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Fino a qualche centinaio di anni fa, il sistema solare e l'Universo erano equivalenti nella mente degli uomini dotti, dunque la scoperta che la Terra non è il centro del sistema solare fu un passo decisivo nello sviluppo della cosmologia. Inoltre all'inizio del XX secolo Shapley stabilì che il sistema solare si trovava lontano dal centro della Via Lattea. Dunque negli anni '20, la situazione scientifica e culturale era matura per le osservazioni cruciali che avrebbero portato al modello del Big Bang.
Nel 1929 Hubble annunciò che il redshift delle galassie era proporzionale alla loro distanza. Il redshift di una galassia è un indice della sua velocità radiale, e può essere determinato utilizzando uno spettrografo per misurare lo spostamento Doppler. Il grafico seguente mostra i dati di Hubble del 1929
La pendenza della retta che interpola queste misure è ora nota come costante di Hubble H0. Dato che sia i kilometri che i Megaparsec sono unità di distanza, l'unità di misura di H0 è 1/tempo, ed il fattore di conversione è dato da
1/H0 = (978 miliardi di anni)/(H0 in km/s/Mpc)
Per questo motivo, il valore di 464 km/s/Mpc ottenuto da Hubble era equivalente a circa 2 miliardi di anni. Dal momento che tale valore dovrebbe approssimare l'età dell'Universo, e noi sappiamo (era noto anche nel 1929) che l'età della Terra supera i 2 miliardi di anni, il valore di H0 trovato da Hubble portò ad un generale scetticismo nei confronti dei modelli cosmologici, e fornì una motivazione a favore del modello stazionario.
Tuttavia, pubblicazioni successive misero in luce alcuni errori: Hubble aveva confuso due tipi diversi di variabili Cefeidi usate per calibrare le distanze, inoltre aveva considerato come stelle molto luminose regioni HII in galassie lontane. La correzione di questi errori portò ad un ridimensionamento verso il basso del valore della costante di Hubble. Attualmente ci sono principalmente due gruppi scientifici che utilizzano le Cefeidi per determinare H0: l'HST Distance Scale Key Project team (Freedman, Kennicutt, Mould et al) che ha ottenuto il valore di 68÷78 km/s/Mpc, mentre il gruppo di Sandage, che usa anche osservazioni del telescopio spaziale per calibrare supernovae di tipo Ia, ha ottenuto il valore di 57 ± 4 km/s/Mpc.
Altri metodi per determinare la scala di distanza includono il ritardo temporale nelle immagini multiple delle lenti gravitazionali e l'effetto Sunyaev-Zeldovich negli ammassi distanti: entrambi sono indipendenti dalla calibrazione delle Cefeidi e forniscono valori consistenti con la media dei due gruppi che usano HST: 65 ± 8 km/s/Mpc.
Con questo valore di H0, l'età approssimativa dell'Universo 1/H0 è di 15 miliardi di anni.
I dati di Hubble del 1929 erano, dal nostro punto di vista, abbastanza scadenti. Infatti le singole galassie hanno velocità peculiari di diverse centinaia di km/s, e i dati di Hubble arrivavano solo a 1.200 km/s. Ciò ha indotto alcuni a proporre una legge quadratica redshift-distanza, ma i dati illustrati di seguito sulle supernovae di tipo Ia da Riess, Press and Kirshner (1996)
si estendono oltre 30.000 km/s e forniscono una spettacolare conferma della legge di Hubble,
La retta interpolante in questo grafico ha una pendenza di 65 km/s/Mpc.
Come già detto, noi misuriamo la velocità radiale delle galassie usando lo spostamento Doppler. Dato che praticamente tutte le galassie si allontanano e dunque mostrano uno spostamento verso il rosso delle righe spettrali, molto spesso si usa l'espressione redshift. Il redshift z è definito in modo che:
dove lambda è la lunghezza d'onda della riga o della caratteristica dello spettro di un oggetto celeste.
Sappiamo dalla relatività che il redshift è dato da
dunque, ricaviamo v = cz + termini di ordine superiore
Il pedice "0" in H0 (pronunciato "acca zero") indica il valore attuale di una quantità variabile nel tempo. Dal momento che 1/H0 è approssimativamente l'età dell'Universo, il valore di H dipende dal tempo. Un'altra quantità con il pedice zero è t0, l'età dell'Universo.
La legge lineare redshift-distanza trovata da Hubble è compatibile con la visione copernicana dell'Universo: la nostra collocazione non è speciale. Innanzitutto nota che la velocità di allontanamento è una quantità simmetrica: se A vede B allontanarsi, allora B vede A allontanarsi, come illustra questo disegno
basato su uno schizzo di Bob Kirshner. Poi considera il seguente diagramma spazio-temporale che mostra numerose galassie vicine che si allontanano da noi. Il diagramma sopra è rappresentato dal nostro punto di vista costituito dalla galassia A (la linea d'universo blu) in basso dal punto di vista della galassia B (la linea d'universo verde)
I diagrammi sono identici, tranne per il fatto che i nomi delle galassie sono diversi. Invece, la legge quadratica v(sq) = D2 quando si cambia il punto di vista, si trasforma in una legge anisotropa non quadratica, come mostrato di seguito
Per questo motivo, se ammettessimo una relazione quadratica tra velocità e distanza, allora un osservatore in un'altra galassia scoprirebbe una legge di tipo diverso - per di più tale legge cambierebbe al variare della direzione. Dunque B misurerebbe velocità radiali molto più alte nella direzione "piu" rispetto alla direzione "meno". Questo effetto consentirebbe di identificare il "centro dell'Universo" trovando il punto dal quale la relazione redshift-distanza appare la stessa in ogni direzione. Dato che effettivamente noi verifichiamo che è così, o tale relazione è lineare, oppure ci troviamo proprio nel centro dell'Universo, e ciò è decisamente anti-Copernicano.
La legge di Hubble genera una espansione omologa che non cambia la forma degli oggetti, mentre invece altre possibili relazioni velocità-distanza producono distorsioni durante l'espansione.
La legge di Hubble definisce pertanto un sistema di riferimento privilegiato per tutti i punti dell'Universo. Un osservatore in moto con velocità molto maggiore del flusso di Hubble potrebbe misurare dei blueshift in avanti e dei redshift all'indietro, invece che i soliti redshift proporzionali alla distanza in tutte le direzioni. Per questo motivo noi possiamo misurare il nostro moto relativamente al flusso di Hubble, che è anche il nostro moto relativo all'Universo visibile. Un osservatore comovente è a riposo in questo speciale sistema di riferimento. Il nostro sistema solare non è proprio comovente: abbiamo una velocità di 370 km/s relativa all'Universo visibile. Inoltre il Gruppo Locale di galassie, che include la Via Lattea, sembra muoversi alla velocità di 600 km/s relativamente all'Universo visibile.
Hubble ha anche misurato il numero di galassie in diverse direzioni e con diverse luminosità. Egli trovò approssimativamente lo stesso numero di deboli galassie in ogni direzione, anche se c'era un evidente eccesso di galassie luminose nell'emisfero boreale celeste. Quando una distribuzione è la stessa per ogni direzione, si dice isotropa. E quando Hubble cercò galassie con un flusso luminoso più intenso di F/4 egli trovò approssimativamente 8 volte il numero di galassie rilevato quando cercava quelle con flusso più intenso di F. Dato che un flusso luminoso 4 volte più piccolo implica una distanza doppia, e quindi un volume 8 volte maggiore, ciò indica che l'Universo è omogeneo (ha densità uniforme) su larga scala.
La figura qui sopra a sinistra mostra un pattern omogeneo ma non isotropo e a destra uno isotropo ma non omogeneo. Se una figura è isotropa da più di un punto (due, se sferica), allora deve essere anche omogenea.
Ovviamente l'Universo non è completamente isotropo ed omogeneo, poiché contiene regioni dense come la Terra. Ma può esserlo in senso statistico, come questo campo simulato di galassie (24 kb), il quale è omogeneo ed isotropo, una volta trascurati i dettagli fini. Peacock e Dodds (1994, MNRAS, 267, 1020) hanno indagato le fluttuazioni di densità relative nell'Universo vicino in funzione del raggio di un filtro passa-basso, e hanno ricavato questo grafico:
Dunque per regioni più estese di 100 Mpc l'Universo è omogeneo entro qualche punto percentuale. Le Redshift survey di regioni estremamente ampie confermano questa tendenza verso l'omogeneità su larga scala.
La visione di un Universo omogeneo e isotropo ha ricevuto una notevolissima conferma dopo l'annuncio di Penzias e Wilson della scoperta di una radiazione cosmica di fondo (Cosmic Microwave Background abbreviata altrove come CMB) nel 1965. Essi, lavorando ad una antenna per microonde, osservarono un eccesso di flusso alla lunghezza d'onda di 7.5 cm equivalente ad una radiazione di corpo nero con una temperatura di 3.7 ± 1 gradi Kelvin. Numerosi gruppi scientifici hanno misurato l'intensità della CMB a diverse lunghezze d'onda. Attualmente le migliori informazioni sullo spettro della CMB provengono dallo strumento FIRAS a bordo del satellite COBE, e sono illustrate di seguito
La variabile sull'asse x è il numero d'onda ovvero 1/[lunghezza d'onda in cm]. La variabile sull'asse y è la potenza per unità di area per unità di frequenza per unità di angolo solido in in MegaJansky per steradiante. 1 Jansky è 10-26 Watt per metro quadrato per Hertz. Le barre d'errore sono state amplificate di un fattore 400 in modo da risultare visibili, ma i punti sono consistenti con la radiazione emessa da un corpo nero con temperatura di To = 2.725 K.
