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Nel 2004 alcuni ricercatori australiani che stavano lavorando sull’isola indonesiana di Flores, decisero di chiamare mediaticamente “hobbit” gli scheletri di una specie di ominidi appena scoperti. Creature alte su per giù un metro, appartenenti a una specie risalente a circa 13.000 anni or sono, e ribattezzata più scientificamente Homo Floresiensis.
Sebbene nessuno fra i paleontologi particolarmente appassionati alle opere di Tolkien abbia ancora sostenuto che gli scheletri ritrovati siano veramente quelli degli hobbit, l’avvenimento la dice lunga sulla notorietà che Frodo, Bilbo e compagni si sono ritrovati a godere nel tempo.
Dalle dimensioni pigmee ma dalla fama gigante, gli hobbit sono sgattaiolati nei cuori di grandi e piccini di tutto il mondo, nonché fra le pagine dei dizionari moderni della lingua inglese, come testimonia emblematicamente il testo consultabile nell’Oxford English Dictionary alla voce “hobbit”:
Nei racconti di J.R.R. Tolkien (1892-1973) è il nome con cui gli appartenenti a una popolazione immaginaria, una ristretta varietà della razza umana, chiamano se stessi (hobbit significa ‘abitatore di buchi’); tuttavia essendo alti la metà degli uomini normali, gli hobbit vengono chiamati dagli altri ‘mezzuomini .
Gli hobbit, sebbene non siano i protagonisti della storia della Terra di Mezzo (e per le prime due ere nemmeno semplici comparse), sono gli attori principali attorno a cui ruotano le vicende narrate nei due libri più celebri di Tolkien: Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli. Motivo per cui Frodo e compagni possono a buon ragione essere considerati come le creature manifesto di tutta la fiction tolkieniana, nonostante non compaiano in nessun altra opera, nemmeno in quelle legate alla Terra di Mezzo.
Gli hobbit, a differenza delle altre specie parlanti dell’immaginario tolkieniano, sono stati inventati di sana pianta, e per tanto non è possibile rintracciare nella letteratura una loro linea evolutiva che abbia come punto di partenza delle creature mitologiche o folcloristiche precise. Ciò non esclude comunque la possibilità che Tolkien abbia modellato, più o meno consciamente, gli hobbit, e le vicende a loro connesse, attingendo anche da invenzioni della fiction letteraria antecedente.
Se fino a ora abbiamo constatato l’abilità di Tolkien nel rielaborare e riproporre i miti antichi o le figure leggendarie, ora indagheremo la tecnica creativa dello scrittore, basata, come vedremo, sulla convergenza di cultura, etica ed esperienze di vita personali, nonché su di una completa e accurata conoscenza della letteratura fantastica infantile e d’avventura del suo tempo.
Chi sono gli hobbit?
Il popolo hobbit è discreto e modesto, ma di antica origine, meno numeroso oggi che nel passato; amante della pace, della calma e della terra ben coltivata, il suo asilo preferito era una campagna scrupolosamente ordinata e curata. Ora come allora, essi non capiscono e non amano macchinari più complessi del soffietto del fabbro, del mulino ad acqua o del telaio a mano, quantunque abilissimi nel maneggiare attrezzi di ogni tipo. Anche in passato erano estremamente timidi; ora, poi, evitano addirittura con costernazione «la Gente Alta», come ci chiamano, ed è diventato difficilissimo trovarli. Hanno una vista ed un udito particolarmente acuti, e benché tendano ad essere grassocci e piuttosto pigri, sono agili e svelti nei movimenti.
Sin dal principio possedevano l'arte di sparire veloci e silenziosi al sopraggiungere di genti che non desideravano incontrare, ma ora quest'arte l'hanno talmente perfezionata, che agli Uomini può sembrare quasi magica. Gli Hobbit, invece, non hanno mai effettivamente studiato alcun tipo di magia; e quella loro rara dote è unicamente dovuta ad una abilità professionale che l'eredità, la pratica, e un'amicizia molto intima con la terra hanno reso inimitabile da parte di razze più grandi e goffe.
