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PROVA DI AMMISSIONE AL TIROCINIO FORMATIVO ATTIVO PER LE CLASSI DI LINGUA STRANIERA NELLE SCUOLE DI I E II GRADO (TEDESCO)
Anno Accademico 2011/2012
Sempre più spesso, col passare dei mesi, suonavano gli allarmi notturni delle sirene: seguíti, per solito, di lí a non molto, da fragori di apparecchi attraverso il cielo. Ma erano sempre apparecchi di passaggio, diretti altrove; e le notizie di altre città italiane bombardate non rimuovevano i Romani dalla loro passività fiduciosa. Convinti che Roma fosse città santa e intoccabile, i più lasciavano passare allarmi e fragore senza muoversi dai loro letti. E così pure Ida s’era assuefatta da tempo a questa abitudine; senonché gli allarmi, in casa sua, portavano lo stesso un certo scompiglio.
Di questo, la prima colpa era di Blitz, il quale sempre si elettrizzava al suono delle sirene; e di là nel salotto-studio dove stava rinchiuso, iniziava un appello febbrile e ininterrotto alla famiglia, e in ispecie al suo padrone Ninnarieddu, non rincasato ancora…Solo dopo il segnale del cessato allarme, finalmente si quietava, rimettendosi ad aspettare il suo Ninnarieddu in silenzio…Ma nel frattempo anche Giuseppe, da parte sua, s’era ridestato. E avendo confuso, forse, le voci delle sirene col canto dei galli o con qualche altro segnale del giorno, e la sveglia notturna di Blitz con una sveglia mattutina, presumeva già venuta l’ora di alzarsi, incapricciandosi in questa illusione.
Allora Ida, levandosi a mezzo dai lenzuoli, per invogliarlo al sonno gli ricantava la famosa ninna-nanna già cantata da suo padre a lei stessa e poi a Ninnarieddu: con la variante finale, adottata per l’occasione
«…e ci compriamo gli scarpini per ballare a San Giuseppino».
Non sempre, tuttavia, la ninna-nanna di San Giuseppino bastava a riaddormentare Giuseppe. Certe sere, arrivati all’ultimo verso, lui le chiedeva, insaziabile, di ricantargli tutta la canzone dal principio; e dopo quella, magari, ne voleva altre, suggerendole lui stesso: «Mà, adanciu» (la canzone dell’arancio) oppure «Mà, navi» (la canzone della nave). Era un piccolo repertorio calabrese, antichissimo, a lei trasmesso da suo padre. E lei, a dispetto della stanchezza, prendeva gusto a questo teatrino, nel quale poteva esibirsi come una vera cantante ammirata, rimandando, al tempo stesso, l’ora dei sogni notturni. Seduta a mezzo sul letto, coi capelli sciolti per la notte, replicava docilmente, a richiesta:
«…Arangiu di lu meu giardinu…»
«E volta, la navi, e gira, la navi…»
Essa era, per sua natura, così stonata, da non fare nessuna differenza di note, fra l’una e l’altra melodia. Tutte quante, le musicava allo stesso modo, in una sorta di cantilena agra e bambinesca, dalle cadenze stridenti. E per questo, non osava più cantare in presenza di Ninnarieddu, il quale ormai, diventato grande, e canterino abbastanza bravo per proprio conto, non voleva sentirla addirittura, tanto che la interrompeva subito, con zittii, sarcasmi o fischi, se appena lei, fra le sue faccende di casa, involontariamente accennava un qualche motivo. Elsa Morante, La storia, Einaudi, Torino 1974
Gli italiani stanno riscoprendo l’Italia. Solo in piccola parte, crediamo, per effetto del centocinquantesimo anniversario dell’Unità. In misura assai maggiore, invece, per uno di quei moti spontanei dello spirito pubblico, a loro modo insondabili, che intervengono in certi momenti della vita di una nazione. Un retaggio antico e mai spento che torna a farsi sentire; il venir meno di forti, precedenti, punti di riferimento per certi versi alternativi; forse un sentimento di larvata umiliazione per le perdita di prestigio e d’immagine che subiamo da tempo e che ci spinge a reagire in nome di un’identità collettiva nuovamente sentita; forse anche, infine, una crescente consapevolezza del degrado pauroso delle città e dei paesaggi sul cui sfondo trascorre la nostra esistenza: per tutti questi motivi, o per altri ancora, fatto sta che oggi gli italiani stanno riscoprendo l’Italia.
Ma essi non sanno dove trovarla. Intendiamo dire che non c’è alcun luogo dove un italiano qualunque possa avere rapidamente l’idea di ciò che il suo Paese è stato ed ha rappresentato nei secoli. Dove possa avere l’esperienza visiva ed emotiva della straordinaria molteplicità delle forme di vita storica, artistica, culturale, che esso ha generato e ospitato. Dove possa conoscere i tanti e diversi modi della quotidianità quale si è manifestata nel tempo e nei mille luoghi della Penisola. Dove possa rivivere le mille e tormentate vicende dei poteri che a vario titolo l’hanno governata, sapere delle loro istituzioni, delle loro lotte, dei loro uomini e donne.
