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LA NUOVA DIRETTIVA SUI DIRITTI DEL CONSUMATORE
Europa e dir. priv., fasc.4, 2011, pag. 861
Salvatore Mazzamuto
Classificazioni: UNIONE EUROPEA - Ce - - protezione dei consumatori
Sommario: 1. I recenti sviluppi del diritto privato europeo: la direttiva sui diritti dei consumatori. - 2. La disciplina generale dell'informazione. - 3. La disciplina dei contratti a distanza e dei contratti negoziati fuori dai locali commerciali. - 4. Le modifiche alla disciplina della vendita di beni di consumo. - 5. Qualche apertura sul fronte del contratto asimmetrico?
1. L'ultimo passaggio degno di nota nel moto pendolare europeo è costituito dal Draft Common Frame of Reference (DCFR) (1) ad opera del Gruppo di studio per un codice civile europeo diretto da Christian von Bar e del Gruppo Acquis che è stato inviato alla Commissione il 28 dicembre 2007: l'idea di un «Quadro comune di riferimento» si è così precocemente affievolita nella predisposizione di un progetto preliminare, che a sua volta è incappato nella mannaia della Commissione, la quale nel 2010 ha optato espressis verbis per un diritto europeo dei contratti facoltativo ed ha richiesto al Gruppo di esperti la stesura di un nuovo progetto di minore ampiezza in materia contrattuale, poi racchiuso in un testo di soli 187 articoli di cui è disponibile un'ultima versione del 19 agosto 2011 (2).
L'abito sembra, infine, ulteriormente restringersi ad opera della Commissione con la recentissima «Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo a un diritto comune europeo della vendita» dell'11 ottobre 2011 [COM(2011) 635 def.], la quale vorrebbe introdurre uno strumento opzionale a disposizione dei contraenti per le vendite transfrontaliere tra professionisti e consumatori ma anche business to business, purché almeno una delle parti sia un'impresa medio-piccola, che consente per l'appunto ai contraenti la deroga consensuale al diritto internazionale privato e l'adozione in sua vece di una disciplina uniforme a sfondo protettivo della parte debole.
Il 25 ottobre 2011, il Parlamento europeo ed il Consiglio dell'UE ha subito dopo definitivamente adottato il testo di una nuova direttiva sui diritti dei consumatori non particolarmente ampia ma dal tenore molto analitico [Direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011 sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio].
La nuova è entrata in vigore 20 giorni dopo la sua pubblicazione sulla GUUE avvenuta il 22 novembre 2011 mentre gli Stati membri avranno 2 anni di tempo dall'entrata in vigore per varare le leggi, i regolamenti e gli atti amministrativi necessari per l'attuazione e di cui è già disponibile la versione italiana purtroppo di fattura non certo pregevole - si volge a modificare o sostituire la precedente disciplina comunitaria a tutela dei consumatori (la dir. 93/13 sulle clausole abusive, la dir. 99/44 sulla vendita e le garanzie nei beni di consumo, la dir. 97/7 in materia di contratti a distanza e la dir. 85/577 in materia di contratti stipulati fuori dei locali commerciali) e si applica ai contratti conclusi tra un professionista e un consumatore, nonché ai contratti per la fornitura su base contrattuale di acqua, gas, elettricità e teleriscaldamento da parte di prestatori pubblici.
Il legislatore europeo, dunque, ambisce ad una sorta di primo restyling generale della disciplina protettiva del consumatore e ciò trapela sia dal titolo sia dal tenore di alcune norme ed in particolare dall'art. 1 sulle finalità dell'intervento (lo scopo della direttiva è quello di contribuire, mediante il raggiungimento di un alto livello di tutela del consumatore, ad un miglior funzionamento del mercato interno, approssimando taluni aspetti della regolamentazione degli Stati membri concernente i contratti tra consumatori e i professionisti, ossia coloro che agiscono sul mercato, comprando e vedendo beni o servizi) (3); dall'art. 3 nn. 1 e 2, sul campo di applicazione (la direttiva si applica ad ogni contratto concluso tra un professionista e un consumatore ed ai contratti di fornitura di acqua, gas, elettricità o teleriscaldamento, inclusi quelli stipulati da pubblici fornitori su base contrattuale; in caso di conflitto tra le norme della direttiva e quelle di altro atto dell'Unione saranno queste ultime a prevalere) (4); dall'art. 4 sul livello di armonizzazione (gli Stati Membri non possono mantenere o introdurre previsioni divergenti da quelle stabilite dalla direttiva, incluse quelle più o meno stringenti volte ad assicurare un diverso livello di tutela del consumatore, salvo che sia altrimenti previsto dalla direttiva stessa) (5); e dall'art. 25 sul carattere imperativo della disciplina e, quindi, sulla sua inderogabilità e sull'indisponibilità dei diritti da essa conferiti al consumatore (se la legge applicabile al contratto è quella nazionale, i consumatori non potranno rinunciare ai diritti loro riconosciuti dagli atti che hanno trasposto la direttiva nell'ordinamento interno; pertanto, ogni pattuizione contrattuale che, direttamente o indirettamente, comporti una tale rinuncia alla tutela o la sua riduzione non sarà vincolante per il consumatore) (6).
Ma in realtà si tratta di un intervento dal contenuto abbastanza limitato ed a macchia di leopardo che incide prevalentemente sulla dir. 85/577 in materia di contratti negoziati fuori dei locali commerciali e sulla dir. 97/7 in materia di contratti a distanza, la cui abrogazione ex art. 31 è indotta dai forti mutamenti sociali che hanno investito entrambi i settori (considerando n. 2), mentre modifica ex artt. 31 e 32 soltanto alcuni aspetti a volte davvero marginali della dir. 93/13 in materia di clausole abusive e della dir. 99/44 in materia di vendita di beni di consumo.
La tecnica prescelta con qualche eccezione - vedi tra le altre l'art. 3 n. 4, che consente facoltativamente agli Stati membri di non applicare la direttiva ai contratti conclusi fuori dai locali commerciali d'importo non eccedente i 50 euro ovvero d'importo ancora inferiore (7) - è quella dell'armonizzazione massima e dell'inderogabilità assoluta da parte degli Stati membri e, quindi, sia in peius sia in melius ed è comunque assicurato il favor del consumatore nella singola contrattazione ex art. 3 n. 6, sicché i professionisti potranno proporre ai consumatori accordi contrattuali che vadano oltre la tutela garantita dalla direttiva (8).
Il trait d'union del ventaglio di norme risiede, in sintesi, nell'aggiornamento delle varie discipline rispetto alle nuove realtà: un ulteriore esempio è offerto dall'espressa previsione dell'obbligo di informazione concernente l'esatto ammontare del prezzo dei prodotti venduti - comprensivo delle imposte - in cui emerge chiaramente l'obiettivo di colpire la prassi delle compagnie aeree low cost che sogliono rivelare in successione, a mezzo di una sorta di step by step al rialzo, il prezzo totale del biglietto aereo [artt. 5, lett c); 6, lett e)].
Sul piano più generale del trend di sviluppo del diritto privato europeo occorre segnalare: a) l'art. 2 che continua a definire nei termini ormai tradizionali al n. 1 il consumatore (ogni persona fisica che agisca per scopi di consumo estranei alla propria attività commerciale, artigianale, imprenditoriale o professionale) (9) ed al n. 2 il professionista ribattezzato trader nella versione inglese ossia commerciante ma nella versione italiana nuovamente professionista (ogni persona fisica o giuridica, sia pubblica sia privata, che agisca, direttamente o per il tramite di un mandatario, per scopi legati alla propria attività commerciale, artigianale, imprenditoriale o professionale) (10); b) l'art. 5, lett. e), che prevede l'obbligo di informazione a beneficio del consumatore sugli eventuali servizi post-vendita forniti dal professionista al fine di garantire la conformità del bene compravenduto e ciò a conferma della policy comunitaria nel settore della distribuzione dei beni di consumo di cui alla dir. 99/44; c) l'art. 3 n. 3, lett. a), che esclude i servizi sociali dall'ambito di applicazione della direttiva e ciò a riprova dell'abbandono nel settore della logica di mercato (11); d) l'art. 3 n. 1, che estende la tutela consumeristica senza distinguere tra scopo di consumo e non ai clienti di forniture di acqua, gas, elettricità e teleriscaldamento effettuate da operatori pubblici; e) il ripetuto accenno nei considerando alla necessità di un bilanciamento tra l'alto livello di protezione dei consumatori e la concorrenza tra le imprese nell'opera di edificazione di un mercato razionale (v. ad es. considerando n. 4). Alcuni dei suddetti riferimenti normativi costituiscono un significativo sintomo della politica seguita dal legislatore europeo di rifiuto dell'assolutismo insito nel totale asservimento del mercato alle logiche concorrenziali e nelle letture di esclusiva vocazione consumeristica del diritto europeo.
