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RIASSUNTI DEL
“MANUALE DI DIRITTO PRIVATO”
Di: A.Torrente P.Schlesinger
I DIRITTI REALI
LE OBBLIGAZIONI
Capitolo 32: IL RAPPORTO OBBLIGATORIO
L’obbligazione consiste in un rapporto tra due parti in virtù del quale una di esse (debitore) è obbligata, ha il dovere giuridico di tenere un certo comportamento, di eseguire una prestazione a favore dell’altra parte (creditore).
Il rapporto obbligatorio è sempre relativo: il diritto di credito può essere fatto valere solo nei confronti del debitore (si dice, perciò, che è un diritto personale).
Il debitore risponde dell’inadempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (art.2740 c.c.). quindi, in caso di inadempimento, il creditore può invocare misure coercitive sul patrimonio dell’obbligato.
Per obbligazione in senso naturale (art.2034 c.c.), si intende qualunque dovere morale o sociale, in forza del quale un soggetto determinato sia tenuto ad eseguire un’attribuzione patrimoniale a favore di un altro soggetto parimenti determinato.
Il debitore naturale, quindi, non è obbligato giuridicamente ad adempiere, ma è obbligato solo in forza di doveri morali e sociali. Perciò il creditore naturale, benchè non abbia il diritto di agire in giudizio per pretendere l’adempimento dell’obbligo, ha il diritto di trattenere la prestazione che sia stata spontaneamente adempiuta dal debitore, il quale, quindi, non può ottenerne la restituzione.
Perché sia esclusa la ripetizione è necessario che:
Secondo l’art.1173 c.c., fonte dell’obbligazione può essere il contratto, l’atto illecito ed ogni altro atto idoneo a produrla secondo l’ordinamento.
Capitolo 33: GLI ELEMENTI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO
I soggetti sono almeno due: creditore o soggetto attivo; debitore o soggetto passivo. Essi sono di regola determinati all’epoca in cui l’obbligazione sorge, ma a volte può accadere che uno dei soggetti del rapporto sia determinato solo successivamente al sorgere del vincolo.
Se 100 è il mio debito complessivo, ma da ciascun debitore posso pretendere solo la sua parte, l’obbligazione si dice parziaria; se invece da ciascun debitore posso pretendere l’intero, l’obbligazione si dice solidale. In tal caso ciascuno dei debitori può essere costretto all’adempimento per la totalità, ma l’adempimento da parte di uno libera gli altri (art.1292 c.c.).
L’art.1294 c.c. stabilisce una presunzione generale di solidarietà passiva nel senso che nel caso di pluralità di debitori, se dalla legge o dal titolo non risulta altrimenti, i condebitori sono tenuti in solido.
Ciascun condebitore è tenuto solo per la sua parte, a meno che l’obbligazione sia stata contratta nell’interesse esclusivo di uno dei condebitori. La parte di ciascun condebitore si presume eguale a quella degli altri, se non risulta diversamente (art.1298.2 c.c.).
Il condebitore solidale che abbia pagato l’intero può agire contro gli altri condebitori 8azione di regresso) perché ciascuno gli rimborsi la sua parte (art.1299.1 c.c.); se uno dei condebitori risulta inadempiente la perdita va ripartita tra tutti gli altri condebitori (art.1299.2 c.c.).
La solidarietà attiva, invece, si verifica se, in caso di pluralità di creditori, ciascuno può pretendere l’intero, ma l’adempimento fatto nelle mani di uno di essi libera il debitore verso tutti. Questa figura è poco frequente.
Nell’obbligazione indivisibile, il diritto di richiedere e correlativamente l’obbligo di prestare l’intero derivano dalla natura della prestazione che ha per oggetto una cosa (o un fatto) che non è suscettibile di essere ridotta in parti per sua natura (es. un cavallo vivo; indivisibilità oggettiva) o per la volontà delle parti (indivisibilità soggettiva) (art.1316 c.c.).
L’indivisibilità opera anche nei confronti degli eredi del debitore o di quelli del creditore (art.1318 c.c.).
La prestazione cui il debitore è obbligato può consistere in un dare o in un facere. La prestazione si dice infungibile quando assumono rilievo le qualità personali dell’obbligato; fungibile quando per il creditore è irrilevante chi gli procura il risultato cui ha diritto.
Non importa che la prestazione corrisponda ad un interesse economico del creditore: anche il soddisfacimento di interessi culturali, sportivi può essere procurato dal debitore. Ma la prestazione dovuta deve avere carattere patrimoniale, vale a dire che deve essere suscettibile di valutazione economica (art.1174 c.c.).
Perché un’obbligazione sia validamente assunta occorre che la prestazione dovuta sia:
Le parti possono stabilire che l’oggetto della prestazione di una di esse sia determinato da un terzo (arbitratore). Questi deve procedere con equo apprezzamento: le parti possono perciò rivolgersi al giudice se la determinazione dell’arbitratore è manifestamente iniqua o erronea (art.1349.1 c.c.).
Le parti, peraltro, possono anche rimettersi al mero arbitrio del terzo, lasciandogli carta bianca: in tal caso potranno impugnare la determinazione solo nel caso estremo che si riesca a provare il dolo del terzo. Né è consentito alle parti rivolgersi al giudice, qualora l’arbitratore non provveda: esse possono solo accordarsi per sostituirlo, altrimenti il contratto è nullo (art.1349.2 c.c.).
Oggetto dell’obbligazione è la prestazione dovuta (art.1174 c.c.). Nelle obbligazioni di dare, peraltro, pure il bene dovuto viene talvolta indicato come oggetto (mediato) dell’obbligazione. Nelle obbligazioni generiche il debitore è tenuto a dare cose non ancora individuate ed appartenenti ad un genere (10 bottiglie di vino di quel certo tipo); nelle obbligazioni specifiche il debitore è tenuta a dare una cosa determinata (questa auto). In caso di obbligazione generica il debitore deve scegliere di prestare cose di qualità non inferiore alla media (art.1178 c.c.).
Per l’estinzione dell’obbligazione pecuniaria occorre utilizzare moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento (art.1277.1 c.c.).
L’obbligazione si dice a termine, quando va adempiuta dopo un certo intervallo di tempo rispetto al momento in cui è sorta (art.1183 c.c.).