Gli hobbit, naturalmente, sono una branca della razza umana (non degli elfi o dei nani) – per cui le varietà, hobbit e uomini, possono vivere pacificamente insieme (come a Bree) e sono chiamati il Grande Popolo e il Piccolo Popolo. Sono completamente privi di poteri sovraumani, ma sono rappresentati come più vicini alla natura (alla terra e alle altre cose viventi, piante e animali), e straordinariamente, dal punto di vista umano, privi di ambizione o brama di ricchezza.
Così Tolkien descriveva i suoi figli letterari, rispettivamente, nel prologo de Il Signore degli Anelli e in una lettera all’editore della Collins, Milton Waldman.
Fisicamente gli hobbit sono degli uomini tozzi e alti come bambini, forse con qualche attributo atipico come i piedi pelosi. Questo è ciò che precisò Tolkien agli editori della Houghton Mifflin Company che a lui chiedevano come potesse essere graficamente rappresentato lo hobbit Bilbo:
Io di solito disegno una figura quasi umana, non una specie di coniglio "fatato" come alcuni dei miei recensori inglesi pensano: con un po' di pancia e le gambe corte. Una faccia rotonda e gioviale; orecchie leggermente appuntite ed "elfiche"; capelli corti e ricci (bruni): I piedi, dalla caviglia in giù, coperti di peli bruni. Vestiti: calzoni di velluto verde; panciotto rosso o giallo; giacchetta marrone o verde; bottoni dorati (o ottone); un cappuccio verde scuro con il mantello (appartenente ad uno gnomo). Dimensioni importanti se ci sono altri oggetti nel disegno: diciamo circa tre piedi o tre piedi e sei pollici.
Gli hobbit vivono, sconosciuti dalla maggior parte delle genti, in un’area nord-occidentale della Terra di Mezzo, che essi chiamano Shire, in italiano “Contea”, e di cui fa parte anche Hobbiton, villaggio di Bilbo e Frodo Baggins.
Chiamati da uomini, nani ed elfi “mezzuomini” o “piccolo popolo”, per via delle dimensioni ridotte, gli hobbit si dividono in tre grandi famiglie/razze: i pelopiedi, gli sturoi e i paloidi , che si differenziano fra loro per collocazione geografica, costumi, inclinazioni caratteriali e sfumature fisiche legate ad esempio all’altezza, alla presenza di barba o al colore di capelli. Se gli sturoi sono i meno diffusi, la maggior parte degli hobbit della Contea appartiene alla famiglia dei pelopiedi, Bilbo e Frodo compresi.
“In a hole in the ground there lived a hobbit…”
“In a hole in the ground there lived a hobbit…”, Lo Hobbit inizia con questa frase, diventata tanto celebre da essere entrata a fare parte, nel 1980, del quindicesimo volume del Bartlett's Familiar Quotations, la storica raccolta americana di citazioni (la prima edizione risale ben al 1855!). Così Tolkien raccontò, in un’intervista televisiva rilasciata alla BBC, il momento che diede origine alle sue fortune:
<<Era estate e avevo un’enorme pila di certificati scolastici da esaminare… e talvolta correggere i test è veramente un lavoro molto laborioso, sicuramente noioso. Dunque presi il foglio successivo, mi preparai a correggerlo, ma lo trovai lasciato in bianco… glorioso! Niente da leggere! Allora, e non so darmi una spiegazione del perché, presi la penna e scrissi sul foglio bianco “in un buco nel terreno viveva un hobbit!”>>
Nonostante ricordò il momento esatto della nascita degli hobbit, Tolkien stesso non riuscì mai a spiegare definitivamente da dove potesse essergli venuta l’ispirazione per la parola “hobbit”. Informazione che egli stesso fornì in una lettera a Roger Lancelyn del 1971, scritta per rinnegare la derivazione di hobbit da rabbit:
“L’Oxford English Dictionary sta preparando il suo Secondo Supplemento dove vorrebbe inserire <<hobbit>> insieme a tutti i suoi derivati: hobbitry, ish ecc. Ho dovuto, quindi, giustificare la mia rivendicazione di avere inventato questa parola. La mia pretesa si basa in realtà sulla mia <<parola nuda e cruda>>, sull’affermazione non provata che ricordo l’occasione in cui l’ho inventata; e che allora non conoscevo alcun Hobberdy, Hobbaty, Hobberdy Dick ecc. (in quanto spiritelli di casa); e che i miei hobbit sono comunque del tutto diversi, un ramo secondario della razza umana. Inoltre che l’unica parola inglese che abbia potuto influenzarmi fu <<buco>>; questo giustificava la descrizione degli hobbit, mentre l’uso di <<coniglio>> da parte dei troll non era ovviamente che un insulto non più significativo, etimologicamente, dell’insulto Thorin a Bilbo <<discendente di topi>>!.
