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1 . Generalità
Specie chimiche isolate hanno una loro energia; più questa energia è bassa e più un elemento si definisce stabile.
Due elementi che interagiscono e si portano a livelli energetici più bassi, formano una nuova specie chimica detta molecola; la forza attrattiva che li tiene aggregati è definita legame.
Come si formano i legami
Gli elementi si devono innanzitutto avvicinare. Man mano che diminuisce la distanza tra i nuclei, aumenta la repulsione tra que-sti in quanto hanno cariche di stesso segno.
Gli elettroni interposti tra il primo ed il secondo elemento d’altro canto, risentono invece delle forza attrattive dei due nuclei.
Nel momento in cui le forze di attrazione e repulsione si bilanciano, si forma il legame e le specie chimiche si stabilizzano, eliminando energia.
Tale distanza chiaramente non ha un valore costante, ma varia in funzione del volume atomico della specie e degli elementi che entrano in reazione ed è chiamata distanza di legame.
Più energia viene eliminata e più il legame sarà forte. Per rompere il legame sarà necessario fornire una quantità di energia detta energia di legame (kJ/mol) pari a quella liberata.
2 . Classificazione dei legami
3 . Teorie sul legame chimico
Già nella seconda metà dell’Ottocento erano state elaborate delle teorie di legame: una delle più accreditate era quella della valenza di Edward Frankland (1825-99). Con la scoperta degli elettroni nel 1897 e dei raggi X, le teorie sul legame chimico si modificarono. In particolare, fu presto chiaro che gli elettroni erano coinvolti nel meccanismo di formazione del legame e che ogni elemento della tavola periodica aveva un elettrone in più rispetto al precedente.
Nel 1904 Richard Abegg (1869-1910) aveva capito che i gas nobili erano molto poco reattivi perché possedevano una grande stabilità elettronica , pertanto tutti gli elementi acquistavano o cedevano elettroni in modo da raggiungere la stessa configurazione stabile dei gas nobili. In pratica, Abegg utilizzava già quella che oggi è nota come
regola dell’ottetto:
Con questa teoria si riusciva a spiegare il meccanismo di formazione degli ioni, ma non la formazione del legame oggi noto come covalente, per esempio nel caso di due atomi di ossigeno che si uniscono a formare la molecola O2.
Furono Lewis e Irving Langmuir nel 1916 a proporre indipendentemente l’uno dall’altro una teoria di legame più completa di quella di Abegg.
Quando formano un legame, gli atomi tendono a completare il livello esterno e a raggiungere l’ottetto e lo possono fare in due modi: donando o cedendo elettroni (detti di valenza), oppure
mettendo in comune uno o più elettroni con l’atomo con cui formano il legame.
Per rappresentare il legame tra due atomi, Lewis propose una particolare simbologia. Si tratta di un metodo semplice per descrivere gli elettroni nel guscio di valenza di un atomo, quindi si evidenzia solo la configurazione elettronica esterna tralasciando quella interna completa.
I primi 4 elettroni di valenza, rappresentati da punti, sono posti uno alla volta attorno al simbolo dell’atomo; se vi sono altri elettroni di valenza, questi vengono accoppiati a quelli già presenti:
4 . Legami forti
Specie chimiche isolate attraverso i legami forti formano aggregati atomici definiti molecole, altamente stabili, capaci di esistere come unità indipendenti in tutti gli stati di aggregazione della materia: solido, liquido e gassoso.
Riprendiamo l’esempio già considerato inizialmente della molecola più semplice, quella dell'idrogeno (H2).
L'atomo di idrogeno ha configurazione elettronica 1s: è cioè costituito da un protone ed un elettrone. Quando due atomi di idrogeno si avvicinano l'uno all'altro, le forze di attrazione che il nucleo di un atomo esercita sulla nuvola elettronica dell'altro vanno via via aumentando man mano che diminuisce la distanza fra di loro (vedi il grafico a lato dell'Energia potenziale, Ep, in funzione della distanza fra i nuclei). Giunti ad una distanza di 0.74 Å, l'attrazione è massima, mentre la repulsione fra i due nuclei è ancora relativamente bassa. In queste condizioni, le nuvole elettroniche dei due atomi si fondono in modo che i due orbitali atomici danno origine ad un nuovo orbitale, orbitale di valenza o molecolare, che ospita entrambi gli elettroni e occupa una regione dello spazio che comprende i due nuclei. Al di sotto di questa distanza, la repulsione internucleare prenderebbe a crescere rapidamente, per cui i due nuclei tendono a rimanere alla distanza di minima energia potenziale.
