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John Ronald Reuel Tolkien
Jhon Ronald Reuel Tolkien nasce il 3 gennaio 1892 a Bloemfontein, in Sudafrica, da Mabel e Arthur Reuel Tolkien. I suoi genitori, entrambi originari di Birmingham, si erano trasferiti lì pochi anni prima, quando Arthur era stato nominato responsabile della Bank of Africa dalla Lloyd Bank di Birmingham. Dopo la nascita del secondo figlio, Mabel torna in Inghilterra con i bambini. Arthur, rimasto in Africa, muore di peritonite dopo meno di un anno. Tolkien conserverà pochi ma vividi ricordi dell’Africa, alcuni di questi influenzeranno la sua produzione artistica, come la fobia per i ragni.
I Tolkien vivono a Birmingham per un breve periodo per poi trasferirsi in un piccolo centro nelle vicinanze. Vengono accolti nella Chiesa Cattolica, che in quel periodo non è ancora molto ben vista dalla maggioranza anglicana, tra cui gli stessi familiari di Mabel, che disapprovano la sua scelta negandogli un sostegno economico oltre che affettivo.
La figura della madre è fondamentale nella formazione di Tolkien: è lei che gli insegna a leggere e a scrivere e gli dà le prime basi di latino e di matematica, ma soprattutto gli trasmette l’amore per le lingue e per le fiabe, che saranno sempre le sue grandi passioni.
Durante la sua infanzia Tolkien inizia a coltivare quello che in seguito chiamerà il suo “vizio segreto”, che consiste nell’inventare linguaggi. Vi si dedica quasi di nascosto, come qualcuno che sottrae tempo alle cose importanti (o per lo meno a quelle cose che la società ritiene importanti) per un capriccio inutile.
Nel 1900 Tolkien inizia a frequentare la King Edward VI School, a Birmingham, la città che vedrà diventare sotto i suoi occhi la tipica inquinata metropoli industriale, parte di quel mondo di cemento contro cui Tolkien sempre si scaglierà. Tolkien deve lasciare la King Edward nel 1902 per motivi economici, ma vi viene riammesso l’anno dopo grazie ad una borsa di studio. Nello stesso anno Mabel muore di diabete dopo aver affidato l’educazione dei propri figli ad un sacerdote cattolico: Padre Francis Xavier Morgan.
All’età di 16 anni Ronald incontra Edith Bratt, di tre anni più grande di lui, e se ne innamora. Padre Morgan però gli impedisce di vederla o di comunicare con lei ed egli gli obbedisce per rispetto verso l’uomo che gli aveva fatto da padre dopo la morte dei suoi genitori.
Intanto il giovane Tolkien inizia i suoi studi filologici ad Oxford. Qui il suo interesse per le lingue inizia a diventare una questione seria. Studia il greco e il latino, ma è profondamente incuriosito e affascinato da quelle che erano le origini della cultura a cui appartiene e alle quali si sente più vicino; si dedica così allo studio di lingue e opere nordiche. Durante la sua vita impara 13 lingue (vive e morte): oltre al greco e al latino già citati e l’inglese, il gallese, l’islandese, l’anglosassone, il gotico, il celtico, il finnico, il norvegese, il francese, il tedesco, l’italiano, senza contare le sue lingue inventate come il Quenya e il Sindarin (elfiche), che hanno una complessità ed una varietà paragonabile a quelle delle lingue d’uso e di cui oggi esistono anche dizionari e grammatiche.
Nel 1911 Tolkien fonda il suo primo circolo letterario con tre amici della King Edward, i TCBS (Tea Club Barrovian Society), dei quali, dopo la guerra, resterà l’unico superstite.
Nel 1913 Tolkien compie 21 anni e può finalmente ricongiungersi ad Edith Bratt, la quale viene accolta l’anno dopo nella chiesa cattolica. I due si fidanzano ufficialmente.
È il 1915 e Tolkien, dopo aver ricevuto il grado di First Class Honours nella laurea di lingua e letteratura inglese, è ormai costretto ad arruolarsi, dato che aveva già avuto un rinvio di un anno per poter completare gli studi.
Nel marzo del 1916 sposa Edith Bratt e viene inviato in Francia sul fronte occidentale, in particolare partecipa alla battaglia della Somme, ma viene rimandato a casa a novembre dopo essere stato colpito dalla “febbre di trincea”.
Intanto in trincea aveva iniziato a lavorare ai suoi racconti mitologici, che egli chiama “Legendarium” e che daranno vita al “Silmarillion”, pubblicato postumo dal figlio Christopher. Nel 1917 nasce il suo primo figlio John. Nel 1918 torna ad Oxford per lavorare al New English Dictionary. Nel 1920 viene assunto presso l’università di Leeds e nello stesso anno nasce il secondo figlio Michael. Nel ’24 diventa professore di Inglese a Leeds e nasce il figlio Christopher, che curerà le edizioni delle opere pubblicate dopo la sua morte.
Nel 1925 gli viene assegnata la cattedra di anglosassone a Oxford. Nel 1926 Tolkien incontra C.S. Lewis e insieme fondano I Coalbiters. Nel ’29 nasce l’ultima figlia: Priscilla.
L’anno dopo inizia a scrivere “The Hobbit” che verrà pubblicato nel ’37 e su richiesta dell’editore comincia a lavorare a un seguito della storia. In realtà sia “The Hobbit” che il cosiddetto “seguito” sono solo la punta dell’iceberg del “Legendarium” a cui Tolkien lavora per tutta la vita.
Intanto i Coalbiters sono diventati gli Inklings e vi fanno parte oltre a Tolkien e Lewis, C. Williams, O. Barfield e Dyson, tutti importanti intellettuali dell’epoca. Si riuniscono ogni giovedì al Magdalen College dove lavora Lewis oppure in qualche pub di Oxford. Sono accomunati dalla passione per la birra e per le belle storie. Tolkien e Lewis si lamentano spesso del fatto che non riescono a trovare il genere di storie che piace a loro e decidono che devono scriversele da sé. Cosi durante le riunioni ognuno legge parte delle storie che sta scrivendo e riceve l’approvazione o la disapprovazione degli altri.
Nel 1945 il professore lascia la cattedra di Anglosassone per quella di Lingua e Letteratura Inglese, che occuperà fino al pensionamento, nel 1959.
Tolkien termina The Lord Of The Rings (il seguito di “The Hobbit”) nel 1949, dopo 12 anni di lavoro seguito passo per passo dall’amico Lewis e dal figlio Christopher, ma la sua pubblicazione per la casa editrice è un grande rischio, inoltre nel dopoguerra la carta scarseggia ed è molto cara. Pubblicare un libro così insolito lungo 1300 pagine è un salto nel vuoto. Si decide di dividere il racconto in tre libri e solo i primi due vengono pubblicati nel 1954. Il libro però riscontra da subito un discreto successo e nel giro di un anno vengono pubblicati anche gli altri due volumi. La prima edizione italiana completa è del 1970 (Rusconi).
Tolkien muore nel 1973, a Bournemouth, tre anni dopo la morte della moglie.
Le opere
1922: Collabora con E. V. Gordon ad una edizione critica di “Sir Gawain and the Green Knight”,
pubblicata nel ’25.
1936: Scrive e pubblica il saggio “Beowulf: The Monsters and The Critics”.
1937: Viene pubblicato “The Hobbit”, iniziato nel 1930.
1939: Vengono pubblicati “Leaf By Niggle” e “On Fairy Stories”.