Il principio nominalistico (art.1277 c.c.) stabilisce che il debitore si libera pagando, alla scadenza, la medesima quantità di moneta inizialmente fissata, nonostante il tempo passato dalla costituzione del debito ed indipendentemente dal fatto che, nel frattempo, il potere d’acquisto del danaro sia più o meno diminuito. Il creditore può cercare di cautelarsi contro le oscillazioni di valore della moneta: il modo più semplice è quello di pattuire degli interessi.
Peraltro il principio nominalistico si applica con certezza ai crediti liquidi, ossia già determinati nel loro ammontare; non altrettanto può dirsi per i crediti illiquidi, ossia per quei crediti dei quali non risulti ancora fissato il concreto quorum dovuto.
Se il debito pecuniario è espresso in moneta estera, il debitore, di regola, può pagare anche in moneta nazionale, al corso del cambio nel giorno della scadenza (art.1278 c.c.). Peraltro, qualora sia stato chiarito, con clausola “effettivo” o altra equivalente, che il pagamento va fatto proprio nella moneta pattuita, il debitore è tenuto ad adempiere con la valuta straniera (art.1279 c.c.).
243 Gli interessi
Un particolare tipo di obbligazione pecuniaria è quella relativa agli interessi che si aggiungono al capitale.
Gli interessi possono essere:
In linea di principio è proibito l’anatocismo, ossia la capitalizzazione degli interessi dovuti affinchè questi producano a loro volta altri interessi. Tuttavia gli interessi scaduti possono essere capitalizzati e produrre a loro volta interessi (art.1283 c.c.) solo quando si tratti di interessi già scaduti da almeno 6 mesi ed intervenga o una convenzione in tal senso o una domanda giudiziale rivolta ad ottenere il pagamento sia degli interessi scaduti sia degli interessi sugli interessi dovuti.
L’obbligazione nella quale è dedotta un’unica prestazione si dice semplice; se ci sono più prestazioni, abbiamo l’obbligazione alternativa. Se le parti non hanno stabilito diversamente, la scelta spetta al debitore (art.1286 c.c.). nell’obbligazione facoltativa, invece, una sola è la prestazione prevista, e l’obbligazione è, pertanto semplice, ma il debitore si può liberare prestando altra cosa.
Capitolo 34: MODIFICAZIONE DEI SOGGETTI DELL’OBBLIGAZIONE
Si parla di cessione del credito (art.1260 c.c.) sia per indicare il contratto con il quale il creditore (cedente) pattuisce con un terzo (cessionario) il trasferimento in capo a quest’ultimo del suo diritto verso il debitore (ceduto); sia per indicare l’effetto di tale contratto e cioè, il trasferimento del credito in capo al cessionario.
Per quanto riguarda il contratto di cessione, qualunque credito può formare oggetto, purchè il credito non abbia carattere strettamente personale o il trasferimento non sia vietato dalla legge (art.1260.1 c.c.) ovvero la cessione non sia stata convenzionalmente esclusa dalle parti (art.1260.2 c.c.): in quest’ultimo caso, però, il patto di non trasferibilità non è opponibile al cessionario se non si prova che egli lo conosceva al tempo della cessione.
Se la cessione ha luogo per estinguere un diverso debito del cedente verso il cessionario (cessione solutoria), si deve distinguere a seconda che la cessione operi pro soluto o pro solvendo.
247 Efficacia della cessione
Affinchè la cessione abbia efficacia nei confronti del debitore ceduto, occorre che a quest’ultimo la cessione venga notificata dal cedente o dal cessionario ovvero sia da lui accettata (art.1264 c.c.). Ove, peraltro, anche se non sia intervenuta accettazione o notifica, il debitore abbia comunque conoscenza della cessione, egli non può invocare la buona fede e, se ha pagato al cedente, può essere costretto dal cessionario ad un nuovo pagamento. E poiché la buona fede si presume, incombe al cessionario l’onere di provare che il debitore era a conoscenza dell’avvenuta cessione (art.1264.2 c.c.). L’accettazione o la notificazione della cessione servono inoltre ad attribuirle efficacia di fronte ai terzi. (se il cedente ha ceduto lo stesso credito prima ad A e poi a B ed è stata notificata, o è stata accettata per prima, con atto di data certa (art.2704 c.c.), la cessione fatta a B, è questa che prevale sull’altra (art.1265 c.c.).
Quanto agli effetti della cessione, in conseguenza di essa, benchè venga ad essere modificato il soggetto attivo del credito, l’obbligazione rimane, per tutto il resto, inalterata: perciò il credito è trasferito al cessionario con i privilegi, con le garanzie personali e reali e gli altri accessori (art.1263 c.c.).
Parimenti, il debitore ceduto può opporre al cessionario le stesse eccezioni che avrebbe potuto opporre al cedente.
248 Rapporti tra cedente e cessionario
Se la cessione è a titolo oneroso, il cedente è tenuto a garantire l’esistenza del credito, ma non risponde affatto se il debitore risulta insolvente (art.1266 c.c.). Il cedente può, peraltro, con apposito patto, garantire anche la solvenza del debitore: in tal caso, qualora il debitore ceduto non adempia, il cedente sarà tenuto a restituire quanto aveva eventualmente ricevuto come corrispettivo della cessione, oltre agli interessi, alle spese della cessione e a quelle sostenute dal cessionario per escutere il debitore, salvo sempre l’obbligo ulteriore del risarcimento del danno, ove ne ricorrano i presupposti (art.1267 c.c.).
Quando la cessione sia stata effettuata per estinguere un debito del cedente verso il cessionario (art.1198 c.c.), si presume che la cessione avvenga pro solvendo (ossia che la liberazione del cedente si verifichi solo quando il cessionario abbia ottenuto il pagamento dal debitore ceduto); qualora risulti una diversa volontà delle parti, nel senso che il cessionario liberi senz’altro il cedente dall’obbligo che quest’ultimo aveva nei suoi confronti, accollandosi, pertanto, l’intero rischio della solvenza del debitore ceduto, si parla di cessio pro soluto. In ogni caso il cedente è tenuto a consegnare al cessionario i documenti probatori del credito che si trovino in suo possesso (art.1262.1 c.c.)