Legami forti ed elettronegatività
Quanto abbiamo appena illustrato, relativamente all’attrazio-n e esercitata dai nuclei sugli elettroni di legame, rientra nell’ottica dell’elettronegatività introdotta da Pauling intorno agli anni ‘30
E’ chiaro che se il legame interessa specie chimiche uguali, come nell’esempio precedente gli elettroni interposti tra i nuclei si dispongono alla stessa distanza tra questi, in quanto i due atomi di idrogeno hanno stessa elettronegatività. Gli elettroni dei due atomi (elettroni di legame) vengono pertanto condivisi ed il legame prende il nome di legame covalente puro.
Se le specie chimiche coinvolte nel legame sono invece diverse, ma a bassa differenza di elettronegatività,cioè compresa tra 0 e 1,6 - gli elettroni di legame non si distribuiranno simmetricamente tra i nu-clei, ma saranno più spostati verso l’elemento più elettronegativo. Un esempio rappresentativo può essere quello dell’acido cloridrico HCl, in cui il cloro è l’elemento più elettronegativo. La molecola si dirà polare in quanto presenterà una parziale polarità positiva (d+) dalla parte dell’idrogeno (elemento meno elettronegati-vo) ed una parziale polarità negativa (d-) dalla parte del cloro. Il legame si dirà covalente polare o eteropolare.
Qualora la differenza di elettronegatività tra gli elementi coinvolti nel legame abbia valori elevati, cioè superiori a 1,6 - gli elettroni di legame saranno catturati dall’elemento più elettronegativo che diventerà uno ione stabile a carica negativa. Conseguentemente l’altro elemento, avendo perduto uno o più elettroni esterni avrà carica positiva. Tale legame si dirà ionico o salino in quanto tipico dei sali cioè di quelle molecole binarie formate da metallo e non metallo.
4 .1 Legame covalente
Nel legame covalente due o più specie chimiche uguali o diverse tra di loro, mettono in comune due o più elettroni (purché a differenze di elettronegatività consentite cioè inferiori a 1,6). Questo avviene per completare il livello energetico nel rispetto della regola dell’ottetto. Quando gli elettroni vengono messi in compartecipazione, non gireranno più in un orbitale atomico, ma in un orbitale molecolare. Si rappresenta con una coppia di puntini interposta tra i simboli degli elementi o con una linea.
Legame singolo omopolare
Riprendiamo l’esempio dell’idrogeno gassoso H2 dove vengono coinvolti nel legame due sottolivelli s. Due atomi di idrogeno appartenendo al primo gruppo hanno entrambi un solo elettrone all’ultimo livello.
Nel momento in cui si forma il legame, gli elettroni spaiati vengono condivisi a spin opposti, in un unico orbitale detto orbitale molecolare. Gli elettroni di legame del sottolivello s, si disporranno in una nube avvolgente la distanza tra i due nuclei.
Questo legame, molto forte, è detto legame s (sigma).
Un altro esempio di legame singolo è quello tra due atomi di cloro per la formazione di cloro gassoso Cl2. Qui vengono coinvolti nel legame due sottolivelli di tipo p. Il cloro è un elemento del settimo gruppo e pertanto ha sette elettroni all’ultimo livello.
Il caso è analogo al precedente. I due elettroni spaiati vengono messi in comune e si forma anche qui un legame singolo con la formazione di un orbitale molecolare. L’unica variabile sono gli orbitali coinvolti nel legame: per i due atomi di cloro sono quelli del sottolivello p.
Anche in questo caso gli elettroni di legame si dispongono in una nube che circonda la linea immaginaria che unisce i due nuclei.