La temperatura della CMB è quasi la stessa in tutto il cielo. La figura a sinistra mostra una mappa della temperatura in una scala tale che un punto a 0 K è bianco, a 4 K è nero. Al centro la stessa figura con la componente isotropa rimossa ed il contrasto aumentato di 400 volte. Si evidenzia la componente di dipolo dovuta al moto del sistema solare rispetto al flusso di Hubble e l'emissione del piano galattico. A destra la stessa figura, rimossa la componente dipolare e l'emissione galattica, contrasto aumentato di 6667 volte: ora sono visibili le fluttuazioni della CMB
Dunque il cielo visto per mezzo delle microonde è estremamente isotropo. Queste osservazioni sono combinate nel Principio Cosmologico: l'Universo è omogeneo ed isotropo.
Un'altra prova a favore del Big Bang è l'abbondanza degli elementi leggeri, come l'idrogeno, il deuterio, l'elio e il litio. Man mano che l'Universo si espande, i fotoni della CMB perdono energia per effetto del redshift e la CMB diviene più fredda. Ciò implica che la temperatura della CMB era molto più elevata in passato. Quando l'Universo aveva solo alcuni minuti, la temperatura era abbastanza elevata da produrre gli elementi leggeri. La teoria della nucleosintesi del Big Bang predice che circa 1/4 della massa dell'Universo dovrebbe essere costituita da elio, e ciò è effettivamente quanto si osserva. L'abbondanza del deuterio è in proporzione inversa con la densità di nucleoni nell'Universo, e il valore dell'abbondanza misurata di deuterio suggerisce che nell'Universo c'è un solo nucleone ogni 4÷7 metri cubi di spazio.
Affermare che l'Universo è omogeneo significa che ogni proprietà misurabile è la stessa ovunque. Ciò non è vero su scala ridotta, ma è una eccellente approssimazione qualora si faccia una media su regioni molto vaste. Dato che anche l'età dell'Universo è una quantità misurabile, l'omogeneità dell'Universo deve essere definita per una superficie con tempo proprio costante dal Big Bang. Tuttavia la relatività ristretta ci insegna che il tempo proprio misurato da un osservatore dipende dalla sua velocità, dunque dobbiamo specificare che la variabile temporale t nella legge di Hubble è il tempo proprio dal Big Bang per osservatori comoventi.
A patto che le variabili in gioco siano interpretate correttamente, la legge di Hubble (v = HD) è vera per ogni valore di D, anche per quelli che implicano v>c. Si deve però prestare molta attenzione a come si intendono la distanza e la velocità.
La distanza D nella legge di Hubble deve essere definita in modo tale che se A e B sono due galassie lontane che noi vediamo nella stessa direzione, e A e B non sono troppo distanti tra loro, allora la differenza delle distanze da noi, D(A)-D(B), è la distanza che A misurerebbe da B.
Questa misura però dev'essere fatta "ora", dunque A deve misurare la distanza da B allo stesso tempo proprio dal Big Bang che misuriamo noi. Per questo motivo, allo scopo di determinare la distanza D per una galassia remota Z, noi dobbiamo individuare una catena di galassie ABC...XYZ lungo il cammino per Z, con ciascun elemento della catena abbastanza prossimo ai suoi vicini, e poi fare in modo che ciascuna galassia della catena misuri la distanza dalla successiva al tempo to dal Big Bang. La distanza di Z, D(da noi a Z), è la somma di tutti questi sotto-intervalli:
D(da noi a Z) = D(da noi ad A) + D(da A a B) + ... D(da X a Y) + D(da Y a Z)
La velocità nella legge di Hubble è semplicemente la derivata della distanza D rispetto al tempo ed è approssimata dall'espressione v = cz per piccoli redshift ma devia significativamente per valori elevati di z.
Il tempo e la distanza usati nella legge di Hubble non sono come la x e la t usati nella relatività ristretta, e ciò purtroppo a volte determina confusione. Il diagramma spazio-temporale di seguito illustra un modello cosmologico di universo vuoto (ovvero con densità molto prossima a zero) usando la D e la t della legge di Hubble rispettivamente come ascissa e ordinata.
Le linee d'universo degli osservatori comoventi sono decorate con piccoli triangolini che rappresentano il cono di luce del futuro. La curva rossa a forma di pera è il cono di luce del nostro passato. Nota che la curva rossa ha in ogni punto la stessa inclinazione dei piccoli coni di luce.
In questo spazio di variabili, velocità superiori a c sono certamente possibili, e dal momento che gli universi aperti sono spazialmente infiniti, esse sono attualmente riscontrabili. Tuttavia non c'è contraddizione con il principio della relatività ristretta, che impedisce agli oggetti massivi di raggiungere e superare la velocità della luce. Infatti se rappresentiamo lo stesso spazio-tempo nelle coordinate relativistiche x e t (rispettivamente in ascissa e in ordinata) otteniamo:
Le iperboli grigie rappresentano le superfici con tempo proprio costante dal Big Bang (il vertice in basso). Quando noi le schiacciamo per produrre il precedente diagramma spazio-temporale, le linee d'universo delle galassie si appiattiscono, dando velocità v = dD/dt che possono essere maggiori di c. Ma nelle coordinate della relatività ristretta le velocità sono sempre inferiori a c. Possiamo anche vedere che il cono di luce del nostro passato incrocia la linea d'universo di molte galassie remote alla distanza relativistica x = c*to/2. Ma la distanza D in base alla legge di Hubble, che viene misurata ora, di queste galassie distanti è infinita (in questo modello cosmologico).
Mentre la legge di Hubble è in linea di principio misurabile, la necessità di avere degli aiutanti lungo la catena di galassie, fino a quella lontana di cui vogliamo misurare la distanza, la rende piuttosto impraticabile :)
Si possono allora definire altre distanze molto più facili da misurare.
Una di esse è la distanza DA data dalla dimensione angolare, la quale è definita da dove con R intendiamo l'estensione trasversale di un oggetto e "theta" è l'angolo (espresso in radianti) che l'oggetto sottende sulla volta celeste. Il problema principale per la sua determinazione è che gli oggetti celesti, pensa ad esempio ad una galassia, non hanno confini netti, ma sfumano gradualmente nello spazio. Nel modello di universo "vuoto", la x della relatività speciale è uguale alla distanza data dalla dimensione angolare, x = DA.
Un altro importante indicatore di distanza è il flusso luminoso ricevuto da un oggetto, che definisce dunque la distanza di luminosità attraverso
Il flusso si misura mediante un fotometro, mentre la luminosità L deve essere in qualche modo nota a priori.
Gli oggetti celesti dei quali si conosce la luminosità sono detti candele standard. Fra le candele più importanti annoveriamo le stelle variabili Cefeidi, che presentano una stretta relazione tra periodo e luminosità, e le supernovae di tipo Ia, che hanno la stessa luminosità di picco durante l'esplosione.
Una quarta distanza è quella basata sul tempo di volo della luce: DT = c*(to-tem). Chi dice che la più grande distanza visibile è c*to sta proprio usando questa accezione. Tuttavia la grandezza DT non è molto utile perché è difficile conoscere tem, ovvero l'età dell'Universo nell'istante di emissione della luce che ora stiamo ricevendo.
Ed infine, il redshift è un importantissimo indicatore di distanza, dal momento che gli astronomi lo possono msurare facilmente, invece la dimensione o la luminosità necessarie per calcolare DA o DL sono sempre abbastanza difficili da stimare.
La curva che mette in relazione un indicatore di distanza rispetto agli altri dipende dal modello cosmologico adottato. Il grafico del redshift in funzione della distanza per le supernovae di tipo Ia mostrato precedentemente è realmente un diagramma di cz in funzione di DL, dal momento che i flussi luminosi sono stati utilizzati per determinare la distanza delle supernovae. Questi dati chiaramente escludono i modelli che non predicono una relazione lineare tra cz e DL, per piccoli cz. L'estensione di queste osservazioni alle supernovae remote hanno iniziato a rivelarci qualcosa sulla curvatura del grafico di cz in funzione di DL.
L'accordo perfetto tra la CMB e la radiazione di corpo nero ci sonsente di determinare la relazione tra DA e DL (ovvero tra la distanza data dall'estensione angolare e quella data dal flusso luminoso).
Dato che la CMB si è prodotta a grandissima distanza ma appare ancora come un corpo nero, un corpo nero distante deve continuare ad assomigliare ad un corpo nero (anche se la temperatura cambia per effetto dell'espansione). La luminosità del corpo nero è
L = 4*pi*R2*sigma*Tem4
dove R è il raggio, Tem è la temperatura del corpo nero emittente, sigma è la costante di Stephan-Boltzmann. Vista al redshift z, la temperatura osservata sarà
Tobs = Tem/(1+z)
ed il flusso luminoso sarà
F = theta2*sigma*Tobs4
dove il raggio angolare è legato a quello fisico da
theta = R/DA
Combinando queste equazioni abbiamo
DL2 = L/(4*pi*F)
= (4*pi*R2*sigma*Tem4)/(4*pi*theta2*sigma*Tobs4)
= DA2*(1+z)4
ovvero
DL = DA*(1+z)2
I modelli che non prevedono questa relazione tra DA e DL, come ad esempio il modello cronometrico o quello della luce affaticata, sono esclusi in base alle proprietà della CMB.
Ecco un calcolatore Javascript che riceve in input H0, OmegaM, la costante cosmologica lambda normalizzata, il redshift z e fornisce in output tutte queste distanze.
