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VERSO IL SECOLO DEI LUMI, I CARATTERI DEL SETTECENTO
Il termine "rococò" ha una connotazione dispregiativa: deriva dal francese rocaille, parola usata per indicare le pietre e le rocce utilizzate nei giardini come abbellimento. Il rococò nasce in Francia all'inizio del XVIII secolo.
Caratterizzato da grazia, gioiosità e lucentezza si poneva in netto contrasto con la pesantezza e i colori più cupi adottati dal precedente periodo barocco. I motivi Rococò cercano di riprodurre il sentimento tipico della vita aristocratica libera da preoccupazioni o del romanzo leggero piuttosto che le battaglie eroiche o le figure religiose.
Rococò sembra essere una combinazione della parola francese rocaille (conchiglia, guscio) e della parola italiana barocco. Siccome questo stile ama le curve naturali come quelle presenti nelle conchiglie e si specializza nelle arti decorative, alcuni critici tendevano erroneamente a ritenerlo frivolo e legato alla moda.
In Francia questa tendenza è anticipata nella Reggia di Versailles e distingue la frivolezza e la mondanità della pittura e degli apparati decorativi (basati maggiormente su stucchi, specchi, affreschi disposti senza una ricerca simmetrica e secondo il gusto della grazia e dell’eleganza). Parigi vanta la presenza di Sebastiano Ricci. In Inghilterra il tragico incendio di Londra del 1666 impone una riedificazione affidata all’architetto Christopher Wren; a questo spetta la celebre Cattedrale di St. Paul. Si registrano anche i soggiorni inglesi prima di Sebastiano Ricci e poi di Canaletto. In Spagna lavora e finisce i propri giorni Giovanbattista Tiepolo,dopo che un altro artista italiano, Filippo Juvara si era proposto come architetto per il Palazzo Reale. Vienna come Monaco, Dresda e Varsavia sarà ritratta del vedutista Bernardo Bellotto. In sostanza la scena internazionale diventa assai mutevole; per la società europea si aprono nuove prospettive.
Nei primi anni del 700 si assiste anche alla perdita di ruolo dell’Italia nell’ambito del commercio europeo; gli unici centri interessati allo sviluppo sono Torino e Napoli. La situazione artistica si dimostra ancora abbastanza vitale; alcune personalità come Ricci e Juvara contribuiscono ad avviare quel gusto per le grandi decorazioni, d’interni e architettoniche. La dimensione internazionale di Tiepolo o di Canaletto rispecchiano il prestigio di cui gode ancora la tradizione artistica italiana. Dal punto di vista letterario, il secolo si apre sotto l’insegna dell’Arcadia, la più famosa Accademia dell’epoca a cui prendono parte quasi tutti i letterati italiani del 700.
FILIPPO JUVARA
Filippo Juvara noto anche come Filippo Juvarra (Messina, 1678 – Madrid, 1736) fu allievo a Roma nel 1703 di Carlo Fontana, studiò e disegnò le architetture antiche ma anche quelle di Michelangelo, Bernini, Borromini. Juvarra faticò a trovarsi grandi commissioni a Roma; ai primi anni romani è databile infatti solo la piccola Cappella Antamoro nella chiesa di San Gerolamo , dimostrando una piena comprensione del vocabolario barocco, inserendo nel piccolo ambiente rettangolare una volta a baldacchino. Nel 1714 Juvarra era divenuto l'architetto di fiducia di Vittorio Amedeo II di Savoia, che per un breve periodo aveva ottenuto anche la corona di re di Sicilia e che lo richiamò a Messina per progetti non eseguiti. Il re a Torino impiegò Juvara in un grandioso progetto di riqualificazione urbana per la capitale del nuovo regno. Moltissime furono le opere di quegli anni; tra quelle di architettura religiosa si segnalano la facciata della Chiesa di S. Cristina(ispirata alla romana S. Marcello al Corso, di Carlo Fontana; 1715),i progetti per il Castello di Rivoli, la Basilica di Superga, uno dei suoi capolavori (costruita sulla collina nella zona est di Torino a circa 700 metri di altezza ed è visibile praticamente da qualsiasi punto della città), le Chiese di S. Filippo Neri e del Carmine, il completamento della facciata di Palazzo Madama, e una serie di grandiosi progetti, a pianta centrale e longitudinale, per una nuova cattedrale di Torino.