1949: Finisce di scrivere “The Lord Of The Rings”
Viene pubblicato “Farmer Giles Of Ham”*.
1953: Viene pubblicato “The Homecoming of Beorhtnonth Beohthelm’s Son”.
1954-55: Viene pubblicato “The Lord Of The Rings”.
1962: Viene pubblicato “The Adventures Of Tom Bombadil”.
1964: Viene pubblicato “Tree and Leaf”
1967: Vengono pubblicati “Smith of Wootton Major” e “Road Goes Ever On”.
Opere postume:
1976: “The Father Christmas Letters”
1977: “The Silmarillion”
1980: “Unfinished Tales of Numenor and Middle-Earth”.
1981: “Letters of J.R.R. Tolkien”.
1982: “Mr. Bliss”.
1983: “The Monsters and The Critics and Other Essays”.
1983 – 96: “The History of Middle-Earth” (in 12 volumi).
* il titolo in italiano, “il Cacciatore di Draghi”, non corrisponde alla traduzione dall’inglese.
Trama delle opere principali
Il Silmarillion
Ainulindale, “il canto degli Ainur” è il primo libro, in cui si racconta la cosmogonia della Terra di Mezzo. In principio l’unico Dio, Eru, che gli Elfi chiamano Ilùvatar, creò gli Ainur (spiriti angelici) e consegnò loro un tema musicale. Dal canto degli Ainur ha origine Arda, il Mondo. Alcuni Ainur si incarnano e prendono dimora in Arda. Tra questi i due più potenti sono: Manwe, spirito dei venti e Melkor, spirito ribelle che durante il canto degli Ainur aveva voluto allontanarsi dal tema originale di Ilùvatar per crearne uno proprio, che però non era in armonia con gli altri. Melkor, come il Lucifero del mito giudaico-cristiano, per superbia e invidia, si ribella al progetto di Ilùvatar e comincia una terribile guerra per il possesso di Arda.
Valaquenta, “il novero dei Valar”, è l’elenco dei principali Ainur, che gli Elfi chiamano Valar e dei Maiar, spiriti angelici minori. Tra questi c’è anche l’astuto Sauron, che, corrotto da Melkor, diventa il primo e più temibile servitore.
Quenta Silmarillion, “il racconto dei Silmaril”, è il libro più lungo, che dà il nome all’intera raccolta. Vi si narra la creazione da parte di Ilùvatar delle principali razze viventi: gli Elfi e gli Uomini… Prima ancora della creazione del Sole e della Luna, Arda viene illuminata da due gigantesche lampade, Ormal e Iluin e poi, dopo la distruzione delle lampade da parte dell’invidioso Melkor, da due enormi e meravigliosi alberi: Telperion il dorato e Laurelin l’argentato. Nello stesso tempo Melkor, che gli elfi chiamano Morgoth, esercita il suo potere (non creativo ma de¬generativo, corruttore) nella regione di Arda, chiamata Terra di Mezzo, e sfida di continuo il potere dei Valar fedeli a Ilùvatar. Nelle sue roccaforti di Utumno e di Angband, Mor¬goth produrrà le orribili razze degli Orchi, dei lupi mannari, dei troll e dei draghi. Ma il maggior affronto ordito da Mor¬goth sarà quello di oscurare Arda distruggendo i due Alberi della Luce e rubando agli Elfi i tre Silmaril: splendenti gioielli contenenti la luce stessa degli Alberi. L'orgogliosa stirpe Noldor degli Elfi, guidati dal loro re Feanor, artefice dei Silmaril, daranno la caccia a Morgoth inseguendolo nel¬la Terra di Mezzo per riconquistare i gioielli (e vendicarsi).
La sfida tra gli Elfi e Morgoth, che coinvolgerà anche le razze dei Nani e degli Uomini, durerà per se-coli con alterne vicende fino alla vittoria, quasi definitiva, delle schiere di Morgoth. Qui si inserisce la storia d’amore tra l’uomo Beren e la principessa elfica Luthien: insieme riusciranno a riconquistare un Silmaril e daranno origine alla stirpe dei Mezz’elfi. Alla fine, grazie alla missione di Earendil, discendente delle razze degli Elfi e degli Uomi¬ni, che davanti a Manwe e gli altri Valar rappresenterà i do¬lori e le tragedie subite dai «suoi» due popoli, la situazione verrà rovesciata e il destino di Morgoth segnato. Con la sua cacciata dal perimetro di Arda termina la Prima Era (del So¬le e della Luna) e il Quenta Silmarillion.
Akallabeth, «La caduta di Numenor», racconta gli eventi della Seconda Era e in particolare la progressiva ascesa del regno umano di Numenor e il suo repentino crollo causato dall'ope¬ra di divisione e disordine realizzata da Sauron, servo di Morgoth.
Gli anelli del potere e la terza età è il resoconto dei prin¬cipali episodi della Terza Era, di quel periodo di tempo cioè che, dopo la caduta di Numenor, per oltre tremila anni, ve¬drà i popoli liberi (Elfi, Uomini e Nani) contrapposti all'Oscuro Signore di Mordor, il potente Maia Sauron, che ha or¬ganizzato un dominio di paura degno del suo antico signore Morgoth. La storia, che ruota in particolare intorno ad alcu¬ni anelli, talismani del potere assoluto, si ferma esattamente prima di raccontare le vicende narrate negli altri due libri Lo Hobbit e II Signore degli Anelli.
Lo Hobbit
Bilbo Baggins è un Hobbit della Contea. Bassi di statura, gli Hobbit sono un pacifico popolo, comparso nella regione della Contea, a nord della Terra di Mezzo, a circa metà della Terza Era. Bil¬bo Baggins verrà coinvolto dallo stregone Gandalf nell'avventura che porterà un gruppo di Nani, guidati dal loro re Thorin Scudodiquercia, a riconquistare il regno di Erebor (con rela¬tivo tesoro), perso anni prima a causa dell'arrivo del terribile drago Smaug. Grazie alla collaborazione di Bilbo, la missione riuscirà: il drago verrà ucciso e il tesoro riconquistato. Il fatto più importante della missione sarà però la conquista da parte di Bilbo di un anello che lo Hobbit sottrarrà, dopo una singolare sfida a suon di indovinelli, a un altro Hobbit: l’ infido e viscido Gollum. Questo anello, che dona al possessore invisibilità e longevità, è in realtà l'Anel¬lo del Potere forgiato, smarrito e cercato disperatamente da Sauron, il Signore degli Anelli...
Il Signore degli Anelli
La Compagnia dell'Anello
Nella Terra di Mezzo, l'Oscuro Signore Sauron ha forgia¬to e successivamente perso un Anello che è ricolmo di tutto il suo immenso potere malefico. Tale prezioso talismano, attra¬verso varie peripezie, è andato a finire nelle mani più insolite e impensabili, quelle di un pacifico Hobbit, Frodo, nipote di Bilbo Baggins. Guidato dalla sapienza dello stregone Gandalf, Frodo si incamminerà in un lungo viaggio al fine di condurre in porto la missione più imprevedibile, rischiosa e folle (agli occhi del Nemico): distruggere l'Anello del Potere. Il viag¬gio, lungo il quale Frodo incontrerà amici insperati come Tom Bombadil, il «Signore della Vecchia Foresta» o il ramingo Grampasso (che poi si rivelerà Aragorn), e nemici insospettabili, come lo stregone Saruman, si svolgerà attraverso le meravigliose (ma anche paurose) lande di una Terra di Mezzo sconquassata dalla Guerra dell'Anello che Sauron, sovrano del reame sud-orientale di Mordor, ha scatenato contro i popoli liberi dell'Occidente: Uomini, Elfi e Nani. I più terribili servitori di Sauron sono i nove Nazgul, cavalieri neri e spettrali il cui destino, come per Sauron, è legato inte¬ramente alle sorti dell'Anello. I rappresentanti dei popoli liberi, dopo un Consiglio tenuto nella reggia del sapiente re Elrond, decidono di nominare nove compagni che accompagneranno Frodo nella sua «missione impossi¬bile». I nove membri della Compagnia dell'Anello sono il saggio Gandalf, gli Uomini Aragorn e Boromir, l’ elfo Legolas, il Nano Gimli, e lo Hobbit Frodo con il suo fido ser¬vitore Samvise e gli amici Merry e Pipino.