Dato che in base alla legge di Hubble (v=HD) la velocità, ovvero dD/dt, è strettamente proporzionale a D, la distanza tra ciascuna coppia di osservatori comoventi cresce di un fattore durante lo stesso intervallo di tempo dt. Ciò significa che noi possiamo esprimere la distanza da ogni osservatore comovente come
DG(t) = a(t) * DG(to)
dove DG(to) è la distanza dalla galassia G ora, mentre a(t) è il fattore di scala universale che si applica a tutti gli oggetti comoventi. Dalla sua stessa definizione vediamo che a(to) = 1.
Possiamo calcolare la dinamica dell'Universo considerando un oggetto la cui distanza è R = D(t) = a(t) Do.
Questa distanza e la velocità corrispondente dD/dt sono misurate rispetto a noi che siamo al centro del sistema di riferimento (la galassia rossa). L'accelerazione gravitazionale dovuta alla sfera di materia di raggio D(t) è
Rho(t) è la densità di materia che dipende solo dal tempo poiché l'Universo è omogeneo. La massa contenuta entro D(t) è indipendente dal tempo per il fatto che la materia all'interno ha una velocità di espansione più bassa (e dunque non esce dalla sfera) mentre la materia all'esterno ha velocità di espansione maggiore (e dunque rimane all'esterno).
Ricordando il teorema di Gauss, l'effetto gravitazionale della materia all'esterno della sfera non conta, l'accelerazione gravitazionale all'interno della sfera è zero, e tutta la materia dell'Universo la cui distanza da noi è superiore a D(t) può essere schematizzata con gusci concentrici. Con una massa interna a D(t) costante che produce una accelerazione sul bordo, il problema si riduce a quello di un oggetto puntiforme (la galassia blu) che si muove radialmente in un campo gravitazionale. Se la velocità è inferiore alla velocità di fuga, allora l'espansione si fermerà ed il tutto tornerà a collassare.
Se la velocità eguaglia la velocità di fuga abbiamo il caso critico. In quest'ultimo caso abbiamo:
v = H*D = v(esc) = sqrt(2*G*M/D)
H2*D2 = 2*(4*pi/3)*rho*D2 ovvero
Per rho uguale o inferiore alla densità critica rho(crit), l'Universo si espanderà per sempre, mentre per rho maggiore di rho(crit), l'Universo terminerà la sua espansione e ricollasserà. Il valore di rho(crit) per Ho = 65 km/s/Mpc è 8E-30 = 8*10-30 g/cm³ o 5 protoni per metro cubo o anche 1.2E11 = 1.2*1011 masse solari per MegaParsec cubico. Quest'ultimo valore può essere paragonato al valore osservato di 1.1E8 = 1.1*108 luminosità solari per Mpc3. Se la densità è ovunque prossima al valore critico, gran parte della materia deve essere troppo poco luminosa per essere osservata.
Le stime attuali suggeriscono che la densità di materia è compresa tra 0.3 e 1 volte la densità critica, e ciò richiede che la maggior parte della materia nell'Universo sia oscura.
Una importante conseguenza della relatività generale è che la curvatura dello spazio dipende dal rapporto tra la densità rho e la densità critica rho(crit). Possiamo chiamare questo rapporto Omega = rho/rho(crit).
Per Omega < 1, l'Universo ha curvatura negativa, ovvero una geometria iperbolica.
Per Omega = 1, l'Universo è piatto, ovvero è descritto dalla geometria euclidea.
Per Omega > 1, l'Universo ha curvatura positiva ovvero una geometria sferica.
Abbiamo già visto che il caso di universo vuoto, che possiede una geometria iperbolica, infatti in questo modello le istantanee di tempo cosmico nelle coordinate della relatività speciale erano iperboloidi.
La figura qui sopra mostra i tre tipi di curvatura, e a fianco l'evoluzione dei corrispondenti fattori di scala a(t).
L'età dell'Universo dipende da Omega0 e anche da H0. Per Omega=1, il caso di densità critica, il fattore di scala è
e l'età dell'Universo è
to = (2/3)/H0
mentre nel caso di universo vuoto, Omega=0, è
a(t) = t/to con to = 1/H0
Se Omega0 > 1 l'età dell'Universo è anche minore di (2/3)/H0.
La figura qui sopra mostra il fattore di scala in funzione del tempo misurato dal presente, per H0 = 65 km/s/Mpc e per Omega0 = 0 (verde), Omega0 = 1 (nero), e Omega0 = 2(rosso). L'età dell'Universo è rispettivamente di 15, 10 e 8.6 miliardi di anni. Il ricollasso del modello con Omega0 = 2 avviene quando l'Universo è 11 volte più vecchio di quanto non sia ora, e dato che tutte le osservazioni indicano che Omega0 < 2, abbiamo almeno 80 miliardi di anni prima di un Big Crunch.
Il valore di H0*to è una quantità adimensionale che deve valere 1 se l'Universo è praticamente vuoto, e 2/3 se l'Universo ha densità pari al valore critico. Assumendo H0 = 65 ± 8 e to = 14.6 ± 1.7 miliardi di anni, troviamo che H0*to = 0.97 ± 0.17. A prima vista ciò favorisce il modello di Universo vuoto, ma un errore di 2 deviazioni standard verso il basso ci porterebbe al caso di densità critica.
Dato che sia l'età degli ammassi globulari utilizzata sopra, che il valore di H0 dipendono dalla scala di distanza allo stesso modo, un errore in quest'ultima potrebbe ripercuotersi in modo significativo sul prodotto H0*to. In effetti, misurazioni recenti dal satellite HIPPARCOS suggeriscono che la scala di distanza delle Cefeidi deve essere aumentata del 10%, e anche l'età degli ammassi globulari dev'essere ridotta del 20%. Se assumiamo H0 = 60 ± 7 e to = 11.7 ± 1.4 miliardi di anni, troviamo che H0*to = 0.72 ± 0.12 che è perfettamente consistente con un Universo di densità critica.
Per questi motivi è meglio ritardare le conclusioni a quando si saranno ottenuti dati più precisi.
Se Omega0 > 1, l'Universo rallenterà progressivamente la sua espansione fino a fermarsi, e dunque Omega diverrà infinito. Se invece Omega0 < 1, l'Universo si espanderà per sempre e, dato che la densità diminuisce più in fretta della densità critica, Omega diminuirà sempre più. Per queste ragioni Omega = 1 è un punto di equilibrio instabile, ed è notevole che Omega al momento sembri molto prossimo a 1.
La figura qui sopra mostra l'evoluzione di a(t) per tre modelli cosmologici con tre diverse densità al tempo di 1 ns dopo il Big Bang. La curva nera rappresenta il caso a densità critica rho = 447,225,917,218,507,401,284,016 g/cm³. Aggiungendo solo 1 a questi 447 sestilioni fa sì che il Big Crunch debba accadere proprio ora! Invece portando via 1 otteniamo un modello con un Omega troppo basso che non si accorda con le osservazioni.
Per questo motivo diciamo che la densità 1 ns dopo il Big Bang è "quella giusta" con una accuratezza maggiore di una parte su 447 sestilioni. Per non parlare di istanti precedenti, in cui l'accuratezza è maggiore di una parte su 1059! Dato che, se la densità nelle fasi iniziali è leggermente maggiore, l'Universo ricollassa quasi subito, questo è chiamato il problema dell'età. Inoltre, siccome l'Universo con densità critica ha geometria euclidea, questo aspetto enigmatico è anche chiamato il problema della piattezza.
Qualunque sia il meccanismo che ha portato la densità al valore esattamente uguale a quella critica, funziona estremamente bene, e sarebbe davvero strano se Omega0 fosse prossima a 1 ma non esattamente uguale a 1.
Il modello a densità critica è mostrato nel diagramma spazio-temporale di seguito.
Nota che le linee d'universo delle galassie ora sono curve a causa della forza di gravità, che fa sì che l'espansione sia rallentata. In effetti, ciascuna linea d'universo è k volte a(t) con k costante e uguale a (t/to)2/3 per questo modello in cui Omega0 = 1. La curva rossa a forma di pera è il cono di luce del nostro passato. Questo diagramma è disegnato per il nostro punto di vista, ma dato che l'Universo è omogeneo, lo stesso diagramma tracciato per ogni galassia sarebbe identico.
La figura qui sopra mostra il diagramma spazio-temporale come se fosse disegnato sul lato di un mazzo di carte. Quello di seguito rappresenta il mazzo di carte spinto lateralmente in modo da metterci nel sistema di riferimento di A.
Nota che questa non è una trasformazione di Lorentz, inoltre le coordinate non sono quelle della relatività ristretta. La trasformazione galileiana che potrebbe essere realizzata spingendo lateralmente il mazzo di carte richiede che il bordo del mazzo rimanga rettilineo, e in ogni caso la trasformazione di Lorentz non può essere raffigurata in questo modo perché non esiste un tempo assoluto. Tuttavia nei modelli cosmologici noi abbiamo effettivamente un tempo cosmico, che è il tempo proprio dal Big Bang misurato da osservatori comoventi, pertanto questa rappresentazione "del mazzo di carte" è valida.
La presenza della gravità in questo modello comporta uno spazio-tempo curvo che non può essere rappresentato senza deformazioni su uno spazio-tempo piatto. Se ciascun sistema di coordinate è una rappresentazione deformata dell'Universo, allora noi possiamo riferirci ad un conveniente sistema di coordinate, e tenere traccia della deformazione alterando la forma dei coni di luce.
