Dispensa catechista oggi

Dispensa catechista oggi

 

 

 

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Dispensa catechista oggi

Navigando in internet alla ricerca di materiali sulla catechesi mi sono imbattuto nella simpatica immagine che riporto qui sotto.

Da quel giorno l’ho usata spesso per introdurre i miei corsi di formazione sulla catechesi, secondo la logica della pro-vocazione. Come sono solito fare, inviterei chi legge a una breve analisi iconografica dell’immagine…

Per prima cosa osserviamo la persona sulla sinistra, l’adulto.

  • Ha un’aureola in testa: segno che si tratta di una santa persona.
  • Tiene sul petto un libro: qualcosa che gli sta a cuore, a cui tiene; trattandosi di catechesi potrebbe essere una Bibbia o il testo del Catechismo.
  •  Ha un passo spedito e deciso verso una direzione che sembra conoscere bene.

Passiamo ora a osservare il bambino.

  • È proteso verso una palla che è costretto ad abbandonare: cosa può rappresentare quel pallone? Gioco, divertimento, gioia, amicizia, movimento,…
  • È tirato via dall’adulto che lo strattona con forza.

Ultimo appunto: gli sguardi dei due non si incontrano, hanno direzioni opposte.

Si tratta di un segnale di pericolo! Se chi l’ha realizzato voleva indirizzare una provocazione alla Chiesa, ha comunque lanciato uno stimolo molto interessante a noi catechisti. Non intendo dire con questo che la catechesi è qualcosa di pericoloso, noioso, distante dai desideri e bisogni di un bambino, ma che spesso genitori e ragazzi la percepiscono come tale. Perché?

 

PRIMA DI TUTTO IL CATECHISTA. Questa dispensa vuole aiutarci a riflettere sulla figura del catechista e al suo stile di annuncio. Basterebbe citare l’ultimo articolo, il n. 200, del Documento Base ‘Il Rinnovamento della Catechesi’ per comprenderne l’importanza:‘l’esperienza catechistica moderna conferma ancora una volta che prima sono i catechisti e poi i catechismi; anzi, prima ancora, sono le comunità ecclesiali’. “Prima sono i catechisti” (non secondario il riferimento alla comunità che riprenderò nel prossimo capitolo), è l’invito a una rinnovata mentalità nel riconoscere il proprio ruolo e servizio pastorale. Lo stile che ci propone il segnale di pericolo non può essere preso a modello, eppure rappresenta quella che a volte è una comune tentazione: come catechisti siamo brave persone che si impegnano per i più piccoli, ma questo non ci rende immuni dal rischio di cadere in un approccio trasmissivo, da insegnanti che devono condurre quelle pecorelle smarrite sulla buona strada, con le buone o con le cattive… è per il loro bene, per la loro salvezza! Bambini e ragazzi sono considerati soggetti da istruire, cui passare contenuti fondamentali per la loro vita. Eppure, da cristiani abbiamo una ben precisa visione dell’uomo! L’uomo non è una tabula rasa, un contenitore vuoto da riempire, ma una creatura divina, in grado di decifrare, interpretare, sentire la realtà ed entrare in contatto profondo con essa. Una ‘creatura creatrice’, in grado di mettere in atto azioni significative per ‘innestare’ la realtà, per trasformarla sempre più ad immagine e somiglianza di Dio. Allora, ogni bambino porta in sé un dono, dei talenti, un frammento di Dio che va accolto e fatto fruttare, non messo sotto terra per paura che possa andare perso (Mt 25, 14-29).

 

CAMBIARE SISTEMA OPERATIVO. A volte, purtroppo, il rapporto tra la Chiesa e i ragazzi si è concentrato più sull’insegnare che sull’educare: all’insegnamento corrisponde l’istruzione – decifrare, catalogare e rinnovare segni già condivisi -; all’educazione invece, corrisponde l’iniziazione, ovvero, l’avvicinarsi a simboli per scoprire i fili dell’esistenza, i vincoli e le relazioni antiche e nuove che ci fanno essere persone.

L’iniziazione cristiana non può limitarsi all’insegnamento di contenuti di fede. I bambini non possono essere trattati alla stregua di appendici dei nostri saperi, come destinatari di lezioni ben preparate ma distanti del loro innato bisogno spirituale, che quindi non va generato. Come ci ricorda l’autore appena citato, José Luis Moral dell’Università Pontificia Salesiana, primo compito dell’educatore non è tanto quello di far maturare nel ragazzo la fede in Dio, ma di far percepire che Dio ha fede in lui. È un cambio di prospettiva, di mentalità, di sistema operativo.