Dopo un lungo viaggio verso sud (durante il quale la Compagnia perderà la guida di Gandalf apparentemente scomparso in seguito a uno scontro con un Balrog nelle miniere di Moria), la Compagnia dell'Anello, condotta provvisoriamente da Aragorn, prima riparerà temporanea¬mente nel Reame Elfico di Lothlorien dove riceverà l’ accoglienza e i doni di Sire Celeborn e di Dama Galadriel e poi, ormai vicina alle porte del regno di Mordor, si scioglierà, anche a causa dell'orgoglioso Boromir che, con l’ illusione di poterlo utilizzare, cercherà di sottrarre l'Anello a Frodo e alla sua sorte di distruzione.
Le due torri
La Compagnia dell'Anel¬lo si scioglie. Frodo e Sam, da soli, continuano il loro viaggio verso Mor¬dor. Nel cammino di avvicinamento a Mordor, i due Hobbit incontrano il viscido Gollum, l'Hobbit depravato e corrotto dal prolungato possesso dell'Anello che li sta inseguendo per riconquistare il suo tesoro. Gollum viene però “domato” dai due hobbit e acconsente a far loro da guida. Insieme, tutti e tre saliranno le scale dell’ insidiosa torre di Cirith Ungol per valicare le montagne che li separano dalla meta fi¬nale, ma qui avranno a che fare prima con il mostro-ragno Shelob e poi con gli orchetti. Contemporaneamente gli altri due Hobbit, Merry e Pi¬pino, sono stati rapiti dagli Uruk-Hai, Orchi servitori di Saruman e da essi condotti a gran velocità verso la torre di Isengard. Saruman, come Gandalf, è un potente stregone, che però è stato corrotto dalla bramosia del potere. Ritiratosi a Isengard, Saruman ha creato un regno alleato di Mordor e con il suo esercito minaccia i regni di Rohan e di Gondor che, di fatto, si trovano schiacciati sia da Ovest (da Saruman) sia da Est (dall'esercito di Sauron). Alla ricerca dei due Hob¬bit si metteranno Aragorn, Legolas e Gimli che, per inseguire gli Uruk-Hai, arriveranno nell'antica foresta di Fangorn.
Qui ritroveranno un Gandalf redivivo, e scopriranno che il nemico da sconfiggere, subito, è Saru¬man. I quattro compagni viaggeranno fino a Edoras, ca¬pitale di Rohan, dove coinvolgeranno l’ anziano (e all'inizio riluttante) re Theoden. L'esercito di Rohan resisterà all'at¬tacco di Saruman e lo stregone, sconfitto, verrà rinchiuso prigioniero nella sua stessa fortezza-laboratorio, la torre di Insengard.
Ma i cavalieri di Rohan non sarebbero mai riusciti a vince¬re la guerra contro Saruman senza l'arrivo degli Ent, i «pastori di alberi», guidati da Barbalbero. Prima razza della Terra di Mezzo, questi esseri antichissimi e ormai quasi estinti a causa della scom¬parsa delle Entesse, verranno svegliati dal millenario torpore dall'arrivo, inaspettato, di due spaventati rappresentanti del-l'ultima (cronologicamente parlando) delle razze viventi: gli Hobbit. Merry e Pipino, scappati fortunosamente alla vigi¬lanza degli Uruks di Saruman, incontreranno Barbalbero e lo convinceranno a com¬battere contro Saruman a fianco dei popoli liberi.
Il ritorno del re
Sconfitto Saruman, i popoli liberi si alleano, ancora una volta, per combattere il potentissimo esercito di Sauron. L'arrivo insperato dei cavalieri di Rohan guidati da Theoden (che morirà durante l'impresa) rovescerà le sorti dell'asse¬dio di Minas Tirith, capitale del regno di Gondor. A questo punto Aragorn si rivelerà come l’ Antico Re annunciato dalle leggende, che ritorna in pa¬tria per riconquistare il potere e sfidare l'Oscuro Sauron.
A capo di un esercito di poche migliaia di uomini, Ara¬gorn marcerà fino alle porte di Mordor per combattere l'ul¬tima, disperata, battaglia contro un nemico molto più nume¬roso e potente.
Ma le speranze dei popoli liberi non poggiano tanto sulla potenza militare quanto sulla folle missione di Frodo e Sam. E la follia riesce. In realtà, arrivato sul ciglio della voragine del vulcano, Frodo, ormai provato dall’ impari lotta (spiri¬tuale) di resistenza alle tentazioni del malefico Potere racchiuso nell'Anello, crolla e dichiara di non voler più distruggere il talismano. Avviene però un imprevisto del tutto provvidenziale: Frodo subisce l'aggressione da parte dell'a¬vido Gollum il quale, impossessatosi violentemente dell'A¬nello, nello scontro finirà per perdere l'equilibrio e cadere nella voragine del vulcano, permettendo così la realizzazio¬ne del lieto fine.
Distrutto l'Anello, il potere di Sauron crolla istantanea¬mente e catastroficamente. I regni di Gondor e di Rohan ce¬lebrano la vittoria ottenuta grazie ai minuscoli ma tenaci Hobbit. Tornati a casa, gli Hobbit ritroveranno la Contea in mano agli uomini di Sharkey, che altri non è che l'astuto stregone Saruman il quale, scappato da Isengard, si è preso la sua vendetta distruggendo la pace di quella che una volta era la verde Contea. Guidati da Frodo (ma soprattutto da Sam), i quattro eroici Hobbit risvegliano l'orgoglio della propria gente che si ribellerà scacciando l’ odioso inva¬sore, destinato a morire per mano del suo braccio destro, Grima. La Terza Era è finita e i primi anni della Quarta sa¬ranno dedicati a sanare le ferite di una terra dilaniata da mil¬lenni di guerre e spargimenti di sangue.
Per i portatori dell'Anello, Frodo e Bilbo, è previsto però un destino di «premio e guarigione» nel regno di Valinor ol¬tre il grande mare, presso le residenze immortali dei Valar. Do¬po aver accompagnato l’ amico Frodo nell’ ultimo suo viag¬gio, fino al porto dei Rifugi Oscuri, il buon Samvise potrà, mestamente, tornare a casa.
