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La seconda metà del settecento
L’età delle rivoluzioni
La storia
Il Settecento: l’età delle Rivoluzioni
[Una società in movimento]Il Settecento è stato definito ben a ragione come l’età delle rivoluzioni. Una simile definizione vuole sottolineare le grandiosi trasformazioni che hanno sconvolto nel corso del XVIII secolo l’Occidente europeo da tutti i punti di vista: economico, sociale e politico.
[Una frattura nella storia dell’umanità]Queste trasformazioni segnano, nella storia dell’umanità, una frattura fondamentale. Ciò vuol dire che se un uomo del Trecento si fosse trovato catapultato nel primo Settecento, avrebbe trovato un mondo tutto sommato abbastanza simile al proprio, nel quale sarebbe riuscito bene o male ad orientarsi; al contrario, nel mondo di fine Settecento avrebbe creduto di trovarsi tra i marziani, o in un paese di folli. Lo stesso vale per noi: se il mondo pre-settecentesco ci appare come del tutto diverso da quello contemporaneo, il mondo di fine Settecento comincia ad avere dei tratti che riconosciamo come familiari: è l’inizio dell’era contemporanea. Ovviamente una simile trasformazione non avvenne da un momento all’altro, né in maniera uniforme. Per decenni il vecchio e il nuovo convissero fianco a fianco; alcuni paesi continuarono a rimanere in una fase premoderna mentre altri balzarono in avanti bruciando le tappe (è il caso soprattutto dell’Inghilterra); all’interno dello stesso paese alle zone più avanzate e dinamiche si contrapponevano vaste sacche in cui sembrava che il tempo si fosse fermato.
Prima della rivoluzione: una società agricola
[L’agricoltura come base dell’economia]Fin dai tempi della rivoluzione agricola, avvenuta nel neolitico (tra il sesto e il terzo millennio avanti Cristo), fin da quando l’uomo primitivo aveva imparato a coltivare la terra e a non affidarsi semplicemente alla caccia, alla pesca, alla raccolta delle piante nate spontaneamente, l’agricoltura era stata la base dell’economia. Anche nelle società antiche e nel medioevo esistevano la produzione artigianale e il commercio: ma fabbri, muratori, carpentieri, falegnami, tessitori, cambiavalute, mercanti di spezie, vasai, orefici erano in genere ritenuti inferiori, per prestigio sociale e per potere politico (sebbene a volte potessero essere persino più ricchi), alla classe aristocratica o nobiliare, principale proprietaria terriera.
[La terra: unica forma di ricchezza] L’unica vera ricchezza era considerata la terra, proprio perché al possesso della terra era legata l’agricoltura, e dall’agricoltura dipendeva la sopravvivenza della comunità: avere una produzione sufficiente al fabbisogno locale, evitare il rischio di carestie e la morte per fame erano l’obiettivo principale del sistema economico. Non si coltivava la terra per accumularne i prodotti e aumentare il guadagno, ma per rispondere al fabbisogno comune, per sopravvivere. La terra di per sé era la ricchezza, e questo bastava. Chi possedeva la terra ne aveva in genere così tanta (sono i latifondi: proprietà estese enormemente), da non avere bisogno di altro. Per questo si parla di economia di sussistenza o chiusa. A volte i proprietari potevano persino decidere di lasciare incolta buona parte della loro proprietà: perché – come si è detto – a contare era la terra in sé e non il suo prodotto – tanto il cibo sarebbe stato sempre più che abbondante per i proprietari stessi: solo per gli altri poteva non essere sufficiente…
Il sorgere e l’affermarsi di un nuovo modello economico
[La nascita dell’economia industriale in Inghilterra]Questa struttura economica (definita economia agricolo-artigianale) subisce, nel corso del Settecento, una straordinaria trasformazione che viene indicata, nel suo insieme, come rivoluzione industriale. Il termine ‘rivoluzione’ viene utilizzato proprio per sottolineare la rapidità e la profondità della trasformazione, che riguarda tutti gli aspetti della vita umana: il modo di produrre, i rapporti tra i diversi gruppi sociali, il sistema politico, il rapporto tra l’uomo e la natura, la mentalità e la cultura. Alla base di tutto questo processo sta l’affermarsi di un’economia industriale, centrata sulla fabbrica. Il primo paese a essere interessato è l’Inghilterra, che godeva di una situazione di vantaggio grazie a una serie di fattori: il commercio fiorente e la ricchezza diffusa che ne derivava, le trasformazioni già in atto nel settore agricolo, l’esistenza di una discreta rete interna di comunicazioni, un sistema politico particolarmente avanzato. Possiamo così sintetizzare gli aspetti principali della rivoluzione industriale:
Le trasformazioni sociali: dalla società d’antico regime…
[Il primato della nobiltà]La rivoluzione industriale trasforma radicalmente la struttura sociale. La società seicentesca, che viene definita ‘d’ancien régime’ (antico regime), era caratterizzata dal primato incondizionato della nobiltà, il cui prestigio era fondato sulla proprietà terriera. La nobiltà aveva una forte coscienza di classe e rispettava, in tutta Europa, gli stessi riti sociali e lo stesso stile di vita. Si presentava come una casta chiusa, alla quale si apparteneva per privilegio di nascita, anche se, al suo interno esistevano delle differenze: tra nobiltà ricca e nobiltà povera, tra nobili di spada (di origine feudale e cavalleresca) e nobili di toga (di origine più recente, in genere legati all’amministrazione statale).
