Cucina e gastronomia

Cucina e gastronomia

 

 

 

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Cucina e gastronomia

DISPENSA DI ENOGASTRONOMIA

 

IL MENU

 

 Il menù è l’elenco delle pietanze realizzate in un ristorante.
Esso serve:

  •  ad indicare l’insieme delle pietanze e delle bevande che entrano nella composizione di un pasto.
  • Ad indicare il cartoncino sul quale è trascritto l’elenco.

Il menu, come programma delle vivande, è sempre esistito ma veniva trascritto in una pergamena e letto agli ospiti. Il menu stampato su fogli sembra sia stato diffuso dal 1855 e presentato in occasione di banchetti realizzati alla corte di Napoleone III. La necessità del menu nasce dopo l’imposizione del servizio alla russa anziché quello alla francese.

I comandamenti del menu
Per qualunque negozio la vetrina rappresenta sempre un’ arma potentissima. È lo strumento che ogni commerciante ha a sua disposizione per stuzzicare nei clienti la voglia di comperare, per far loro acquistare, per esempio, una cravatta anche quando non ne hanno effettivamente bisogno. Anche i ristoratori hanno un’arma ed è il menu. Con questo semplice foglio di carta si può invogliare il cliente ad ordinare le varie specialità, magari anche quando non ha tanta fame.

 

La semplicità prima di tutto
Il menu deve rispecchiare la personalità del nostro ristorante. Prima di sedersi a tavolino e pensare a cosa scriverci dentro, bisogna ragionare sulle impressioni che si vogliono trasmettere al cliente informale. Per realizzare una lista fatta a dovere ci sono dei punti fermi che non si possono tralasciare.
Solitamente il cliente tiene in mano il menu per pochi minuti, quindi in questo lasso di tempo dovrà avere subito una buona impressione generale delle  proposte e dovrà riuscire a trovare qualcosa che lo stimoli a ordinare. Di conseguenza la prima regola da rispettare è: la chiarezza  e facilità di lettura.

Per creare il menu possiamo utilizzare anche un normale computer e un programma per scrivere. La lista deve essere immediata e quindi va realizzata con un tipo di carattere che risulti chiaro e facile da leggere. Bisogna fare  poi molta attenzione anche alle dimensioni del testo che deve essere leggibile a tutti..

 

          Un altro aspetto importante del nostro menu riguarda la disposizione del testo. Abbiamo detto che un menu deve essere facile da leggere quindi bisogna  fare molta attenzione al modo in cui il testo viene inserito nella pagina. A questo proposito, per essere più comodo da leggere il testo va disposto su colonne. In questo modo sarà più leggibile rispetto al testo che scorre per tutta la larghezza della pagina.

                                          
Scegliere le parole con attenzione
Guardando attentamente i menu realizzati da alcuni ristoratori è facile notare alcuni errori comuni. Si tratta di alcune parole inserite con l’intento di aggiungere qualità ai piatti proposti e che invece possono ottenete l’effetto contrario. Per esempio l’aggettivo fresco che spesso si trova vicino al nome di alcune pietanze a base di pesce,  porterà il cliente a pensare che sono freschi solo gli ingredienti di quel piatto, mentre tutti gli altri no
L’ospite, invece,  deve dare per scontato che tutto quello che viene servito  è freschissimo e di alta qualità.  Questo concetto fondamentale non deve mai essere messo  in dubbio. Lo stesso discorso vale per termini come delizioso o squisito. Queste parole aumentano le aspettative del cliente e lo rendono più critico. Bisogna lasciare  che sia lui stesso a dire se quello che gli è stato  servito era di suo gusto, magari chiedendoglielo a voce a fine pranzo e dimostrando così di essere molto attenti al suo parere. Le parole che servono per la descrizione dei  piatti devono creare immagini nella mente del cliente, non esprimere giudizi.

 

Gli errori più comuni
Quando il cliente si trova in mano un menu troppo scomodo da consultare si innervosisce.
Gli errori più comuni che si commettono durante la sua realizzazione sono . un testo troppo piccolo o troppo grande. Un menu dovrebbe essere poco più grande di un quaderno di scuola, le dimensioni giuste sono quelle di un comune foglio A4.
Un altro aspetto importante riguarda la traduzione dei piatti in lingua estera. Se il  locale si trova in una zona turistica frequentata da stranieri può essere molto utile indicare i piatti anche in inglese e in tedesco. Un errore di lingua commesso nella descrizione di un piatto toglierà al  locale il fascino che con tanta fatica si è  cercato di ricreare.

 

I VARI TIPI DI MENU
Il momento determinante dell'intero servizio ristorativo è costituito dalla scelta delle pietanze, preparate nella zona di produzione e consumate dal cliente, nella maggior parte dei casi, nella sala ristorante.
Al cliente viene data la possibilità di effettuare la sua scelta consultando il menu.
Il termine "menu" è usato correntemente:

  • sia per indicare il menu operativo, cioè l'insieme delle pietanze che costituiscono un pranzo;
  • sia per indicare il menu fisico, cioè il supporto (la carta o il cartoncino) sul quale vengono ordinatamente riportati i piatti.

Per concepire correttamente il menu operativo, è necessaria un'accurata selezione dei piatti, che tenga conto di molteplici fattori: le esigenze e le abitudini alimentari della clientela, il contesto nel quale viene svolto il servizio ristorativo, la stagionalità dei piatti offerti e così via.

I tipi di menu più utilizzati possono essere raggruppati in due categorie:

  • menu alla carta , detto anche  “a scelta del cliente”;
  • menu fisso;

MENU ALLA  CARTA
È l'elenco delle preparazioni gastronomiche proposte dall'azienda ristorativa, ordinate per portate.
Per portata si intende ciascuna delle diverse vivande che si portano in tavola: un pranzo di tre portate, per esempio, può essere costituito dal primo, dal secondo e dal dessert. La lista delle vivande riporta, oltre agli ingredienti caratterizzanti il piatto, l'indicazione se si tratta di un alimento fresco o surgelato e il prezzo di vendita. Questo tipo di menu consente al cliente di determinare la scelta gastronomica e l'ammontare del conto.
Nella grande carta, la lista è molto più lunga e comprende piatti raffinati ed elaborati, talvolta appartenenti alla cucina internazionale. Viene generalmente proposta nei ristoranti di categoria superiore ed è solitamente aggiornata con cadenza stagionale.

MENU FISSO
In questo caso l'offerta gastronomica viene definita dall'azienda ristorativa e il cliente effettua la sua scelta in relazione a essa, quindi non ha un ampio margine di discrezionalità. Il menu propone, generalmente, da due a tre piatti per portata, offrendo al cliente la possibilità di scegliere un piatto per portata. Il prezzo, solitamente accessibile, è prefissato e si riferisce al menu nel suo complesso.
Tra le tipologie più diffuse di menu fisso ricordiamo il menu turistico,  il menu a tema.

  • Il menu turistico costituisce una vera e propria strategia commerciale per attirare i clienti. Viene proposto con prezzi particolarmente vantaggiosi nei ristoranti delle località turistiche. Per invogliare i turisti non si punta solo sul prezzo, ma anche sull'offerta: di solito si propongono due o tre menu alternativi completi a prezzo fisso.
  • Il menù a tema prevede  la presenza dello stesso alimento in tutte le portate .
  • Il menu per ricorrenze è stilato dai ristoratori in occasione di festività particolari, come il Natale, il Capodanno, il giorno di San Valentino ecc.

ALTRI TIPI DI MENU FISSO:MENU DEGUSTAZIONE
Possiamo definirlo una variante raffinatissima del menu a prezzo fisso. Infatti, anche in questo caso il prezzo è predefinito; i piatti sono però di livello decisamente superiore, sia per la qualità e la freschezza degli alimenti impiegati, sia per la tecnica culinaria.
Le pietanze sono generalmente elaborate, creative e innovative. Il servizio si svolge con dressage di ogni singolo piatto e le porzioni sono ridotte: si tratta, in buona sostanza, di "assaggi", ben presentati e completati con guarnizioni. A ogni piatto è in genere abbinato un vino specifico.
Queste pietanze incuriosiscono, stuzzicano l'appetito e appagano la fantasia degli ospiti, che possono gustare in un solo servizio le diverse specialità della casa. Il prezzo fisso è comprensivo dei vini e del servizio.

MENU CONCORDATO
Si stila in linea di massima per banchetti, cerimonie e occasioni diverse: matrimoni, feste, convegni ecc. Il menu viene definito dal cuoco o dal manager della ristorazione insieme al committente del banchetto, il quale conosce le caratteristiche del gruppo di invitati e le loro esigenze gastronomiche e nutrizionali. La scelta dei piatti viene fatta considerando anche la spesa pro capite che il committente intende sostenere.

PIATTO UNICO
Non può essere considerato un vero e proprio menu, bensì la proposta, a prezzo fisso, di un piatto variamente composto che da solo potrebbe costituire un pasto. La richiesta del piatto unico è sempre più diffusa e trova la sua motivazione nella necessità, oggi molto sentita, di rispettare sani principi nutrizionali.
La composizione del piatto unico si rifà alla dieta mediterranea, che prevede il consumo prevalente di pane, pasta, legumi, pesce, latte e derivati, frutta fresca, olio d'oliva come condimento.
L'apporto calorico complessivo di un piatto unico non deve superare le 700/800 kcal e deve garantire un equilibrato apporto di nutrienti: carboidrati, lipidi, glucidi, vitamine e sali minerali.

IL MENU’ IN BASE ALL’ETA’ E ALLO STATO DI SALUTE DEL CLIENTE.

Costruire il menù in base all’età e allo stato di salute del cliente vuol dire variare i piatti, ingredienti e quantità  a seconda che ci si trovi a fornire il pasto a studenti o a lavoratori o a persone anziane.
Se chi consuma il pasto svolge un’attività fisica impegnativa o un lavoro pesante, avrà bisogno di piatti più robusti; se soffre di malattie o patologie che richiedono una dieta personalizzata, bisognerà evitare certi alimenti e servirne altri.
Lo stesso accade se bisogna servire clienti che seguono diete speciali. Tenendo conto dell’età, saranno scelte carni tenere o pesci senza lische, si potranno servire cibi frullati, passati, disossati e sminuzzati. In generale costruire il menù in base all’età o all’attività svolta dai clienti vuol dire curarsi dell’aspetto nutrizionale individuando gli alimenti e le quantità più adatte al consumatore. Costruire il menù in base allo stato di salute e a momenti fisiologici particolari, vuol dire compilare diete specifiche sulla base delle necessità fisiche e in relazione alle eventuali patologie del singolo individuo.
Ogni dieta richiede attenzioni particolari nella scelta e nella preparazione dei cibi. Può anche verificarsi la necessità di pranzare in orari differenziati; è necessario quindi informare la brigata di cucina sulle modalità previste predisponendo che riportino le indicazioni sui principali regimi alimentari. Il menù può così diventare strumento di diffusione di una corretta e sana alimentazione. Alla figura del responsabile del ristorante si affianca quindi quella del dietologo, come già avviene nella ristorazione scolastica, ospedaliera, in alcune aziende e alberghi.
Il menù in base all’età.
Il fabbisogno giornaliero deve essere suddiviso nei diversi momenti della giornata e in modo differente a seconda dell’età. Per la dieta del bambino e dell’adolescente che hanno necessità di accrescimento, il fabbisogno calorico dovrebbe essere suddiviso tra: la prima colazione, uno snack, la colazione, la merenda , il pranzo. Per gli adulti e gli anziani la dieta, che ha le caratteristiche di mantenimento, è costituita dai tre pasti principali: prima colazione, pranzo, cena.
Per la dieta dei bambini da 4 a 12 anni il latte e i suoi derivati rimangono gli alimenti prioritari, soprattutto per la prima colazione e per uno dei pasti principali. Inoltre sono indicati una volta al giorno un piatto di verdure cotte e uno di verdure crude o di frutta. Particolarmente importante diventa lo studio del menù per la refezione scolastica , che deve fornire una alimentazione equilibrata, che tenga conto delle abitudini alimentari della collettività, scegliendo piatti salutari ma graditi ai bambini.
Dai 12 ai 18 anni si parla di dieta dell’adolescenza. La capacità di scelta autonoma anche in campo alimentare porta i ragazzi ad un consumo poco attento dei cibi, in una fase della vita in cui bisognerebbe imparare a nutrirsi con un’ampia varietà di alimenti.
In età adulta la dieta dovrebbe mantenere nei valori di norma il peso corporeo e anche nella terza età dovrebbe essere equilibrata, riducendo l’apporto calorico.