Era il penultimo anno di scuola, l’estate che precedeva la terza liceo. Era la stessa ora del pomeriggio quando rientrato dal mare ci si sdraiava al fresco. Stavo all’ombra di un vecchio fico carico di frutti, leggendo per la prima volta il vangelo di Giovanni. [Segue il passo che narra l’incontro tra Gesù e Natanaele (Gv 1, 43-51)] Come fossi io Natanaele, mi sentii guardato da molto lontano. Da quel momento io sono entrato nella schiera di chi ha fede. Io credo non perché vedo, ma perché sono stato visto. C’è un occhio che sta dietro ad antiche parole e aspetta che ne sollevi la palpebra. Poggiai il libro sulle ginocchia e pronuncia il mio nome.

Allora è necessario rivedere il nostro stile di annuncio, puntando il nostro sguardo sul Maestro Gesù.

 

SULLA STRADA DI EMMAUS

 ‘Educatore è colui che genera senza possedere, che ama senza trattenere, che si mette a fianco senza tirare’. Definizione ben diversa da quella suggerita dal segnale di ‘pericolo catechismo’, dove il bambino veniva tirato via.

Passiamo allora ad un'altra immagine, ad un'altra icona, quella che i vescovi nell’Assemblea C.E.I. del maggio 2011 ci invitano a meditare: l’episodio dei discepoli di Emmaus (Lc 24, 13-35). Essa rappresenta uno stile d’annuncio ben diverso che richiama i tre verbi appena citati: generare, amare, mettersi a fianco.

L’episodio ha inizio con i due discepoli che stanno per tornare a casa, ad Emmaus, lasciando alle loro spalle Gerusalemme, dove è stata appena compiuta l’uccisione di Gesù. Non lasciano alle loro spalle solo un maestro: tutti i loro sogni, speranze, desideri sono ora appesi a quella croce sul Golgota… tornano a casa tristi, delusi, amareggiati. Non è forse la sensazione che abbiamo a volte anche noi catechisti quando le cose non vanno come vorremmo? Ci siamo spesi per Gesù, lo abbiamo fatto con dedizione, ma non si vede il frutto dei nostri sforzi e si perde la speranza. Spesso sento dire:‘quest’anno è l’ultimo in cui faccio la catechista, poi mi prendo un anno sabbatico e si vedrà!’. I due di Emmaus stanno per compiere un grave errore: stanno per rinchiudersi in un luogo che dà loro sicurezza e protezione, ma che può rivelarsi la loro gabbia - gabbia dorata ma pur sempre una gabbia. Una gabbia in cui fermarsi. Per fortuna interviene qualcosa… anzi, qualcuno: Gesù. Bella questa immagine di Dio che viene in cerca dell’uomo. Anche qui paradossalmente, non è tanto l’uomo ad essere in cerca di Dio ma Dio che cerca l’uomo per amore. Emblematici i mosaici di Monreale che raffigurano questo evento: Gesù è vestito con calzari, ha una bisaccia e un bastone: è un pellegrino in cerca dell’uomo. Gli occhi e il cuore dei due, accecati e impietriti dalla tristezza e dalla rassegnazione, non sono in grado di riconoscerlo. Gesù li affianca e gli pone una domanda. Una domanda! È lo stile inconfondibile di Gesù, quello di pro-vocare l’altro, di far emergere da lui ciò che lo turba, che lo interroga, per generare una risposta. Di fronte all’ottusità dei due, che non comprendono il perché della sua morte, della sua donazione totale, Gesù non fa altro che rinarrare i brani biblici in grado di dare un senso a quel tragico episodio. Non si mette in cattedra per insegnare, in-signum, etimologicamente mettere dentro all’altro un segno, ma narra per e-vocare, chiamare fuori, risvegliare la loro fede.