[La divisione in ceti]La difesa dell’identità e dei privilegi nobiliari aveva determinato la divisione della società in ceti (o ordini o stati). Oltre alla nobiltà esistevano altri due ceti: il clero (a cui appartenevano tutti gli ecclesiastici) e il terzo stato (che rappresentava la maggior parte della popolazione e conteneva al suo interno categorie molto diverse tra loro: contadini, operai, artigiani, commercianti, professionisti, banchieri). I ceti corrispondono in parte alle classi sociali, ma sono diversi perché si basano su una esplicita discriminazione. L’appartenenza a un ceto piuttosto che a un altro è stabilita dalla nascita e determina diritti e doveri diversi, nonché un diverso trattamento di fronte alla legge. Dal ceto dipendono i privilegi e gli obblighi fiscali, la possibilità di accedere a un certo livello di istruzione, o di avere determinati incarichi amministrativi e militari.
[Una società immobile]La società è tendenzialmente immobile, ed è molto difficile cambiare ceto di appartenenza: il destino di ogni individuo è in buona misura segnato dalla nascita. Anche il clero, che è un ceto d’elezione (si deve scegliere di diventare uomini di chiesa) è diviso al suo interno tra alto clero (ecclesiastici di prestigio, provenienti da famiglie nobili) e basso clero (parroci di campagna, frati – di solito di origine umile). I nobili difendono la loro ‘diversità’ impedendo i matrimoni misti e destinando solo al primogenito titoli e proprietà di famiglia (in modo da non spezzettare il patrimonio).
…alla società borghese
[L’emergere della borghesia]Questo sistema è messo in crisi dalla trasformazione del sistema economico. Molti imprenditori, molti dei proprietari delle nascenti fabbriche provengono infatti dal terzo stato. Sono ricchi, sicuri di sé, intraprendenti, e non sono disposti ad accettare i privilegi nobiliari, né a rimanere confusi con il popolo e con gli strati più umili: sono borghesi. Poco per volta l’asse del potere si sposta inesorabilmente dalla nobiltà a questo nuovo gruppo sociale, la borghesia, perché il sistema economico su cui si basava il privilegio della nobiltà (economia agricola e ricchezza fondiaria) sta tramontando a favore dell’industria e del capitalismo. All’affermazione economica si lega la presa di coscienza: la borghesia acquista consapevolezza di sé e si propone come insieme autonomo, diverso sia dal terzo stato, sia dalla nobiltà.
[Dai ceti alle classi]L’emergere della borghesia mette in crisi il sistema dei ceti, troppo rigido e statico. Nel giro di un secolo, si passa dai ceti alle classi. L’appartenenza alla classe è determinata solo in parte dalla nascita: dipende invece dalla ricchezza, dalla professione svolta, anche dall’autocoscienza della propria condizione. Non si può cambiare ceto, ma si può cambiare classe sociale. Comincia ad affermarsi l’idea dell’uguaglianza giuridica dei cittadini: tutti devono essere uguali di fronte alla legge, godere degli stessi diritti e delle stesse possibilità, avere gli stessi doveri fiscali. L’appartenenza a una classe, insomma, non determina lo statuto giuridico della persona, contrariamente a quanto avveniva per i ceti.
Una società in movimento
[Un sistema fondato sul denaro]La borghesia è una classe al suo interno molto eterogenea: si va dai piccoli e grandi imprenditori ai liberi professionisti, dai finanzieri ai commercianti, dai giornalisti agli impiegati più umili. Comune a tutti è però una forte consapevolezza, il fatto cioè di sentirsi borghesi. La borghesia elabora velocemente un suo sistema di valori, diverso da quello nobiliare: non più lusso e dispendio, ma oculata gestione del proprio patrimonio, non più privilegio di nascita, ma intraprendenza individuale. Al centro di questo sistema è il denaro. Il denaro è l’idolo (e l’incubo) della borghesia. Nel mondo borghese tutto viene rapportato al denaro, anche se spesso in maniera non detta. Il nobile rimane nobile anche senza soldi, il borghese senza soldi è molto simile a un qualsiasi membro del terzo stato. Il denaro fa la differenza, ma rende tutti uguali perché, almeno in teoria, è alla portata di tutti. Cambia così la concezione della ricchezza: la ricchezza borghese è in costante movimento, si accumula (si può anche perdere) e si reinveste, ed è ben diversa dalla ricchezza acquisita (congenita e statica) dei nobili.