L'art. 3 ai nn. 3 e 4 elenca, infine, i settori esclusi dal campo di applicazione della nuova direttiva concernenti i seguenti contratti: quelli volti a prestare servizi sociali, compreso il supporto alle famiglia od alle persone bisognose; quelli legati alla sanità; il giuoco e la scommessa; quelli finanziari; quelli aventi ad oggetto diritti reali inerenti ad un bene immobile; quelli aventi ad oggetto la costruzione di un immobile, la sostanziale conversione di edifici o di locazione di immobili ad uso abitativo; quelli relativi a pacchetti turistici e simili; quelli riguardanti la multiproprietà ed i prodotti per le vacanze di lungo termine nonché la loro rivendita o scambio; quelli stipulati da un soggetto pubblico in base ai propri poteri mediante una procedura imparziale e trasparente; quelli per la fornitura di cibo e bevande destinati al consumo domestico; quelli per il trasporto di passeggeri; quelli conclusi mediante macchinette o altri sistemi automatici; quelli conclusi con operatori delle telecomunicazioni tramite telefono, fax o internet (12).
2. La nuova direttiva in commento, nella parte riguardante l'informazione, si è rivelata ancora una volta avara sul versante dei rimedi e della tutela processuale - con l'unica eccezione del regime dell'onere della prova di cui all'apposita disciplina dei contratti a distanza e dei contratti conclusi fuori dai locali commerciali - ma ha comunque introdotto all'art. 5 un nuovo catalogo a carattere generale degli obblighi di informazione riguardanti il contratto del consumatore e la fornitura di acqua gas elettricità e teleriscaldamento che è sorretto dalla tecnica dell'armonizzazione massima ed impedisce agli Stati membri di derogare in peius alla normativa comunitaria salvo il caso di vendite giornaliere con prestazioni immediate o di forniture di acqua gas o elettricità in quantità modeste e consente loro semmai di ampliare l'area dell'informazione precontrattuale.
Una delle caratteristiche salienti della nuova direttiva in commento è rappresentata dalla previsione dell'obbligo per il venditore e per il prestatore di servizi di somministrare talune informazioni in fase precontrattuale, sulla falsa riga di quanto accade già per i contratti di multiproprietà e di viaggio, e ciò a prescindere dalle particolari modalità di conclusione del contratto, come nel caso dei contratti a distanza e dei contratti conclusi fuori dai locali commerciali per i quali sono richieste informazioni apposite.
L'art. 5 elenca, infatti, una serie di circostanze relative al contratto in via di perfezionamento di cui il venditore deve dare notizia al consumatore in maniera chiara e comprensibile, a meno che esse non siano autoevidenti, ossia emergano in modo incontrovertibile dal contesto in cui si sta procedendo a concludere il contratto.
L'obbligo di informazione investe: a) le principali caratteristiche del bene; b) gli elementi identificativi del professionista; c) il prezzo complessivo, inclusi le tasse e, se previsti, i costi aggiuntivi di trasporto, di consegna o postali, nonché, qualora il prezzo non sia determinabile nel suo preciso ammontare prima della conclusione del contratto, il meccanismo del suo calcolo; d) se previsti, gli accordi sul pagamento del prezzo, sulla consegna del bene e sull'adempimento della prestazione, oltre che il termine della consegna e la politica adottata dal venditore per la gestione delle lamentele; e) il promemoria sull'esistenza della garanzia legale di conformità e, se previsti, i servizi post-vendita e la garanzia convenzionale; f) il termine di durata del contratto e, se si tratta di contratto a tempo indeterminato o ne è stabilita la rinnovazione automatica, le condizioni del suo scioglimento; g) la funzionalità dei contenuti digitali incluse le misure tecniche di protezioni applicabili; h) la compatibilità dei contenuti digitali con l'hardware o con il software di cui il venditore è al corrente ovvero ci si può ragionevolmente aspettare che lo sia. Il novero delle informazioni investe - com'è evidente - diversi profili del regolamento contrattuale in formazione, ma alcuni dati incidono direttamente sulla nozione di conformità del bene al contratto: si allude, in particolare, alle informazioni sub a), g) e h) (13).
Gli obblighi di informazione - com'è risaputo - investono non solo la fase precedente la conclusione del contratto ma anche il perfezionamento dell'accordo e la successiva esecuzione del rapporto contrattuale, essendo funzionali ad entrambi gli aspetti della consapevole formazione del consenso e della corretta gestione per l'appunto del rapporto contrattuale (14). La «debolezza» del consumatore si risolve infatti essenzialmente nell'asimmetria informativa (mentre la debolezza dell'impresa si annida nella stessa relazione contrattuale). La disciplina comunitaria non contempla, tuttavia, sanzioni a carattere generale per le ipotesi di violazione di tali obblighi ma si limita ad introdurre alcune misure specifiche quale, ad es., il prolungamento del termine per il recesso di pentimento in caso di mancata informazione del consumatore sul regime dello strumento.
Il vuoto di disciplina nell'intervento comunitario ed il perdurante silenzio del legislatore italiano hanno indotto dottrina e giurisprudenza ad interrogarsi sulle conseguenze della violazione degli obblighi di informazione da parte del professionista: le tesi al riguardo sono svariate, fermo restando che il consumatore può comunque esercitare il recesso ove esso sia previsto.
Un primo indirizzo fa leva sulla collocazione logico-temporale degli obblighi di informazione e sulla scansione procedimentale impressa alla fase di conclusione del contratto e, pertanto, colloca tali obblighi nella fase delle trattative, ricollegandoli alla disciplina prevista dal codice civile per la trattativa ordinaria e, quindi, all'ambito di applicazione dell'art. 1337 c.c. (15). Un secondo indirizzo punta sul loro carattere inderogabile, connesso alla funzione di protezione del consumatore voluta dal legislatore, e ritiene, quindi, che la loro violazione determini la nullità relativa del contratto successivamente concluso (16). Un terzo indirizzo si mostra propenso a collocarli nella fase della formazione della volontà del consumatore-contraente e, quindi, propone che il consumatore non adeguatamente informato venga considerato in errore e possa chiedere l'applicazione del rimedio previsto in via generale per i vizi della volontà ossia l'annullamento del contratto (17). L'orientamento oggi prevalente ricorre a tutt'altro rimedio: poiché gli obblighi legali di informazione costituiscono delle regole di condotta destinate ad orientare il contegno del professionista nel corso del rapporto, la loro violazione deve essere qualificata come inadempimento ossia come vicenda autenticamente propria del rapporto contrattuale, sicché la sanzione più adeguata è la risoluzione del contratto. Il consumatore gode, dunque, di un'alternativa: può domandare la risoluzione del contratto ed il connesso risarcimento del danno, ma sarà tenuto alla restituzione di quanto abbia eventualmente ricevuto da controparte in esecuzione del contratto oppure può richiedere il solo risarcimento del danno, trattenendo quindi le prestazioni già eseguite, il cui valore verrà defalcato nella commisurazione del risarcimento all'interesse positivo (18).
Il recesso non è sempre uno strumento proficuo per il consumatore giacché comporta la rinunzia ai vantaggi connessi all'operazione contrattuale; mentre il risarcimento del danno appare conveniente per lo meno sotto il profilo della conservazione di tali vantaggi e della loro combinazione con il risultato dell'azione risarcitoria: il risarcimento del danno è stato reputato dalla Corte di cassazione la soluzione più conveniente, ad es., per il consumatore-risparmiatore nel caso di violazione degli obblighi stabiliti dalla disciplina degli investimenti prevista da regolamenti della Consob (Cass. 29 settembre 2005 n. 19024) (19). La Corte inoltre prende le distanze dal crescente orientamento che colpisce la violazione dell'obbligo di informazione con la nullità virtuale e riporta la soluzione del problema entro le coordinate della distinzione tra difetto di elementi essenziali della struttura del contratto, che ne comporta la nullità, e violazione dei doveri di comportamento, che viene intercettata e sanzionata dall'ordinamento nell'ambito della responsabilità.
La questione è stata rimessa con l'ordinanza n. 36 del 16 dicembre 2007 alle Sezioni unite, le quali con la sentenza 26724 del 19 dicembre 2007 (20) hanno ribadito l'irriducibile differenza tra regole di validità e regole di responsabilità e confermato l'estraneità della violazione degli obblighi di informazione all'area della nullità. Quanto ai rimedi esperibili dall'investitore non correttamente informato, la Corte ha poi distinto tra violazioni degli obblighi informativi che si collocano nella fase antecedente la stipulazione del contratto quadro, le quali danno luogo a responsabilità precontrattuale, e violazioni degli obblighi che si collocano in fase esecutiva, le quali invece possono dar luogo a responsabilità per inadempimento ovvero, laddove ricorrano i presupposti di gravità richiesti dall'art. 1455 c.c., possono condurre anche alla risoluzione del contratto d'intermediazione finanziaria (21).