Arrivati a Emmaus Gesù tira dritto per la sua strada. Sta facendo apposta per farsi chiamare? Vuole mettere alla prova i due discepoli? Essenzialmente vuole che siano liberi di chiamarlo o di lasciarlo andare. Ciò che sta a cuore a Dio è la libertà dell’uomo. La fede è sempre una risposta libera e personale. Dio ama ma senza trattenere. Non può mai sostituirsi all’uomo, per non fargli perdere la sua dignità, la sua libertà… di fronte ad essa Dio è quasi impotente. I due lo chiamano e gli chiedono di fermarsi con loro, visto che è tardi ormai. Gesù si siede a tavola e, nello spezzare il pane, scompare! In quello stesso istante gli occhi dei due si aprono e lo riconoscono, ma è un istante, lui non è più visibile. È la realtà che sperimentiamo anche noi. Gesù non lo vediamo ma i nostri occhi possono essere in grado di riconoscerlo e, come i discepoli di Emmaus, se facciamo memoria della sua Parola sentiamo il nostro cuore che si scalda, si accende (secondo una traduzione più corretta). Prima tira diritto… ora scompare! Perché? Perché l’uomo è libero, ma anche Dio è altrettanto libero nei suoi confronti, altrimenti sarebbe solo un idolo. Una vera relazione educativa è un rapporto tra due libertà. “Genera senza possedere”… ora che ha risvegliato in loro la fede, che ha riaperto i loro occhi e acceso il loro cuore, spetta loro proseguire la missione. Del resto, Gesù non è venuto per cambiare il mondo, ma per cambiare l’uomo! Per trasformare il cuore di pietra in un cuore di carne (Ez 11, 19; Ez 36, 26). Ora che i discepoli l’hanno riconosciuto, ora che il loro cuore è stato risvegliato dalla forza della Parola, sentono il desiderio e la necessità di andare a testimoniare che Cristo è veramente risorto! Tornano a Gerusalemme, dove incontreranno nel cenacolo i discepoli ai quali in quei giorni Gesù era apparso.

Cosa ci suggerisce questo racconto? Prima di tutto che il catechista è necessariamente un testimone: qualcuno che ha incontrato Dio lungo la sua strada, l’ha riconosciuto e ha accolto la sua Parola; questo incontro l’ha cambiato (perché se c’è stato un incontro vero con Dio non si può restare gli stessi), facendo sorgere in lui il desiderio di condividere con altri la sua gioia. “Colui che abbiamo veduto e sentito lo annunziamo a voi, affinché anche voi abbiate comunione con noi. La nostra comunione è con il Padre e con il suo Figlio Gesù Cristo. E noi scriviamo queste cose affinché la nostra gioia sia piena” (1Gv 1, 3-4). Di cosa parla il catechista ai suoi bambini e ragazzi? Prima di tutto del suo incontro con Dio, di quando l’ha riconosciuto nella sua vita, di come la sua Parola l’ha trasformato. Il catechista non è tanto uno che racconta storielle, ma è essenzialmente uno che racconta la sua storia di salvezza. In questo modo il suo annuncio diventa credibile. Ricordo che catechesi deriva dal verbo greco Katechèin, far risuonare, far echeggiare una parola. Quale parola? Quella che custodisco dentro di me, quella che ho incontrato, che mi ha aperto gli occhi, ha scaldato il mio cuore. Credo profondamente che ogni individuo sia costituito dalle parole che ospita in sé. L’uomo può decidere quali parole ospitare. Le parole come uccelli possono volare verso di noi e fare il nido tra i nostri rami, ma spetta a noi decidere quali fare annidare, e quali no. Ospitare è una bellissima parola in italiano per i due significati che ha. Nell’uso comune l’ospite è ‘colui che viene accolto’, ma nel suo significato originario s’intendeva ‘colui che accoglie.’ Questo ci permette di dire che l’uomo può ospitare la Parola che viene a cercarlo (è un essere visitato), a interrogarlo, ma è in grado di annunciarla solo quando si lascia ospitare da essa.

1 STORIA – 3 STORIE

In particolare, il catechista dovrebbe prendersi a cuore e dare voce non ad una ma a tre storie:

  • la Storia della Salvezza, contenuta e rivelata nella Parola di Dio;
  • la propria storia, l’incontro con Dio fatto dal catechista, quella Parola che abita in lui, che lo ha trasformato e con cui è in dialogo;
  • la storia dei ragazzi, che deve acquistare senso, essere illuminata dalla due storie precedenti, per orientare la propria vita verso un progetto, un alleanza, innestandola nella Storia della Salvezza.