IL MENU’ IN FUNZIONE DELLO STATO DI SALUTE DEL CLIENTE.
Il fabbisogno giornaliero medio di un individuo adulto è di 2254 calorie, anche se molto dipende dal lavoro svolto. Le calorie necessarie potrebbero anche essere inferiori a tale valore dato che  aumentano i lavori sedentari. È importante il calcolo del quantitativo massimo di colesterolo, che in un individuo adulto deve essere al massimo di 300 mg, ma che può essere levato fino a 500 mg per persone in perfetta salute.
In caso di sovrappeso occorre seguire una dieta ipocalorica, quindi potrebbe essere necessario iniziare il pasto con molte verdure, che conferiscono un senso di sazietà. Per prevenire o curare alcune malattie si può unire la cura farmacologica a  una dieta alimentare, escludendo alcuni cibi  favorendo il consumo di altri.
Le esigenze del cliente possono essere molto diverse, a volte legate a problemi di intolleranza verso alcuni alimenti e alla necessità di diete arricchite. Tra le diete più comuni figurano quelle per diabetici, con pochi grassi e zuccheri, le diete ricche di calcio, per persone affette da osteoporosi, le diete prive di lattosio, quelle povere di glutine, per persone con celiachia, quelle a basso contenuto di colesterolo e grassi saturi, nei casi  di colesterolo alto.
È essenziale che il cliente possa seguire la propria dieta. Ogni sistema di ristorazione dovrebbe essere in grado di servire clienti con particolari esigenze alimentari. A seconda dei casi i clienti potranno richiedere di consumare i pasti in orari diversi da quelli consueti. Il personale di cucina deve essere informato delle richieste e del tipo di dieta con schede apposite, compilate sulla base delle esigenze alimentari del cliente e offrire la massima disponibilità nella scelta e nella preparazione dei cibi.
METODI FISICI DI CONSERVAZIONE.
A) L’USO DEL FREDDO.
Il freddo ha lo scopo di rallentare o arrestare del tutto la degradazione dei cibi dovuta a processi chimici o enzimatici. Il freddo,  comunque, non è in grado di distruggere le tossine e non ha effetto sterilizzante. Per questo gli alimenti destinati alla conservazione a freddo devono essere di buona qualità e possedere una quantità di microbi ridotta al minimo.
Una prima tecnica che si avvale dell’uso del freddo è la REFRIGERAZIONE, essa è applicata sia a livello industriale che domestico con la diffusione dei frigoriferi. Durante la refrigerazione ,i liquidi organici non solidificano, perciò essi non ledono le strutture cellulari dell’alimento conservando in maniera pressoché inalterata le sue caratteristiche nutritive. Tuttavia, la refrigerazione non blocca ma rallenta lo sviluppo dei microrganismi, quindi i prodotti possono essere conservati pochi giorni o al massimo qualche settimana.
Attraverso il controllo o la modifica dell’atmosfera che accompagna la refrigerazione, si realizza la tecnica della REFRIGERAZIONE IN ATMOSFERA CONTROLLATA , cioè a bassa concentrazione di ossigeno. Essa si effettua con la frutta gli ortaggi per rallentarne la maturazione. L’impianto deve essere a tenuta stagna in modo che l’atmosfera sia costante nel tempo. La tecnica della CONGELAZIONE consiste nel portare l’alimento a temperature basse in modo che l’acqua contenuta negli alimenti si solidifica e  cristallizza. Tuttavia quanto più grandi sono i cristalli di ghiaccio che si formano all’interno delle cellule, tanto più ,nella fase di scongelamento, si verifica fuoriuscita di sali minerali e vitamine. Ecco perché i metodi di congelazione lenta sono stati sostituiti da quelli di congelazione rapida.
Infine, abbiamo la SURGELAZIONE,che è una forma di congelazione ultrarapida. Le operazioni di surgelazione si possono effettuare solo in stabilimenti autorizzati dall’autorità sanitaria, e comportano la preparazione dei cibi, il loro confezionamento, il congelamento ultrarapido a - 300 o -500 in brevissimo tempo e la conservazione del prodotto a -180. Affinché il prodotto si mantenga qualitativamente inalterato deve essere mantenuta la cosiddetta “catena del freddo”, cioè dal luogo di produzione fino alla vendita deve essere mantenuta sempre la  temperatura di conservazione a-180 . La scongelazione di un alimento deve essere compiuta per non comprometterne le caratteristiche e qualità , essa può essere praticata a temperatura ambiente, in frigo, con forno a microonde ecc.ecc…

B) L’USO DEL CALORE.
L’impiego del calore è un metodo efficace per distruggere i microorganismi e gli enzimi responsabili della alterazioni degli alimenti. Alle temperature elevate, il calore diventa un vero e  proprio battericida anche se le temperature elevate alterano le caratteristiche degli alimenti. E’ necessario trovare il compromesso giusto che permetta qualità igienica e danneggiamento minimo degli alimenti. Louis Pasteur si accorse che riscaldando il latte il rischio di contrarre la tubercolosi si abbassava, inoltre l’alimento si conservava qualche giorno in più. Fu così ideato il metodo della PASTORIZZAZIONE, che si distingue in bassa o alta a seconda della temperatura utilizzata. Tuttavia oggi si utilizza il metodo HTST detto anche pastorizzazione rapida che sia applica anche su altri alimenti liquidi. Con la pastorizzazione si distruggono tutti i germi patogeni, ma non  le spore che dopo breve tempo possono generare nuovamente microrganismi. Per questo motivo , di solito, la pastorizzazione viene associata alla refrigerazione o al sottovuoto  o ad altri sistemi conservativi. La STERILIZZAZIONE è un trattamento che si effettua sempre al di sopra del 100 o e distrugge tutti i microrganismi presenti e le spore, è meno vantaggiosa perché l’alta temperatura provoca alterazioni di vario tipo. Esiste poi il trattamento UHT,che consiste nel riscaldare un alimento liquido con uno scambiatore di calore o con iniezione di vapore surriscaldato, e infine il CONFEZIONAMENTO ASETTICO ,che consente di confezionare il prodotto trattato termicamente in contenitori asettici . In questo modo si utilizza una sterilizzazione meno aggressiva  e le perdite nutritive del prodotto sono limitate al massimo.

C) LA SOTTRAZIONE DI ACQUA.
I microrganismi,  per vivere, hanno bisogno di una quantità ben precisa di acqua che possono trovare negli alimenti, di conseguenza, eliminando parzialmente l’acqua dagli alimenti si può allungarne la conservazione. Questo è il sistema della CONCENTRAZIONE  che può essere a caldo ,a freddo o mediante membrana. La prima è la classica, più utilizzata, che consiste nella evaporazione controllata a temperature inferiori a 100 0 per tempi lunghi; ha il difetto di alterare le caratteristiche degli alimenti sensibili alle alte temperature. La seconda consiste nell’allontanare l’acqua sotto forma di cristalli di ghiaccio, infatti quando si scende sotto gli 0 0 l’acqua si separa del resto della soluzione sotto forma di ghiaccio. Infine l’ultima,  in cui si impiegano filtri costituiti da membrane semipermeabili che trattengono i liquidi lasciando passare l’acqua.
Il metodo forse più antico è quello dell’ ESSICCAMENTO solare o con metodi artificiali ,con gli essiccatoi anche se l’acqua non viene eliminata del tutto ,resta sempre nell’alimento in minima parte.
Infine abbiamo la LIOFILIZZAZIONE. Questo particolare sistema conservativo consiste nel congelamento dei prodotti alimentari e nella loro successiva disidratazione .I liofilizzati si rigenerano con la semplice aggiunta di acqua.
Le fasi della liofilizzazione sono quattro:
© PREPARAZIONE DEL PRODOTTO.
© CONGELAMENTO RAPIDO O SURGELAZIONE.
© DISIDRATAZIONE SOTTOVUOTO E SUBLIMAZIONE.
© CONFEZIONAMENTO.
Nella   prima fase si  suddivide il prodotto, che viene ridotto in piccole porzioni, nella seconda lo si congela  a temperature comprese tra i -400 e i -300 , nella terza si opera un vuoto molto spinto e si riscalda leggermente per provocare la sublimazione dell’acqua, infine il prodotto così liofilizzato viene confezionato.
Le sostanze liofilizzate si mantengono inalterate per lungo tempo, riprendono l’aspetto originario se messe a contatto con acqua a temperatura ambiente, inoltre il loro peso si riduce di molto  .

D) L’ USO DELLE RADIAZIONI.
L’impiego delle radiazioni per la conservazione degli alimenti è effettuata con tecniche particolari, alcune delle quali sono ancora in fase sperimentale. L’irraggiamento si basa sulla propagazione negli alimenti di energia ad opera di radiazioni elettromagnetiche come i raggi ultravioletti (UV), i raggi X e gamma.
I raggi UV  essendo meno penetranti , hanno una debole azione antimicrobica. I raggi X e gamma hanno il potere penetrante ed energia sufficiente per  sottrarre o aggiungere elettroni agli atomi del materiale al  quale vengono sottoposte.
Nel nostro paese questi trattamenti devono essere indicati con apposito marchio nelle confezioni vendute al pubblico.

 E) MODIFICAZIONI DI ATMOSFERA.
 ATMOSFERA CONTROLLATA O CAP.
Si tratta di una tecnica che consiste nella sostituzione dell’aria con gas inerti. Si effettua trattando il prodotto entro speciali confezioni all’interno delle quali l’aria è stata sostituita da gas inerti appunto. Si definisce “atmosfera controllata” perché i gas inerti che conservano il prodotto si mantengono costanti nel tempo.
 ATMOFERA MODIFICATA O MAP.
Si verifica quando la composizione dei gas inerti si modifica durante la conservazione del prodotto,perché il prodotto respira .In questo modo diminuisce l’ossigeno e aumenta l’anidride carbonica.
 SOTTOVUOTO .
La conservazione sottovuoto si attua eliminando il contatto dell’aria con l’alimento , quindi creando il vuoto all’interno del contenitore alimentare.il vuoto elimina l’ossigeno frenando le reazioni degenerative e il proliferare dei microrganismi.
CRYOVAC.
Il cryovac è una tecnologia innovativa basata sulla congelazione o refrigerazione dell’alimento chiuso  in una pellicola impermeabile trasparente e sottovuoto.Questa tecnologia si impiega soprattutto per carni fresche insaccati, e altri prodotti facilmente deteriorabili.

 

 

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METODI CHIMICI DI CONSERVAZIONE.

  • CONSERVAZIONE CON IL SALE.

L’uso del sale è uno dei metodi più antichi di conservazione degli alimenti.Esso può essere effettuato a secco , per aspersione, sfregamento o sovrapposizione a strati, oppure in salamoia, per immersione in soluzioni acquose.Il sale penetra negli alimenti impedendo la putrefazione.

  • CONSERVAZIONE CON LO ZUCCHERO.

La sua azione conservativa è analoga al sale, tuttavia il saccarosio deve comunque essere presente nell’alimento per il 50%-60% dato che le percentuali basse possono favorire fermentazioni.

  • CONSERVAZIONE CON L’OLIO.

L’olio d’oliva e gli olii di semi in genere si impiegano per proteggere gli alimenti dal contatto con l’aria e impedire quindi lo sviluppo dei microrganismi .

  • CONSERVAZIONE CON L’ACETO.

L’azione conservativa dell’aceto è dovuta al suo potere acidificante che inibisce la formazione dei microrganismi.

  • CONSERVAZIONE CON L’ALCOOL ETILICO (SOTTO SPIRITO).

Anche l’alcol etilico ha la proprietà si creare un ambiente sfavorevole alla proliferazione dei microrganismi.
METODI CHIMICO-FISICI E BIOLOGICI DI CONSERVAZIONE.

  • AFFUMICAMENTO.

Questo metodo antico, consiste nel sottoporre gli alimenti all’azione combinata del calore e del fumo, di alcuni legni come il faggio, il castagno o le querce con l’aggiunta di alcune erbe aromatiche ( alloro ,rosmarino salvia…). L’azione conservativa unita ad una parziale disidratazione ha un’azione antifermentativa ed antisettica.

  • FERMENTAZIONE.

La fermentazione sfrutta l’azione di  microrganismi capaci di produrre nella sostanza alimentare condizioni tali da impedire fenomeni di decomposizione. Le principali sono : la fermentazione alcolica, lattica, propionica, acetica, citrica. In particolare la fermentazione lattica serve per la produzione dello yogurt ,nella maturazione dei formaggi, insaccati e nella preparazione dei crauti.

 

 

 

 

 

 

                       
SCHEDA TECNICA DI PRODUZIONE
Definizioni
Il piatto è un insieme di ingredienti lavorati, utilizzando modi e tecniche appropriate che, si identifica con un nome specifico.
Gli elementi minimi essenziali che deve contenere una scheda tecnica di produzione sono:
 il nome della ricetta
gli ingredienti
la quantità
numero dei coperti
gli utensili usati e i metodi di cottura

La scheda tecnica di produzione professionale.
Lo chef di cucina e l’economo predispongono per ogni pietanza dettagliatamente la scheda di produzione ricetta, il costo delle materie prime, il tempo di esecuzione, le attrezzature necessarie, il tipo di presentazione.
I dati che deve contenere la scheda sono:

  • la ragione sociale della ditta;
  • il nome della ricetta;
  • la categoria della ricetta;
  • il numero dei coperti;
  • la foto del piatto finale;
  • gli ingredienti del piatto, unita di misura, quantità, prezzo per kg, prezzo dell’unità di misura utilizzata;
  • il procedimento della ricetta in fasi di preparazioni, se necessario con le foto;
  • l’attribuzione del lavoro alle singole partite;
  • il tempo reale della preparazione;
  • le attrezzature utilizzate;
  • le varianti;
  • le osservazioni nutrizionali;
  • la storia del piatto o dell’ingrediente principale;
  • le note personali.

I verbi e i termini utili da utilizzare per la scheda di produzione ricetta.
La scheda ricetta
La scheda-ricetta costituisce il corpo centrale per la buona riuscita della stessa pietanza, dell’organizzazione delle attrezzature, utensileria, del personale e dei costi.
Il nome della ricetta funge da titolo della relativa scheda: è viene scelto (ove possibile) la grafia italiana, limitando l’impiego delle dizioni dialettali allo stretto indispensabile.
La successiva parte di codificazione presenta innanzitutto il numero di porzioni a cui si riferisce la ricetta. Nella maggior parte dei casi, è pari a 4 o 6.
A seguire, viene illustrata la codificazione tipologica (posizione nel menù: antipasto, minestra, dessert, etc.), la stagionalità, il livello di difficoltà (modesto, medio o elevato), il tempo di esecuzione (in minuti) e la tecnica (o meglio, il principio) di cottura. Una notazione più estesa indica gli utensili necessari per approntare la formulazione (ad esclusione di quelli più ovvi).
È importante il verbo da utilizzare il più indicato è l’infinito.