Il progetto più importante realizzato fra il 1729 e il 1733 è la Palazzina di caccia di Stupinigi
Nel 1735 il re di Spagna Filippo V richiese un progetto di Juvara per il nuovo Palazzo Reale di Madrid. L'architetto siciliano si trasferì quindi nella capitale spagnola, dove progettò un monumentale e grandioso edificio ispirato ancora una volta alla reggia di Versailles. Anche questa volta il progetto juvarriano fu realizzato solo dopo la morte dell'architetto, dal suo assistente Giovanni Battista Sacchetti. In Spagna Juvara aveva anche fornito numerosi disegni per la costruzione del Palazzo Reale della Granja a San Idelfonso, sempre nei pressi di Madrid.
LA PALAZZINA di CACCIA di STUPINIGI
La pianta è a quattro bracci a croce di Sant’Andrea. Bellissimo il giardino e affascinante il lungo viale che conduce alla palazzina, arrivando dal centro cittadino di Torino, fiancheggiato da cascine e scuderie.
Il nucleo centrale è costituito da un grande salone centrale di pianta ovale da cui partono quattro bracci più bassi a formare una croce di Sant'Andrea. Nei bracci sono situati gli appartamenti reali e quelli per gli ospiti(come il salone da gioco, il gabinetto cinese, e la sala delle prospettive, con funzione di svago e intrattenimento. Il cuore della costruzione è il grande salone a base ellittica a doppia altezza dotato di balconate ad andamento "concavo-convesso", sormontato dalla statua del "Cervo.
La costruzione si protende anteriormente racchiudendo un vasto cortile ottagonale, su cui si affacciano gli edifici di servizio.
Il complesso è inserito all'interno di un vastissimo giardino geometrico con un continuo succedersi di aiuole e viali
LUIGI VANVITELLI
Luigi Vanvitelli(1700-1773) è il figlio di van Wittel(vedutista olandese), che gli impartisce la prima formazione come pittore, a Roma. Qui conosce direttamente Filippo Juvara e importante è il sodalizio con Nicola Salvi, con il quale lavora alla ristrutturazione di Palazzo Chigi Odescalchi. Il papa Clemente XII gli affida importanti commissioni nella città di Ancona. La serie di costruzioni a Napoli evidenziano la ripresa del vocabolario architettonico tipico del Barocco romano. Nell’Acquedotto Carolino privilegia infatti la funzionalità rispetto al dato puramente estetico. Anche nel Foro Carolino combina elementi desunti dal Barocco romano: la forma semicircolare presuppone un inserimento graduale nel tessuto cittadino paragonabile, in scala minore, all’ideale abbraccio del colonnato di San Pietro. L’adozione di un ordine architettonico gigante richiama i principi architettonici michelangioleschi e di Bramante.. Il maggiore impegno fu speso per Carlo III di Borbone: nel 1751 iniziò la sua opera maggiore, la Reggia di Caserta con la funzione non solo di residenza suburbana dei sovrani, ma anche di sede degli uffici amministrativi del Regno.
LA REGGIA DI CASERTA
Vanvitelli progetta della Reggia gli interni, arredi e decorazioni, ma anche il vasto parco, completato con fontane e gruppi scultorei. Il palazzo è come un enorme blocco suddiviso ortogonalmente, in modo da formare quattro ampi cortili. La facciata che gioca sul contrasto tra il cotto e il travertino si presenta come le monumentali costruzioni francesi di Versailles e del Louvre. L’intera costruzione è organizzata sull’asse longitudinale che idealmente collega la Reggia a Napoli, tramite il viale principale del parco e il corpo mediano del palazzo, nel centro del quale è collocato un ampio vestibolo ottagonale, dove si diparte una scenografica scalinata. La Reggia presenta alcuni elementi tipici dell’architettura barocca, come il piazzale ellittico di fronte al palazzo e il viale di accesso. È forte il legame tra l’edificio e il parco, segnato dalla lunga veduta prospettica che si gode dal palazzo. L’acqua discende entro una sequenza di fontane e cascate, animate da raffinati gruppi di statue a tema mitologico. All’interno della vasca principale viene pensato il gruppo scultoreo raffigurante Diana e Atteone. Il tutto restituisce un forte senso scenografico, dove sculture e ambiente si fondono per creare un effetto di profonda suggestione nello spettatore.