Il legame è molto forte ed è un legame di tipo s.
Legame singolo eteropolare
Due elementi diversi a bassa differenza di elettronegativà possono condividere un elettrone spaiato in orbitali di sottolivelli p (le modalità di formazione sono analoghe a quelle del caso precedente del cloro gassoso Cl2) oppure formano l’orbitale molecolare con un orbitale di sottolivello s ed uno di sottolivello p. Un esempio può essere quello dell’acido cloridrico HCl. Anche in questo caso si forma un legame forte di tipo s.
La differenza con i casi precedenti è che le specie coinvolte non sono uguali e quindi risulta diversa la simmetria del legame. In questo caso gli elettroni di valenza sono più attratti dal cloro che ha un’elettronegatività maggiore rispetto a quella dell’idrogeno, pertanto la molecola presenterà un dipolo.
Legami singoli covalenti, nella maggior parte dei casi, coinvolgono più di due elementi. Un esempio è quello offerto dalla molecola d’acqua H2O. L’ossigeno mette in comune un elettrone spaiato di un orbitale p con quello dell’orbitale s dell’idrogeno e l’altro elettrone singolo dell’altro orbitale p con un altro idrogeno.
Anche in questo caso si formano due legami di tipo s e la molecola risulta polare con un d+ dalla parte degli idrogeni meno elettronegativi e un d- dalla parte dell’ossigeno.
Legame doppio
Si forma quando due specie chimiche mettono in comune ciascuno due elettroni spaiati. Un caso potrebbe essere quello dell’ossigeno molecolare O2. Il primo legame che si forma è di tipo s, il secondo invece determina la formazione di un orbitale molecolare in cui gli elettroni si collocano esternamente rispetto alla linea congiungente i due nuclei. Tale legame, più debole del precedente è chiamato p (pi greco).
Legame triplo
In questo caso le due specie chimiche mettono in comune ciascuno tre elettroni spaiati. Un esempio potrebbe essere quello dell’azoto molecolare N2. Il primo legame che si forma è di tipo s, gli altri due legami sono di tipo p.
Legame covalente dativo
Il legame dativo detto anche di coordinazione è un particolare legame covalente che si instaura tra due elementi di cui uno mette in compartecipazione una coppia di elettroni non impegnata in alcun legame (lone pair) e l’altro un orbitale vuoto.
Diversamente dal legame covalente, quello dativo si forma tra due non metalli di cui uno ha già raggiunto l’ottetto. E’ proprio quest’ultimo (elemento donatore) che mette a disposizione il suo lone pair con l’altro elemento (elemento accettore). Il vantaggio nel legarsi risiede nel fatto che il legame aggiuntivo stabilizza maggiormente la molecola portandola a livelli energetici più bassi.
Il legame dativo si rappresenta graficamente con una freccia che parte dal donatore e va verso l’accettore. La freccia indica che sono stati messi in comune due elettroni, pertanto va considerata in modo analogo ad un doppio legame; per questo motivo molti autori rappresentano il legame dativo anche con due linee (forma però meno corretta).
Vediamo degli esempi.
Caso dello ione ossonio o idrogenione H3O+. Partiamo dalla molecola d’acqua.
L’ossigeno, come si vede dalla figu-ra ha ben due lone pair, pertanto mette in comune una coppia di elettroni con lo ione idrogeno che,
avendo perso l’elettrone ha l’orbitale vuoto. Il legame dativo nella formula è evidenziato dalla freccia.
Caso degli acidi del cloro. Partiamo dall’acido ipocloroso HClO.
In questo caso il cloro ha ben tre lone pair, in grado quindi poten-zialmente di formare fino a tre legami dati-vi. Se lo facciamo rea-gire con un altro atomo di ossigeno si osserva però che quest’ultimo non dispone di orbitali vuoti. Si ammette quindi che l'ossigeno possa subire una transizione dalla con-figurazione più stabile, prevista dalla regola di Hund ad una configurazione, meno stabile nella quale un elettrone viene spostato da un orbitale p semisaturo, generando un orbitale vuo-to, all’altro orbi-tale p semisa-turo.