3. La categoria dei contratti «conclusi fuori dai locali commerciali» ricomprende, a mente della dir. 85/577, i contratti di vendita o fornitura di beni o servizi accomunati dalla circostanza che il negozio si conclude, ad esempio, al domicilio del consumatore o sul posto di lavoro o ancora «su catalogo» (in tal caso il contratto è altresì «a distanza» e si applica la relativa disciplina se più favorevole per il consumatore).
A loro volta, per contratti «a distanza», si intendono, a mente della dir. 97/7, i contratti di vendita o fornitura di beni di consumo o di servizi diversi da quelli finanziari accomunati dalla circostanza che durante le trattative e per la conclusione del contratto il professionista utilizza una tecnica di comunicazione a distanza (es. telefono, fax, posta elettronica, internet). La dir. 00/31 sul commercio elettronico, infine, disciplina i profili consumeristici dei «contratti per via elettronica». Le tre direttive in discorso sono state recepite in Italia, rispettivamente, dalla l. 50/1992 e dal d.lgs. 185/1999 i cui contenuti sono ora riversati nel codice del consumo nonché dal d.lgs. 70/2003 (22).
Le suddette definizioni vanno ora aggiornate sulla base della nuova direttiva in commento, la quale all'art. 2 n. 7, riformula i contratti «a distanza» (quelli stipulati in base ad uno schema organizzato di vendita a distanza o di fornitura di servizi senza che vi sia la simultanea presenza fisica del professionista e del consumatore, con l'esclusivo utilizzo di un mezzo di comunicazione a distanza anche per la conclusione) (23); ed all'art. 2 nn. 8 e 9, i contratti «conclusi fuori dai locali commerciali» (24) ossia fuori dai locali, mobili o immobili, dove il professionista svolge la propria attività (quelli stipulati fuori dai locali commerciali del professionista; quelli la cui offerta contrattuale sia stata effettuata fuori dai locali commerciali del professionista; quelli stipulati nei locali commerciali del professionista o mediante qualsiasi mezzo di telecomunicazione subito dopo che il consumatore è stato personalmente e individualmente contattato alla presenza del professionista fuori dai suddetti locali; quelli stipulati durante un'escursione organizzata dal professionista con lo scopo o l'effetto di promuovere e vendere beni o servizi al consumatore) (25).
Un'importante precisazione già segnalata. L'art 3 n. 4, consente facoltativamente agli Stati membri di non applicare la direttiva ai contratti conclusi fuori dai locali commerciali d'importo non eccedente i 50 euro ovvero d'importo ancora inferiore.
Al cospetto di tali «modalità contrattuali», il consumatore ha diritto ad un'informazione accurata nonché di recedere dal contratto o dalla proposta contrattuale senza penalità e senza giustificarne il motivo (26) con decorrenze che variano minuziosamente in un intrigo normativo posto a sua tutela e, in particolare, ad essere informato sull'esistenza stessa di tale diritto: la mancata informazione determina l'allungamento dei termini.
Secondo gli artt. 64 e 65 cod. cons., il termine per l'esercizio del diritto di recesso è di dieci giorni lavorativi e decorre: 1) nei contratti o nelle proposte contrattuali negoziati fuori dei locali commerciali dalla data di sottoscrizione della nota d'ordine contenente la prescritta informazione ovvero, nel caso in cui non sia predisposta una nota d'ordine, dalla data di ricezione dell'informazione stessa, e ciò sia per i contratti riguardanti la prestazione di servizi sia per i contratti riguardanti la fornitura di beni, qualora al consumatore sia stato preventivamente mostrato o illustrato dal professionista il prodotto oggetto del contratto; od ancora dalla data di ricevimento della merce, se successiva, per i contratti riguardanti la fornitura di beni, qualora l'acquisto sia stato effettuato senza la presenza del professionista ovvero sia stato mostrato o illustrato un prodotto di tipo diverso da quello oggetto del contratto; 2) nei contratti a distanza, per i beni, dal giorno del loro ricevimento da parte del consumatore ove siano stati soddisfatti gli obblighi di informazione o dal giorno in cui questi ultimi siano stati soddisfatti, qualora ciò avvenga dopo la conclusione del contratto purché non oltre il termine di tre mesi dalla conclusione stessa; per i servizi, dal giorno della conclusione del contratto o dal giorno in cui siano stati soddisfatti gli obblighi di informazione, qualora ciò avvenga dopo la conclusione del contratto purché non oltre il termine di tre mesi dalla conclusione stessa.
Nell'ipotesi in cui il professionista non abbia soddisfatto gli obblighi di informazione il termine per l'esercizio del diritto di recesso è, rispettivamente, di sessanta giorni (per i contratti e le proposte contrattuali negoziati fuori dai locali commerciali) o di novanta giorni (per i contratti a distanza) e decorre, per i beni, dal giorno del loro ricevimento da parte del consumatore, per i servizi, dal giorno della conclusione del contratto: tale disposizione si applica anche al caso in cui il professionista fornisca un'informazione incompleta o errata che non consenta il corretto esercizio del diritto di recesso. Le parti possono sempre convenire garanzie più ampie per il consumatore.
La disciplina dei contratti conclusi fuori dai locali commerciali contenuta nel codice del consumo si dedica prevalentemente all'informazione sul diritto di recesso di cui all'art. 47 cod. cons.: 1) l'informazione deve essere fornita per iscritto e deve contenere: a) l'indicazione dei termini, delle modalità e delle eventuali condizioni per l'esercizio del diritto di recesso; b) l'indicazione del soggetto nei cui riguardi va esercitato il diritto di recesso ed il suo indirizzo o, se si tratti di società o altra persona giuridica, la denominazione e la sede della stessa, nonché l'indicazione del soggetto al quale deve essere restituito il prodotto eventualmente già consegnato; 2) qualora sia sottoposta al consumatore, per la sottoscrizione, una nota d'ordine l'informazione vi deve essere riportata separatamente dalle altre clausole contrattuali e con caratteri tipografici uguali o superiori a quelli degli altri elementi indicati nel documento; 3) qualora non venga predisposta una nota d'ordine, l'informazione deve essere comunque fornita al momento della stipulazione del contratto ovvero all'atto della formulazione della proposta; 4) nell'ipotesi di contratti conclusi per corrispondenza o in base a catalogo consultato dal consumatore senza la presenza del professionista, l'informazione deve essere riportata nel catalogo o in altro documento illustrativo della merce o del servizio oggetto del contratto o ancora nella relativa nota d'ordine, con caratteri tipografici uguali o superiori a quelli delle altre informazioni contenute nel documento; nella nota d'ordine può essere riportato il solo riferimento al diritto di recesso, con la specificazione del relativo termine e con rinvio per gli altri elementi alle indicazioni contenute nel catalogo o in altro documento illustrativo della merce o del servizio. L'art. 47, co. 6, stabilisce, inoltre, che «il professionista non potrà accettare, a titolo di corrispettivo, effetti cambiari che abbiano una scadenza inferiore a quindici giorni dalla stipulazione del contratto e non potrà presentarli allo sconto prima di tale termine».
L'art. 64 cod. cons. sancisce in generale che il diritto di recesso si esercita tramite l'invio, entro il termine di dieci giorni lavorativi, di una comunicazione scritta alla sede del professionista mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. È, tuttavia, possibile inviare la comunicazione anche tramite telegramma, telex, posta elettronica e fax, ma in tali casi è necessaria la conferma mediante raccomandata con avviso di ricevimento, entro le quarantotto ore successive. Qualora sia espressamente previsto nell'offerta o nell'informazione concernente il diritto di recesso, è sufficiente, in luogo di una specifica comunicazione, la restituzione entro il predetto termine di dieci giorni della merce ricevuta. Il recesso - per quanto riguarda i contratti conclusi fuori dai locali commerciali aventi ad oggetto la prestazione di servizi - non travolge le prestazioni che siano state già eseguite (art. 48 cod. cons.).
La disciplina del recesso di pentimento non trova applicazione: a) nei contratti di fornitura di generi alimentari, di bevande o di altri beni per uso domestico di consumo corrente forniti al domicilio del consumatore, al suo luogo di residenza o al suo luogo di lavoro, da distributori che effettuano giri frequenti e regolari; b) nei contratti di fornitura di servizi relativi all'alloggio, ai trasporti, alla ristorazione, al tempo libero, quando all'atto della conclusione del contratto il professionista si impegna a fornire tali prestazioni ad una data determinata o in un periodo prestabilito (art. 55, co. 1, cod. cons.). Salvo diverso accordo delle parti, il consumatore non può esercitare il diritto di recesso nei casi di fornitura: a) di servizi la cui esecuzione sia iniziata, con l'accordo del consumatore, prima della scadenza del termine di dieci giorni previsto ordinariamente per il recesso; b) di beni o di servizi il cui prezzo è legato a fluttuazioni dei tassi del mercato finanziario che il professionista non è in grado di controllare; c) di beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati o che, per loro natura, non possono essere rispediti o rischiano di deteriorarsi o alterarsi rapidamente; d) di prodotti audiovisivi o di software informatici sigillati, aperti dal consumatore; e) di giornali, periodici e riviste; f) di servizi di scommesse e lotterie (art. 55, co. 2, cod. cons.).
