Disabili

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Disabili

I DISABILI

Sono le persone che hanno problemi di "handicap" sensoriali, fisici e psichici. L'anno 1981 è stato dedicato dall'ONU ai portatori di "handicap", con la stesura della "carta dei diritti delle persone handicappate".
Non più, quindi, pura assistenza (tecnica e curativa), ma inserimento nella società e tutela psicologica ed economica (queste persone non devono, quindi, essere più considerate un peso per la società, ma valorizzate, appunto, come persone). Si cerca, in sostanza, di facilitare l'inserimento nel lavoro, favorendo la formazione e l'inserimento scolastico.

Quindi gli interventi politici sono i seguenti:

  1. scuola (inserimento scolastico) e quindi abolizione delle classi differenziate ed introduzione dell’insegnante di sostegno,
  2. formazione (formazione professionale) e pertanto corsi professionali finalizzati alla preparazione per un futuro lavoro,
  3. lavoro (inserimento nel lavoro); la legge prevede inserimenti obbligatori, in percentuali, dei disabili nei posti di lavoro,
  4. previdenza (interventi previdenziali); sono previsti sussidi di vario genere e forme pensionistiche particolari,
  5. sanità (interventi sanitari) e cioè assistenza, cure e recupero.

 

Aspetti legislativi

La legge più importante che si occupa dei disabili è: "la legge 5 febbraio 1992 n. 104", chiamata anche: "legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale ed i diritti delle persone handicappate" (perché attua i principi, citati sopra, fissati dall'ONU. La legge 104/1992 è suddivisa in 42 articoli, nei quali si dà una visione completa dei diritti delle persone disabili; ed in particolare viene ribadito che lo Stato:

  1. garantisce il rispetto della dignità umana, della libertà e dell'autonomia di una persona handicappata,
  2. previene le condizioni invalidanti e garantisce diritti civili, politici e patrimoniali ad ogni individuo,
  3. assicura servizi e prestazioni per prevenire, curare e riabilitare i minorati,
  4. predispone degli interventi, che servono per superare l'emarginazione e l'esclusione sociale di un disabile.

I soggetti a cui è riferita la legge sono persone che hanno minorazioni fisiche, psichiche, sensoriali stabilizzate o progressive e che a causa di difficoltà di apprendimento, di relazione e di integrazione lavorativa hanno uno svantaggio sociale. La persona disabile ha diritto alle prestazioni riabilitative non solo se è residente in Italia, ma anche se proviene da altri stati (immigrati). In base alla gravità della minorazione si hanno dei programmi di intervento sociali diversi.
La rimozione delle cause invalidanti, la promozione dell'autonomia e la realizzazione dell'integrazione sociale sono perseguite attraverso:

  1. lo sviluppo scientifico e genetico,
  2. la prevenzione, la diagnosi e la terapia prenatale precoce,
  3. l'informazione sanitaria e sociale alla famiglia dell'handicappato,
  4. l'intervento tempestivo dei servizi terapeutici e riabilitativi,
  5. il sostegno psico pedagogico alla persona handicappata ed alla famiglia,
  6. gli strumenti e sussidi tecnici ed interventi economici,
  7. l'informazione della popolazione sulla situazione degli handicappati,
  8. il diritto della scelta dei servizi ritenuti più idonei,
  9. il superamento di ogni forma di emarginazione sociale.

 
Uno degli articoli più importanti di tale legge è l'articolo 12, che parla del diritto all'educazione ed all'istruzione.
Ogni bambino disabile ha il diritto di essere inserito in asili nido; di avere un'educazione ed un'istruzione nella scuola materna, nonché di poter frequentare scuole dell'obbligo, scuole superiori di secondo grado ed università.
L'integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità del disabile nell'apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione.
Devono esistere dei profili dinamico e funzionali, alla cui definizione collaborano genitori, operatori delle ASL (ex USL), personale insegnante specializzato, operatori psico pedagogici per la formazione di piani educativi individualizzati.

Il profilo dinamico funzionale di ogni disabile deve essere aggiornato a conclusione della scuola materna, dell'obbligo e durante l'istruzione superiore.
Ai disabili soggetti all'obbligo scolastico, che hanno difficoltà temporanea per motivi di salute e frequentano la scuola, sono comunque garantite educazione ed istruzione scolastica.
La sovrintendenza scolastica (ex provveditorato agli studi), con accordi con le ASL ed i centri di recupero di riabilitazione pubblici e privati, provvede all'istruzione per handicappati ricoverati presso ospedali.
A queste classi speciali possono accedere anche bambini non handicappati, con ricoveri che si prolungano nel tempo.

Articolo 33 della legge 104/92
attribuisce ai genitori, anche adottivi, di minori con handicap in situazioni di gravità, due ore di permesso giornaliero retribuito  fino al compimento del terzo anno di vita del bambino, in alternativa al periodo di astensione facoltativa. Successivamente, al terzo anno di vita del bambino, gli stessi genitori possono usufruire di tre giorni di permesso mensile. Lo stesso diritto, di due ore giornaliere o tre giorni mensili, è concesso alla persona maggiorenne in situazione di gravità: la condizione è che il bambino  o la persona handicappata non siano ricoverati a tempo pieno. La nuova legge 53/2000 precisa che ciascun genitore, anche adottivo, può fruire dei benefici anche se l’altro non ne ha diritto, perché ad esempio non lavora. Si amplia, inoltre, l’ambito dei beneficiari comprendendo anche i familiari lavoratori, con rapporto pubblico o privato, che assistono con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato anche se non convivente. L’articolo 19 della nuova legge ha infatti depennato le parole “con lui convivente” della legge 104/92. 

Articolo 39 della legge 104/92
descrive quali sono i compiti delle regioni e precisamente:

  1. definire l’organizzazione dei servizi, le modalità di coordinamento e le prestazioni individuali,
  2. definire programmi di aggiornamento e di riqualificazione del personale,
  3. promuovere attività di ricerca e di sperimentazione di nuove tecnologie di

     apprendimento e di riabilitazione,

  1. definire attività d'intervento in attività assistenziale e di accesso ai servizi,
  2. controllare periodicamente gli interventi di inserimento e di integrazione sociale,
  3. promuovere programmi di formazione di personale volontario,
  4. eseguire un bilancio annuale.

 
Articolo 40 della legge 104/92
tratta i compiti dei comuni. Questi devono attuare interventi sociali e sanitari, dando priorità agli interventi di riqualificazione, di riordinamento e di potenziamento dei servizi esistenti.

 

la deliberazione della Giunta Provinciale del 3/7/1995 n. 3438

"modalità di attuazione delle fasi procedurali dall'individuazione dell'handicap alla programmazione individualizzata per alunni portatori di handicap
 in applicazione dell’articolo 12 della legge quadro 5 febbraio 1992 n. 104"

La Giunta Provinciale di Bolzano0, con questa delibera, ha voluto specificare le modalità di attuazione delle fasi procedurali, dall'individuazione dell'handicap alla programmazione individualizzata per alunni disabili, applicando nella Provincia di Bolzano l'articolo 12 della legge 104 de11992. Come è stato già accennato precedentemente, questo articolo stabilisce le modalità per garantire il diritto all'educazione ed all'istruzione della persona disabile.
Ci sono delle fasi per individuare: innanzitutto viene fatta una segnalazione da genitori o dai capi di istituti scolastici alle ASL.
In base a tale segnalazione uno psicologo dell’ASL accerta se il soggetto è una persona disabile. Viene eseguita una diagnosi funzionale; ossia viene descritta analiticamente la compromissione funzionale dello stato psico fisico dell'alunno. Alla diagnosi funzionale partecipano medici specialisti, ossia neuropsichiatri, psicologi, terapisti della riabilitazione ed operatori sociali. Segue un profilo dinamico e funzionale che, dopo un periodo di inserimento scolastico, può prevedere il livello di sviluppo che l'alunno potrà raggiungere. Il programma dinamico funzionale comprende la descrizione funzionale dell'alunno in relazione alle difficoltà che quest'ultimo dimostra nei vari settori di attività e l'analisi dello sviluppo potenziale dell'alunno.
Sempre questo profilo deve essere aggiornato man mano che l'alunno passa attraverso i vari gradi scolastici. Gli interventi integrati ed equilibrati tra di loro sono predisposti in modo tale che l'alunno disabile possa realizzare a pieno il suo diritto all'educazione ed all'istruzione. E' molto importante che a questo piano educativo vi sia una partecipazione collettiva da parte di insegnanti, genitori, assistenti.

Un cenno particolare merita la:

Legge 12 marzo 1999 n. 68 intitolata:
norme per il diritto al lavoro dei disabili

Questa legge è formata da 23 articoli ed ha come finalità la promozione per l’inserimento e per l’integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato.

Vediamo i punti più importanti:

1) i datori di lavoro sono tenuti ad avere alle loro dipendenze lavoratori disabili     nella seguente misura:
    - sette per cento dei lavoratori occupati, se occupano più di 50 dipendenti,
    - due lavoratori, se occupano da 36 a 50 dipendenti,
    - un lavoratore, se occupano da 15 a 35 dipendenti;
2) viene enunciato, per la prima volta, il principio secondo il quale i datori di     lavoro sono tenuti a garantire la conservazione del posto di lavoro a quei     soggetti che, non essendo disabili al momento dell'assunzione, abbiano     acquisito per infortunio sul lavoro o malattia professionale eventuali     disabilità;
3) è istituito un elenco dei disabili che risultano disoccupati ed i datori di lavoro     devono rivolgersi per le assunzioni al competente ufficio che tiene, appunto,     questi elenchi;
4) il datore di lavoro deve applicare il trattamento economico e normativo     previsto dalle leggi e dai contratti collettivi e non può chiedere al disabile una     prestazione non compatibile con le sue minorazioni (sono previsti periodici     aggiornamenti sanitari sulla condizione di salute del disabile, ai fini di un     corretto inserimento nel lavoro);
5) sono previste agevolazioni fiscali a favore dei datori di lavoro che occupino     persone disabili;
6) viene istituito un fondo regionale per l'occupazione dei disabili, che dovrà     servire per il finanziamento dei programmi regionali di inserimento lavorativo     e dei relativi servizi;
7) i disabili possono partecipare a tutti i concorsi per il pubblico impiego, da     qualsiasi amministrazione pubblica siano banditi. A tal fine i bandi di     concorso prevedono speciali modalità di svolgimento delle prove di esame,     per consentire ai soggetti suddetti di concorrere in effettive condizioni di     parità con gli altri;
8) sono fatte salve le competenze legislative in materia delle regioni a statuto     speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano (che, comunque,     si devono conformare alle norme generali di esecuzione).

 

Dal quotidiano "Il Sole 24 Ore" del 7 agosto 2000

progetto di azione per le politiche della disabilità
 
Il Consiglio dei Ministri ha varato il progetto di azione per le politiche della disabilità. “Handicap: star meglio si può”. L'obiettivo è rendere concreti diritti che oggi sono solo sulla carta.
In Italia sono almeno tre milioni le persone disabili e 15 famiglie su 100 si trovano ad accudire un congiunto portatore di handicap. Per rispondere alle esigenze di questa fascia di popolazione, il ministero della solidarietà sociale, traendo ampio spunto dal dibattito apertosi nel corso della prima conferenza nazionale sull'handicap, che si è svolto a Roma dal 16 al 18 dicembre 1999, ha messo a punto il programma di azione del governo per le politiche dell'handicap per gli anni 2000-2003.

Il documento…ha ricevuto l'ok del consiglio dei ministri, traccia strategie di prevenzione; indicazioni per il rafforzamento della rete di riabilitazione; politiche per la piena integrazione sociale e lavorativa.
Quattro i princìpi cardine indicati: non discriminazione; pari opportunità; precedenza alle situazioni di maggiore gravità; concreta integrazione. Il tutto alla luce di una consapevolezza di fondo: per migliorare le condizioni dei disabili non servono tanto nuove leggi, ma la concreta attuazione, su tutto il territorio nazionale, dell'apparato normativo già in vigore.

Un apparato che, dall'entrata in vigore della legge quadro sull'handicap (104/1992), fino ad oggi ha dato i suoi risultati: ASL ed enti locali hanno promosso servizi di riabilitazione; misure di sostegno alle famiglie e strumenti di avviamento al lavoro. Il neo resta, però sempre, il divario tra regioni "virtuose" (soprattutto al nord) ed altre più arretrate (al sud). La sfida per il triennio è quella di rendere concretamente esigibili in tutto il paese i diritti sanciti sulla carta.
 
Sistema informativo e servizi telematici
oggi in Italia, rileva il programma di azione, mancano dati esaurienti sulla diffusione delle disabilità, sul profilo socio demografico e sulle condizioni di vita di questa popolazione.
Per arrivare ad una programmazione mirata degli interventi è già stata sottoscritta una convenzione tra dipartimento per gli affari sociali e ISTAT per avviare una collaborazione che, nel corso di tre fasi che si dovranno concludere nel 2002, dovrà portare all'effettiva messa a regime di un sistema informativo sulle disabilità su base regionale.
Un protocollo d'intesa siglato con “Enea” e con altri organismi pubblici e privati dovrà realizzare, invece, una serie di servizi telematici per agevolare la comunicazione tra disabili, associazioni ed istituzioni, anche per studiare i servizi innovativi emergenti sul territorio.

Azioni verso l'unione europea
Il programma di azione, impegna il governo italiano a farsi promotore di iniziative verso l'unione europea, tese a promuovere un impegno particolare nel settore delle disabilità, inclusa l'implementazione delle risorse per l'integrazione dei portatori di handicap.

I numeri in Italia  **
3.000.000 i disabili totali (5% della popolazione), di cui:
- 1.100.000 con difficoltà motorie,
-    350.000 ciechi totali o parziali,
-    800.000 persone con problemi all'udito (49.000 sono sordomuti),
-    700.000 persone con disagio mentale.

Le indennità di accompagnamento corrisposte  **
- 839.999 per invalidità civile grave,
-    50.000 per cecità totale,
-    58.000 per cecità parziale,
-    40.000 per sordità totale.
** fonte: "Ministero degli Affari Sociali” - dati rilevati al 1998.

63% sono i disabili con più di 45 anni. 42% hanno un lavoro. 52% sono economicamente inattivi.
Nei Paesi dell’Unione Europea sono 26 milioni le persone disabili in età lavorativa (il 14,5% della popolazione tra i 16 ed i 64 anni di età). Tra i dieci Stati dell’allargamento, che fanno parte della Comunità Europea dal primo maggio del 2004, ben il 25% della popolazione ha problemi di disabilità.

Sempre dal citato articolo di stampa

L'handicap, il più delle volte, non è un male congenito, e dunque si può prevenire. Su tre milioni di disabili, in Italia, sono appena duemila l'anno i bambini che evidenziano malformazioni o malattie invalidanti alla nascita.
La percentuale di disabilità rilevata cresce in età scolastica, quando si evidenziano in particolare gli handicap mentali.
Nella fascia adolescenziale e nell'età adulta, aumenta, invece, il peso delle disabilità fisiche, che subiscono un'impennata dopo i 15 anni, prevalentemente a causa di incidenti sul lavoro, stradali e domestici.

Per questo il programma di azione per l'handicap punta molto sulla prevenzione
Si prevede l'attivazione di iniziative premianti e di sostegno finanziario alle aziende, per l'applicazione delle norme di sicurezza;
l'incentivazione dei controlli negli ambienti di lavoro e sulle strade; la verifica dell'applicazione, da parte dei comuni, della norma che prevede un utilizzo del 10 % dei proventi delle contravvenzioni per interventi di sicurezza stradale; campagne di informazione sui rischi in casa, a lavoro e sulla strada; incentivi alla ricerca sulla sicurezza nella guida e per la produzione di soluzioni tecniche per la sicurezza domestica.