L’infinito è una forma verbale usata in molte lingue come l’italiano. È la forma che si trova nei dizionari e non è riferita ad alcun tempo (presente, passato o futuro), né ad alcuna persona grammaticale (io, tu, lui, lei). In italiano, la forma dell’infinito di un verbo come andare è composta da una radice (and-) e da una desinenza (-are).
Prendere una casseruola media, metterla sul fuoco a fiamma bassa, versare l’olio d’oliva quanto sufficiente per far rosolare la cipolla precedentemente tritata finemente. Aumentare la fiamma e rimestare continuamente, appena la cipolla si è imbiondita versare i pomodori pelati ecc……..

 

 

 

 

 

I PRODOTTI ALIMENTARI
La caratteristica essenziale dei prodotti alimentari è la genuinità.  Ciò significa che devono possedere unicamente le loro caratteristiche naturali, senza l’aggiunta di qualsiasi altra sostanza.
Sempre più spesso i produttori si associano per tutelare i prodotti del territorio e richiedono la registrazione dei prodotti tipici. La registrazione avviene inoltrando la domanda al Ministero per le politiche agricole, che la trasmette alla Commissione europea. I prodotti tipici italiani sono oltre 100. I marci di qualità previsti sono:

  • D.O.P.: denominazione di origine protetta.
  • I.G.P.: indicazione geografica protetta.
  • S.T.G: specialità tradizionale garantita.

Nel settore vinicolo esistono altri tre marchi:

  • D.O.C.: denominazione di origine controllata.
  • D.O.C.G.: denominazione di origine controllata e garantita.
  • I.G.T.: indicazione geografica tipica.

Il marchio DOP si associa a prodotti  che provengono da una area geografica ben precisa. Il marchio IGP si assegna ad un prodotto la cui qualità è legata all’origine geografica. In questo caso è sufficiente che almeno una delle fasi di produzione sia effettuata in zona. Il marchio STG identifica le caratteristiche di un prodotto per distinguerlo da altri simili.
I NUOVI PRODOTTI ALIMENTARI.

  • Gli alimenti dietetici: essi sono pensati per particolari regimi alimentari, per esempio l’infanzia, per i diabetici, per le diete dimagranti.
  • Gli alimenti integrati: essi sono addizionati con altri nutrienti come per esempio le vitamine, i Sali minerali e le proteine.
  • Gli alimenti alleggeriti( cibi light): sono preparati riducendo il contenuto dei grassi, degli zuccheri del sale e dell’alcool.
  • Gli O.G.M.: la ricerca scientifica ha sviluppato le tecniche di laboratorio dette di clonazione o transgeniche. Gli organismi geneticamente modificati sono dei prodotti alimentari che sono modificati per aumentarne la redditività o per renderli più resistenti ai parassiti.

 

IL BANQUETING
Comunemente il banqueting è considerato sinonimo di catering, infatti viene definito anche “catering a domicilio” per distinguerlo dal catering vero  e proprio denominato “industriale”.
Il banqueting , pur essendo in effetti derivato dal catering , ha caratteristiche sue proprie, è un contratto anch’esso atipicoe può essere definito secondo la legge “ servizio di ristorazione al domicilio del consumatore”.
Il termine “banqueting” ( dall’inglese “to banquet” , banchettare) indica l’organizzazione di banchetti di alta qualità al domicilio del cliente o in locali appositi. Per effettuare tale servizio non basta una autorizzazione generica di somministrazione di alimenti e bevande, come previsto per i ristoranti, ma è necessario creare una società di servizi ed ottenere  l’autorizzazione della Camera di Commercio o dalla Prefettura.
La fondamentale differenza con il catering sta nel fatto che nel banqueting l’intera organizzazione del servizio è assunta dall’impresa fornitrice; altra differenza è che , mentre nel catering il rapporto fra le parti è continuativo, per il banqueting è caratterizzato da una durata occasionale .
Il servizio oggetto del contratto è a ciclo completo, in quanto la società si assume la responsabilità di tutto l’evento, dal rifornimento del cibo, all’apparecchiatura ,al servizio di sala e quant’altro richiesto dal committente.
Di solito la preparazione delle vivande è realizzata nei locali della società, con la tecnica del sottovuoto e solo il completamento della cottura viene effettuato sul posto.
Le attrezzature necessarie possono essere di proprietà dell’azienda o noleggiate in tutto o in parte da società specializzate. Un’altra caratteristica del banqueting è la “personalizzazione del servizio” che riuscirà tanto meglio quanto più le parti hanno concordato l’allestimento nei minimi dettagli. Nella prassi il servizio viene concordato su appositi formulari detti “check list” dove vengono indicati con precisione tutti gli elementi che compongono il servizio stesso ( il menù, le bevande, la disposizione dei tavoli, l’addobbo…..).

LE FIGURE PROFESSIONALI NEL BANQUETING.

Un’ organizzazione così complessa richiede personale altamente specializzato e responsabile dell’intera gestione dell’evento, che sappia  coordinare tutti i settori e le fasi del servizio.
La figura professionale che ha questa funzione è il FOOD AND BEVERAGE MANAGER. La sua competenza è amplissima: dal controllo di qualità, alla gestione, all’igiene, alla gestione delle scorte al funzionamento delle attrezzature, ma anche al marketing, la gestione delle risorse umane. Naturalmente sono necessarie competenze di tipo organizzativo, contabile,gestionale , eno-gastronomiche,merceologiche ecc. ecc.
Altra figura professionale di rilievo è il WINE MANAGER ,responsabile del settore vini, che si distingue dal sommelier.Egli infatti non si limita solo a selezionare i vini, abbinarli al cibo e indirizzare il cliente, ma è anche responsabile della cantina ,degli acquisti dei vini e gestisce un proprio budget.Egli, inoltre, è un dipendente mentre di solito il sommelier è un lavoratore autonomo.
Il responsabile del servizio è invece il BANQUETING MANAGER, che è il vero e proprio organizzatore dell’occasione di banqueting.E’ lui che sceglie la sede, effettua dei sopralluoghi,  studia il posto migliore per l’ubicazione del buffet,l’illuminazione ,i decori, gli addobbi, al momento del banchetto è responsabile della preparazione e presentazione dei piatti.Al termine dell’evento si assicura che ogni cosa rientri nella sede dell’azienda.
Il servizio di cucina è curato dallo CHEF DI CUCINA.
Spetta a lui definire il menù per l’occasione, fare un sopralluogo negli ambienti dove viene allestito il banchetto, posizionare la cucina mobile, individuare le attrezzature necessarie, fornire indicazioni in merito all’economo.
In aggiunta, nei grandi centri di produzione è prevista la figura dello CHEF TECNOLOGO che ha una specifica competenza  sulle tecnologie di conservazione dei cibi e alla progettazione di menù indirizzati a gruppi collettivi. Altra figura emergente è lo CHEF DIETISTA, che si occupa di realizzare menù specifici per le diverse esigenze e patologie della clientela e di valorizzare stili alimentari sani.
Altra figura professionale di rilievo è costituita dal BARMAN che ha conoscenze tecniche liquoristiche e abilità nella preparazione dei drink tradizionali e nuovi in base alle aspettative del cliente.
Infine, c’è l’ECONOMO responsabile del magazzino, che si occupa del trasporto delle merci nel luogo destinato al banchetto e controlla che tutti i beni escano e rientrino nell’azienda.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL CATERING NELLA RISTORAZIONE
A differenza della ristorazione tradizionale, il catering non svolge tutto il ciclo lavorativo nello stesso luogo. Ed offre servizi e pasti in luoghi diversi e lontani da quelli destinati alla preparazione dei cibi.
Una delle formule più diffuse prevede la produzione e la fornitura di pasti pronti. Il cibo, preparato nelle cucine del “caterer”, è trasportato e consegnato al cliente senza provvedere al servizio di distribuzione ai consumatori.
La forma completa di catering è quella che provvede, invece, all’intera organizzazione del servizio; essa può aver luogo preparando i cibi nelle cucine del caterer, trasportandoli sul luogo del servizio ed effettuando anche la distribuzione con il proprio staff.
Esiste poi il caso di “appalto del servizio di ristorazione”, in cui l’albergo o l’istituzione che necessita del servizio ristorante, possedendo spazi per sala e cucina già attrezzati, decide di affidare la produzione pasti ad una ditta esterna, per evitare i problemi connessi alla produzione dei pasti. Può decidere di appaltare l’intero settore, oppure solo i banchetti. Sono nate così imprese che, rilevano le gestioni della ristorazione alberghiera o delle varie forme di ristorazione collettiva.
L’organizzazione della produzione-distribuzione può avvalersi, di sistemi di fornitura pasti tramite lagame fresco-caldo o legame refrigerato.
Nel primo caso il cibo preparato è destinato al pronto consumo, entro due ore, i pasti sono confezionati in contenitori termici, trasportati in luoghi di consumo e distribuiti mantenendoli a temperature tali da garantire la massima sicurezza igienica.
Il legame refrigerato prevede invece che i cibi pronti vengano confezionati e raffreddati rapidamente a 10 gradi con gli abbattitori di temperatura; le preparazioni vengono poi conservate in frigorifero alla temperatura di 2 gradi fino ad un massimo di 3-5- giorni, al momento della distribuzione vengono rigenerati e serviti alle giuste temperature. Meno utilizzato è il sistema del legame surgelato, che presenta il vantaggio di un tempo di conservazione più lungo, a temperatura di abbattimento e conservazione di 18 gradi.
Il trasporto degli alimenti deve avvenire con veicoli idonei e in contenitori destinati solo a questo scopo. Veicoli e contenitori devono essere resistenti agli urti, impermeabili, di facile pulizia.
I VARI TIP DI CATERING

 

La refezione scolastica: essa deve proporre ricetta bilanciate ed appropriate per tutelare la salute dei giovani consumatori. Per l’elaborazione dei menù ci si avvale della collaborazione di nutrizionisti e pediatri. Il menù è strutturato su due periodi, uno invernale ed uno estivo, con rotazione mensile in modo da introdurre un’ampia varietà di pietanze nel rispetto della stagionalità dei prodotti.
La ristorazione ospedaliera: essa deve tenere conto delle problematiche sanitarie e delle esigenze dietetiche dei degenti. Deve essere realizzata nel pieno rispetto delle norme igieniche per evitare contaminazione e circolazione di batteri ed infezioni.
Il catering ferroviario: il vagone ristorante è sempre presente soprattutto sui treni che percorrono lunghe tratte ferroviarie. Sul vagone ristorante sono presenti attrezzature per la conservazione e il riscaldamento dei cibi, anche per il confezionamento dei piatti espressi; la riserva di acqua potabile deve provenire da acquedotti pubblici.
Il catering navale: esso si limita alla fornitura di alimenti crudi o semilavorati che vengono poi trattati nelle cucine di bordo; sono previste anche la somministrazione e la produzione di pasti per il personale di bordo e per i passeggeri, ricorrendo agli chefs e camerieri dipendenti dell’azienda di catering nei locali concessi dall’armatore.
Il catering aereo: sugli aerei i contratti di fornitura sono stipulati direttamente tra caterer e compagnie aeree, La società di catering si limita alla fornitura di pasti, il servizio ai passeggeri avviene ad opera del personale di bordo. Occorre considerare la durata del volo, e le attrezzature disponibili necessarie per il trattamento degli alimenti, lo spazio a disposizione per distribuire i pasti, la sistemazione del cibo nei vassoi.

