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La comunicazione è una dimensione psicologica costitutiva di ogni essere umano , non possiamo scegliere di essere o meno comunicanti ma solo in che modo comunicare : da sempre l’uomo ha cercato di esprimersi , all’inizio piuttosto rozzamente attraverso suoni , gesti , posture , fino ad elaborare il linguaggio , la scrittura , creando così messaggi sempre più precisi . L’ homo sapiens lo si potrebbe definire homo loquens in quanto lo sviluppo ed il progresso dell’umanità sembra essere andato di pari passo con lo sviluppo del linguaggio e di tutti quei mezzi che hanno reso possibile una sempre più profonda e chiara comunicazione fra gli individui . Sembra chiaro perciò quanto essenziale sia la comunicazione per l’esistenza umana , a diversi livelli e per un’ampia gamma di motivazioni : la comunicazione è una attività sociale anzi è alla base delle interazioni sociali e delle relazioni interpersonali in quanto soddisfa bisogni quali il senso di appartenenza , di controllo ed influenza sulle persone , di dare e ricevere affetto , la comunicazione risponde a bisogni di tipo fisico , la sua qualità e frequenza può avere una importante influenza sulla salute infatti numerosi studi hanno dimostrato come persone sole o con scarse relazioni interpersonali sono più soggette a malattie e persino a morte prematura : Federico II , uno degli imperatori più colti e sempre alla ricerca di risposte alle sue innumerevoli domande , nel 1200 decise di scoprire quale fosse la lingua originaria dell’uomo , quella da cui scaturiscono tutte le altre ed ideò un curioso e singolare esperimento . Ordinò che un certo numero di neonati venissero allevati fornendo loro tutte le cure fisiche ed alimentari necessarie ma senza che venisse mai pronunciata in loro presenza una parola . L’ipotesi che voleva verificare era che in presenza di questo vuoto linguistico sarebbe emersa in modo spontaneo quella lingua naturale di cui presupponeva l’esistenza . Naturalmente nulla di tutto ciò accadde ed i bambini morirono . La comunicazione contribuisce a formare e consolidare il nostro senso di identità che si basa appunto su come noi interagiamo e sui messaggi che , fin dall’infanzia , gli “ altri significativi “ ci inviano , la comunicazione è una attività prevalentemente cognitiva in quanto strettamente connessa a processi mentali superiori e con il pensiero . Tutto questo mette chiaramente in evidenza la complessità del fenomeno comunicazione e può essere utile sgombrare subito il campo da un equivoco in cui spesso si incorre e cioè quello di equiparare i verbi comunicare e trasmettere , tendendo perciò a confondere un fenomeno tanto articolato con quella che invece ne è solo una parte. Se analizziamo l’etimologia dei due verbi notiamo che trasmettere deriva dal verbo latino transmittere , composto da mittere ( mandare , inviare ) e dal prefisso trans che significa attraversamento , passaggio , quindi indica semplicemente l’invio di un dato messaggio . L’etimo del termine comunicazione rimanda al latino communis ( comune ) , comunicare ( mettere in comune , accostarsi ) , cum munia ( con vincoli , con legami ) , la sua maggiore complessità semantica e concettuale appare chiara.
“ Un tempo neppure troppo lontano , si diceva comunicare con… mentre oggi si dice semplicemente e con stupefacente disinvoltura comunicare a…E non sembra che sia necessario attendersi risposta “ ( Ferrarotti ).
Comunicare è uno scambio ed arricchimento reciproco , un processo in cui si trasferiscono significati in forma di idee o di informazioni , attraverso l’uso di varie modalità ( linguaggio , scrittura , lettura , comunicazione non verbale ) , ma la comunicazione è efficace solo se arriviamo , nel corso delle nostre interazioni , ad una condivisione sul piano di questi significati .
Dato che la comunicazione , come abbiamo detto all’inizio , è una dimensione psicologica costitutiva di ognuno di noi , ai più potrebbe sembrare la cosa più naturale del mondo , noi comunichiamo in continuazione , praticamente in ogni momento della nostra giornata ed allora perché considerarla un processo , perché studiarla e cercare , scomponendo i suoi elementi , di analizzarla così in profondità ? Non rischiamo in questo modo di perdere in spontaneità , in naturalezza ? Se questo fosse vero , se la comunicazione fosse davvero solo un qualcosa che noi , in quanto essere umani , mettiamo in atto naturalmente perché sempre più spesso sentiamo , anzi diciamo , frasi tipo “ il grande male della nostra società è la difficoltà nel comunicare “ oppure “ non riusciamo più a comunicare “ ? In effetti , a pensarci bene , viviamo in un mondo non certamente esente da conflitti , in un mondo in cui le persone entrano molto spesso in relazioni antitetiche che non rendono possibile sviluppare quel valore della relazione che potrebbe portare a vivere in modo più soddisfacente e pieno . Allora , probabilmente , dobbiamo parlare non di comunicazione ma di comunicazione efficace e se non vogliamo che la comunicazione diventi estremamente problematica , capace di generare conflitti magari insanabili , è necessario assumere la consapevolezza della complessità del processo comunicativo . La consapevolezza ci porta anche a riflettere su quale sia la strada che vogliamo percorrere e su quale sia il punto dal quale partiamo , l’obiettivo assume un valore centrale : se in un processo non abbiamo ben chiaro quale sia il nostro obiettivo da raggiungere non possiamo neanche stabilire un percorso ed investirvi energie , altrettanto importante , oltre alla sua chiarezza , è mettersi nelle condizioni di poterlo verificare e valutarne la realizzabilità . Avere la consapevolezza e conoscenza delle componenti di un processo comunicativo ci permette di essere preparati ed in possesso degli strumenti che possano far leggere , analizzare , valutare una determinata situazione , fare individuare , affrontare e , si spera , risolvere eventuali nodi critici . Una attenta riflessione aiuta perciò ad attuare una comunicazione efficace , a migliorare i rapporti interpersonali , a dare un impulso positivo alle relazioni ed essere consapevoli della complessità del processo comunicativo è una valorizzazione della condizione umana e non una rinuncia alla spontaneità .
Oltre all’obiettivo si dovrebbe tener sempre presente il ruolo che abbiamo in quel momento , in quel preciso processo comunicativo , ( la sua definizione permette una maggior chiarezza del percorso ) , tutto ciò che concerne il nostro interlocutore ( età , livello di istruzione , tipicità caratteriali , cultura , valori , motivazioni ) , gli eventi comunicativi già intercorsi ovvero la storia della relazione tra noi e colui o coloro con cui stiamo comunicando , gli strumenti utilizzati ( posta elettronica , posta ordinaria , telefono , colloquio “ faccia a faccia “ , discussione di gruppo ) , la specifica situazione o anche ambiente fisico in cui si sta svolgendo la comunicazione : la considerazione di tutti questi elementi rappresenta un valore aggiunto per una comunicazione efficace. La consapevolezza all’interno del processo comunicativo ci porta anche a comprendere quanto sia fondamentale la dimensione temporale ai fini della competenza comunicativa . Nella nostra società siamo arrivati ormai ad avere una concezione utilitaristica del tempo ed abbiamo costruito una sorta di equazione : tempo uguale denaro. Vivere “ di corsa “, fare più cose possibili contemporaneamente, non perdere mai tempo se non investendolo in qualcosa di produttivo e tangibile è quasi uno status symbol, socialmente altamente apprezzato. A tutti noi sarà capitato di essere infastiditi da qualcuno che non ci ha capiti al volo facendoci perdere tempo nel tentativo di spiegarci meglio, oppure di distrarci davanti a persone che parlavano troppo lentamente non esprimendo rapidamente il proprio pensiero. E’ chiaro che in determinate situazioni il ritmo, la chiarezza e la sinteticità possono essere elementi funzionali e necessari ma non possiamo fare a meno di chiederci quanto lo diventino invece all’interno di una reale e profonda comunicazione interpersonale.