[Il mito dell’ascesa sociale]Per questo la società borghese è una società mobile, in continua trasformazione, che esalta come suo valore essenziale proprio il dinamismo, la mobilità sociale. Il grande mito della borghesia settecentesca e primo-ottocentesca è l’ascesa sociale: la possibilità di arricchirsi, di ‘arrivare’ (parvenirè il verbo francese che meglio esprime questo concetto; parvenu sono i nuovi ricchi), di compiere la scalata sociale. Come già si diceva prima, almeno in teoria la possibilità dell’ascesa sociale è aperta a tutti. Chiunque, purché dotato di intraprendenza, spregiudicatezza, costanza, può realizzare la propria personale ascesa sociale. Il mito dell’ascesa è sostenuto dalle trasformazioni in corso nel sistema produttivo, che determinano oggettivamente un’apertura delle possibilità: in un mondo economico in rapida evoluzione è davvero possibile godere di numerose opportunità e occasioni favorevoli. Tanto è vero che, nel corso del Settecento, soprattutto in Francia e in Inghilterra, migliaia di persone e di gruppi familiari si arricchiscono, cambiano condizione sociale e diventano borghesi.
Le grandi rivoluzioni politiche
[Il sistema politico dell’antico regime]La forma politica per eccellenza dell’ancien régime è la monarchia assoluta. Il sovrano governa in maniera ‘assoluta’, cioè sciolto da ogni vincolo, controlla il potere giudiziario, esecutivo e fiscale, non deve rendere conto del suo operato, perché il suo potere non è frutto di un accordo, di un mandato sociale, ma deriva direttamente da Dio: è sacro. Il rapporto tra trono (potere civile) e altare (potere religioso) è tipico dell’antico regime: i sovrani si servono della religione per rafforzare la loro autorità, concedendo in cambio privilegi e immunità agli ecclesiastici. Lo stato assoluto rappresenta e difende gli interessi dell’aristocrazia, sia dal pericolo di eventuali rivolte popolari, sia – in seguito – dalla pressione dei ceti borghesi.
[La crisi del sistema politico dell’antico regime]Proprio le grandi trasformazioni in atto nel sistema economico e sociale determinano la crisi di questo sistema politico. I borghesi in ascesa, sempre più ricchi e intraprendenti, non sono disposti ad accettare una forma di organizzazione politica da cui rimangono esclusi e premono per essere rappresentati e tutelati, sfruttando spesso a proprio favore il malcontento dei ceti più umili.
[L’età delle rivoluzioni]Il passaggio del potere dall’aristocrazia alla borghesia avviene attraverso una serie di grandi rivolgimenti: è l’età delle rivoluzioni. La prima di queste rivoluzioni avviene in Inghilterra, proprio perché l’Inghilterra era il paese più avanzato dal punto di vista sociale ed economico. La ‘gloriosa rivoluzione’ (1688) – come sarà definita in seguito – stabilisce per la prima volta alcuni principi che diventeranno essenziali: il ruolo del parlamento rispetto al sovrano; la divisione dei poteri; la tutela dei cittadini rispetto alla legge. Alla rivoluzione inglese seguono la rivoluzione americana (1776-1783), che porterà alla nascita degli Stati Uniti d’America, e la rivoluzione francese (1789-1799). Anche se l’effetto immediato fu spesso una situazione di caos e di violenza, il risultato finale di questa serie di avvenimenti traumatici è la fine dell’ancien régime e la nascita dello stato liberale borghese. Sicuramente non si tratta di un processo lineare: alcuni paesi trovano abbastanza presto un nuovo assetto (Inghilterra, Francia); altri si arroccano nella difesa ad oltranza dell’assolutismo e dei privilegi aristocratici (Russia, Austria, Prussia).
[Dalla Rivoluzione francese alla Restaurazione]Dopo la rivoluzione francese, l’Europa intera è travolta dall’ascesa di Napoleone Bonaparte, che instaura alla fine una vera e propria dittatura personale; nel 1815, quando Napoleone viene sconfitto definitivamente, le potenze vincitrici (Austria, Prussia e Russia soprattutto) si illudono di poter tornare all’epoca precedente la rivoluzione, e all’antico regime: è l’inizio dell’età della Restaurazione. Ma il processo storico è ormai irreversibile.