LA FILIERA AGROALIMENTARE E IL KM “0”
Per garantire che al consumatore giungano prodotti di qualità  gli alimenti devono passare attraverso diversi processi. I processi di trasformazione servono ad eliminare i microbi e a prevenire la loro moltiplicazione, per azzerare il rischio di intossicazioni ed infezioni. I processi di trasformazione industriale non sono in grado da soli di garantire la sicurezza dei prodotti alimentari, in quanto essa deve essere condivisa da tutti coloro che partecipano alla catena alimentare: dai produttori, ai trasportatori, ai venditori.
Oggi gli standard qualitativi dei prodotti sono molto elevati, e anche i consumatori devono  fare attenzione all’igiene alimentare e alla preparazione e conservazione degli alimenti. Il sistema agroalimentare è il complesso delle attività di produzione e distribuzione che contribuiscono alla creazione di prodotti agroalimentari, fino al consumatore finale.
Il termine “filiera” indica l’insieme dei soggetti e delle operazioni attraverso cui si realizza un prodotto agroalimentare e lo si rende disponibile per il consumatore. Indica cioè tutti i passaggi che il prodotto compie prima di arrivare sulla tavola del consumatore finale.
Per “prodotto agroalimentare” si intende un prodotto a destinazione alimentare ottenuto dalla lavorazione di una o più materie prime di origine agricola. Ogni passaggio di trasformazione ha un costo di intermediazione, conservazione e trasporto che fanno aumentare il valore del prodotto finale. Dopo la raccolta e la trasformazione i prodotti sono pronti per essere venduti attraverso i canali di distribuzione. Il percorso che il bene deve effettuare per passare dal magazzino del produttore al consumatore finale è classificato in tre tipologie. La prima prevede la presenza di uno o più intermediari, il cosiddetto canale lungo, la seconda prevede un solo intermediario,  ed è la catena breve, la terza è il canale diretto in cui il consumatore è collegato direttamente al produttore senza alcun intermediario.
La filiera lunga è un sistema complesso, in cui gli intermediari sono molto distanti tra loro. Essa porta all’esclusione dei piccoli produttori, alla scomparsa delle risorse tradizionali e della varietà delle materie prime, all’aumento del prezzo, ma anche ad una corretta  diffusione e vendita dei prodotti oltre che a un maggiore controllo dei processi igienici. Tuttavia , in caso di filiera lunga aumenta l’inquinamento e la difficoltà di tracciare completamente il percorso di tutte le merci. Quindi anche la sicurezza alimentare diventa più difficile da realizzare.
La filiera corta è più sostenibile perché comporta benefici di tipo ambientale riducendo l’inquinamento portato dai lunghi viaggi dei prodotti, valorizza i prodotti del territorio, esaltando le tradizioni e abbassa i prezzi poiché collega il consumatore e il produttore. Infatti essa si realizza con la vendita diretta, dove l’azienda crea uno spaccio all’interno per la vendita de propri prodotti, con l’e-commerce e con i farmer’s market, cioè i mercati dove i produttori vendono direttamente ai loro clienti.
Tutte queste modalità realizzano il “chilometro 0”, e anche i ristoranti locali offrono i menù a km 0 , offrendo al cliente la possibilità di scegliere piatti realizzati con i prodotti del territorio. 
Il “chilometro zero” è una forma di filiera corta che prevede che i prodotti vengano venduti nel luogo di produzione o in aree strettamente limitrofe, e porta vantaggi economici, ecologici e sociali. Questa forma di filiera presuppone che i consumatori cambino i loro stili di vita prestando maggiore attenzione alla stagionalità dei prodotti e alla loro provenienza.
Nonostante la globalizzazione abbia dato la possibilità anche al settore agricolo di aumentare le proprie produzioni e ricercare innovazioni per crescere ed essere competitivi, in alcuni casi la qualità dei prodotti è andata persa, oltre alla perdita delle tradizioni riguardanti i prodotti agricoli. Le filiere corte e il “chilometro 0” sono quindi preferibili per favorire la rintracciabilità dei prodotti e la sostenibilità dal punto di vista ecologico.
LA SICUREZZA ALIMENTARE
La qualità e la sicurezza del cibo dipende dagli sforzi di tutte le persone coinvolte nella catena  della produzione agricola, della lavorazione, del trasporto e della preparazione e del consumo. Sul piano europeo nel 2002 è stato creato l’EFSA ( european food safety autority-agenzia europea per la scurezza alimentare) che lavora in collaborazione con i vari stati membri, offrendo consulenze di tipo scientifico su tutti i problemi che influiscono sulla  sicurezza alimentare. L’efsa supervisiona tutte le fasi di produzione e fornitura degli alimenti e dei rischi legati alla catena alimentare, compresi quelli che riguardano gli animali e le piante.
Il primo anello della catena riguarda le materie prime. Dall’azienda agricola  o dal grossista i prodotti vengono trasportati alle industrie alimentari.  Esse si affidano a moderni sistemi di controllo qualità per garantire la sicurezza dei prodotti fabbricati. I principali sono: GMP che prevede procedure e sistemi di lavorazione in grado di offrire qualità e sicurezza costanti, l’HACCP, che si concentra sui potenziali problemi e sul conseguente controllo degli stessi già in fase di progettazione, e l’ISO 9000, che garantisce che le industrie alimentari, le società di catering e le altre aziende collegate rispettino le procedure stabilite e documentate.
Al termine della lavorazione l’imballaggio garantisce che il prodotto alimentare arrivi al consumatore in condizioni ottimali, mantenendo l’integrità, la sicurezza e la qualità dei cibi durante il trasporto , nei magazzini dei grossisti, nei punti vendita al dettaglio fino alla casa del consumatore. Tutte le informazioni devono essere garantite dall’etichetta.
Il consumatore è l’anello finale della catena alimentare e deve verificare sempre sui cibi la scadenza, non deve acquistare cibi che non sono stati conservati adeguatamente, deve riporre subito in frigo i cibi che necessitano refrigerazione e verificare lo stato dei prodotti surgelati. Una volta scongelati non ricongelarli.
Evitare il contatto tra cibi crudi e cotti. Questa precauzione riduce il rischio di contaminazione crociata (passaggio di batteri da un cibo all’altro). Conservare carni, pollame e pesce crudi nella parte inferiore del frigorifero e i cibi cotti sui ripiani superiori. Non riporre in frigorifero cibi caldi perché causano un aumento della temperatura interna della cella. Conservare gli alimenti in frigorifero avvolti in un foglio di plastica o in contenitori dotati di coperchio. Scartare i cibi ammuffiti o che abbiano aspetto, gusto o odore sgradevole. 
Conservare gli alimenti in scatola in luogo pulito, fresco e asciutto.
Lavare sempre le mani con acqua calda e sapone prima di cucinare e dopo aver maneggiato il cibo. Coprire gli eventuali tagli o ferite con un cerotto impermeabile. Tenere pulite tutte le superfici della cucina lavandole con acqua calda, detergente e disinfettante, per evitare la contaminazione crociata. Lavare gli utensili e i taglieri utilizzati per preparare il cibo. Il coltello usato per tagliare alimenti crudi può trattenere dei batteri che possono essere trasferiti ad altri alimenti. Usare taglieri e utensili diversi per gli alimenti crudi e cotti. Lavare accuratamente la frutta e la verdura cruda prima del consumo e dell’ulteriore lavorazione. Scongelare i surgelati in frigorifero e cucinarli non appena scongelati.
I rischi per la sicurezza alimentare
La possibilità che il cibo venga contaminato da sostanze chimiche o microrganismi sussiste già al momento del raccolto e rimane fino al momento del consumo. In generale, i rischi per la sicurezza alimentare possono essere classificati in due vaste categorie: 
Contaminazione microbiologica (per es. batteri, funghi, virus o parassiti). Questa categoria provoca, nella maggior parte dei casi, sintomi acuti.
Contaminanti chimici, tra cui sostanze chimiche presenti nell’ambiente, residui di farmaci di uso veterinario, metalli pesanti e altri residui involontariamente o incidentalmente introdotti nella catena alimentare durante la coltivazione, la lavorazione, il trasporto o l’imballaggio. 
I PRODOTTI DOP CAMPANI

L’Italia, con 266 tra prodotti DOP, IGP e STG, è il Paese europeo che dispone del maggior numero di eccellenze agroalimentari con una certificazione geografica riconosciuta dall’Unione europea.
DOP: Denominazione di Origine Protetta, è il marchio di tutela giuridica della denominazione che  l’Unione europea attribuisce agli alimenti con caratteristiche qualitative che dipendono essenzialmente o esclusivamente dal territorio in cui sono stati prodotti. L’ambiente geografico comprende sia fattori naturali (clima, caratteristiche ambientali), sia fattori umani (tecniche di produzione tramandate nel tempo, artigianalità, savoir-faire) che, combinati insieme, consentono di ottenere un prodotto inimitabile al di fuori di una determinata zona produttiva. Nel gruppo troviamo  specialità alimentari come: salumi, formaggi, olio e alcuni ortofrutticoli. Affinché un prodotto sia DOP, le fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione devono avvenire in un’area geografica delimitata. Chi fa prodotti DOP deve attenersi alle rigide regole produttive stabilite nel disciplinare di produzione, e il rispetto di tali regole è garantito da uno specifico organismo di controllo. I colori del marchio sono il giallo e il rosso.
La mozzarella di bufala campana è un formaggio a pasta filata ottenuto esclusivamente da latte di bufala. La cagliata, preparata scaldando il latte e addizionando caglio di vitello e fermenti lattici, matura sotto siero per circa 5 ore, al termine delle quali viene sottoposta all’operazione di filatura: la pasta, messa in grandi vasche e unita ad acqua bollente, viene prima filata, ossia ridotta in veli ripiegati più volte su se stessi, e poi “mozzata” in svariate forme, da quella globosa più tipica, ai vari nodi, trecce e bocconcini. Le mozzarelle vengono successivamente passate in acqua fredda, salate in salamoia e immerse nel liquido di governo, una soluzione di acqua e sale talvolta addizionata di acido lattico, con il quale sono commercializzate. La mozzarella di bufala ha colore bianco perlaceo e crosta pellicolare sottile ed elastica. Il suo profumo ricorda quello del latte e dei fermenti lattici, mentre il sapore è dolce, delicato e fresco, con consistenza piacevolmente spugnosa. Il termine “ mozzarella” deriva dall’espressione “mozzare”, ovvero tagliare, poiché, in fase di lavorazione, la pasta filata viene divisa per essere ulteriormente lavorata
Il “Provolone del Monaco DOP” è un formaggio semiduro a pasta filata, stagionato, prodotto nell’area della Penisola Sorrentina – Monti Lattari, esclusivamente con latte crudo. La specificità del “Provolone del Monaco DOP” è il risultato di un insieme di fattori tipici dell’area di produzione, in particolare delle caratteristiche organolettiche del latte prodotto da bovini allevati sul territorio, del processo di trasformazione che rispecchia ancora oggi le tradizioni artigiane e del particolare microclima che caratterizza gli ambienti di lavorazione e stagionatura. Attraverso il riconoscimento della DOP è ora possibile il recupero e la valorizzazione dell’intero sistema zootecnico della zona di produzione, fondato in particolare sull’allevamento del bovino TGA (tipo genetico autoctono) Agerolese. Originaria della provincia di Napoli, la razza Agerolese è diffusa oggi solo nei comuni di Agerola e Gragnano. Essa deriva da incroci di bovini di razza Frisona, Bruna e Jersey con la popolazione locale autoctona ed è considerata in pericolo di estinzione dalla FAO. Il colore del mantello può variare dal castano al nero con un’orlatura di peli chiari intorno al muso anch'esso scuro. La vacca Agerolese ha delle rese molto modeste, ma, di contro, produce un latte di altissima qualità, dovuto anche all’area geografica dei Monti Lattari e all’ambiente unico e incontaminato che vi si ritrova. Questo latte, in miscela, è utilizzato per produrre non solo il Provolone del Monaco ma anche l’ineguagliabile Fiordilatte ed altri formaggi a pasta filata di rinomata bontà tipici della zona.

L'olio extravergine di oliva DOP Colline Salernitane presenta, al consumo, un bel colore che va dal verde al giallo paglierino più o meno intenso; è limpido, a volte velato. All'olfatto mostra un deciso ed ampio sentore di fruttato di oliva pulita, con discrete note di foglia verde, di erba e di pomodoro acerbo. Al gusto rivela un sapore deciso e persistente, gradevolmente amaro e piccante, giustamente corposo, con buona ed equilibrata struttura e chiari sentori di carciofo, cardo e vegetali amari. Il retrogusto è pulito. L'acidità è sempre inferiore allo 0,70%.
L'olio si ottiene dalla premitura di olive delle varietà autoctone della zona di produzione o di antica introduzione, da sole o congiuntamente: Rotondella, Frantoio, Carpellese o Nostrale per almeno il 65%; Ogliarola e Leccino in misura non superiore al 35 %, mentre è ammessa la presenza di altre varietà locali per un massimo del 20%.
La notevole presenza di note aromatiche fa prediligere l’uso di quest’olio su piatti di una certa consistenza, come minestre a base di legumi, gustose pastasciutte della tradizione campana e grigliate di pesce. Le tecniche di coltivazione degli oliveti sono quelle tradizionali dell’area delle Colline salernitane, che assicurano all’olio che ne deriva l’elevato e noto pregio qualitativo. In alcuni comprensori si sono affermate soluzioni tecniche ed organizzative molto innovative, come la raccolta e la potatura meccanica delle olive. Le olive destinate alla produzione dell’olio DOP “Colline Salernitane” devono essere raccolti esclusivamente a mano, entro il 31 Dicembre di ogni anno; è autorizzato l'ausilio di mezzi meccanici, come scuotitori e pettini vibranti. Le olive raccolte vanno conservate e trasportate in cassette forate dalla capacità massima di 25 Kg. e molite entro e non oltre il secondo giorno dalla raccolta. Per l'estrazione dell'olio sono ammessi soltanto processi meccanici e fisici che preservino il più fedelmente possibile le caratteristiche di qualità del frutto. La produzione massima di olive non deve superare i 120 quintali ad ettaro e la resa in olio non può superare il 20%.