 

dal Quotidiano "II Sole 24 Ore" - settembre 2000

“disabili, scatta il nuovo regime”

Il consiglio dei ministri ha dato il via libera al regolamento che definisce le modalità di assunzione riservata. Anche per le aziende da 15 a 35 addetti esiste l’obbligo di procedere alla chiamata quando aumentano i dipendenti.
Queste le norme:

datori di Lavoro obbligati
tutti i datori di lavoro, compresi gli enti pubblici economici con più di 15 dipendenti.
Non sono computabili, per calcolare la quota di riserva:
- i lavoratori assunti in relazione all'obbligo posto dalla legge stessa (disabili,   orfani, profughi),
- i lavoratori con contratto a tempo determinato, di durata non oltre i 9 mesi,
- i soci di cooperative di produzione e lavoro,
- i dirigenti,
- i lavoratori assunti con contratto di formazione, di apprendistato, di   reinserimento e a domicilio,
- lavoratori con contratto estero,
- lavoratori divenuti inabili durante il rapporto di lavoro in percentuale superiore   al 6 %, non per responsabilità del datore di lavoro (sono computabili in   proporzione i "par time");

percentuali di riserva:
a) da 15 a 35 dipendenti
    1 disabile, in caso di nuova assunzione (richiesta nominativa). Dopo la prima     assunzione successiva al 17 gennaio 2000, il disabile dovrà essere assunto     contestualmente. Non sono considerate nuove assunzioni quelle effettuate per     la sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto, e     per la sostituzione di lavoratori cessati, se la sostituzione è avvenuta entro 60     giorni dalla cessazione,
b) da 35 a 50 dipendenti
    2 disabili (50% richiesta nominativa),
c) oltre 50 dipendenti
    il 7% della forza lavoro (60% richiesta nominativa) e 1 % , invece, da orfani,     vedove e profughi. Nel passaggio tra la nuova e la vecchia normativa, non     possono essere licenziati i lavoratori protetti che risultano in eccedenza;

adempimenti dei datori di lavoro:
a) richiesta di avviamento
    agli uffici competenti, entro 60 giorni dal momento in cui insorge l'obbligo     (nominativa o numerica) con possibilità di indicare la qualifica (indicazione     non vincolante). Per i disabili psichici è sempre possibile la richiesta     nominativa,
b) invio di un prospetto informativo
    entro il 31 gennaio di ogni anno, Le aziende da 15 a 35 dipendenti devono     inviare il prospetto informativo solo se effettuano assunzioni aggiuntive,     rispetto ai dipendenti in forza al 17 gennaio 2000, ed entro 60 giorni     dall'insorgenza dell'obbligo,
c) convenzioni da stipulare, aventi per oggetto (articolo 11)
    - tempi e modalità delle assunzioni, che il datore di lavoro si impegna ad       effettuare (nominativa),
    - svolgimento di tirocini con finalità formative e di orientamento,
    - assunzioni di contratti a termine,
    - svolgimento di periodi di prova più ampi di quelli previsti dal contratto       collettivo nazionale di lavoro,
    - possibilità di derogare ai limiti di età e di durata per i contratti di       apprendistato e formazione e lavoro;

opzioni diverse
a) convenzioni tra uffici competenti, datori di lavoro e cooperative sociali

  1. il lavoratore viene assunto dall'azienda, ma lavora presso la cooperativa, dalla quale viene pagato,
  2. Il datore di lavoro deve garantire lavori alla cooperativa per coprire i costi retributivi e contributivi,
  3. limiti...fino a 50 dipendenti: 1 disabile

             ...oltre i 50 dipendenti: 30 % dei disabili
             ...non può essere superiore a 12 mesi, eccezionalmente prorogabile
b) richieste di parziale esonero (articolo 5)
    può essere concesso un parziale e temporaneo esonero dall'obbligo di     assunzione, in presenza di condizioni lavorative e ambientali particolari, a     condizione che si versi 25.000 lire al giorno per ogni lavoratore,
c) richiesta di sospensione (articolo 4)
    - aziende in cassa integrazione,
    - aziende in procedure concorsuali,
    - aziende che hanno stipulato contratti di solidarietà,
    - aziende in procedura di mobilità in atto:
d) richiesta di autorizzazione alla compensazione territoriale;
trattamento normativo ed economico
a) si applica il trattamento previsto da leggi e contratti,
b) il disabile ha diritto a una temporanea sospensione del rapporto in caso di     incompatibilità sopravvenuta,
c) il licenziamento per riduzione temporanea di personale è annullabile, qualora     si scenda al di sotto della percentuale di obbligo,
d) in caso di risoluzione del rapporto, è obbligatorio inviare una comunicazione     all'ufficio competente entro 10 giorni, ai fini della sostituzione;

agevolazioni
è indispensabile la stipula di una convenzione. I gradi di invalidità del disabile sono io seguenti:
- 79 %: fiscalizzazione per 8 anni del 100 per cento. La stessa fiscalizzazione si   applica in caso di assunzione di disabile psichico, indipendentemente dal   grado di invalidità,
- da 67 a 79 %: fiscalizzazione per 5 anni del 50 per cento,
- da 50 a 66 %: rimborso forfetario delle spese per gli adattamenti economici,
- rimborso forfetario della spesa sostenuta per eliminare gli ostacoli allo     svolgimento dell'attività lavorativa;

sanzioni
a) mancato invio della denuncia
    euro 516,46 (ex lire 1.000.000), più euro 25,82 (ex lire 50.000) per ogni     giorno di ritardo,
b) mancata assunzione
    euro51,65 (ex lire 100.000) lire per ogni giorno lavorativo.

 

Agevolazioni fiscali per i disabili

con il “collegato” alla finanziaria 2000 e con le finanziarie 2000 e 2001, le agevolazioni, di cui da tempo fruivano i disabili con ridotte od impedite capacità motorie, sono estese anche ad altre categorie:

  1. non vedenti, sordomuti, persone affette da handicap psichico o mentale, di una gravità tale da comportare quindi il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento,
  2. disabili con grave limitazione della capacità di deambulazione o affetti da pluri amputazioni.

La legge finanziaria per il 2007, nel sostituire le deduzioni dal reddito imponibile per i figli a carico con una detrazione di imposta, ha previsto, a partire appunto dal 2007, per il figlio portatore di handicap una maggiorazione di 220 euro rispetto all’importo che spetterebbe per lo stesso figlio in assenza dell’handicap. Con lo stesso provvedimento è stata anche introdotta una nuova detrazione di imposta in luogo della deduzione dal reddito complessivo in favore delle persone non autosufficienti, che hanno sostenuto spese per remunerare gli addetti alla propria assistenza personale.
NOTA
Le spese sostenute per gli addetti all’assistenza personale, nei casi di non autosufficienza nel compimento degli atti di vita quotidiana, sono detraibili, dal primo gennaio 2007, nella percentuale del 19 %, calcolabile su un ammontare di spesa non superiore a 2.100 euro, purchè il reddito del contribuente non sia superiore a 40.000 euro.

Le agevolazioni prevedono:

  1. il diritto alla detrazione del 19 % ai fini IRPEF per l’acquisto di veicoli anche non adattati destinati a facilitare la locomozione,
  2. l’applicazione dell’aliquota IVA agevolata del 4 % sull’acquisto dei veicoli,
  3. l’esenzione dal pagamento delle tasse automobilistiche,
  4. l’esenzione dal pagamento delle imposte di trascrizione sui passaggi di proprietà (quest’ultima agevolazione non si applica a non vedenti e sordomuti).

Inoltre:

  1. tra i veicoli acquistati per facilitare la locomozione dei disabili, e per i quali è prevista la possibilità di fruire della detrazione IRPEF sulla relativa spesa di acquisto, rientrano anche gli autocaravan,
  2. aumenta il limite massimo, da 2500 a 2800 centimetri cubici, per i veicoli dei disabili con motore diesel cui applicare l’aliquota IVA ridotta al 4 %,
  3. può beneficiare delle agevolazioni anche un familiare che ha sostenuto la spesa nell’interesse del disabile, a condizione che  questi sia fiscalmente a carico (per essere a carico non si devono avere redditi annui superiori a euro 2.840,51 – ex lire 5.500.000),
  4. In caso di successione e donazione, se il beneficiario è una persona portatrice di handicap gravi, l’imposta si applica solo sulla parte del valore della quota o del legato che supera un miliardo di lire,
  5. Infine, si applica l’aliquota IVA agevolata del 4 % alle cessioni di prodotti editoriali per non vedenti, realizzati in scrittura braille e quelli realizzati su supporti audio magnetici per non vedenti, anche se non acquistati direttamente dai disabili, purché siano destinati ad essere utilizzati da loro.

Nota
Il decreto del consiglio dei ministri dell’11/4/2002, con il quale vengono abolite le liste di collocamento (decreto del quale si è parlato, peraltro nel capitolo dedicato al diritto del lavoro), stabilisce che rimangono però in vigore, oltre che per poche categorie, anche per gli elenchi dei disabili.

 

La legge n. 4 del 9/1/2004
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 13 del 17/1/2004

Il provvedimento dispone che tutte le pubbliche amministrazioni dovranno tutelare e garantire il diritto di accesso ai servizi informatici e telematici ed ai servizi di pubblica utilità da parte delle persone disabili. Il tutto per il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione.
Quindi anche le scuole dovranno adeguare alle nuove norme i computer  degli uffici di segreteria, dei laboratori informatici e, se presenti, anche i computer di classe.

Computer
per disabili
l’adeguamento dovrà riguardare principalmente l’adozione di accorgimenti tecnici per favorire l’utilizzo delle tecnologie informatiche da parte dei disabili. Ciò comporterà l’obbligo, da parte della scuola, di fornire ai disabili anche i programmi specifici per superare il proprio handicap.
Vale a dire le cosiddette tecnologie assistite, progettate appositamente per rendere più agevole l’accessibilità dei sistemi informatici.

Strumenti
didattici
le nuove norme si applicano anche ai sussidi didattici (art. 5); e per questo motivo le convenzioni stipulate tra il ministero dell’istruzione e le associazioni di editori, per la fornitura di libri alle biblioteche scolastiche, dovranno sempre prevedere la fornitura di copie su supporto digitale degli strumenti didattici fondamentali, accessibili agli alunni disabili ed agli insegnanti di sostegno, nell’ambito delle disponibilità di bilancio.

Acquisto
di computer e software
le scuole, per acquistare computer, programmi e servizi per la realizzazione di siti internet, dovranno tenere conto dell’accessibilità.
Ciò significa che , nelle procedure svolte per l’acquisto di beni e per la fornitura di servizi informatici, i requisiti di accessibilità dovranno costituire motivo di preferenza a parità di ogni altra condizione nella valutazione dell’offerta tecnica, tenuto conto della destinazione del bene o del servizio.
La mancata considerazione dei requisiti di accessibilità o l’eventuale acquisizione di beni o fornitura di servizi non accessibili potrà avvenire ugualmente, ma dovrà essere adeguatamente motivata.

Siti
internet
anche per stipulare i contratti per la realizzazione di siti internet, bisognerà rispettare i requisiti di accessibilità, che verranno stabiliti per decreto; altrimenti i contratti saranno nulli.

Formazione
l’amministrazione scolastica dovrà inserire nei programmi di formazione anche le problematiche relative alla accessibilità ed alle tecnologie assistite.

 

Congedo per l’assistenza
a soggetti con handicap

introdotto dalla legge finanziaria per il 2004 ed operativo dall’ 1/1/2004

Più facile il congedo per l’assistenza a persone portatrici di handicap. Per il diritto al permesso non serve più l’anzianità di cinque anni del riconoscimento della situazione di gravità alla disabilità sofferta dal familiare.
Il congedo straordinario è dunque di due anni  nell’arco della vita lavorativa ed è previsto a favore dei genitori, compresi adottivi ed affidatari, ed ai fratelli e sorelle di soggetti con handicap in situazione di gravità, non ricoverati a tempo pieno presso istituti specializzati, che non prestano attività lavorativa.
Tali congedi, per i lavoratori dipendenti da datori di lavoro privati, sono indennizzati dall’INPS nella misura dell’ultima retribuzione, entro un tetto massimo previsto dalla legge.

La fruizione del beneficio spetta in via alternativa alla madre o al padre e, pertanto, il beneficio non può essere utilizzato contemporaneamente da entrambi i genitori. L’INPS ha predisposto appositi facsimili di domanda, da avanzare per la fruizione del congedo straordinario.
Unitamente alla domanda, deve essere prodotta dichiarazione dell’altro genitore di non aver fruito del beneficio, con impegno  a comunicare all’INPS ed al datore di lavoro eventuali modifiche ovvero con l’indicazione dei periodi fruiti. Ancora, alla domanda va allegata la documentazione relativa al riconoscimento della gravità dell’handicap, a suo tempo rilasciata dalla commissione medica della competente ASL.

 

Riassumendo,
Il congedo straordinario:

A chi spetta?

spetta ai lavoratori dipendenti del settore pubblico e privato

Chi può fruirne?

genitori, naturali o adottivi ed affidatari, del soggetto con grave handicap. In caso, invece, di decesso di entrambi i genitori, i fratelli e le sorelle, anche adottivi del soggetto con grave handicap

Quanto dura?

Il congedo è possibile per la durata massima di due anni nell’intera vita lavorativa

Indennità:

i lavoratori hanno diritto ad una indennità pari all’ultima retribuzione percepita, comprensiva del rateo di emolumenti non riferibili al solo mese considerato (tredicesima mensilità, altre mensilità aggiuntive, gratifiche, indennità, premi, ecc.) entro un certo limite stabilito dalla legge

Copertura previdenziale:

il periodo di congedo è coperto ai fini previdenziali mediante accredito figurativo

 

 Eliminazione delle barriere architettoniche

Fino al 31 dicembre 2011 è possibile fruire della detrazione Irpef sulle spese di ristrutturazione edilizia. Rientrano tra queste, oltre alle spese sostenute per l’eliminazione delle barriere architettoniche riguardanti, ad esempio, ascensori e montacarichi, anche quelle effettuate per la realizzazione di strumenti che, attraverso la comunicazione, la robotica ed ogni altro mezzo tecnologico, siano adatti a favorire la mobilità interna ed esterna delle persone portatrici di handicap grave, ai sensi dell’art. 3, comma 3, della legge n. 104 dl 1992 (legge esaminata sopra). La detrazione per l’eliminazione delle barriere architettoniche non è fruibile contemporaneamente alla detrazione dl 19 % su tali spese, pertanto, spetta solo sulla eventuale parte in più rispetto alla quota di spesa già assoggettata alla detrazione del 36 %.

Si ricorda che la detrazione è applicabile alle spese sostenute per realizzare interventi previsti unicamente sugli immobili, per favorire la mobilità interna ed sterna del disabile. Non si applica, invece, alle spese sostenute per il semplice acquisto di strumenti o beni mobili, sia pure ugualmente diretti a favorire la comunicazione e la mobilità interna ed esterna del disabile (non rientrano, pertanto, in questa tipologia di agevolazione, ad esempio, l’acquisto di telefoni a voce viva o computer).

La sostituzione di gradini con rampe, sia negli edifici che nelle singole unità immobiliari, può essere considerata intervento che determina il diritto alla detrazione, se risulta conforme alle prescrizioni tecniche previste dalla legge sull’abbattimento delle barriere architettoniche (fermo restando, tuttavia, il diritto alla detrazione secondo le regole vigenti, qualora gli stessi interventi possano configurarsi quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria). Tra gli interventi di abbattimento delle barriere architettoniche, che danno diritto alla detrazione, rientra anche la realizzazione di un elevatore esterno all’abitazione. Per le prestazioni di servizi relative all’appalto dei lavori in questione, è applicabile l’aliquota Iva agevolata del 4 %, anziché quella ordinaria del 20 %.

 

Eredità e donazioni a favore del disabile grave

Con la legge n. 286 del 2006 (di conversione del decreto legge n. 262 del 2006) e la legge n. 296 del 2006 (finanziaria del 2007) è stata reintrodotta nel sistema tributario l’imposta sulle successioni e sulle donazioni. Tuttavia, se il beneficiario è una persona portatrice di handicap riconosciuto grave, ai sensi della legge n. 104 del 1992 (come visto più sopra), l’imposta si applica esclusivamente sulla parte del valore della quota o del legato che supera l’ammontare di 1.500.000 di euro.