Vi siete mai trovati coinvolti in una conversazione con due persone che si conoscono intimamente e delle quali voi siete soltanto una conoscenza superficiale ? Le persone che si conoscono bene possono anche comunicare per mezzo di una singola parola o gesto , mentre voi per farvi capire non potete omettere alcunché : infatti la comunicazione avviene sempre su due piani , quello del contenuto ( ciò che si dice ) e quello della relazione ( come lo si dice ) , tendente cioè ad identificare , appunto , il tipo di relazione esistente . Per quanto riguarda il livello di contenuto può essere interessante analizzare un brano tratto dalle Lezioni americane di Italo Calvino ( nel 1985 Italo Calvino tenne cinque conferenze all’università di Harvard negli Stati Uniti parlando delle qualità letterarie più importanti che , secondo lui , uno scrittore avrebbe dovuto proiettare nel nuovo millennio ormai alle porte ) :
“ Sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza , cioè l’uso della parola , una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza , come automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche , anonime , astratte , a diluire i significati , a smussare le punte espressive , a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze “.
Molto spesso oggi , soprattutto fra i giovani , si tende ad utilizzare delle espressioni comuni sempre uguali , c’è una sorta di omologazione del linguaggio , un utilizzo estremamente ristretto di vocaboli che rischia di togliere valore alla ricchezza ed alla vivacità insita invece nella nostra lingua : la parola potremmo definirla come la bandiera del concetto , un modo per evitare di perdersi nell’oceano della diversità e per affrontare invece l’unicità di tutte le esperienze che viviamo oppure , più semplicemente , con questa frase di Seth Godin ( vice presidente direct marketing di yahoo ) : “ Le parole sono i chiodi per attaccare le idee “ .
L’educazione del bambino avviene anche insegnandoli parole , l’oggetto che la madre indica e sillaba viene ripetuto dal figlio che lo fa proprio . Un laureato mediamente conosce tra le 30.000 e le 50.000 parole , un dizionario solitamente ne riporta 80.000 ma spesso non vi si possono trovare termini riferibili in modo specifico ad una sorta , per esempio , di gergo lavorativo o culturale o , magari , di tipo dialettale , il che fa aumentare il numero di parole da noi usate . In un certo senso il nostro archivio mentale dei vocaboli è la somma di un vocabolario , di una enciclopedia , di un diario , di un atlante etc… e chi conosce molte parole può evitare la reiterazione di un linguaggio sterile e banale che non porta alcun tipo di accrescimento nello scambio fra le persone . Ma una comunicazione efficace deve essere in grado di soddisfare non solo quelle che potremmo definire le esigenze razionali ( uso chiaro , preciso , contestualizzato del linguaggio ) degli interlocutori , ma anche quelle che potremmo definire creative/emozionali , fornire perciò informazioni , dati , notizie “ certe “ e , contemporaneamente , essere in grado di comunicare le proprie emozioni , saperle riconoscere , esserne consapevoli e comprendere , accettare , saper gestire gli stati d’animo altrui . Elemento essenziale in un processo comunicativo di questo tipo diventa l’ascolto : ascoltare non significa semplicemente stare a sentire le informazioni che ci vengono date ma recepirle , trasformarle e comunicarle a nostra volta con un qualcosa in più . Possiamo parlare di :
Può essere interessante riflettere anche sul valore che ha per la nostra cultura il parlare : essere buoni oratori, riempiendo i nostri discorsi magari anche di concetti vacui e parole vuote, ci fa spesso considerare come persone “in azione”, in grado di controllare ed avere potere all’interno delle varie relazioni, come un bravo attore è capace di tenere e riempire la scena. L’ascolto invece viene valutato come un atto passivo, se stiamo zitti, se non partecipiamo in maniera convulsa, talvolta prevaricatrice ad una discussione, non interrompendo, non sovrapponendo la nostra voce a quella dei nostri interlocutori rischiamo di essere considerati come persone senza idee, senza forza, dei deboli incapaci di affermare le nostre opinioni.
Saper ascoltare invece riduce le incomprensioni , induce il nostro interlocutore ad esprimersi a pieno in quanto si sente “ accolto “ , contribuisce a creare un clima di fiducia e rispetto all’interno della relazione . Certamente la nostra modalità di ascolto è influenzata dai modelli appresi da bambini o da come si è sviluppata la nostra integrazione nelle prime occasioni di socializzazione , ma non è impossibile cercare di modificarla e , nel caso , migliorarla . Possiamo esercitarci , per esempio , facendo mente locale su qualcuno che riteniamo “ un buon ascoltatore “ : quale è il suo modo di porgersi , quali sono le gradevoli sensazioni che ci procura ? Ripensando ad alcuni momenti passati della nostra vita in cui siamo riusciti ad esprimerci su argomenti difficili , con chi eravamo e quanto ci siamo sentiti veramente ascoltati ? Al contrario , quante volte invece ci siamo tenuti tutto dentro perché bloccati dal nostro interlocutore ?
L’ascolto è stato anche definito come quella metà del dialogo senza la quale non si ha comunicazione, tanto che se ci si accorge che l’altro ha smesso di ascoltare si smette di parlare. A che serve infatti parlare se l’altro non ascolta?
Proviamo a mettere qualche punto fermo di un buon ascolto :
Marshall Rosenberg è uno psicologo clinico , considerato un guru della comunicazione non violenta ed uno degli assunti più importanti della sua teoria è che per essere ascoltati occorre prima di tutto imparare a riconoscere ed esprimere i propri bisogni , in quanto le valutazioni che noi diamo dell’altro sono proprio l’espressione dei nostri bisogni insoddisfatti . Sinteticamente , secondo la teorizzazione della comunicazione non violenta , dovremmo focalizzare la nostra attenzione ed attivare la nostra consapevolezza rispetto a quattro punti fondamentali che facilitano e rendono possibile una piena espressione e l’ascolto :
Seguire questi quattro punti ed aiutare l’altro a fare altrettanto o , qualunque sia il modo con il quale le persone si rivolgono a noi , scegliere di ascoltare negli altri le quattro informazioni anche quando sono nascoste o espresse nei termini moralistici di cui parlavamo prima fatti magari di pretese o doveri , ci dà la possibilità di stabilire una corrente di comunicazione capace anche di trasformare un conflitto in dialogo , di trasmettere il potere forte e pacifico dell’empatia , di aiutare a mettere in pratica la fiducia nelle risorse creative di ognuno di noi .
“Noi abbiamo due orecchie ed una sola bocca,di modo che si ascolti di più e si parli di meno” ( Epitteto )
Qualche spunto di riflessione…….