[Il nuovo sistema politico]Dalla concitata età delle rivoluzioni, emerge, sia pure con tempi e modalità diverse a seconda delle condizioni dei singoli paesi, un nuovo sistema politico. Possiamo così schematizzarne così le caratteristiche:
La particolarità della situazione italiana
[La posizione marginale dell’Italia]In questo periodo di grandi trasformazioni, l’Italia rimane in una posizione marginale. In primo luogo, a causa della situazione politica: mentre nel resto dell’Europa si affermano le monarchie nazionali, l’Italia è rimasta divisa in numerosi, piccoli statarelli, per la maggior parte in mano a dinastie straniere (francesi, austriaci, spagnoli). Anche dal punto di vista economico le cose non vanno meglio: tutti gli stati italiani hanno subito il declino del Mediterraneo e sono rimasti esclusi dalle nuove rotte atlantiche; la base principale dell’economia è ancora l’agricoltura feudale basata sul latifondo; rari e isolati sono gli esperimenti manifatturieri e industriali. Al contrario di quello che sta avvenendo in altri paesi (Francia e Inghilterra soprattutto), la classe borghese stenta ad affermarsi e a prendere consapevolezza; particolarmente forte è l’influenza della Chiesa Cattolica e l’alleanza tra clero e nobiltà.
[Il dispotismo illuminato]Nella seconda metà del ‘700 quasi tutti gli stati italiani tentano la via delle riforme e del dispotismo illuminato: i principi non rinunciano al loro potere assoluto (dispotismo), maaccettano i consigli dei filosofi illuministi (per questo il dispotismo è illuminato). Le riforme varate in questo periodo hanno come scopo principale la modernizzazione e la razionalizzazione dello stato: il sistema fiscale e burocratico viene reso più efficiente; vengono aboliti alcuni tradizionali privilegi del clero; viene tolto agli ordini religiosi il monopolio dell’istruzione; in alcuni casi vengono aboliti la tortura e la pena di morte. Il dispotismo illuminato viene però travolto dalla rivoluzione francese e dall’avventura napoleonica.
[Le campagne napoleoniche e le repubbliche giacobine]Le prime campagne in Italia di Napoleone portano alla crisi dei piccoli stati assoluti e alla nascita delle repubbliche giacobine(i giacobini rappresentavano l’ala radicale dei rivoluzionari francesi), che si affermano nell’Italia settentrionale e in alcune grandi città (Roma, Napoli). Tuttavia ben presto la guerra di liberazione da parte della Francia si trasforma in guerra di conquista: le repubbliche crollano e al loro posto Napoleone instaura un nuovo regno. Finché la caduta di Napoleone e l’inizio della Restaurazione sembrano riportare l’Italia alla condizione di partenza.
Le idee
La rivoluzione scientifica
[L’autonomia della scienza]Le grandi trasformazioni sociali ed economiche che avvengono nel corso del Settecento sono precedute (e accompagnate) da una radicale trasformazione del sapere che viene definita rivoluzione scientifica. La scienza si definisce come una disciplina autonoma, dotata di un suo metodo e di suoi obiettivi particolari, mentre nei secoli precedenti era stata confusa con la filosofia, con la teologia, con la letteratura.
[Scienza e religione: la teoria eliocentrica]L’autonomia della scienza riguarda anche la religione. Nel corso del medioevo e fino al Seicento, i dogmi religiosi erano stati considerati come verità scientifiche (la creazione del mondo, la struttura del cosmo, la comparsa dell’uomo), e la scienza aveva accettato i limiti imposti dalla teologia. L’evento simbolicamente più significativo è il passaggio dalla teoria geocentrica (la terra è immobile al centro dell’universo) a quella eliocentrica (il sole al centro dell’universo). La nuova concezione astronomica, elaborata da un astronomo polacco (Copernico) a metà Cinquecento, mette in discussione gli schemi mentali ritenuti validi per tremila anni.
[Il fine della scienza]Cambia anche la definizione degli scopi della ricerca scientifica. La scienza deve descrivere i fenomeni e trovarne le norme di funzionamento, non deve andare alla ricerca delle cause metafisiche. Il fine della scienza non è l’indagine dei principi primi dei fenomeni (Perché piove? Qual è la causa ultima della pioggia? Chi ha voluto la pioggia?), ma del loro svolgersi (Come e quando si forma la pioggia? Che cosa porta alla pioggia?). Scompare la tradizionale distinzione tra attività intellettuale e attività manuale.
[Il nuovo metodo sperimentale]La scienza non è più una disciplina astratta, esclusivamente speculativa; lo scienziato, se vuole ‘sperimentare’ veramente, deve confrontarsi con la materia: deve ideare, progettare e saper realizzare gli strumenti necessari. Vengono così messe a punto le prime macchine di precisione, i primi strumenti moderni. La scienza e la tecnica sono ormai intrecciate; sta nascendo la moderna tecnologia. Il procedimento essenziale della nuova scienza è il metodo sperimentale, che si articola in tre momenti diversi: 1) ipotesi matematica; 2) osservazione dei fenomeni; 3) esperimento di verifica.