La dir. 2011/83 sui diritti del consumatore - come s'è già anticipato - ha completamente riscritto agli artt. 9 ss. la disciplina comunitaria del recesso a partire dal termine che è ora di quattordici giorni (27). La decorrenza di tale termine varia ex art. 9 n. 2, a seconda dei diversi tipi di contratto: a) nel caso di contratti di servizio, dal giorno della conclusione del contratto; b) nel caso di contratti di vendita, dal giorno in cui il consumatore o un terzo che non sia il trasportatore e indicato dal consumatore acquisti il possesso fisico dei beni: b¹) nel caso in cui i beni siano molteplici, tutti ordinati con un unico ordine ma consegnati separatamente, dal giorno in cui il consumatore o il terzo non trasportatore acquisiscono il possesso materiale dell'ultimo bene; b²) nel caso in cui debba essere consegnato un bene consistente in diverse parti o pezzi, dal giorno in cui il consumatore o il terzo non trasportatore acquisiscono il possesso materiale dell'ultima parte o pezzo; b³) nel caso in cui il contratto preveda la regolare consegna di beni durante un periodo di tempo prestabilito, il giorno in cui il consumatore o il terzo non trasportatore acquisiscono il possesso materiale del primo bene; c) nel caso di contratti per la fornitura di acqua, gas o elettricità, purché non venduti in una limitata quantità, o di teleriscaldamento o di contenuto digitale non somministrato mediante un mezzo tangibile, dal giorno della conclusione del contratto (28). Secondo l'art. 9 n. 3, gli Stati membri non possono proibire l'adempimento delle obbligazioni contrattuali durante il periodo utile per il recesso salvo il caso di preesistenti legislazioni nazionali di segno contrario e limitatamente ai contratti conclusi fuori dai locali commerciali.
Nell'ipotesi in cui il professionista non abbia soddisfatto gli obblighi di informazione di cui all'art. 6, il termine per l'esercizio del diritto di recesso in tutte le tipologie considerate si allunga considerevolmente ex art. 10 a dodici mesi: 1) se il professionista non ha informato il consumatore il periodo per esercitare il recesso è di 12 mesi a decorrere dallo spirare dell'ordinario termine di esercizio; 2) se il professionista ha fornito al consumatore l'informazione prevista entro i 12 mesi decorrenti dallo spirare dell'ordinario termine di esercizio il periodo per esercitare il recesso si concluderà 14 giorni dopo che il consumatore ha avuto l'informativa (29).
Le modalità di esercizio variano ex art. 11 nel modo che segue con la precisazione che l'onere della prova dell'avvenuto recesso grava sul consumatore: 1. il consumatore dovrà informare il professionista della propria decisione di recedere utilizzando il modulo di recesso di cui all'allegato, parte B, ovvero mediante inequivoca dichiarazione ma gli Stati membri non potranno pretendere requisiti formali della dichiarazione diversi da quelli di cui al suddetto modulo; 2. il recesso sarà validamente esercitato se il consumatore avrà inviato la relativa comunicazione nel termine stabilito; 3. il professionista potrà, in aggiunta alle modalità sopra previste, consentire al consumatore di inviare elettronicamente il modulo di recesso di cui all'allegato I, parte B, o la dichiarazione inequivoca di recesso al proprio website; in questo caso, il professionista dovrà prontamente inviare al consumatore un documento scritto attestante l'avvenuta ricezione del recesso (30).
Il diritto di recesso riguarda ex art. 12 il contratto o la proposta contrattuale ma questa volta, a differenza del codice del consumo, sia per il contratto a distanza sia per il contratto concluso fuori dai locali commerciali. L'effetto del recesso, pertanto, sarà quello di far cessare le obbligazioni delle parti sia di adempiere al contratto a distanza o concluso fuori dai locali commerciali sia di perfezionare il relativo accordo nel caso in cui la proposta provenga dal consumatore ed abbia un carattere vincolante (31).
Non vanno trascurati al riguardo alcuni elementi in controtendenza: il dato di sistema italiano - secondo cui il recesso presuppone un contratto già perfetto e valido (artt. 1373, 2118 e 2119 c.c.) - e soprattutto il diritto europeo di fonte comunitaria, il quale senza alcuna consapevolezza teorica suole ascrivere il recesso di pentimento alla fase che segue la conclusione del contratto ma con qualche sussulto per l'appunto nel caso dei contratti a distanza e dei contratti conclusi fuori dai locali commerciali, ove il recesso si riferisce anche alla proposta contrattuale del consumatore. La proposta è qui senza aggettivi - ma è da intendersi innanzitutto come proposta irrevocabile in conformità alla prassi di certi ordini di acquisto - ed il fine evidente è quello di annetterla allo stesso regime del contratto già concluso quanto alla recedibilità, al relativo termine di esercizio ed all'informazione. Una chiosa in proposito: si tratterà, comunque, nel caso di proposta revocabile di un cumulo dei due strumenti di autotutela, il recesso e l'ordinaria revoca ex art. 1328 c.c., giacché non è pensabile che in danno del consumatore il mancato esercizio tempestivo del recesso determini automaticamente l'irrevocabilità questa volta inespressa e per di più blindata della proposta.
Le obbligazioni che discendono dall'esercizio del recesso sono declinate dall'art. 13 per il professionista (32) che è tenuto a restituire non oltre 14 giorni dall'informazione dell'avvenuto recesso tutti i pagamenti ricevuti, incluse le spese di consegna a meno che il consumatore non abbia scelto un tipo di consegna diverso dal quello meno costoso che gli era stato offerto. Il suddetto rimborso dovrà avere luogo tramite gli stessi mezzi di pagamento utilizzati dal consumatore, salva la sua diversa volontà e l'assenza di costi a suo carico. Il professionista, a meno che non abbia proposto di riprendersi i beni compravenduti, può rifiutarsi di rimborsare il consumatore finché questi non li abbia restituiti o non abbia fornito la prova di averli già spediti.
E dall'art. 14 per il consumatore (33), il quale è fatto responsabile in caso di recesso della sola diminuzione di valore dei beni compravenduti derivante dal loro uso non limitato all'ordinaria verifica della natura, delle caratteristiche e del funzionamento, a meno che il professionista non abbia omesso l'informazione sul diritto di recesso. Se il professionista non ha proposto di riprendersi i beni compravenduti, il consumatore dovrà inviarli o consegnarli senza ritardo e, in ogni caso, non oltre 14 giorni dall'informazione dell'avvenuto recesso. Il consumatore è tenuto a sostenere i costi di spedizione o di consegna, salvo il volontario accollo da parte del professionista o la sua omessa informazione circa la spettanza di tali costi.
Nel caso di contratto concluso fuori dai locali commerciali, con consegna contestuale dei beni compravenduti presso il domicilio del consumatore al momento della stipula, il professionista dovrà a spese proprie riprendersi i beni che non siano per loro natura suscettibili di spedizione mediante servizio postale.
Il consumatore è tenuto a pagare al professionista una somma proporzionale a quanto gli sia stato fornito su sua richiesta durante il periodo utile per recedere e fino al momento dell'informazione dell'avvenuto recesso. Tale somma sarà calcolata sulla base dell'intero prezzo convenuto in contratto ma in caso di eccessività del prezzo totale si ricorrerà al valore di mercato.
È assai dubbio che il legislatore comunitario, nella sua foga riformatrice a corrente alternata tra policy del mercato ed istanze di vecchio consumerismo, si sia reso conto della portata eversiva di quest'ultima misura a tutela del consumatore che smentisce la tradizione del diritto europeo delle direttive - come si ricorderà, a norma dell'art. 4, co. 2, dir. 93/13, la valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell'oggetto principale del contratto né sul prezzo purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile - ma anche del nostro diritto interno ove con poche e note eccezioni è radicato il principio dell'insindacabilità giudiziale della ragione di scambio (34). Né si può sottacere che un siffatto sindacato nella nuova fattispecie curiosamente si esercita con riguardo al contratto scioltosi per recesso del consumatore e non anche al contratto che abbia piena attuazione.
Nel periodo utile per recedere, il consumatore non dovrà sobbarcarsi i costi relativi alla fornitura di acqua, gas o elettricità, non in quantità limitata, di teleriscaldamento e di contenuto digitale non per il tramite di mezzo tangibile, qualora il professionista abbia omesso l'informazione sul diritto di recesso ovvero il consumatore non abbia espressamente richiesto di iniziare la fornitura.
La sorte degli ancillary contract, in caso di contratti a distanza o di contratti conclusi fuori dai locali commerciali, è ora regolata anche dalla nuova direttiva in commento all'art. 15 che fa salvo comunque l'art. 15 della dir. 08/48 sul credito al consumo: il recesso da tali contratti determinerà l'automatica inefficacia dei contratti ad essi collegati senza alcun costo per il consumatore che lo abbia esercitato. Gli Stati membri provvederanno a disciplinare analiticamente tale conseguenza ma desta meraviglia l'inaudito miscuglio di inefficacia annullamento e risoluzione della traduzione italiana (35).