Due amici stanno facendo una passeggiata in un bosco e chiacchierano piacevolmente . Ad un certo punto Mario dice : “ Ognuno di noi vive del suo passato , è condizionato da quello che ha fatto ed è costretto a ripetere , a fare sempre le stesse cose “. Franco quasi interrompendo ribadisce : “ Ma neanche per idea . Ognuno è condizionato dalle sue aspirazioni , dai suoi progetti , non da quello che ha già fatto , ma da quello che vuole fare “ .
Mario con un tono perentorio ribadisce la sua posizione portando a supporto tanti esempi presi dalla storia o citando amici comuni . Mentre parla è talmente preso dalla sua foga che non si accorge che Franco non lo sta ascoltando. Infatti Franco sta preparando cosa ribadire per cercare di convincere Mario . Così , non appena Mario prende fiato ecco che Franco è pronto ad intervenire citando a supporto della sua tesi esempi tratti dalle evoluzioni scientifiche e tecnologiche provocate dal desiderio dell’uomo di migliorare continuamente la sua condizione . Ma mentre parla è talmente preso dalla foga di quello che dice che non si accorge che Mario non lo sta ascoltando perché sta pensando a quali argomentazioni presentare a supporto della sua tesi . Ad un certo punto sentono il lamento di un animale . Vanno verso la voce e vedono che un cucciolo è caduto in una siepe di rovi e si è riempito di spine . Mario apre il suo zaino , prende le pinzette e con molta cautela toglie tutte le spine al cucciolo , il quale non appena si accorge di essere finalmente libero dal dolore scappa via . Quando è ad una certa distanza si volge indietro , come per ringraziarli mentre i due hanno già ripreso la discussione .
Adesso ognuno può cominciare ad ascoltare con maggiore attenzione quanto l’altro ha da dire . Ognuno lascia completare l’altro e cerca di capirne la posizione . Mentre stanno dialogando ecco che nuovamente sono distratti da grida di aiuto . E’ una voce di donna che chiama . Si guardano intorno e non vedono nulla. Si fanno allora guidare dalle indicazioni della donna che è caduta in una trappola . La donna per fortuna non si è fatta molto male solo che la fossa è profonda e lei non sa come venirne fuori . Allora Franco apre il suo zaino , prende una corda , se la avvolge in vita e la lancia alla donna la quale la prende , se la lega in vita e con questa può essere tirata su dai due uomini . Quando finalmente la donna è fuori dalla fossa racconta che camminava con la testa in su senza guardare dove metteva i piedi . Così è caduta nella trappola . Ringrazia i due uomini che la hanno fatta uscire , li saluta e se ne va per la sua strada stando attenta a guardare non solamente in alto ma anche dove mette i piedi . I due riprendono il loro discorso ed anche questa volta c’è un cambiamento . Ora ognuno pone domande all’altro , domande che servono per capirne la posizione . Mentre sono intenti a dialogare ecco che sentono nuovamente grida di aiuto , questa volta provengono da un bambino . Si guardano intorno , lo cercano ma non lo trovano , sino a quando il bambino li vede e dice che è sulla cima di un albero . Franco e Mario gli chiedono “ cosa ci fai lassù , come ci sei arrivato ?” e lui risponde che era stufo di vedere gli alberi dal basso . voleva cambiare punto di vista . Voleva salire in cima all’albero più alto per vedere la foresta dall’alto , per vedere l’orizzonte . Solo che ora non sa come discendere . Ha paura perché non ha ancora imparato la via della ridiscesa . Allora Mario e Franco con molta cautela gli insegnano la via . Quando il bambino torna a terra li ringrazia e dice che non vede l’ora di poterlo raccontare ai suoi amici , ricordandosi d’ora in poi che prima di salire in alto bisogna anche saper ridiscendere .
I due amici riprendono a camminare , per un po’ tacciono ognuno preso dalle proprie riflessioni . Ad un certo punto si fermano , si rivolgono l’un verso l’altro e quasi contemporaneamente dicono : “ Forse hai ragione tu “.
Schematizzando potremmo dire che chi comunica è una fonte di trasmissione , chiameremo veicolo di trasmissione il mezzo che usiamo per comunicare , canale di comunicazione la strada attraverso cui passa la comunicazione , messaggio l’oggetto della comunicazione , strumento di ricezione il mezzo con il quale si raccoglie il messaggio , infine destinatario la persona alla quale indirizziamo il messaggio.
Dallo schema riportato vediamo chiaramente che il termine interferenza assume un valore centrale , è una vera e propria barriera alla comunicazione che può essere presente in ognuno dei passaggi sopra menzionati : può essere presente nella fonte di trasmissione in quanto , per esempio , chi trasmette può essere balbuziente o parlare una lingua diversa , nel messaggio se vengono usati termini complicati o talmente astratti da risultare incomprensibili , nel veicolo di trasmissione , pensiamo ad un microfono non funzionante o ad una linea telefonica disturbata , l’interferenza può essere un forte rumore , un grande freddo o un calore intenso , qualsiasi impedimento cioè che si trovi lungo il canale di comunicazione . Può esservi interferenza anche nello strumento di ricezione e nel destinatario stesso che può sperimentare condizioni spirituali o fisiche non favorevoli a ricevere il messaggio che gli stiamo trasmettendo .
In precedenza abbiamo sottolineato l’importanza per una comunicazione efficace della valutazione di elementi quali l’obiettivo , il ruolo , le caratteristiche del nostro interlocutore , la situazione , le circostanze , l’ascolto attivo , ora compare un altro elemento fondamentale : il feedback .
Il feedback potremmo definirlo come una risposta/reazione ad un messaggio , una sorta di alimentazione di ritorno indispensabile per valutare la ricezione , per fare un esame di ogni singolo passaggio del processo comunicativo e prevenire quelle che abbiamo chiamato interferenze . In ordine al tempo possiamo parlare di feedback coerente , se il destinatario mostra di aver compreso significato , senso e contesto del messaggio ricevuto , o incoerente , in ordine alla qualità di feedback atteso ( esito positivo del processo ) , inatteso ( esito imprevisto ) , disatteso ( esito negativo ) . Dovrebbe essere ormai assodato e chiaro come la comunicazione non sia un fenomeno da laboratorio , meccanico e neutro , ma un qualcosa di estremamente vivo e ricco , interagendo con gli altri non ci preoccupiamo solo di dare e raccogliere informazioni ma anche dell’immagine che diamo , se è vero che i nostri incontri sociali ci servono per confermare la nostra identità diventa inevitabile chiedersi cosa gli altri stiano pensando , quali sentimenti stiano provando ed avere una risposta . Pensiamo , per esempio , ad un venditore , per lui ricevere delle informazioni retroattive assume anche una valenza professionale , sarà fondamentale avere informazioni sulla comprensione e sul consenso da parte del cliente , ma anche sugli atteggiamenti che il cliente medesimo ha nei suoi confronti e verso una positiva decisione di acquisto .
Numerosi sono gli approcci alla comunicazione elaborati all’interno di altrettante numerose discipline , ma continuando a seguire il filo conduttore che abbiamo delineato fino ad ora potremmo collocare la nostra prospettiva all’interno del quadro teorico secondo cui la comunicazione viene definita in base a due caratteristiche fondamentali ( Wiemann , Giles , 1988 ) : 1) il livello di consapevolezza e quindi intenzionalità nella persona emittente , necessarie per codificare gli elementi di un messaggio , 2) il considerare la comunicazione come un processo , un sistema che coinvolge più soggetti sociali in una serie di eventi .