Amministratore di sostegno
legge n. 6 del 9/1/2004  in vigore dal 18 marzo 2004
 
Il nuovo articolo 404 del codice civile prevede che “la persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza od il domicilio”.
La finalità perseguita dalla legge è dunque quella di assicurare la necessaria assistenza in tutte quelle situazioni che non giustificano il ricorso all’interdizione o all’inabilitazione.

 

L’amministratore di sostegno si presenta dunque come la soluzione ai problemi di protezione delle fasce deboli della società civile, finora rimasti irrisolti. Le caratteristiche più importanti sono le seguenti:
beneficiano della legge gli infermi, i menomati psichici e fisici, anche solo per un periodo limitato di tempo;
la nomina dell’amministratore può essere richiesta o dal coniuge, o dai parenti entro il quarto grado, o dalla persona convivente con il bisognoso, o dallo stesso soggetto beneficiario, oppure dagli assistenti sociali;
è competente per la nomina il giudice tutelare del luogo ove il bisognoso ha la sua residenza o il domicilio;
entro 60 giorni dalla presentazione della domanda, il giudice tutelare provvede alla nomina dell’amministratore, su indicazione dello stesso beneficiario;
può essere nominato amministratore la persona designata dal bisognoso oppure, in mancanza, un parente od il convivente; la nomina è preclusa agli assistenti sociali;
l’amministratore di sostegno rappresenta il beneficiario nel compimento di determinati atti e presta la sua assistenza;
l’interessato conserva comunque la capacità di agire per gli atti che non richiedono la rappresentanza o l’assistenza dell’amministratore e per quelli necessari al soddisfacimento delle esigenze di vita;
L’incarico di amministratore è senza retribuzione e quindi gratuito ed è finalizzato anche al recupero delle capacità della persona interessata: Pertanto, è anche per tali motivi che la legge fa preferire, potendolo fare, la scelta di un familiare. L’attività dell’ amministratore è sempre sottoposta alla verifica ed al controllo del giudice.

 

Il decreto di nomina del giudice tutelare fissa i poteri dell’amministratore e determina il grado di limitazione della capacità di agire del bisognoso. L’articolo 405 del codice civile stabilisce che nel decreto deve essere indicata:

  1. la durata dell’incarico dell’amministratore, che può essere determinata oppure indeterminata;
  2. l’oggetto dell’incarico, dovendosi precisare il compito dell’amministratore;
  3. gli atti che l’amministratore può compiere in rappresentanza del beneficiario;
  4. gli atti che invece il beneficiario può compiere personalmente, ma con l’assistenza necessaria dell’amministratore;
  5. i limiti delle spese che l’amministratore di sostegno può sostenere;
  6. la periodicità con cui l’amministratore deve riferire al giudice tutelare sull’attività svolta.

 

Viene poi precisato all’articolo 409 che per tutti gli atti, che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria, il beneficiario mantiene la piena capacità di agire e, in ogni caso, è abilitato a compiere tutti gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana. L’amministratore deve svolgere i suoi compiti tenendo conto, oltre che delle indicazioni del giudice tutelare, anche dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario: per gli atti che l’amministratore deve compiere sostituendosi all’interessato, prima del loro compimento, è tenuto a dare comunicazione all’assistito, che può anche opporsi. In quest’ultimo caso, l’amministratore è tenuto ad informare il giudice tutelare, che è chiamato a decidere il compimento o meno dell’atto, avendo come unico obiettivo il soddisfacimento dei bisogni o delle richieste del beneficiario. 

 

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GLI IMMIGRATI

La materia dell’immigrazione è disciplinata in Italia dal decreto legislativo 25 luglio 1998 nr. 286, modificato dalla legge “Bossi/Fini” del 30 luglio 2002 nr. 189

Occorre, innanzitutto, premettere, per una compiuta comprensione della materia, che la Costituzione italiana enuncia princìpi di solidarietà ed uguaglianza - articoli 2 e 10 - e quindi si preoccupa dell'inserimento sociale, dei primari bisogni della persona, della tutela di uomini e donne, della parità di trattamento sui luoghi di lavoro.
Per quanto riguarda l’immigrazione, il quadro legislativo in Italia si è parecchio sviluppato negli ultimi anni e precisamente da quando nel nostro paese è emerso in maniera forte e quasi epocale il fenomeno dell’immigrazione extracomunitaria, con tutte le inerenti problematiche da affrontare. Fino ad arrivare, poi, dopo una lunga e frammentata produzione legislativa, all’emanazione di un “testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, con il decreto legislativo n. 286 del 25/7/1988.
Attualmente, l’immigrazione regolare in Italia è disciplinata in tre modi e precisamente:

  1. per mezzo dei flussi programmati,
  2. con le richieste di asilo e protezione temporanea, per motivi umanitari (materia regolata anche a mezzo di convenzioni internazionali, in particolare  con gli stati interessati dal fenomeno migratorio),
  3. attraverso i ricongiungimenti familiari (pure disciplinati da accordi internazionali con gli  stati colpiti dal fenomeno).

 

La materia sull’immigrazione è, peraltro, in continua evoluzione e già vi sono diverse proposte per correggere od aggiornare il citato “testo unico”. Attualmente la politica sull’immigrazione si regge su un documento programmatico, che il governo compila ogni tre anni e che deve essere poi approvato dal comitato dei ministri per le politiche migratorie.
Gli atti vengono poi consultati con gli enti autarchici territoriali, con le associazioni sindacali, con il CNEL e con le associazioni che assistono gli immigrati. Alla fine, quando il testo è definitivamente approvato dal Governo, viene inviato al Parlamento per la successiva ultima discussione e definizione.

Vediamo ora, in sintesi, le principali normative che riguardano appunto gli immigrati nel nostro paese:

Ingresso e soggiorno
l’ingresso e la permanenza di cittadini extracomunitari nel nostro paese, come negli altri che vi hanno aderito, sono regolati secondo i princìpi degli accordi di Schengen, che prevedono, fra l’altro, una certa uniformità delle leggi e dei regolamenti che riguardano i controllo doganali e la repressione dell’immigrazione clandestina e l’omologazione delle politiche sulle concessioni dei visti e sulle condizioni d’ingresso nei rispettivi territori.
Quindi, per entrare in Italia o in uno degli altri paesi, che hanno aderito agli accordi di Schengen, lo straniero deve avere un passaporto valido, il visto d’ingresso, che può avere durata diversa e dimostrare di avere sufficienti mezzi di sussistenza. Lo straniero, poi, per rimanere in Italia deve ottenere un “permesso di soggiorno”, o per turismo o per studio o per motivi familiari. La “carta di soggiorno”, invece, è un permesso a tempo indeterminato rilasciato a chi sia nel nostro paese da parecchio tempo e, a differenza del permesso, non richiede continui rinnovi.

Lavoro
Il permesso di soggiorno per lavorare è soggetto alla programmazione dei flussi d’ingresso, che sono in sostanza delle previsioni svolte periodicamente dal governo, sulla base del numero di lavoratori stranieri necessari alla nostra economia e tenuto conto del mercato del lavoro interno. I decreti sui flussi stabiliscono il numero di immigrati, il paese di provenienza, il settore lavorativo di destinazione. Gli extracomunitari, che desiderano un lavoro nel nostro paese, possono prenotarsi presso le nostre ambasciate e consolati.
Anche ogni datore di lavoro può provvedere alla chiamata diretta. Lavoratori italiani e stranieri hanno gli stessi diritti, purché beninteso questi ultimi siano in possesso di regolare permesso di soggiorno e ciò vale quindi sia per la retribuzione che per il trattamento previdenziale ed assistenziale. Ricordiamo che gli stranieri non possono essere assunti a lavorare nella pubblica amministrazione.

Scuola
risalgono al 1989 le prime circolari del ministero della pubblica istruzione che, progressivamente, hanno eliminato tutti i limiti all’ammissione degli alunni stranieri nelle nostre scuole. Nel 1995, infine, viene superata la formula dell’ammissione “con riserva” per i figli degli immigrati irregolari, con realizzazione della piena equiparazione dei diritti tra alunni italiani e stranieri, anche se irregolari.
Viene così enunciato il principio che il diritto del bambino all’istruzione va salvaguardato e tutelato ed è prevalente su tutto. I bambini stranieri devono quindi frequentare la scuola dell’obbligo, con inserimento in una classe adeguata alla loro preparazione ed alla loro età.
Per favorire al massimo l’integrazione nel nostro paese, questi minori sono inseriti in classi normali ed in ogni classe non possono esserci più di cinque alunni stranieri, appartenenti allo stesso gruppo linguistico.
Ma la politica della scuola, nei confronti degli immigrati, non è ancora stata recepita ed attuata organicamente in tutto lo Stato e ciò si rileva dal primo rapporto effettuato dalla “commissione per l’integrazione degli immigrati”, organismo consultivo del governo, istituito dalla legge “Turco-Napoletano”.

Nota
Il cammino, quindi, per equiparare in pieno i diritti dei figli degli immigrati nella scuola italiana, non è quindi ancora terminato, anche se fino ad ora sicuramente molto è stato fatto in questo campo.

Salute
per quanto riguarda l’iscrizione al servizio sanitario nazionale, anche gli immigrati, in regola con il permesso di soggiorno e che lavorano, sono in tutto equiparati agli italiani. Coloro che hanno un reddito sono tenuti a versare un contributo pari a quello dei cittadini italiani.
L’iscrizione obbligatoria al SSN si estende anche ai familiari a carico e conferisce piena uguaglianza di diritti e di doveri rispetto ai cittadini italiani. Gli stranieri non in regola con il permesso di soggiorno hanno comunque diritto ad un minimo di assistenza.
Vengono comunque assicurate a tutti le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, per malattia ed infortunio. Vengono pure garantite le cure necessarie per la gravidanza e per la maternità e quelle che riguardano la salute dei bambini. Numerose altre norme assicurano, poi, tutta quella tipologia di assistenza che è volta ad evitare il diffondersi di malattie infettive.

Diritto di asilo e rifugiati
la normativa italiana sul diritto d’asilo trova il suo fondamento nella convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati del 28/7/1951 e nel protocollo di New York del 31/1/1667, recepiti nel nostro paese con le leggi 24/71954 n. 722 e 14/2/1970 n. 95.
Le problematiche sono comunque in continua evoluzione. L’asilo politico è in sostanza una protezione internazionale, che viene concessa a cittadini extracomunitari, che fuggono dai loro paesi, perché perseguitati per ragioni etniche, religiose, politiche o culturali.
Anche per ragioni umanitarie è previsto un simile intervento dello Stato e quindi l’asilo politico può essere concesso agli stranieri coinvolti in conflitti armati o in disastri naturali di preoccupanti dimensioni.

 

Oltre alle disposizioni legislative indicate in premessa
(dls 25/7/1998 n.286, modificato dalla legge “Bossi/Fini” del 30/7/2002 n.189)

appare utile ricordare
anche la seguente normativa:

Legge 943/1986

elenca i diritti dei lavoratori immigrati e delega agli enti locali la gestione del settore, per quanto riguarda l'integrazione culturale (corsi di lingua italiana, formazione, avviamento, ecc,).
Si prevede, inoltre, la parità di trattamento nel lavoro (la legge, quindi, si sviluppa intorno ai due concetti fondamentali dell'integrazione dell'immigrato e della regolarizzazione dei clandestini con il blocco dei nuovi arrivi).

Legge 39/1990

chiamata anche legge “Martelli”. Nonostante la legge nazionale 943/1986 e le numerose circolari, la situazione italiana è stata caratterizzata da una numerosa presenza di clandestini e di stranieri provenienti da paesi vicini, in crisi economica e politica.
Tutto ciò ha originato la "legge Martelli", che ha regolato l'asilo politico, di ingresso e di soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione di extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato.
L'asilo politico può ora essere chiesto da tutti e non solo dai cittadini europei ed è stata quindi abolita la cosi detta "riserva geografica".
Vengono punite le immigrazioni irregolari e regolati i motivi dell'ingresso regolare, i requisiti ed i documenti necessari, le modalità e le procedure dei permessi di soggiorno e gli uffici a cui rivolgersi per ottenerli.
Vengono. infine, indicati gli uffici pubblici, i patronati sindacali, le istituzioni sociali, le associazioni di immigrati e rifugiati e le organizzazioni di volontariato presso i quali possono rivolgersi i cittadini extracomunitari per informazioni, assistenza e tutela gratuita, ai fini delle prassi di regolarizzazione delle loro situazioni.

Decreto legge 37671996
anche gli stranieri temporaneamente presenti in Italia hanno diritto alle cure ambulatoriali ed ospedaliere assistenziali, per malattia ed infortuni.

Legge 285/1997
disposizione per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza.

Legge 40/1998
che introduce la sanatoria, per chi non è in regola con i permessi di soggiorno, per tutti coloro che hanno un contratto di lavoro e di locazione.

Decreto 24/6/1998 n. 284
regolamento recante modificazioni al decreto ministeriale 24/7/1990 n. 237, in materia di prima assistenza ai richiedenti lo status di rifugiato.

Decreto del Presidente della Repubblica 5/8/1998
approvazione del documento programmatico relativo alla politica della immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato, a norma dell’art. 3 della legge 6/3/1998 n. 40.

Direttiva
del presidente del consiglio dei ministri del 6/8/1998
disposizioni per l’adeguamento di alcune tipologie di permessi di soggiorno, rilasciati per motivi umanitari, alla normativa introdotta con la legge 6/3/1998 n. 40, recante la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (“gazzetta ufficiale” 184 dell’8/8/1998).

Decreto
del presidente del consiglio dei ministri 16/10/1998
integrazione al decreto interministeriale 24/12/1997, recante programmazione dei flussi di ingresso per l’anno 1998 di cittadini stranieri non comunitari.

Decreto
del presidente del consiglio dei ministri del 12/5/1999
misure di protezione temporanea, a fini umanitari, da assicurarsi nel territorio dello Stato, a favore delle persone provenienti dalle zone di guerra dell’area balcanica (“gazzetta ufficiale” n.121 del 26/5/199).