In questo modo l'ossigeno possiede ora un orbitale p vuoto che può utilizzare come accettore di un doppietto elettronico per formare un ulteriore legame chimico con il cloro di tipo dativo, per dare l’acido cloroso HClO2.
Il passaggio dell’ ossigeno ad una configurazione me-no stabile richiede ovviamente ener-gia, ma questa viene più che com-pensata dall’ au-mento di stabilità che si ottiene con la formazione di un ulteriore legame.
Il cloro ha ancora due coppie di elettroni non impegnati in alcun legame pertanto può legarsi per ben due volte con altri due atomi di ossigeno con legame dativo. Le modalità di formazione dei legami sono analoghe a quelle appena descritte.
Avremo pertanto le seguenti molecole:
4 .2 Legame ionico
Si instaura tra due elementi che hanno differenze di elettronegatività superiori a 1,9. E’ chiamato anche legame salino perché è il legame tipico dei sali, ma è presente anche negli ossidi acidi, cioè in composti formati da metallo più ossigeno (si parla comunque sempre di metallo e non metallo).
I metalli difatti hanno la caratteristica di cedere facilmente elettroni e i non metalli quella di acquistarli.
Quando questi elementi interagiscono formano quindi ioni ed il legame non è altro che l’attrazione elettrostatica tra il catione e l’anione neoformati. Tali ioni si dispongono alternandosi regolarmente in strutture cristalline ordinate, molto stabili. La geometria del cristallo dipende dal tipo di ioni che lo compongono.
E' opportuno specificare che con il legame ionico non si formano molecole: una molecola infatti è un aggregato di atomi e non di ioni. La formula di un composto ionico, ad esempio NaCl, non sta quindi ad indicare una molecola, ma semplicemente il rapporto di combinazioni tra ioni positivi e negativi nella struttura cristallina affinchè questa risulti neutra.
Il legame ionico è in genere un legame forte, ed è tanto più forte quanto maggiore è la carica elettrica posseduta dagli ioni coinvolti, e quanto minore è la distanza fra essi. La distanza fra gli ioni è determinata a sua volta dalle loro dimensioni. Facciamo un esempio per chiarire quanto appena detto. NaCl fonde a 801 °C, mentre CaO (ossido di calcio), che è pure un solido ionico, fonde alla temperatura di 1580 °C. La notevole differenza dei punti di fusione dei due composti dipende dalla forza dei legami e trova giustificazione nel fatto che gli ioni Ca++ e O-- che caratterizzano la struttura dell'ossido di calcio, non solo posseggono carica doppia di quella degli ioni Na+ e Cl-, ma sono anche molto più piccoli.
Il cristallo ionico è:
• duro (non si lascia penetrare)
• rigido (non si piega)
• fragile (si frattura senza deformarsi)
• un solido cristallino con temperatura di fusione alta
Queste proprietà sono dovute alle in-tense forze at-trattive che mantengono gli ioni in posizioni specifiche in tutto il cristallo.
Caratteristiche dei composti ionici:
- I composti ionici sono tutti solidi a temperatura ambiente
- Non conducono la corrente allo stato solido ma sono tutti buoni conduttori di
corrente elettrica allo stato fuso o in soluzione.
Nonostante siano presenti ioni, questi rimangono fissi in posi-zioni determinate all’interno del cristallo, al massimo possono vibrare, ma allo stato fuso, l’e-nergia cinetica maggiore con-sente lo spostamento degli ioni e quindi la conducibilità elettri-ca. In acqua gli ioni vengono i-dratati (circondati da molecole d’acqua) in base alla polarità opposta, cioè l’ossigeno della molecola acqua attrae con il suo d- lo ione Na+ circondando-lo, viceversa gli idrogeni dell’ac-qua circondano il Cl-.