E se in un incontro mi trovo a raccontare di una Parola che non ho ancora ospitato nella mia vita? Suggerisco di non parlarne, non saresti credibile… ci si ridurrebbe magari a dei bei discorsi, delle belle parole, ma povere di vita per fecondare i cuori altrui. Allora? Siamo esseri imperfetti e ci sono parole che ancora non siamo in grado di ospitare, di incarnare nella nostra vita. Tuttavia, non ci siamo solo noi, c’è una comunità. Non posso parlare di Provvidenza se non l’ho mai sperimentata, ma, solo a titolo di esempio, potrei invitare quella giovane coppia di sposi che, pur senza lavoro e certezze ma ricchi di speranza e di amore, si sono sposati e poi, ‘come per miracolo’, tutto si è sistemato. Faccio fatica ad ospitare nella mia vita il perdono, ma conosco quell’amico che ha saputo perdonare suo fratello per un grave torto subito, dopo un intenso percorso di conversione, e da allora si è liberato di un peso enorme ed è nella goia. E così via…

Il catechista non parla per sentito dire, non spiega formule o regole di vita, non fa morale cristiana… racconta la sua storia, di quella volta che ha incontrato Gesù, e della storia d’amore che ne è seguita. I nostri bambini e ragazzi non desiderano risposte pre-confezionate, che sanno di naftalina. Anche a noi non è tanto chiesto di dare risposte ma di trovare le domande giuste da fare per pro-vocare l’altro, e narrare ciò che è in grado di e-vocare in lui la speranza e la salvezza. Non tanto dare risposte ma essere una risposta.

Oggi purtroppo, per motivi anche storici, la catechesi si è fatta sempre più teo-loghia, una scuola dove ascoltare pensieri su Dio. Per belli e ben strutturati che siano non può ridursi a questo  l’annuncio. Si è smesso di narrare storie di salvezza, le uniche in grado di pro-vocare nei ragazzi una risposta di vita, ed e-vocare quei doni che in essi sono celati ma presenti per poter riconoscere Gesù e lasciarsi da Lui ospitare.

 

Analizziamo di seguito alcune competenze e attenzioni che un buon catechista dovrebbe avere nell’instaurare una buona relazione di annuncio con i suoi bambini.

 

COME COMUNICO CON IL GRUPPO

La comunicazione è determinante per chi, come un catechista, ha il compito di far conoscere e appassionare bambini e ragazzi alla figura di Cristo. Se inoltre teniamo conto del primo assioma della comunicazione umana, per cui “non si può non comunicare, e al contrario, tutto è comunicazione”, si comprende bene come un educatore è comunicativo in tutto quello che dice e non dice, in tutto quello che fa e non fa. Essere sempre comunicativi implica che si è sempre educatori o al contrario dis-educatori, in quanto non si fa che comunicare in ogni momento messaggi, sensazioni, giudizi, stati d’animo che possono  gratificare e sostenere il percorso dei ragazzi, o al contrario, ostacolarlo e disturbarlo con atteggiamenti incoerenti all’obiettivo che ci eravamo posti.

  • Per prima cosa un catechista si preoccupa di usare un linguaggio chiaro, semplice, evitando espressioni e termini per i ragazzi poco significativi o distanti, freddi.
  • Anche il corpo è bene che accompagni la comunicazione e sia coerente con essa: la cosiddetta comunicazione non verbale. Come posso del resto comunicare ad un bambino che Gesù è gioia, è vita, se lo guardo con un volto torvo e scocciato, annoiato, oppure innervosito.
  • Di fronte a provocazioni o atteggiamenti di disturbo meglio evitare di sfidare l’altro, di urlare, di usare giudizi svalutanti sulla persona, di minacciare. Ogni bambino o ragazzo è sempre un profondo mistero, difficile da giudicare ed analizzare. Questa la sfida: “amare qualcuno significa vederlo com’è nelle intenzioni di Dio” (F. Dostoevskij). Far in modo che sbocci quel bene che è presente in lui, senza farlo chiudere in sé, senza accettare il suo gioco provocatorio, valorizzando il positivo più che sottolineandogli il negativo.
  • Comunicare è anche saper modulare i toni della voce se narro, se proclamo, se testimonio, così da non rendere monotono il raccontare.
  • Saper rendere visibile il proprio pensiero: usando esempi, metafore, aneddoti.
  • Ricordarsi che, soprattutto con i bambini, è molto più importante ciò che si meta-comunica che ciò che si comunica: difficile far loro percepire l’importanza di alcuni gesti, momenti, strumenti, se non ne sottolineo il valore con i miei diversi atteggiamenti, predisponendo in modo diverso lo spazio, modulando diversamente la voce, prestando maggiore attenzione o cura a dei particolari. Ad esempio: è difficile comprendere cognitivamente che la Bibbia è più di un libro se ne uso una rovinata e scarabocchiata, se la tengo a parte in una libreria, se la maneggio senza cura.