La legge “Bossi/Fini”
del 30/7/2002 n.189

Ulteriori modifiche ed integrazioni sono state apportate nel giugno del 2002 dalla legge “Fini / Bossi” (con 143 voti a favore, 89 contrari e 3 astenuti).
Vediamo le principali novità introdotte, con gli aggiustamenti del giugno 2002:

cooperazione
nell’elaborare i programmi di cooperazione bilaterale con i paesi non appartenenti all’unione europea, il governo terrà conto della collaborazione prestata dai paesi interessati al contrasto delle organizzazioni criminali operanti nell’immigrazione clandestina;

Impronte digitali
(giugno 2002): è la novità più clamorosa e quella che più ha sollevato polemiche. Agli immigrati che chiedono il permesso di soggiorno nel nostro Paese (ed anche a chi ne chiede il rinnovo) saranno rilevate le impronte digitali;

permesso di soggiorno
(giugno 2002): verrà concesso solo allo straniero che ha già un contratto di lavoro e durerà due anni. Se l’immigrato perde il lavoro, dovrà tornare in patria o andrà ad ingrossare le file degli irregolari;

carta di soggiorno:
viene elevato da 5 a 6 anni il periodo di soggiorno, necessario per ottenere la carta di soggiorno, che, a differenza del permesso, non ha scadenza;

scafisti:
per gli scafisti ed i mediatori, che favoriscono l’ingresso di clandestini, è prevista la reclusione da 4 a 12 anni e la multa di euro 15.493,71 (ex lire 30 milioni) per ogni straniero di cui si è favorito l’ingresso. Le navi italiane da guerra od in servizio di polizia, se sospettano che un’imbarcazione trasporti clandestini, possono fermarla, ispezionarla e sequestrarla, anche in acque internazionali ed anche se straniera. Sconti di pena fino alla metà per gli scafisti pentiti, se aiuteranno forze dell’ordine e magistrati a raccogliere prove e ad individuare e catturare organizzatori e manovali del traffico di esseri umani;

prostituzione:
pene ancora più dure, da 5 a 15 anni di carcere, per chi favorisce l’ingresso di straniere per destinarle alla prostituzione;

italiani all’estero:
nella definizione del decreto annuale, che definisce il numero di lavoratori stranieri che possono entrare in Italia, i figli i nipoti o i pronipoti di emigrati italiani hanno un diritto di prelazione su tutti gli altri lavoratori stranieri;
disoccupati italiani:
quando un datore di lavoro italiano chiede di poter assumere un lavoratore straniero, l’ufficio provinciale del lavoro deve prima verificare se entro 20 giorni c’è un lavoratore italiano disposto a trasferirsi. La verifica verrà fatta via internet con gli altri uffici provinciali;

datori di lavoro:
chi ha alle proprie dipendenze clandestini, è punito con l’arresto da 3 a 12 mesi, più un’ammenda di euro 2.582,28 (ex lire 5 milioni) per ogni straniero occupato;

casa:
il datore di lavoro dovrà fornire garanzie sulla disponibilità di un alloggio, con caratteristiche rientranti nei parametri minimi previsti per l’edilizia popolare;

formazione:
le regioni potranno fare formazione nei paesi extracomunitari, per preparare lavoratori da inserire in aziende italiane;

ricongiungimenti:
il lavoratore, in regola con i permessi, oltre alla moglie ed ai figli (minorenni o maggiorenni a carico, a condizione che non possano provvedere al loro sostentamento), potrà chiamare in Italia anche i genitori sopra i 65 anni, ai quali nessuno può provvedere;

falsi matrimoni:
il permesso è subito revocato qualora sia accertato che al matrimonio non è seguita l’effettiva convivenza, salvo che dal matrimonio sia nata prole;

vu comprà:
gli extracomunitari che, pur avendo regolare permesso, vendono prodotti falsi o contraffatti verranno espulsi immediatamente;

sportivi:
sentito il “Coni”, il ministero dei beni culturali emana un decreto che determina il limite massimo annuale degli sportivi stranieri, che svolgono attività sportiva a titolo professionistico, da ripartire tra le federazioni sportive nazionali;

infermieri professionisti:
vista la grande carenza di questa figura professionale nel nostro Paese, entrano a far parte delle categorie speciali, sottratte alle norme sui flussi;

contributi previdenziali:
gli immigrati, per i quali sono stati versati anche meno di cinque anni di contributi, potranno riscattarli, ma solo quando avranno raggiunto i 65 anni.

uso delle navi militari:
potranno essere utilizzate per fermare, ispezionare ed eventualmente sequestrare, navi adibite o coinvolte nel trasporto di clandestini.
Le navi in servizio di polizia. potranno operare anche fuori dalle acque territoriali;

pene contro il traffico di clandestini:
reclusione fino a 3 anni per chi favorisce l’ingresso di clandestini e multa di 15.000 euro  per ogni clandestino introdotto in Italia.
Per i trafficanti la reclusione prevista è da 4 a 12 anni, con la multa di 15.000 euro per clandestino;

visto d’ingresso:
non potrà entrare in Italia chi rappresenti una minaccia per l’ordine pubblico, perché condannato per traffico di stupefacenti, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sfruttamento della prostituzione o dei minori;

sanatoria per le colf:
la legge stabilisce una colf per famiglia, ma non ci sono limiti per chi assiste malati, handicappati, anziani. Le famiglie interessate potranno fare domanda di regolarizzazione entro due mesi dall’entrata in vigore della legge;

sportello unico per l’immigrazione:
in ogni provincia è istituito,  presso la prefettura, uno sportello unico per l’immigrazione, che ha la responsabilità di tutti i procedimenti relativi all’assunzione di lavoratori subordinati stranieri a tempo determinato ed indeterminato ed ai ricongiungimenti familiari:

Nota
lo sportello unico per l’immigrazione è una delle maggiori novità dell’attuazione della legge “Bossi/Fini” ed è previsto dall’articolo 34, comma 1 della stessa legge. l’obiettivo è quello di consentire al datore di lavoro, all’immigrato e comunque ad ogni cittadino di avere un punto di riferimento univoco, tra gli uffici pubblici, per lo svolgimento di tutte le pratiche necessarie. L’ipotesi messa a punto prevede che gli sportelli unici siano attivati presso gli uffici territoriali del Governo-Prefetture. In questo modo vengono coordinate le pratiche che provengono dalle numerose amministrazioni, che hanno competenza sulle procedure in materia di immigrazione: dall’Inps al ministero del lavoro, dagli uffici del dicastero della salute a quelli della giustizia.

clandestini espulsi:
lo straniero senza permesso di soggiorno viene espulso per via amministrativa; se è privo di documenti viene portato in un centro di permanenza per 60 giorni, durante i quali si cerca di identificarlo.
Se non ci si riesce, al clandestino viene intimato di lasciare il territorio entro tre giorni. Se chi è espulso tenta di rientrare è punito da sei a dodici mesi ed è nuovamente espulso poi con accompagnamento alle frontiere. Se diventa recidivo, la pena sale da uno a quattro anni. Lo straniero condannato per un reato che preveda la reclusione fino a due anni, può chiedere di essere espulso anziché finire in carcere, sapendo di non rientrare per i successivi dieci anni.

Nota
Il provvedimento di espulsione di un cittadino straniero, emanato in qualsiasi Paese dell’Unione Europea, potrà essere eseguito anche dalla polizia italiana. Questa possibilità è contenuta nella direttiva 2001/40/Ce del Consiglio europeo, emanata il 28 maggio 2001 e recepita dalla Comunitaria 2003, in netto ritardo rispetto al termine indicato nel provvedimento europeo (gli Stati membri avrebbero dovuto conformare le proprie disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative entro il 2 dicembre 2002).

La norma comunitaria ha come obiettivo il riconoscimento e l’esecuzione di una decisione di allontanamento adottata dalle autorità amministrative di uno Stato membro nei confronti di un cittadino straniero presente nel territorio di un altro Stato membro della Comunità. Tre sono i punti importanti della direttiva:

  1. perfezionare la cooperazione tra Stati membri in materia di immigrazione clandestina e di soggiorno irregolare, come richiesto dall’articolo 63, punto 3, del trattato istitutivo della Comunità europea;
  2. istituire uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia, alla luce di quanto ribadito nel Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999;
  3. assicurare una maggiore efficacia nell’esecuzione delle decisioni di allontanamento (e cioè quelle decisioni con cui viene ordinato l’allontanamento, adottate dall’autorità amministrativa di uno Stato membro) attraverso il riconoscimento reciproco di tali misure.

Le modalità dell’allontanamento sono dettate dall’articolo 6 della direttiva:

  1. lo Stato membro autore informa rapidamente il Paese di esecuzione, nel quale si trovi il cittadino straniero che si vuole allontanare, della sussistenza della decisione esecutiva;
  2. il Paese autore fornisce ogni tipo di cooperazione e di informazione allo Stato di esecuzione;
  1.  
  2. lo Stato di esecuzione esamina la situazione della persona interessata, per assicurarsi che né gli strumenti internazionali pertinenti, né la normativa nazionale applicabile siano di ostacolo all’esecuzione della decisione di allontanamento;
  3. l’allontanamento è reso esecutivo dallo Stato membro di esecuzione, che ne dà pronta notizia al Paese autore;
  4. se la persona interessata possiede un titolo di soggiorno rilasciato dallo Stato membro di esecuzione oppure da un altro Paese dell’Unione, lo Stato di esecuzione consulta il Paese autore e lo Stato che ha rilasciato il titolo di soggiorno e, dietro autorizzazione delle autorità amministrative di quello Stato, provvede a ritirare il permesso di soggiorno. Lo straniero comunque può proporre ricorso contro la decisione di allontanamento, secondo la legislazione dello Stato membro di esecuzione.
  5. È stato infine deliberato che, qualora l’allontanamento non possa realizzarsi a spese del cittadino del Paese terzo interessato, la spesa venga ripartita tra gli Stati membri della comunità europea. 

 

Merita anche citare:

la sentenza del “Tar Abruzzo, sez. Pescara n. 1185/2001,

secondo la quale il permesso di soggiorno può essere revocato, in presenza di un matrimonio di comodo, che non dà sempre la cittadinanza. La donna extracomunitaria, infatti, secondo la citata sentenza, che sposa un cittadino italiano e si separa dopo pochi mesi, perde il diritto alla cittadinanza. E, quindi, allo scadere del permesso di soggiorno deve essere espulsa.
Secondo i giudici amministrativi: “il venir meno della effettiva convivenza matrimoniale, in un lasso di tempo brevissimo è una ragione valida e sufficiente per l’adozione dell’atto di revoca. In caso contrario, infatti, l’istituto matrimoniale verrebbe strumentalizzato per il raggiungimento di finalità diverse e/o ulteriori” 

 

Permessi ad extracomunitari
in altri Paesi dell’Unione Europea
(da uno studio dell’Isfol)

Austria
si prevede una quota nazionale complessiva per tutte le nazionalità, ma ogni ”Land”, però, può autorizzare quote addizionali per i lavoratori stagionali.

Belgio
il permesso di lavoro deve venire richiesto direttamente dal datore di lavoro interessato, prima che l’immigrato entri nel paese.
L’autorizzazione viene concessa se il mercato del lavoro realmente lo richiede ed a patto che il Belgio abbia siglato accordi bilaterali con i Paesi di provenienza.

Danimarca
i permessi di lavoro devono essere richiesti ed ottenuti prima di entrare nel paese. Il lavoratore extracomunitario, che ha già avuto un permesso di lavoro in un altro paese dell’unione europea, ha la possibilità di accedere al mercato.

Finlandia
la concessione del permesso, da chiedere prima di entrare nel paese, è vincolata alle esigenze del mercato. Viene privilegiata la forza lavoro qualificata.

Francia
l’accesso al mercato del lavoro è legato al visto, al contratto ed al permesso appunto di lavoro.

Germania
la possibilità di accedere al mercato è vincolata al permesso di residenza ed a quello di lavoro. Alcune eccezioni vengono concesse per i lavoratori altamente specializzati.

Grecia
il numero dei permessi di lavoro è deciso ogni anno ed il numero di lavoratori stranieri, nelle aziende con più di cinque addetti, non può superare il 10 % del totale dei lavoratori greci.

Irlanda
le autorizzazioni vengono concesse sulla base delle reali esigenze del mercato, dopo aver verificato l’indisponibilità dei lavoratori irlandesi.

Lussemburgo
i permessi devono essere richiesti dal datore di lavoro ed è previsto il pagamento di una garanzia bancaria.

Olanda
(Paesi Bassi)
la normativa prevede che vengano richiesti contemporaneamente i permessi di lavoro e di residenza.

Portogallo
il permesso di residenza consente l’accesso al mercato, senza una ulteriore specifica autorizzazione ed un regime speciale è previsto per gli stagionali.

Spagna
esiste un sistema di quote annuali ed i permessi di lavoro sono rilasciati solo nei settori, nei quali esiste una reale carenza di lavoratori.

Svezia
sono le differenti contee a decidere, congiuntamente alle autorità nazionali, l’emissione dei permessi di lavoro.

Inghilterra
(Regno Unito)
i permessi di impiego, della durata di 3 o 4 anni, sono richiesti dal datore di lavoro, prima dell’ingresso del lavoratore nel paese.

 

Paesi che riconoscono completamente o parzialmente
il diritto di voto amministrativo a cittadini di Paesi terzi

(Fonte: Osservatorio europeo sul razzismo e la xenofobia di Vienna)

Irlanda
primo Paese europeo a garantire, fin dal 1963, il diritto di voto agli immigrati regolari.

Svezia
dal 1975, dopo tre anni di permanenza continuata, gli stranieri possono votare per elezioni comunali, regionali e referendum.

Danimarca
dal 1981, gli immigrati hanno il diritto di voto a livello comunale e provinciale.

Olanda
riconosce dal 1985 il diritto di voto ai cittadini di Paesi terzi in posizione regolare.

Finlandia
gli immigrati legali possono votare nelle elezioni amministrative.

Norvegia
dal 1982 permette agli immigrati regolari di votare alle amministrative.

Gran Bretagna
il diritto di voto viene dato ai soli cittadini dei Paesi dell’Unione Europea o del Commonwealth.

Islanda
il diritto di voto viene riconosciuto ai soli cittadini dell’area scandinava.

 

Portogallo

possono votare solamente i peruviani, i brasiliani, gli argentini, gli uruguaiani, i norvegesi e gli israeliani.

 

Spagna

votano alle amministrative solo i cittadini immigrati regolari provenienti da alcuni Paesi ex colonie spagnole.

 

Svizzera

Il diritto di voto alle amministrative viene riconosciuto a tutti gli stranieri in tre Cantoni su ventisei.

Aspetti penali
alcune significative norme

articolo 235 codice penale
l'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato è ordinata dal giudice, quando lo straniero sia condannato alla reclusione per un tempo non inferiore a dieci anni;

articolo 312 del codice penale
lo straniero condannato ad una pena restrittiva della libertà personale per delitti contro la personalità dello Stato è espulso dallo Stato stesso;

articolo 3 del codice penale
la legge penale si applica a cittadini e stranieri che si trovano nello Stato;

la legge di pubblica sicurezza
obbliga, inoltre, chiunque a comunicare entro 24 ore, le generalità dello straniero, se gli si dà alloggio o lavoro e prevede l'espulsione automatica dallo Stato per chi è senza permesso di ingresso e soggiorno.

 

Dal quotidiano “Il Sole 24 Ore” del 24 febbraio 2001 n. 54

“immigrati, la via difficile della tolleranza” - l’Europa unita dall’inquietudine

E’ una questione europea, l’immigrazione, come chiarisce l’indagine svolta dalla “Fondazione Nord Est”, perché solleva sentimenti di timore e di inquietudine sempre più estesi e diffusi, nei paesi dell’unione, come nei paesi dell’Est che ambiscono ad entrarvi e perché si incrocia e contrasta con le incertezze della costruzione europea, dei suoi progetti di allargamento, con le debolezze degli stati nazionali che ne sono protagonisti.
Le paure sono la linea che attraversa e unisce tutti i paesi europei di fronte all’immigrazione. In generale, infatti, le paure crescono: ma tanto più dove l’anno scorso erano più ridotte. In Spagna ed in Gran Bretagna, in particolare. Mentre in Italia, dove erano già alte in precedenza, stazionano.

Così, se assistiamo ancora a diversi modelli di atteggiamento verso l’immigrazione e verso le politiche di cittadinanza, è altresì vero che si osserva una convergenza significativa. Non per l’azione comune dei governi o della commissione. Ma per il clima di inquietudine che suscita l’immigrazione, Un atteggiamento che, peraltro, caratterizza ancor più i paesi dell’Est.
E’ una paura diffusa, che assume diversi nomi e diversi significati. Perché non rispecchia solo i concreti problemi sollevati dal fenomeno, ma risponde e proietta le incertezze specifiche di ogni società.

L’occupazione in Gran Bretagna e in Germania. L’identità, ancora in Gran Bretagna. L’insicurezza personale in Francia. E soprattutto in Italia. Nei paesi dell’Est, invece, l’elevato livello di timore che si registra, rispecchia l’instabilità di paesi investiti da mutamenti tanto rapidi e profondi, senza disporre di basi istituzionali, economiche e sociali ancora solide.
Il problema è che l'immigrazione non investe solo i sentimenti sociali. Investe, invece, anche le istituzioni, la loro credibilità, la loro legittimità. La paura, infatti, cresce assieme alla sfiducia nello Stato e nella unione europea, in modo molto forte ed evidente. Ciò può significare, certo, che è alimentata dalle debolezze delle istituzioni, dalla loro declinante autorevolezza, dalla loro scarsa efficacia.
I cittadini, quindi, avrebbero paura sentendosi poco protetti. Ma, a sua volta, è la paura stessa che, sulla spinta di altri fattori (la crisi delle reti di solidarietà sociale e locale, la velocità del mutamento) concorre ad indebolire ulteriormente il consenso verso le istituzioni ed a fare apparire lo straniero come una minaccia.
Poi c’è l’allargamento dell’Europa.

Il progetto di estenderne i confini, il bacini demografico, la società e l’economia oltre gli attuali confini registra, infatti, ampie riserve, visto che la considera negativamente un cittadino della Unione Europea su tre.