L’illuminismo
[Caratteri dell’illuminismo]Alla rivoluzione scientifica si riallaccia in parte l’illuminismo. Come dice il nome stesso, l’obiettivo principale è quello di rischiarare (illuminare) con i lumi della ragione le tenebre dell’ignoranza. Il movimento ha origine in Francia, ma ben presto si diffonde a livello europeo, manifestandosi con sfumature molto diverse tra loro. Secondo gli illuministi la ragione distingue l’uomo dagli animali ed è la sua dote principale; solo grazie ad essa è possibile uscire dall’ignoranza e da una condizione di vita primitiva. Per questo non bisogna accettare supinamente ciò che la tradizione suggerisce, ma riflettere con la propria testa, mettere in discussione i preconcetti e i dogmi tramandati dall’autorità del passato.
[La distinzione tra fede e ragione]In particolare, è necessario liberarsi dall’autorità della religione, che è stata per secoli sinonimo di oscurantismo. La religione rivelata ha impedito lo sviluppo del libero pensiero e ha costretto l’umanità ad accettare senza discutere una serie di dogmi e una visione generale dell’universo e della vita basata sulla fede e non sull’indagine razionale dei fenomeni. Gli illuministi affermano invece la distinzione tra fede e ragione: l’esistenza di dio o in generale i problemi metafisici non vengono negati a priori, ma subordinati alle questioni terrene. Ciò che conta è la terra e non il cielo. La fede è una questione che riguarda la coscienza dei singoli. Alcuni illuministi sono atei, altri deisti (credono cioè nell’esistenza di un essere supremo che però non si identifica con il dio di una precisa religione rivelata), altri credenti.
[Conquiste e limiti dell’illuminismo]Nel complesso si può dire che l’illuminismo ha contribuito in maniera decisiva a superare dogmi e oscurantismi del passato e a elaborare un pensiero moderno, razionalista e tollerante, sostituendo il principio d’autorità con l’indagine critica, restituendo dignità e valore al singolo individuo e alla vita terrena. Tuttavia, non bisogna dimenticarne i limiti: l’esaltazione della ragione a danno di altri aspetti, la fiducia eccessiva nella scienza e nel progresso, il sostanziale disinteresse per i ceti umili. Ancora oggi, l’aggettivo ‘illuministico’ indica, nel bene e nel male, l’atteggiamento di chi crede ottimisticamente nella forza della ragione e pensa che le idee e la cultura siano in grado di per sé di modificare le condizioni di vita dei popoli, senza intervenire direttamente sulle strutture materiali e sulla distribuzione della ricchezza.
Nuovo pubblico, nuovi intellettuali
[L’intellettuale illuminista]Con l’illuminismo si afferma una nuova figura di intellettuale. Il letterato tradizionale si limita alla pratica della letteratura e dipende dalla protezione e dal favore dei potenti (nella maggior parte dei casi è un ecclesiastico, al servizio dei nobili o della corte). Al contrario, l’intellettuale illuminista, oltre ad avere una diversa origine sociale (nella maggioranza dei casi proviene dalla borghesia e non fa parte di ordini religiosi), si considera investito di un ben preciso mandato sociale. Vuole essere ideologo e riformatore, intervenire nei problemi civili e sociali, proporre ragionevoli riforme. È un poligrafo, che si interessa degli argomenti più disparati; scrive sui giornali e sui periodici, pubblica opere di propaganda militante (pamphlets); tende a influenzare l’opinione pubblica per indirizzarla verso il bene comune.
[La nascita del pubblico moderno]D’altra parte anche il pubblico acquista un peso considerevole: aumenta rapidamente il numero delle persone alfabetizzate, in grado di leggere, di giudicare le opere letterarie, di intervenire nelle questioni di pubblico interesse. Si diffondono nuove forme di aggregazione intellettuale, al di fuori dei luoghi tradizionali come le accademie o le corti: le società, i salotti, i caffé. Si affermano strumenti moderni di diffusione della cultura: le gazzette e i periodici. In Italia la prima rivista politico-culturale è «Il caffé»: gli autori, fingendo di riproporre le discussioni che avvengono in un caffé milanese, intervengono sulle principali questioni di attualità. Come molte altre riviste contemporanee, il «Caffé» adotta uno stile divulgativo: i contenuti vengono esposti con un linguaggio semplice, facilmente comprensibile, ricco di riferimenti alla realtà quotidiana. In generale, la prosa degli illuministi tende a essere chiara, accessibile. Non un linguaggio specialistico e settoriale, riservato solo agli intenditori, ma un efficace strumento di comunicazione adatto al nuovo pubblico borghese.
La rottura con il passato
[Un’epoca di mutamenti veloci e radicali]Nel corso del Settecento le condizioni di vita materiali, sociali e politiche mutano profondamente e rapidamente; così tanto, da influenzare in maniera decisiva la vita dei singoli individui, che spesso sperimentarono sulla propria stessa pelle la portata dei cambiamenti in atto. Diventa indispensabile sapersi adattare, modificare al bisogno idee, comportamenti sociali, pratiche politiche, esigenze economiche.