4 .3 Legame metallico
I metalli sono elementi chimici i cui atomi si presentano con pochi elettroni all’ultimo livello energetico; questi elementi, avendo bassa affinità elettronica e basso potenziale
di ionizzazione hanno elettroni esterni particolarmente mobili, pertanto facilmente si trasformano in ioni positivi. Tali ioni poi si dispongono in modo ordinato all'interno di una struttura tridimensionale nella quale una nube di e-lettroni delocalizzata circola avvolgendo gli ioni positivi e mantenendoli compatti.
Il legame che tiene uniti ioni positivi ed elettroni è detto legame metallico. Tanto più numerosi sono gli elettroni mobili, tanto più forte sarà il legame metallico.
Questo modello spiega in modo coerente tutte le proprietà dei metalli, come per esempio la malleabilità (capacità di essere trasformato in lamine sottili), la duttilità (capacità di essere trasformato in fili sottili) e in genere la facile lavorabilità di queste sostanze. L'alto grado di deformabilità dei metalli è determinato infatti dalla distribuzione uniforme degli elettroni mobili che da un lato permette lo scivolamento degli ioni positivi lungo i piani reticolari e dall'altro garantisce la loro coesione.
Inoltre, l'elevata conducibilità elettrica e termica si giustifica immediatamente con la notevole mobilità di cui sono dotati gli elettroni: l'azione di un campo elettrico provoca infatti l'immediato trasferimento degli stessi lungo il metallo e analogamente l'aumento di temperatura in una zona del metallo determina l'aumento della loro energia cinetica e la conseguente trasmissione del movimento a quelli presenti nella parte più fredda.
Infine la tipica lucentezza metallica si spiega immaginando che la luce costringa gli
elettroni a saltare sui numerosi livelli energetici vuoti e molto vicini gli uni agli altri degli ioni che costituiscono il metallo, per poi ricadere ai livelli inferiori, restituendo l'energia sotto forma di fotoni di vario tipo, cioè di luce di tutti i colori.
Le caratteristiche metalliche degli elementi si vanno attenuando procedendo lungo il
Sistema Periodico, da sinistra a destra. Ciò si giustifica considerando che gli elettroni di valenza aumentano progressivamente in quella direzione riempiendo gli orbitali più esterni.
5 . Legami deboli
Sono legami di natura elettrostatica, che si instaurano tra molecole della stessa specie o di specie diverse già formate. Per questo motivo sono detti anche legami intermolecolari. Nonostante hanno meno di un ventesimo di energia in meno rispetto ai legami forti e quindi si possono rompere con molta facilità, sono molto importanti perché contribuiscono a determinare le proprietà fisiche dei composti. In macromolecole come il DNA o le proteine investono un ruolo essenziale nella loro struttura, perché nonostante siano deboli, quando agiscono simultaneamente conferiscono stabilità alla molecola e allo stesso tempo flessibilità, importantissima nei processi biologici.
5 .1 Legame idrogeno
Il legame idrogeno è un particolare legame che si instaura tra due molecole che abbiano un dipolo, definito anche come legame dipolo-dipolo. Diversamente da un generico legame dipolo-dipolo, per verificarsi necessita di determinate condizioni:
Così l'idrogeno verrà attratto con la formazione di un legame più intenso rispetto ad una semplice interazione dipolo-dipolo e tale legame viene evidenziato graficamente con tre puntini.
Il caso sicuramente più rappresentativo è quello offerto dalla molecola d’acqua. Nonostante il legame idrogeno che si instaura nell'acqua abbia una forza di circa quindici volte minore rispetto ad un normale legame covalente e una distanza di legame media notevolmente maggiore ha un’influenza fondamentale sul suo stato di aggregazione. Sono proprio i legami idrogeno presenti nell’acqua a determinare le proprietà dell’acqua come la coesione, l’adesione,la temperatura di ebollizione etc.
Nell'acqua liquida i legami idrogeno si formano e si distruggono continuamente ed ogni molecola di acqua può formare due+due legami idrogeno. Nel ghiaccio, per la minore agitazione termica, la struttura tridimensionale tende ad essere tetraedrica e ciascuna molecola di acqua forma quattro legami idrogeno stabili. Tale fattore determina distanze fisse e costanti tra molecole, con spazi intermolecolari maggiori nel ghiaccio, piuttosto che nel liquido. Questo è il motivo per cui nel passaggio da liquido a solido, l’acqua aumenta di volume, diversamente dagli altri liquidi.