Ma questo atteggiamento avverso cresce soprattutto e tanto più fra coloro che vedono nell’immigrazione una minaccia e un rischio, temendo forse un ulteriore aumento dei flussi da est, ma anche una ulteriore perdita di controllo sul loro spazio cognitivo e sul loro tradizionale mondo di riferimento.
Una incertezza che si riflette ad est, dove si teme l’incontro con i sistemi più forti e si paventa di esserne schiacciati.
Così l’immigrazione diventa uno snodo critico; per la legittimità degli stati e dei sistemi politici nazionali; per il rafforzamento, l’allargamento e, prima ancora, per la costruzione dell’Europa, sotto il profilo sociale ed istituzionale.

Il problema è che, nei sistemi politici nazionali, l’immigrazione è trattata come un tema di battaglia politica, sempre di più; un argomento che discrimina fra sinistra e destra.
Il tema agitato come bandiera dai soggetti politici neo nazionalisti e regionalisti. Una “voce” da utilizzare in campagna elettorale, per guadagnare voti. Mentre a livello europeo continuano a prevalere le logiche e gli interessi nazionali.
E se l’immigrazione costituisce un fenomeno, che si inserisce in un mercato del lavoro e in un sistema economico integrati, in un sistema di frontiere aperto, con comuni regole ai confini esterni, l’immigrazione continua ad essere trattato Paese per Paese, attraverso modelli di legislazione sulla cittadinanza, sull’accoglienza, sui flussi, diversi.

Per questo è una questione europea, perché ne mette alla prova i limiti e le debolezze; perché indica quale e quanta strada occorra ancora percorrere, per costruire un contesto istituzionale forte, autorevole e socialmente condiviso.

Nota
occorre tenere presente che anche la Comunità Europea, attraverso i suoi organismi, si è presa a cuore, e costantemente sta monitorando, tutta la problematica dell’immigrazione, attraverso l’emanazione di normative interne e raccomandazioni agli stati membri, per una politica comune sempre più organica e coordinata, per regolamentare e controllare il fenomeno di massa della migrazione costante di extracomunitari, lavoratori e non.

 

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GLI ANZIANI

 

E' un settore dell'assistenza sociale in rapida crescita. Gli interventi pubblici sono assistenziali e promozionali (ad esempio: assegni di cura per le famiglie che si prendono cura di anziani in difficoltà).

L'assistenza agli anziani viene gestita da queste tre strutture:

  1. ASL  per la salute,
  2. INPS  per la previdenza,
  3. IL COMUNE  per l'assistenza.

 

Per quanto riguarda il settore dell'assistenza, non strettamente di tipo sanitario, la tipologia di servizi è assai ampia e precisamente:

  1. agevolazioni nei trasporti pubblici,
  2. agevolazioni per spettacoli cinematografici e teatrali,
  3. mense comunali per chi è autosufficiente,
  4. università della terza età,
  5. centri sociali o di aggregazione,
  6. tele soccorso e tele assistenza

(questo servizio è diverso da quello fornito dal "118", in quanto tale numero è finalizzato all'attivazione di interventi esclusivamente medici, mentre il tele soccorso e la tele assistenza si pone soprattutto come supporto sociale e psicologico. Per la Provincia Autonoma di Bolzano, tutti i Comuni sono coperti dal tele soccorso, servizio attivato ne11990).

Le strutture organizzative per gli anziani sono le seguenti:

comunità alloggio
sono residenze destinate a persone autosufficienti, o che comunque non abbiano necessità di assistenza continua, in collegamento con i servizi sanitari;

casa albergo
trattasi di piccoli appartamenti in un complesso edilizio, con lavanderia comune, sala riunioni e servizi per il tempo libero;

casa di riposo
trattasi di struttura di tipo residenziale, ove agli ospiti viene assicurata una assistenza continua ed opportune prestazioni sanitarie;

lunga  degenza (o lungo)
sono strutture per persone non più auto sufficienti e che necessitano di cure continue (questi centri sono anche chiamati "residenza protetta per non autosufficienti" oppure anche "residenza sanitaria assistenziale – RSA”);

consultorio geriatrico
trattasi di centri di consulenza sui servizi (in particolare ospedalieri e sanitari), di educazione sanitaria e di stimoli all'inserimento sociale.

 
 
L’assistenza domiciliare:

(per anziani parzialmente non autosufficienti)

Assistenza integrata
i soggetti non in grado di camminare, di spostarsi e gli anziani bisognosi di cure vengono assistiti a casa da più specialisti (medico di famiglia, infermieri, eccetera). Come speciale tipo di assistenza viene offerta, a richiesta e secondo possibilità, la cosi detta "assistenza domiciliare integrata", denominata, in breve "ADI”. E' obiettivo dell'assistenza domiciliare integrata evitare, quanto più a lungo possibile, un ricovero in ospedale e garantire l'assistenza a domicilio, così che anche i malati gravi ed i terminali possano venire assistiti, se lo desiderano, nel loro ambiente di vita;

Assistenza programmata
Il servizio sanitario offre per le persone anziane e bisognose di assistenza la possibilità della cosi detta "assistenza domiciliare programmata", detta in breve "ADP". La domanda del medico di famiglia viene, su richiesta dell'assistito, autorizzata dalla competente azienda sanitaria.
Con ciò viene offerta a domicilio alle persone anziane una migliore assistenza medica individualmente definita.

Inoltre:
Il personale specializzato del "distretto sanitario" informa, consiglia e sostiene gli anziani e i soggetti bisognosi di aiuto per la fornitura di presìdi sanitari (per esempio: pannoloni, traverse, salva materasso, materiali di medicazione, strisce per il test della glicemia, sacca raccogli urina, calze elastiche, eccetera), di ausili tecnici per l'assistenza a domicilio (per esempio: letti ospedalieri, sedie a rotelle, sedie da toilette, materassi anti decubito) così come per gli integratori alimentari e nutrizione con sondino. I presìdi sanitari, gli aiuti tecnici per la cura a casa, occorrente per l'alimentazione integrata e con sondino, sono messi a disposizione agli assistiti, in base al loro particolare quadro clinico, gratuitamente dal servizio sanitario del posto, tanto dietro prescrizione del medico di famiglia, che dello specialista. Il servizio sanitario offre, a coloro che assistono a domicilio gli anziani e le persone bisognose di cure, in conformità con un certo quadro clinico, o con bisogni di cure di grado elevato, la possibilità di chiedere la concessione dell'assegno di assistenza a domicilio.

 

 

Dal quotidiano "Il Sole 24 Ore" del 27/11/2000 n. 321

banca e famiglia aiutano l’anziano

Grazie alla recente approvazione della legge quadro sull'assistenza, giunge al traguardo la riforma di un settore dotato di grandi potenzialità innovative, nel campo delle politiche sociali, in direzione della tutela delle forme di disagio più "moderne", fino ad ora sacrificate al predominio dei comparti "egemoni" e tradizionali della previdenza e della sanità.

Nel campo dell'assistenza, poi, si sono sviluppate per prime, e senza sollevare conflitti ideologici, esperienze di collaborazione tra pubblico e privato, che hanno consentito al settore di far fronte alle esigenze di protezione, avvalendosi più razionalmente delle magre risorse disponibili.
Il discorso non riguarda solo le “Onlus” ed il volontariato, ma può allargarsi ad altre iniziative. Nel mondo delle “fondazioni bancarie”, ad esempio, esiste un caso significativo ed esemplare.

Si tratta di un progetto per l'assistenza domiciliare agli anziani non auto sufficienti, promosso ed avviato dalla “Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna”, una istituzione collegata a “Rolo Banca 1473”;  il progetto è finanziato per due anni con un budget annuale di cinque miliardi.

A regime è previsto il coinvolgimento annuale di oltre 320 famiglie, con un impiego finale di 272 operatrici, che percepiscono una retribuzione media netta di euro 877,98 (ex lire 1.700.000 mensili).
Fino a oggi hanno preso parte all'iniziativa 108 famiglie (tra gli assistiti, due terzi sono donne), dal momento che vi sono dei ritardi dovuti soprattutto ai difficili rapporti con i sindacati ed alle lungaggini burocratiche con le strutture sanitarie pubbliche.

Il progetto è organizzato per avere oneri di esercizio non superiori al 5 %  (103.292 euro di costi iniziali più 51.646 euro annui per un biennio) ed opera attraverso convenzioni con soggetti pubblici (ASL, ospedali, comuni, quartieri) e privati (“caritas”, parrocchie, ecc.).
Il servizio può essere attivato in 48 ore, mentre quello fornito dai quartieri richiede mediamente sette settimane. Il progetto si rivolge alle famiglie e ne chiede l'attiva collaborazione, fornendo loro 11 "pacchetti" assistenziali, a seconda della gravità del caso, ma stimolandole a concorrere nella cura del congiunto come condizione per assicurare le prestazioni. Gli interventi (circa 6,30 ore al giorno e 138 al mese) vengono suddivisi tra assistenti e parenti, sia in termini di tempo e servizi, sia per quanto riguarda la ripartizione dei costi.

 

La carta dei diritti per gli anziani

E’ stata presentata nel novembre del 1995 sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e con il patrocinio degli organi istituzionali.
L’iniziativa fu proposta dall’Ente Italiano di Servizio Sociale (E.I.S.S.), con l’adesione di numerosi enti ed associazioni e si compone dei seguenti articoli:

  1. art. 1: diritto degli anziani di accedere alla “qualità totale” del vivere umano            in cui consiste la sostanza del bene comune,
  2. art. 2: diritto al mantenimento delle condizioni personali dell’anziano al più            alto grado possibile di auto sufficienza sul piano mentale, psichico e            fisico,
  3. art. 3: diritto alle cure preventive e riabilitative di ogni grado,
  4. art. 4: diritto ad ottenere gratuitamente le cure e gli strumenti necessari a           restare in comunicazione con l’ambiente sociale e ad evitare il degrado           fisico e psichico: protesi acustiche e dentarie, occhiali ed altri sussidi           atti a conservare la funzionalità ed il decoro della propria persona,
  5. art. 5: diritto a vivere in un ambiente familiare ed accogliente,
  6. art. 6: diritto ad essere accolti nei luoghi di ricovero alloggiativo od           ospedaliero da tutto il personale, compresi i quadri dirigenti, con           atteggiamenti cortesi, premurosi, umanamente rispettosi della dignità           della persona umana,
  7. art. 7: diritto degli anziani ad essere rispettati ovunque nella loro identità           personale e a non essere offesi nel loro senso di pudicizia,           salvaguardando la loro intimità personale,
  8. art. 8: diritto ad avere garantito un reddito che consenta non solo la mera           sopravvivenza, ma la prosecuzione di una vita sociale normale,           integrata nel proprio contesto ed in esso il diritto           all’autodeterminazione ed all’autopromozione,
  9. art. 9: diritto a che le potenzialità, le risorse e le esperienze personali degli          anziani vengano valorizzate ed impiegate a vantaggio del bene            comune,
  10. art.10: diritto a che lo Stato, con il generoso apporto del volontariato e la            paritaria collaborazione del settore “non profit”, predisponga nuovi            servizi informativi culturali e strutture atte a favorire l’apprendimento            di nuove acquisizioni mirate a mantenere gli anziani attivi e            protagonisti della loro vita, nonché partecipi dello sviluppo civile della            comunità.

 

Dopo la presentazione della “carta dei diritti degli anziani”, è sorto il comitato italiano per i diritti degli anziani (COM.I.D.A.N.) con l’intento di darne attuazione e vi hanno aderito oltre trenta organismi nazionali e locali.

 

Dal periodico mensile della FISAC “Informazioni” del marzo 2002
Italia: il Paese più vecchio
Un quarto della popolazione ha più di 60 anni. In aumento le vedove

Siamo il Paese più vecchio del mondo. Per la prima volta nella storia abbiamo superato persino il Giappone nella graduatoria planetaria della concentrazione di ultrasessantenni.
Per capire: in Italia nel 2001 era il 24,5 % della popolazione che aveva più di 60 anni, contro il 24,3 % del notoriamente longevo Giappone, unico Paese non europeo nella “top ten” dei Paesi più vecchi del mondo, dove la Germania segue al terzo posto (24%), prima di Grecia (23,9%), Belgio (22,3%), Spagna (22,1%), Portogallo (21,1%), Gran Bretagna (20,8%), Ucraina (20,7%) e Francia (20,5%). E questo contro un 16% degli Stati Uniti e un 10% della popolosissima Cina. All’ultimo posto la Nigeria, con appena un 3% di anziani.

Numeri che ci obbligano a ripensare l’organizzazione della società globale, visto che in tutto il mondo, ormai, il tasso di crescita della popolazione anziana ha superato, e di molto, quello della popolazione nel suo complesso.: viaggia ad un ritmo del 2% annuo ed arriverà a sfiorare il 3% nei prossimi 25 anni appena. E se oggi nel mondo si contano 629 milioni di persone con più di 60 anni, entro il 2050 questa cifra arriverà ad un record di 2 miliardi. Tradotto in termini relativi: gli anziani saranno il 21% della popolazione, contro il 10% attuale e l’8% di appena 50 anni fa.

Con questo ritmo, entri prossimi 50 anni ci sarà una rivoluzione: per la prima volta nella storia dell’umanità il numero degli ultrasessantenni supererà quello dei bambini, la fascia di età tra 0 e 14 anni, per intenderci.
E questo comporterà il crollo, inevitabile, di quello che i demografi chiamano la percentuale potenziale di sostegno, ovvero il rapporto tra il numero di persone in età attiva e quello delle persone in età pensionabile.
Adesso nel mondo ci sono nove persone che lavorano per sostenere un pensionato, Erano dodici 50 anni fa. Ma entro il 2050 (calcola l’ONU) non ne rimarranno che quattro a lavorare per mantenere un pensionato.

Che l’Italia sia un Paese con uno dei tassi di natalità più bassi del mondo è un record già tristemente noto.
E’ l’impennata di crescita della nostra popolazione anziana, che arriva inattesa a farci fare i conti con i nostri nonni, ma anche con i nostri bisnonni.
Perché poco importa che le previsioni per il 2025 ci riporteranno a occupare il secondo posto della graduatoria mondiale degli ultrasessantenni, visto che il Giappone tornerà al primo con una percentuale del 35,1%, seguito dall’Italia con il 34%.

Nel frattempo l’Italia deve fare i suoi conti relativi con gli anziani, che continueranno ad aumentare a ritmi vertiginosi.
Se, infatti, oggi le persone che hanno più di 80 anni rappresentano il 14,1% della popolazione, nel 2025 questa percentuale diventerà più che doppia (8,3%) e svetterà al 14,3% nel 2050.
Vediamola così: entro la metà del secolo, in Italia avrà più di 80 anni una persona ogni sei sette.

E’ davvero notevole la sproporzione sessuale delle persone anziane. Nel mondo, per 100 donne sopra i 60 anni ci sono 81 uomini.
Ma se andiamo a vedere i dati delle persone sopra gli 80 anni, la proporzione crolla, letteralmente: soltanto 53 uomini ogni 100 donne….sono tantissime le vedove anziane nel mondo, quasi il doppio degli uomini, in numeri assoluti.
E’ di 26 anni oggi l’età media della popolazione mondiale. Con gli estremi: lo Yemen con 15 anni di età media ed il Giappone 41 anni.

Ma da qui al 2050 aumenterà di 10 anni tondi tondi, arrivando, perciò a 36 anni, E a quel punto, si prevede, diventerà la Nigeria il Paese più giovane con un’età media di 20 anni, mentre la Spagna guiderà la classifica con una media storica di 55 anni. Il mondo, del resto, ha assistito ad una crescita impressionante della longevità. Negli ultimi 50 anni, infatti, l’aspettativa di vita è aumentata di circa 20 anni: 46 anni nel 1950, 66 oggi. Ed è un’aspettativa che varia tra uomini e donne e nelle regioni del pianeta.

Fra i sessantenni, gli uomini possono aspettarsi di vivere altri 17 anni e le donne altri 20. Nel Terzo Mondo, sopra i 60 anni un uomo può sperare di vivere altri 15 anni e una donna 16. Nei Paesi sviluppati, l’aspettativa di vita è di 18 anni per gli uomini e di 23 per le donne.       