GIAMBATTISTA TIEPOLO
Giambattista Tiepolo nasce a Venezia(1696) Della tradizione veneziana apprende, oltre che i primi rudimenti, il gusto per il grandioso e teatrale nelle composizioni. Si dirige verso la cosiddetta pittura “tenebrosa”(per la spiccata propensione verso ambientazioni cupe), verso Giambattista Piazzetta,e verso Crespi. Ne è una prova Il Sacrificio d’Isacco. Giambattista dimostra una scioltezza pittorica che lo accompagnerà per tutta la successiva produzione, garantendogli un’estrema rapidità esecutiva e perciò la possibilità di realizzare opere a ritmo serrato. Nelle opere degli Anni Venti si incontra una dominante luminosa chiara che, unita alla prontezza pittorica, segneranno,nell’evoluzione dell’artista, il superamento dei modi drammatici e realistici di Piazzetta ed inaugureranno la grande stagione più tipicamente Rocaille di Tiepolo.
Nel 1726 è a Udine esegue affreschi ; lavora al Palazzo patriarcale su commissione di Dioniso Dolfin, patriarca di Aquileia. Fra questi lavori c’è Rachele Nasconde gli Idoli che mostra appunto l’evoluzione del pittore: spariscono le intonazioni tetre e cariche di pathos e vengono invece presentati colori vivaci e brillanti, articolati su componenti chiare, si nota un palese recupero dei modi veronesi ani attraverso la lezione Ricci. Le figure sono di materia quasi trasparente e popolano scene dal tono fantastico
Nel 1730 viene chiamato a Milano, dove realizza gli affreschi di cinque soffitti a Palazzo Archinto e nel 1731 a Palazzo Dugnani (già Casati) dipingendo il soffitto del salone
Giambattista ha stretto un sodalizio artistico con il quadraturista Gerolamo Mengozzi detto Colonna
Tra il 1746 e il 1747 esegue il complesso decorativo di Palazzo Labia a Venezia nel salone da ballo affresca le Storie di Antonio e Cleopatra, con la quadratura di Gerolamo Mengozzi Colonna, che si integra perfettamente con gli episodi narrativi, dove personaggi sontuosamente vestiti assumono pose teatralmente eloquenti.
Il 12 dicembre 1750, chiamato dal principe vescovo Karl Philipp von Greiffenklau, si reca a Würzburg, per decorarne la Residenza del principe vescovo; qui esegue la decorazione della Kaisersaal, allora la sala da pranzo, con le Storie di Federico Barbarossa, dove il programma iconografico deriva dal fatto che fu proprio il Barbarossa a investire il primo principe vescovo di Würzburg: Aroldo. Lo spazio della visione è concepito come inesorabilmente lontano e il mondo delle rappresentazione risulta così fittizio, illusorio, al contrario di quello che avveniva nell'estetica Barocca, dove lo spazio, anche se infinito, manteneva un certo grado di realtà.
Nel 1757 acquista una villa a Zianigo e realizza la decorazione di Villa Valmarana presso Vicenza decorando nel corpo principale la sala centrale detta di Ifigenia e i quattro ambienti attigui detti Sala dell’Iliade, della Gerusalemme liberata, dell’Eneide e dell’Orlando Furioso
Il 30 settembre 1759 consegna la pala per il Duomo di Este con Santa Tecla che libera Este dalla peste.
L'epilogo: Madrid [modifica]
Nel 1761 Carlo III di Spagna chiama Tiepolo a Madrid per decorare con affreschi le sale del nuovo Palazzo Reale. Il pittore, partito il 31 marzo 1762, giunge a Madrid il 4 giugno lavora ai soffitti di tre sale: l'Apoteosi della Spagna nella vasta Sala del Trono,
Giovan Battista Tiepolo muore nel 1770 a Madrid
LA RESIDENZA di WURZBURG in BAVIERA per il PRINCIPE VESCOVO CARLO FILIPPO VON GREIFFANKLAU
L'edificio ha una pianta grosso modo rettangolare, lunga 167 metri e larga 97, entro la quale si imposta la grandiosa scala centrale che ruota a 180 gradi su 2 bracci paralleli. Il piano superiore si articola di sale disposte attorno al Kaisersaal(sala da pranzo) di forma ottagonale. In più di 700 mq di superficie(il più grande affresco del mondo) con l’aiuto dei figli Tiepolo affresca l’Olimpo e i Quattro continenti una delle opere più grandiose del Rococò europeo. L'intera struttura è formata da 400 stanze. Nell'ala sud-occidentale della Residenz si trova la Hofkirche, una vera e propria chiesa costruita in stile barocco con stucchi e pulpito di artisti italiani. All'esterno dell'edificio si trova un enorme giardino, chiamato Hofgarten, anch'esso progettato secondo i dettami del XVIII secolo.