L'art. 16 riformula, infine, l'elenco dei casi di esclusione del diritto di recesso per i contratti conclusi a distanza o fuori dai locali commerciali che ricomprende: a) i contratti di servizio interamente eseguiti, se il servizio è stato effettuato con il previo espresso consenso del consumatore nella consapevolezza della propria conseguente rinuncia ad avvalersi del recesso; b) la fornitura di beni e di servizi il cui prezzo dipende dalle fluttuazioni di mercato fuori dal controllo del professionista ed è, quindi, suscettibile di variazioni prima della scadenza del termine utile per il recesso; c) la fornitura di beni sulla base di richieste specifiche del consumatore o chiaramente personalizzata; d) la fornitura di beni suscettibili di deterioramento o di rapido deperimento; e) la fornitura di beni sigillati non restituibili per motivi di igiene o sanitari; f) la fornitura di beni per loro natura inseparabili dopo la consegna da altri beni; g) la fornitura di bevande alcoliche, con prezzo concordato al momento della conclusione della vendita e consegna a 30 giorni, il cui valore attuale dipende da fluttuazioni del mercato fuori dal controllo del professionista; h) i contratti nel cui ambito il consumatore ha specificatamente richiesto una visita del professionista per riparazioni urgenti o manutenzione: se il professionista fornisce servizi addizionali a quelli richiesti o beni diversi da quelli necessari per la sostituzione o riparazione, il diritto di recesso sarà esercitabile limitatamente a tali beni o servizi; i) la fornitura di registrazioni audio o video o di computer software sigillati che siano stati spacchettati dopo la consegna; j) la fornitura di giornali, periodici o riviste salva la sottoscrizione di appositi contratti; k) i contratti conclusi mediante asta pubblica; l) la fornitura di alloggio non adibito a residenza, il trasporto di beni, l'affitto di autovetture, il catering o i servizi connessi ad attività di svago, se il contratto prevede una data specifica o un periodo per l'adempimento; m) la fornitura di contenuti digitali, non con mezzi tangibili, che abbia avuto luogo con il previo consenso del consumatore nella consapevolezza della conseguente perdita del diritto di recesso (36).
La disciplina dei contratti a distanza di cui agli artt. 50 ss. cod. cons. - a differenza di quella sui contratti negoziati fuori dai locali commerciale di cui agli artt. 44 ss. cod. cons. che si limita all'informazione sul recesso - è particolarmente analitica nel prescrivere il novero delle informazioni spettanti al consumatore che attengono sia alle modalità di comunicazione ed ai contenuti del contratto sia alle altre fasi dell'operazione economica.
Le informazioni preliminari da fornire al consumatore in tempo utile, prima della conclusione del contratto a distanza, riguardano: a) l'identità del professionista e, in caso di contratti che prevedano il pagamento anticipato, l'indirizzo del professionista; b) le caratteristiche essenziali del bene o del servizio; c) il prezzo del bene o del servizio, comprese tutte le tasse e le imposte; d) le spese di consegna; e) le modalità di pagamento, della consegna del bene o della prestazione del servizio o di ogni altra forma di esecuzione del contratto; f) l'esistenza del diritto di recesso o l'esclusione di tale diritto a mente dell'art. 55, co. 2; g) le modalità e i tempi di restituzione o di ritiro del bene in caso di esercizio del diritto di recesso; h) il costo dell'utilizzo della tecnica di comunicazione a distanza, quando è calcolato in termini diversi dalla tariffa di base; i) la durata della validità (o per meglio dire dell'efficacia) dell'offerta e del prezzo; l) la durata minima del contratto in caso di contratti per la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi ad esecuzione continuata o periodica. A pena di nullità del contratto, il consumatore in caso di utilizzo del telefono deve essere posto in condizione di conoscere sin dall'inizio della conversazione ed in modo «inequivocabile» l'identità del professionista e lo scopo commerciale della telefonata (art. 52, co. 3, cod. cons.). Per ciò che concerne il tipo di tecniche di comunicazione a distanza, l'art. 58 cod. cons. prevede che l'impiego da parte del professionista del telefono, della posta elettronica, di sistemi automatizzati di chiamata senza l'intervento di un operatore o di fax richiede il consenso preventivo del consumatore, mentre altre tecniche, ove consentano una comunicazione individuale, possono essere utilizzate a meno che il consumatore non si dichiari espressamente contrario.
Le informazioni preliminari, «il cui scopo commerciale deve essere inequivocabile», vanno fornite «in modo chiaro e comprensibile, con ogni mezzo adeguato alla tecnica di comunicazione a distanza impiegata, osservando in particolare i principi di buona fede e di lealtà in materia di transazioni commerciali, valutati alla stregua delle esigenze di protezione delle categorie di consumatori particolarmente vulnerabili» (art. 52, co. 2, cod. cons.). Le informazioni da trasmettere nel corso dell'esecuzione del contratto riguardano in particolare la mancata disponibilità anche temporanea del bene o del servizio richiesto (art. 54, co. 2, cod. cons.). Tutte le predette informazioni ex art. 53, co. 1, cod. cons. debbono essere confermate al consumatore «per iscritto o, a sua scelta, su altro supporto duraturo a sua disposizione ed a lui accessibile [...] prima od al momento della esecuzione del contratto». Entro tale momento e nelle stesse forme gli devono essere fornite ulteriori informazioni sulle condizioni e le modalità di esercizio del diritto di recesso; sull'indirizzo geografico della sede del professionista a cui il consumatore può presentare reclami; sui servizi di assistenza e sulle garanzie commerciali esistenti; sulle condizioni di recesso dal contratto in caso di durata indeterminata o superiore ad un anno.
L'art. 52, co. 5, prescrive poi che l'elenco delle informazioni dovute al consumatore si allunghi nel caso di commercio elettronico, e dunque di contratto informatico, con gli ulteriori profili previsti dall'art. 12, co. 1, d.lgs. 70/2003, secondo cui il prestatore di servizio della società dell'informazione, salvo diverso accordo tra parti che non siano consumatori, deve fornire in modo chiaro, comprensibile ed inequivocabile, prima dell'inoltro dell'ordine da parte del destinatario del servizio, informazioni relative: a) alle varie fasi tecniche da seguire per la conclusione del contratto; b) al modo in cui il contratto concluso sarà archiviato e le relative modalità di accesso; c) ai mezzi tecnici messi a disposizione del destinatario per individuare e correggere gli errori di inserimento dei dati prima di inoltrare l'ordine al prestatore; d) agli eventuali codici di condotta cui aderisce e come accedervi per via telematica; e) alle lingue a disposizione per concludere il contratto oltre all'italiano; f) all'indicazione degli strumenti di composizione delle controversie. L'art. 12 d.lgs. 70/2003, al co. 2, esclude a sua volta l'applicazione del co. 1 nel caso di contratti conclusi esclusivamente mediante scambio di messaggi di posta elettronica o comunicazioni individuali equivalenti e, al co. 3, sancisce che le clausole e le condizioni generali del contratto proposte al destinatario devono essere messe a sua disposizione in modo che gli sia consentita la memorizzazione e la riproduzione.
L'art. 52, co. 3, cod. cons., sempre per l'ipotesi di ricorso alla posta elettronica, effettua un rinvio espresso all'art. 9 d.lgs. 70/2003, il quale sancisce che le comunicazioni commerciali non sollecitate, trasmesse da un prestatore della società dell'informazione tramite tale forma di comunicazione a distanza, devono essere identificate come tali, in modo chiaro e inequivocabile, fin dal momento in cui il destinatario le riceve e contenere l'indicazione che il destinatario del messaggio può opporsi ai ricevimento in futuro di tali comunicazioni; mentre è onere del prestatore dare prova del carattere sollecitato delle comunicazioni commerciali.
L'art. 8 d.lgs. 70/2003 prevede, inoltre, che le comunicazioni commerciali, se costituiscono di per sé un'attività economica on line - che nel linguaggio del legislatore è denominata «servizio della società dell'informazione»: art. 2, co. 1, lett. a), d.lgs. 70/2003 - o ne rappresentano parte integrante, devono contenere, sin dal primo invio, in modo chiaro ed inequivocabile, una specifica informativa, ulteriore rispetto a quella imposta dal ricorso a tecniche di comunicazione negoziale a distanza o dal tipo contrattuale prescelto e, dunque, collegata soltanto alle esigenze sollevate dalla comunicazione on line. Tale informazione è diretta ad evidenziare: a) la natura di comunicazione commerciale del messaggio pubblicato; b) l'identità della persona fisica o giuridica per conto della quale è effettuata la comunicazione commerciale; c) l'eventuale natura di offerta promozionale, come nel caso di sconti, premi, omaggi, e le relative condizioni di accesso; d) l'eventuale natura di concorsi o di giochi promozionali, se consentiti, e le relative condizioni di partecipazione.