In NH3 (ammoniaca) il legame idrogeno è più debole perchè l'elettronegatività dell'azoto è minore rispetto a quella dell'ossigeno. Molto forte risulta invece in HF (acido fluoridrico), anche se bolle a una temperatura inferiore a quella dell'acqua per la presenza tra molecola e molecola di un solo legame idrogeno.
Importanza del legame idrogeno
Se non ci fosse il legame idrogeno l'acqua bollirebbe a circa - 100°C, ben 200 gradi di differenza rispetto alla realtà.
Interviene anche in moltissime sostanze di natura organica (es. proteine e DNA).
La struttura delle proteine è stabilizzata dalla formazione di legami a idrogeno tra l'idrogeno ammidico (-NH) di un legame peptidico e l'ossigeno carbossilico (-C=O) che lo sovrasta. La struttura terziaria di alcune proteine ed enzimi viene mantenuta anche con il contributo di questo tipo di legame.
L'accoppiamento delle basi, nel DNA, è ottenuto e in parte mantenuto, da un certo numero di opportuni legami idrogeno che si instaurano tra le coppie Adenina-Timina (2 legami idrogeno) e Guanina-Citosina (tre legami idrogeno).
5 .2 Legame ione dipolo
E’ anche questo un legame debole dovute a forze elettrostatiche che si esercitano fra uno ione e più molecole polari. Un catione sarà circondato dalla parziale carica negativa di una molecola dipolare, così l’anione dalla parziale carica positiva di una molecola dipolare.
Il legame dipolo dipende:
E’ chiaro che la forza di attrazione sarà maggiore se la distanza tra ione e dipolo è minima, se la carica dello ione è alta, se le dimensioni del dipolo sono ridotte.
Nel momento in cui si forma il legame, le specie chimiche liberano energia stabilizzando il complesso.
E’ questo il legame che si instaura durante i processi di dissociazione per effetto di un solvente polare, cioè quando una molecola si scinde in ioni sotto l’influenza di un dipolo e la solubilizzazione di sali. Un esempio classico di tale processo è l’idratazione degli ioni del sale da cucina NaCl sciolto in acqua: in soluzione, gli ioni sono circondati da molecole d’acqua che rivolgono la loro estremità polarizzata di segno opposto alla carica dello ione.
5 .3 Legami di Van der Waals
Sono legami deboli di natura elettrostatica che si instaurano tra molecole in cui sono presenti legami covalenti. La natura di queste interazioni tra le molecole fu individuata dallo scienziato olandese J.D. van der Waals, al quale per questa scoperta fu attribuito il premio Nobel nel 1910. Il suo lavoro fu proseguito dallo scienziato tedesco F. London che giunse a formulare una legge che descrive queste forze, per tale motivo vengono anche chiamate forze di dispersione di London.
Tali legami si formano solo a condizione che le specie chimiche siano a distanza ravvicinata, è per questo che sono detti anche legami a corto raggio.
Nonostante tali forze intermolecolari siano dotate di scarsa energia, la loro esistenza è fondamentale nel determinare gli stati di aggregazione delle sostanze e sono anche responsabili di altre notevoli proprietà dei composti molecolari, come ad esempio la loro struttura cristallina, il punto di fusione, il punto di ebollizione, i calori di fusione e di vaporizzazione, la tensione superficiale e la densità.
Le forze intermolecolari, in aggiunta a quanto detto, giocano un ruolo importante nello stabilizzare le forme tridimensionali delle macromolecole biologiche (enzimi e proteine).
Le forze intermolecolari possono essere permanenti o transitorie.
Le prime sono dovute all’interazione di specie chimiche contenenti un dipolo che si mantiene stabilmente nella molecola: in questa categoria rientra il legame idrogeno. Le seconde si presentano grazie ai moti termici in grado di provocare rapide oscillazioni delle nuvole elettroniche che determinano la formazione di dipoli momentanei.