COME AIUTO IL GRUPPO A COMUNICARE

Un buon catechista è attento al gruppo e al tempo stesso ad ogni suo componente. È convinto che la riuscita di un incontro dipenda molto anche dal clima, dall’atmosfera, dal benessere che si vive nello stare insieme. Egli è un attento osservatore, vede le dinamiche e le relazioni che maturano tra i ragazzi e la rete di relazioni che coinvolgono i singoli. “Ogni gruppo richiede un equilibrio tra il soddisfacimento dei bisogni individuali e il raggiungimento degli obiettivi generali”. Tiene dunque, sullo stesso piano, la crescita e il cammino del gruppo e la crescita del singolo con il raggiungimento dei suoi bisogni individuali: l’essere accolto, ascoltato, valorizzato, compreso.

Il catechista vede, osserva, ma allo stesso tempo è un facilitatore della comunicazione nel gruppo, stimola i ragazzi senza forzarli, valorizzando tutti.

  • Dà la precedenza ai ragazzi e non al programma, nella consapevolezza che solo in un gruppo dove tutti sono valorizzati e accolti, il contenuto può essere efficacemente interiorizzato.
  • È attento a tutti, alle loro sensazioni, stati d’animo, al loro modo di comunicare attraverso il canale verbale e non-verbale.
  • Sa cogliere il clima del gruppo e di conseguenza dosare attività e contenuti in funzione di questo.
  • Incoraggia bambini e ragazzi a esprimersi, a comunicare emozioni, pensieri, a formulare domande.
  • Usa apposite tecniche di comunicazione di gruppo per facilitare il confronto e lo scambio reciproco, garantendo ad ognuno di partecipare, di co-definire i contenuti finali, di essere ascoltato.

 

COME GUIDO IL GRUPPO E LO AIUTO A FARE CHIAREZZA

Compito del catechista è guidare i ragazzi a scoprire il mistero di Cristo. E’ una guida che condivide con loro il viaggio, una bussola fedele e sincera necessaria per orientarsi. Durante l’incontro ci sono momenti in cui il catechista si pone in ascolto dei ragazzi, li stimola ad esprimersi, raccoglie il loro punto di vista e le esperienze. Come sappiamo, però, non può limitarsi a questo ma gli è chiesto di orientare la vita dei ragazzi a Cristo. “Il centro vivo della fede è Gesù Cristo. Solo per mezzo di Lui gli uomini possono salvarsi; da Lui ricevono il fondamento e la sintesi di ogni verità; in Lui trovano la chiave, il centro e il fine dell’uomo nonché di tutta la storia umana”. È guida colui che separa, che fa chiarezza, che orienta il cammino dei ragazzi verso l’incontro con Gesù, che aiuta a guardare la realtà e la propria vita alla luce della Storia della Salvezza.

  • Sintetizza i pensieri dei ragazzi per cogliere quegli elementi in grado di orientare verso il messaggio chiave dell’incontro.
  • Aiuta a visualizzare il percorso che si sta intraprendendo, chiarendo i passaggi e motivando le scelte.
  • Sa far risaltare un aspetto della figura di Cristo all’interno di ogni tema trattato, ponendolo come modello per ogni cristiano.
  • Dà indicazioni, stimola la ricerca di alternative nel superare problemi, nel migliorare i comportamenti di gruppo e quelli individuali.
  • Aiuta a riflettere sugli obiettivi raggiunti e a confrontare la propria vita con la Parola di Vita.
  • Fa chiarezza rispetto a quanto ascolta dai ragazzi e chiede se ciò che lui comunica è chiaro.