Introduzione
“Il Signore degli Anelli” non è un’opera che si possa inserire facilmente in un qualsiasi genere letterario o a cui si possa applicare una qualsiasi etichetta, come molti fanno definendolo un romanzo fantasy. Piuttosto la pubblicazione delle opere di Tolkien ha incoraggiato una produzione smisurata di romanzi fantasy, un genere che in precedenza veniva pressoché ignorato. “Il Signore degli Anelli” ha uno spessore ben maggiore: è un’opera colossale dai mille risvolti, a cui va restituita la propria dignità, perchè in qualche modo ha segnato la storia del XX secolo: alcuni sostengono che sia il secondo libro più letto al mondo dopo la Bibbia. Si tratta di qualcosa di assolutamente unico, in quanto Tolkien esercitò la professione di scrittore senza essere affatto uno scrittore di professione e diede vita ad un’opera che non ha le tipiche caratteristiche di un romanzo del Novecento, ma anzi si propone come un’alternativa al gusto più comune dei tempi.
Negli ultimi anni lo straordinario successo del film di Peter Jackson ispirato all’opera di Tolkien ha contribuito ad accrescere la fama di tale autore già celeberrimo, ma anche a far si che tutti ne parlassero senza cognizione di causa e a riaccendere i dibattiti sui significati dell’opera, che si sono manifestati attraverso la pubblicazione di numerosissimi saggi sull’argomento.
Egli più volte aveva preso le distanze dalle svariate interpretazioni della sua opera, che dichiarava di aver scritto per il puro piacere di raccontare una storia, senza l’intenzione di scrivere un’allegoria né tanto meno di dare qualche insegnamento. Egli parlava piuttosto di “applicabilità”, ed è in effetti il termine che meglio si addice ai suoi racconti.
Egli non sopportava quel tipo di critica letteraria che si sforza di collocare a tutti i costi le opere in un preciso contesto e di rapportarle alla vita dell’autore. Egli sosteneva che un’opera debba essere goduta per ciò che è e non analizzata ed indagata a rischio di vedere cose che non ci sono, o di vedere male: “Colui che rompe un oggetto per scoprire cos’è, ha abbandonato il sentiero della saggezza” (Il Signore degli Anelli); un po’come in compagni di Ulisse che aprono l’otre di Eolo perché vogliono assolutamente vedere cosa c’è dentro. Eppure anche Tolkien si occupò di critica letteraria.
Le sue opere contengono una miniera sconfinata di informazioni e di spunti di riflessione, che la grande critica letteraria e il mondo accademico hanno fino ad ora pressoché ignorato, ingiustamente.
Spero dunque di non fare torto alla volontà dell’autore se mi permetto di indagare su quelle che sono la struttura e il carattere dell’opera per cercare di dimostrane il valore, senza proporre l’interpretazione di significati nascosti o peggio inesistenti, ma limitandomi a presentare i pregi e i difetti delle interpretazioni più diffuse.
Si possono ricercare le radici dell’opera e le sue fonti in alcune componenti fondamentali.
La prima è quella che più si avvicina al taglio che lo stesso autore voleva dare all’opera. Egli desiderava profondamente dare alla sua terra quella mitologia che non aveva mai avuto: fino ad allora infatti l’Inghilterra aveva conosciuto solo lo sviluppo della leggenda di Artù, che però ha origini sicuramente bretoni e non britanniche. Dato ciò, si possono individuare all’interno dell’opera vari elementi che, di volta in volta, sono ricollegabili all’epica di Omero e Virgilio, alla Divina Commedia di Dante, alle antiche saghe mitologiche nordiche, all’epica cavalleresca medioevale e in larga parte alla Bibbia. Inoltre bisogna considerare che Tolkien era un filologo e il suo intento originale era quello di creare un mondo in cui le sue lingue inventate potessero prender vita e avere una storia e un contesto e soprattutto qualcuno che le parlasse.
In secondo luogo si può notare una grande influenza del romanticismo, sia nell’utilizzo di alcuni espedienti letterari che in molti temi trattati.
L’opera, infine, risulta talvolta influenzata dal periodo storico in cui è stata scritta e dalla vita personale dell’autore, ma in questioni prevalentemente di secondo piano. Per quanto riguarda il periodo storico infatti, più che il racconto in sé, ha influenzato le sue interpretazioni. Infatti a partire dalla sua pubblicazione l’opera ha avuto vita propria e, non solo si è adattata (per il principio di applicabilità di cui parlava l’autore) alla mentalità di ogni singolo lettore, ma anche ad intere correnti di pensiero, spesso opposte tra loro, a gruppi sociali e anche a ideologie di partiti politici.
L’epica, il mito, la religione
Ciò che, innanzitutto, accomuna Il Signore degli Anelli a grandi capisaldi della nostra cultura come i poemi omerici, l’Eneide, la Divina Commedia, è il fatto che, come questi, ha i caratteri tipici dei grandi classici. Un classico nasce quando un’opera riesce così bene a proporre dei concetti e dei valori universali, che chiunque può comprenderla e accettarla facilmente, ritrovandosi nelle situazioni, nei personaggi... Un classico è un’opera che non ha tempo, qualcosa che resta sempre attuale. Il suo autore, da un certo punto di vista, passa in secondo piano, è come se egli fosse un portavoce di qualcosa che va al di là della sua personalità, al di là del periodo storico in cui è vissuto, della civiltà a cui è appartenuto. L’esempio più eclatante di questo sono sicuramente i poemi omerici: non si sa di preciso chi li abbia scritti, quando, come, e nemmeno se siano stati scritti da un unico autore. Ciò che conta è che sono patrimonio dell’umanità, sono un tesoro preziosissimo, una miniera in cui ritroviamo sentimenti e atteggiamenti umani che conosciamo, e per i quali ancora ci commuoviamo.
Tolkien, riferendosi al carattere della sua opera, coniò la felicissima definizione di “applicabilità”*: quel principio per cui le situazioni dei suoi racconti possono essere facilmente associate a fatti della vita personale dei lettori, ma anche a fatti storici, e ad ideologie completamente diverse tra loro. Il Signore degli Anelli insomma assume significati diversi in base all’ambiente in cui viene letto. È amato dai bambini come dagli adulti, dagli studiosi come dalla gente comune. E lo stesso accade per i grandi classici del passato.
Nel Signore degli Anelli sono presenti vari topoi letterari tipici dell’epica classica.
Innanzi tutto il tema del viaggio. Anche Frodo come Ulisse è costretto a lasciare la sua amata patria a causa di una guerra. Come Ulisse spesso si vede costretto a separarsi dai propri compagni, ma per fortuna il fedele Sam rimane al suo fianco fino alla fine della loro avventura. Inoltre si tratta di un viaggio di andata e ritorno, che presuppone una composizione ad anello, tipica dei poemi detti appunto “ciclici” come quelli omerici o come i cicli mitici cavallereschi, che si articolano spesso in anabasi e catabasi.
Il “nostos”, la nostalgia di casa, accompagna per tutto il viaggio sia i piccoli hobbit che Ulisse. Ulisse, finalmente tornato in patria, troverà i Proci e dovrà combattere un’ultima volta per riprendere possesso della sua casa; anche gli Hobbit finalmente giunti nella tanto agognata Contea scopriranno che non è più quel paradiso idilliaco dove regnava un’aura di pace e di allegria, perché la sua tranquillità è stata compromessa dal dominio dello stregone Saruman, che ha ridotto gli hobbit in schiavitù e si è impossessato delle loro terre. Gli Hobbit rientrati dalla guerra dovranno quindi prendere le armi ancora una volta per cacciare Saruman e ristabilire l’ordine.
*Tolkien ne parlò nella prefazione della seconda edizione inglese del Signore degli Anelli (pag. XVII).