VEDUTISMO: ANTONIO CANALETTO E FRANCESCO GUARDI
Per Vedutismo si intende la pittura che, con assoluta verità topografica e con un forte grado di aderenza al vero, registra scorci urbani. Questo fenomeno inizia in Italia sul finire del 600, soprattutto per opera di pittori stranieri, fra cui si distingue van Wittel. Si diffuse particolarmente a Venezia per una serie di fattori(sociali, di mercato e turistici) che si univano alla forte suggestione del suo panorama. Della città veneta veniva rappresentata la sua straordinaria bellezza e il fasto delle cerimonie che venivano celebrate. Il Vedutismo richiedeva competenze scenografiche e quadraturistiche, e infatti gli artisti che si cimentano nella pittura di veduta furono pochi e puntarono la propria attenzione sulle città che presentavano scorci urbani di grande suggestione.
Fra i Pittori attivi nella Repubblica veneziana si distinguono:Canaletto e Francesco Guardi
L’esponente più noto del Vedutismo veneziano è Antonio Canal detto Canaletto(1697-1768). Fece il suo apprendistato con il padre ed il fratello e cominciò la sua carriera come pittore di scene per il teatro, attività che era stata l'occupazione del padre. Canaletto fu ispirato dal vedutista romano Giovanni Paolo Pannini e incominciò a dipingere nel suo famoso stile topografico dopo una visita a Roma nel 1719. Negli Anni Venti del 700 realizza una serie di tavole con Venezia come soggetto puntando l’attenzione anche sugli scorci meno consueti come nel Laboratorio dei marmi a San Vidal. Altre 2 opere vedutiste risalgono alla seconda metà degli Anni Trenta raffiguranti La regata in Canal Grande e la Veduta del bacino di San Marco verso est. I toni che usa sono estremamente limpidi, ogni dettaglio viene definito mediante una pennellata fluida, che segue con precisione l’asciuttezza tecnica del disegno. Si serve della camera ottica, uno strumento che, facendo passare all'interno la luce, mediante un piccolo foro, permetteva di proiettare l'immagine reale sulla superficie opposta, raddrizzata e resa nitida con lenti e specchi, veniva riflessa su uno schermo, dove il pittore poteva ricalcarla. Anche se usa questo strumento, le sue vedute non sono semplici rappresentazioni della realtà del suo tempo, egli riesce a rappresentare la bellezza, lo splendore e l'atmosfera della città, quando è animata da tante o da poche persone, nei momenti di festa o nel quotidiano. Il pittore usa tocchi che sintetizzano le forme degli uomini e il moto ondoso delle acque attraverso le macchie di colore e soprattutto attraverso la luce.
Molti dei suoi quadri erano venduti agli inglesi durante il loro Grand Tour, tra i più noti il mercante Joseph Smith. Fu lo stesso Smith a fare da agente per Canaletto,invitandolo a dipingere le vedute del paesaggio inglese.
Dalla sua arte presero spunto pittori come Guardi o Marieschi
Francesco Guardi di origine trentina apprende il mestiere di pittore dalla famiglia e soprattutto dal fratello Giovanni Antonio. Si dedica alla pittura elaborando uno stile dal tocco vivacissimo ed estremamente vibrante. I suoi temi preferiti sono le vedute su Venezia come la Veduta della Piazzetta, ma mentre Canaletto rappresenta la città nel suo splendore, con una visione cristallina e luminosa, Guardi osserva i luoghi prediligendo l'uso della memoria, piuttosto che quello della camera ottica. Egli fa parte del filone del capriccio, osserva la realtà e la e la rappresenta in chiave personale, intima e quasi sognata. Vede Venezia non nella sua gloria e nella sua bellezza, ma ne sottolinea la decadenza, si legge una forte nostalgia nelle opere del Guardi, un rimpianto per la grandezza passata (solo dopo pochi anni dalla morte del pittore, Venezia verrà ceduta da Napoleone all'Austria). I colori sono più tenui, le luci sempre molto sfuocate, si vede molto di più la tecnica a macchie, le forme si sfaldano.
DALLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE alla RIVOLUZIONE FRANCESE, l’ILLUMINISMO ed il NEOCLASSICISMO
Ciò che contraddistingue lo stile artistico di quegli anni fu l’adesione ai princìpi dell’arte classica. Quei principi di armonia, equilibrio, proporzione, che erano presenti nell’arte degli antichi greci e degli antichi romani. Arte che fu riscoperta e ristudiata con maggior attenzione e interesse, grazie alle numerose scoperte archeologiche.
I caratteri principali del Neoclassicismo sono diversi:
1)esprime il rifiuto dell’arte barocca e della sua eccessiva irregolarità;
2)fu un movimento teorico, grazie soprattutto al Winckelmann che teorizzò il ritorno al principio classico del «bello ideale»;
3)fu una riscoperta dei valori etici della romanità, soprattutto in David e negli intellettuali della Rivoluzione Francese;
4)fu un vasto movimento di gusto che finì per riempire con i suoi segni anche gli oggetti d’uso e d’arredamento.
I principali protagonisti del neoclassicismo furono il pittore Anton Raphael Mengs (1728-1779), lo storico dell’arte Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), che furono anche i teorici del Neoclassicismo,tra gli scultori Antonio Canova (1757-1822). Winckelmann, Mengs, Canova, operarono tutti a Roma, che diventò, nella seconda metà del Settecento, la capitale incontrastata del Neoclassicismo, il baricentro dal quale questo nuovo gusto si irradiò per tutta Europa.
L’Italia nel Settecento fu la destinazione obbligata di quel «Grand Tour» che rappresentava, per la nobiltà e gli intellettuali europei, una fondamentale esperienza di formazione del gusto e dell’estetica artistica. Roma, in particolare, diventò la città dove avveniva l’educazione artistica di intere generazioni di pittori e scultori. Dalla fine del Settecento, la nuova capitale del Neoclassicismo non fu più Roma, ma Parigi.
Uno dei motivi di questo rinato interesse per il mondo antico furono le scoperte archeologiche che segnarono tutto il XVIII secolo. In questo secolo furono scoperte prima Ercolano, poi Pompei, infine giunsero dalla Grecia numerosi reperti archeologici che finirono nei principali musei europei: a Londra, Parigi, Monaco. Questa opera di divulgazione fu importante sia per la conoscenza della storia dell’arte sia per il diffondersi dell’estetica del Neoclassicismo.
Il Neoclassicismo nacque come desiderio di un'arte più semplice e pura rispetto a quella barocca, vista come eccessivamente fantasiosa e complicata. Il Neoclassicismo vuole essere semplice, genuino, razionale. Il Barocco propone l’immagine delle cose che può anche nascondere, nella sua bellezza esterna, le brutture interiori; il neoclassicismo non si accontenta della sola bellezza esteriore, vuole che questa corrisponda ad una razionalità interiore.
Il Barocco perseguiva effetti fantasiosi e bizzarri, il Neoclassicismo cerca l’equilibrio e la simmetria; se il barocco si affidava all'immaginazione e all’estro, il neoclassicismo si affida alle norme e alle regole. Il principio del razionalismo è una componente fondamentale nel Neoclassicismo. È da ricordare che il Settecento è stato il secolo dell’Illuminismo. Di una corrente filosofica che cerca di «illuminare» la mente degli uomini per liberarli dalle tenebre dell’ignoranza, della superstizione, dell’oscurantismo, attraverso la conoscenza e la scienza.
Winckelmann nel 1755 pubblicava le Considerazioni sull’imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura, nel 1763 pubblicava la Storia dell’arte nell’antichità. In questi scritti egli affermava il primato dello stile classico (soprattutto greco che lui idealizzava al di là della realtà storica), quale mezzo per ottenere la bellezza «ideale» contraddistinta da «nobile semplicità e calma grandezza». Winckelmann considerava l’arte come espressione di «un’idea concepita senza il soccorso dei sensi». Un’arte tutta cerebrale e razionale, purificata dalle passioni e fondata su canoni di bellezza astratta.
La scultura, più di ogni altra arte, sembrò adatta a far rivivere la classicità. Le maggiori testimonianze artistiche dell’antichità sono infatti sculture. E nella scultura neoclassica si avverte il legame più diretto ed immediato con l’idea di bellezza classica. I caratteri della scultura neoclassica sono la perfezione di esecuzione, l'estrema levigatezza del modellato, la composizione molto equilibrata e simmetrica, senza scatti dinamici. La pittura neoclassica si riaffidò agli strumenti del naturalismo rinascimentale: costruzione prospettica, volume risaltato con il chiaroscuro, la precisione del disegno, immagini nitide senza giochi di luce a effetto, la mancanza di tonalismi sensuali. I soggetti delle opere d’arte neoclassiche diventarono personaggi e situazioni tratte dall’antichità classica e dalla mitologia.