Per quanto concerne i procedimenti di perfezionamento dell'accordo, l'art. 13 del d.lgs. 70/2003 proclama in modo invero assai curioso, che «le norme sulla conclusione dei contratti si applicano anche nei casi in cui il destinatario di un bene o di un servizio della società dell'informazione inoltri il proprio ordine per via telematica». La norma in questione non ha altro significato che quello di segnalare che le particolarità tecniche dei sistemi informatici di comunicazione a distanza non sono tali da imporre una riscrittura delle consuete procedure di conclusione del contratto né esigono la predisposizione di procedure ad hoc. Il ricorso alle tecniche e agli strumenti dell'informatica per svolgere attività negoziali sollecita, pertanto, un'apposita regolamentazione soltanto sul diverso versante degli obblighi di informazione e del diritto di recesso di pentimento, poiché è su tale piano che il legislatore ha inteso scongiurare l'abuso di potere contrattuale da parte del professionista, reputando che le tecniche di comunicazione a distanza basate sull'informatica incidano soprattutto sulla capacità del consumatore di determinarsi consapevolmente a concludere il contratto, piuttosto che presentare insidie in sede di perfezionamento dell'accordo.
Sotto quest'ultimo profilo, sembra dunque che tenga il sistema codicistico delineato dagli artt. 1326 ss. c.c. Al riguardo qualche dubbio è legittimo proprio alla luce del già ricordato obbligo del professionista di accusare ricevuta dell'ordine di acquisto del consumatore. L'art. 13, co. 2, d.lgs. 70/2003 stabilisce infatti che, salvo diverso accordo delle parti nei contratti business to business o inter partes, il prestatore del servizio della società dell'informazione (ossia dell'attività economica on line) deve, senza giustificato ritardo e per via telematica, accusare ricevuta dell'ordine del destinatario contenente un riepilogo delle condizioni generali e particolari applicabili al contratto, le informazioni relative alle caratteristiche essenziali del bene o del servizio e l'indicazione dettagliata del prezzo, dei mezzi di pagamento, del recesso, dei costi di consegna e dei tributi applicabili. Una tale previsione induce a domandarsi se l'innovazione di una condotta ulteriore rispetto alle consuete cadenze delle fasi immediatamente precedenti e immediatamente successive alla formazione del consenso valga a modificare il procedimento di conclusione del contratto informatico, introducendo una peculiare modalità di perfezionamento dell'accordo, destinata quindi a smentire o, per lo meno, a ridimensionare la fedeltà ai modelli codicistici proclamata al comma 1, oppure ad imporre un primo ed inderogabile - per lo meno nei rapporti negoziali tra consumatori e professionisti - atto di esecuzione del contratto, che consiste nell'adempimento dell'obbligo legale di documentazione dell'accordo appena concluso e dei suoi contenuti essenziali (37).
La nuova direttiva in commento ha introdotto un'analitica disciplina dell'informazione concernente sia le modalità di comunicazione ed i contenuti del contratto sia le altre fasi dell'operazione economica che si applica ad entrambe le figure del contratto a distanza e del contratto concluso fuori dai locali commerciali: si tratta di una disciplina uniforme munita a volte di inderogabilità assoluta e, quindi, in peius ed in melius da parte degli Stati membri, specie con riguardo agli aspetti formali dell'informazione, ma con salvezza delle informazioni addizionali e dei procedimenti di conclusione del contratto previsti da altre direttive.
L'art. 6 n. 1, della nuova direttiva in commento elenca le informazioni cui il consumatore ha diritto che vanno rese in modo chiaro e comprensibile: a) gli elementi utili ad identificare il professionista e il bene compravenduto ed in particolare il numero di fax, telefono o indirizzo e-mail al quale è possibile contattare il professionista velocemente ed efficacemente (38); b) il prezzo dei beni o il modo per calcolarlo, incluse le tasse, le spese di spedizione e i costi relativi all'uso di mezzi di comunicazione a distanza, in modo che il consumatore conosca il prezzo finale (39); c) l'accordo per il pagamento e la spedizione dei beni o comunque le modalità anche temporali di adempimento del contratto (40); d) l'esistenza del diritto di recesso e le modalità con cui esercitarlo (41); il costo della restituzione dei beni in caso di recesso (42); e) l'esistenza della garanzia legale di conformità, della garanzia convenzionale e dei servizi post-vendita (riguardanti, ad es., la manutenzione del bene o altri adempimenti in base al codice di condotta del professionista) nonché la durata del contratto (43).
Il medesimo art. 6 ai nn. 2 ss. (44) detta, poi, alcuni rilevanti corollari di disciplina riguardanti l'estensione ai contratti di fornitura di acqua, gas ed elettricità non di limitato volume o quantità, di teleriscaldamento e di contenuti digitali non mediante un mezzo tangibile; l'ingresso dell'informazione prescritta nel contenuto contrattuale a meno che le parti non abbiano espressamente disposto in modo diverso; l'esenzione del consumatore dai ricarichi addizionali e dai costi di cui non sia stato informato; la salvezza delle informazioni addizionali previste dalla dir. 06/123 sui servizi nel mercato interno e dalla dir. 00/31 sul commercio elettronico ma con l'importante precisazione che in caso di conflitto di norme sul contenuto e sulle modalità dell'informazione prevale la nuova direttiva in commento; l'addossamento al professionista dell'onere della prova dell'avvenuta informazione: in caso di asta pubblica, le informazioni rivolte ad identificare il professionista e il bene compravenduto possono essere sostituite da informazioni equivalenti da parte del banditore.
Le informazioni sul diritto di recesso e sui costi di restituzione possono essere fornite mediante il modello di cui all'allegato I, parte A, che va compilato accuratamente. Nel caso di omessa informazione sui costi addizionali e di restituzione il professionista sarà chiamato a sopportarne l'onere. Gli Stati membri possono mantenere o introdurre nei rispettivi ordinamenti delle specifiche locuzioni per fornire le prescritte informazioni in modo chiaro e comprensibile ovvero stabilire obblighi di informazioni ulteriori.
L'art. 7 detta i requisiti formali concernenti l'informazione del contratto concluso fuori dai locali commerciali - con una disciplina alleggerita ma facoltativa per gli Stati membri a proposito dei contratti d'importo inferiore a 200 euro e con adempimento immediato delle prestazioni - e stabilisce soprattutto che nessun onere formale aggiuntivo può essere previsto dai diritti nazionali (45): l'informazione deve essere resa per iscritto o su supporto durevole in modo leggibile ed in un linguaggio chiaro e comprensibile. Il professionista dovrà fornire al consumatore una copia del contratto sottoscritto su supporto cartaceo o con l'assenso di quest'ultimo su altro supporto durevole.
L'art. 8 a sua volta (46) detta i requisiti formali concernenti l'informazione del contratto a distanza - specie l'obbligo di conferma da parte del professionista della conclusione del contratto o del ricevimento dell'ordine tramite un mezzo durevole ossia suscettibile di archiviazione - e stabilisce anche qui che nessun onere formale aggiuntivo può essere previsto dagli Stati membri ed ancora che sono fatte salve le norme sulla conclusione del contratto di cui alla dir. 00/31 sul commercio elettronico: in questo caso, l'obbligo di informazione si adatta al particolare modo di conclusione del contratto. Il professionista dovrà fornire al consumatore la prevista informazione in maniera chiara ed intellegibile e qualora si tratti di un ordine che fa nascere un'obbligazione di pagamento anticipato tramite un semplice bottone da cliccare il difetto di una adeguata avvertenza determinerà il mancato perfezionamento dell'ordine o del contratto.
Nel caso in cui il contratto a distanza venga concluso per telefono, il professionista dovrà farsi riconoscere sin dall'inizio e rendere edotto il consumatore dello scopo commerciale della telefonata nonché di quant'altro prescrittogli dell'informazione precontrattuale che per tutti i mezzi di comunicazione abbreviata in termini di tempo e di spazio si concentra sulle caratteristiche principali dei beni o dei servizi, sull'identità del professionista, sul prezzo totale, sul diritto di recesso, sulla durata del contratto e per i contratti a tempo indeterminato sulle modalità di cessazione. È facoltà degli Stati membri di prevedere che il professionista debba confermare l'offerta telefonica per iscritto o tramite altro supporto durevole e che il consumatore rimanga vincolato solo dopo averne sottoscritto e rispedito il contenuto.
Le informazioni non fornite prima o al momento della conclusione del contratto dovranno essere comunicate dal professionista insieme con la conferma del contratto o dell'ordine per iscritto su supporto cartaceo o altrimenti durevole in un tempo ragionevolmente breve ed al più tardi al momento della consegna dei beni o subito prima dell'inizio della somministrazione dei servizi.