[La rottura con il passato]L’eredità del passato non è più il punto di riferimento imprescindibile. Di conseguenza, cambia anche il modo di concepire la letteratura nel suo insieme. Fino al Settecento la tradizione letteraria era sentita come un insieme continuo e ininterrotto, dal passato classico al presente, senza soluzione di continuità. Qualsiasi nuova opera si collocava in questa tradizione, in un dialogo sempre aperto con gli autori del passato, ai quali si potevano anche scrivere lettere, rivolgere preghiere, chiedere ispirazione. A partire dalla metà del Settecento si avverte invece sempre di più la frattura tra antico e moderno: i classici del passato sono oggetto di venerazione, di nostalgia, di rimpianto, a volte anche di ripudio, in ogni caso appartengono a uno spazio e a un tempo a sé stante.
[Romanticismo e neoclassicismo]Questa consapevolezza è alla base di due tendenze apparentemente contrapposte che si manifestano nel corso del Settecento. Da una parte l’esibizione provocatoria della rottura con la tradizione: si rigettano le forme del passato, si sperimentano nuove forme, si afferma la libertà assoluta del genio individuale. È questa la base dell’atteggiamento che si definirà romantico. Dall’altra il recupero volontaristico della tradizione: si esalta la lezione dei classici, l’imitazione degli antichi. Si parla a questo proposito di neoclassicismo, vale a dire ‘nuovo classicismo’: non il classicismo del passato, dunque (cioè una comunione spontanea, scontata e immediata con i classici), ma il tentativo di ritornare al passato con spirito nuovo, nella consapevolezza della frattura avvenuta.
Neoclassicismo e preromanticismo
[I principi del neoclassicismo]Il neoclassicismo mette in pratica sul piano estetico alcune delle principali istanze illuministe: la ricerca dell’equilibrio e dell’armonia formale risponde infatti al culto della razionalità e della regolarità. La base dell’estetica neoclassica è l’opera di un archeologo tedesco, Johann Joachim Winckelmann. I principi fondamentali del neoclassicismo sono:
[Un ideale di arte impegnata]Il neoclassicismo non si chiude in un’ammirazione astratta del passato, ma propone l’ideale di un’arte impegnata politicamente e civilmente, volta a rappresentare i valori su cui si regge la società. Ovviamente questi valori possono anche variare: durante la rivoluzione francese il modello per eccellenza è l’antica Roma repubblicana, mentre nel periodo napoleonico diventa Roma imperiale.
[Caratteri del preromanticismo]Tuttavia, come abbiamo già detto, il sentimento della distanza insormontabile che separa il mondo moderno dall’antichità può suscitare anche tendenze diverse, definite come preromantiche. In questo caso a prevalere è l’esaltazione del passato primitivo e medioevale delle singole nazioni, la valorizzazione dell’irrazionalità, la preferenza accordata agli aspetti più cupi e tempestosi della natura e dell’animo umano. Il movimento culturale che meglio esprime le tendenze preromantiche è lo Sturm und Drang (Tempesta e impeto), nato e diffusosi in Germania tra la fine del Settecento e i primi anni dell’Ottocento. Anche la moda della poesia sepolcrale (poesia ambientata nei cimiteri, preferibilmente in notti tempestose) esprime la medesima sensibilità preromantica. Bisogna però fare attenzione: le definizioni di neoclassicismo e preromanticismo si basano su testi e documenti dell’epoca, ma nessuna delle due è stata coniata e teorizzata dagli autori interessati. Entrambe esprimono due aspetti della medesima cultura e rappresentano soprattutto indicazioni di gusto e di sensibilità. Di conseguenza, non ha senso tentare una classificazione degli autori e delle opere su questa base. Nello stesso autore, a volte persino nella stessa opera, è possibile riconoscere contemporaneamente elementi neoclassici e elementi preromantici.
Rivoluzione scientifica
Valorizzazione del Medioevo e del primitivo
Rifiuto della tradizione
Valorizzazione della classicità
Recupero dell’antico
Lo spazio letterario
Una frattura radicale
[Generi vecchi e nuovi]Tra la metà del Settecento e l’inizio dell’Ottocento avviene nella storia letteraria occidentale una trasformazione epocale. Forme dalla tradizione secolare, spesso di origine classica (greca o latina), scompaiono o diventano nel giro di pochi anni reperti archeologici. È il caso del poema epico, o della tragedia classica. Forme minori passano contemporaneamente in primo piano; si affermano nuovi generi: il saggio, l’autobiografia. Soprattutto, incomincia la grande stagione del romanzo, che si impone come la più compiuta espressione della nuova era borghese.