Ma non è finita, perché secondo la tradizione (da Omero sino a Dante)* Ulisse non può godere a lungo della ritrovata patria e famiglia e deve ripartire. E anche Frodo, ormai per sempre segnato nell’anima dal peso dell’Anello del Potere, fa vela verso le terre immortali di Valinor e lascia per sempre la Contea.
Ulisse a Penelope: “O donna, ancora alla fine di tutte le prove non siamo giunti, ancora mi resta smisurata fatica, lunga, aspra, che devo tutta compire. Così a me lo spirito di Tiresia predisse il giorno che scesi nella casa dell’Ade… […]
…per molte città di mortali ordinava ch’io vada, in mano tenendo il maneggevole remo… […]
…morte dal mare mi verrà…”
(Odissea, libro XXIII) “Allora Frodo baciò Merry e Pipino e per ultimo Sam, e salì a bordo; le vele furono issate, il vento soffiò, e lentamente la nave scivolò via lungo il grigio estuario…”
(Il Ritorno del Re, libro VI, capitolo IX)
La situazione è un po’ diversa, in quanto è solo preannunciata nel caso di Ulisse, mentre nel Signore degli Anelli si sta verificando. Inoltre in quest’ultimo caso non si sa se il protagonista stia andando verso la morte o meno, il finale è ambiguo; però è interessante notare come entrambe le vicende siano strettamente collegate al mare, che sicuramente rappresenta l’andare verso l’ignoto che si prova di fronte alla morte.
Dopo aver abbandonato le miniere di Moria, la Compagnia dell’Anello giunge in una strana foresta incantata, che si rivelerà il reame elfico di Lothlórien, che persino nel nome ricorda l’isola omerica dei Lotofagi, in cui i compagni di Ulisse saranno invitati a mangiare il fior di loto, e ad abbandonarsi ad un piacevole oblio. Gli Elfi hanno una tendenza contraria e cioè quella di non riuscire a svincolarsi dal passato, dai ricordi, ma in entrambi i casi si rifiuta lo scorrere del tempo. Le due compagnie sono entrambe tentate di indugiare in questi luoghi di beatitudine, ma per fortuna riprenderanno il cammino.
Anche per quanto riguarda i personaggi compaiono alcuni topoi. Frodo viaggia con otto compagni, ma uno ha un ruolo particolare: quello di guida. Costui è il saggio stregone Gandalf il quale, dopo la sua caduta nelle miniere di Moria sarà sostituito da Aragorn. Gandalf è un essere superiore mandato direttamente dagli dei immortali a vegliare sui popoli della terra di mezzo e in questo caso sulla Compagnia Dell’Anello in particolare; è una sorta di spirito guida come lo è Atena per Ulisse e ancor più come lo è Virgilio per Dante nella Divina Commedia, che è una guida in quanto accompagna Dante in luoghi che non conosce, assistendolo anche dal punto di vista spirituale, con consigli e insegnamenti, proprio come Gandalf per Frodo.
* “Quando eravamo ormai divenuti sedentari e pigri per l’inerzia continua, ci venne dato l’ordine di riprendere il mare e di tornare a spiegare le vele. La figlia del Titano ci aveva predetto che la strada sarebbe stata lunga e piena di trabocchetti e che il mare crudele ci riservava altri pericoli…” (Ovidio, Metamorfosi, XIV, 437 – 39)
Dante, Inferno, XXVI, 64 – 126: Ulisse narra a Virgilio e a Dante il suo ultimo viaggio.
Anche la figura dell’eroe, nuova per tanti aspetti, ha comunque dei precedenti. L’eroe tolkeniano non è un eroe che lotta per l’affermazione di sé stesso e per le proprie ambizioni come quelli tipici soprattutto della mitologia nordica, ma un eroe che sacrifica se stesso per gli altri.
Questo tipo di concezione dell’eroe è molto vicina a quella omerica della figura di Ettore: il suo comportamento è un perfetto esempio di abnegazione e di spirito di sacrificio. Ettore non cerca la “vana gloria” come Achille: vorrebbe vivere tranquillo con i suoi cari, ma ha il dovere morale di combattere per la sua patria e decide di offrire la sua vita per essa.
Ettore risponde ad Andromaca che piange: “Donna, anch’io, si, penso a tutto questo; ma ho troppo rossore dei Teucri, delle Troiane lungo peplo, se resto come un vile lontano dalla guerra. Né lo vuole il mio cuore, perché ho appreso a esser forte sempre, a combattere in mezzo ai primi Troiani, al padre procurando grande gloria e a me stesso.” […]
“Misera, non t’affliggere troppo nel cuore! Nessuno contro il destino potrà gettarmi nell’Ade; ma la Moira, ti dico, non c’è uomo che possa evitarla, sia valoroso o vile, dal momento ch’è nato.” (Iliade, libro VI) “Frodo lanciò un’occhiata a tutti i visi che gli stavano intorno, ma nessuno era rivolto verso di lui. L’intero Consiglio sedeva con gli occhi bassi, come immerso in una profonda riflessione. Una grande paura lo sopraffece, e gli parve di attendere la pronuncia di qualche condanna che prevedeva da tempo, nutrendo però la vana speranza che potesse non essere, dopo tutto, formulata. Un irresistibile desiderio di riposo e di pace accanto a Bilbo a Gran Burrone gli empì il cuore. Infine, con grande sforzo, parlò, meravigliandosi di udire le proprie parole, come se qualche altra volontà comandasse la sua voce.
<Prenderò io l’anello>, disse, <ma non conosco la strada>.” (La Compagnia dell’Anello, libro II, capitolo II)
Ettore preferirebbe restare con la moglie e vedere crescere il figlio, Frodo sogna un futuro di riposo e di pace accanto a Bilbo nel regno incantato di Gran Burrone, ma c’è qualcosa di trascendente che li allontana dai loro sogni: la Moira dell’Iliade e questa misteriosa forza che costringe Frodo a farsi avanti, entrambi hanno un destino diverso da quello che vorrebbero.
La figura di Ettore costituisce però un’eccezione nell’epica omerica e personaggi simili sono pressoché inesistenti nella mitologia nordica, mentre invece diventano i protagonisti nell’epica virgiliana. Enea è l’eroe pius per eccellenza, è molto simile ad Ettore e, dopotutto, secondo la mitologia proviene direttamente dallo stesso mondo (Troia); egli deve compiere una missione affidatagli dal fato, si mette al servizio di una causa superiore e inoltre non è un eroe sempre perfetto dai tratti divini; è umanamente colto dal dubbio e dalla debolezza, ha una sua propria personalità e a volte vi rinuncia per compiere la sua missione. In tutto questo Frodo gli è molto simile, in quanto spesso si sente sconfitto: vittima di un destino troppo grande per lui. Entrambi sono guidati dalla provvidenza, e dalla provvidenza nel senso in cui la intendevano i latini, non i cristiani (cosa ovvia nel caso di Virgilio, ma non altrettanto nel caso di Tolkien!). Il termine “provvidenza” deriva dal verbo latino “pro-video”, cioè “vedere davanti”, “vedere da lontano”, “prevedere”. La provvidenza, in questo senso, è una forza a cui partecipano in parte le attività umane e in parte il fato e non è assolutamente legata all’intervento divino: è piuttosto frutto della lungimiranza. I personaggi fanno delle scelte in funzione della missione a cui sono stati assegnati. Enea vorrebbe restare con Didone, ma un’altra sorte lo attende e decide di lasciarla. Frodo vorrebbe che Gollum fosse morto, ma Gandalf gli spiega che forse nella sua malvagità potrebbe avere un suo ruolo nella vicenda, non necessariamente negativo né necessariamente positivo; Frodo capisce il messaggio e dimostra anch’esso lungimiranza perché più avanti sceglierà di non uccidere Gollum e questo gli tornerà molto utile, ma soprattutto sarà fondamentale per il compimento della missione.