Si instaura tra molecole dipolari permanenti che si orientano in modo che i dipoli opposti dell’una e dell’altra si attraggano tra di loro.
Si verifica nei liquidi e nei solidi; nei gas invece l’energia cinetica delle molecole non consente che si formi un complesso stabile.
Si instaura tra una molecola in cui è presente un dipolo permanente ed un’altra apolare facilmente polarizzabile per induzione (dipolo momentaneo).
Sono legami che si instaurano tra molecole inizialmente apolari che possono diventare dipoli temporanei. Sono i legami più deboli tra quelli elettrostatici, comunemente distinti dagli altri come forze di London o di dispersione.
Sappiamo che gli elettroni, anche se statisticamente distribuiti in modo uniforme, sono in continuo movimento. Quando, in un dato istante, gli elettroni si trovano casualmente più addensati in un lato della molecola, la distribuzione delle cariche non risulta più uniforme. La molecola si trova ad avere due poli elettrici istantanei (dipolo indotto): un polo negativo dalla parte in cui si sono addensati gli elettroni ed un altro positivo dove le cariche del nucleo non sono perfettamente neutralizzate dalle cariche degli elettroni.
La molecola risulta polarizzata diviene un dipolo elettrico, influenza le molecole vicine, che diventano temporaneamente anch'esse dei dipoli elettrici. Questi dipoli elettrici istantanei si attirano vicendevolmente, ma le loro attrazioni diventano significative solo quando le molecole sono molto vicine, cioè quando le sostanze si trovano allo stato liquido o allo stato solido.
L'origine di queste forze è legata alla, possibilità degli elettroni di muoversi per creare i dipoli elettrici. E’ ragionevole quindi pensare che quanto più le molecole sono grosse tanto più gli elettroni sono numerosi e distanti dai nuclei: essi possono muoversi quindi più liberamente e favorire la polarizzazione delle molecole. Perciò la formazione di dipoli istantanei è più facile nelle molecole formate da atomi con numero atomico elevato. E’ ragionevole quindi affermare che l'intensità delle forze di London aumenta con l'aumentare delle dimensioni delle molecole apolari. La conseguenza macroscopica più evidente è rappresentata dai valori delle temperature di fusione e di ebollizione: se aumenta l'intensità delle forze di attrazione tra le molecole, aumentano anche la temperatura di fusione e quella di ebollizione.
Formule chimiche
Una molecola viene rappresentata sinteticamente attraverso due tipi diversi di formula:
La formula grezza ci dà indicazioni qualitative e quantitative sulla molecola, cioè utilizzando i simboli degli elementi esprime quali e quanti elementi sono presenti.
La formula di struttura oltre a fornirci queste indicazioni, ci indica il tipo di legame e la disposizione spaziale degli elementi che compongono la molecola.
Per determinare la formula di struttura si possono utilizzare le strutture di Lewis con le relative regole. In tal modo possiamo avere una visione bidimensionale della molecola e indicazioni su come si legano gli elementi e in quale successione, senza però avere informazioni dirette sulla geometria e la forma molecolare (ovvero distanze di legame, angoli di legame, torsioni, conformazioni, etc.)
STRUTTURA DI LEWIS: REGOLE |
|
1 |
Si scrive lo scheletro della molecola tenendo presente che: - l'atomo di H è sempre terminale (legato ad un solo atomo); - l'atomo centrale è quello a più bassa elettronegatività. |
2 |
Si contano gli elettroni di valenza degli atomi nella molecola. (sulla base degli atomi che la costituiscono ed eventualmente tenendo conto di cariche positive o negative) |
3 |
Si sistemano per primi (a coppie) gli elettroni di legame. |
4 |
Si completano gli ottetti degli atomi legati a quello centrale. |
5 |
Se avanzano elettroni si collocano sull'atomo centrale. |
6 |
Se l'atomo centrale non ha 8 elettroni attorno a sé si formano doppi o tripli legami |
Fonte: http://www.ianua.com/patrizia/scuola/file/chimica_inorg/Legami.docx
Sito web da visitare: http://www.ianua.com
Autore del testo: P.Moscatelli
Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.
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