Ad esempio, spesso è conveniente "scorporare" l'espansione dell'Universo, il seguente diagramma spazio-temporale mostra il risultato della divisione della coordinata spaziale per a(t). Ora le linee d'universo delle galassie sono tutte verticali.
La divisione ha espanso il nostro cono di luce del passato a tal punto che dobbiamo ridisegnarlo per mostrarlo tutto
Se ora noi "stiriamo" l'asse del tempo nei dintorni del Big Bang, otteniamo il diagramma spazio-temporale che ha i coni di luce del passato con i bordi rettilinei:
Questo genere di diagramma spazio-temporale è chiamato "conforme", e mentre da un lato è fortemente distorto, dall'altro rende semplice vedere dove va a finire la luce, e dunque ci consente una analisi immediata dei rapporti di causalità. La trasformazione che abbiamo effettuato è analoga alla trasformazione dalla vista laterale della Terra (a sinistra) alla proiezione di Mercatore (a destra).
Nota che una rotta in direzione costante verso Sud-Est è una linea retta sulla mappa di Mercatore, dunque questa proiezione è analoga al diagramma spazio-temporale conforme, che mantiene rettilineo il bordo dei coni di luce del passato.
Ricorda anche che lo spazio-tempo caratterizzato da Omega0 = 1 ha estensione infinita, quindi il diagramma spazio-temporale conforme può proseguire ben oltre il nostro cono di luce del passato, come illustrato qui sotto.
Si possono utilizzare altri sistemi di coordinate. Se consideriamo la coordinata spaziale come l'angolo in un diagramma polare, il cambio del punto di vista sarà molto facile: è sufficiente una rotazione.
Il diagramma qui sopra è relativo ad un modello di Universo con Omega0 = 2 (che in effetti è sferico) ed è disegnato in questo modo con a(t) usata come coordinata radiale.
Il diagramma spazio-temporale conforme è un valido strumento per descrivere le osservazioni dell'anisotropia della CMB. L'Universo era opaco prima che i protoni e gli elettroni si combinassero per formare atomi di idrogeno, ciò avvenne quando la temperatura scese al di sotto di 3000 K ad un redshift di 1+z = 1000.
Dopo questa fase, i fotoni della CMB hanno viaggiato liberamente nell'Universo trasparente che possiamo vedere oggi. Per questo motivo la temperatura della CMB in un dato punto del cielo è stata determinata dal tempo in cui si sono formati gli atomi di idrogeno. Dal momento che le lunghezze d'onda della CMB scalano allo stesso modo delle distanze intergalattiche durante l'espansione dell'Universo, sappiamo che a(t) doveva essere 0.001 al tempo della ricombinazione. Per il modello Omega0 = 1 ciò implica che t/t0 = 0.00003 e dunque per t0 = 10 miliardi di anni il tempo è di circa 300.000 anni dopo il Big Bang. Questa è una frazione così piccola dell'età corrente dell'Universo che lo "stiramento" dell'asse temporale quando si produce il diagramma spazio-temporale conforme è molto utile per ingrandire questa parte della storia dell'Universo.
Il diagramma comforme qui sopra ha esagerato questa zona molto di più, assumendo che il redshift della ricombinazione sia 1+z = 144, che corrisponde alla linea orizzontale blu. Le regioni in giallo sono i coni di luce del passato di due eventi di ricombinazione nel nostro cono di luce del passato. Ogni evento che influenza la temperatura della CMB a sinistra deve essere confinato nel triangolo giallo di sinistra. Ogni evento che influenza la temperatura della CMB nella parte destra deve trovarsi nel triangolo giallo di destra. Queste regioni non hanno eventi in comune, ma le due temperature sono uguali a meno di una parte su 100.000. Come è possibile? In cosmologia questo è noto come problema dell'orizzonte.
Lo "scenario inflazionario", sviluppato da Guth, Starobinsky e Linde, offre una soluzione al problema della piattezza, della vecchiaia e dell'orizzonte invocando una densità di energia del vuoto. Noi normalmente siamo portati a pensare che il vuoto sia privo di massa, e possiamo determinare che la densità del vuoto è attualmente meno di 1E-30 g/cm³. Ma nella teoria quantistica dei campi, il vuoto è considerato brulicante di particelle virtuali:
Il diagramma spazio-temporale qui sopra mostra coppie virtuali di particelle e anti-particelle che si formano dal nulla e tornano nel nulla mediante un processo di annichilazione. Per particelle di massa m, ci si attende la presenza di circa una particella virtuale in ogni volumetto di lato pari alla lunghezza d'onda Compton della particella, h/mc, dove h è la costante di Planck.
Per questo motivo la densità attesa del vuoto è rho = m4*c3/h3 che è piuttosto grande. Per le particelle elementari più massive normalmente considerate, la massa di Planck M (definita da 2*pi*G*M2 = h*c), questa densità è 2E91 g/cm³. Per questo motivo la densità di energia del vuoto è almeno 121 ordini di grandezza più piccola di quanto indica il calcolo quantistico grossolano, dunque dev'essere all'opera un meccanismo di soppressione molto efficace.
Se attualmente rimane un piccolo residuo di questa densità di energia del vuoto, esso produce una "costante cosmologica" che è uno dei meccanismi proposti per ricomporre il disaccordo tra l'età dell'Universo nel modello con Omega0 = 1, t0 = (2/3)/H0 = 10 miliardi di anni, e l'età apparente dei più antichi ammassi globulari, 16 ± 4 miliardi di anni. La densità di energia del vuoto può fare questo perché produce una "anti-gravità" che accelera l'espansione dell'Universo anziché rallentarla, e ciò aumenta t0 per una data H0.
Lo scenario inflazionario propone che l'energia del vuoto fosse molto elevata durante un breve periodo all'inizio della storia dell'Universo. Quando l'Universo è dominato da questa densità di energia del vuoto, il fattore di scala cresce esponenzialmente, a(t) = exp(H(to-t)). La costante di Hubble è realmente costante durante questa fase, per cui non serve lo "zero". Se la fase inflazionaria dura a sufficienza, la funzione esponenziale cresce enormemente. Ciò fa si che a(t) sia molto elevato, e con esso il raggio di curvatura dell'Universo. Il seguente diagramma mostra il nostro orizzonte sovrapposto ad una sfera di raggio molto ampio (in alto), e ad una sfera di raggio più piccolo (in basso). Dato che noi possiamo vedere al massimo il nostro orizzonte, per il modello inflazionario l'Universo visibile deve risultare praticamente piatto.
Questo risolve il problema della piattezza e della vecchiaia, a patto che la crescita esponenziale durante l'epoca inflazionaria continui per almeno 100 raddoppiamenti. L'inflazione risolve anche il problema dell'orizzonte, perché il cono di luce del futuro di un evento che accade prima dell'epoca inflazionaria viene espanso in una vasta regione dalla crescita inflattiva.
Questo diagramma spazio-temporale mostra l'epoca inflattiva colorata di verde, e il cono di luce del futuro di due eventi, in rosso. L'evento primordiale ha un cono di luce del futuro che copre una vasta area, che può facilmente comprendere tutto il nostro orizzonte. Per questo motivo noi possiamo spiegare perché la temperatura del fondo di microonde è così uniforme in tutto il cielo.
E' chiaro che l'Universo non è veramente omogeneo, dal momento che contiene regioni dense come le galassie e i pianeti. Queste regioni dense dovrebbero avere qualche relazione con la temperatura del fondo di microonde. Sachs e Wolfe (1967, ApJ, 147, 73) hanno derivato l'effetto delle perturbazioni del potenziale gravitazionale sulla CMB. Il potenziale gravitazionale, phi = -GM/r, sarà negativo negli ammassi densi, e positivo in regioni meno dense. I fotoni perdono energia quando risalgono le pareti del potenziale gravitazionale degli ammassi
Il diagramma spazio-temporale conforme qui sopra mostra gli ammassi come barre grigie verticali, l'epoca prima della ricombinazione è la regione tratteggiata, ed il potenziale gravitazionale è la curva phi(x) codificata a colori. Laddove il cono di luce del nostro passato interseca la superficie di ricombinazione, vediamo una temperatura perturbata della quantità
Sachs e Wolfe hanno predetto fluttuazioni di temperatura dT/T ampie circa l'1% rispetto alla media, ma ora noi sappiamo che l'Universo è molto più omogeneo di quanto Sachs e Wolfe pensavano. Per questo motivo gli osservatori hanno lavorato per anni per raggiungere sensibilità così alte da distinguere chiaramente le differenze di temperatura nel cielo. La prima differenza rivelata è stata l'anisotropia di dipolo da Conklin nel 1969
La mappa qui sopra è stata realizzata dal satellite COBE ed è molto meglio della rilevazione di Conklin a 2 deviazioni standard. La zona rossa del cielo è più calda rispetto alla media di un fattore (v/c)*To, mentre la zona blu è più fredda della stessa quantità, la velocità dedotta è v = 370 km/s. Questo è il modo in cui noi possiamo misurare la velocità del sistema solare relativamente all'Universo visibile. Ci sono voluti ancora 23 anni prima che le anisotropie previste da Sachs e Wolfe fossero rivelate dal team di Smoot nel 1992. L'ampiezza era di una parte su 100.000 invece che una parte su 100
La mappa qui sopra mostra l'anisotropia cosmica (sovrapposta al rumore del rivelatore) dopo che l'anisotropia di dipolo e la radiazione emessa dalla Via Lattea sono state rimosse. L'anisotropia in questa mappa ha un valore RMS di 30 microK, e se lo esprimiamo in forma di potenziale gravitazionale, usando i risultati di Sachs e Wolfe, e se il potenziale viene espresso come quota assumendo una accelerazione di gravità costante ed uguale a quella terrestre, otteniamo una quota pari al doppio della distanza tra la Terra ed il Sole. Dunque le "montagne e le valli" dell'Universo sono abbastanza ampie.