La parola inglese hole, a cui Tolkien si riferiva nella lettera, potrebbe avere senso, specialmente a posteriori, dopo la stesura de Il Signore degli Anelli. Nel libro i rohirrim, la cui lingua corrispondeva all’anglosassone, chiamavano gli hobbit holbytla: un neologismo antico inglese composto da Tolkien con le parole hol (buco) e bytla (costruttore), che nel moderno inglese avrebbe potuto evolversi in hobittle oppure hobbit.
E sostanzialmente, il processo con cui Tolkien assegnava i nomi ai personaggi, ai posti o alle razze da lui inventati, non poteva prescindere da un significato retrostante legato alle vicende. Quando Tolkien introitava nella sua narrazione una parola già esistente dal suono a lui particolarmente gradito, cercava di fornire a questa un’etimologia attinente alle lingue e alle vicende del suo mondo. Negli altri casi invece, creava egli stesso dei neologismi o dei nomi composti coerenti con le sue storie.
In altre parole, quando Tolkien s’interrogò sull’ipotetico significato del termine “hobbit” - apparentemente partorito dal nulla - da buon filologo qual’era, cercò di assegnargli un significato pertinente ai personaggi da lui inventati. E siccome aveva tradotto la lingua degli hobbit con l’inglese moderno, pensò a una derivazione dall’inglese antico.
Tutto ciò, sebbene giustifichi l’uso del termine nell’ambito delle narrazioni tolkieniane, non risolvono l’enigma di come, o meglio da dove, tale parola sia spuntata nella mente dello scrittore.
Secondo Tolkien, potrebbe trattarsi di un termine letto da qualche parte quando era bambino, dimenticato e poi risalito in superficie:
non si può escludere la possibilità che ricordi infantili dimenticati risalgano improvvisamente alla superficie delle memoria molto tempo dopo (nel mio caso dopo 35-40 anni), benché possano apparire diversamente.
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Interviste
Highfield Roger (Emeritus Fellow del Merton College, professore di storia), intervista rilasciatami nella Common Room del Merton College di Oxford (2008).
Larrington Carolyne (docente di norreno e anglosassone presso il St. John’s College di Oxford), intervista rilasciatami presso il St. John’s College (2008).
Lee Stuart D. (docente di anglosassone e lingua inglese della facoltà di inglese di Oxford, direttore del Computing Systems and Services dell’Università di Oxford), intervista rilasciatami presso la Bodleian Library di Oxford (2008).
O’Donoghue Heather (docente di norreno e anglosassone presso ilLinacre College di Oxford), intervista rilasciatami presso la Facoltà di inglese dell’Università di Oxford (2008).
Phillips Courtney (Emeritus Fellow del Merton College, professore di chimica), intervista rilasciatami nella Common Room del Merton College di Oxford (2008).
Shippey Tom (docente di inglese presso la Saint Louis University degli USA), contributi fornitimi per corrispondenza (2009)
Solopova Elizabeth (docente di anglosassone e medio inglese della facoltà di inglese di Oxford, membro della Bodleian Library), intervista rilasciatami presso la Bodleian Library di Oxford (2008).
Tolkien JRR intervista effettuata dalla BBC nel 1968.
Fonte: http://www.marcodinoia.it/wp-content/uploads/2011/03/TESI.doc
Sito web da visitare: http://www.marcodinoia.it
Autore del testo: Marco Andrea di Noia
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