249 Il contratto di factoring
Con il contratto di factoring, un’impresa specializzata (factor) si impegna contro pagamento di una commissione variabile a seconda dell’entità degli obblighi assunti, a gestire per conto di un’impresa cliente, l’amministrazione di tutti o di parte dei crediti di cui quest’ultima diventa titolare verso i propri clienti nella gestione della sua attività imprenditoriale. Spesso il factor concede al cliente anticipazioni sull’ammontare dei crediti gestiti, spesso accompagnati dalla cessione di tali crediti, o pro solvendo, e cioè lasciando a carico del cliente il rischio dell’eventuale insolvenza dei debitori ceduti, o pro soluto, e cioè accollandosi il factor il rischio dell’insolvenza dei debitori ceduti, cosicchè, in caso di inadempimento di questi ultimi, il factor non potrà pretendere dal cliente la restituzione degli anticipi versatigli.
Le banche o gli intermediari finanziari, possono rendersi cessionari, dalle imprese clienti, solo di crediti pecuniari, sorti nell’esercizio dell’impresa, ma può trattarsi anche di crediti in massa e di crediti futuri (cioè ceduti anche prima che siano stipulati i contratti dai quali sorgeranno), purchè in un periodo di tempo non superiore a un anno dalla stipulazione della cessione.
La cessione è opponibile ai terzi, ed in particolare all’eventuale fallimento del cedente.
Altre figure di successione nel lato attivo del rapporto obbligatorio sono la delegazione attiva e la surrogazione per pagamento.
Il c.c. si occupa solo della delegazione passiva. La delegazione attiva è un accordo tra creditore, debitore e un terzo, con il quale il creditore dà mandato al debitore che accetta, di pagare al terzo. Al creditore originario (delegante) si aggiunge il delegatario, ma senza estinzione del diritto del primo, cosicchè, in caso di successiva inadempienza da parte del debitore, contro quest’ultimo potrà ancora agire pure il primo creditore.
La sostituzione del soggetto passivo del rapporto obbligatorio può realizzarsi mediante la delegazione passiva, la espromissione e l’accollo.
La sostituzione del debitore non è possibile senza l’espressa volontà del creditore: se questa manca, il precedente debitore non viene liberato, ma si aggiunge un nuovo soggetto passivo a quello che già c’era.
252 La delegazione
Sa ha la delegazione quando una persona (delegante) ordina o invita un’altra persona (delegato) ad eseguire o a promettere di eseguire un determinato pagamento in favore di un terzo soggetto (delegatario). L’operazione quindi si perfeziona solo con la collaborazione di tutti e tre i soggetti e consiste perciò in un’operazione trilaterale.
Conviene trattare separatamente la delegazione di pagamento e la delegazione a promettere. Si ha la prima quando il delegante invita il delegato ad effettuare un determinato pagamento. Il delegato, non è tenuto ad accettare l’incarico (art.1269.2): se però esegue il pagamento, la prestazione da lui eseguita nelle mani del delegatario vale come effettuata a quest’ultimo dal delegante, e vale contemporaneamente come effettuata dal delegato al delegante per quanto riguarda i rapporti tra questi.
Nella delegazione a promettere, il delegante ordina al delegato di assumere l’obbligo di effettuare successivamente un determinato pagamento al delegatario.
253 L’espromissione
Un terzo può assumere verso il creditore il debito di un altro, promettendo che provvederà lui al pagamento. Quest’obbligo può essere assunto spontaneamente, ossia senza il consenso o l’incarico del debitore, dal momento che si tratta di un atto vantaggioso per costui.
Il contratto con il quale il creditore e il terzo convengono che il terzo si assuma che il debito dell’obbligato originario si chiama espromissione.
L’elemento differenziale tra la delegazione e l’espromissione consiste nella spontaneità dell’iniziativa del terzo (art.1272 c.c.).
Come la delegazione, anche l’espromissione può essere cumulativa (il terzo è obbligato in solido con il debitore originario) o liberatoria, se il creditore dichiara espressamente di liberare il debitore originario: nel qual caso rimane obbligato solo il terzo assuntore.
Il terzo espromittente subentra nella stessa posizione del debitore originario.
254 L’accollo
L’accollo è un contratto tra il debitore (accollato) e un terzo (accollante), con il quale quest’ultimo assume a proprio carico l’onere di procurare il pagamento al creditore (accollatario).
Distinguiamo due tipi di accollo:
L’accollo esterno può a sua volta essere:
Capitolo 35: L’ESTINZIONE DELL’OBBLIGAZIONE
L’adempimento o pagamento consiste nell’esatta realizzazione della prestazione dovuta. Il debitore deve curare con attenzione, prudenza e perizia sia i preparativi dell’adempimento, sia la conformità del risultato da procurare al creditore rispetto al contenuto dell’obbligo assunto (art.1176 c.c.).
Se il creditore accetta preventivamente di esonerare il debitore da responsabilità per inadempienze che derivino da dolo o colpa grave di quest’ultimo, il patto è nullo (art.1229 c.c.). Il creditore può, se vuole, rifiutare un pagamento parziale che il debitore abbia ad offrirgli. Il debitore può adempiere personalmente o a mezzo di ausiliari, del cui comportamento è però sempre responsabile egli stesso di fronte al creditore (art.1228 c.c.).
Per valutare la regolarità dell’adempimento:
Il debitore decade dal termine fissato a suo favore, ossia il creditore può agire in giudizio come se il termine fosse già scaduto, qualora il debitore sia divenuto insolvente o abbia diminuito le garanzie che aveva dato o non abbia dato le garanzie che aveva promesso (art.1186 c.c.).
Sulla base di una direttiva comunitaria anche in Italia è stata introdotta una disciplina per combattere il c.d. riciclaggio del denaro sporco: sono stati così imposti limiti alla circolazione di denaro contante o di titoli di credito al portatore (che possono essere utilizzati solo per effettuare versamenti entro l’importo massimo di lire 20 milioni), mentre per pagamenti superiori a tale limite occorre necessariamente avvalersi di intermediari abilitati (banche, società finanziarie, assicurazioni). Questi ultimi, a loro volta, sono tenuti a identificare le complete generalità di chiunque effettui un’operazione per importo superiore a 20 milioni di lire, ed a registrare in un apposito archivio gli estremi dell’operazione. Le violazioni degli obblighi determinano sanzioni amministrative e, nei casi più gravi, perfino penali a carico dei responsabili.