Facendo una seppur breve e limitata analisi di alcuni modelli che storicamente si sono succeduti nel campo degli studi sulla comunicazione possiamo tracciare il percorso concettuale e metodologico che ha portato alla elaborazione di questa prospettiva .
MODELLO LINEARE
Il modello più importante sviluppato in questo ambito è quello di Shannon e Weaver ( 1949 ) all’interno del loro lavoro sulla teoria matematica della trasmissione dei segnali elettronici , adottato poi dalla psicologia sperimentalista e comportamentista . E’ uno schema molto semplice in cui la comunicazione viene considerata come un comportamento spiegabile secondo la logica dello stimolo – risposta : l’emittente codifica idee e sentimenti in una sorta di messaggio , lo spedisce attraverso un canale ad un ricevente che risulta essere una macchina di decodifica passivo e muto . Viene introdotto anche il concetto di rumore , inteso come una qualsiasi forza che interferisce con una comunicazione efficace .
Se il modello lineare viene definito come “ la metafora del condotto “ , la prospettiva interattiva può essere paragonata ad “ una partita a tennis “ verbale e non verbale in cui i messaggi vanno avanti e indietro tra le parti interagenti . Vengono introdotti concetti importanti come quello di feedback ed ambiente , inteso non solo come luogo fisico ma anche come storia personale che i partecipanti portano nella conversazione . La comprensione reciproca è resa possibile dal fatto che i due ambienti in parte coincidono e perciò i due interlocutori hanno un certo grado di conoscenze e background in comune . |
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La critica più importante che viene rivolta a questo modello è quella di considerare la comunicazione come una attività statica , con un inizio ed una fine ben precisa , mettendo l’accento sulla produzione dei vari atti come azioni singole di persone individuali .
Gli studi più recenti in ambito psicosociale si sono preoccupati proprio di rivedere questo aspetto , sottolineando , il carattere più “ dialogico “ della comunicazione che viene considerata come un processo , all’interno del quale gli interlocutori sono contemporaneamente emittenti e riceventi e contribuiscono a creare il significato degli scambi ed a realizzare un progetto comunicativo comune .
( Modello dialogico o circolare )
Mettendo in evidenza la natura simultanea dell’interazione e la conseguente difficoltà di analizzare un singolo atto di comunicazione , assume una particolare importanza il concetto di contesto . Prendiamo in considerazione , per esempio , la discussione di due coniugi relativamente a come trascorrere le vacanze . Il marito dice : “ Potremmo andare in montagna , come l’anno scorso “. Ma la moglie prima ancora che la frase venga terminata comincia ad aggrottare la fronte e ad alzare le sopracciglia ( manda un messaggio non verbale ) in segno di disappunto . Questo può portare il marito ad interrompersi e la moglie ad inviare un messaggio difensivo : “ No , aspetta un attimo “ . Molto probabilmente il messaggio non verbale riportato sopra nasce da scambi precedenti , così come interazioni successive dipenderanno dall’esito di questa conversazione .
Tra gli anni cinquanta e sessanta un gruppo di ricercatori del Mental Research Institute di Palo Alto in California , guidato da Don Jackson e sotto la guida di Gregory Bateson , era stato ingaggiato per degli studi sulla schizofrenia ma sviluppò anche delle interessanti teorie sulla comunicazione che ora vengono universalmente riconosciute come i caposaldi di questa disciplina . In particolare Jackson , Watzlawick , Janet Baveles scrissero , nel 1967 , “ Pragmatica della comunicazione umana “ in cui delinarono I percorsi della comunicazione . Il libro applica l’approccio sistemico la cui più comune definizione è : “ Insieme di elementi talmente in interazione che una qualsiasi modificazione di uno di essi comporta una modificazione di tutti gli altri “. Il concetto , di derivazione cibernetica , viene applicato alle relazioni umane dove gli elementi del sistema sono gli individui in interazione. L’interazione è il meccanismo centrale in un procedimento sistemico ed implica l’idea di mutua relazione , di azione reciproca. E’ possibile pensare che i rapporti interattivi tra gli individui siano determinati essenzialmente dai tipi di comunicazione che essi adoperano fra di loro ? E’stata questa domanda a portare gli autori del testo ad analizzare gli effetti pragmatici e cioè comportamentali della comunicazione e la tesi centrale dei loro studi è che “ un fenomeno resta inspiegabile finchè il campo di osservazione non è abbastanza ampio da includere il contesto in cui il fenomeno si verifica “.
“ Nel giardino di una casa di campagna , visibile dal marciapiede esterno , un grosso signore con tanto di barba striscia accoccolato per il prato tracciando degli otto , mentre continua a guardarsi indietro e a fare ininterrottamente qua qua qua … “ E’ la descrizione che Konrad Lorenz ci dà del proprio comportamento durante uno dei suoi memorabili esperimenti con gli anatroccoli ( nella fattispecie si era sostituito alla loro madre ) . “ Ero molto compiaciuto “ , scrive , “ dei piccoli che ubbidienti e precisi seguivano trotterellando il mio qua qua , quando ad un certo momento alzai gli occhi e vidi una fila di volti allibiti affacciata sopra la siepe del giardino : una intera comitiva di turisti mi guardava stupefatta “ . L’erba alta nascondeva gli anatroccoli e quello che vedevano i turisti era un qualcosa del tutto inspiegabile , un comportamento veramente folle . ( 96, p.43 ).
L’obiettivo che i ricercatori di Palo Alto si prefiggevano era quello di superare una visione statica e meccanica del fenomeno comunicazione e la considerazione dell’individuo come una monade , cosa che le scienze del comportamento continuano , almeno in parte , a fare : studiando una persona dal comportamento disturbato si estende l’ indagine anche agli effetti che tale comportamento ha sugli altri , alle loro reazioni ed al contesto in cui tutto ciò accade , il centro dell’interesse si sposta dalla monade isolata alla relazione tra le parti di un sistema più vasto . Proprio a questo proposito è molto interessante riflettere sulle affinità che gli autori ritengono di avere , nella formulazione delle loro ipotesi , con la matematica piuttosto che con la psicologia tradizionale : infatti è proprio la matematica quella disciplina in cui l’oggetto di interesse sono i rapporti tra entità e non la loro natura isolata . Centrale diventa il concetto matematico di funzione , messo in parallelo con quello psicologico di relazione e gli autori fanno un breve excursus all’interno della teoria del numero per spiegare meglio i loro assunti . Spengler ( Il tramonto dell’occidente , 1957 ) evidenzia molto chiaramente come la storia del sapere occidentale sia nata dalla progressiva emancipazione dal pensiero antico , pensiero che , nel campo della scienza ed in generale nella nostra civiltà , ha esercitato per secoli una profonda e persistente influenza : era come se il desiderio continuo di emulare l’antico ci togliesse il coraggio di avere un pensiero nostro . Per duemila anni si è creduto che i numeri fossero l’espressione di grandezze concrete , i matematici greci ritenevano che fossero grandezze concrete , intuitive , proprietà di oggetti ugualmente reali , perciò lo scopo della geometria era misurare e quello della aritmetica contare e , naturalmente , era impensabile la nozione di zero come numero , tantomeno quella di grandezze negative . Per dirla perciò con le parole di Spengler : “ L’evoluzione della nuova matematica è stata una lunga , segreta e , infine , vittoriosa lotta contro il concetto di grandezza “ che si è concretizzata con l’apparire sulla scena del concetto di variabile : la variabile non ha un valore indipendente ma solo in rapporto ad un’altra variabile ed il concetto di funzione è costituito proprio da tale rapporto . Allo stesso modo il rapporto dell’uomo con la realtà , la sostanza di ogni nostra percezione , non è costituita da “ cose “ ma da funzioni , che non sono grandezze isolate ma “ segni per un nesso “.