IL METODO

Il catechista è una persona che ha fatto esperienza di Cristo e desidera che anche i suoi ragazzi possano farla, coinvolgendo tutta la loro persona, entusiasmandoli, incuriosendoli. È allora attento al metodo per evitare incontri noiosi, scolastici, dove i ragazzi sono passivi e poco responsabilizzati. Oggi siamo anche consapevoli che i bambini e i ragazzi che abbiamo di fronte, rispetto alle generazioni passate, hanno una capacità attentiva molto ridotta: si stimano 6-7 minuti di concentrazione su di uno stesso stimolo, abituati nella quotidianità a gestirne molti insieme e che variano frequentemente. Questo ci richiede di impostare il nostro incontro alternando strumenti diversi: un gioco, un dialogo, un racconto, un’attività manuale, delle immagini,… Il tutto mantenendo un sano spirito di scoperta, di avventura, nel percorrere un percorso dove nulla è scontato e gli stessi esiti mai del tutto definiti anche per il catechista, perché si co-determinano con il gruppo.

  • Usa tecniche di animazione per stimolare il gruppo, per creare un clima positivo e partecipativo.
  • Alterna momenti insieme a fasi in piccoli gruppi, per facilitare il confronto e lo scambio in contesti più protetti e meno ansiogeni per chi si racconta o espone un suo parere.
  • La sua catechesi è esperienziale, facendo vivere ai ragazzi delle esperienze concrete sia dentro che fuori la stanza dell’incontro.
  • Cura lo spazio dell’incontro e lo usa in modo differenziato per aiutare il gruppo a disporsi nel modo giusto nel vivere le varie proposte educative.
  • Fa uso di materiali e propone ai ragazzi di usarli per realizzare attraverso la loro creatività dei prodotti su cui riflettere e confrontarsi, o da mostrare e condividere con la comunità.
  • Riconosce nel gioco e nella narrazione due importanti ed efficaci strumenti didattici per coinvolgere bambini e ragazzi e aiutarli a fare memoria d’importanti contenuti di fede.

COME FARLI SENTIRE COINVOLTI E AMATI.

Scriveva don Bosco nella sua lettera da Roma del 10 maggio 1884: ”Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati”. Ancora si sottolinea l’importanza di ciò che si meta-comunica loro più di quello che si dice apertamente: fare percepire, cioè, con le nostre attenzioni, atteggiamenti, con i nostri sguardi e lo stile educativo, che abbiamo a cuore i ragazzi uno ad uno, ognuno con le sue specificità.

  • Il catechista chiama per nome ogni bambino e ragazzo, li saluta e gli sorride, li ringrazia e se occorre sa anche scusarsi con loro.
  • Cura l’accoglienza a ogni incontro dedicando un momento tutto per loro, per comunicare la gioia di rivederli e di trascorrere del tempo insieme. Al termine dell’incontro si preoccupa di salutarli in un clima di festa, con un sorriso in volto: è la sensazione che rimane e portano con sé, è ciò che ricordano e li prepara al prossimo appuntamento.
  • Chiede pareri, informazioni ai ragazzi, coinvolgendoli anche nel definire insieme il percorso educativo, chiede aiuto e collaborazione e sa valorizzarne i suggerimenti.
  • Mostra attenzione alla loro vita, agli eventi e alle situazioni che si trovano a vivere, gioendo con loro per i successi ottenuti e trasmettendo calore e vicinanza verso chi vive momenti di sconforto.
  • Non si fa problemi nel rendere partecipi i ragazzi delle proprie emozioni: è parte del nostro testimoniare loro la gioia e la bellezza di un incontro, così come condividere la luce della resurrezione dopo aver vissuto momenti intensi di croce.
  • Incoraggia i ragazzi e mostra loro apprezzamento rispetto a quanto esprimono o fanno.
  • Si preoccupa di essere festa, gioia per i ragazzi, prima di far loro feste. Allo stesso tempo sa anche organizzare momenti conviviali, di allegria e svago, da trascorrere insieme all’interno e al di fuori dell’incontro catechistico.

LA PROPRIA CRESCITA UMANA E SPIRITUALE.

Un catechista prima di amare i propri ragazzi ama Cristo, fonte di quell’amore che può riversare su chi gli è affidato, fonte di quella forza in grado di superare i momenti di scoraggiamento e gli inevitabili fallimenti, che sono sfida per crescere e migliorare nel servizio della carità educativa. È da qui che nasce il desiderio di invocare l’aiuto e la protezione di Dio sui nostri ragazzi, la Sua benedizione. Bene-dire, dire bene, apprezzare la realtà, i ragazzi che abbiamo, noi stessi, sottolineando il bene, ringraziando per questo. Nella benedizione le parole divengono realtà, ci si trasforma, ci si ri-crea al bene, si risorge, uscendo dai sepolcri del pessimismo, del risentimento, del senso di incapacità o dall’orgoglio personale.