[Una rivoluzione nel sistema dei generi]Il sistema dei generi ne risulta rivoluzionato: il romanzo diviene il genere narrativo per eccellenza, a scapito di altre forme narrative in versi. Si ha nel complesso uno straordinario incremento della produzione letteraria, legato anche alla piena legittimazione di generi minori (la memoria, la scrittura epistolare). Lo spazio letterario viene insomma ridisegnato: nel giro di qualche decennio si passa da uno spazio premoderno a uno spazio moderno. O meglio: che noi definiamo ‘moderno’ (distinguendolo da quello precedente) perché è sostanzialmente, da due secoli circa, ancora il nostro. Per noi, a distanza di tempo, è facile scorgere la frattura. Ma sul momento, pochi si accorsero di quanto stava avvenendo; quasi tutti continuarono a praticare indifferentemente generi diversi, senza avvertirne l’incompatibilità. A lungo forme vecchie e nuove convivono fianco a fianco. Opere di straordinaria modernità convivono con opere ormai del tutto anacronistiche. È il caso di autori come Ugo Foscolo, Giacomo Leopardi, Wolfgang Goethe. Per questo la loro produzione ci appare oggi come uno strano miscuglio di aspetti familiari, in cui ci riconosciamo e che sentiamo nostri, ed aspetti che invece ci sembrano straordinariamente lontani ed estranei.
Il genere della nuova epoca: il novel
[L’origine del romanzo]Il termine italiano «romanzo» deriva dall’avverbio latino «romanice», che letteralmente significa ‘romanicamente’, e che indicava il modo di parlare di chi abitava la Romània, cioè il territorio corrispondente all’ex impero romano, ormai in mano ai barbari. «Romaniche» o «romanze» erano le lingue derivate dal latino; successivamente ‘romanzo’ passò a indicare un’opera scritta in lingua volgare (cioè in lingua romanza e non in latino), quindi la forma letteraria per eccellenza della produzione in volgare, il romanzo cavalleresco, e, infine, qualsiasi narrazione in prosa di una certa estensione.
[Novel e romance]Con lo stesso termine, però, noi indichiamo in italiano due forme letterarie molto diverse tra loro, che in inglese hanno infatti due nomi differenti: da una parte il novel (ossia il romanzo realistico, che non si discosta dal verosimile e racconta di solito fatti non lontani dalla vita ordinaria); dall’altra il romance (il romanzo d’avventura, che narra vicende straordinarie o meravigliose). Mentre il romance ha origini antichissime (i primi romanzi che conosciamo appartengono alla letteratura greca e sono dei primi secoli avanti Cristo), il novel si afferma nell’Europa industrializzata a partire da metà Settecento.
[Caratteri del novel]Le caratteristiche essenziali del novel sono:
Altre forme romanzesche
[La sopravvivenza del romance]Non bisogna tuttavia dimenticare che se il novel è il genere moderno per eccellenza, accanto ad esso esistono anche altre forme romanzesche. In primo luogo, romance d’amore e d’avventura, che proseguono la tradizione classica e medievale: storie mirabolanti di grandi passioni, che si svolgono in uno scenario indistinto e spesso esotico, al di fuori del mondo borghese in formazione.
[Antiromanzo, romanzi saggio e romanzi filosofici]In secondo luogo, romanzi umoristici o paradossali, nei quali la vicenda narrata è solo un pretesto e la linearità della trama è sconvolta dal gusto delle digressioni, dalle riflessioni della scrittura su di sé. Spesso è stata usata per queste opere la definizione di antiromanzo: il ribaltamento delle convenzioni romanzesche è così radicale che si passa dal romanzo al suo contrario. Infine, abbiamo i romanzi-saggio: la vicenda narrata serve come pretesto per riflettere su un determinato argomento, per criticare alcuni aspetti della società contemporanea, magari a partire da invenzioni paradossali (l’arrivo di un ‘barbaro’ straniero nel mondo ‘civile’; il viaggio per terre e popoli immaginari). Possono essere ricondotti a questa categoria anche i contes philosophiques (romanzi filosofici), genere caro agli illuministi: il racconto, attraverso l’invenzione narrativa, illustra un concetto o un presupposto filosofico (la critica alla teoria del migliore dei mondi possibili, il mito del ‘buon selvaggio’, la condanna dell’intolleranza).
Dalla tragedia / commedia al dramma borghese
[La tragedia classica] Nel sistema classico dei generi fondamentale era la distinzione tra tragedia e commedia. La tragedia era considerata il genere «perfettissimo» per eccellenza, ed era soggetta ad una serie di norme molto rigide: unità di luogo e di azione, rappresentazione di grandi conflitti morali e politici, riferimento a modelli lontani dalla quotidianità (derivanti di preferenza dalla storia greca e romana). Di fatto si trattava di un genere elitario, composto per una cerchia ristretta di aristocratici, messo effettivamente in scena (quando ciò avveniva) solo nelle corti.
[Il teatro comico e la commedia dell’arte]Lo stesso si può dire della commedia, che spesso non faceva altro che ripetere – o complicare all’inverosimile – trame del teatro antico. Per contro sulla scena teatrale vera e propria si era affermata la commedia dell’arte, basata sull’estro degli attori, che improvvisavano a partire da una traccia scritta (canovaccio).