ANTONIO CANOVA (Possagno 1757 – Venezia 1822)
Maggiore scultore europeo dell'età neoclassica . Nasce a Possagno e riceve la sua prima formazione ad Asolo presso lo scultore Giuseppe Bernardi e a Venezia dove frequenta i corsi di nudo all’Accademia. Le sue caratteristiche sono la sensibilità per la morbidezza, l'amore per la natura e il suo superamento in valore ideale, trasformandola in bellezza. Le sue prime opere come Dedalo e Icaro denunciano anche i legami con la scultura barocca e si riscontra la ricerca del naturalismo e dell'idealizzazione, soprattutto nel modo straordinario in cui scolpisce l'anatomia dei corpi. Canova inizia ad avere un incontro con l’antico dal 1779, quando si trasferisce a Roma ed entra in rapporto con gli artisti veneti e con esponenti di punta della cultura neoclassica. Ne derivò una più precisa riflessione sulla classicità, evidente nel gruppo Teseo e il Minotauro(1781-1783). Il fatto è che Canova non aveva scelto la via dell’impegno politico diretto, ma quella dell’arte come valore autonomo, come supremo equilibrio di bellezza e di proporzione, come unico ideale da difendere contro ogni tentativo di ingerenza. A Roma ricevette importanti commissioni a partire da quella per la Tomba di Clemente XIV per la chiesa dei Santi Apostoli. Il modello, il monumento funebre beniniano, è decisamente superato, perché all’animazione barocca si sostituisce una partizione rigorosa degli elementi e perché sono esclusi gli effetti pittoreschi dei marmi policromi e il tumulto dei panneggi. Ancora più impegnativa è la commissione per il Monumento a Clemente XIII in San Pietro per il quale Canova approfondisce il tema tipicamente neoclassico, della morte come sonno, sulla base di una grandiosità e di una “calma” che caratterizza ogni elemento dell’opera. La leggerezza delle sue opere è un altro polo della poetica canoviana. Poi c’è anche il gruppo di Amore e Psiche(1788-1793) ispirato alla favola di Apuleio. Nel nuovo secolo le prospettive cambiarono per Canova , lavoro molto per Napoleone realizzando ritratti come Primo Console Bonaparte o Paolina Borghese, la sorella di Napoleone. Lo scultore italiano grazie al suo prestigio che aveva conseguito poteva lavorare per la corte asburgica nei medesimi anni, la quale gli commissionò il Monumento funerario di Maria Cristina di Sassonia-Teschen(1798-1805). Altri sepolcri furono i Monumenti a due cari amici come Giovanni Falier e Giovanni Volpato nella chiesa dei Santi Apostoli a Roma, e quella per l’Alfieri in Santa Croce a Firenze. Il bisogno di sottrarsi all’azione devastatrice del tempo con la celebrazione dei valori dell’arte spiega l’importanza che assume, nella prospettiva Canoviana, la costruzione di un Tempio nel suo paese natale, Possagno eretto tra il 1819 e il 1833 in collaborazione con Giovanni Antonio Selva.
AMORE E PSICHE
Psiche viene sottoposta nella favola contenuta nell’Asino D’oro di Apuleio in un viaggio nell’Ade dove Proserpina le consegna un vasetto da tenere chiuso. Spinta dalla curiosità lo apre e cade svenuta impietosendo Amore(Cupido) che si reca da lei, la ridesta pungendola con una delle sue saette e la bacia teneramente. Canova sensibile al tema di questa favola mitologica, rappresenta il momento in cui Amore si appresta a baciare la fanciulla sfiorando con sottile erotismo il suo corpo, immergendo lo sguardo negli occhi di lei. L’idea compositiva venne all’artista da un dipinto di Ercolano con Fauno e Baccante.