  • Il catechista prega per i bambini e i ragazzi che gli sono affidati. Ringrazia Dio per loro, dono per la sua stessa salvezza, e chiede aiuto per svolgere sempre al meglio questo delicato ma appassionante servizio.
  • Ha confidenza con Dio attraverso la Parola, la preghiera, i sacramenti. Solo sperimentando quotidianamente l’incontro con Lui il catechista può essere testimone autentico di fronte ai ragazzi e guidare anche loro a questo incontro speciale.
  • Dedica tempo alla preparazione dell’incontro, come atto d’amore verso Dio e i ragazzi.
  • Sa riconoscere i suoi errori, ma non si arrende, perché sa vederli come sfide per migliorare e fare sempre meglio, trasformandoli in opportunità.
  • Non si prende troppo sul serio, riconoscendo i propri limiti, impegnandosi nel formarsi e accrescere le proprie competenze educative.
  • È in comunione con gli altri catechisti e il parroco, collabora con loro, perché il progetto al quale si è chiamati supera ognuno e tutti si agisce non per proprio conto ma in nome e per conto di Cristo, della Chiesa, di una comunità.

 

UNA GRIGLIA DI AUTOVALUTAZIONE.

Viene proposta di seguito una griglia attraverso la quale autovalutarsi. Un consiglio: individuati più punti deboli, non pensiamo di poterli correggere subito tutti, cosa che può risultare difficile, demotivante e poco efficace; meglio concentrarsi su uno o massimo due che riteniamo in quel momento più rilevanti, e poi, visti i progressi, passare ad altri, per favorire un cambiamento reale e percepibile.

 

GRIGLIA DI AUTOVALUTAZIONE DEL CATECHISTA

 

COME COMUNICO CON IL GRUPPO

Valore da 1 a 3*

Uso un linguaggio chiaro e semplice

 

Evito espressioni distanti, fredde, per i ragazzi

 

Curo la mia comunicazione non verbale

 

Evito atteggiamenti di sfida o provocatori, minacce o giudizi svalutanti sulla persona

 

Evito di urlare cercando di richiamare l’attenzione con segnali convenzionali

 

Evito d’incalzare e mettere sotto pressione

 

Sottolineo e lodo i comportamenti positivi

 

Modulo i toni della voce, e non sono monotono

 

Uso esempi, metafore, aneddoti, per aiutare a rendere il pensiero visibile

 

Mi preoccupo di meta-comunicare con i miei atteggiamenti il valore e l’importanza di ciò che si fa

 

MEDIA

 

 

COME LI AIUTO A COMUNICARE

Valore da 1 a 3*

Do la precedenza ai ragazzi più che al programma

 

Sono attento/a a tutti

 

So percepire il clima di gruppo, decodificando i loro messaggi verbali e non-verbali

 

Incoraggio i bambini/ragazzi ad esprimere pensieri ed emozioni

 

Uso apposite tecniche di comunicazione di gruppo per favorire lo scambio e la condivisione

 

Sollecito l’ascolto reciproco

 

Ascolto senza interrompere

 

Favorisco le domande

 

Mi  distanzio come osservatore per offrire libertà alle attività e dinamiche di gruppo

 

Creo un clima di gruppo disteso e piacevole

 

MEDIA

 

 

COME FACCIO CHIAREZZA E GUIDO

Valore da 1 a 3*

So far risaltare la figura di Cristo da ogni tema

 

Stimolo il confronto tra la propria vita e la Parola di Dio

 

Sintetizzo quanto esprimono i ragazzi guidandoli verso il messaggio centrale dell’incontro

 

Chiarisco e rendo presente il percorso che si sta facendo

 

Motivo il mio comportamento

 

Aiuto a riflettere sugli obiettivi raggiunti

 

Definisco un concetto chiave per l’incontro e su quello mi concentro

 

Do indicazioni, stimolo la ricerca di alternative

 

Chiedo ai ragazzi conferma che ciò che comunico è chiaro

 

Faccio chiarezza su idee ed emozioni comunicate, in modo da realizzare una piena condivisione

 

MEDIA

 

 

IL METODO

Valore da 1 a 3*

Utilizzo tecniche di animazione

 

