorio Mussolini, e infine da Gianni Puccini. Si può dire che fino al 1938, anno in cui diventa più stretta l’unione tra Mussolini e Hitler, il fascismo segue da vicino il cinema italiano, ma interviene più per sostenerlo che per sottometterlo: si limita a controllare che i film non promuovano comportamenti immorali e che non presentino situazioni in contrasto con la cultura fascista, ma per il resto preferisce porsi come osservatore che come padrone.
Sono di questi anni molti film comici, anche dialettali, e si affermano in questo periodo attori come Petrolini, Vittorio De Sica, Totò, in quelle commedie popolari che precedono il neorealismo del dopoguerra. Sempre molto ricca la vena di registi come Blasetti (“1860”, “La tavola dei poveri”), Camerini (“Gli uomini, che mascalzoni”, “Il signor Max” “Il cappello a tre punte”), Brignone (“Passaporto rosso”, “Sotto la croce del sud”), ecc… Nei primi anni della seconda guerra mondiale, ai successi bellici corrisponde un grande fiorire di pellicole e una crescente affluenza di pubblico. Si affermano nuove tendenze, ispirate in parte al teatro del Novecento, in parte alla letteratura realistica americana. Accanto a Blasetti con “La cena delle beffe” troviamo Antonioni, De Sica regista con “I bambini ci guardano”, Soldati con “Malombra”, Luchino Visconti con "Ossessione"; si mostrano ora alcuni problemi che prima erano sempre stati tenuti ben lontano dall’obiettivo della macchina da presa. Nei mesi bui della Repubblica di Salò la produzione cinematografica continua “come se niente fosse”, anzi proprio per far sì che “tutto sembri come sempre”. Tra i molti film prodotti, ben pochi se ne possono ancora ricordare: forse “Aeroporto”, di Pietro Costa, soprattutto perché su questo film fu esercitato un diretto controllo da parte della censura nazista.
Un cenno a parte merita il filone dei film realizzati a partire dal 1935 sulle conquiste coloniali in Africa: vi si sentono influssi del cinema statunitense e di quello francese, ma soprattutto vi si cerca di mostrare il valore dei conquistatori italiani, che portano ai poveri selvaggi i doni della moralità e del benessere. Ricordiamo: “Il cammino degli eroi” di Corrado D’Errico, “Sentinelle di bronzo” di Romolo Marcellini e “Jungla nera” di Jean Paul Paulin. E’ del 1938 “Sotto la croce del sud”, di Guido Brignone, il film che esalta la possibilità di rinnovamento interiore nell’esaltante esperienza di vita nel continente africano.
Va infine ricordata la produzione cinematografica dei giovani universitari dei GUF, anche se in gran parte è andata perduta. Il ruolo degli intellettuali all’interno della rivoluzione fascista, ancora in marcia verso il superamento delle realtà piccolo-borghesi, si esprime in diversi campi all’interno dei circoli universitari di varie città italiane. Esce nel 1932 a Venezia la rivista di critica cinematografica “Il Ventuno”, più tardi vedono la luce in Emilia Romagna periodici come “Architrave” e “Spettacolo”. Facendo cinema, i giovani dei GUF, sempre molto attenti al cinema francese, si richiamano anche al cinema sovietico soprattutto per quanto riguarda le strutture del montaggio, le inquadrature, i contrasti posti a sottolineare l’idea sottostante, che è sempre e comunque l’affermazione dell’ideologia fascista.