Il caciocavallo silano.
Il Caciocavallo Silano DOP è un formaggio semiduro, a pasta filata, prodotto con latte di vacca di diverse razze, tra cui la Podolica, una tipica razza autoctona delle aree interne dell'appennino meridionale. La produzione del Caciocavallo Silano inizia con la coagulazione del latte fresco a una temperatura di 36-38°C, usando caglio di vitello o di capretto. La fase di maturazione consiste in un'energica fermentazione lattica, la cui durata varia in media dalle 4 alle 10 ore e può dirsi completata quando la pasta è nelle condizioni di essere filata. Segue un'operazione caratteristica, consistente nella formazione di una specie di cordone, che viene plasmato fino a raggiungere la forma definitiva. La forma, sferica, ovale o troncoconica, varia secondo le diverse aree geografiche di produzione. Il peso è compreso fra 1 e 2.5 kg. La crosta, sottile, liscia, di marcato colore paglierino in superficie, può manifestare la presenza di leggere insenature dovute ai legacci. La pasta si presenta omogenea o con lievissima occhiatura, di colore bianco o giallo paglierino. Il sapore è inizialmente dolce fino a divenire piccante a stagionatura avanzata. Il Caciocavallo Silano può essere consumato come formaggio da tavola o utilizzato come ingrediente per tantissime ricette tipiche dell'Italia meridionale. Grazie alle sue qualità nutritive, è particolarmente adatto alle diete dei bambini, degli anziani e degli sportivi.
La produzione di questo formaggio è localizzata nelle aree interne delle regioni Calabria, Basilicata, Campania, Molise e Puglia. In Campania sono interessate, parzialmente, tutte le province.
IL CIPOLLOTTO NOCERINO
Il "Cipollotto Nocerino DOP" caratterizza i bulbi della specie Allium Cepa  (cipolla) prodotti da oltre 2000 anni nell'agro pompeiano-nocerino. Gli ecotipi  locali riferibili alla DOP sono: Nocera , Precoce la Regina, Precoce Meraviglia, Marzatica fredda, Marzatica calda, Nocerese, Bianca di Castellammare, San Michele, Giugnese. Le caratteristiche distintive, a livello tecnico-mercantile, del "Cipollotto Nocerino DOP" sono: un calibro alla raccolta di 2-4 cm (fa parte delle cipolle di medio-piccole dimensioni), bulbo tunicato di forma cilindrica, schiacciata ai poli, con leggero ingrossamento alla base delle foglie, colore delle tuniche interne ed esterne interamente bianco, polpa succulenta e di sapore dolce, foglie di color verde intenso, di forma lineare terminante a punta. Essendo una cipolla a raccolta primaverile (da marzo a giugno) è utilizzata soprattutto per il consumo fresco, non avendo un'elevata propensione alla conservazione. Il "Cipollotto Nocerino DOP" deve le sue caratteristiche di pregio che lo fanno distinguere da altri analoghi prodotti soprattutto alle particolari ed eccezionali condizioni geo-pedologiche ove esso viene coltivato. E' noto che i terreni dell'agro nocerino-sarnese e dell'area stabiese-pompeiana, per la loro origine vulcanica, sono sciolti, pianeggianti e di elevata fertilità ed essi conferiscono ai prodotti agricoli locali caratteristiche di elevato pregio.  Proprio, le condizioni  dell'ambiente climatico sono alla base dell'eccezionale valore qualitativo delle produzioni ortofrutticole dell'area. E il "Cipollotto Nocerino DOP" per le sue peculiari e spiccate specificità,  è appunto la specie  più coltivata nell'Agro. Per le sue caratteristiche qualitative ed organolettiche, legate soprattutto alla tenerezza del bulbo e alla dolcezza della polpa, che ne fanno un prodotto di elevata digeribilità, è particolarmente richiesto sui mercati nazionali ed internazionali.  Ricercato dagli chef locali è gustato quasi sempre fresco accanto ad insalate verdi, pomodori ma è presente anche in primi piatti ed utilizzato per guarnire tanti altri manicaretti d'autore.
Il "Cipollotto Nocerino DOP", oltre alla sua tipicità deve la sua fama sui mercati anche per le sue caratteristiche merceologiche di elevata qualità. Questo perché il prodotto finito, sin dal momento successivo alla raccolta, subisce una serie di lavorazioni che gli conferiscono quel valore aggiunto indispensabile oggi per competere sul mercato globale: pelatura del bulbo, lavaggio, selezione, taglio parziale del ciuffetto radicale e delle foglie, legatura a mazzetti, condizionamento. Il prodotto immesso al consumo è classificato di prima categoria mercantile.

IL FICO BIANCO DEL CILENTO
La Denominazione geografica protetta "Fico bianco del Cilento" è riferita al prodotto essiccato della cultivar "Dottato", pregiata varietà di fico diffusa in tutto il Mezzogiorno. In particolare, il prodotto tutelato è quello  che si è andato selezionando e diffondendo nel Cilento nel corso dei secoli: il "Bianco del Cilento". Prodotto avente caratteristiche uniche e di assoluto pregio, apprezzate anche all'estero, il "Fico bianco del Cilento" DOP deve la sua denominazione al colore giallo chiaro uniforme della buccia dei frutti essiccati, che diventa marroncino per i frutti che abbiano subito un processo di cottura in forno. La polpa è di consistenza tipicamente pastosa, dal gusto molto dolce, di colore giallo ambrato, con acheni prevalentemente vuoti e ricettacolo interno quasi interamente pieno. Tali caratteristiche, considerate di eccellenza per la categoria commerciale dei fichi essiccati, sono appunto i tratti distintivi che qualificano il "Bianco del Cilento" DOP sui mercati. Confezionati al naturale in diverse forme (cilindriche, a corona, sferiche, a sacchetto) i fichi del Cilento sono commercializzati anche nella maniera antica, posti cioè alla rinfusa in cesti fatti di materiale di origine vegetale che possono arrivare anche a venti chili di peso. Una preparazione tradizionale ancora in uso è quella che vede i fichi "steccati", infilati cioè in due stecche di legno parallele per formare le "spatole" o "mustaccioli". Il "Fico Bianco del Cilento" DOP è posto in commercio anche farcito con mandorle, noci, nocciole, semi di finocchietto, bucce di agrumi (ingredienti provenienti dallo stesso territorio di produzione) o ricoperto di cioccolato, od anche immerso nel rum, con l'obiettivo di ampliare la gamma dell'offerta, soprattutto nel periodo natalizio. Sempre più ricercati sono anche i fichi essiccati e poi dorati al forno, soprattutto quelli farciti. Pregiati, ma sempre più rari per gli alti costi di preparazione, sono i fichi mondi, senza buccia, dal colore chiarissimo tendente al bianco puro e dal sapore prelibato. Le pregevoli caratteristiche del prodotto così come descritte sono dovute, oltre che alle qualità intrinseche della varietà Dottato, anche all'ambiente di coltivazione e di lavorazione dei frutti. Infatti, l'azione mitigatrice del mare e la barriera posta dalla catena degli Appennini alle fredde correnti invernali provenienti da nord-est, insieme alla buona fertilità del suolo e ad un ottimale regime pluviometrico rappresentano le ideali condizioni pedo-climatiche per la produzione dei fichi del Cilento. Inoltre, va posto giusto rilievo al fatto che, oltre alla coltivazione, anche le fasi di essiccazione e lavorazione del prodotto si svolgono per intero nell'area geografica di produzione, presso strutture agricole ed edifici rurali, in un armonico processo di interazione tra prodotto, uomo ed ambiente. La semplicità di coltivazione e la resistenza della pianta ad avversità fitopatologiche, poi, hanno permesso alla coltura di guadagnare anche il gradimento del coltivatore cilentano che ha collocato da sempre il fico nella propria azienda, in coltura specializzata o consociata. Non va dimenticata, inoltre, la funzione svolta da questa coltivazione nel mantenimento del paesaggio e dello spazio rurale, dal quale appare ormai quasi inscindibile.
OLIO E.V.O. DEL CILENTO
L'olio Cilento DOP si ottiene dalla premitura di olive delle varietà Pisciottana, Rotondella, Ogliarola, Frantoio, Salella e Leccino per almeno l' 85%; possono, inoltre, concorrere altre varietà locali presenti nell'area di produzione in misura non superiore al 15%. L'olio, al consumo, è di colore giallo paglierino con buona vivacità ed intensità; spesso limpido, a volte velato. All'esame olfattivo mostra un leggero sentore di fruttato, talvolta con note di mela e di foglia verde. Il gusto è tenue e delicato di oliva fresca, fondamentalmente dolce con appena percettibili note vivaci di amaro e piccante. E' discretamente fluido, con evidenti sentori di pinolo e retrogusto di nocciola e mandorla. L'acidità è sempre inferiore al valore di 0,70%. La notevole presenza di note aromatiche fa prediligere l'uso di quest'olio su piatti di una certa consistenza, tipici dell'area di origine, come grigliate di pesce, insalate selvatiche, verdure bollite, legumi e primi piatti in genere. L'olio "Cilento" DOP è il frutto dell'armonizzazione delle più moderne tecnologie di lavorazione con una tradizione millenaria. A livello agronomico, particolare cura è posta durante le fasi della raccolta, del trasporto e della conservazione delle olive. Per essere ammesse alla produzione di olio DOP le olive devono essere raccolte rigorosamente a mano; è autorizzato l'ausilio di mezzi agevolatori meccanici, come scuotitori e pettini vibranti; le reti sono ammesse esclusivamente per agevolare le operazioni di raccolta, che deve essere effettuata entro il 31 dicembre di ogni anno. La produzione massima di olive ad ettaro è di 110 quintali, mentre la resa in olio massima è del 22%. Le olive vanno molite entro 48 ore dalla raccolta.
OLIO E.V.O. IRPINIA COLLINE DELL’ UFITA
L'olio extravergine di oliva "Irpinia Colline dell'Ufita DOP" presenta senza dubbio caratteristiche organolettiche di grande pregio. E' di colore verde, se giovane, fino a giallo paglierino, di diversa intensità. All'olfatto si rivela fruttato, con piacevoli note erbacee e netti sentori di pomodoro acerbo, percepibili distintamente anche al gusto; all'assaggio è armonico, con intense, ma sempre piacevoli ed equilibrate sensazioni di amaro e piccante, in armonia con l'elevato contenuto in polifenoli. L'acidità, inoltre, non supera il valore di 0,50%, con punteggio al panel test non inferiore a 7. L'olio "Irpinia Colline dell'Ufita DOP" deve derivare per non meno del 60% dalla varietà Ravece (valore elevato all'85% per i nuovi impianti); per la restante parte possono concorrere altre varietà locali, quali l'Ogliarola, la Marinese, l'Olivella, la Ruveia, la Vigna della Corte. Estremamente ridotto (non più del 10 %) l'apporto ammesso di altre varietà non autoctone, quali il Leccino o il Frantoio. Le tecniche di coltivazione degli oliveti sono quelle tradizionali delle Colline dell'Ufita, che assicurano all'olio che ne deriva l'elevato e noto pregio qualitativo. La raccolta viene effettuata entro e non oltre il 31 dicembre di ogni anno e le olive vengono molite entro due giorni dalla raccolta. La resa al frantoio non può eccedere il 20%. L'olio "Irpinia Colline dell'Ufita DOP" è il risultato della perfetta armonia tra ambiente, varietà, capacità imprenditoriale e tradizione, che in Irpinia risultano essere antichissime. L'area di produzione della DOP coincide con quella di coltivazione delle varietà più pregiata dell'olivicoltura irpina e che è assurta a simbolo dell'olivicoltura di qualità: la Ravece. La Ravece è una cultivar di origine sconosciuta, ma almeno dal ‘500 diffusa quasi esclusivamente nel territorio ufita-arianese, componente privilegiata della dieta mediterranea che in quest'area si caratterizza sul trinomio vino pane e olio. La notevole presenza di note aromatiche e il suo gusto fruttato intenso fa prediligere l'uso di quest'olio su piatti di una certa consistenza, come minestre a base di legumi, gustose pastasciutte della tradizione irpina, zuppe, bruschette e grigliate di carne. Essendo un prodotto di gran pregio per la sua categoria, attraverso il riconoscimento della DOP potrà essere conosciuto ed apprezzato non solo a livello locale ma sui mercati nazionali ed internazionali.
OLIO E.V.O. PENISOLA SORRENTINA
L'olio extravergine di oliva DOP Penisola Sorrentina presenta, a prima vista, un bel colore giallo paglierino, più o meno intenso, con riflessi verdognoli; a volte è velato. All'esame olfattivo rivela notevole armonia aromatica, con un delicato sentore di fruttato di oliva e con fini e piacevoli note di erbe aromatiche (soprattutto rosmarino e menta). Il sapore è decisamente dolce con armoniose e lievi note di amaro e piccante. E' fluido, equilibrato e con piacevoli sfumature speziate. Ha retrogusto pulito, di mandorla verde e fresca. L'acidità non supera mai il valore di 0,80%. L'amaro ed il piccante, nelle giuste gradazioni, si amalgamano perfettamente garantendo all'olio il giusto equilibrio; gli odori mediterranei del rosmarino si esaltano nell'abbinamento con il pomodoro e i piatti che ad esso si richiamano. Ottimo sulle grigliate di pesce e di verdure. Originale e particolarmente gradevole il suo abbinamento con le insalate di limoni, ma soprattutto con il sorbetto e la delizia al limone, dolci tipici di Sorrento. L'olio "Penisola Sorrentina" DOP si ottiene dalla molitura delle olive Ogliarola o Minucciola (nota in letteratura anche come "Olivo da olio"), per non meno del 65%; Rotondella, Frantoio o Leccino, da sole o congiuntamente, in misura non superiore al 35%. E' ammessa anche la presenza di altre varietà per un massimo del 20% del totale. Le tecniche di coltivazione degli oliveti sono quelle tradizionali della Penisola sorrentina che assicurano all'olio che ne deriva l'elevato e noto pregio qualitativo. Negli oliveti, collocati su arditi terrazzamenti degradanti verso il mare, le olive sono raccolte rigorosamente a mano; è autorizzato solo l'ausilio di mezzi meccanici, come scuotitori e pettini vibranti, che agevolano la raccolta, che va effettuata entro il 31 dicembre di ogni anno. E' vietato l'uso di cascolanti. La raccolta deve essere effettuata entro e non oltre il 31 dicembre di ogni anno. Le olive vanno molite entro e non oltre il secondo giorno della raccolta. Per l'estrazione dell'olio sono ammessi soltanto processi meccanici e fisici che preservino il più fedelmente le caratteristiche di qualità del frutto. La produzione massima di olive ad ettaro è di 90 q.li, con una resa in olio del 20%
OLIO E.V.O. DELLE TERRE AURUNCHE
L'olio extra vergine di oliva "TERRE AURUNCHE", secondo il disciplinare di produzione, richiede l'impiego di olive provenienti per almeno il 70% dalla cultivar "Sessana". La Sessana è originaria della zona di produzione (il suo nome deriva dal nome della cittadina Sessa Aurunca, comune più esteso della zona di produzione), mentre le cultivar minori previste (Corniola, Itrana e Tonacella) sono originarie dei territori confinanti e rappresentano un altrettanto importante patrimonio della biodiversità locale.
L'olio extra vergine di oliva "Terre Aurunche" al momento dell'immissione al consumo presenta ottime caratteristiche fisiche, chimiche ed organolettiche, con acidità inferiore a 0,60 e un buon contenuto in polifenoli; gusto dai toni buoni di amaro e piccante, colore che va dal giallo paglierino al verde più o meno intenso. Tali caratteristiche, oltre alla particolare composizione varietale della cultivar Sessana, si devono anche alla contemporanea presenza di un clima mite e di un terreno di natura vulcanica, ricco in macroelementi e microelementi essenziali alla produzione di olive e di olio di qualità.
Il territorio che marca la DOP "TERRE AURUNCHE" è situato nella parte nord della provincia di Caserta, nella zona attorno al vulcano spento del Roccamonfina, nei territori olivetati dei comuni di Caianello, Carinola, Cellole, Conca della Campania, Falciano del Massico, Francolise, Galluccio, Marzano Appio, Mignano Monte Lungo, Mondragone, Rocca D'Evandro, Roccamonfina, San Pietro, Sessa Aurunca, Sparanise, Teano e Tora e Piccilli.
IL POMODORINO DEL PIENNOLO
Il "Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP" è uno dei prodotti più antichi e tipici dell'agricoltura campana, tanto da essere perfino rappresentato nella scena del tradizionale presepe napoletano. In realtà, in diversi territori della Campania, esistono raggruppamenti di ecotipi con bacche di piccola pezzatura, i cosiddetti "pomodorini", che si distinguono tra loro per tipicità, rusticità e qualità organolettica. I più famosi da sempre sono però quelli tuttora diffusi sulle pendici del Vesuvio. Il "Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP" raggruppa vecchie cultivar e biotipi locali accomunati da caratteristiche morfologiche e qualitative più o meno simili, la cui selezione è stata curata nei decenni dagli stessi agricoltori. Le denominazioni di tali ecotipi sono quelle popolari attribuite dagli stessi produttori locali, come "Fiaschella", "Lampadina", "Patanara", "Principe Borghese" e "Re Umberto", tradizionalmente coltivati da secoli nello stesso territorio di origine.
Le caratteristiche distintive, a livello tecnico-mercantile, del prodotto ammesso a tutela sono: 
allo stato fresco: frutti di forma ovale o leggermente pruniforme con apice appuntito e frequente costolatura della parte peduncolare, buccia spessa di colore rosso vermiglio, pezzatura non superiore a 25 g, polpa di consistenza elevata e di colore rosso, sapore vivace intenso e dolce-acidulo; 
conservato al piennolo: colore della buccia rosso scuro, polpa di buona consistenza di colore rosso, sapore intenso e vivace. I "piennoli" o "schiocche" presentano un peso, a fine conservazione, variabile tra 1 e 5 chilogrammi.
Agli effetti dell'azione di tutela si è riscontrato che l'aspetto peculiare di tipicità che accomuna i pomodorini vesuviani è l'antica pratica di conservazione "al piennolo", cioè una caratteristica tecnica per legare fra di loro alcuni grappoli o "scocche" di pomodorini maturi, fino a formare un grande grappolo che viene poi sospeso in locali aerati, assicurando così l'ottimale conservazione del prezioso raccolto fino al termine dell'inverno. Nel corso dei mesi il pomodorino, pur perdendo il suo turgore, assume un sapore unico e delizioso, che soprattutto i napoletani apprezzano particolarmente per preparare sughi prelibati ed invitanti. E' appunto il sistema di conservazione al "piennolo" che, favorendo una lenta maturazione, consente altresì una lunga conservazione, con la conseguente possibilità di consumare il prodotto "al naturale" fino alla primavera seguente.
Il Pomodorino del Vesuvio viene apprezzato sul mercato sia allo stato fresco, venduto appena raccolto sui mercati locali, che nella tipica forma conservata in appesa -"al piennolo"-, oppure anche come conserva in vetro, secondo un'antica ricetta familiare dell'area, denominata "a pacchetelle", anch'essa contemplata nel disciplinare di produzione della DOP. Ordinariamente la raccolta viene effettuata recidendo i grappoli interi, quando su di essi sono presenti almeno il 70% di pomodorini rossi, mentre gli altri sono in fase di maturazione. Questa antica pratica consente di procrastinare il consumo delle bacche, integre e non trasformate, per tutto l'inverno successivo alla raccolta, fino a sette-otto mesi, utilizzando locali areati e senza il supporto delle moderne tecnologie di conservazione.
Le peculiarità del "Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP" sono la elevata consistenza della buccia, la forza di attaccatura al peduncolo, l'alta concentrazione di zuccheri, acidi e altri solidi solubili che lo rendono un prodotto a lunga conservazione durante la quale nessuna delle sue qualità organolettiche subisce alterazioni. Tali peculiarità sono profondamente legate ai fattori pedoclimatici tipici dell'area geografica in cui il pomodorino è coltivato dove i suoli, di origine vulcanica, sono costituiti da materiale piroclastico originato dagli eventi eruttivi del complesso vulcanico Somma-Vesuvio.
In quest'ambiente di elezione, la qualità del pomodorino raggiunge punte di eccellenza. Proprio la ricchezza in acidi organici determina la vivacità o "acidulità" di gusto, che è il carattere distintivo del pomodorino del Vesuvio. Ciò, oltre a derivare da una peculiarità genetica, è indice di un metodo di coltivazione a basso impatto ambientale e con ridotto ricorso ad acque d'irrigazione, che rende tale coltura particolarmente adatta ad un'area protetta, quale quella del Parco Nazionale del Vesuvio.
Il "Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP" per le sue qualità è un ingrediente fondamentale della cucina napoletana e campana in generale, ed ha una grande versatilità in cucina.
Accanto ai tradizionali spaghetti alle vongole e agli altri frutti di mare, gli chef locali si impegnano ad utilizzarlo in tanti altri piatti, tra cui una variante alla prelibata pizza napoletana.
POMODORO SAN MARZANO
Il pomodoro San Marzano è conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo per le sue caratteristiche, che vengono esaltate dalla trasformazione in "pelato". La presenza di una serie di fattori concomitanti quali: il clima mediterraneo e il suolo estremamente fertile e di ottima struttura, l'abilità e l'esperienza acquisita dagli agricoltori dell'area di produzione nel corso dei decenni, ha contribuito al suo successo nel mondo, coronato, nel 1996, dal riconoscimento dell'Unione Europea come D.O.P. Le caratteristiche intrinseche che hanno esaltato il prodotto, favorendone così la sua conoscenza e il suo consumo sono: sapore tipicamente agrodolce, forma allungata della bacca con depressioni longitudinali parallele, colore rosso vivo, scarsa presenza di semi e di fibre placentari, buccia di colore rosso vivo e di facile pelabilità. Queste, insieme alle caratteristiche chimico-fisiche, lo rendono inconfondibile, sia allo stato fresco che trasformato. La denominazione di origine protetta designa esclusivamente il prodotto "pelato" e la tipologia "pelato a filetti", proveniente dalla lavorazione dei frutti appartenenti all'ecotipo San Marzano o a linee migliorate di esso (il disciplinare individua due standard di prodotto). Il prodotto immesso al consumo deve presentare caratteristiche tecnologiche ben precise: colore rosso uniforme con rapporto colorimetrico a/b non inferiore a 2,2; forma allungata e parallelepipeda, con lunghezza da 60 a 80 millimetri; assenza di sapori e odori estranei; peso dello sgocciolato non inferiore al 65% del peso netto; residuo. E' consentita l'aggiunta di sale, foglie di basilico, succo di pomodoro semiconcentrato (ma esclusivamente di S. Marzano). La tecnica colturale del prodotto fresco prevede l'allevamento di tipo verticale delle piante con l'uso di sostegni, rispettando così la tradizione secolare, anche se, per l'elevato numero di ore di manodopera richieste, tale tecnica incide fortemente sui costi di produzione.
RICOTTA DI BUFALA CAMPANA
In tutte le aree di produzione della mozzarella di bufala campana, quindi le province di Benevento, Salerno, Caserta, Napoli e altre ricadenti nell'area della DOP "Mozzarella di bufala Campana", dalla lavorazione del siero della mozzarella si ricava anche la ricotta, che può essere consumata fresca o sottoposta a essiccamento. La ricotta di bufala fresca ha un colore latteo e consistenza morbida e si ottiene riscaldando il siero derivante dalla lavorazione del latte crudo per la produzione di mozzarella di bufala fino alla temperatura di circa 90 gradi. Al siero viene poi aggiunto sale quanto basta per ottenere la giusta sapidità del prodotto. Per ottenere, invece, la ricotta essiccata di bufala, che è a pasta compatta, è necessario che le forme stagionino in cella per circa 10 giorni e poi vengano lasciate per lo meno un mese a essiccare. Vengono poi tolte dai contenitori e lasciate stagionare altri 30 giorni, fino a essere ripulite dalle muffe, private della scorza sottile e messe sotto vuoto.