Tolkien, come Virgilio, ha deciso di condurre il suo protagonista verso un finale sconvolgente, che esulasse da tutti gli schemi tradizionali. Enea, l’eroe pius, giunto ormai al raggiungimento della meta assegnatagli dal fato, è colto improvvisamente da un’ira terribile, e proprio lui, che aveva sempre rispettato l’avversario uccide con ferocia il nemico ferito e implorante ai suoi piedi: Turno. D’altro canto Frodo, giunto sull’orlo della voragine del Monte Fato dopo innumerevoli fatiche, cede rovinosamente al male e decide di rinunciare alla sua missione e di tenersi l’anello: è diventato come Gollum, uno schiavo dell’anello. Solo grazie all’intervento provvidenziale del fato e grazie a Bilbo e allo stesso Frodo, che in precedenza avevano deciso di risparmiargli la vita, Gollum riuscirà a strappare l’Anello a Frodo e a cadere accidentalmente nella voragine, rendendo possibile il compimento della missione.
In generale, è comune a Virgilio e a Tolkien l’attenzione per i deboli e la compassione per il nemico e per i vinti. Ad esempio abbiamo lo studio della figura femminile. Virgilio dimostra una straordinaria conoscenza e anche un profondo rispetto dell’animo femminile nella caratterizzazione del personaggio di Didone. Tolkien è stato spesso accusato di misoginia: in effetti nel Signore degli Anelli compaiono solamente tre figure femminili importanti (non che ne compaiano di più nelle opere di Omero e Virgilio) in mezzo alla stragrande maggioranza di figure maschili (decine di figure importanti e migliaia di “comparse”). Ma tre è anche il numero perfetto e in Tolkien la simbologia numerica è di fondamentale importanza. Inoltre anch’egli dimostra una profonda conoscenza dell’animo femminile soprattutto nel racconto della vicenda di dama Éowyn, la quale si sente esclusa da una società che assegna gli onori della guerra agli uomini e relega le donne alla cura delle faccende domestiche; nutre quindi un desiderio di emancipazione e lotta per dare sfogo alle sue aspirazioni, disobbedendo al re suo zio e al fratello. Infatti si reca di nascosto in guerra e insieme all’hobbit Merry riesce addirittura ad uccidere il Re Dei Nazgul, capitano dell’esercito nemico. Inoltre Tolkien si sofferma sul dramma del suo amore non corrisposto per Aragorn. Quando si sente rifiutata da quest’ultimo, la bianca dama di Rohan perde interesse per la vita e decide che l’unica cosa che gli resta da fare è morire in battaglia, ma si salva e incontra il capitano di Gondor Faramir, il quale si innamora di lei e gli fa notare come il suo amore per Aragorn sia un amore idealizzato e impossibile e alla fine riesce a conquistarla.
Enea combatte perché vi è costretto, non odia i suoi nemici, non vuole la loro morte e, quando gli capita di ucciderne uno, soffre. Così anche Sam, quando vede un Orientale ucciso dagli uomini di Gondor, sperimenta per la prima volta l’orrore della guerra nell’assistere ad un episodio di uomini che si uccidono fra loro (in genere le guerre si svolgono tra uomini e orchi) e ne è rattristato. Non fa differenze tra buoni e cattivi: forse anche gli Orientali avevano le loro ragioni per andare in guerra, forse avrebbero preferito restare a casa.
(Enea uccide Lauso) “Spinge Enea la salda spada dentro il corpo del giovane e tutta l’affonda. La punta attraversa lo scudo (troppo debole difesa per quel colpo) e la tunica, intessuta d’oro fino dalla madre, colma il grembo di sangue, e la sua vita allora fugge, abbandonando il corpo, sul filo dell’aria sino ai Mani. Ma quando il figlio di Anchise vide lo sguardo del morente e le labbra, le sue labbra farsi sempre più livide, preso da pietà gemette angosciato e gli tese la mano, con la mente sconvolta dal pensiero di quell’amore paterno.”
(Eneide, libro X) “Poi improvvisamente un Uomo cadde proprio sull’orlo della loro conca, quasi sulle loro teste, piombando fra gli esili arbusti. […]
Era per Sam la prima immagine di una battaglia di Uomini contro Uomini, e non gli piacque. Era contento di non poter vedere il viso del morto. Avrebbe voluto sapere da dove veniva e come si chiamava quell’Uomo, se era davvero di animo malvagio, o se non erano state piuttosto menzogne e minacce a costringerlo ad una lunga marcia lontano da casa; se non avrebbe invece preferito restarsene lì in pace...”
(Le due Torri, libro IV, capitolo IV)
L’eroe tolkeniano è fondamentalmente un eroe di ispirazione cristiana, in quanto tipico di una filosofia che vuole gli umili protagonisti e per cui l’eroicità sta nell’abnegazione, in un atteggiamento del quale la massima espressione si ha nella figura di Cristo. Diversi personaggi hanno tratti tipici della figura di Cristo nel Signore degli Anelli: oltre a Frodo, che porta il fardello del male con l’intento di distruggerlo, anche Gandalf, il quale deve passare attraverso la morte per passare ad una vita nuova di maggiore splendore e potenza.
Un tema fondamentale dell’epica di tutte le culture e di tutte le epoche è il tema del tempo, della mortalità e dell’immortalità, della contrapposizione tra esseri mortali ed esseri immortali. Nei cicli omerici, e in generale nella cultura greca, era molto sentito il dramma della mortalità umana. Achille, che è un semidio, non beneficia comunque della vita eterna, ma vuole per lo meno essere ricordato in eterno attraverso la rinomanza delle sue imprese, e così anche tutti gli altri eroi. Dopotutto, anche Sam, l’umile Sam, sogna, in fondo, un futuro in cui le imprese sue e del suo padrone Frodo saranno materia di canti e racconti. Secondo lo stesso Tolkien, le sue opere parlano fondamentalmente di mortalità e immortalità: vi si intrecciano le vicende degli elfi immortali e di esseri mortali quali uomini, hobbit, nani… Gli uomini vorrebbero l’immortalità degli elfi, ma oltre a questo (che non è certo una novità) l’autore propone una completa rivoluzione, che mai si sarebbe potuta avere nel mondo antico: gli elfi invidiano la morte agli uomini, a quegli stessi uomini che da sempre nutrono il desiderio della vita eterna e soffrono per la loro condizione di precarietà; questi sono oggetto di
invidia da parte di esseri immortali. Gli uomini infatti non sono esseri legati alla Terra, Dio (Ilùvatar) ha concesso loro il dono della morte, e dopo un periodo di tempo essi lasciano la Terra per andare in qualche altro luogo sconosciuto. Gli elfi invece (i Primogeniti di Ilùvatar) sono per sempre legati alla Terra e devono vivere attraverso tutte le ere e affrontarne tutte le sofferenze.
In questo contesto si inserisce il tragico amore dell’uomo Aragorn e della principessa elfica Arwen, la quale sopravvive al suo compagno fino a quando non decide di lasciarsi consumare dal dolore.