Il modello inflazionario predice un certo pattern statistico nella anisotropia. Le fluttuazioni quantistiche normalmente influenzano regioni di spazio estremamente piccole, ma la vastissima espansione esponenziale durante la fase inflattiva le rende osservabili.
Il diagramma spazio-temporale qui sopra mostra i coni di luce del futuro di eventi relativi a fluttuazioni quantistiche. La sommità di questo diagramma è in realtà il volume che interseca il cono di luce del nostro passato, producendo la porzione visibile del cielo. Infatti i coni di luce del futuro diventano cerchi nel cielo. Eventi che accadono precocemente nella fase inflattiva producono cerchi ampi, come mostrato nella mappa a destra in basso. Eventi più tardivi producono cerchi più piccoli, come mostra la mappa di mezzo, ma dato che sono più numerosi, la copertura del cielo è la stessa di prima. Eventi ancora più tardivi producono cerchi ancora più piccoli che però danno la stessa copertura totale.
Il pattern formato sommando tutti gli effetti di eventi che si sono prodotti in tutte le fasi è noto come "equal power on all scales" (la stessa potenza per tutte le scale), ed è in accordo con i dati di COBE.
Avendo scoperto che il pattern di anisotropia osservato è in accordo con l'inflazione, possiamo anche chiederci se l'ampiezza di queste fluttuazioni dà luogo a forze abbastanza ampie da produrre gli ammassi di galassie osservabili.
Il diagramma spazio-temporale conforme qui sopra mostra la funzione potenziale phi(x) al tempo della ricombinazione, determinata dai dati dT di COBE. Le righe nere rappresentano le linee d'universo delle galassie che sono perturbate dalle forze gravitazionali prodotte dal gradiente del potenziale. La materia si allontana scendendo dai picchi del potenziale (i punti rossi nella mappa di COBE), producendo vuoti nella attuale distribuzione delle galassie, mentre le valli del potenziale (i punti blu) sono le zone dove si formano gli ammassi di galassie.
COBE non era in grado di rilevare punti corrispondenti agli ammassi o ai super-ammassi di galassie, ma se utilizziamo la legge "equal power on all scales" per estrapolare i dati di COBE a scale più piccole, troviamo che le forze gravitazionali sono adeguate a produrre il grado di compattazione che si osserva, ma solo se non ci sono altre forze che si oppongono.
Se tutta la materia nell'Universo è costituita dai "soliti" elementi chimici, allora c'è stata una forza molto efficace che si opponeva prima della ricombinazione, poiché gli elettroni liberi che ora stanno legati negli atomi erano molto efficaci nel diffondere i fotoni della radiazione cosmica di fondo. Dobbiamo per questo concludere che gran parte della materia nell'Universo è "materia oscura" che non emette, assorbe o diffonde la luce. Questa strana conclusione sarà fortemente rafforzata dai dati sull'anisotropia su scale angolari molto più piccole, che saranno forniti dal satellite Microwave Anisotropy Probe (MAP) nel 2000.
Questo metodo è lo standard di riferimento per le distanze astronomiche. E' basato sulla misura di due angoli e del lato compreso di un triangolo formato da 1) la stella, 2) la Terra in un punto della sua orbita, e 3) la Terra sei mesi dopo, nel punto opposto dell'orbita.
La parte superiore di questo disegno mostra la Terra in due momenti differenti, ed il triangolo formato tra una stella vicina e queste due posizioni della Terra. In basso vediamo due immagini di questa stella proiettata su uno sfondo costituito da stelle molto più lontane, riprese dai due lati dell'orbita terrestre. Se tu incroci gli occhi fino a sovrapporre le due immagini, potrai vedere la stella staccarsi dallo sfondo, come nei disegni 3-D.
La parallasse di una stella è metà dell'angolo al vertice (alla stella) nel disegno in alto. Per questo la parallasse è l'angolo alla stella nel triangolo Terra-Sole-stella. Dato che questo angolo è sempre piccolissimo, il seno e la tangente della parallasse praticamente coincidono con la parallasse stessa misurata in radianti. Per questo la distanza di una stella è
D[in m] = [Distanza Terra-Sole in m]/[parallasse in radianti]
Gli astronomi di solito affermano che la distanza Terra-Sole è di 1 unità astronomica (au), dove 1 au = 1.5E11 m, e misurano questi angoli piccolissimi in secondi d'arco. Ricordando che in un radiante ci stanno 648.000 secondi d'arco, con queste unità di misura l'unità di distanza è [648000/pi] au = 3.085678E16 m = 1 parsec.
Una stella con la parallasse di un secondo d'arco dista 1 parsec, ovvero 3.26 anni-luce. Nessuna stella mostra una parallasse così ampia. Proxima Centauri ha una parallasse di 0.76".
La prima misura della parallasse stellare fu effettuata sulla stella 61 Cygni da Friedrich Wilhelm Bessel (1784-1846) nel 1838. Bessel è noto anche per le funzioni besseliane usate in fisica matematica.
Non sono molte le stelle così vicine da evidenziare una parallasse misurabile. Tuttavia, quando le stelle sono riunite in ammassi stabili, la cui estensione non sta cambiando (ad esempio le Pleiadi), allora il moto apparente delle stelle nell'ammasso può essere impiegato per calcolarne la distanza.
La parte superiore del disegno mostra il moto nello spazio di un ammasso di stelle. Nota che i vettori velocità sono paralleli, perché stiamo asumento che l'ammasso non si stia espandendo né contraendo. Quando però consideriamo il moto di queste stelle proiettato sulla volta celeste, le vediamo convergere a causa di un effetto di prospettiva. L'angolo al punto di convergenza è theta. Se l'ammasso si sta muovendo verso di noi, allora il punto di convergenza si trova dietro l'ammasso, ma ce n'è un altro nel punto opposto del cielo, e possiamo usare quest'ultimo. Da questi spostamenti delle stelle nel cielo, noti come moti propri per il fatto che si tratta di proprietà delle singole stelle, noi misuriamo theta e la sua velocità di variazione, d(theta)/dt. Abbiamo bisogno anche della velocità radiale VR dell'ammasso, che possiamo determinare con uno spettrografo misurando lo spostamento Doppler. La velocità trasversale, VT, (il moto laterale) dell'ammasso può essere trovato usando VT/VR = tan(theta). La distanza dell'ammasso è dunque
D[in m] = VT[in m/sec]/[d(theta)/dt]
D[in pc] = (VR/4.74 km/sec)*tan(theta)/{d(theta)/dt[in "/yr]}
La strana costante 4.74 km/sec deriva da 1 au/anno. Dato che possiamo usare un intervallo temporale di un secolo per misurare d(theta)/dt, sono possibili misure precise della distanza di ammassi vicini. Questo metodo è stato applicato all'ammasso delle Iadi producendo un risultato di 45.53 ± 2.64 pc. La media delle parallassi trigonometriche per i singoli membri delle Iadi fornisce 46.34 ± 0.27 pc (Perryman et al.).
Si può usare un altro metodo per misurare la distanza di un insieme di stelle, scelte in modo che siano tutte alla stessa distanza dalla Terra.
Il disegno qui sopra mostra un tale insieme di stelle, ma con due possibili velocità medie. Le stelle di colore verde mostrano una distanza media più piccola delle stelle di colore rosso. Dato che il moto medio del sistema solare rispetto alle stelle vicine è di 20 km/sec, allora queste stelle mostreranno un moto comune, come se fuggissero dal punto verso il quale il sistema solare si sta dirigendo. Questo punto è noto col nome di apice. Sia theta l'angolo all'apice. Allora il moto proprio d(theta)/dt avrà una componente media proporzionale a sin(theta), mostrato dalle linee nel grafico di d(theta)/dt in funzione di sin(theta). Sia mu la pendenza di questa linea. Allora la distanza media delle stelle è
D[in m] = V(sole)[in m/sec]/(mu [in radianti/sec])
D[in pc] = 4.16/(mu [in "/anno])
dove la strana costante 4.16 è il moto solare in au/anno.
Quando per le stelle si ha il valore della velocità radiale, allora la dispersione nei loro moti propri può essere usata per determinare la distanza media:
(dispersione in VR)[in m/sec]
D[in m] = ----------------------------------------
(dispersione in d(theta)/dt)[in radians/sec]
La struttura della rotazione differenziale della nostra galassia puù essere impiegata per determinare la distanza di una sorgente qualora sia nota la sua velocità radiale.
La distanza di un oggetto in espansione come ad esempio un resto di supernova (es. quella di Tycho) può essere determinata misurando:
La distanza si calcola dunque come
D = VR/d(theta)/dt con theta in radianti
Questo metodo è soggetto ad errori sistematici qualora la velocità del materiale dietro l'onda d'urto sia inferiore alla velocità della stessa onda d'urto. Questo è proprio il caso dei resti di supernova in fase adiabatica, per i quali VR = 0.75 V(urto), e dunque la distanza calcolata può essere sottostimata del 25%.