 

LA TUTELA DELLA SALUTE

 
Articolo 32 della Costituzione
"la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.
La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana".
Con tale articolo, la costituzione esprime la direttiva fondamentale, cui essa si inspira in questa materia, ovvero afferma l’assolutezza del diritto alla salute e pone due regole fondamentali:

  1. la tutela del diritto di libertà,
  2. la difesa della dignità umana.

 

Affermando che è compito della Repubblica tutelare la salute come diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività, l'articolo 32 presenta la natura di norma programmatica, che indica un criterio guida per l'ordinamento. La salute ha quindi rilevanza individuale e costituzionale.

Il secondo comma dell'articolo 32 pone, invece, due limiti all'attività sanitaria dello Stato:

  1. solo la legge può obbligare l'individuo ad un determinato trattamento sanitario (T.S.O.), ma sempre con assoluto rispetto della persona umana,
  2. qualsiasi legge che violasse il rispetto della persona umana sarebbe automaticamente incostituzionale.

 
In particolare sono ammessi trattamenti sanitari obbligatori o addirittura coattivi (cioè imposti con la forza) se sono necessari per la tutela della salute collettiva e della incolumità delle altre persone. Non è consentito imporre un trattamento sanitario per tutelare la sola salute individuale del soggetto, senza alcun vantaggio per l'interesse collettivo. L'articolo si riferisce ad ogni intervento diagnostico o terapeutico, di prevenzione o cura: vanno, quindi, comprese tanto le prescrizioni di vaccinazioni obbligatorie per prevenire malattie infettive e diffusive, quanto i provvedimenti di cura e di isolamento nei confronti di soggetti affetti da malattie contagiose.

 

Articolo 38 della Costituzione

"I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortuni, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato".

Quindi l'articolo 38 assume a proprio fondamento il diritto dei lavoratori ad assicurarsi contro i rischi ai quali va soggetta la loro capacità lavorativa.
In questo modo la Costituzione non si limita a tutelare la salute in se, ma anche la "non salute". Ciò costituisce una indubbia conquista democratica, se si pensa che un tempo l'aspirazione dello Stato ad avere una popolazione sana e numerosa era così fortemente radicata, da portare alla considerazione che l'individuo malato o comunque inabile al lavoro fosse un pericolo per la società e per la produttività nazionale.

Altre leggi importanti che si occupano della salute sono

 

- legge 833/1978 che riforma la sanità, istituendo il cosi detto “S.S.N.” (servizio   sanitario nazionale),

 

- legge 300/1970 detta anche: "Statuto dei lavoratori",

 

- legge 349/1986 istitutiva del ministero dell'ambiente, che introduce, fra l’altro,     il criterio del danno ambientale,

 

- legge 421/1992 (modificata dai decreti legislativi 502/1992 e 517/1993), che    riordina la disciplina sanitaria,

 

- legge 273/1995 che crea la cosi detta "carta dei servizi sanitari". Trattasi in    sostanza di uno strumento che sancisce il “patto” tra le aziende sanitarie ed i    cittadini utenti dei suoi servizi ed ha lo scopo di garantire la realizzazione di    un sistema di tutela delle esigenze del cittadino fruitore dei servizi, rendendo    gli impegni che la azienda assume espliciti e la loro realizzazione trasparente    e verificabile.

 

La carta dei servizi sanitari

(citata)

  1. enuncia i principi fondamentali, che orientano i servizi e la loro erogazione (uguaglianza, libertà di scelta, partecipazione, continuità, appropriatezza, efficienza, efficacia, dignità e responsabilità),
  2. descrive i servizi offerti e le relative modalità di accesso,
  3. elenca gli standard per la verifica da parte del cittadino dei livelli qualitativi delle prestazioni, dei processi organizzativi, del rapporto con l’utente, con i suoi familiari ed altre persone per lui significative, con i gruppi di volontariato e con le altre forme di rappresentanza dei cittadini, dei membri della comunità,
  4. descrive gli obiettivi che la azienda sanitaria si prefigge di conseguire per il miglioramento della qualità offerta ai cittadini,
  5. indica le modalità per le procedure di osservazione, opposizione e reclamo.

 

In sostanza quindi:

diritto al tempo
ogni cittadino ha diritto a vedere rispettato il suo tempo al pari di quello degli operatori sanitari,

diritto all’informazione
ogni cittadino ha diritto di accedere a tutte le informazioni, documenti ed atti che lo riguardano,
diritto alla qualità
ogni cittadino ha diritto di trovare nei servizi sanitari operatori e strutture orientati verso un unico obiettivo: farlo guarire e migliorare comunque il suo stato di salute,

diritto alla decisione
ogni cittadino può, sulla base delle informazioni in suo possesso e di colloqui con i medici curanti, a decidere liberamente in merito alla propria salute,

diritto alla riparazione dei torti
ogni cittadino ha diritto, di fronte ad una violazione subita, alla riparazione del torto ricevuto in tempi brevi ed in misura congrua,

diritto alla riservatezza ed alla privacy
ogni cittadino ha diritto al rispetto della propria dignità, riservatezza e pudore personale.
In conformità alla legge 675/96 ha inoltre diritto alla segretezza dei dati relativi alla propria salute e ad ogni altra circostanza che lo riguardi.

 

Diritti del malato
meritano, infine, di essere ricordate le seguenti normative

la raccomandazione
dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa
ai governi degli stati membri, adottata a Strasburgo il 29 gennaio 1976, sui diritti dei malati e dei morenti (formazione del personale medico, diritto dei malati all'informazione sulla malattia e sul trattamento previsto, massima assistenza ai malati terminali, istituzione di commissioni d'inchiesta per lagnanze contro il personale sanitario),

la carta dell'anziano
formata dal Consiglio dell'Unione Europea e dei ministri degli affari sociali, riuniti il 6/12/1993, in occasione della chiusura dell'anno europea degli anziani e della solidarietà fra le generazioni (anche gli anziani ai quali sia     precluso il diritto alla pensione devono essere assistiti ed aiutati),

i diritti del subnormale
stabiliti dall’ONU in data 20/12/1971,

la carta dei diritti del fanciullo al gioco
pubblicata nel 1976 dal comitato italiano per il gioco infantile (tutti gli     istituti di cura e di rieducazione devono disporre di appositi ambienti, spazi attrezzati ed idonei, dove i bambini possano godere di ogni assistenza).

LA TUTELA DELL' AMBIENTE

 
I fenomeni che oggi creano maggiore preoccupazione in tema di danni ambientali, sia per il loro effetto sulla salute dell'uomo, sia per le devastazioni ecologiche che comportano, sono:

l’inquinamento delle acque dei fiumi e dei mari
rischia da sei mesi a tre anni di reclusione chi inquina i fiumi, i laghi o le acque pubbliche in genere.
E’ questa infatti la sanzione penale prevista per il reato di danneggiamento aggravato previsto dall’art. 635 comma 2 del codice penale;

l’effetto serra
incremento della temperatura del pianeta, per l'aumento della concentrazione di anidride carbonica nell'aria;

il buco nell'ozono
assottigliamento dello strato di ozono che circonda l'atmosfera terrestre, causata da sostanze chimiche immesse nell'aria e che favorisce una pericolosa penetrazione di raggi ultravioletti, responsabili  di molti tumori della pelle;

le piogge acide
che sono reazioni chimiche favorite dagli scarichi dei motori, degli impianti di riscaldamento e delle industrie;

l'inquinamento elettromagnetico
che provoca danni alla salute umana e che è causato dai radar, dagli impianti radio televisivi, da elettrodotti, da antenne per reti di telefoni cellulari, forni a microonde, eccetera;

il rischio nucleare
rappresentato dalle centrali, che, in caso di mal funzionamento od incidenti, potrebbero liberare sostanze radioattive pericolose, in grado di causare mutazioni genetiche, leucemie e tumori.

l’inquinamento atmosferico ed acustico
provocato da immissioni di gas e sostanze nocive nell’aria e da rumori fastidiosi e molesti, oltre il limite della ragionevole tollerabilità.

Nota
Sono state ben 5.422 le discariche abusive censite dal Corpo Forestale dello Stato nel 2000. E di queste, sono 1.342 quelle che sono risultate utilizzate nel 2001, mentre tra le altre ne sono state bonificate  solo 2.493. Ultimo elemento: il 10 % delle discariche abusive individuate sono localizzate in aree protette. I dati sono stati diffusi nel 2001 a Roma da Giuseppe Di Croce, allora Direttore del Corpo Forestale, in occasione del seminario sui “sistemi di rilevazione e di controllo” promosso dalla commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle eco mafie. Il funzionario ha indicato inoltre come, in poco meno di seicentomila controlli effettuati nel 2000 nel settore ambientale /aree protette, (discariche e rifiuti, incendi, inquinamenti, tutela del territorio, della fauna e della flora, del patrimonio storico artistico e della salute), con quasi 240 mila persone monitorate, sono stati accertati 40.134 illeciti amministrativi.

 

Tutela legislativa dell'ambiente, in Italia
tra gli interventi legislativi più significativi possiamo citare:

Legge Merli  (del 1976)
che si propone la tutela delle acque di superficie contro i fenomeni di inquinamento ed ha predisposto delle tabelle in cui sono previsti limiti di concentrazione delle sostanze inquinanti nelle acque. Se tali limiti vengono superati, può scattare la denuncia e, di conseguenza, l'applicazione di sanzioni.

Legge Galasso  (del 1985)
che ha ampliato l'elenco dei luoghi dove è vietato edificare, per il rispetto dell'ambiente naturale e del patrimonio storico ed artistico. In base ad essa non si può ora costruire sui terreni forestali o boschivi, nelle zone costiere fino ad una certa distanza dalla battigia (che è la parte della spiaggia ove si infrangono le onde), in montagna oltre i 1200 metri di altitudine per gli Appennini ed oltre i 1600 metri per le Alpi.

Ministero dell'Ambiente  (fondato nel 1986)
l'articolo 18 della legge, che ha creato questo ministero, introduce il concetto di danno ambientale e stabilisce che: "qualunque fatto doloso o colposo...che comprometta l’ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto od in parte, obbliga l'autore del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato".

Referendum popolare de1 1987
che ha cambiato l'orientamento politico in materia nucleare, favorendo l'impiego di altre forme di energia e, da quell’epoca, non risulta che siano state costruite nuove centrali nucleari.

Legge sui rifiuti  (del 1997)
che si propone di limitare l'effetto inquinante dei rifiuti urbani e di reprimere il traffico ed il trattamento illecito: chi smaltisce rifiuti senza autorizzazione, o anche semplicemente li abbandona, viene punito con sanzioni pecuniarie e, nei casi più gravi, detentive.

E’ da ricordare il divieto assoluto per le imprese di immettere rifiuti nelle reti fognarie; in caso di violazioni, rischiano sanzioni amministrative pecuniarie da euro 103,29 ad euro 619,75, come previsto dal decreto Ronchi sui rifiuti numero 22 del 1997.
La legislazione italiana relativa all'ambiente è oggetto di numerose critiche, perché ritenuta inadeguata a favorire il cosi detto "sviluppo sostenibile".
Per "sviluppo sostenibile" si intende l'armonia tra lo sviluppo economico (con conseguente tutela del benessere) e la conservazione dell'ambiente naturale.

 

I rifiuti sanitari

Decreto del ministero dell’ambiente, di concerto con la sanità, del 26/6/2000 n. 219, in attuazione all’articolo 45 della riforma Ronchi sui rifiuti (decreto legislativo n. 22/97.
Sono sottoposti alla nuova disciplina tutti i tipi di rifiuti derivanti dall’attività delle strutture sanitarie, nonché i rifiuti che derivano da attività cimiteriali. In via generale, ai rifiuti sanitari si applica la disciplina del decreto Ronchi.
Sono previste in certi casi regole particolari e più restrittive, a causa della maggiore pericolosità di tali rifiuti per l’ambiente e la salute umana.

Ecco i punti più interessanti del regolamento:

recupero di materia
il provvedimento punta al recupero di contenitori in vetro, carta, cartone, plastica e metallo, rifiuti di giardinaggio, rifiuti derivanti dalla   preparazione dei pasti, liquidi di fissaggio radiologico, oli minerali, vegetali e   grassi, batterie e pile, toner, mercurio, pellicole e lastre fotografiche;

rifiuti pericolosi a rischio infettivo
devono essere sterilizzati in impianti autorizzati. Se si tratta di impianti all’interno della struttura sanitaria, sono sottoposti alla responsabilità del direttore o del responsabile sanitario e del gestore dell’impianto stesso.
Sono soggetti a controlli periodici. Il deposito temporaneo, raccolta e trasporto dei rifiuti a rischio infettivo sono ammessi, purché i rifiuti siano contenuti in un imballaggio a perdere, con una particolare dicitura. Infine, possono essere smaltiti tramite termo distruzione. Regole meno restrittive sono previste per i rifiuti sterilizzati.

Articolo 53 bis del decreto legislativo 22/1997
vengono punite le attività organizzate per il traffico illecito dei rifiuti. Rischia da uno a sei anni di reclusione:
chiunque, per conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e con allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti
e la pena è aumentata /reclusione da tre ad otto anni) se si tratta di rifiuti ad alta radioattività.
Alla condanna seguono l’interdizione dai pubblici uffici (art. 28 codice penale), l’interdizione da una professione o da un’arte (art. 30), l’interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (art. 32 bis) e l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32 ter).

Elettrosmog
si definitivo della Camera dei Deputati alla normativa quadro sulle esposizioni ai campi elettromagnetici e quindi approvata la legge sull’elettrosmog. Siamo nel febbraio del 2001. Chi supera i limiti previsti rischia di pagare dai due ai seicento milioni di lire come sanzione. E’ prevista l’istituzione di un catasto nazionale delle sorgenti fisse e mobili dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici e delle zone territoriali interessate.
I tralicci selvaggi dovranno essere messi a norma entro dieci anni e le antenne televisive ed i ripetitori telefonici entro due anni. Il risanamento sarà a carico dei titolari degli impianti.
Lo Stato provvederà a definire i tracciati degli elettrodotti con tensione superiore a 150 kv. I fabbricanti di apparecchiature e dispositivi di uso domestico, individuale e lavorativo, dovranno inserire apposite indicazioni con etichette o schede informative.

 
 
L’organizzazione delle Nazioni Unite
(ONU) - e l’ambiente

nel 1983
fu creato all'interno dell'ONU la "commissione mondiale per l'ambiente e lo sviluppo", che produsse un rapporto sul concetto di "sviluppo sostenibile", cioè di uno sviluppo umano e tecnologico adeguato alla conservazione dell'ecosistema;

nel 1994
si è tenuta al Cairo una conferenza mondiale sulla popolazione e sull'ambiente, da cui è emersa l'esistenza di un rapporto molto stretto tra la crescita troppo rapida della popolazione e gli squilibri ambientali, anche per il fatto che l'incremento demografico aumenta gli inquinamenti e riduce gli spazi a disposizione.

 

L'Unione Europea e l'ambiente

nel 1985
è stata emanata una direttiva comunitaria sull'impatto ambientale. Essa stabilisce che tutti i progetti, che possono avere ripercussioni sull'ambiente, devono prima essere sottoposti ad una valutazione relativa ai loro effetti sulla natura; inoltre ha introdotto il principio che "chi inquina, paga";
nel 1987
è entrato in vigore "l’atto unico europeo", con il quale si è stabilito l'impegno comunitario a migliorare la qualità dell'ambiente, a proteggere la salute umana ed a favorire una sana utilizzazione delle risorse naturali, utilizzando la prevenzione;

nel 1991
una direttiva ha imposto agli stati membri della comunità di attuare tutti i possibili interventi per ridurre i rifiuti, utilizzando ove possibile il riciclaggio e la tecnologia, con smaltimento mirato al minor danno per la salute umana. A tal fine, ogni impresa, che si occupa del trattamento dei rifiuti, deve possedere un permesso rilasciato da un'apposita autorità e deve essere sottoposta a frequenti controlli. La tutela dell'ambiente fa parte integrante delle altre politiche comunitarie, nel senso che, per intraprendere qualsiasi iniziativa, si devono prima prendere in considerazione le finalità proprie della politica ambientale;

nel 2000
viene istituito l’elenco unico dei rifiuti con la decisione 2000/532/Ce. Con la decisione 2001/118/Ce sono poi state apportate ulteriori aggiustamenti. Nel 2002 sono previste ulteriori modifiche. Le nuove modifiche all’elenco unico sono basate sul diritto degli stati membri di partecipare all’aggiornamento della catalogazione europea dei rifiuti pericolosi.

il 6 novembre 2001
viene firmata dall’Italia la convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dell’ecosistema. Sarà reato inquinare l’acqua, l’aria ed il territorio. Quindi non si dovranno emettere o introdurre sostanze o radiazioni nell’atmosfera, acqua o suolo, che rischiano di causare o determinare la morte oppure lesioni gravi agli esseri umani, animali, all’ambiente o a monumenti protetti. In causa anche l’eliminazione, il trattamento o lo stoccaggio di rifiuti pericolosi o scorie nucleari, che possono causare morte o gravi danni a persone o all’ambiente e saranno puniti anche gli atti commessi per negligenza.