Questa unione di mortale e immortale è assimilabile anche alla figura di Cristo. Durante tutta la storia della Terra di Mezzo si sono verificati solo tre matrimoni tra Elfi e Uomini e sempre il frutto di queste unioni ha dato vita ad una speranza per il genere umano; specialmente nel caso di Eärendil, che si fece portavoce delle sofferenze di elfi e uomini presso gli Dei Immortali (la vicenda è narrata nel Silmarillion).
Il Signore degli Anelli può essere assimilato all’epica antica anche per quanto riguarda alcuni aspetti formali. Fra questi è presente l’ampio uso degli epiteti, riferiti a cose e a persone. Ad esempio: Aragorn ha innumerevoli denominazioni: “Aragorn figlio di Arathorn”, “Grampasso”, “Estel”, “Erede d’Isildur”, “Sire dei Dùnedain” e molte altre. Spesso viene definito “dagli occhi grigi come il mare”. Gandalf è “Il Grigio”, Sam “Il fedele”, Sauron “l’Oscuro Signore”, gli elfi sono “i Luminosi”, e in genere quasi tutti i personaggi o i luoghi (“la verde” Contea) hanno degli epiteti ricorrenti. Oltre a questo, si possono riconoscere come tipiche dell’epica antica anche la voluminosità e lo stile semplice e poco ricercato, che tanto gli Alessandrini di età ellenistica rimproveravano ad Omero e che ancora oggi tanti critici rimproverano a Tolkien.
Tolkien non si cimentò in un poema vero e proprio in versi, anche se sicuramente gli sarebbe piaciuto, visto che i primi nuclei dei suoi racconti mitologici (a partire da quelli scritti in trincea nel 1916) si presentavano sotto questa forma, ma non abbandonò mai del tutto la poesia, infatti il Signore degli Anelli è un prosimetro. I personaggi della Terra di Mezzo amano cantare e recitare poesie che raccontano dei tempi antichi. Infatti anche la Terra di Mezzo ha una sua mitologia interna, e questa emerge attraverso i versi e le canzoni cantate dai personaggi. Nel contesto del mondo secondario tolkeniano Il Signore degli Anelli si propone, viceversa, come un’opera di storiografia, redatta in parte da Bilbo e in parte da Frodo.
Essendo l’autore un Cristiano convinto, non poté fare a meno, seppur non del tutto intenzionalmente, di essere influenzato dalla Bibbia e dai valori della religione.
Questo aspetto si manifesta nell’utilizzo abbondante del simbolismo numerico, presente anche nella Divina Commedia. Sauron, l’Oscuro Signore, quando ancora riusciva ad ingannare chiunque con la sua parvenza angelica, forgiò una serie di anelli magici da donare ai popoli liberi della Terra di Mezzo, ma questi anelli gli sarebbero serviti a renderli suoi schiavi. Donò 3 anelli agli Elfi: tre è il simbolo del divino, della Trinità. Agli uomini ne donò 9: nove è il numero della Resurrezione, è il quadrato di tre e quindi è il simbolo dell’uomo, che può riscattarsi attraverso la Resurrezione. Per i Nani Sauron creò 7 anelli. I Nani sono fondamentalmente degli abilissimi artigiani, per cui sette: come le sette arti. Infine per sé stesso Sauron forgiò l’Unico Anello che avrebbe incatenato tutti alla sua malvagia volontà.
Nove sono anche i membri della compagnia dell’Anello, ancora una volta ricorre il simbolo del riscatto dell’umanità, e nove sono i Nazgul, gli schiavi dell’Anello che a quei primi si contrappongono, e che anticamente erano i possessori dei nove anelli degli uomini, che li resero appunto schiavi.
Il numero sette ha una valenza molto importante sia nella cristianità (i sette doni dello Spirito Santo, le sette virtù, i sette sacramenti) che nel mondo antico (sette erano i pianteti conosciuti, i giorni della settimana; sette risulta dalla somma di quattro e tre: due numeri sacri) quale simbolo di completezza e di perfezione. La splendida città di Minas Tirith, sede del re più importante della Terra di Mezzo, si articola su sette livelli e fa pensare al Purgatorio dantesco. In cima al Purgatorio dantesco troviamo il paradiso terrestre e l’Albero della Conoscenza. In cima alla città di Gondor, nella piazza della cittadella, troviamo l’Albero Bianco dei Re, a cui è legato il loro destino e che discende dall’Albero Bianco di Numenor, la terra che gli dei immortali avevano donato agli uomini, ma che poi avevano distrutto a causa della superbia degli uomini stessi, dei quali solo pochi furono risparmiati e andarono a vivere nella Terra di Mezzo (episodio che ricorda il Peccato Originale e il Diluvio Universale, Numenor infatti venne sommersa dal mare).
Minas Tirith
Purgatorio dantesco
Probabilmente Tolkien ha ereditato da Dante anche una scelta stilistica molto importante, infatti adatta il tono, lo stile e il linguaggio alle situazioni e ai personaggi: gli Hobbit, ad esempio, usano un linguaggio molto semplice, quotidiano e vivace. Gli Elfi parlano una lingua che sembra fluire come un fiume, sembra quasi imitare il loro passo leggerissimo sull’erba, usano un linguaggio aulico ed elegante. Quando il tono si eleva Tolkien non esita ad usare arcaismi. Gli Orchi invece sono rozzi e volgari; i loro discorsi e il loro linguaggio rispecchiano la loro personalità.
I miti antichi sia del Mediterraneo che del Nord Europa testimoniano una comune concezione ciclica del tempo. Secondo questa concezione la storia, ad un certo punto, giunge ad una grande catastrofe che dà vita ad una palingenesi. Nel mondo greco-romano il tempo si articolava in età dell’oro, dell’argento, del bronzo e del ferro, fasi che di volta in volta vengono ripercorse ciclicamente: alla fine di ogni ciclo si ha la Grande Conflagrazione. È la stessa concezione che verrà ripresa da Vico tra ‘600 e ‘700 e dalla speculazione filosofica di Nietzche a fine ‘800: il mito dell’ Eterno Ritorno.
Nell’Edda scandinava si parla invece di Ragnaroek: il “crepuscolo degli dei”: la fine del mondo che prevede la distruzione di tutto e il ricominciare della storia. Questa concezione è presente anche nel simbolo dell’ ouroboros, il serpente che si morde la coda, che distrugge se stesso, ma dà origine ad un ciclo.
Inoltre l’ ouroboros è anche un anello e un talismano, gli anelli magici hanno una lunga tradizione letteraria nel mondo nordico e germanico, a partire dall’Edda, in cui si narra il mito dell’Anello del Nibelungo, che è un anello del Potere come lo è quello del Signore degli Anelli.
Tolkien in qualche modo riprende questa concezione conciliandola con la Cristianità, che propone invece un andamento lineare della Storia.