L'anello centrale ellittico attorno alla supernova SN1987A sembra dovuto ad un anello circolare inclinato sul piano visuale (vedi figura a fianco tratta dalla rivista l'Astronomia) emesso molto tempo prima dell'esplosione della stella. Quando il fronte della radiazione ultravioletta emessa dalla supernova colpì l'anello, accese le righe spettrali caratteristiche dell'emissione ultravioletta che sono state registrate dal satellite International Ultraviolet Explorer (IUE). Il satellite registrò chiaramente il tempo t1 relativo all'arrivo della radiazione emessa dalla parte vicina dell'anello, ed il tempo t2, relativo alla parte lontana. Se t0 è il tempo in cui la supernova si è accesa, allora i tempi extra dovuti al cammino della luce dalle parti vicine e lontane dell'anello sono: t1 - t0 = R(1 - sin(i))/c t2 - t0 = R(1 + sin(i))/c |
|
dove R è il raggio dell'anello in m. Per questo
R = c(t1-t0 + t2-t0)/2
Quando HST venne messo in orbita, riprese subito la SN 1987A vide l'anello e ne misurò il raggio angolare theta. Il rapporto fornisce la distanza:
D = R/theta con theta in radianti
Applicato alla piccola nube di Magellano usando la SN 1987A si ottiene D = 47 ± 1 kpc. (Gould 1995, ApJ, 452, 189) questo metodo è fondamentelmente il metodo di espansione applicato al guscio in espansione della radiazione emessa dalla supernova che si allontana alla velocità della luce. Può anche essere applicato ad altre geometrie note.
Se un'orbita binaria viene osservata sia visualmente che spettroscopicamente, allora sono note sia la dimensione angolare dell'orbita che quella fisica. Il loro rapporto fornisce la distanza.
I seguenti metodi impiegano la luminosità superficiale delle stelle. La seguente immagine mostra come la luminosità superficiale delle stelle dipenda dal loro colore:
I colori corrispondono approssimativamente alle temperature di 5000, 6000 and 7000 K. I cambiamenti di colore sono esigui, ma la luminosità superficiale cambia notevolmente: in realtà per rendere visibile la stella fredda ho dovuto dimezzare il cambiamento della luminosità superficiale. Misurando il rapporto tra il flusso luminoso nel blu e quello nel giallo-verde, gli astronomi misurano l'indice di colore B-V della stella. Questa misura del rapporto tra il flusso nel blu e nel visibile può essere usata per stimare la luminosità superficiale SB della stella. Dato che si ha anche la misura del flusso luminoso, il raggio angolare theta della stella è noto dall'espressione theta = sqrt[Flux/(pi*SB)]. Se inoltre è possibile trovare il raggio fisico R, la distanza si ricava dalla D = R/theta (come sempre, theta è espresso in radianti).
Il metodo di Baade-Wesselink si applica alle stelle pulsanti. Usando le curve del colore e del flusso luminoso, si può trovare il rapporto dei raggi in tempi differenti:
sqrt[Flusso(t2)/SB(Colore(t2)]
R(t2)/R(t1) = ---------------------------
sqrt[Flusso(t1)/SB(Colore(t1)]
Poi gli spettri della stella durante il suo periodo di pulsazione sono usati per trovare la sua velocità radiale Vr(t). Sapendo quanto velocemente si sta muovendo la superficie della stella, si trova R(t2)-R(t1) sommando la quantità velocità*tempo durante l'intervallo di tempo tra t1 e t2. Se poi è noto sia il rapporto dei raggi R(t2)/R(t1) dai flussi e dai colori, sia la differenza nei raggi R(t2)-R(t1) dalla spettroscopia, allora si hanno semplicemente due equazioni in due incognite ed è facile risolvere per i raggi. Con il raggio e l'angolo, la distanza si trova usando l'espressione D = R/theta.
In una binaria spettroscopica doppiamente allineata (cioè dove si assiste sia al minimo principale che a quello secondario), il semiasse dell'orbita proiettato sulla volta celeste a*sin(i) viene ricavato dall'escursione della velocità radiale durante il periodo. In una binaria ad eclisse, i raggi relativi delle stelle R1/a e R2/a e l'inclinazione del piano orbitale i vengono ricavati analizzando la forma delle curve di luce dell'eclisse. Utilizzando i flussi luminosi osservati e l'indice di colore per ricavare la luminosità superficiale, si può stimare il raggio angolare delle stelle. R1 si ricava da i, a*sin(i) e R1/a; e con theta1 si puòricavare la distanza.
Il metodo di Baade-Wesselink può essere applicato ad una stella in espansione: le variazioni del raggio non devono essere periodiche. E' stato applicato a supernovae di tipo II, che sono stelle massicce con un guscio ricco di idrogeno che esplode quando il loro nucleo collassa per formare stelle di neutroni. Il metodo può essere applicato anche alle supernovae di tipo Ia, ma questi oggetti non mostrano le righe dell'idrogeno nei loro spettri. Dato che la relazione luminosità superficiale in funzione dell'indice di colore è calibrata utilizzando stelle normali, ricche di idrogeno, il metodo della fotosfera in espansione è normalmente impiegato per le supernovae ricche di idrogeno, quelle di tipo II. La supernova di tipo II SN1987A nella grande nube di Magellano è stata usata per calibrare questo indicatore di distanza.
I metodi seguenti impiegano il diagramma H-R, che fornisce la luminosità in funzione della temperatura. Quando sono noti la luminosità ed il flusso luminoso di un oggetto, la distanza può essere ricavata mediante
D = sqrt[L/(4*pi*F)]
Quando tra la fine del 19° e l'inizio del 20° secolo si ottennero le distanze delle stelle vicine con il metodo della parallasse trigonometrica, divenne possibile studiare la luminosità intrinseca di queste stelle. Einar Hertzsprung e Henry Norris Russell realizzarono indipendentemente lo stesso diagramma (oggi chiamato in loro onore H-R) della luminosità in funzione della temperatura. La maggior parte delle stelle cadeva su una singola traccia, nota col nome di sequenza principale. A volte la magnitudine assoluta è usata al posto della luminosità, e al posto della temperatura si usa l'indice di colore.
Quando si studia un ammasso di stelle, le magnitudini apparenti ed i colori delle stelle formano una traccia parallela alla sequenza principale, e scegliendo opportunamente la distanza, le magnitudini apparenti si convertono in magnitudini assolute e si cerca così di sovrapporre la traccia dell'ammasso alla sequenza principale standard.
Quando si osserva accuratamente lo spettro di una stella, è possibile determinare due parametri della stella così come le abbondanze nell'atmosfera stellare. Il primo di questi parametri è la temperatura superficiale della stella, che detemrina il tipo spettrale nell'insieme OBAFGKM, dal più caldo al più freddo. Le stelle calde di tipo O mostrano le righe dell'elio ionizzato, le stelle di classe B mostrano le righe dell'elio neutro, quelle di classe A hanno intense righe dell'idrogeno, le stelle delle classi F e G hanno numerose righe dei metalli, e le più fredde stelle di classe K e M hanno addirittura bande molecolari. Le classi spettrali sono ulteriormente suddivise mediante una cifra, ad esempio il Sole appartiene alla classe G2.
Il secondo parametro che può essere determinato è la gravità superficiale della stella. Più elevata è la gravità, maggiore è la pressione nell'atmosfera, e maggiori pressioni producono un allargamento delle righe spettrali e riduce anche il grado di ionizzazione dell'atmosfera. La gravità superficiale è denotata dalla classe di luminosità espressa da un numero romano da I a V essendo I la gravità più bassa e V quella più alta (ad eccezione della classe VI che è vista raramente e delle nane bianche che hanno una classificazione separata). Le stelle con elevata gravità superficiale (di classe V) sono chiamate nane mentre le stelle con gravità media (classe III) sono chiamate giganti e le stelle con gravità bassa (di classe I) sono chiamate supergiganti. La possibilità di sfruttare la gravità superficiale per determinare la luminosità di una stella dipende da tre relazioni:
L = 4*pi*sigma*T4*R2
L = A*Mb Mass-luminosity law with b = 3-4
g = G*M/R2
Ricavata la temperatura a partire dalla classe spettrale, e la gravità superficiale dalla classe di luminosità, queste equazioni possono essere usate per trovare massa e luminosità. Se è nota la luminosità e si misura il flusso luminoso, la distanza deriva dalla legge dell'inverso del quadrato.
Un avvertimento riguardo a questo metodo: funziona solamente per stelle normali, e ciascun oggetto singolo potrebbe non essere normale. Main sequence fitting in un ammasso è molto più affidabile dal momento che in un grande numero di stelle è facile trovare quelle normali.
I metodi seguenti sfruttano le proprietà delle stelle pulsanti:
Le variabili di tipo RR Lyrae sono stelle pulsanti come le Cefeidi, ma hanno una massa molto più ridotta ed un periodo molto breve (meno di un giorno). Esse vengono individuate negli ammassi globulari, e sembrano avere tutte la stessa magnitudine assoluto, che al minimo si situa attorno a 0.6.
Le variabili cefeidi sono stelle pulsanti che prendono il nome dal più brillante membro di questa classe di stelle: la delta Cephei. Queste stelle pulsano perché le regioni di idrogeno ed elio ionizzati si trovano vicino alla superficie della stella. questo fatto fiss aapprossimativamente la temperatura della stella variabile, e produce una fascia di instabilità nel diagramma H-R.
Il diagramma qui sopra mostra la stella man mano che si ingrandisce e diventa più fredda, e poi si rimpicciolisce e diventa più calda. Le cefeidi sono più brillanti quando sono più calde, vicino al minimo del raggio. Dato che tutte le cefeidi hanno la stessa temperatura, il raggio determina la loro luminosità. Un grande oggetto pulsante naturalmente ha un periodo di oscllazione più grande di un oggetto più piccolo. Per questo motivo nel caso delle cefeidi esiste una relazione periodo-luminosità. Se due cefeidi hanno periodo che differisce di un fattore 2, allora la loro luminosità della cefeide con periodo maggiore è 2.5 volte maggiore di quella con periodo più breve.