Il coinvolgimento delle imprese e l’eco auditing
la politica comunitaria a tutela dell’ambiente prevede anche interventi volti a stimolare una maggiore coscienza ecologica da parte delle imprese. In questo senso va inquadrato il regolamento 1836/93, che precede il così detto “eco auditing” (o auditing ambientale), con il quale le imprese si impegnano ad effettuare una periodica valutazione del livello di compatibilità tra attività produttive e tutela dell’ambiente.
L’eco auditing è un processo che va effettuato all’interno dell’azienda, con l’ausilio del personale dipendente ovvero di esperti provenienti dall’esterno. Questo gruppo di lavoro è tenuto a svolgere verifiche e relazionare per iscritto i risultati ottenuti.
Successivamente, il management aziendale prende visione della relazione e, prima che il documento venga reso noto al pubblico, vi aggiunge (per iscritto) il tipo di attività produttiva che in quell’azienda è svolta, i problemi ambientali più significativi, una serie di notizie sull’emissione di sostanze inquinanti, il consumo di energia e di acqua, la produzione di scorie e rifiuti; infine viene presentata la politica ambientale perseguita dall’azienda con la descrizione dei principi e delle misure adottate.

Nota
In questa fase è previsto l’intervento di un certificatore esterno, che si accerti della veridicità del contenuto della documentazione, recandosi sul posto di lavoro ed interrogando addirittura il personale.
Questo certificatore, oltre ad avere un riconoscimento ufficiale da parte dell’amministrazione statale del Paese di appartenenza, potrà lavorare in qualsiasi Stato membro della Comunità. 

 

Dal quotidiano “Il Sole 24 Ore” del 20/3/2001 n. 78
I rifiuti cambiano classificazione, per una riforma targata Ue

E’ in arrivo il nuovo catalogo europeo dei rifiuti (Cer), che sancisce la distinzione dei rifiuti in base alla loro pericolosità.
Con la decisione 2001/118 del 16 gennaio (pubblicata sulla “gazzetta ufficiale delle comunità europee” Guce L47 del 16 febbraio 2001), infatti, è stato completato il nuovo catalogo, che dal 1° gennaio 2002 sostituirà definitivamente gli elenchi attuali (decisioni 94/3 e 94/904, rispettivamente per i rifiuti non pericolosi e pericolosi).
Questi elenchi, peraltro, sono stati introdotti in Italia dagli allegati A e D al decreto legislativo 22/1997 (Ronchi), che però non contiene nessun riferimento a un adeguamento automatico e per modificarli (e adottare quindi il nuovo Cer) sarà necessaria una vera e propria legge.

La “Guce” del 16 febbraio 2001, inoltre, non pubblica solo il nuovo Cer, ma anche la sua integrazione (decisione 2001/119) del 22 gennaio 2001, con l’indicazione dei veicoli fuori uso, considerati rifiuti pericolosi, nel caso in cui non siano del tutto privati delle componenti pericolose.
Con la decisione pubblicata nella “gazzetta ufficiale delle comunità europee”, si modifica la precedente decisione 2000/532/Ce, che era assolutamente provvisoria, in ragione della incompletezza della disamina delle numerose notifiche (circa 680) presentate dai vari stati membri sui rifiuti pericolosi (si veda “il Sole 24 Ore” del 17 ottobre 2000).

Ora arrivano le così dette “voci specchio” (per esempio, fanghi da trattamento in loco degli effluenti contenenti sostanze pericolose) che riguardano quei rifiuti pericolosi, diventati tali solo se le sostanze contenute raggiungono concentrazioni limite predeterminate. Per il momento, si tratta solo delle caratteristiche di pericolo e delle concentrazioni indicate all’articolo 2 della decisione, che sul punto si differenzia dalla precedente, poiché le singole sostanze non devono essere “una o più” ma solamente “una”.
La nuova decisione, al pari di quella provvisoria (2000/532), si pone come elenco unificato dei rifiuti pericolosi e “non”, tanto che nel suo allegato quelli pericolosi sono indicati adesso con un asterisco. Inoltre, mantiene alcuni elementi fondamentali per la corretta lettura della disciplina comunitaria (e nazionale) sui rifiuti e precisamente ribadisce che l’inclusione di un materiale nell’elenco non significa che esso sia sempre rifiuto (dipende dal “disfarsi”). Soprattutto si chiarisce che la disciplina quadro (“Ronchi” in Italia) sui rifiuti, non si applica ai rifiuti contemplati da altre normative e viene fornito il criterio di lettura dell’elenco. Il principio di redazione, comunque, non cambia, fissando in venti le categorie di attività che generano rifiuti, individuati da un codice numerico progressivo a sei campi numerici. Di questi, i primi due sono riferiti alla categoria generale di attività, mentre il terzo e quarto al singolo processo produttivo, che genera rifiuti. Infine, il quinto e sesto campo d’attività identificano il singolo rifiuto prodotto.

 

Dal codice penale

articolo 427
danneggiamento seguito da inondazione, frana o valanga:
chiunque rompe, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili chiuse, sbarramenti, argini, dighe o altre opere, destinate alla difesa contro acque, valanghe o frane, ovvero alla raccolta o alla condotta delle acque, al solo scopo di danneggiamento, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una inondazione o di una frana, ovvero della caduta di una valanga, con la reclusione da 1 a 5 anni. Se il disastro si verifica, la pena è della reclusione da 3 a 10 anni.

articolo 439
avvelenamento di acque o di sostanze alimentari:
chiunque avvelena acque o sostanze destinate alla alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per il consumo, è punito con la reclusione non inferiore a 15 anni. Se dal fatto deriva la morte di alcuno si applica l’ergastolo….

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IL SETTORE  “NON PROFIT”
(chiamato anche del “terzo settore”)

Sono:
- le cooperative sociali,
- le organizzazioni di volontariato,
- le associazioni sportive dilettanti,
- le organizzazioni di utilità sociale non lucrative (dette “ONLUS”),
- le “pro loco” dei paesi.
Esiste un modo scientifico e riconosciuto a livello internazionale, per classificare il “non profit” (espressione che significa “assenza di lucro”, che non deve quindi esistere come primo ed esclusivo fine). Per essere riconosciuto come organismo “non profit”, un ente deve avere le seguenti cinque caratteristiche:

  1. l’ente deve avere un atto costitutivo ed uno statuto (ricordiamoci che l’atto costitutivo è l’atto di fondazione, mentre lo statuto è il regolamento interno),
  2. deve trattarsi di un ente privato,
  3. l’ente non può distribuire profitti ai soci (e, nel caso ne avesse, li deve reinvestire nelle sue attività),
  4. deve essere autonomo (per meglio fare gli interessi della collettività),
  5. deve servirsi dell’opera di volontari.

 

Nota
Gli enti “non profit” di tipo associativo, esercenti in via esclusiva o prevalente l’attività commerciale, acquistano lo status di imprenditori commerciali e quindi, in caso di insolvenza, possono essere assoggettati a fallimento.
Questo principio è stato affermato dalla corte di cassazione nella sentenza numero 8374 del 20/6/2000. In sostanza, perché si possa applicare lo statuto dell’imprenditore e la disciplina del fallimento ad un’associazione, occorre che l’esercizio dell’impresa rappresenti la sua attività prevalente od esclusiva, ancorché tesa a realizzare le finalità istituzionali. Tale orientamento si riflette anche sulla responsabilità dei dirigenti o di coloro che hanno la rappresentanza dell’associazione. Infatti, l’articolo 147 della legge fallimentare estende il fallimento dell’impresa collettiva anche ai soci illimitatamente responsabili.

 

Disciplina fiscale
dal primo gennaio 1998 è entrata in vigore la nuova disciplina fiscale per gli enti non commerciali e le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, prevista nel decreto legislativo del 4/12/1997 n. 460. La legge rappresenta una piccola rivoluzione per il mondo del “non profit”.
Prima non esistevano, ad esempio,  incentivi particolari per chi faceva una donazione ad un ente di beneficenza e non erano previsti sconti di rilievo sulle tariffe telefoniche, postali e sull’IVA. Anche se tale provvedimento non rappresenta la soluzione a tutti i problemi, è stato comunque accolto con favore dagli organismi di questo tipo, per gli sconti fiscali, che vanno dall'esenzione sostanziale delle imposte sui redditi, alle agevolazioni sull’IVA.
In pratica, quindi, con tale legge sono stati introdotti sconti fiscali a queste categorie “non profit”:

- gli enti non commerciali,
- le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS).
La legge si compone di 30 articoli, suddivisi in due sezioni:

  1. la prima sezione (articoli da 1 a 9) introduce modifiche alla normativa tributaria degli enti non commerciali (imposte sul reddito ed imposte sul valore aggiunto).
  2. la seconda sezione (articoli da 10 a 29) introduce le disposizioni riguardanti le organizzazioni non lucrative di utilità sociali (ONLUS).

 

A favore di tale organismo, il legislatore ha previsto agevolazioni ai fini delle imposte dirette ed indirette, ma nello stesso tempo ha imposto vincoli e precisi obblighi contabili dell’organizzazione.
L’articolo 10 della citata legge stabilisce i presupposti per ottenere la qualifica di ONLUS, che sono i seguenti:

 

a) presupposti soggettivi:
    dice testualmente l’articolo 10 della citata legge: “…sono organizzazioni non     lucrative di utilità sociale (ONLUS) le associazioni, i comitati, le fondazioni,     le società cooperative e gli altri enti di carattere privato, con o senza     personalità giuridica, i cui statuti o atti costitutivi, redatti nella forma dell’atto     pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata, prevedono     espressamente lo svolgimento di attività in uno o più dei seguenti settori:

  1. assistenza sociale e socio sanitaria
  2. assistenza sanitaria
  3. beneficenza
  4. istruzione e formazione
  5. sport dilettantistico
  6. tutela, promozione e valorizzazione delle cose d’interesse artistico e storico e  tutela e valorizzazione della natura e dell’ambiente
  7. promozione della cultura e dell’arte
  8. tutela dei diritti civili
  9. ricerca scientifica di particolare interesse sociale
  10. l’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale

 

b) presupposti oggettivi:
    nell’atto costitutivo (che è una specie di atto di nascita dell’ente) e nello     statuto (che è il regolamento dell’ente) deve essere scritto:

  1. che l’ente deve svolgere solo attività di solidarietà sociale e nient’altro. E si intendono svolti i fini di solidarietà sociale, quando questi sono diretti a portare benefici alle persone svantaggiate (per condizioni fisiche, psichiche, economiche, familiari). Questi fini di solidarietà sociale possono essere svolti nei settori dell’assistenza sanitaria, dell’istruzione, della formazione, dello sport dilettantistico, della cultura,  dell’arte, ecc;
  2. il divieto di distribuire utili, di qualsiasi tipo, durante l’esistenza e l’operatività dell’organizzazione (salvo, ovviamente, che la stessa legge preveda il contrario in certi casi). Tali utili, quando esistono, devono essere usati per le attività dell’ente;
  3. l’obbligo, in caso di scioglimento, di dare l’intero patrimonio ad altre organizzazioni di utilità sociale (che non siano lucrative) o a fini che siano, comunque, di pubblica utilità;
  4. l’obbligo assoluto di redigere (cioè scrivere) il bilancio, alla fine di ogni anno (si dice anche: alla fine di ogni esercizio).

 

Ed ancora
l’articolo 8 della legge citata afferma che “sono in ogni caso considerate Onlus, nel rispetto della loro struttura e della loro finalità, gli organismi di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991 n. 266, iscritti nei registri istituiti dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano….”.Ribadisce, poi, la legge in esame, all’articolo 10, che “non si considerano in ogni caso Onlus gli enti pubblici, le società commerciali diverse da quelle cooperative,…..i partiti ed i movimenti politici, le organizzazioni sindacali, le associazioni di datori di lavoro e le associazioni di categoria”.

Ricordiamo, infine, che il successivo articolo 11 prevede la istituzione, presso il ministero delle finanze, dell’anagrafe unica delle Onlus. Sono 221.412 le organizzazioni di volontariato e “non profit” del nostro paese; occupano 630.000 persone regolarmente retribuite ed hanno un giro di affari di circa 140.000 miliardi annui. E’ quanto si legge nel “rapporto CENSIS 2001”, nel quale si precisa anche che la metà di tali organizzazioni ha sede nelle regioni settentrionali ed i due terzi di queste svolgono la loro attività prevalente nel campo culturale, dello sport e ricreativo, e che la Lombardia è la regione con il maggior numero di associazioni, sia in assoluto rispetto alle altre regioni (31.120 associazioni), sia in rapporto alla popolazione (14,4 ogni diecimila abitanti. Secondo il “Censis”, queste organizzazioni hanno avuto un grande sviluppo negli ultimi anni e addirittura oltre la metà delle 220.000 associazioni è nato solo nel corso dell’ultimo decennio.

Il mondo del “non profit” è tuttavia molto variegato e difficilmente può essere ricondotto dentro un quadro omogeneo, poiché gli ambiti di impegno sono molto diversificati. Il “Censis” segnala l’esistenza, ad esempio, anche di 3.008 fondazioni e 4.651 cooperative sociali, che svolgono un ruolo particolarmente significativo per attività svolta, quota di personale addetto e dimensione economica. Dal punto di vista economico e finanziario, le istituzioni “non profit” dichiarano, al 2001, circa 73 mila miliardi di lire di entrate (quasi 38 miliardi di euro) e 69 mila miliardi di lire di uscite (oltre 35 miliardi di euro). Il 60 % delle entrate complessive, comunque, si concentra nelle attività a sfondo strettamente sociale (assistenza, sanità, cultura, sport e ricreazione).
Riguardo alle persone che si dedicano alle attività “non profit”, 532.000 sono i lavoratori dipendenti, 80.000 coloro che sono impegnati con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, 18.000 distaccati da altre imprese e/o istituzioni, cui vanno ad aggiungersi 3,2 milioni di volontari, 96.000 religiosi e 28.000 obiettori di coscienza.

Le istituzioni "non profit” in Italia sono così distribuite (al 2001) per regione:

Piemonte = 18.700
Valle D’Aosta = 833
Lombardia = 31.120
Trentino Alto Adige = 8.308
Veneto = 21.092
Friuli Venezia Giulia = 6.119
Liguria = 7.841
Emilia Romagna = 19.160
Toscana = 18.021
Umbria = 4.347
Marche = 7.476
Lazio = 17.122
Abruzzo = 5.841
Molise = 1.021
Campania = 11.411
Puglia = 12.035
Basilicata = 1.231
Calabria = 5.300
Sicilia = 16.524
Sardegna = 7.870

Che cosa cambia con la riforma del volontariato?