Utilizzo attività e lavori di gruppo

 

Arricchisco i contenuti con esperienze concrete

 

Uso materiali

 

Faccio usare materiali

 

Strutturo gli incontri in modo vario

 

Preparo sorprese

 

Uso in modo diverso lo spazio

 

Alterno vari strumenti didattici (gioco, narrazione, attività manuale,…)

 

Curo le presentazioni in modo ludico e coinvolgente

 

MEDIA

 

 

LI FACCIO SENTIRE COINVOLTI E AMATI

Valore da 1 a 3*

Chiamo per nome i bambini/ragazzi

 

Saluto tutti

 

Sorrido a tutti

 

Mostro apprezzamento e incoraggio verbalmente

 

Mostro coinvolgimento nelle attività e nelle dinamiche di gruppo

 

Preparo anche momenti di festa e dove stare insieme

 

Preparo una bella accoglienza

 

Chiedo pareri, aiuto, collaborazione ai bambini/ragazzi

 

Presto attenzione alla loro vita e gli so mostrare vicinanza

 

Esprimo verbalmente le mie emozioni

 

MEDIA

 

 

CURO LA MIA CRESCITA UMANA E SPIRITUALE

Valore da 1 a 3*

Prego per i ragazzi/bambini che mi sono affidati

 

Sperimento quotidianamente l’incontro con Dio

 

Dedico tempo alla preparazione dell’incontro

 

So riconoscere gli errori

 

Trasformo i limiti in opportunità, per fare meglio

 

Approfondisco i contenuti e mi formo

 

Ricerco sintonia e collaborazione con gli altri catechisti e il parroco

 

Mi metto in gioco, senza la paura di sembrare ridicolo

 

Non mi prendo troppo sul serio

 

Evito l’autocompiacimento

 

MEDIA

 

 

*           1 = quasi mai, raramente;

2 = abbastanza, qualche volta;

3 = quasi sempre, frequentemente

 

BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA

 

F. Carletti, Accendere la Catechesi, ed Paoline

CEI, Il rinnovamento della catechesi

CEI, Incontriamo Gesù, Orientamenti pastorali per l’annuncio e la catechesi (2014)

Congregazione per il Clero, Direttorio Generale per la Catechesi

S. Giusti, Una pastorale per l’iniziazione cristiana dei ragazzi, ed. Paoline

D. Sigalini, Animatore: dalla parte delle ragioni di vita. Ed. LDC

A. Farioli, Api leoni gechi e leprotti – relazioni positive e gestione dei conflitti, Paoline, Milano 2007

A. Farioli, Cosa tieni nel tuo zaino - Dialoghi, racconti e attività per educare ed educarsi, Paoline, 2008

Grun A., Guidare le persone risvegliare la vita, Gribaudi, 2003.

Cencini A., Non contano i numeri – costruire cultura vocazionale, Paoline, 2011.

J. L. Moral, Giovani e Chiesa. Ripensare la prassi cristiana con i giovani, Elledici, Leumann (TO) 2010, p. 5.

E. De Luca, Aceto, Arcobaleno, Feltrinelli, Milano 2004, p. 68.

S. Giusti, Una pastorale per l’iniziazione cristiana dei ragazzi dai 6 ai 14 anni, Paoline, Roma 1997, p. 5.

Permettetemi una precisazione: l’anno sabbatico non è un anno in cui ci si ferma ma semmai un tempo in cui si cammina con passo più spedito perché, alleggeriti da alcuni impegni, è possibile fare un percorso di approfondimento, di allenamento extra per affrontare più carichi la propria missione.

Per una lettura teologica dei mosaici di Monreale che illustrano il racconto dei due discepoli di Emmaus L. Maggi e D. Vivian, Contemplando Emmaus. In ascolto del racconto di Luca guidati dai mosaici di Monreale, ISG edizioni, Vicenza, 2008.

Per approfondire il tema degli assiomi della comunicazione umana, P. Watzlawick, Pragmatica della comunicazione, 1967, Astrolabio, Roma.

J. K. Liss, La comunicazione ecologica, La meridiana, Molfetta 1992, pag. 10.

CEI, Rinnovamento della Catechesi, op. cit., n. 57.

 

Fonte: http://www.webdiocesi.chiesacattolica.it/cci_new/s2magazine/AllegatiTools/174/DISPENSA%20CATECHISTA%20OGGI.docx

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