Altro concetto fondamentale è quello di informazione e retroazione . Prendiamo in considerazione questo esempio : se un uomo camminando colpisce con un piede un sasso , l’energia espressa dal piede verrà trasferita al sasso che si muoverà e si fermerà in una certa posizione determinata da fattori quali la quantità di energia trasmessa , la forza ed il peso del sasso , la natura della superficie su cui è rotolato . Se invece un uomo dà un calcio ad un cane , quest’ultimo può reagire mordendolo e non prende l’energia per la sua reazione dal calcio ma dal proprio metabolismo , non si ha trasmissione di energia ma di informazione .
Gli autori utilizzano questo esempio per evidenziare la differenza tra la psicodinamica freudiana , che considerava il comportamento come una conseguenza di una azione reciproca di forze intrapsichiche , non prendendo in considerazione le forze esterne , l’interdipendenza tra l’individuo ed il suo ambiente e le teorie della comunicazione che , al contrario , assumendo i principi fondamentali della cibernetica oltrepassano lo studio dei rapporti lineari , di causa ed effetto , introducendo i concetti fondamentali di informazione e retroazione . Se l’evento A produce l’evento B e poi B produce C etc… potrebbe sembrare di essere ancora nell’ottica di un sistema lineare , deterministico , ma se poi C riconduce ad A il sistema diventa circolare ed anche il suo funzionamento è decisamente diverso . La retroazione può essere positiva o negativa , non nel senso della sua desiderabilità o meno , ma nel senso che una ( quella negativa ) caratterizza l’omeostasi e cioè la stabilità delle relazioni e l’altra ( quella positiva ) provoca invece un cambiamento e cioè la perdita di stabilità ed equilibrio .
I sistemi interpersonali possono perciò essere considerati circuiti di retroazione , in quanto il comportamento di ogni persona influenza ed è influenzato dal comportamento di ogni altra persona . Obiettivo principale dei ricercatori di Palo Alto perciò fu quello di scoprire i procedimenti pragmatici , cioè comportamentali , e l’insieme di quelle regole che vengono osservate nella comunicazione efficace e violate nella comunicazione disturbata . Per fare questo postularono 5 assiomi fondamentali :
il comportamento non ha un suo opposto , per quanti sforzi possiamo produrre non riusciremo mai a non comunicare . Anche il silenzio o l’inattività hanno valore di messaggio , influenzano gli altri che a loro volta non possono non rispondere . Prendiamo il caso di due passeggeri d’aereo, A e B : A vuole conversare mentre B no, sicura-mente quello che B non può fare è andarsene, a questo punto le rea-zioni possibili sono :
2) Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto ed un aspetto di
relazione :
l’aspetto di relazione classifica quello di contenuto ed è quindi metacomunicazione . Ogni atto comunicativo ha un aspetto di “ notizia “ ( trasmette informazioni ) ed uno di comando ( identifica la relazione esistente ) Es : un uomo incontra un amico dopo tanto tempo e dice “ ma come sei invecchiato “, dopo però può aggiungere “ come me del resto “.
Se sul contenuto si può trovare un accordo ( dati oggettivi ) , sulla relazione il problema è più complicato perché riguarda la definizione che i soggetti offrono di sé e dell’altro, possiamo dire che di qualunque argomento due persone stiano parlando nello stesso tempo parlano anche della relazione che li unisce . A questo riguardo tre sono le possibili reazioni :
Numerose osservazioni sperimentali in campo clinico hanno messo in evidenza come disaccordi profondi relativi al piano relazionale si manifestino spesso attraverso dispute sul piano del contenuto, classico è l’esempio di persone che discutono animatamente e talvolta violentemente pur dicendo in fondo la stessa cosa. Le relazioni più problematiche e meno “ sane “ sono proprio quelle caratterizzate da una continua ed estenuante lotta di definizione della relazione.
3 ) La punteggiatura della sequenza di eventi :
i nostri scambi comunicativi non costituiscono una sequenza ininterrotta ma seguono una sorta di punteggiatura ed il disaccordo su come punteggiare la sequenza di eventi è alla base di innumerevoli conflitti di relazione . Ogni elemento della sequenza è simultaneamente stimolo , risposta , rinforzo , mentre spesso gli organismi coinvolti , data la loro incapacità di metacomunicare , ritengono semplicemente di reagire ad un dato stimolo . Anche un evento esterno fortuito può impedire di punteggiare in modo efficace la sequenza ( per esempio una lettera mai arrivata ).
4) Comunicazione numerica ed analogica :
per linguaggio numerico intendiamo le parole, segni arbitrari dovuti ad una convenzione semantica e che ha una importanza particolare perché serve a scambiare informazioni sugli oggetti ed ha la funzione di trasmettere la conoscenza di epoca in epoca. Il linguaggio analogico si riferisce invece ad ogni comunicazione non verbale, ha le sue radici in periodi molto più arcaici della evoluzione e riguarda prevalentemente il settore della relazione. Il materiale del messaggio analogico può avere però molti aspetti contraddittori e prestarsi ad interpretazioni numeriche diverse e spesso incompatibili, fondamentale perciò diventa la capacità di dare una numerizzazione corretta e correttiva del messaggio analogico.
l’interazione simmetrica è caratterizzata dalla uguaglianza e cioè il comportamento di un membro tende a rispecchiare quello dell’altro, le relazioni complementari invece sono caratterizzate dalle differenze esistenti. Nella comunicazione, la simmetria e la complementarietà non sono in sé buone o cattive, normali o anormali, entrambe svolgono funzioni importanti e sono necessarie nelle relazioni “sane”, questo però se si alternano ed operano in settori diversi. Questo significa che anche nelle relazioni più tipicamente complementari o simmetriche vi possono essere degli scambi basati sul riconoscimento reciproco delle rispettive aree di competenza. Quando invece nelle relazioni si irrigidisce una delle due modalità di entrare in rapporto con l’altro, si producono patologie o fallimenti comunicativi.