Il cinema a Salò

Durante l’occupazione tedesca, 1941-44, in Francia si realizzarono 226 film. Pessimi, di propaganda, asserviti agli ordini dei collaborazionisti di Vichy? Niente affatto, anzi spesso di indubbio valore, tanto che già Truffaut ne giudicava «interessanti» almeno novanta. Oggi il regista Bertrand Tavernier (il cui nuovo film, «Laissez-passer », dedicato al cinema francese di quegli anni, ha fatto arrabbiare i critici di Libération e di Le Monde ), si spinge più avanti. E in un’intervista a Maurizio Cabona su il Giornale dichiara che per una decina di titoli si può parlare di «capolavori». Per esempio, «Il corvo» di Clouzot, «La conversa di Belfort» di Bresson, «Evasione» di Autant-Lara. Seppure strettamente francese (per i nostalgici della Nouvelle Vague il cinema nasce ancora con Godard; ma più in generale, in Francia non si vede di buon occhio chi non crede alla leggenda del paese composto al 99 per cento di partigiani) la polemica in qualche modo riguarda anche noi, e riapre il dibattito sulla valutazione del cinema di Salò. E, allargando il tiro, di quello del Ventennio. «Da noi, la rilettura del cinema durante il fascismo partì negli anni ’70» ricorda Claudio Carabba, che nel ’74 pubblicava una ricerca sul «Cinema del ventennio nero». «Dopo la stagione neorealista e gli anni dell’impegno, in cui si parlava di frattura, taglio netto (il discrimine è "Ossessione" di Visconti, girato nel ’42 e ispirato a francesi e americani), si cominciò a studiare quel periodo. Per scoprire che era esistita un’industria italiana, molto assistita e curata dal regime, ma assai interessante per livelli qualitativi e personalità. Anche se Mussolini diceva che il cinema è "l’arma più forte", i film del ventennio furono raramente di propaganda, e nei pochi casi dichiarati - "Camicia nera" di Forzano, "Vecchia guardia" di Blasetti, oppure i kolossal come "Scipione l’Africano" - risultarono scarsamente efficaci e senz’altro poco graditi al dittatore. Prosperò invece un buon cinema di genere, la commedia in particolare, con Camerini e il giovane Mattoli, la cui lezione - insieme a quella di Blasetti e Alessandrini - sarebbe passata ai registi del rinnovamento. Vista la produzione francese e americana degli stessi anni, di capolavori non parlerei, di molti film interessanti sì».
E il cinema di Salò? Tullio Kezich è categorico: «Nemmeno un titolo decoroso fra quelle poche pellicole realizzate negli stabilimenti della Giudecca. Solo dei poveri disgraziati erano andati al Nord, lavoravano come dei deportati, e in un’assoluta mancanza di materiali. I francesi, invece, riuscirono a mantenere la loro qualità. Paradossalmente grazie a un tedesco, quell’Alfred Greven, patron della Continental per cui lavorava Clouzot (e di cui parla Tavernier nel suo film): Goebbels l’aveva mandato per appiattire il cinema francese, lui invece disobbedì».
Anche lo storico Gian Piero Brunetta non salva niente di Salò. «A parte De Robertis, che comunque terminò il suo film dopo la Liberazione, c’erano registi di serie Z. L’interesse di alcuni film risiede solo nel fatto che recano i segni del momento storico: in "Ogni giorno è domenica" c’è un soldato che torna a Venezia dall’Albania; in "Aeroporto" di Costa si riforniscono gli aerei con fiaschi di benzina. Importanti invece sono i cinegiornali Luce, una sessantina, che mostrano, con il commento repubblichino, alcuni momenti della guerra civile». Quanto al cinema realizzato «durante il fascismo», Brunetta riconosce che molti cineasti seppero affermare il «primato della qualità professionale rispetto all’ideologia». Massimo esempio, Blasetti. «Ma in fondo, fino al ’43, il fascismo fu una dittatura imperfetta, e anche il cinema se ne avvantaggiò».

Il fumetto durante il regime fascista

 

Immediatamente alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, il regime fascista proibì l'importazione di film e fumetti americani. Mussolini temeva che i lettori potessero essere affascinati e attratti dallo stile di vita americano e ordinò che venissero pubblicate unicamente storie con protagonisti italiani e con le didascalie (nuovamente!) al posto dei balloon.

 



 

Furono create molte nuove serie, ma i lettori continuarono a preferire le strisce americane. Gli editori cercarono di aggirare l'ostacolo della censura "italianizzando" o "germanizzando" (nel caso di Tarzan, che divenne Sigfrido), i titoli delle serie americane.
Quando le scorte di strisce originali furono esaurite, autori italiani crearono nuovi episodi dei personaggi più popolari (con i loro nuovi nomi italici). Tutto il materiale americano scomparve dalle edicole e non vi ritornò fino alla fine delle ostilità. L'ultimo personaggio a essere proibito fu Topolino, particolarmente amato dai figli di Mussolini.

 

Fonte: http://scuolamonteverdi.scuolanovaroferrucci.com/Sito%20monteverdi/Didattica/Arte%20e%20imamgine/Temi/Arte%20e%20fascismo.doc

Sito web da visitare: http://scuolamonteverdi.scuolanovaroferrucci.com

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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Futurismo legami con il fascismo e Marinetti