Il gruppo marmoreo è fondato su una serie di geometrie compositive che si colgono esclusivamente attraverso la visione frontale. L’arco formato dal corpo di Psiche e da un’ala del dio si interseca con quello formato dalla gamba destra di Cupido e dall’altra sua ala, e due cerchi intrecciati, seguendo il movimento delle braccia dei due amanti, segnano il centro della composizione, la quale peraltro può essere vista, da un altro punto di vista, come una sorta di X resa dalle ali e dalla gamba destra di Cupido, e dal corpo di Psiche. Il gioco delle rispondenza consente diverse possibili letture, che aumentano ancora quando si gira attorno all’opera, o ci si sofferma su aspetti particolari, e allora si colgono nuovi punti di vista, sorprendenti morbidezze e finezze. Indubbiamente il gruppo di Amore e Psiche è una celebrazione dell’amore ben rispondente agli ideali neoclassici secondo cui la bellezza deve essere pura, non turbata dalla passionalità. L’opera è anche una rappresentazione idilliaca della giovinezza nella sua innocenza; ed è anche un simbolo dell’amore-morte di quel legame misterioso tra eros e thanatos, per cui nella confidenza totale dell’abbraccio è dato presentire qualcosa dell’annullamento finale.
EBE
Canova studiava motivi di figure femminili in movimento. Nel primo decennio del nuovo secolo (1800) scolpí una serie di marmi in ritmi molteplici dello stesso motivo con varie danzatrici, da quella con le mani sui fianchi, a quella col dito sul mento, ma dal 1796 aveva modellato un'elegante e lieve immagine di Ebe che suscitò enormi entusiasmi tanto che lo scultore dovette replicarla più volte: nel 1801 per lord Cawdor, nel 1814 per l'imperatrice Giuseppina, nel 1816 per Veronica Guerrini di Forlí.
Nell'opera qui citata possiamo notare il movimento verso avanti, che viene evidenziato dal drappo che aderisce al corpo della Dea. La figura suscitò molto scandalo per la cultura di quegli anni, lo scultore dovette presto giustificare l'abbigliamento del soggetto dicendo di averlo desunto da vasi greci e dipinti ercolanesi. Aldilà di tutti gli ostacoli che incontrò nella realizzazione delle sue opere fu sempre dichiarato dei critici del tempo come "supremo ministro della bellezza".
Quarta versione di Ebe, coppiera degli Dei, figlia di Zeus e Era, regge una coppa ed un'anfora di bronzo dorato; la collana dorata sul petto che viene ad isolare il busto dal collo con una lieve differenza di livello, il cinto che stringe il drappo alla vita. Questi inserti non incontrarono un'approvazione unanime. In questa versione Canova introdusse un elemento nuovo ed inatteso: la policromia a colori tenui e sfumati. Infatti, possiamo notare che il marmo fu colorato con una patina giallastra e tocchi di rosso sulle labbra e sulle guance. Ma sotto il periodo napoleonico Canova non avrá mai l'uguale nella cronaca delle arti: si dirá di lui che "il divino Michelangelo e il prodigioso Bernini, al confronto, sembrerebbero dei debuttanti".
PAOLINA BORGHESE
Questo blocco scultoreo esprime gli ideali canoviani nel rispetto delle teorie winckelmanniane; l'amore per la natura subisce una sublimazione, un superamento negli ideali così da esser tramutato in bellezza. Il marmo della sorella di Napoleone presenta un rigore chiaramente dettato dalla necessità di oggettivare le forme, di ritrovare la trasparenza in contrasto con gli eccessi e la complessa ridondanza propria del barocco. La rigidità viene però smorzata dalla naturale morbidezza con cui sono rappresentati i drappeggi e il triclinio, abilità che Canova apprende grazie ai numerosi studi in gesso e in terracotta finalizzati ad una elevatissima conoscenza del nudo umano. L'artista riprende la tradizione dell'antica Roma, ritraendo un individuo mortale nelle vesti di un dio, o come in questo caso, di una dea. Inoltre la postura della figura femminile adagiata e reclinata su un triclinio è quella tipica utilizzata per ritrarre gli ermafroditi.
I nudi artistici non erano comuni, hanno infatti dei drappi che strategicamente coprono diversi punti del corpo. È materia di dibattito se Paolina Borghese abbia posato veramente nuda per la scultura, dato che soltanto il volto è realistico, anche se in parte idealizzato, mentre la parte superiore del corpo ricalca esattamente i canoni di bellezza neoclassici.
La scultura presenta una sfaccettatura mitologica: Paolina in mano tiene una mela, evocando la vittoria di Afrodite nel Giudizio di Paride:riprende infatti il momento decisivo in cui fu chiesto a Paride di esprimere un giudizio in riferimento alla bellezza,dovendo scegliere a chi attribuirlo tra tre dee: Era, Atena e Afrodite. Il premio consisteva in un pomo d'oro presentante un incisione sulla superficie: "Alla più bella"; Paride scelse la dea dell'amore. La scelta del Canova di posizionare quel pomo nella mano della donna pone la scultura stessa all'apice dell'espressione della bellezza naturale femminile.