L'ambito applicativo delle due discipline di cui al codice del consumo concernenti i contratti a distanza e i contratti conclusi fuori dai locali commerciali si arresta sulla soglia di settori particolarmente delicati e ciò perché in tali settori la violazione dei diritti attribuiti al consumatore è sanzionata ancor più gravemente; così ad esempio, nei servizi finanziari a distanza, la violazione da parte del professionista degli obblighi relativi al recesso e, più in generale, degli obblighi di informazione comporta la nullità del contratto: «Il contratto è nullo, nel caso in cui il fornitore ostacola l'esercizio del diritto di recesso da parte del contraente ovvero non rimborsa le somme da questi eventualmente pagate, ovvero viola gli obblighi di informativa precontrattuale in modo da alterare in modo significativo la rappresentazione delle sue caratteristiche» (art. 67-septiesdecies cod. cons.).
I settori esclusi sono comunque più ampi e più variegata è la ratio dell'esclusione che ricomprende: 1) nei contratti negoziati fuori dai locali commerciali: a) con riguardo ai beni immobili, i contratti per la costruzione, la vendita, la locazione o relativi ad altri diritti, con eccezione di quelli aventi ad oggetto la riparazione ovvero la fornitura di merci e la loro incorporazione in tali beni; b) i contratti relativi alla fornitura di prodotti alimentari e di bevande o di altri prodotti di uso domestico corrente consegnati a scadenze frequenti e regolari; c) i contratti di assicurazione; d) i contratti relativi agli strumenti finanziari; e) i contratti aventi ad oggetto la fornitura di beni o la prestazione di servizi per i quali il corrispettivo globale pagato dal consumatore non supera l'importo di € 26, salvo il caso di più contratti stipulati contestualmente tra le medesime parti, qualora l'entità del corrispettivo globale superi l'importo di € 26 (art. 46 cod. cons.); 2) nei contratti a distanza: a) quelli relativi ai servizi finanziari; b) quelli conclusi tramite distributori automatici o in locali commerciali automatizzati; c) quelli conclusi con gli operatori delle telecomunicazioni impiegando telefoni pubblici; d) quelli relativi per i beni immobili alla costruzione e alla vendita o ad altri diritti salva la locazione; e) quelli conclusi in occasione di una vendita all'asta (art. 51 cod. cons.).
Il ventaglio dei settori esclusi va ora sottoposto al filtro di cui all'art. 3 della nuova direttiva in commento il cui elenco, seppure in larga misura si modelli sul precedente sopra snocciolato del codice del consumo, riguarda non soltanto il regime dei contratti a distanza e dei contratti negoziati fuori dai locali commerciali ma il campo di applicazione dell'intera direttiva.
4. La dir. 99/44 sulla vendita di beni di consumo (47) suole vedersi riconosciuto il carattere di intervento di armonizzazione minima: espressione con la quale si designano quei provvedimenti normativi di accostamento delle legislazioni dei Paesi membri dell'Unione che lasciano però sopravvivere le diversità di disciplina nazionali se queste si rivelano in grado di offrire al consumatore una tutela più ampia di quella predisposta dalla fonte comunitaria.
Negli ultimi tempi il legislatore comunitario ha accarezzato la possibilità di imboccare, in materia di vendita di beni di consumo, la via dell'armonizzazione massima, superando la dir. 99/44 con una riforma che, tra le altre novità, avrebbe dovuto essere improntata all'inderogabilità da parte dei diritti nazionali.
L'idea di una tale riforma ha ispirato dapprima la Proposta di direttiva del Parlamento e del Consiglio sui diritti dei consumatori del 2008 (48) che però non ha ultimato l'iter di approvazione a causa di un cambiamento di rotta nelle strategie riformatrici dell'acquis communautaire da parte della Commissione europea, la quale nel Libro Verde del 2010 sulle opzioni possibili di un diritto contrattuale europeo ha riaperto la discussione sullo strumento da adottare per la modifica della normativa europea attuale (49); salvo poi - come s'è già visto - a curvare subito dopo in un contraddittorio sussulto verso un'armonizzazione massima ma riguardante solo alcuni aspetti tutto sommato secondari, con la nuova direttiva in commento, nonché verso una armonizzazione superminima con la proposta di Regolamento del diritto comune europeo della vendita, la quale introduce uno strumento opzionale a disposizione delle parti contrattuali soltanto per le vendite transfrontaliere tra professionisti e consumatori ma anche business to business, purché almeno una delle parti sia un'impresa medio-piccola, consentendo loro la deroga consensuale al diritto internazionale privato e l'adozione in sua vece di una disciplina uniforme ed incomparabilmente più protettiva per la parte debole.
Una chiosa: è ben ipocrita il tentativo di codificare una sorta di law shopping, peraltro imposto agli Stati membri mediante regolamento, che affida alla concordia delle parti la scelta del regime applicabile; ma soprattutto sfugge quale sia la ragione di policy del mercato, non trattandosi di una disciplina imperativa ma per l'appunto opzionale, che impedisce alle grandi imprese escluse dal campo di applicazione, ove per avventura a ciò interessate, di adottare ugualmente la disciplina protettiva lasciandole in balìa dell'ordinario diritto internazionale privato.
La dir. 99/44 non fornisce, com'è noto, una disciplina completa ed organica della vendita di beni di consumo, ma si limita a predisporre una regolamentazione unitaria della materia dei vizi occulti e dell'assenza di qualità del bene compravenduto e, in particolare, dei mezzi di tutela a disposizione del consumatore. Si tratta, dunque, di norme destinate ad inserirsi nella fase dell'esecuzione del contratto di vendita ed a governarne gli sviluppi in vista della manutenzione del vincolo contrattuale; mentre nulla è contemplato in ordine agli altri profili rilevanti dello schema contrattuale della vendita, quali, ad es., il momento del prodursi dell'effetto reale, il passaggio del rischio, la disciplina della consegna.
Una parziale inversione di tendenza si registra con la nuova direttiva in commento, la quale si spinge a risolvere il duplice problema del termine della consegna nel contratto di vendita e del passaggio del rischio nelle vendite che prevedono la spedizione del bene da parte del professionista.
Sul versante del termine della consegna, l'art. 18, co. 1, stabilisce che, salva diversa pattuizione delle parti, la consegna vada effettuata senza eccessivo ritardo e comunque non oltre trenta giorni dal momento della conclusione del contratto. Il consumatore deve reagire al mancato rispetto del termine legale o convenzionale da parte del professionista con l'invito ad effettuare la consegna e con l'assegnazione di un congruo lasso di tempo aggiuntivo entro il quale compierla. Una volta spirato inutilmente il termine di grazia, il consumatore ha diritto di ricorrere alla risoluzione e di invocare la restituzione di quanto sborsato (co. 2 e 3). Il termine di grazia non è necessario e si apre, quindi, la via alla risoluzione e al rimborso immediati, ogni qualvolta il termine per la consegna risulti essenziale oppure il professionista abbia rifiutato espressamente di effettuare la consegna (co. 3).
L'art. 20 si occupa, invece, del passaggio del rischio nelle vendite che prevedono la spedizione del bene, fissandolo nel momento in cui il consumatore o un suo incaricato, diverso dal vettore, sono immessi nel possesso. Il rischio passa, invece, al momento della consegna al vettore quando questi è stato incaricato di trasportare il bene direttamente dal consumatore e, dunque, non si tratta di un servizio offerto dal professionista.
Le critiche alla delimitazione soggettiva dell'ambito di applicazione della disciplina della vendita di beni di consumo sono state rinnovate all'indomani della pubblicazione della Proposta di direttiva sui diritti dei consumatori del 2008, nella quale viene ribadita la coppia consumatore-agente professionale con la sola novità terminologica del passaggio da professional a trader: una scelta rimasta immutata nella versione inglese della nuova direttiva in commento che però nella versione italiana in luogo del letterale «commerciante» utilizza l'usuale «professionista». L'insoddisfazione riguarda soprattutto il mancato accostamento al consumatore del piccolo imprenditore, affetto come il primo da asimmetria informativa rispetto alla controparte e in aggiunta, il più delle volte, relegato in posizione di dipendenza economica (50).
Alcune delle indicazioni fornite dal dibattito europeo sulla vendita di beni di consumo sono state recepite nella recente proposta di Regolamento del diritto comune europeo della vendita, la quale ha ovviamente assunto come suo perno proprio la disciplina comunitaria della vendita, arricchendone però il contenuto sotto diversi profili e ampliandone l'ambito di applicazione in una duplice direzione: la prima è rappresentata dall'estensione della disciplina - ma a volte con delle previsioni apposite - anche alle vendite tra imprese, di cui una piccola o media; mentre la seconda consiste nell'inclusione, accanto ai beni mobili materiali, dei contenuti digitali (digital contents) ossia informazioni prodotte ed erogate in formato digitale, inclusi i video, gli audio, le immagini, i contenuti scritti, i giochi digitali, i software e tutti gli altri contenuti idonei a personalizzare un software o un hardware già predisposti (art. 2, lett. j).