Le limitazioni all’uso del contante favoriscono il diffondersi di mezzi di pagamento c.d. alternativi (trasferimenti elettronici di fondi, bonifici bancari, carte di credito…).
Di regola per il creditore è indifferente se la prestazione viene eseguita personalmente dal debitore o da un terzo. Quando però, la prestazione sia infungibile, il creditore può rifiutare la prestazione che il debitore gli proponga di far eseguire da un suo sostituto (art.2232 c.c.). Se invece, la prestazione è fungibile (es. pagamento di una somma di danaro), il creditore non può rifiutare la prestazione che gli venga offerta da un terzo (art.1180 c.c.). Solo se il debitore gli ha comunicato la sua opposizione, il creditore può rifiutare l’adempimento offertogli dal terzo (art.1180.2 c.c.), pur essendo naturalmente libero di accettare la prestazione nonostante l’opposizione del debitore.
In ogni caso il terzo, a meno che sia intervenuto per spirito di liberalità, potrà esperire contro il debitore avvantaggiatosi l’azione di arricchimento (art.2041 c.c.).
Se una persona, che ha più debiti della stessa specie verso la stessa persona, fa un pagamento che non comprenda la titolarità dei debiti, è importante stabilire quale tra i vari debiti viene estinto. L’art.1193 c.c. riconosce al debitore la facoltà di dichiarare, quando paga, quale debito intende soddisfare: in mancanza il pagamento deve essere imputato al debito scaduto; tra più debiti scaduti, a quello meno garantito; tra più debiti ugualmente garantiti, al più oneroso per il debitore; tra più debiti ugualmente onerosi, al più antico. Se tali criteri non soccorrono, l’imputazione va fatta proporzionalmente ai vari debiti.
Il pagamento può anche dar luogo alla sostituzione del creditore con altra persona (surrogazione). Anche la surrogazione, come la cessione, dà luogo ad una successione nel lato attivo del rapporto obbligatorio ma con la differenza che la surrogazione suppone che l’obbligazione sia adempiuta; la cessione, che l’adempimento non si sia ancora verificato. La finalità della surrogazione è, infatti, quella di agevolare l’adempimento verso il creditore originario con l’attribuire ad un terzo, che rende possibile l’adempimento, i diritti, e soprattutto le garanzie, che erano inerenti al rapporto obbligatorio.
La surrogazione può avvenire per volontà del creditore che, ricevendo il pagamento da un terzo, può dichiarare espressamente di volerlo far subentrare nei propri diritti verso il debitore (art.1201 c.c.); o per volontà del debitore che, prendendo a mutuo una somma di danaro al fine di pagare il debito, può surrogare il mutuante nella posizione del creditore; o per volontà della legge (surrogazione legale) nei vari casi elencati nell’art.1203 c.c.).
Il creditore, avendo diritto all’esatta esecuzione della prestazione dovuta, può rifiutare di accettare una prestazione diversa da quella dedotta in obbligazione, anche se si tratti di prestazione avente valore eguale o addirittura maggiore., oppure può accettala (art.1197 c.c.).
Se la prestazione eseguita in luogo di adempimento consiste nel trasferimento della proprietà di una cosa, il debitore è tenuto alla garanzia per i vizi della cosa secondo le norme dettate per il contratto di vendita.
A volte per la realizzazione dell’adempimento è necessaria la cooperazione del creditore, come nel caso in cui il debitore sia tenuto alla consegna di una cosa: questa non si può effettuare, se il creditore non sia disposto a riceverla.
La figura della mora del creditore ha luogo quando il creditore, senza legittimo motivo, rifiuta di ricevere il pagamento offertogli dal debitore (art.1206 c.c.), oppure omette di compiere gli atti preparatori per il ricevimento della prestazione. Perché si abbia mora credendi, è necessario che il debitore faccia al creditore offerta della prestazione secondo delle modalità. Così si distinguono due tipi di offerta:
l’offerta non formale (per es. mediante lettera), invece, dimostrando l’intenzione del debitore, vale ad escludere la mora debendi, ma non produce gli ulteriori effetti propri della mora credendi (risarcimento del danno, art.1220 c.).
Quando tra due persone intercorrono rapporti obbligatori reciproci, questi ultimi possono estinguersi, in modo parziale o totale, senza bisogno di provvedere ai rispettivi adempimenti, mediante compensazione tra i rispettivi crediti. La legge prevede tre tipi di compensazione:
Perché la compensazione legale operi, è necessario che la parte la eccepisca in giudizio: il giudice non può rilevarla d’ufficio (art.1242 c.c.). Tuttavia, i debiti si estinguono non dal giorno della sentenza e per effetto di questa, ma dal momento della loro coesistenza, automaticamente, per effetto della legge.
Alcuni crediti, per la loro causa esigono che la prestazione sia in ogni caso eseguita: perciò, non possono formare oggetto di compensazione. Essi sono indicati nell’art.1246 c.c., il più importante tra essi è il credito degli alimenti.
La compensazione non è ammessa tra un’obbligazione civile e un’obbligazione naturale.
Qualora creditore e debitore sia la stessa persona, l’obbligazione si estingue (art.1253 c.c.): ciò può accadere, per es., perché il creditore diventa erede del debitore o viceversa; oppure perché il creditore diventa cessionario dell’azienda del debitore ed il suo credito era relativo all’azienda ceduta. In caso di successione ereditaria, tuttavia, non si ha confusione se l’erede accetta col beneficio d’inventario (art.490 c.c.).
La novazione è un contratto con il quale i soggetti di un rapporto obbligatorio sostituiscono un nuovo rapporto a quello originario. Se la sostituzione riguarda il debitore, la novazione si dice soggettiva. Se viene modificato l’oggetto o il titolo, la novazione si dice oggettiva. Gli elementi che caratterizzano la novazione oggettiva sono due: uno oggettivo, consistente nella modificazione dell’oggetto o del titolo; e uno soggettivo, la volontà di estinguere l’obbligazione precedente, che può risultare, come ogni dichiarazione di volontà, anche tacitamente.