La base di legno, drappeggiata come un catafalco, originariamente conteneva un meccanismo che consentiva alla scultura di ruotare, come per gli altri lavori di Canova. I ruoli dello spettatore e dell'opera erano quindi rovesciati; era la scultura che ruotava, permettendo allo spettatore di osservarla da ogni angolo stando fermo.
In passato, si poteva ammirare la scultura a luce di candela; la sua superficie lucida non era dovuta soltanto alla finissima qualità del marmo, ma anche alla patinatura effettuata con la cera. Il recente restauro della statua ha conservato anche questa patinatura.
MONUMENTO FUNEBRE DI MARIA CRISTINA d’AUSTRIA
Canova affronta il tema del sepolcro, offrendone una diversa interpretazione, con un richiamo alla forma più elementare e antica del monumento funebre, la piramide, verso la cui porta si snoda un mesto corteo costituito dalla Pietà che reca l’urna con le ceneri alla defunta, seguita da un gruppo di figure che rappresentano la Beneficenza. Al lato opposto della piramide sta il Genio Del Dolore, che si appoggia al leone della Fortezza mentre sopra la porta il ritratto di Maria Cristina, incorniciato da un serpente che si morde la coda,emblema dell’immortalità, è sorretto dalla figura della Felicità. E’ un monumento in cui la visione classica e quella cristiana della morte si fondono: da una parte il corteo funebre ricorda la virtù romana della Pietas, dall’altra la porta alla quale si dirigono i ploranti allude al mistero della morte, alla vita definitiva verso cui tendono i cristiani. Ma il momento del trapasso non coincide con la speranza ultraterrena bensì rappresenta un passaggio che a seconda delle varie mentalità e delle varie fedi, suscita infinita tristezza, la nostalgia per la luce, la fervida consolazione della “corrispondenza d’amorosi sensi”.
GIUSEPPE PIERMARINI (1734-1808)
Nacque a Foligno nel 1734. A Milano riceve l’incarico di controllare l’assetto architettonico della città, e nelle sue realizzazioni, dai palazzi nobiliari agli edifici di pubblica utilità, si ispirò a un linguaggio neoclassico sobrio e razionale, impeccabile nella distruzione dei pieni e dei vuoti e nelle proporzioni. Fu allievo di Luigi Vanvitelli con il quale lavorò a Roma e a Napoli.
La sua opera più famosa resta il Teatro alla Scala di Milano che fu ripreso come modello nella costruzione di una lunga serie di teatri realizzati a fine 700 e lungo tutto il corso dell’800;degli esempi sono: il Teatro della Fenice a Venezia di Giannantonio Selva o il Teatro San Carlo a Napoli. L’intervento più vistoso per Piermarini fu a Monza dove l’arciduca Ferdinando d’Austria voleva una Villa che potesse reggere i confronti con la Reggia di Versailles o di Schonbrunn.
TEATRO ALLA SCALA di MILANO
Segue lo schema tradizionale con i palchetti e i retrostanti camerini ma si caratterizza poi per la sapiente articolazione degli spazi interni, rispondenti a molteplici funzioni, e per la cura particolare riservata all’acustica della sala, migliorata a mezzo della curvatura particolarmente ribassata del soffitto.
Dal punto di vista architettonico la Scala si rifà al Teatro della Reggia di Caserta, del Vanvitelli, ma divenne immediatamente il modello di riferimento per il "teatro all'Italiana" a cui si ispirarono molti altri teatri.
L'utilizzo degli ordini e delle partiture, in funzione decorativa più che strutturale, sembrava comunque essere alla base della sua ricerca architettonica non solo nel singolo edificio, ma anche sulla scena urbana.
L'elemento unificante per Piermarini sembrava essere quello di ordinare razionalmente le singole parti della conoscenza: ciò si desume anche dall'esame della sua prassi architettonica, come istanza tesa a salvaguardare la razionalità, vale a dire la funzionalità delle proprie costruzioni, ma anche come esigenza di concatenare tutte le fasi della progettazione e della realizzazione
Fonte: http://unitiresistiamo.altervista.org/Arte.doc
Sito web da visitare: http://unitiresistiamo.altervista.org
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