I PRODOTTI IGP CAMPANI
IL CARCIOFO DI PAESTUM
Il "Carciofo di Paestum" IGP, noto anche come "Tondo di Paestum", dal nome dell'ecotipo locale da cui deriva, è ascrivibile al gruppo genetico dei carciofi di tipo "Romanesco". L'aspetto rotondeggiante dei suoi capolini, la loro elevata compattezza, l'assenza di spine nelle brattee sono le principali caratteristiche qualitative e peculiari del "Carciofo di Paestum", che ne hanno consacrato anche la sua fama tra i consumatori. Anche il carattere di precocità di maturazione può essere considerato un elemento di positività conferitogli dall'ambiente di coltivazione, la Piana del Sele, che consente al "Carciofo di Paestum" di essere presente sul mercato prima di ogni altro carciofo di tipo Romanesco.
Altre caratteristiche tipiche del prodotto sono: una pezzatura media dei capolini (non più di 4 per gambo per kg di prodotto), peduncolo inferiore a 10 cm, colore verde con sfumature violetto-rosacee, ricettacolo carnoso e particolarmente gustoso.
Le caratteristiche commerciali del "Carciofo di Paestum" sopra descritte sono anche frutto di un'accurata e laboriosa tecnica di coltivazione che gli operatori agricoli della Piana del Sele hanno affinato nel corso di decenni. Il clima fresco e piovoso nel corso del lungo periodo di produzione (febbraio-maggio), che caratterizza tale area, conferisce anche la tipica ed apprezzata tenerezza e delicatezza al prodotto.
Le caratteristiche di pregio del "Carciofo di Paestum" IGP consentono a tale prodotto di essere molto apprezzato in cucina, dove viene utilizzato nella preparazione di svariate ricette tipiche e di piatti locali come la pizza con i carciofini, la crema e il pasticcio ai carciofi, particolarmente graditi ai tanti turisti che visitano la Piana del Sele e in particolare i Templi di Paestum.
LE CASTAGNE DI MONTELLA
L'Indicazione geografica protetta "Castagna di Montella" è riferita alle castagne prodotte per il 90% dalla varietà Palummina e per il restante 10% dalla varietà Verdole. Le caratteristiche distintive della"Castagna di Montella" IGP sono rappresentate da una pezzatura media o medio-piccola (75-90 frutti per Kg) e la forma rotondeggiante del frutto, con faccia inferiore piatta, base convessa e sommità ottusa mediamente pelosa. Il seme ha polpa bianca, croccante e di gradevole sapore dolce. La buccia (pericarpo) è sottile e di colore marrone carico, facilmente distaccabile. Proprio la forma del frutto giustifica l'etimologia del nome della varietà Palommina, forma che ricorda la somiglianza di una colomba che in dialetto si traduce appunto in "palomma". Grazie alle elevate caratteristiche di fragranza, sapidità e serbevolezza, la "Castagna di Montella" IGP viene utilizzata allo stato fresco (comprendendo anche il surgelato) e allo stato secco in guscio o senza. Sotto l'aspetto dietetico nutrizionale, la "Castagna di Montella" è particolarmente rilevante per il contenuto in carboidrati, mentre scarso è il contenuto proteico. Oltre che come caldarroste, le castagne di Montella sono particolarmente richieste dall'industria di trasformazione per uso marron glacés, marmellate, al naturale, purea. Ottime per guarnire carni e nelle minestre, ma il loro impiego si esalta soprattutto nella preparazione di dolci, di diverso tipo. La "Castagna di Montella" IGP è considerata tra le migliori castagne prodotte in Italia; le ragioni di tale successo risiedono, oltre che alla qualità intrinseca della varietà, anche nella composizione dei terreni, nel clima favorevole ma anche nell'elevata professionalità raggiunta dai castanicoltori della zona che contribuiscono ad esaltare il livello qualitativo del prodotto. Una tipologia commerciale della "Castagna di Montella", soprattutto nel periodo natalizio, è la castagna infornata (la famosa Castagna del Prete), per la quale è stata richiesta un'integrazione all'attuale disciplinare di produzione. Essa è realizzata con le castagne in guscio essiccate, tostate e successivamente idratate con acqua. In particolare la preparazione prevede che le castagne, una volta essiccate su graticci di legno, al di sotto dei quali si accendono per 15 gg. dei fuochi utilizzando legno di castagno, vengano tostate in forni ventilati e poi reidratate. Queste castagne una volta sgusciate si presentano dal colore marrone intenso e dal sapore caratteristico che richiama la caramellizzazione degli zuccheri.
IL LIMONE D’AMALFI
Il nome della varietà Sfusato Amalfitano, che dà luogo alla Indicazione Geografica Protetta "Limone Costa d'Amalfi", racchiude due caratteristiche importanti: la forma affusolata del frutto, da cui il termine "sfusato", e la zona in cui si è venuto, col tempo, a differenziare: la Costiera Amalfitana. Il "Limone Costa d'Amalfi" IGP è un prodotto dalle caratteristiche molto pregiate e rinomate: la buccia è di medio spessore, di colore giallo particolarmente chiaro, con un aroma e un profumo intensi grazie alla ricchezza di oli essenziali e terpeni (carattere ritenuto di pregio per la produzione del liquore di limoni). La polpa è succosa e moderatamente acida, con scarsa presenza di semi. E' inoltre un limone di dimensioni medio-grosse (almeno 100 grammi per frutto).
Da studi recenti dell'Università degli Studi di Napoli Federico II si è venuti a conoscenza che questa varietà di limone è tra le più ricche in assoluto in acido ascorbico, la nota vitamina C. Il "Limone Costa d'Amalfi" IGP è considerato, commercialmente, un prodotto di eccellenza, sia per il mercato del fresco che per la produzione del celebre "limoncello", che qui come a Sorrento e a Capri ha trovato la sua area di elezione.
La coltivazione tipica a terrazzamenti, lungo i versanti acclivi della Costiera, con la copertura delle piante attraverso le famosissime "pagliarelle" (oggi sostituite dalle più pratiche reti ombreggianti), contribuisce a conferire quelle caratteristiche uniche e di pregio al "Limone Costa d'Amalfi" IGP e a rendere famosi nel mondo i suoi mitici "giardini". La raccolta avviene più volte l'anno, per il fenomeno tipico nei limoni del polimorfismo, anche se la produzione di maggior pregio si ottiene nel periodo primaverile-estivo, compreso tra marzo e fine luglio.
Per il suo profumo intenso, la buccia spessa, la polpa succosa e semidolce e la quasi assenza di semi, il "Limone Costa d'Amalfi" IGP è largamente usato in cucina. Nell'area di produzione è spesso servito al naturale, preparato all'insalata. Altro impiego tipico del limone nella zona amalfitana è quello condimentario. Nel pesce, negli antipasti di mare, nei celebri primi piatti della zona, sulle carni, il limone, intero, a fette, o anche solo come ingrediente, è sempre presente accanto alle principali pietanze. I migliori chef della zona ne hanno fatto l'attrattore gastronomico per eccellenza. Alcuni bar della zona servono finanche il "caffè al limone". Del limoncello, infuso di bucce di limone immerse in alcool purissimo, si è detto. Ma l'impiego dello Sfusato amalfitano non si limita alla produzione del celebre liquore di limoni, ma si estende anche al settore dolciario, in quanto l'aroma inconfondibile di questo prezioso frutto è alla base di tante specialità del posto, come le mitiche "Delizie", i "babà al limoncello", le torte, i profitteroles, i cioccolatini ed altri dolciumi tipici locali.
IL MARRONE DI ROCCA D’ASPIDE
Il "Marrone di Roccadaspide IGP", dal nome dell'ecotipo da cui deriva, fa parte del gruppo genetico di castagne presenti in Campania riferibili alla cultivar-madre "Marrone di Avellino". Le caratteristiche distintive del "Marrone di Roccadaspide IGP" sono rappresentate da una pezzatura media dei frutti (80-85 frutti per Kg) di forma prevalentemente semisferica, a volte rotondeggiante. La buccia (pericarpo) è sottile e di colore castano bruno, tendenzialmente rossastra, con strie scure poco evidenti, facilmente distaccabile. Il seme ha un episperma sottile, liscio, poco approfondito nel seme, abbastanza aderente con settatura inferiore al 5% e polpa bianco-lattea, consistente. Un carattere distintivo di questo prodotto è il notevole contenuto zuccherino che lo rende molto gradito anche per il consumo allo stato fresco e la tessitura croccante e poco farinosa. Per le pregevoli caratteristiche tecnologiche dei frutti il "Marrone di Roccadaspide IGP" è tra le poche varietà di castagne campane a potersi definire botanicamente e merceologicamente "tipo marrone" ed è per questo particolarmente richiesto per la lavorazione industriale (oltre il 90% della destinazione commerciale),  pur restando egualmente interessante anche per la destinazione al mercato del fresco, per l'impiego soprattutto come caldarroste. Per le buone caratteristiche organolettiche, l'industria le utilizza principalmente per la produzione di marron glacés, marmellate, castagne al rum, puree. Deliziosi i dolci della tradizione locale che utilizzano queste castagne come materia prima di qualità. Sotto l'aspetto dietetico nutrizionale, il "Marrone di Roccadaspide IGP" è particolarmente rilevante per il contenuto in carboidrati, mentre basso è il contenuto proteico. Il "Marrone di Roccadaspide IGP" è considerato, insieme alla Castagna di Montella IGP e alla Castagna di Serino tra le migliori castagne prodotte in Campania, ciò non solo per la qualità intrinseca della varietà, ma anche per il terreno e il clima favorevole che contribuiscono ad esaltare il livello qualitativo del prodotto. L'elevata produttività (media di 1,5–2 tonnellate/ettaro con punte di 5-6 tonnellate/ettaro) e le minori esigenze pedoclimatiche, rispetto ad altri "marroni" italiani, sono altre caratteristiche agronomiche che si possono segnalare.
LA MELANNURCA CAMPANA
L'Indicazione geografica protetta "Melannurca Campana" si riferisce ad una delle varietà italiane di melo più conosciute e più apprezzate in assoluto dai consumatori: l'Annurca. Definita la "regina delle mele", infatti, l'Annurca è da sempre conosciuta soprattutto per la spiccata qualità dei suoi frutti, dalla polpa croccante, compatta, bianca, gradevolmente acidula e succosa, con aroma caratteristico e profumo finissimo, una vera delizia per gli intenditori. Il frutto è medio-piccolo, di forma appiattita-rotondeggiante, leggermente asimmetrica, con picciolo corto e debole. La buccia, liscia, cerosa, mediamente rugginosa nella cavità peduncolare, è di colore giallo-verde, con striature di rosso su circa il 60-70% della superficie a completa maturazione, percentuale di sovraccolore che raggiunge l'80-90% dopo il periodo di arrossamento a terra. La "Melannurca Campana" IGP rivendica da sempre virtù salutari: altamente nutritiva per l'alto contenuto in vitamine (B1, B2, PP e C) e minerali (potassio, ferro, fosforo, manganese), ricca di fibre, regola le funzioni intestinali, è diuretica, particolarmente adatta ai bambini ed agli anziani, è indicata spesso nelle diete ai malati e in particolare ai diabetici. Anche per l'eccezionale rapporto acidi/zuccheri, le sue qualità organolettiche non trovano riscontro in altre varietà di mele. Una recente ricerca del Dipartimento di scienza degli alimenti dell'Universià di Napoli Federico II ha dimostrato che la mela Annurca dimezza i danni ossidativi alle cellule epiteliali gastriche. La sua azione gastroprotettiva dipende dalla ricchezza in composti fenolici, che sono in grado di prevenire così i danni ossidativi dell'apparato gastrico e aiutando a combattere le malattie gastriche legate all'azione di radicali liberi. Uno degli elementi di tipicità che certamente caratterizzano la "Melannurca Campana" IGP è l'arrossamento a terra delle mele nei cosiddetti "melai". Essi sono costituiti da piccoli appezzamenti di terreno, sistemati adeguatamente in modo da evitare ristagni idrici, di larghezza non superiore a metri 1,50 su cui sono stesi strati di materiale soffice vario: un tempo si utilizzava la canapa, oggi sostituita da aghi di pino, trucioli di legna o altro materiale vegetale. Per la protezione dall'eccessivo irraggiamento solare i melai sono protetti da apprestamenti di varia natura. Durante la permanenza nei melai i frutti sono disposti su file esponendo alla luce la parte meno arrossata, vengono poi periodicamente rigirati ed accuratamente scelti, scartando quelli intaccati o marciti. E' proprio questa pratica, volta a completare la maturazione dei frutti adottando metodi tradizionali e procedure effettuate tutte a mano, ad esaltare le caratteristiche qualitative della "Melannurca Campana" IGP, conferendogli quei valori di tipicità che nessun altra mela può vantare. Due gli ecotipi previsti dal disciplinare di produzione, con due distinte indicazioni varietali in etichetta: l' "Annurca" classica e la diretta discendente "Annurca Rossa del Sud", suo mutante naturale, diffuso nell'area di produzione da oltre un ventennio, che ha il pregio di produrre frutti a buccia rossa già sulla pianta. I frutti di maggior pregio, soprattutto dal punto di vista organolettico, a detta degli esperti sono quelli provenienti da piante innestate su franco, allevate a pieno vento e con scarsi apporti irrigui. Le indubbie caratteristiche organolettiche di questa mela, finora apprezzate soprattutto dai consumatori meridionali, stanno progressivamente conquistando anche altri mercati, grazie anche al riconoscimento del marchio di tutela e all'ingresso nei canali della grande distribuzione organizzata. Accanto ai succhi, di grande valore nutritivo, ottimi sono anche i liquori ottenuti dalle annurche, così come i dolci (crostate e sfogliatelle su tutti, ma anche le mitiche e tradizionali "mele cotte" al forno). Di recente, attraverso un programma di educazione alimentare della Regione Campania, la "Melannurca Campana" IGP è proposta al consumo dei bambini in visita a Città della Scienza nella forma commerciale della "quarta gamma" (confezione sigillata di una mela sbucciata e affettata in grado di mantenere inalterata per giorni la freschezza e l'aroma).
LA NOCCIOLA DI GIFFONI
L'Indicazione geografica protetta "Nocciola di Giffoni" si riferisce ad una delle varietà italiane più pregiate in assoluto: la Tonda di Giffoni.
Le caratteristiche distintive della "Nocciola di Giffoni" IGP sono rappresentate: dalla forma perfettamente rotondeggiante del seme (che è la nocciola sgusciata), che ha polpa bianca, consistente, dal sapore aromatico, e dal perisperma (la pellicola interna) sottile e facilmente staccabile. E' inoltre particolarmente idonea alla tostatura, alla pelatura e alla calibratura, anche per la pezzatura media e omogenea del frutto. Per queste sue caratteristiche pregiate essa è particolarmente adatta alla trasformazione industriale ed è pertanto fortemente richiesta dalle industrie per la produzione di pasta e granella, nonché, come materia prima, per la preparazione di specialità dolciarie di grande consumo. Nell'area di origine è utilizzata anche come ingrediente nella preparazione di una variegata gamma di prelibatezze, tra le quali: dolcetti, torte, gelati, creme, ma anche insoliti primi piatti e finanche liquori alla nocciola.
Ma la "Nocciola di Giffoni" IGP si presta particolarmente, proprio per la forma e la qualità del frutto, al consumo diretto, sia in guscio che soprattutto come snack denocciolato intero, ed è questa forma di consumo che ha stimolato un nuovo rinnovato interesse verso tale prodotto. Al naturale o ricoperta di cioccolato, nel miele o nel torrone, la "Nocciola di Giffoni" IGP sta guadagnando, anche all'estero, il favore dei consumatori.
Essendo una cultivar medio-precoce, la raccolta dei frutti inizia solitamente già dalla terza decade di agosto, dopo di che, le nocciole vengono essiccate per portarle ad un'umidità del 5-7% e infine si depositano in luoghi freschi e ventilati, privi di odori e umidità.
Il valore altamente nutritivo della "Nocciola di Giffoni" fa sì che il suo consumo protegge dall'arterosclerosi e dalle malattie cardiovascolari, grazie ad una concentrazione di sostanze grasse monoinsaturi, come l'acido oleico, che hanno la funzione di limitare fortemente i livelli di colesterolo nel circolo sanguigno. Essa inoltre è ricca di vitamine E, B, C, nonché di minerali quali il ferro, il rame, lo zinco, il fosforo, il sodio, il magnesio e il selenio, fondamentali per un corretto funzionamento del sistema cellulare.