I luoghi nei quali tutto ciò è possibile in realtà esistono, e sono i musei storici. Ma in Italia, nell’ambito dei musei, ha prevalso fino a oggi l’aspetto estetico su quello storico, fino al punto che il primo ha divorato il secondo. Eppure non a caso la Costituzione tutela il patrimonio «storico e artistico» della Nazione, non quello «storico-artistico», come sovente e significativamente si fraintende. I musei storici, dunque, in Italia sono assai pochi e trascurati. Basti pensare che non una delle nostre città, Roma compresa, ha un museo che sul modello per esempio dei Musei di Londra o di Amsterdam, ne spieghi la storia, colta nei suoi paesaggi urbani e rurali, nelle sue costruzioni e nei reperti, capaci di illustrare i diversi modi di vita delle diverse epoche. Nessuna città si spiega da sé, avendo troppe parti celate. Ma l’identica cosa può dirsi delle nazioni, e dunque anche dell’Italia.
Per questo, anche per questo, ci sembra giunto il momento in cui anche noi, come molti altri Paesi, si pensi ad organizzare un grande museo dedicato alla nostra storia: il Museo della storia d’Italia. Bizzarramente fuori tempo, all’apparenza, rispetto alle celebrazioni già in corso; in realtà, invece, un loro coronamento: deciso per l’appunto nel centocinquantesimo anniversario e destinato a ricordarlo nel tempo. Si gioverebbero di un tale museo gli italiani, naturalmente, ma anche gli stranieri, che ormai vengono di frequente da civiltà assai lontane, e che prima di scegliere dove andare e cosa visitare del nostro Paese potrebbero farsi rapidamente un’idea generale della storia densissima, variatissima e complicatissima della Penisola. Chi mai può sentirsi politicamente o ideologicamente offeso, ci chiediamo, da una simile proposta?
Chi può mai adombrarsi immaginando un luogo dove, accanto ad un codice della Divina Commedia e a una raccolta di ex voto, faccia mostra di sé l’interno di una galera veneziana; dove insieme al cannocchiale di Galileo si possa vedere cos’era una zolfara siciliana; dove l’interno di un salotto milanese dell’età dell’Illuminismo si apra accanto al carretto di un acquaiolo napoletano o alla ricostruzione della resistenza sul Piave dopo Caporetto; dove si capisca cosa ha voluto dire l’emigrazione oltreoceano per milioni di nostri connazionali, cosa significava lavorare in una filanda a metà Ottocento; dove l’interno del primo studio radiofonico dell’Eiar sia esposto insieme a una «piazza d’Italia » di de Chirico o alla pianta di un municipium romano, modello di infiniti centri urbani della Penisola? È tutto questo e molto altro che in una minuscola parte d’Europa, in un lungo avvicendarsi di secoli, ha riguardato una gente la quale ad un certo punto si è trovata legata da vincoli sempre più stretti fino a formare una nazione. È vero: ciò è accaduto tra scontri e divisioni. Sì, e allora? Dove mai non è accaduta la stessa cosa? In ogni caso, come è ovvio, anche di questi scontri e di queste divisioni il Museo a cui pensiamo dovrebbe recare testimonianza.
Per divenire realtà l’idea di un tale Museo si affida naturalmente all’impegno e alla buona volontà di tutti: a cominciare, come è ovvio, dalle autorità di governo del nostro Paese ma anche delle forze di opposizione, una volta tanto, magari, unite in un’impresa comune. C’è tuttavia una persona che per la natura della sua funzione, per la dignità e l’intelligenza con cui l’ha fin qui esercitata, potrebbe abbracciare, se la condivide, la proposta qui avanzata facendone un momento del suo ruolo di massimo rappresentante dell’unità nazionale: il presidente della Repubblica. Se il presidente Napolitano facesse sentire la sua voce, siamo sicuri che, come accade sempre, l’Italia non resterebbe indifferente.
Andrea Carandini, Ernesto Galli della Loggia, Idee per un Museo della storia d’Italia, “Corriere della Sera”, 21 febbraio 2011
Quale motivazione, secondo l’autore, spinge gli italiani a riscoprire il senso dell’identità nazionale?
Con l’espressione «Eppure non a caso la Costituzione tutela il patrimonio “storico e artistico” della Nazione», si vuol significare che per la Costituzione:
Qual è la motivazione per cui l’autore propone la creazione di un Museo della storia d’Italia?
In tutti i quesiti proposti la soluzione è la prima risposta
Fonte: https://tfa.cineca.it/compiti/ A....pdf
Sito web da visitare: https://tfa.cineca.it/
Autore del testo: Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca
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