Se l’obbligazione originaria era inesistente o nulla, la novazione manca di causa e, perciò, è senza effetto (art.1234.1 c.c.). Può, invece, novarsi un’obbligazione dipendente da titolo annullabile, se il debitore conosceva il vizio che produceva l’annullabilità (art.1234.2 c.c.).
La remissione è la rinunzia del credito. Essa consiste in un negozio unilaterale recettizio, che produce effetto quando la dichiarazione è comunicata al debitore, il quale, peraltro, può dichiarare di non volerne profittare (art.1236 c.c.). La remissione estingue oggettivamente il debito. Essa fa cadere le garanzie inerenti al credito e, se si tratta di obbligazioni solidali, libera tutti gli altri debitori.
L’impossibilità sopravvenuta estingue l’obbligazione liberando il debitore, se essa dipende da causa non imputabile al debitore, ossia se la prestazione è diventata impossibile senza colpa del debitore (art.1256.1 c.c.). L’effetto estintivo si verifica se l’impossibilità ha carattere definitivo; se, invece, essa è temporanea, il debitore è esonerato dalla responsabilità per il ritardo nell’adempimento.
Non costituiscono causa di impossibilità della prestazione fatti che si limitano a rendere difficile per il debitore l’adempimento dell’obbligo.
Capitolo 36: L’INADEMPIMENTO E LA MORA
L’inadempimento è imputabile al debitore, che ne risponde con l’obbligo di risarcire i danni che la mancata esecuzione della prestazione provoca al creditore (art.1218 c.c.). il debitore può evitare la responsabilità che il mancato adempimento dell’obbligazione fa sorgere a suo carico solo qualora sia in grado di dare la prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (art.1218 c.c.).
Si ha inadempimento inesatto quando la prestazione eseguita differisce quantitativamente o qualitativamente da quella dovuta. Si ha inadempimento assoluto quando non soltanto la prestazione non è stata ancora adempiuta, ma ormai l’adempimento non potrà più verificarsi. Si ha invece inadempimento relativo (o mora) quando il debitore non ha ancora eseguito la prestazione dovuta, ma l’adempimento, sebbene in ritardo, può ancora verificarsi. In questo caso l’obbligo di risarcire il danno al creditore si aggiunge alla prestazione originaria, la quale continua però ad essere anch’essa dovuta
Il ritardo, o inadempimento relativo, si chiama anche mora del debitore.
La mora debendi presuppone la imputabilità del ritardo al debitore: il debitore non è responsabile del ritardo se gli è stato impossibile adempiere per una causa che non era in grado di prevedere e prevenire. L’onere della prova di tale impossibilità grava sul debitore.
La mora può verificarsi ex re, ossia automaticamente, per il fatto solo del ritardo, o ex persona, mediante un atto di costituzione in mora, con cui il creditore richiede per iscritto l’adempimento.
Si ha la mora ex re (art.1219 c.c.):
La costituzione in mora (art.2943.4 c.c.) vale anche ad interrompere la prescrizione.
La mora debendi può essere considerata solo nelle obbligazioni positive (di fare, di dare). Se l’obbligazione ha carattere negativo (di non facere), basta contravvenire all’obbligo assunto perché si verifichi un inadempimento assoluto (o parziale) e non è possibile parlare di ritardo (art.1222 c.c.).
Gli effetti della mora debendi sono:
La conseguenza sanzionatoria principale dell’inadempimento del debitore è l’obbligo a suo carico, di risarcire al creditore il danno arrecatogli (responsabilità del debitore art.1218 c.c.). Se l’inadempimento è assoluto, la prestazione risarcitoria si sostituisce a quella originariamente dovuta (la quale ormai non potrebbe più essere eseguita); se l’inadempimento è relativo, la prestazione risarcitoria si aggiunge a quella originariamente dovuta (che è già stata eseguita, sebbene in ritardo, o che deve essere ancora eseguita). Peraltro è risarcibile soltanto il danno che sia conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento. Inoltre, se l’inadempimento o il ritardo dipendono da colpa del debitore, ma non da dolo, il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l'obbligazione (art.1225 c.c.).
Per il caso in cui il creditore offra prove sufficienti di avere certamente subito il danno, ma senza che riesca a dare la prova del suo preciso ammontare, il giudice può provvedere alla liquidazione anche con valutazione equitativa (art.1226 c.c.).
Peraltro, nelle obbligazioni pecuniarie, le regole relative all’onere della prova in ordine all’entità del danno per il quale si richiede il risarcimento, sono parzialmente derogate dall’art.1224 c.c.. Difatti dal giorno della mora il debitore che non abbia puntualmente pagato la somma dovuta è tenuto automaticamente (e cioè senza bisogno che il creditore provi di aver sofferto alcun danno) a pagare, in aggiunta al capitale che avrebbe dovuto versare, gli interessi moratori. Ma se il creditore non si accontenta di pretendere gli interessi moratori, ma sostiene di aver subito un danno maggiore (art.1224.2 c.c.), grava su di lui, l’onere di fornire le prove del supposto maggior danno di cui chiede il risarcimento.
La liquidazione del danno si dice convenzionale quando le parti si mettono d’accordo al riguardo; o giudiziale quando il creditore è costretto a richiedere al giudice di stabilire l’importo dovutogli. La liquidazione deve essere diminuita se a determinare il danno ha concorso il fatto colposo del creditore (art.1227.1 c.c.).
Mentre nella mora debendi il ritardo dipende dal comportamento del debitore, nella mora credendi esso dipende dal comportamento del creditore.
Il primo degli effetti della mora credendi consiste nell’impedire che il ritardo nell’adempimento sia addebitato al debitore e che quindi scattino a carico di quest’ultimo le conseguenze pregiudizievoli che deriverebbero dalla mora debendi.
Naturalmente la mora credendi non estingue l’obbligazione e neppure elimina o attenua la responsabilità del debitore, se questi rende impossibile la prestazione per colpa sua, ovvero, cessata la mora del creditore, non provvede ad adempiere.
Tuttavia, se il creditore è in mora, il debitore non deve più gli interessi, né i frutti della cosa e può pretendere il risarcimento dei danni che il comportamento del creditore gli abbia procurato, oltre il rimborso delle eventuali spese sostenute per la custodia e la conservazione della cosa dovuta (art.1207.2 c.c.).