Dal momento che è facile misurare il periodo di una stella variabile, le cefeidi sono indicatori straordinari della distanza delle galassie. Inoltre queste stelle sono intrinsecamente molto luminose e dunque visibili da grande distanza: se ne individuano persino nella galassia M100 dell'ammasso della Vergine. L'unico problema è la calibrazione della relazione periodo-luminosità, che deve essere fatta indirettamente usando le cefeidi nella grande nube di Magellano e negli ammassi le cui distanza sono ottenute fittando la sequenza principale. Inoltre si deve fare attenzione al fatto che la calibrazione potrebbe dipendere dall'abbondanza di metalli nelle stelle, che è molto minore nella LMC rispetto alle galassie spirali luminose come M100.
I metodi seguenti sfruttano le proprietà (reali o supposte) di classi di oggetti nelle galassie e pertanto devono essere calibrati:
Le nebulose planetarie sono stelle che hanno attraversato le fasi di gigante rossa e gigante asintotica e hanno eiettato i loro gusci residui di idrogeno, che ora formano una nebulosa ionizzata che circonda una stella centrale molto calda e piccola. Esse emettono gran parte della radiazione nella riga a 501 nm dell'ossigeno doppiamente ionizzato [O III] il che le rende facili da individuare. Le nebulose planetarie più brillanti sembrano avere la stessa luminosità in molte galassie lontane, a tal punto che i loro flussi luminosi possono essere usati come indicatori di distanza. Questo metodo è correlato con il metodo della fluttuazione della luminosità superficiale, che è sensibile alle stelle del ramo asintotico delle giganti prima che esse eiettino i loro gusci.
Quando una galassia è molto vicina, si possono addirittura distinguere le singole stelle. La luminosità di queste stelle può essere impiegata per stimare la distanza della galassia ospite. Spesso si usa l'assunzione che ci sia un limite superiore fisso alla luminosità delle stelle, ma questa ipotesi appare poco fondata. Nondimeno, se si studia una vasta popolazione di stelle luminose, è possibile dare una ragionevole stima della distanza.
Le stelle molto calde e luminose ionizzano l'idrogeno circostante, producendo una regione H II, come ad esempio la nebulosa di Orione. Il diametro delle più vaste regioni H II nelle galassie lontane è stato assunto come "regolo standard" che può essere usato per determinare le distanze. Questa tuttavia, appare una assunzione poco fondata.
Quando una galassia è troppo distante per consentirci di rilevare le sue singole stelle, si può ancora stimarne la distanza usando le fluttuazioni statistiche del numero di stelle in un pixel. Una galassia vicina potrebbe avere 100 stelle che si proiettano in ciascun pixel dell'immagine mentre una galassia più lontana potrebbe averne un numero maggiore, ad esempio 1000. La galassia vicina potrebbe avere fluttuazioni di ±10% della luminosità superficiale (1/sqrt(N)), mentre la galassia più lontana potrebbe avere fluttuazioni del 3%. L'illustrazione a fianco (clicca per ingrandire) mostra una galassia nana vicina, una galassia nana gigante ed una gigante ad una distanza tale che il flusso totale sia uguale a quello della nana vicina. Nota che la galassia gigante lontana ha un'immagine molto più morbida rispetto a quella della nana vicina. |
Le supernovae di tipo Ia sono esplosioni di nane bianche che si trovano in un sistema binario. Il materiale sottratto alla stella compagna accresce la massa della nana bianca fino al limite di stabilità, noto come limite di Chandrasekhar. A quel punto la nana bianca collassa, ma la compressione innesca la combustione esplosiva del carbonio che porta alla totale distruzione della stella. La produzione di luce deriva principalmente dall'energia prodotta dal decadimento radioattivo di nickel e cobalto prodotti nell'esplosione. La luminosità di picco è correlata col tempo di decadimento della curva di luce. quando si applica questa correzione, la luminosità relativa di una supernova di tipo Ia può essere determinata con un errore del 20%. Alcune supernovae Ia sono esplose in galassie abbastanza vicine alla nostra da permettere al telescopio spaziale Hubble di determinarne la distanza assoluta e la luminosità assoluta usando le variabili cefeidi, consentendo una delle migliori determinazioni della costante di Hubble.
I metodi seguenti sfruttano le proprietà globali delle galassie e pertanto devono essere calibrati:
La velocità di rotazione di una galassia spirale è un indicatore della sua massa, e dunque della sua luminosità. La relazione è approssimativamente
Il pedice 20 significa che è la differenza di velocità riscontrata sulla riga a 21 cm dell'idrogeno neutro al 20% della potenza di picco.
Dato che la velocità di rotazione di una galassia spirale può essere misurata con uno spettrografo ottico o con un radiotelescopio, la luminosità può essere determinata. La distanza si ottiene combinando tale luminosità con il flusso luminoso osservato. Il seguente disegno mostra due galassie: una spirale gigante ed una nana, ma quella nana è più vicina alla Terra e dunque sottende lo stesso angolo nel cielo e ha la stessa luminosità apparente.
La galassia più lontana per effetto della sua maggiore massa, ha una velocità di rotazione maggiore, per cui la differenza tra gli spettri del lato in avvicinamento e in allontanamento sarà maggiore. Da qui si possono calcolare le distanze relative.
La dispersione della velocità delle stelle sigma(v) in una galassia ellittica è un indicatore della sua massa e dunque della sua luminosità. La relazione è approssimativamente:
Dato che la dispersione di velocità di una galassia ellittica può essere misurata con uno spettrografo ottico, la luminosità può essere determinata. La distanza si ottiene combinando tale luminosità con il flusso luminoso osservato.
Come candela standard si è usata anche la galassia più luminosa di un ammasso di galassie. Questo assunto risente delle stesse difficoltà che affliggono i metodi delle stelle più luminose e delle più grandi regioni H II: ammassi particolarmente ricchi probabilmente avranno esemplari di galassie molto luminose anche se queste galassie sono rare, mentre ammassi meno ricchi probabilmente non annovereranno questi membri.
I metodi seguenti hanno il vantaggio di non richiedere calibrazione:
Quando un quasar viene visto attraverso una lente gravitazionale, si vedono repliche della sua immagine, come mostrato nel seguente disegno:
I percorsi della luce dal quasar fino a noi per formare le diverse immagini, hanno lunghezze diverse che differiscono approssimativamente di D*[cos(theta1)-cos(theta2)] dove theta è l'angolo di deflessione e D è la distanza del quasar. Dal momento che i quasar sono sorgenti variabili nel tempo, noi possiamo risalire alla differenza nella lunghezza del percorso ottico, cercando correlazioni spostate nel tempo della variabilità delle imagini multiple Alla fine del 1996, questo ritardo temporale è stato misurato in 2 quasar: l'originale doppio QSO 0957+061, che ha fornito un risultato di Ho = [63 ± 12] km/sec/Mpc, e PG1115+080, che ha fornito Ho = 42 km/sec/Mpc, ma da una ulteriore analisi degli stessi dati risulta Ho = [60 +/- 17] km/sec/Mpc.
Il gas caldo negli ammassi di galassie distorce lo spettro della radiazione cosmica di fondo osservata attraverso l'ammasso. Il seguente disegno illustra il processo. Gli elettroni caldi nell'ammasso di galassie diffondono una piccola frazione dei fotoni della CMB e li sostituisce con fotoni di energia leggermente più alta. Questo processo è noto come effetto Compton inverso.
La quantità misurabile è la differenza tra la CMB vista attraverso l'ammasso e quella immutata vista in un'altra direzione. In verità solo l'1% circa dei fotoni che passano attraverso l'ammasso vengono diffusi dalle regioni di gas caldo ionizzato, e questi fotoni acquistano in media il 2% della loro energia. Ciò produce una scarsità di fotoni a bassa energia di circa 0.01*0.02 = 0.0002 ovvero dello 0.02%, che dà luogo ad una diminuzione della temperatura di luminosità di circa 500 microK guardando verso l'ammasso. A frequenze più elevate (maggiori di circa 218 GHz) l'ammasso appare più luminoso rispetto allo sfondo. Questo effetto è proporzionale a (1) la densità di elettroni, (2) lo spessore dell'ammasso lungo la nostra linea di vista, e (3) la temperatura degli elettroni. Il parametro che combina questi fattori è chiamato parametro y di Kompaneets, con y = tau*(kT/mc2). Tau è la profondità ottica della frazione di fotoni diffusi, mentre (kT/mc2) è la temperatura dell'elettrone in unità della massa a riposo dell'elettrone.
L'emissione di raggi X, IX, dal gas caldo dell'ammasso è proporzionale a (1) il quadrato della densità di elettroni, (2) lo spessore dell'ammasso lungo la nostra linea di vista, e (3) dipende dalla temperatura degli elettroni e dalla frequenza dei raggi X. Come risultato, il rapporto
y2/IX = CONST * (Spessore lungo la linea di vista) * f(T)
Se assumiamo che lo spessore lungo la nostra linea di vista coincide con il diametro dell'ammasso, possiamo utilizzare il diametro angolare osservato per trovarne la distanza.