  1. per gli atti costitutivi e gli statuti è richiesta la forma scritta;
  2. l’oggetto sociale deve essere una attività di utilità sociale a favore di associati o di terzi, senza fine di lucro e nel rispetto della dignità e libertà dei soci;
  3. le risorse economiche sono: quote, contributi, eredità, donazioni, contributi di Stato, regioni, enti locali, unione europea ed altri organismi anche internazionali, entrate da convenzioni, proventi da cessioni di beni e servizi anche commerciali a soci ed a terzi;
  4. per donazioni ed eredità, la caratteristica più importante è quella di ricevere donazioni ed eredità, anche in assenza di personalità giuridica, purché i beni e le rendite siano destinati al conseguimento delle finalità statutarie;
  5. è istituito un registro nazionale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, per le associazioni con attività in cinque regioni e venti province, e registri regionali, provinciali ed altrettanti osservatori;

le attività prestate dai soci devono essere in forma libera e volontaria;

le cessioni e le prestazioni, rese a familiari conviventi di associati, sono equiparate ai fini fiscali a quelle rese agli associati;

imposta intrattenimenti: sono esclude dall’imponibile le quote ed i contributi associativi;

erogazioni liberali: valgono le medesime detrazioni dall’imposta e le deduzioni dal reddito per le persone fisiche ed imprese di quelle previste per le “Onlus”;

tributi locali: possibilità di riduzione a livello locale;

convenzioni: priorità nelle convenzioni con gli enti locali, per associazioni iscritte da più di sei mesi;

manifestazioni pubbliche: sono concesse dal sindaco le autorizzazioni temporanee per la somministrazione di alimenti e bevande.

 

 

LEGGE QUADRO

SUL VOLONTARIATO

legge 11 agosto 1991 n. 266 - Gazzetta Ufficiale n. 196 del 22/8/1991

 

articolo 1

La repubblica italiana riconosce il valore sociale e la funzione dell’attività di volontariato, come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo, ne promuove lo sviluppo salvaguardandone l’autonomia e ne favorisce l’apporto originale per il conseguimento delle finalità di carattere sociale, civile e culturale individuate dallo Stato, dalle regioni, dalle province autonome di Trento e di Bolzano e dagli enti locali.

La presente legge stabilisce i princìpi cui le regioni e le province autonome devono attenersi, nel disciplinare i rapporti fra le istituzioni pubbliche e le organizzazioni di volontariato, nonché i criteri cui debbono uniformarsi le amministrazioni statali e gli enti locali nei medesimi rapporti.

 

articolo 2

Ai fini della presente legge, per attività di volontariato deve intendersi quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontariato fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà.

L’attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo, nemmeno dal beneficiario.

Al volontario possono essere soltanto rimborsate dall’organizzazione di appartenenza le spese effettivamente sostenute per l’attività prestata, entro limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse.

La qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di contenuto patrimoniale con l’organizzazione di cui fa parte.

 

articolo 3

E’ considerato organizzazione di volontariato ogni organismo liberamente costituito al fine di svolgere l’attività di cui all’articolo 2, che si avvalga in modo determinante e prevalente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti.

Le organizzazioni di volontariato possono assumere la forma giuridica che ritengono più adeguata al perseguimento dei loro fini, salvo il limite di compatibilità con lo scopo solidaristico.

Negli accordi degli aderenti, nell’atto costitutivo o nello statuto, oltre a quanto disposto dal codice civile per le diverse forme giuridiche che l’organizzazione assume, devono essere espressamente previsti l’assenza di fini di lucro, la democraticità della struttura, l’elettività e la gratuità delle cariche associative, nonché la gratuità delle prestazioni fornite dagli aderenti, i criteri di ammissione e di esclusione di questi ultimi, i loro obblighi e diritti.

Devono essere, altresì, stabiliti l’obbligo di formazione del bilancio, dal quale devono risultare i beni, i contributi o i lasciti ricevuti, nonché le modalità di approvazione dello stesso da parte dell’assemblea degli aderenti.

Le organizzazioni di volontariato possono assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo, esclusivamente nei limiti necessari al loro regolare funzionamento oppure occorrenti a qualificare o specializzare l’attività da esse svolta.

Le organizzazioni svolgono le attività di volontariato mediante strutture proprie o, nelle forme e nei modi previsti dalla legge, nell’ambito di strutture pubbliche o con queste convenzionate.

 

articolo 4

Le organizzazioni di volontariato debbono assicurare i propri aderenti, che prestano attività di volontariato, contro gli infortuni e le malattie, connessi allo svolgimento dell’attività stessa, nonché per la responsabilità civile verso i terzi. Con decreto del ministro dell’industria del commercio e dell’artigianato, da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono individuati meccanismi assicurativi semplificati, con polizze anche numeriche o collettive, e sono disciplinati i relativi controlli.

 

articolo 5

Le organizzazioni di volontariato traggono le risorse economiche per il loro funzionamento e per lo svolgimento della propria attività da:

contributi degli aderenti e di privati,

- contributi dello Stato, di enti o di istituzioni pubbliche, finalizzati   esclusivamente al sostegno di specifiche e documentate attività o progetti,

- contributi di organismi internazionali,

- donazioni e lasciti testamentari,

- rimborsi derivanti da convenzioni,

- entrate derivanti da attività commerciali e produttive marginali.

Le organizzazioni di volontariato, prive di personalità giuridica, iscritte nei registri di cui all’articolo 6, possono acquistare beni mobili registrati e beni immobili occorrenti per lo svolgimento della propria attività.

Possono, inoltre, in deroga agli articoli 600 e 786 del codice civile, accettare donazioni e, con beneficio d’inventario, lasciti testamentari, destinando i beni ricevuti e le loro rendite esclusivamente al conseguimento delle finalità previste dagli accordi, dall’atto costitutivo e dallo statuto.

I beni, di cui al comma due, sono intestati alle organizzazioni.

Ai fini della trascrizione dei relativi acquisti, si applicano gli articoli 2659 e 2660 del codice civile. In caso di scioglimento, cessazione ovvero estinzione delle organizzazioni di volontariato, ed indipendentemente dalla loro forma giuridica, i beni che residuano, dopo l’esaurimento della liquidazione, sono devolute ad altre organizzazioni di volontariato, operanti in identico od analogo settore, secondo le indicazioni contenute nello statuto o negli accordi degli aderenti, o, in mancanza, secondo le disposizioni del codice civile.

 

articolo 6

Le regioni e le province autonome disciplinano l’istituzione e la tenuta dei registri generali delle organizzazioni di volontariato.

L’iscrizione ai registri è condizione necessaria per accedere ai contributi pubblici, nonché per stipulare le convenzioni e per beneficiare delle agevolazioni fiscali, secondo le disposizioni di cui, rispettivamente, agli articoli 7/8. Hanno diritto ad essere iscritte nei registri le organizzazioni di volontariato, che abbiano i requisiti di cui all’articolo 3 e che alleghino alla richiesta copia dell’atto costitutivo e dello statuto e degli accordi degli aderenti…..

 

omissis…

articolo 17

I lavoratori, che facciano parte di organizzazioni iscritte nei registri, di cui all’articolo 6, per poter espletare attività di volontariato, hanno diritto di usufruire delle forme di flessibilità di orario di lavoro o delle turnazioni previste dai contratti o dagli accordi collettivi, compatibilmente con l’organizzazione aziendale…..(omissis)….

 

 

Riassumendo

quindi, abbiamo capito che le caratteristiche del volontariato, così come previste e regolate dalla legge 266/1991, sono, in sostanza, le seguenti:

- l’attività svolta in qualunque settore deve essere gratuita,

- non si deve trattare di un’attività di carattere economico e non deve esserci   scopo di lucro,

- la finalità di tali associazioni deve essere la solidarietà sociale,

- opera prestata dai volontari deve prevalere su coloro che hanno un rapporto   stabile di lavoro con l’associazione,

 

Nota

Dalla relazione sullo stato sanitario del Paese nel 2001 del ministero della sanità, direzione generale studi, documentazione sanitaria e comunicazione ai cittadini: “…il volontariato, in genere, può essere utile in molte occasioni, perché è una risposta della società civile, che vuole fronteggiare in modo autonomo il bisogno di cure, la donazione di organi, l’ascolto, il sostegno morale e la tutela della qualità della vita”. Sapere quali associazioni esistono nella comunità e come operano può essere quindi molto importante. La diffusione delle associazioni non è la stessa su tutto il territorio.

 

 

Cenni sui centri di servizio al volontariato

 

Previsti dall’articolo 15 della legge quadro per il volontariato 266/91 e regolati da diversi decreti e circolari, i centri di servizio al volontariato sono strutture per il sostegno e lo sviluppo delle organizzazioni di volontariato e sono finanziati da fondi speciali a livello regionale, alimentati da una quota  non inferiore ad un quindicesimo dei proventi delle Fondazioni bancarie. I centri sono a favore del volontariato e da esso gestiti, con la funzione di sostenere e qualificare l’attività, stimolando così la capacità di autogoverno delle associazioni. I centri di servizio al volontariato istituiti in Italia sono, all’inizio del 2002, ben 54. Si tenga inoltre conto che è in corso, sempre ad inizio 2002,  l’istituzione in Puglia di 5 centri, mentre ormai prossima è l’istituzione di altri 5 in Calabria e 5 in Campania.

 

Rispetto all’ambito territoriale di quelli istituiti, 9 sono di carattere regionale: in Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Marche e Sardegna è presente in regione un unico centro, mentre nel Lazio e in Basilicata sono presenti due centri con competenza regionale; 35 sono provinciali (Lombardia, Trentino, Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Umbria, Abruzzo, Molise); 8 sono interprovinciali (3 in Piemonte, 3 in Sicilia e 2 in Lombardia); 2 sub provinciali (Molise). 48 centri, che riguardano la quasi totalità della popolazione interessata, sono gestiti da associazioni di carattere unitario, rappresentative di tutti gli orientamenti e i settori del volontariato presenti nel loro territorio; 6 centri sono gestiti da un’unica associazione (in Abruzzo e Molise,. che però rappresentano solo il 2,8% della popolazione nazionale). I punti di servizio presenti nel territorio sono (sempre ad inizio 2002) 221, di cui: 54 sedi centrali, 46 delegazioni, 121 sportelli.

 

Questi sono i numeri per quel che riguarda la presenza territoriale. Mancano quelli della Provincia autonoma di Bolzano, che aveva deciso, a suo tempo, di non istituirli, contravvenendo alla legge statale, senza che alcuno sollevasse obiezioni, e tre regioni meridionali, nelle quali però le cose sembrano finalmente essersi avviate. Quanto ai rapporti con il volontariato, basti ricordare la rappresentatività degli enti gestori dei centri. 2.345 soci alla fine del 2000, di cui 258 erano reti associative, con alcune migliaia di associazioni di base sociale.

Si tratta di una parte rilevante dell’insieme delle organizzazioni di volontariato presenti nel territorio.

Con i centri di servizio per il volontariato, si introducono, per la prima volta nella legislazione, italiana, forme di sostegno alle organizzazioni democratiche dei cittadini, collegate al lavoro da esse effettivamente svolto, accompagnandole nella loro attività con supporti formativi ed informativi, che ne permettono lo sviluppo e la crescita.

I centri sono quindi un’innovazione importante nella legislazione italiana, non solo per quanto riguarda il volontariato ed il terzo settore, ma più in generale per la formazione ed il sostegno alla cittadinanza attiva.

Non bisogna mai dimenticare che le istituzioni pubbliche trovano la loro principale saldezza ed efficienza non tanto nelle riforme elettorali od istituzionali, che pure sono cosa molto importante, ma in un rapporto di fiducia reciproca tra cittadini ed istituzioni ed in una partecipazione diffusa alla vita pubblica e sociale.

E’ infine da rilevare che non ci sono mai stati in Italia interventi legislativi di questo tipo, riguardanti l’associazionismo tradizionale (partiti, sindacati), a differenza di altri Paesi del centro nord Europa.

I centri, grazie alla legge 266/91, sono finanziati con 1/15 degli utili delle Fondazioni bancarie.

 

Le Fondazioni sono una conseguenza della privatizzazione del sistema bancario pubblico, avvenuta dal 1990 ad oggi in diverse fasi.

Il vecchio ente pubblico, che aveva sia finalità sociali (come i monti dei pegni o le casse di risparmio), che finalità bancarie (costituivano il 70% delle banche italiane), si è diviso in due: le attività bancarie sono state conferite ad una SpA, mentre le attività sociali ad una Fondazione non a fine di lucro, che però sinora è rimasta quasi sempre proprietaria della banca.

Le Fondazioni complessivamente hanno un capitale sociale valutato tempo fa intorno ai 70.000 miliardi di vecchie lire. I fondi sono gestiti dai comitati di gestione dei fondi speciali per il volontariato, costituiti da 15 componenti (8 sono nominati dagli enti finanziatori ed uno dal ministro per la Solidarietà sociale e 6 sono di nomina regionale).

 

 

Registro del volontariato

sarà il direttore generale per il volontariato a curare la tenuta del registro nazionale delle associazioni di promozione sociale, istituito ai sensi dell’art. 7 della legge n. 383/2000. E’ quanto prevede il decreto del ministero del lavoro e delle politiche sociali del 3 aprile 2002.

Spetterà, dunque, al direttore autorizzare, con proprio provvedimento, l’iscrizione al registro, con la data ed il numero di iscrizione, in ordine di definizione delle domande che avvengono in base alla data della loro presentazione. L’ufficio provvederà poi a comunicare tempestivamente l’avvenuta iscrizione al registro o il provvedimento di diniego, nonché a disporne l’eventuale cancellazione.

 

RIFERIMENTI LEGISLATIVI

 SULLA  SANITA’

 

accertamenti sanitari

- legge 11/11/1983 n. 638

- decreto del Ministero della Sanità del 18/4/1996

 

alimenti

- legge 30/4/1962 n. 283

- decreto del Ministero della Sanità del 15/6/1971

 

ambiente

- legge 8/7/1988 n. 349

 

assistenza ai portatori di handicap

- legge 31/10/1975 n. 970

- DPR 23/8/1988 n. 395

- legge 5/2/1992 n. 104

 

assistenza sanitaria

agli italiani all’estero

- DPR 31/7/1980 n. 618

- DL 2/7/1982 n. 402

- DM Sanità 3/11/1989

- DM Sanità 24/1/1990, modificato con DM 30/8/1991

- DM Sanità 1/2/1996

 

clonazione

- ordinanza del Ministero della Sanità del 5/3/1997

 

cure termali e idrotermali

- DPR 10/1/1957 n. 3

- legge 30/3/1971 n. 118, modificata dal D.Lgs. 23/11/1988 n. 509

- DL 25/1/1982 n. 16, convertito in legge 25/3/1982 n. 98

- DL 12/9/1983 n. 463, convertito in legge 11/11/1983 n. 638

- DL 25/11/1989 n. 382, convertito in legge 25/1/1990 n. 8

- legge 30/12/1991 n. 412

- legge 7/8/1992 n. 526

- DM del Ministero della Sanità del 12 agosto 1992,

  (integrato successivamente dal DM Sanità del 27/4/1993,  e modificato ancora    dal DM Sanità del   15/12/1994)

 

fecondazione artificiale

- legge 25/7/1952 n. 1009, modificata dalla legge 11/3/1974 n. 74

 

immigrati extra comunitari e apolidi – tutela sanitaria

- legge 30/4/1969 n. 153

- legge 23/12/1978 n. 833

- DL 30/12/1979 n. 663, convertito in legge 29/2/1980 n. 33

- legge 30/10/1986 n. 943

- legge 30/10/1987 n. 398

- DL 30/12/1989 n. 416, convertito in legge 28/2/1990 n. 39

- DM Sanità 24/7/1990 n. 237

- DL 28/12/1994 n. 723

- DL 18/11/1995 n. 489

 

interruzione della gravidanza

- legge 29/7/1975 n. 405

- legge 22/5/1978 n. 194

 

sicurezza del lavoro

- DPR 27/471955 n. 547

- DPR 19/3/1956 n. 302 e n. 303

- legge 22/2/1994 n. 146

- D.Lgs. 19/9/1994 n. 626, modificato dal D.Lgs.19/3/1996 n. 242

- D.Lgs. 25/11/1996 n. 645

- DL 31/12/1996 n. 670

 

trapianti di organi

- legge 15/2/1961 n. 83

- legge 26/6/1967 n. 458

- legge 2/12/1975 n. 644 e DPR 16/6/1977 n. 409

- DM Sanità 14/1/1982

- legge 13/7/1990 n. 198

- legge 12/8/1993 n. 301

 

Fonte: http://www.bruzz.net/Diritto/Lavori/disabili%20-%20immigrati%20-%20anziani.doc

Sito web da visitare: http://www.bruzz.net

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