LA COMUNICAZIONE NON VERBALE
“ L’organismo vivente si esprime più chiaramente con il movimento che con le parole. Ma non solo con il movimento! Nelle pose, nelle posizioni e nell’atteggiamento che assume. In ogni gesto, l’organismo parla un linguaggio che anticipa e trascende l’espressione verbale “
( Lowen,1958,trad.at.1978.p.3 )
La C.N.V. costituisce un sistema di comunicazione sociale complesso ed elaborato che è strettamente legato ad un contesto ed influenzato da fattori culturali, svolge svariate funzioni, utilizza canali autonomi e ben definiti. L’apporto che numerose discipline (sociologia,psicologia,antropologia etc…) hanno dato allo studio della C.N.V. ha contribuito a far superare la dicotomia fra C.N.V. e C.V. considerandoli aspetti differenti ma dipendenti ed interagenti dello stesso processo comunicativo. Allo stesso modo si è ormai risolta quella che è stata per molto tempo una controversia fra i sostenitori delle teorie, per quanto riguarda l’origine dei segnali non verbali, di tipo innatista ( prevalenza dei fattori genetici) e quelle di tipo ambientalista (prevalenza dell’ambiente e dell’apprendimento). Per esempio si è accertato che alcune espressioni del volto sono innate, i gesti invece sono per lo più appresi e rispetto alla loro codifica e decodifica cambiano di significato a seconda delle culture. Prendiamo in considerazione il sorriso : la sua espressione spontanea è innata, infatti è il prodotto di una attivazione del sistema neuromuscolare in seguito ad uno stimolo di tipo emotivo, ma si è evoluto come importante strumento di segnalazione sociale, gli individui possono perciò decidere quando e come esibirlo. Si può quindi affermare che alcuni segnali vengono emessi in modo volontario e con uno scopo ben preciso, altri invece sono una risposta spontanea ad uno stimolo e non vi è una intenzione di comunicare od un fine specifico: quando strizziamo un occhio in segno di intesa o portiamo un dito davanti alla bocca per chiedere silenzio, facciamo un uso cosciente di questi segnali, servendoci di un codice che si presume condiviso anche da parte di chi riceve il messaggio, una espressione di disgusto, il rossore del viso sono invece reazioni spontanee di tipo fisiologico, ben riconoscibili dagli altri ma emesse involontariamente. Spesso questi segnali, consapevoli ed inconsapevoli, sono entrambi presenti nel nostro comportamento. Sicuramente se la comunicazione verbale ha il compito principale di convogliare e trasmettere informazioni relative al mondo esterno, quella non verbale ha un valore molto importante sul piano relazionale, una funzione più affettiva che cognitiva perché parla di ciò che sentiamo dentro di noi.
Come per la C.V. anche per la C.N.V. è centrale il concetto di codifica e decodifica, abilità e competenza sociale determinante nello stabilire la qualità e la varietà dei nostri rapporti: questa abilità dipende dal saper analizzare fattori quali la situazione, il contesto, le caratteristiche individuali delle persone che partecipano all’interazione ma anche dal possedere la consapevolezza dei differenti significati che i vari segnali hanno all’interno delle differenti culture. Abbiamo già accennato al fatto che non sempre è facile dare corrette interpretazioni numeriche al materiale analogico: per esempio se una persona sottoposta ad un interrogatorio impallidisce, suda, balbetta, rischia di veder interpretati questi segnali come indizi di colpevolezza quando invece è solo il comportamento di un innocente che vive l’incubo di essere sospettato di un delitto e che si rende conto che la sua paura possa venir letta come una ammissione di colpa. Molti esperimenti hanno dimostrato la potente influenza della C.N.V. nelle relazioni interpersonali ma anche nell’ambito professionale o nell’apprendimento: i consulenti ed i terapeuti che sorridono di più,guardano di più ed in generale sono più espressivi vengono considerati non solo più cordiali ma anche più competenti dai loro clienti, gli allievi lavorano di più se gli insegnanti sorridono molto e questo effetto è più forte di quello prodotto dalle gratificazioni verbali.
“Il linguaggio del corpo non è stato toccato dal progresso. Esso sopravvive come una meravigliosa reliquia del passato nel mezzo delle nostre città moderne a garanzia che in una fredda età delle macchine noi rimaniamo umani e caldi “ ( D.Morris ).
FUNZIONI DELLA C.N.V.
la comunicazione non verbale comprende una vasta gamma di segnali che fungono da sostegno, modificazione e completamento della comunicazione verbale ( talvolta la C.N.V. sostituisce del tutto quella verbale, si pensi al linguaggio dei sordi ).
Proviamo ad ipotizzare una serie di regole che i partecipanti ad uno scambio comunicativo dovrebbero rispettare per rendere efficace la loro comunicazione:
In questo tipo di scambio i segnali non verbali svolgono una importante funzione di regolazione dell’interazione e di controllo, fornendo un feedback di informazione per entrambi gli interlocutori, influenzando i loro comportamenti. Uno sguardo, un gesto, un cenno del capo può segnalare che si è finito di parlare, un tono di voce discendente solitamente indica la fine di una frase, una breve pausa può dare enfasi al discorso. Per quanto riguarda i feedback prestare attenzione al volto dell’ascoltatore, allo sguardo, ai cenni del capo, è utile per capire se il messaggio che si sta trasmettendo è compreso o se sia il caso di riprendere alcune parti del discorso o modificarlo. Gesti di assenso, sorrisi, espressioni come “ si,bene,certo “ rivelano il grado di interesse ed approvazione dell’interlocutore e costituiscono un rinforzo rispetto a quanto viene comunicato.
ELEMENTI DELLA COMUNICAZIONE NON VERBALE
Gli elementi fondamentali della C.N.V. sono cinque:
Le espressioni : le espressioni del volto hanno la funzione fondamentale di comunicare le emozioni e gli atteggiamenti verso gli altri, di sostenere ed accompagnare il discorso , seguono i nostri movimenti interiori svelando spesso i nostri reali stati d’animo in quanto difficilmente controllabili. La cultura di appartenenza gioca però un ruolo importante nei tentativi che, in alcune circostanze, facciamo di modificare le nostre espressioni, fin da piccoli abbiamo appreso a nascondere alcuni sentimenti o a dissimularne altri. Un segnale rivelatore della “finzione” è la durata delle espressioni, in quelle autentiche è estremamente ridotta, dura sul nostro viso pochissimi secondi. Possiamo suddividere il volto in due aree, superiore ( occhi, fronte, sopracciglia ) ed inferiore ( naso e bocca ) ed è questo il “canale” su cui si può esercitare un maggior controllo. L’emisfero destro che presidia il lato sinistro del volto produce le espressioni emotive spontanee, mentre quello sinistro, dove si originano anche i processi verbali, quelle intenzionali. Secondo Argyle (1972) le sopracciglia sono l’elemento del volto che, per entrambi gli interlocutori, forniscono un costante commento al discorso. Elemento altrettanto importante nel processo di comunicazione è lo sguardo, rivelatore soprattutto dell’intensità dell’emozione più che del tipo di emozione. L’essere guardati (modo, tempo etc…) influenza notevolmente i nostri stati emotivi ed i nostri comportamenti e sicuramente noi guardiamo più spesso e più a lungo chi ci piace,chi ci attrae,chi ci interessa.Durante l’interazione visiva però è molto importante che si stabilisca un equilibrio rispetto all’uso degli sguardi reciproci, è necessario saper usare il contatto visivo in modo appropriato alle circostanze, alle persone coinvolte nella comunicazione ed agli scopi che ci si prefigge. Persone dominanti verso persone di status inferiore guardano di più mentre parlano e poco quando ascoltano, nei rapporti amichevoli ed affettuosi c’è uno scambio di una grande quantità di sguardi. Ci sono specifiche regole culturali anche alla base del comportamento visivo : per esempio per un europeo abbassare lo sguardo può denotare imbarazzo, per un’orientale è segnale di rispetto.