Questa tecnica è molto complicata, e anni di duro lavoro da parte dei pionieri come Mark Birkinshaw hanno prodotto solamente qulche misura di distanza, e valori di Ho che tendevano ad essere un po' bassi. Lavori recenti con radio interferometri strettamente ammassati, operanti a 30 GHz hanno fornito misurazioni precise della diminuzione di luminosità radio per 18 ammassi, ma solo 3 di essi hanno adeguati valori per l'emissione di raggi X.
Si veda anche questo sito con la descrizione accurata del metodo e dei suoi fondamenti.
Ed infine:
Lo spostamento Doppler fornisce il redshift di un oggetto remoto che è il mostro miglior indicatore di distanza, a patto che si conosca con precisione la costante di Hubble.
Ci sono almeno tre modi per stimare l'età dell'Universo. Qui descriveremo:
- l'età degli elementi chimici
- l'età dei più antichi ammassi stellari
- l'età delle più antiche nane bianche
L'età degli elementi chimici può essere stimata per mezzo del decadimento radioattivo determinando l'età di una mistura di atomi. Le età meglio definite che si possono stimare con questo metodo sono le età di solidificazione delle rocce. Quando una roccia solidifica, gli elementi chimici spesso si separano in differenti granuli cristallini. Ad esempio, il sodio ed il calcio sono elementi comuni, ma i loro comportamenti chimici sono abbastanza diversi, e così nelle rocce si trovano in genere separati in granuli distinti. Il rubidio e lo stronzio sono gli elementi più pesanti che si comportano chimicamente come il sodio ed il calcio, per questo motivo si trovano in granuli diversi. Tuttavia il Rb-87 decade in Sr-87 con una semi-vita di 47 miliardi di anni. C'è inoltre un isotopo dello stronzio, lo Sr-86, che non è prodotto da alcun decadimento raidoattivo. L'isotopo Sr-87 è chiamato radiogenico, perché come detto prima, si produce in seguito al decadimento di un altro elemento, mentre lo Sr-86 non è radiogenico. Per questi motivi lo Sr-86 viene sfruttato per determinare quale frazione dello Sr-87 è stata prodotta per decadimento radioattivo.
Si fa questo disegnando il grafico del rapporto Sr-87/Sr-86 in funzione del rapporto Rb-87/Sr-86. Quando una roccia si è appena formata, i diversi granuli hanno una vasta gamma di rapporti Rb-87/Sr-86, ma in tutti i granuli il rapporto Sr-87/Sr-86 è lo stesso poiché i processi chimici che differenziano i granuli non possono separare gli isotopi. Dopo che la roccia è rimasta solida per diversi miliardi di anni, una frazione di Rb-87 sarà decaduta in Sr-87. Allora il rapporto Sr-87/Sr-86 sarà più elevato nei granuli con un elevato rapporto Rb-87/Sr-86. Fai un'interpolazione lineare di
Sr-87/Sr-86 = a + b*(Rb-87/Sr-86)
e dunque il coefficiente angolare è dato da
b = 2x - 1
con x inteso come numero di semi-vite in cui la roccia è rimasta allo stato solido. Leggiti la isochrone FAQ del newsgroup talk.origins per maggiori informazioni sulla datazione radioattiva.
Applicata alle rocce della superficie terrestre, il metodo fornisce per quelle più antiche il valore di circa 3.8 miliardi di anni. Se applicato alle meteoriti, le più vecchie hanno 4.56 miliardi di anni. questa età molto ben determinata è l'età del sistema solare. Leggiti la age of the Earth FAQ del newsgroup talk.origins per maggiori informazioni sullìetà del sistema solare.
Applicato a sistemi misti ed in evoluzione, come ad esempio il gas nella Via Lattea, non è possibile raggiungere una elevata precisione. Un grosso problema è che non vi è separazione in granuli di cristalli diversi, per cui si devono usare i valori assoluti dei rapporti tra gli isotopi anziché le pendenze delle interpolazioni lineari. Ciò richiede che si conosca con precisione la quantità iniziale di ciascun isotopo, per cui è necessario un modello accurato della produzione degli elementi.
Una coppia di isotopi comunemente utilizzati è renio e osmio: in particolare il Re-187 che decade in Os-187 con semi-vita di circa 40 miliardi di anni. A quanto pare circa il 15% del Re-187 è decaduto, per cui si deduce un'età di 8-11 miliardi di anni. Ma questa è solo l'età media di formazione dei materiali presenti nel sistema solare. Negli ultimi 4.56 miliardi di anni non si è prodotto ulteriore renio né osmio. Per utilizzare con cognizione di causa questo dato in vista della determinazione dell'età dell'Universo, occorre avere un modello di quando gli elementi sono stati costituiti. Se tutti gli elementi chimici si fossero prodotti subito dopo il Big Bang, allora l'età dell'Universo sarebbe semplicemente to = 8-11 miliardi di anni. Ma se gli elementi sono prodotti continuamente ad un tasso costante, allora l'età media dei materiali nel sistema solare è
(to + tSS)/2 = 8-11 miliardi di anni
che possiamo risolvere per l'età dell'Universo, ottenendo
to = 11.5-17.5 miliardi di anni
Una pubblicazione molto interessante di Cowan et al. (1997, ApJ, 480, 246) discute l'abbondanza del torio nell'alone di una stella antica. Di solito non è possibile misurare l'abbondanza degli isotopi radioattivi nelle altre stelle perché le righe spettrali sono troppo deboli. Ma nella stella CS 22892-052 le righe del torio possono essere individuate perché quelle del ferro sono molto deboli e non le confondono. Il rapporto tra Th/Eu (europio) in questa stella è 0.219 paragonato al valore attuale di 0.369 nel nostro sistema solare. Il torio decade con una semi-vita di 14.05 miliardi di anni, dunque il sistema solare si è formato con un rapporto Th/Eu = 24.6/14.05*0.369 = 0.463. Se CS 22892-052 si è formata con lo stesso rapporto Th/Eu ha dunque 15.2 ± 3.5 miliardi di anni. In realtà l'età è un poco più alta perché una certa quantità di torio ora nel sistema solare dev'essere decaduta prima della formazione del Sole, e questa correzione dipende dalla storia della nucleosintesi nella Via Lattea. In ogni caso, si tratta di una interessante misura dell'età delle stelle più vecchie indipendente dai metodi che sfruttano il diagramma H-R.
Una pubblicazione successiva di Cowan et al. (1999, ApJ, 521, 194) fornisce 15.6 ± 4.6 miliardi di anni per l'età basata su due stelle: CS 22892-052 e HD 115444.
Nella fase in cui le stelle bruciano idrogeno in elio nei loro nuclei, esse giacciono su una singola traccia nel diagramma luminosità-temperatura noto come diagramma H-R dal nome dei suoi inventori, Hertzsprung and Russell. Questa traccia è nota col nome di sequenza principale, dato che vi si trova la maggior parte delle stelle. Dal momento che la luminosità di una stella varia come M3 o M4, il tempo di vita di una stella appartenente alla sequenza principale varia come t=const*M/L=k/L0.7. Per questo, misurando la luminosità della stella più luminosa della sequenza principale, si ottiene un limite superiore dell'età dell'ammasso:
Age < k/L(MS_max)0.7
Questo è un limite superiore dato che l'assenza di stelle più luminose di quella osservata L(MS_max) potrebbe essere dovuta al fatto che non si sono formate stelle nell'intervallo di massa appropriato. tuttavia, per ammassi con centinaia di membri, questo buco nella distribuzione delle masse è improbabile, per cui l'età è proprio k/L(MS_max)0.7. Chaboyer, Demarque, Kernan and Krauss (1996, Science, 271, 957) hanno applicato questa tecnica agli ammassi globulari ed hanno trovato che l'età dell'Universo è maggiore di 12.07 miliardi di anni con una confidenza del 95%. Chaboyer (1997) ha fornito una stima migliore: 14.6 ± 1.7 miliardi di anni per l'età degli ammassi globulari. Tuttavia risultati recenti del satellite Hipparcos mostrano che gli ammassi globulari sono più lontani di quanto si pensava, per cui le stelle sono in realtà più luminose. Gratton et al. forniscono età comprese tra 8.5 e 13.3 miliardi di anni, con 12.1 come valore più probabile, mentre Reid fornisce età comprese tra 11 e 13 miliardi di anni, e Chaboyer et al. danno 11.5 ± 1.3 miliardi di anni come età media degli ammassi globulari.
Una nana bianca è una stella massiccia come il Sole ma con un raggio come quello della Terra. La densità media è dunque milioni di volte quella dell'acqua. Le nane bianche si formano al centro delle giganti rosse, ma non sono visibili finché non si dirada nello spazio tutto il guscio di gas che le avvolge. Quando ciò avviene la radiazione ultravioletta dalla caldissima stella centrale ionizza il gas e produce una nebulosa planetaria. Il guscio della stella continua ad allontanarsi fino a rendersi praticamente invisibile, e lascia solo il nucleo caldissimo che ora si chiama nana bianca. Le nane bianche non producono più energia per mezzo di reazioni nucleari, per cui vanno spegnendosi lentamente fino a diventare corpi freddi. Le nane bianche più antiche saranno le più fredde e dunque le più deboli. Cercando deboli nane bianche, si può stimare il tempo di raffreddamento delle più antiche nane bianche. Oswalt, Smith, Wood e Hintzen (1996, Nature, 382, 692) hanno compiuto questo studio ottenendo un'età di 9.5+1.1-0.8 miliardi di anni per il disco della Via Lattea. Essi stimano che l'età dell'Universo sia almeno di 2 miliardi di anni più alta, dunque to > 11.5 miliardi di anni.
Fonte: http://www.evan60.net/uploads/6/3/2/5/6325749/cosmologia_antologia.doc
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