Inoltre, quando il creditore è in mora, è a suo carico il rischio per l’ipotesi che la prestazione divenga impossibile per causa non imputabile al debitore (art.1207.1 c.c.): vale a dire che in tal caso non soltanto il debitore è liberato dell’obbligo, ma il creditore, se il credito deriva da un contratto a prestazioni corrispettive, non può invocare l’art.1463 c.c. e considerarsi a sua volta libero dall’obbligo di eseguire la controprestazione, ma deve egualmente quest’ultima.
Se il debitore non adempie la prestazione dovuta, tutti i suoi beni, sia quelli che aveva al momento in cui sorse l’obbligazione, sia quelli che egli ha successivamente acquistato, possono essere espropriati dal creditore (cioè vende i beni del debitore per soddisfarsi sul danaro ricavato; art.2740 c.c.). Quindi tutto il patrimonio del debitore costituisce la garanzia generica del creditore.
Se vi sono più creditori, tutti hanno uguale diritto di soddisfarsi con il ricavato della vendita dei beni del debitore (art.2741 c.c.). tuttavia, ad alcuni creditori la legge assicura il soddisfacimento a preferenza degli altri.
Le cause legittime di prelazione, sono i privilegi, il pegno e l’ipoteca. Se la cosa soggetta a pegno, ipoteca o a privilegio perisce o è deteriorata, il creditore perde la possibilità di esercitare il diritto di prelazione. Tuttavia, se il debitore si era assicurato contro i danni, si verifica la c.d. surrogazione reale.
Il privilegio è la prelazione che la legge accorda in considerazione della causa del credito (art.2745 c.c.). Alcuni creditori sono, cioè, sono preferiti nella distribuzione di quanto venga ricavato dalla vendita forzata dei beni del debitore, ai creditori chirografari, non assistiti cioè da cause di prelazione. Tra i crediti privilegiati l’ordine di preferenza è stabilito dalla legge.
Il privilegio è generale (su tutti i beni mobili del debitore) o speciale (su determinati beni mobili e immobili) (art.2746 c.c.).
Il privilegio generale non attribuisce il diritto di sequela; il privilegio speciale costituisce un diritto reale di garanzia. Perciò di regola il privilegio speciale sui mobili, a differenza di quello generale, può esercitarsi anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi posteriormente al sorgere del privilegio (art.2747 c.c.).
Tuttavia, in alcuni casi l’esistenza del privilegio è fatta dipendere dalla condizione che la cosa si trovi in un determinato luogo (art.2757 c.c.).
Il pegno è preferito al privilegio speciale sui mobili, il privilegio speciale sugli immobili è preferito all’ipoteca (art.2748 c.c.).
Capitolo 38: I DIRITTI DI GARANZIA (pegno ed ipiteca)
Sia il pegno che l’ipoteca sono diritti reali. La differenza tra pegno e ipoteca, da un lato, e privilegio speciale, dall’altro, consiste in questo: i privilegi sono stabiliti dalla legge per la causa del credito; il pegno e l’ipoteca hanno bisogno di un proprio titolo costitutivo. Mentre il privilegio cade sempre su un bene del debitore, pegno e ipoteca possono essere concessi anche da un terzo (terzo datore di pegno o ipoteca). Sia i, terzo datore che il fideiussore garantiscono il debito di un terzo, ma il fideiussore risponde con tutti i suoi beni, il terzo datore solo con il bene su cui è costituito il pegno o l’ipoteca.
Sia il creditore pignoratizio che ipotecario, qualora la cosa data in pegno o ipoteca perisca o si deteriori, in modo da diventare insufficiente alla sicurezza del credito, può chiedere che gli sia prestata idonea garanzia e, in mancanza, può esigere l’immediato pagamento del debito (art.2743 c.c.).
Il legislatore vuole tutelare il debitore contro il rischio che, confidando di poter riuscire a pagare il debito, accetti di pattuire ex ante, per il caso di mancato adempimento, l’automatico trasferimento in favore del creditore della proprietà del bene concesso in garanzia (non importa se con pegno o ipoteca). Ha perciò sancito la nullità di un simile patto (patto commissorio), senza bisogno neppure di accertare se il valore della cosa ipotecata o data in pegno sia superiore o no all’importo del debito e senza che assuma rilievo se il patto viene stipulato contestualmente al sorgere del debito e alla concessione della garanzia ovvero successivamente (art.2744 c.c.). Naturalmente la nullità si estende pure all’ipotesi in cui le parti si accordino di vendere un bene contro un prezzo (apparente), ma con clausola risolutiva della vendita qualora il venditore restituisca entro un tempo definito l’importo ricevuto.
Si vuole, invece, che la cosa ipotecata o pignorata, se il debitore non paga, sia venduta agli incanti e sul ricavato il creditore si soddisfi nel limite del suo credito: la gara tra gli aspiranti varrà a garantire l’interesse del debitore a che il prezzo sia il più elevato possibile.
Il pegno è un diritto reale su una cosa mobile del debitore o di un terzo, che il creditore può acquistare mediante un accordo con il proprietario (art.2784 c.c.). Oltre ai beni mobili possono essere concessi in pegno crediti, universalità di mobili e altri diritti aventi per oggetto dei mobili. È invece vietato il suppegno, ossia il pegno che abbia per oggetto un altro diritto di pegno (art.2792 c.c.).
Il diritto di prelazione del creditore pignoratizio consiste nel diritto di pretendere che il debitore provveda al pagamento in suo favore prima di quelli dovuti ad altri creditori. La prelazione comporta che , sull’eventuale ricavato della vendita coatta del bene costituito in pegno, il creditore ha diritto di soddisfarsi con priorità rispetto ai creditori chirografari, e ciò perfino se, nel frattempo, la cosa sia stata trasferita in proprietà di terzi (c.d. diritto di sequela), purchè la cosa sia rimasta in suo possesso (art.2787 c.c.).