L'equiparazione dei contenuti digitali ai beni di consumo è parzialmente accolta anche dalla nuova direttiva in commento che non si spinge, in verità, ad una generale estensione della disciplina sulla vendita anche alle informazioni erogate in forma digitale ma si limita ad applicare di tale disciplina alcune disposizioni anche al caso di trasferimento di contenuti digitali o di erogazioni di acqua, gas, elettricità e teleriscaldamento (art. 5, co. 1, lett. h) e co. 2; art. 6, co. 1, lett. r), s) e co. 2; art. 9, co. 2, lett. c; art. 14, co. 4, lett. b; art. 16 lett. m); art. 27). Si tratta, quindi, di un'equiparazione parziale e difatti le due disposizioni più significative in materia di vendita di beni di consumo, gli artt. 18 (sul tempo della consegna e sulle conseguenze del suo mancato rispetto) e 20 (sul passaggio del rischio) rimangono estranee ai contratti di fornitura di contenuti digitali, come anche ai contratti di erogazione di acqua, gas, elettricità e teleriscaldamento, segno che la vendita di beni mobili presenta una sua specificità destinata a risaltare soprattutto sul piano dell'immissione nel possesso e del perimento per causa non imputabile al venditore.
La garanzia convenzionale è ora ricompresa dalla nuova direttiva in commento tra le informazioni di carattere generale che vanno fornite dal professionista prima del perfezionamento del contratto col consumatore. L'art. 5, co. 1, lett. e) prevede infatti che al consumatore vadano fornite non solo il promemoria in ordine all'esistenza della garanzia legale di conformità, ma anche le informazioni sulla messa a disposizione e sulle condizioni della garanzia convenzionale e degli altri servizi post-vendita. L'art. 6, co. 1, lett. l) e m) replica la previsione anche nelle fattispecie di vendita a distanza o conclusa fuori dal locali commerciali (51).
L'elenco, infine, delle informazioni precontrattuali dettato dalla nuova direttiva in commento all'art. 5 n. 1, lett. (a) (g) e (h), contiene - come si è visto in precedenza - alcuni dati che incidono direttamente sulla nozione di conformità del bene al contratto.
5. L'introduzione, ad opera del d.lgs. 79/2011, della figura del «turista» sembra in grado di fornire un sostegno insperato al battesimo del c.d. contratto asimmetrico. All'art. 33 (allegato 1, che introduce il codice del turismo) il turista viene infatti indicato come «l'acquirente, il cessionario di un pacchetto turistico o qualunque persona anche da nominare, purché soddisfi tutte le condizioni richieste per la fruizione del servizio, per conto della quale il contraente principale si impegna ad acquistare senza remunerazione un pacchetto turistico». Rispetto alla vecchia formulazione dell'art. 82 del codice del consumo è significativo l'abbandono del termine di consumatore in favore di quello di turista in quanto mette in risalto talune differenze: l'irrilevanza della qualità di persona fisica e del requisito della finalità di acquisto per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta. Ed invero, venuto meno il vestimento di consumatore, risulta più difficile negare che l'acquirente di un pacchetto turistico, il quale può anche essere un ente organizzato e acquistare per scopi professionali o imprenditoriali, sia riconducibile ad una diversa categoria, più ampia, di soggetto debole.
Al consumatore, dunque, sembra sostituirsi la nuova figura del turista-cliente quale epifania del cliente tout court(52) attorno a cui una parte della dottrina ricostruisce la macrocategoria del contratto asimmetrico. Il contratto del turismo organizzato potrebbe in altri termini elevarsi - ma non mancano di certo significative controindicazioni di carattere generale (53) - a paradigma di quel rapporto contrattuale che si sviluppa tra un fornitore e un destinatario di un bene o di un servizio (il cliente) nel quale il destinatario della prestazione viene tutelato quale parte debole in quanto sostanzialmente estraneo alla prestazione, indipendentemente dalla qualificazione soggettiva (persona fisica/persona giuridica) e dalle ragioni che giustificano la sua presenza sul mercato.
A sua volta e malgrado le apparenze non costituisce per nulla un appiglio utile per la sorte del contratto asimmetrico la recente estensione di cui alla nuova direttiva in commento della tutela consumeristica, senza distinguere tra scopo di consumo e non, ai clienti di forniture di acqua, gas, elettricità e teleriscaldamento effettuate da operatori pubblici su base contrattuale (art. 3 n. 1: «La presente direttiva si applica, alle condizioni e nella misura stabilita nelle sue disposizioni, a qualsiasi contratto concluso tra un professionista e un consumatore. Si applica altresì ai contratti per la fornitura di acqua, gas, elettricità o teleriscaldamento, anche da parte di prestatori pubblici, nella misura in cui detti prodotti di base sono forniti su base contrattuale»). La norma in discorso, infatti, si ispira ad una filosofia - quella comune all'art. 2597 c.c. della tutela del cliente, qualsivoglia ne sia il profilo soggettivo, avverso il monopolio pubblico o privato - che ha tratto al modello del mercato sospeso e non al modello del mercato concorrenziale nel cui seno si è affermato il contratto del consumatore e solamente può trovare ospitalità il contratto asimmetrico.
Un'ulteriore ma dubbia sponda alla teoria del contratto asimmetrico è offerta, infine, dalla già segnalata proposta di Regolamento del diritto comune europeo della vendita, il cui ambito di applicazione, tracciato dall'art. 7, co. 1, travalica i rapporti tra consumatori e professionisti estendendosi anche ai contratti tra imprese di cui almeno una sia da annoverare tra quelle medio-piccole. L'art. 7, co. 2, fissa le linee per stabilire il carattere di piccola o media impresa, prospettando due requisiti concorrenti: uno dimensionale ossia che l'impresa dia impiego a meno di 250 lavoratori; ed uno economico-patrimoniale ossia che l'impresa abbia un volume d'affari inferiore a cinquanta milioni di euro ed un bilancio consuntivo annuale non superiore ai quarantatre milioni di euro; nonché un criterio suppletivo: nel caso in cui l'impresa abbia la propria sede principale in un Paese che non fa parte del sistema dell'euro o in un Paese non appartenente all'Unione europea, il requisito economico-patrimoniale per individuare l'impresa medio-piccola è quello applicato nell'ordinamento di appartenenza.
La soluzione proposta lascia in realtà un po' perplessi perché l'impresa debole non sembra riconducibile ad una figura astratta e predeterminata, come invece accade per il consumatore, nei cui confronti peraltro sono emerse ugualmente esigenze seppure marginali di diversificazione del trattamento giuridico (vedi il caso del consumatore c.d. esperto). L'indiscutibile debolezza di talune imprese rispetto alle altre con le quali finiscono per concludere contratti non si presta ad una schematizzazione tramite la tecnica della fattispecie analitica, preordinata a delineare in termini generali e astratti l'impresa strutturalmente debole; ma, tutt'al contrario, va concepita come l'esito di un apprezzamento in concreto, per lo più incentrato sui riflessi che tale debolezza proietta sul regolamento contrattuale, determinandone l'eccessivo squilibrio, oppure anche sull'attività precontrattuale, specie in sede di rinnovazione o di rinegoziazione dei termini del contratto.
L'apertura alla figura del contratto asimmetrico che la proposta di Regolamento sembra compiere è però più apparente che reale perché non si assiste ad un piena e compiuta estensione ai contratti tra imprese, di cui almeno una medio-piccola, della disciplina dei contratti del consumatore, come invece predica la teoria del contratto asimmetrico, e infatti, su diverse e centrali questioni, la proposta di Regolamento diversifica i presupposti e le disposizioni applicabili nel caso in cui il contratto metta in rapporto due imprese. Basti pensare al trattamento differenziato in materia di condizioni contrattuali scorrette, cui sono dedicate due diverse Sezioni del Capo 8 dell'Allegato I: la Sezione 2 circoscritta ai contratti del consumatore e la Sezione 3 riservata ai contratti tra le imprese. E la medesima tecnica della differenziazione è applicata in materia di rimedi contro la difformità del bene venduto: l'art. 111 dell'Allegato I riconosce soltanto al consumatore il diritto di scegliere tra la riparazione e la sostituzione, mentre i successivi artt. 121 e 122 impongono all'acquirente-imprenditore che intenda avvalersi del sistema rimediale della vendita di esaminare prontamente, ossia entro i quattordici giorni successivi alla consegna, il bene acquistato e di comunicare, altrettanto prontamente, la scoperta del difetto di conformità, indicandone la natura.
Viene da chiedersi allora che cosa della teoria del contratto asimmetrico è accolto dalla proposta di Regolamento. Senza dubbio l'idea di fondo che anche nel contratto tra imprese si lascino scorgere problemi di disparità tra le parti e di conseguente squilibrio del regolamento negoziale tali da imporre la predisposizione di rimedi volti a riequilibrare il rapporto. Tuttavia l'accoglimento di questo assunto non si spinge fino a ritenere che il ventaglio di problemi sia il medesimo del contratto del consumatore ed anzi l'approdo consiste proprio nella conclusione opposta: il riconoscimento della specificità dell'asimmetria contrattuale tra le imprese. E ciò apre il campo alla diversa prospettiva del contratto dell'impresa «debole».
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