La prossemica : la distanza-vicinanza fra gli individui durante l’interazione è un segnale altamente significativo dal punto di vista sociale e sinteticamente possiamo dire che lo spazio di relazione con l’altro può assumere quattro modalità:
Ci sono anche differenze culturali che stabiliscono le norme che regolano la vicinanza-distanza tra le persone. Gli arabi preferiscono stare molto vicini tra loro, quasi gomito a gomito, gli europei e gli asiatici si tengono invece fuori dal raggio di azione del braccio. In alcune regioni meridionali dell’India, dove la distanza che gli appartenenti alle diverse caste debbono mantenere fra di loro è rigidamente stabilita, quando gli individui della casta più bassa incontrano i bramini, la casta più elevata, debbono tenersi ad una distanza di 39 metri. Watzlawick in un suo scritto riferisce una notizia diffusa dagli organi di informazione della città brasiliana di San Paolo. Secondo quanto riportato si era reso necessario alzare la ringhiera ( molto bassa ) della terrazza del circolo ippico, dalla quale molti visitatori erano caduti all’indietro ferendosi gravemente. Dal momento che non si potevano spiegare tutti gli incidenti con eventuali stati di ubriachezza, fu suggerita un’altra spiegazione, probabilmente da un’antropologo: culture differenti inducono regole diverse riguardo la distanza “ corretta “ da assumere e mantenere durante una conversazione faccia a faccia con un’altra persona. Secondo le culture dell’Europa occidentale e del Nord America questa distanza consiste nella proverbiale lunghezza del braccio, nelle culture mediterranee e latino americane è considerevolmente più corta. Quindi se un nordamericano ed un brasiliano iniziassero una conversazione, il nordamericano presumibilmente stabilirebbe la distanza che per lui è quella “corretta”, “normale”. Il brasiliano si sentirebbe a disagio poiché troppo distante dall’altro, si avvicinerebbe per stabilire la distanza per lui “giusta”, il nordamericano si sposterebbe indietro, l’altro si riavvicinerebbe e così via, fino a che il nordamericano cadrebbe all’indietro dalla ringhiera…..
Anche l’orientazione, la angolazione con cui ci si colloca nello spazio l’uno rispetto all’altro, assume una particolare rilevanza ai fini relazionali : per esempio una orientazione fianco a fianco, indica un certo grado di intimità ed amicizia, una orientazione frontale è utilizzata in situazioni più formali ed in cui si tende a stabilire un rapporto gerarchico, può indicare anche atteggiamenti competitivi. Se quando entriamo in un ristorante facessimo attenzione al nostro modo di scegliere il tavolo ci accorgeremmo che istintivamente escludiamo posizioni centrali per preferire quelle più vicine alle pareti : è un ricordo ancestrale di quando il momento del pasto rappresentava un potenziale pericolo in quanto l’attenzione calava e si era più esposti all’attacco dei predatori o di altri esseri umani.
Se la scelta di determinati spazi e l’orientazione sono importanti segnali che rivelano comportamenti sociali possiamo anche pensare di utilizzarli intenzionalmente per favorire l’interazione. Per esempio si può incoraggiare la conoscenza reciproca fra persone estranee utilizzando, in maniera opportuna, alcuni spazi, disponendo in un certo modo gli arredi di una stanza etc…e la conoscenza ed il rispetto per l’uso dello spazio dei nostri interlocutori, la consapevolezza dei segnali di distanza o prossimità che ci inviano aiutano sicuramente a migliorare la comunicazione
Maria Teresa Giannelli in una sua pubblicazione molto stimolante ( Comunicare in modo etico ) mette in evidenza come il contatto corporeo riveli moltissimo riguardo al tipo di relazione esistente fra due persone. Naturalmente all’interno di un rapporto molto forte il contatto è frequente ed intenso ma una importanza centrale nell’uso di tale contatto assumono tre elementi quali il sesso, l’età e la cultura di appartenenza. Si può dire che ogni cultura ha disegnato una sorta di mappa delle parti del corpo che possono essere toccate e di quelle che invece sono considerate quasi tabù, nella nostra per esempio l’abbraccio, uno dei più eloquenti mezzi di comunicazione, fra gli adulti viene utilizzato quasi esclusivamente all’interno di situazioni ad alto valore emotivo. Pensiamo anche a quanto risulti meno imbarazzante quando ci toccano una mano rispetto a quando il contatto riguardi il nostro viso o la testa o a come le donne si tocchino fra loro molto più degli uomini. Le popolazioni di origine latina hanno contatti fisici decisamente maggiori rispetto alle anglosassoni, ebrei ed arabi dimostrano un alto grado di tattilità. In generale all’interno della cultura occidentale è frequente notare quasi delle differenze di classe nell’uso del contatto corporeo, sono le classi più elevate ad evidenziare le maggiori difficoltà ad esprimersi e comunicare attraverso il contatto fisico.
La postura : la postura può riflettere uno stato d’animo, un atteggiamento, il ruolo o lo stato sociale, può rivelare l’immagine che si ha del proprio corpo ed in ogni cultura esistono delle regole precise che definiscono quali siano le posture adeguate ad ogni circostanza. La dominanza e lo stato sociale si possono esprimere con una postura eretta, le mani sui fianchi, il capo all’indietro, la sottomissione o la riverenza abbassando lo sguardo ed il capo, inchinandosi o inginocchiandosi.
Meharabian ha condotto numerosi esperimenti soprattutto lungo la dimensione tensione-rilassamento, rilevando che per la maggior parte dei soggetti esaminati, una postura rilassata in presenza di una persona di status inferiore esprime dominanza, ma può anche comunicare antipatia ed ostilità. Le posture congruenti fra interagenti ( imitazione della postura dell’altro ) invece vengono generalmente interpretate come indice di simpatia.
La gestualità : i movimenti corporei sono, fra i segnali non verbali, quelli più influenzati dalla socializzazione e dalla cultura, alcuni sono universali (stringersi fra le spalle, battere le mani, salutare con la mano, additare, fare cenni di richiamo ), altri invece sono tipici di uno specifico gruppo culturale. In diverse parti del mondo si scuote il capo per dire no, nell’Italia meridionale ed in Grecia si usa invece un colpo di testa all’indietro, il gesto della “mano a borsa” si usa raramente in Inghilterra, è più frequente in Italia dove ha un significato interrogativo mentre in Grecia viene usato per esprimere “buono”, in Tunisia “lentamente”, in Francia “paura”. Questo per dire che approfondire la conoscenza della comunicazione non verbale può contribuire al miglioramento dei rapporti fra i popoli e favorire lo sviluppo delle relazioni internazionali. Siamo così abituati a sottolineare e ad enfatizzare quello che diciamo con i gesti che spesso li utilizziamo anche quando il nostro interlocutore non è presente ( per esempio al telefono ) e numerose ricerche hanno dimostrato come il divieto di usarli influisca pesantemente sulla produzione verbale e la ricchezza dei discorsi. Nell’ambito di interventi pubblici come conferenze o lezioni i gesti aiutano a catturare l’attenzione, infatti quando il livello raggiunto viene considerato soddisfacente tendono a diminuire di intensità.