Scaduta l’obbligazione, se il debitore non adempie spontaneamente, il creditore, per conseguire quanto gli è dovuto, può far vendere coattivamente la cosa ricevuta in pegno (art.2796 c.c.), previa intimazione al debitore (art.2797.1 c.c.); la vendita può essere effettuata alternativamente o ai pubblici incanti, se la cosa non ha un prezzo di mercato, o a mezzo di privati autorizzati. Il creditore può anche domandare al giudice che la cosa gli venga assegnata in pagamento, fino alla concorrenza del loro credito, purchè si provveda previa stima peritale del bene, a meno che questo abbia un prezzo corrente di mercato (art.2798 c.c.).
Un diritto di pegno può essere costituito, mediante un accordo contrattuale, a favore del creditore dal debitore oppure anche da un terzo. La costituzione del pegno potrebbe avvenire, se si guarda solo agli effetti inter partes, perfino con un accordo soltanto verbale. È indispensabile che il pegno sia opponibile ai terzi, ma a questo fine è necessario:
Infine per la costituzione del pegno occorre lo spossessamento del debitore (o del terzo costituente) nel senso che la cosa oggetto del pegno deve essere consegnata al creditore, ovvero ad un terzo di comune fiducia; può anche essere mantenuta in custodia di entrambe le parti, ma a condizione che il costituente sia nell’impossibilità di disporne senza la cooperazione del creditore (art.2786 c.c.).
Per il pegno di un credito occorrono ai fini della prelazione l’atto scritto e la notifica della costituzione al debitore o l’accettazione da parte si quest’ultimo con un atto di data certa (art.2800 c.c.).
Gli effetti che la costituzione del pegno produce sono:
L’ipoteca è un diritto reale di garanzia, che attribuisce al creditore il potere di espropriare il bene (diritto di sequela) sul quale l’ipoteca è costituita e di essere soddisfatto con preferenza (art.2808 c.c.).
L’ipoteca presenta, in comune con il pegno, i seguenti ulteriori requisiti:
Non esistono ipoteche occulte (pubblicità), chiunque deve essere in grado di conoscere se un bene è o no ipotecato, per regolarsi se gli conviene acquistarlo o concedere credito al proprietario del bene.
L’ipoteca si costituisce soltanto dopo che l’iscrizione sia stata effettivamente eseguita.
Oggetto d’ipoteca possono essere gli immobili con le loro pertinenze, i mobili registrati e le rendite dello Stato (art.2810.2 c.c.) e i diritti reali di godimento su beni immobili escluse le servitù (art.2810 c.c.). Anche la quota di un bene indiviso può formare oggetto di ipoteca. Poiché la cosa accessoria segue il destino della cosa principale, l’ipoteca si estende ai miglioramenti, alle costruzioni e alle altre accessioni dell’immobile ipotecato (art.2811 c.c.).
L’ipoteca può essere iscritta in forza di una norma di legge (ipoteca legale), in forza di una sentenza (ipoteca giudiziale) o in forza di un atto di volontà del debitore (ipoteca volontaria) o di un terzo, che la costituisce a garanzia del debito altrui (terzo datore d’ipoteca).
In alcune ipotesi previste dalla legge, l’ipoteca legale attribuisce a determinati creditori, il diritto di ottenere unilateralmente, e perciò senza o anche contro la volontà del debitore, l’iscrizione dell’ipoteca sui beni del debitore stesso. Anche in questo caso l’ipoteca nasce se non è scritta.
L’ipoteca legale spetta (art.2817 c.c.):
Questi due tipi di ipoteche presentano due caratteristiche:
Di regola il creditore, anche pecuniario, non ha diritto di chiedere unilateralmente l’iscrizione di un’ipoteca a carico di beni del debitore e a garanzia del suo credito, anche quando già scaduto ed esigibile. Tuttavia il legislatore gli concede un siffatto diritto quando ottenga una sentenza esecutiva che condanni il debitore a pagargli una somma di denaro ovvero un risarcimento di danni da liquidarsi successivamente (art.2818 c.c.). Vale a dire che in tal caso il creditore, presentando al Conservatore dei registri immobiliari copia autentica della sentenza, ha diritto di ottenere l’iscrizione dell’ipoteca su un qualsiasi bene immobile appartenente al debitore, senza bisogno che risulti il consenso di quest’ultimo ed anzi anche ove questi si opponga.
L’ipoteca volontaria può essere iscritta in base a contratto o anche a dichiarazione unilaterale del concedente, ma non per testamento. Nell’atto devono essere contenute le indicazioni idonee ad individuare l’immobile su cui si concede ipoteca (art.2826 c.c.). Legittimato alla concessione è il proprietario del bene.
L’ordine di preferenza tra le varie ipoteche è determinato dalla data di iscrizione. Ogni iscrizione riceve un numero d’ordine che determina il grado dell’ipoteca (art.2853 c.c.). Non è vietato lo scambio del grado tra creditori ipotecari, purchè esso non leda i creditori aventi gradi successivi. La surrogazione nel grado ipotecario può avvenire anche in forza di legge, quando si verificano i presupposti indicati nell’art.2856 c.c. (surrogazione del creditore perdente).
La pubblicità ipotecaria si attua mediante i seguenti atti: iscrizione, annotazione, rinnovazione, cancellazione.
L’iscrizione è l’atto con il quale l’ipoteca prende vita. Essa si esegue nell’ufficio dei registri immobiliari del luogo in cui si trova l’immobile (art.2827 c.c.).
L’iscrizione del credito fa collocare nello stesso grado, oltre il credito principale, i seguenti crediti accessori:
L’annotazione serve a rendere pubblico il trasferimento dell’ipoteca a favore di un’altra persona. Essa (che si esegue in margine all’iscrizione) ha efficacia costitutiva: la trasmissione o il vincolo dell’ipoteca non ha effetto finchè l’annotazione non sia eseguita.
Un’altra vicenda che può subire l’ipoteca è la riduzione, che ha luogo quando il valore del bene risulta eccessivo rispetto al credito garantito (artt.2872-2877).
L’iscrizione dell’ipoteca conserva il suo effetto per 20 anni dalla sua data (artt.954, 970, 1014.1, 1073 c.c.).
La rinnovazione serve appunto ad evitare che si verifichi l’estinzione dell’iscrizione: essa deve eseguirsi prima che i 20 anni dall’iscrizione siano decorsi, altrimenti l’ipoteca si può di nuovo iscrivere, purchè il titolo all’iscrizione conservi la sua efficacia, ma essa prende grado dalla nuova iscrizione: perciò, se nel frattempo qualche creditore ha iscritto altra ipoteca, sarà preferito a colui che non ha curato a tempo debito la rinnovazione (art.2848 c.c.).