LA PASTA DI GRAGNANO
La cittadina di Gragnano, in provincia di Napoli è ormai celebre al livello internazionale per l’altissima qualità della pasta di semola di grano duro che viene prodotta dai suoi numerosi ed antichissimi pastifici. A Gragnano la produzione della pasta affonda le sue radici in tempi molto remoti: già nel ‘500 ci si rese conto che la sua posizione geografica era particolarmente indicata per la produzione della pasta. Sorge, infatti, in cima ad una valle, sulla quale sfociano numerose fonti montane la cui acqua sorgiva, oltre ad alimentare i mulini, conferisce alla pasta un sapore molto caratteristico. Inoltre, il clima caldo, ma ventilato dalla brezza marina, ne favorisce l'essiccazione che, anticamente, avveniva all'aperto, lungo le strade cittadine in condizioni di temperatura ed umidità naturalmente costanti, che garantivano il gusto e la perfetta conservazione del prodotto secco. Fu così che nel XVII secolo sorsero i primi pastifici a conduzione familiare e ben presto la città divenne un centro industriale molto rinomato, i cui numerosi pastifici ancora oggi seguono delle regole produttive di imprescindibile importanza: l’utilizzo di semola di grano duro e la lavorazione artigianale, caratterizzata dalla trafilatura in bronzo e la successiva essiccazione naturale, che garantiscono alla pasta di Gragnano una qualità altissima. Tre milioni di tonnellate circa di pacchi di pasta in un anno, per un bacino di consumatori stimato in oltre 6 milioni di persone e una crescita di produzione stimata intorno al 10% nell'ultimo anno sono dati significativi che testimoniano la vitalità di un comparto strategico per l'economia regionale. Il comparto inoltre impiega oltre 300 persone nei pastifici della città, ovvero il 5% del totale nazionale della forza lavoro del settore. La pasta di Gragnano viene oggi venduta in 42 nazioni diverse, ma il mercato internazionale è in ulteriore espansione. Genuini sono soprattutto gli ingredienti della pasta gragnanese. Secondo quanto previsto dal Disciplinare di produzione, la "pasta di Gragnano" è il prodotto ottenuto dall'impasto della semola di grano duro con la purissima acqua della falda acquifera locale, con un particolare profumo di grano maturo e un caratteristico sapore sapido, dal gusto deciso. La pasta di Gragnano è contraddistinta da un aspetto rugoso, tipico della trafilatura al bronzo, e alla cottura si presenta di consistenza soda ed elastica, con un'ottima e lunga tenuta. L'istanza di riconoscimento è stata presentata dal Consorzio Gragnano Città della Pasta che raggruppa la maggior parte dei pastifici locali e rappresenta il 90% della produzione dell'area sia in termini di volumi che di fatturato.
IL VITELLONE BIANCO DELL’APPENNINO CENTRALE
L'Indicazione geografica protetta "Vitellone bianco dell'Appennino centrale" è riferita alle carni provenienti da bovini, maschi e femmine, esclusivamente di razza Chianina, Marchigiana e Romagnola, di età compresa fra i 12 ed i 24 mesi. Tali razze hanno infatti significative caratteristiche morfologiche comuni quali: la pigmentazione apicale nera (cute, musello, lingua e palato, ecc.), il mantello bianco che si presenta fromentino alla nascita e nei primi tre mesi di vita, la struttura somatica. Caratteristiche comuni di pregio sono anche: la particolare precocità (l'età tipica di macellazione si colloca fra i 16 e i 20 mesi), le caratteristiche di accrescimento, la resa al macello (62-64%), e l'eccellente qualità delle carni che si presentano magre, sapide e a basso contenuto di colesterolo. L'IGP "Vitellone bianco dell'Appennino centrale", unica denominazione attribuita alla carne bovina fresca in Italia, ha voluto in effetti legittimare il valore pregiato delle migliori razze bovine da carne italiane a mantello bianco: la Chianina, che ha conquistato fama nel mondo gastronomico per la mitica "bistecca alla fiorentina", la Marchigiana, antica razza da carne e lavoro nei campi molto diffusa anche nelle aree interne della Campania, la Romagnola, nota per le sue carni di eccezionale qualità. Il "Vitellone bianco dell'Appennino centrale" IGP deve la sua rinomanza alle pregiate carni delle razze sopra indicate, particolarmente succulenti, oltre che nutrienti e dalle caratteristiche commerciali superiori: colore rosso vivo, grana fine, consistenti, sode ed elastiche al tempo stesso, con piccole infiltrazioni di grasso (bianco) che solcano la massa muscolare. Qualità che derivano dalla razza dell'animale ma anche dal regime alimentare durante il periodo dell'ingrassamento. Il valore altamente nutritivo delle carni del "Vitellone bianco dell'Appennino centrale" IGP è costituito dall'elevato tasso di proteine di alto valore biologico, il basso contenuto in grasso (il valore medio dell'IGP è del 2%), l'ottimo contenuto in ferro, nella forma più facilmente assorbibile dall'organismo, e la buona percentuale di vitamine del gruppo B. Il bestiame destinato alla produzione della carne IGP, identificato ed iscritto ai libri genealogici, viene allevato secondo le norme prescritte dal disciplinare di produzione e marchiato a fuoco. La marchiatura viene effettuata al mattatoio da un esperto incaricato dall'organismo di controllo. Il logo deve viene impresso sulla superficie della carcassa, in corrispondenza della faccia esterna dei 18 tagli di carne previsti dal disciplinare. La carne è posta in vendita al taglio o in confezioni sigillate e sempre in punti vendita convenzionati che si impegnano a mantenere separate tale prodotto dalle altre carni. L'eccezionale fama conquistata in cucina dalle carni del "Vitellone bianco dell'Appennino centrale" IGP non ha bisogno di altre specificazioni: la tenerezza e il sapore delle squisite bistecche, alla griglia o in padella, dell'arrosto, allo spiedo o al forno, del bollito, dello spezzatino, richiamano solo la bontà e il valore delle antiche tradizioni alimentari italiane.
LA PIZZA NAPOLETANA STG
Si può dire che la pizza sia il piatto più diffuso al mondo e, certamente, uno dei più apprezzati. La pizza in sé ha origini antichissime e le ipotesi riguardanti la sua provenienza geografica e l'etimologia del suo nome sono numerose e tutt'oggi molto incerte. Quello che si sa per certo è che è a Napoli che a questo piatto ha raggiunto l'eccellenza, facendo sì che oggi "pizza" e "pizzeria" siano le parole italiane più conosciute al mondo, e che la pizza sia diventato un vero e proprio simbolo della città. Nonostante oggi esistano molteplici condimenti differenti, quella che individuiamo come la pizza napoletana verace ed artigianale è certamente nata dopo il ‘700, dopo cioè, che si apprezzò e si diffuse l'uso dei pomodori in cucina, ortaggi che, importati dalle Americhe, all'inizio venivano considerati molto nocivi. I pomodori costituiscono il condimento fondamentale per la preparazione della vera pizza, presenti insieme all'olio di oliva e all'origano nella Marinara e all'olio d'oliva, la mozzarella ed il basilico nella Margherita, la pizza tricolore inventata nell'800 in onore della regina Margherita di Savoia. Certamente, oltre alla genuinità degli ingredienti del condimento, è fondamentale quella degli ingredienti dell'impasto: acqua, lievito di birra fresco e sale marino e che devono essere lavorati accuratamente e poi lasciati lievitare una prima volta. Alla formatura e allo staglio segue una seconda lievitazione, che precede un'ulteriore fase di lavorazione, durante la quale la pizza viene spianata e condita e, infine, cotta nel forno a legna. Quella della preparazione della pizza verace è considerata una vera e propria arte, della quale, al di là delle origini geografiche, la città di Napoli si è guadagnata la paternità.