[La riforma goldoniana]Su questo panorama si innesta la riforma di Carlo Goldoni, che parte dalla condanna della commedia dell’arte, ma arriva a mettere in discussione la tradizionale distinzione fra commedia e tragedia. Le opere di Goldoni hanno delle parti innegabilmente comiche; tuttavia nello stesso tempo riflettono con molta serietà sui valori e sui limiti della nuova classe emergente, la borghesia. Sulla base della suddivisione canonica, esse sono difficilmente classificabili: troppo ‘serie’ per essere commedie, troppo ‘umili’ per essere tragedie. Nasce da qui un nuovo genere, che diverrà dominante nell’Ottocento: il dramma borghese, che può essere considerato il corrispettivo teatrale del novel. Non più gerarchia degli stili, delle forme, dei temi, dei linguaggi, ma mescolanza, commistione.
La riforma del melodramma
[La riforma del melodramma a opera di Metastasio]Analoga alla riforma del teatro comico è la riforma del melodramma, compiuta da Pietro Metastasio nel corso del Settecento. Il melodramma, nato alla fine del Cinquecento a Firenze, è un genere del teatro musicale fondato sulla sintesi di azione scenica, parola, canto e musica strumentale; nel corso del tempo la musica si era affermata a tutto svantaggio del testo e dell’intreccio, subordinati alle esigenze dei musicisti e dei cantanti. Così come Goldoni, anche Metastasio riparte dalla valorizzazione del testo scritto e ridà importanza all’azione e alla definizione dei personaggi. I temi sono però del tutto diversi da quelli della commedia riformata: grandi passioni, tormenti interiori, conflitti tra sentimenti e valori inconciliabili, amori contrastati e tragici.
[Fortuna del melodramma]Il melodramma diventerà, dalla fine del Settecento in poi, uno dei generi più popolari: si andava ad assistere alla messa in scena delle opere liriche come oggi si va al cinema; le arie e le trame più famose erano di dominio pubblico. La fortuna del melodramma è il rovescio del successo del novel: il novel porta avanti la quotidianità e la vita ordinaria, il melodramma predilige le situazioni estreme, l’eccesso, i grandi conflitti morali e passionali. Proprio dal melodramma derivano una serie di temi e di costanti stilistiche (soprattutto il ricorso all’enfasi e al patetico) che vengono ancora oggi definite, non a caso, ‘melodrammatiche’.
Verso la poesia moderna
[La trasformazione di temi e finalità]Nell’ambito della lirica è difficile evidenziare un momento di svolta così chiaro, come avviene per la narrativa e per il teatro. Rispetto alla poesia del Seicento e del primo Settecento, la trasformazione riguarda soprattutto gli aspetti tematici e le finalità dell’atto poetico. Già nella prima metà del Settecento era stata accanita la polemica contro la poesia del secolo precedente, accusata di privilegiare situazioni e immagini peregrine e di utilizzare un linguaggio e uno stile contorti e oscuri, al fine di suscitare la ‘meraviglia’ del lettore. Queste critiche avevano spinto i poeti a ricercare una maggiore sobrietà di linguaggio e di situazioni, riscoprendo i modelli dell’antichità classica; ma si trattava ancora di una poesia artificiosa e vuota, molto lontana dalla realtà. Esempio eccellente di questa tendenza è la cosiddetta poesia pastorale: gli autori si fingono pastori dell’Arcadia (regione montuosa dell’antica Grecia) e mettono in scena pastori e pastorelle che confessano pene e gioie d’amore. La poesia del secondo Settecento parte proprio dal rifiuto di questa poesia d’evasione:
[I due filoni: la poesia lirica e la poesia ‘impegnata’]Da queste posizioni emergeranno due filoni distinti. Da una parte la poesia lirica, che si basa sull’espressione immediata e autentica dell’interiorità del poeta; è l’inizio di quella che sarà per antonomasia la lirica moderna. Dall’altra parte abbiamo il filone della poesia più immediatamente impegnata, legata alle istanze civili e riformatrici dell’illuminismo: poemetti didascalici, odi, poesia satirica. Particolarmente sentito, in questo secondo caso, è il riferimento alla classicità. La poesia neoclassica fonde alla perfezione la ripresa dei modelli antichi con l’impegno civile. Entrambi i filoni sono però accomunati da una medesima concezione stilistica. Lo stile della poesia viene identificato con l’uso di un linguaggio aulico e lontano dal comune; con la presenza di figure retoriche e di immagini ‘classicheggianti’; con l’uso di forme metriche precise e consolidate. Solo molto lentamente questa tradizione sarà superata, e si affermerà la concezione dello stile poetico come creazione assolutamente individuale e originale.
Trasformazione dello spazio letterario e del sistema dei generi
Fonte: http://www.matteotti.it/NS/docs/dispense/settecento_introduzione.rtf
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