La cancellazione estingue l’ipoteca e ha luogo di regola quando il credito è estinto o quando il creditore rinunzia all’ipoteca (art.2882 c.c.). La cancellazione può essere consentita dal creditore oppure essere ordinata dal giudice: in questo caso, peraltro, la cancellazione non può essere effettuata, se la sentenza non è passata in giudicato.
Il terzo acquirente è esposto all’espropriazione del bene soltanto per averlo acquistato nonostante che vi fosse ipoteca. Perciò la legge, senza sacrificare i diritti del creditore, gli consente di evitare l’espropriazione esercitando a sua scelta una delle seguenti facoltà:
Il terzo datore non può dire al creditore di fare espropriare prima i beni del debitore e poi quello ipotecato (art.2878 c.c.). Se paga i crediti iscritti o subisce l’espropriazione, può rivolgersi contro il debitore per farsi rimborsare (diritto di regresso: art.2871 c.c.).
Le cause estintive dell’ipoteca sono indicate nell’art.2878 c.c.. L’estinzione dell’ipoteca colpisce lo stesso diritto di ipoteca. Dato il carattere accessorio dell’ipoteca, se si estingue il credito per prescrizione, si estingue anche l’ipoteca e se ne può ottenere la cancellazione. L’ipoteca può formare anche oggetto di rinunzia.
Come sappiamo, il patrimonio del debitore costituisce per il creditore la garanzia del soddisfacimento delle obbligazioni contratte dal debitore stesso (art.2740 c.c.).
Per impedire che il patrimonio del debitore possa subire diminuzioni che incidano sulla garanzia anzidetta, la legge dà al creditore la facoltà di sperimentare dei rimedi, volti ad assicurare la conservazione di tale garanzia: si tratta dell’azione surrogatoria (art.2900 c.c.), dell’azione revocatoria (artt.2901-2904 c.c.) e del sequestro conservativo (artt.2905-2906 c.c.).
Qualora il patrimonio del debitore divenga insufficiente a garantire il soddisfacimento di tutti i suoi creditori, la legge consente che ciascun creditore possa surrogarsi al debitore inattivo per esercitare i diritti e le azioni che gli spettano.
Perché si possa esperire un’azione surrogatoria, non basta l’inerzia del debitore, ma occorre che da questa inerzia derivi un pregiudizio per i creditori, pregiudizio consistente nel rendere insufficiente la garanzia generica dei creditori, costituita dal patrimonio del debitore.
Solo i diritti patrimoniali concorrono a formare la garanzia generica del creditore.
Qualora il debitore dovesse compiere atti che diminuiscono il suo patrimonio fino a renderlo insufficiente a garantire il soddisfacimento dei diritti di tutti i suoi creditori, ovvero dovesse compiere atti che, pur non diminuendo il patrimonio, diminuiscono la garanzia dei creditori, a questi ultimi è concesso il rimedio dell’azione revocatoria. Per l’esperimento dell’azione revocatoria si richiedono i seguenti presupposti (art.2901 c.c.):
L’onere di provare la consapevolezza dell’acquirente spetta a chi agisce in revocatoria.
Il negozio simulato non è voluto dalle parti; il negozio concluso in frode ai creditori è, invece, voluto, ancorchè vi sia, in chi lo mette in essere, la consapevolezza di pregiudicare i creditori. Es: se Tizio, essendo oberato di debiti, per sfuggire all’esecuzione da parte dei propri creditori, si mette d’accordo con il suo amico Caio, stipulando un contratto che in realtà nessuno dei due vuole realmente, ma che è volto a far apparire che il primo vende al secondo i suoi beni, ma in realtà Caio non sborsa un soldo, Tizio rimane in possesso dei suoi beni e continua a percepirne i frutti, il negozio è simulato. Se, invece, Tizio vende effettivamente i suoi beni a Caio, si ha un negozio in frode ai creditori.
L’azione revocatoria non rende affatto invalido l’atto. Essa non ha effetto restitutorio: il bene non ritorna nel patrimonio del debitore. L’inefficacia dell’atto giova solo al creditore che abbia agito, eliminando il pregiudizio che si era creato ai suoi danni: di essa non potrebbe avvalersi né il debitore, né gli altri creditori , né il terzo.
Nel caso in cui, chi ha acquistato dal debitore ha disposto a sua volta del bene oggetto del negozio fraudolento a favore di terzi (subacquirenti), la legge non accorda alcuna protezione all’acquisto a titolo gratuito, perché ritiene più giusto evitare il pregiudizio al creditore. Se invece, l’acquisto è a titolo oneroso, allora creditore e terzo si trovano alla pari: entrambi vogliono evitare un pregiudizio.
La legge inoltre protegge l’affidamento che i terzi, ignari della frode, e quindi, in buona fede, hanno fatto sull’efficacia del precedente contratto.
I creditori, se esercitano l’azione revocatoria, devono dimostrare che il credito è anteriore all’atto in frode e in ogni caso che questo ha arrecato loro pregiudizio: nell’azione di simulazione, ciò non è necessario.
Differenza tra l’azione surrogatoria e la revocatoria: l’una ha per presupposto l’inerzia del debitore nell’esercizio di un diritto, l’altra il compimento di un atto pregiudizievole per i creditori.
Il sequestro conservativo è una misura preventiva e cautelare, che il creditore può chiedere al giudice, quando ha fondato timore di perdere le garanzie del proprio credito (art.2905 c.c.).
Il sequestro ha per scopo di impedire la disposizione del bene da parte del debitore (art.2906 c.c.), che viene colpito con sanzioni penali, se sottrae o danneggia i beni sequestrati.
Il diritto di ritenzione è il diritto di rifiutare la consegna di una cosa di proprietà del debitore, che il creditore detiene, fin quando il debitore non adempia all’obbligazione, connessa con la cosa.
Il diritto di ritenzione è consentito soltanto nei casi espressamente previsti.
Fonte: http://studiando.altervista.org/UNIVERITY/1anno/PRIVATO/riassunto%20del%20torrente.doc
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