 

PICCOLO DIZIONARIO DI CUCINA
ADDENSANTE
Additivo alimentare aggiunto con lo scopo di migliorare la consistenza e mantenere la compattezza degli alimenti (budini, gelati, piatti pronti con gelatina, ecc.).
La maggior parte degli addensanti utilizzati sono di origine vegetale derivati dalle alghe e dalla cellulosa
AFFOGARE
Sobbollire dolcemente in acqua, a recipiente chiuso.
AMALGAMARE
Mescolare, mettere insieme sostanze diverse, unire.
AMMOLLARE
Mettere a bagno e reidratare alimenti secchi.
APPASSIRE
Stufare in burro oppure olio a fuoco bassissimo cipolla, scalogno, sedano, ecc. evitando che prendano colore.
AROMATIZZARE
Aggiungere al cibo sostanze aromatiche per migliorarne il sapore od il profumo.
BAGNOMARIA
E’ il metodo di far cuocere una vivanda o di far fondere una sostanza, senza metterla a diretto contatto con il fuoco. Un recipiente più grande, pieno fino a metà di acqua, ne contiene uno più piccolo, con le sostanze che si devono fondere e cuocere.
BIGA (BIGHETTA o LIEVITINO)
Impasto di un lievito di supporto, composto da farina, lievito ed acqua. Giunto a maturazione, viene incorporato agli altri ingredienti od all’impasto promuovendo una lievitazione completa. Si distingue in molle, sostenuta o consistente.
BRUNOISE
Taglio di verdure o altre vivande a piccoli dadini.
BURRO AMMORBIDITO
Burro reso morbido sia a mano sia a macchina, od anche a moderato calore, senza farlo sciogliere.
BURRO A POMATA
Burro reso morbido come una crema.
BURRO FUSO
Burro sciolto a calore senza farlo friggere né rosolare.
BURRO MORBIDO
Burro tenuto a temperatura ambiente in modo da potersi usare per impasti ed anche per spalmare.
CARAMELLARE
Ricoprire con zucchero caramellato una preparazione, ad esempio panna cotta; oppure immergere acini d’uva, spicchi di arancia o mandorle, in zucchero caramellato.
CHOUX
Il termine francese equivale a bignè; sono piccoli dolci a forma sferica, confezionati con pasta per bignè. Vengono farciti con panna montata, creme o confetture, spolverizzati con zucchero ed anche glassati.
COCOTTINA
Tegamino in pirofila individuale.
COMPOSTO
Miscela di sostanze lavorate contemporaneamente in modo da formare un insieme ben unito.
CONCENTRARE
Far evaporare l’acqua contenuta in sughi, creme, salse ed altri tipi di liquidi.
COPPAPASTA (TAGLIAPASTA)
Stampi generalmente piccoli, in diversi formati, usati per tagliare la pasta con pressione e ricavarne forme piatte.
COURT-BOUILLON
Preparato d”acqua, aromi e legumi per cuocere pesci e crostacei.
DADOLATA
Preparazione di verdure, carni, prosciutto, ecc. tagliate a dadini, adatta per farce e ripieni di vario genere.
DECORARE
Ornare, fregiare un elaborato con gradevole eleganza e raffinatezza.
DEGLASSARE
Distaccare i fondi di cottura, bagnando con vino o brodo e ridurli.
DORARE
Spennellare la superficie di dolci, salatini, torte di gastronomia, ecc. con una miscela di uovo sbattuto, cui può essere aggiunto anche latte, zucchero ed altro per conferire particolare lucentezza ai prodotti finiti.
EBOLLIZIONE
Fenomeno che si verifica quando un liquido riscaldato inizia a formare bolle in superficie. Avviene per ogni liquido a temperature diverse.
EMULSIONE
Composto ottenuto mescolando energicamente sostanze che non sono solubili tra loro, una delle quali è un grasso. L”emulsione tende a separarsi nuovamente quando viene fatta riposare. Per stabilizzarla si usano uova o fecola oppure stabilizzanti che consentono di ottenere miscele dense e stabili.
ESSICCAZIONE
Tecnica conserviera che consiste nel sottrarre gran parte dell’acqua presente nei cibi, generalmente mediante l”uso di calore naturale (sole) od artificiale.
FARCIRE
Il verbo indica l’azione di disporre una sostanza fra altri strati di diversa composizione. Ad esempio “farcire una torta”, cioè stendere uno strato di crema fra strati di pan di Spagna.
FLAMBARE
Passare alla fiamma (alcool o gas).
FODERARE
Ricoprire una forma o una tortiera con un sottile strato di pasta o di altre sostanze.
FONDO
Sugo o liquido che rimane in pentola dopo la cottura delle vivande.
GUARNIRE
Abbellire una preparazione dolciaria o culinaria con elementi atti a migliorarne l’aspetto (vedi decorare).
INCIDERE
Praticare un taglio, più o meno profondo, su impasti dolci o salati, verdure, ecc.
INCORPORARE
Inserire uno o più ingredienti in un impasto.
INFARINARE
Coprire leggermente un alimento, tavolo di lavoro ed attrezzi con un leggero strato di farina.
JULIENNE
Carni o verdure tagliate a piccole strisce sottili.
LEGARE
Incorporare una sostanza che tenga uniti gli altri ingredienti, come ad esempio la maionese che lega le verdure nell’insalata russa. Il verbo viene anche usato per indicare l”unione nel composto di amido od altro che, amalgamato ad una salsa liquida, la rende più densa e vellutata, cioè più legata.
LESSARE
Cuocere un alimento in acqua bollente, mantenendo poi la temperatura al di sotto dei 100°C (che si raggiungono invece nella bollitura).
MACINARE
Rompere e frantumare, in parti più o meno piccole cereali, legumi od altri semi secchi.
MANIPOLARE
Lavorare la pasta con le mani.
MANTECARE
Miscelare energicamente un composto, per renderlo cremoso e omogeneo.
MASSA
E una miscela composta da più ingredienti che, a lavorazione ultimata, dovranno formare un unico composto.
MERINGARE
Coprire una torta con meringa.
MESCOLARE
Unire più elementi fra di loro.
MISCELA
Indica quell’insieme di ingredienti, solidi e liquidi, che uniti e mescolati tra loro formano un unico composto omogeneo.
MIXER
Apparecchio elettrico costituito da un motore che fa ruotare un gruppo di lame affilate (dette coltelli rotanti). Il mixer viene introdotto direttamente nel recipiente che contiene i cibi da frullare o triturare.
MODELLARE
Dare forme varie ad un impasto.
MONTARE
Sbattere un liquido od un composto semidenso per renderlo più gonfio e più denso con l’incorporazione di aria.
NAPPARE
Stendere su una preparazione una salsa che abbia una consistenza tale da non scivolare via.
NEVE (MONTARE A)
Sbattere degli albumi d’uovo fino a quando assumano un aspetto simile a quello della neve; quando si dice “a neve ben ferma” la frusta deve lasciare dei solchi nell’albume montato.
STENDERE
Allargare una pasta sulla tavola o sopra una placca, distenderla

 

 

Fonte: http://www.csgalileogalilei.it/public/allegati/dispensacucinaclassevb_2.docx

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