La prosodia : gli elementi prosodici possiamo identificarli nel tono, ritmo, pause della voce. Il tono può essere strettamente legato a caratteristiche individuali del soggetto ( età,sesso,provenienza ) ed è lo specchio del nostro stato d’animo e può essere aggressivo, amichevole, alto, basso, chiaro…Il ritmo deve essere in linea con il contesto comunicativo, variarlo è sicuramente utile per richiamare l’attenzione. Le pause sono molto importanti, danno il tempo di pensare e di riflettere, sono un segnale di rispetto per l’altro, spesso servono per sottolineare passaggi particolari. La voce è il canale su cui si esercita un minor controllo, è probabile quindi che riveli in modo più veritiero i reali stati emotivi e gli atteggiamenti interpersonali.
“Con il tono giusto si può dire tutto, con quello sbagliato non si può dire nulla “
( George Bernard Shaw )
Molto altro da dire ci sarebbe riguardo alla C.N.V. ma, se vogliamo attribuire un “senso” al percorso effettuato fino ad ora, possiamo affermare che la conoscenza dei significati della C.N.V. non serve per giocare allo psicologo e,solamente, per interpretare le intenzioni dell’interlocutore ma, soprattutto, per imparare a controllare il proprio comportamento e diventare consapevoli degli effetti che la nostra comunicazione produce sugli altri.
Sintetizzando i livelli di lettura della comunicazione sono tre:
Dal punto di vista concettuale è possibile effettuare un tal tipo di divisione ma è chiaro come i tre piani siano assolutamente interdipendenti . Gorge afferma : “ Sotto molti punti di vista è giusto dire che la sintassi è la logica matematica, la semantica è la filosofia o la filosofia della scienza e la pragmatica è la psicologia, ma in realtà questi campi non sono affatto ben distinti”.
Questa interdipendenza ci appare forse più chiara se ripensiamo agli elementi che fino ad ora abbiamo considerato necessari per una comunicazione efficace :
Molto spesso facciamo una gran fatica ad individuare e ad addossarci la responsabilità di un atto comunicativo non andato a buon fine, quante volte ci è capitato di dire : “ Ho parlato con lui, ho cercato di dirglielo in tutti i modi ma proprio non ci sente”. Questo può essere un classico esempio di un messaggio caduto nel vuoto della incomunicabilità, mentre molto spesso il significato di una comunicazione è la risposta che riceviamo, in un certo senso non conta ciò che trasmettiamo ma ciò che l’altro riceve, se lui non ha capito sono io a non aver comunicato efficacemente e l’obiettivo fallito è il mio, non il suo.
“Non so mai esattamente cosa ho detto prima di sentire la risposta a quello che ho detto “ ( N.Wiener )
Dalla corposa letteratura esistente possiamo cercare di evidenziare alcuni punti che possono aiutare a superare alcune difficoltà che talvolta insorgono in uno scambio comunicativo. Adler e Towne offrono i seguenti suggerimenti:
Ma allora chi è il buon comunicatore?
La comunicazione è reciprocità, rispetto dell’altro, arricchimento, è un momento significativo del processo di apprendimento, anzi come tale dovrebbe far parte, fin dall’inizio, dell’educazione di un individuo, perciò possiamo anche essere dei grandi esperti e conoscitori delle tecniche ma se non crediamo fortemente nel valore della comunicazione, così come lo abbiamo descritto, saremo solo dei manipolatori.
Quando la comunicazione è scientificamente strutturata per sfruttare emozioni ed atteggiamenti inconsci non dovremmo più denominarla così ma, per esempio, coercizione o indebita influenza. Sappiamo benissimo come i regimi dittatoriali abbiano individuato nella comunicazione di massa un sistema per la creazione di consenso, ma anche la comunicazione pubblicitaria o elettorale potrebbero configurarsi come indebita influenza. Vengono utilizzati “testimonial” di cui è nota la simpatia o la stima presso il grande pubblico per convalidare e rafforzare il messaggio comunicativo, le emozioni vengono evocate ad arte per creare un supporto inconscio alla persuasione. Come fare per riconoscere una indebita influenza, sia all’interno delle nostre relazioni, sia nel variegato mondo della comunicazione di massa? Potremmo riconoscere nella autostima e nell’addestramento delle facoltà critiche i due principali meccanismi di difesa: la costruzione della propria autostima si basa sulla valorizzazione delle proprie esperienze positive abituandosi a sviluppare un atteggiamento positivo, l’addestramento delle proprie facoltà critiche è un processo culturale continuo in cui l’individuo deve continuamente porsi delle domande sulle comunicazioni e gli stimoli che riceve, cercando di individuarne la reale validità al di là dei condizionamenti emotivi e prescindendo dalla fonte. Bisogna scindere la nozione dalla fonte e valutarla in sé, evitare, per esempio, di ritenere valida e giusta una comunicazione solo perché ci perviene da un amico o da un movimento di opinione o partito in cui ci identifichiamo, cercare di esaminarla anche per i contenuti che esprime rispetto alla nostra cultura e scala di valori. Questi meccanismi creano una sorta di vaccinazione nei riguardi dei luoghi comuni e delle banalità culturali, dell’uso strumentale che spesso viene fatto delle conoscenze sulla comunicazione,sulle sue modalità e sui corrispondenti effetti e possono consentire alle persone di difendersi meglio dalla comunicazione coercitiva o dall’indebita influenza, senza limitarle nell’accettazione del contributo derivante dall’interazione con gli altri che deriva da un corretto scambio di informazioni e di opinioni.
Il buon comunicatore non ha come obiettivo la strumentalizzazione ma la promozione di sé e dell’altro e suggestivo è l’ideogramma cinese che designa la comunicazione. E’ piuttosto complesso ed è la risultante degli ideogrammi, che si integrano vicendevolmente, riferiti ai seguenti significati: orecchio ( ascolto ), occhi (vista), attenzione completa, cuore. In mancanza di uno di questi elementi non vi è comunicazione piena, possiamo rimanere su un piano esclusivamente superficiale, sui vari piani estetico, intellettuale, affettivo ma per una comunicazione efficace deve entrare in campo la totalità della persona, con l’attivazione cosciente di tutte le sue facoltà.
Se ancora, in qualcuno di noi, dovesse sussistere il dubbio che la comunicazione sia un fenomeno assolutamente naturale che non necessita, perciò,di “apprendimento”, può essere stimolante rifarsi alla cornice concettuale che lo psicologo americano Abraham Maslow ci fornisce per capire in che modo impariamo qualsiasi cosa, anche a comunicare:
Per concludere possiamo dire che saper gestire l’evento comunicativo nella sua complessità e completezza, comprendere e porre attenzione alle dinamiche che avvengono all’interno del processo che abbiamo chiamato “ comunicazione “ è molto importante, non solo per la nostra vita personale ma,anche, per il raggiungimento dei nostri obiettivi in ambito professionale. Non a caso si dice che “una azienda è come comunica” e che le performance dei singoli e dei gruppi saranno influenzate dal tipo di comunicazione interna ed esterna, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo: verranno influenzati il clima, il livello di soddisfazione, la stabilità della leadership e, non ultima, la motivazione al lavoro.
Fonte: http://www.dia.uniroma3.it/~dispense/alessandrini/aa2008-2009/Dispensa%20La%20comunicazione%20interpersonale.doc
Sito web da visitare: http://www.dia.uniroma3.it
Autore del testo: M. V. Ballan
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