La vicenda narrata da Tolkien si risolve in un evento che egli chiama “eucatastrofe”*, cioè “buona-catastrofe”. Egli infatti riteneva che non esistesse un termine corrispondente a “catastrofe” in senso positivo. La parola “Catastrofe” indica un passaggio repentino da una situazione di positività ad una di assoluta negatività. Tolkien coniò un termine per spiegare il fenomeno inverso. Frodo è sull’orlo della voragine del Monte Fato e ha ceduto; prima di arrivare fin qui il lettore ha assistito alle
* “Per questa sensazione ho coniato la parola <eucatastrofe>: l’improvviso lieto fine di una storia che ti trafigge con una gioia tale da farti venire le lacrime agli occhi (che io argomentavo essere il sommo risultato che una fiaba possa produrre)” (La Realtà in Trasparenza, Lettere, n° 89, a Christopher Tolkien, 7 – 8 Novembre 1944).
innumerevoli sofferenze e agli innumerevoli sacrifici che lui, Sam e anche gli altri personaggi hanno dovuto affrontare. Tutto sembra ormai perduto: per la Terra di Mezzo non c’è più speranza, i popoli liberi diventeranno schiavi, tutto ciò che esisteva di bello scomparirà, è la fine del mondo, ma… qualcosa riesce a capovolgere la situazione e tutto finisce per il meglio, un nuovo mondo comincerà, una nuova era.
Secondo Tolkien questo è un fatto che si sperimenta nella vita reale, ma che trova pochi riscontri in letteratura e soprattutto nel ‘900; nonostante abbia precedenti nella tradizione fiabesca della letteratura per l’infanzia e nella Morte e Risurrezione di Cristo, ancora una volta:
“… la Resurrezione è la più grande Eucatastrofe possibile nella più grande Fiaba, e produce quella sensazione fondamentale: la gioia cristiana che provoca le lacrime perché qualitativamente è simile al dolore, perché proviene da quei luoghi dove gioia e dolore sono una cosa sola, riuniti, così come egoismo e altruismo si perdono nell’Amore. Naturalmente non voglio dire che i Vangeli raccontano solo fiabe; ma sostengo con forza che raccontano una fiaba: la più grande.” (La Realtà in Trasparenza, Lettere, n° 89, a Christopher Tolkien, 7 – 8 Novembre 1944).
Dalla tradizione mitologica nordica Tolkien eredita gli Elfi, i Nani, i Draghi, gli Orchi, ma li presenta sotto una veste nuova, del tutto personale, soprattutto gli Elfi, che nel corso del tempo erano diventati, nell’immaginario comune (anche a causa del ritratto che ne da Shakespeare in “Sogno di una Notte di Mezza Estate”) minuscoli folletti e fate. Egli gli restituisce spessore e dignità. Oltre a questo, introduce l’invenzione tutta sua degli Hobbit.
“Terra di Mezzo” è il nome con cui anche nell’Edda si indica il mondo degli uomini, compreso tra il mondo degli dei e quello degli inferi, appunto per questo “di Mezzo”*.
In “Lo Hobbit” è presente il tema della quest. La quest, o cerca, è uno schema narrativo che prevede: una situazione iniziale di pace e armonia; un’azione che improvvisamente e violentemente rompe la situazione iniziale; una lunga e travagliata ricerca di un luogo, un talismano, una persona o altro che possa realizzare il recupero, attraverso un conflitto, della situazione iniziale. Bilbo e una compagnia di nani vanno alla riconquista di un tesoro, un tesoro custodito da un drago: un classico della mitologia nordica che trova precedenti a partire dal Beowulf, la più importante opera germanica antica, probabilmente del VII secolo. D’altra parte la quest è presente anche nei poemi cavallereschi medioevali. Nell’Orlando Furioso, ad esempio, si parla di alcuni cavalieri che vanno alla ricerca di Angelica, e una vasta produzione di epica cavalleresca concerne il tema della ricerca del Sacro Graal. Nel Signore degli Anelli la quest è rovesciata, poiché l’oggetto attorno al quale ruota l’azione va riportato nel luogo in cui è stato creato per essere distrutto.
Per quanto riguarda il Beowulf, che Tolkien amava profondamente e aveva studiato a lungo, ha fornito sicuramente l’ispirazione per la società dei
* “Il nome è la forma moderna di midden-erd /middel-erd, l’antico nome di oikoumene, il posto degli uomini, il mondo reale, usato proprio in contrasto con il mondo immaginario…” (La realtà in trasparenza, lettere, n°183)
Rohirrim, i cavalieri di Rohan del Signore degli Anelli, una società di guerrieri gerarchizzata. Ma soprattutto il palazzo reale di Re Théoden, re di Rohan, è descritto in modo molto simile a quello di re Hroðgar nel Beowulf. Inoltre quando Gandalf, Aragorn, Legolas e Gimli giungono presso la reggia di Théoden, qualcuno impone loro di deporre le armi prima di entrare. È un episodio ripreso proprio dal Beowulf.
“Un personaggio superbo chiese allora ai guerrieri la loro provenienza: “Da dove ci state portando gli scudi laminati, le cotte grigie, gli elmi a visiera, il fascio delle aste di guerra? (Beowulf, V) “Io sono il Custode della Porta di Théoden, Háma è il mio nome. Qui devo pregarvi di deporre le armi prima di entrare” (Le Due Torri, libro III, capitolo VI)
Molti dei nomi dei personaggi delle opere di Tolkien si ispirano direttamente a quelli dei personaggi del Beowulf e dell’Edda.
Elenco di nomi di nani tratti dall’Edda:
“Nýi, Nidhi, Nordhri, Sudhri, Austri, Vestri, Althiófr, Dvalinn, Nár, Náinn, Nipingr, Dáinn, Bifurr, Báfurr, Bömbörr, Nori, Óri, Ónarr, Óinn, […] Fili, Kili, Fundinn, Vali, Thrór, Thróinn, […]
[…] Glóinn, Dóri, Óri, Dúfr”
(Edda di Snorri Sturluson, Gylfaginning, XIV) Elenco di nomi di nani protagonisti delle opere di Tolkien:
Thorin, Bombur, Bifur, Bofur, Oin, Gloin, Nori, Fili, Kili, Balin, Dwalin, Ori (Lo Hobbit: Compagni di Bilbo Baggins nell’avventura della riconquista del tesoro del drago Smaug)
Durin, Náin, Dáin, Thráin, Thrór…
(Il Signore degli Anelli, Appendice A, III)
Anche il tema del ritorno del re (comunque già presente anche nell’Odissea) è tipico della letteratura nordica, ma soprattutto delle leggende cristiane e arturiane, in cui spesso si viene a creare un trono vacante perché il re è stato ucciso o esiliato e ci si aspetta il suo ritorno o il ritorno di un suo erede. Nella leggenda di Artù si aspettava il re che sarebbe riuscito ad estrarre la Spada nella Roccia; oppure si pensi alla leggenda di Robin Hood, in cui il re Riccardo Cuor di Leone era partito per le crociate e il principe Giovanni governava come un tiranno al suo posto, opprimendo la popolazione, che sperava nel ritorno del Re, il quale effettivamente ritorna e rivendica il trono.
A livello formale, il Signore degli Anelli, riprende dall’epica cavalleresca la tecnica dell’entrelacement, cioè l’intreccio di più filoni narrativi, infatti, una volta che la compagnia si scioglie, la fabula narrativa si divide in tre parti: un filone segue la storia di Frodo e Sam, uno quella di Merry e Pipino, un’altra ancora quella di Aragorn, Legolas e Gimli e in seguito l’intreccio si divide e si complica ulteriormente. È una tecnica che usa anche l’Ariosto nell’Orlando Furioso, ad esempio nel momento in cui si intrecciano la vicenda di Orlando e Angelica e quella di Ruggiero e Bradamante.
Il Signore degli Anelli, in ogni caso, è soprattutto epica cavalleresca: è ambientato in quello che Tolkien chiamava il “medioevo fantastico”, i protagonisti sono spesso principi, re, cavalieri, dame; molti assimilano Gandalf al mago Merlino e non del tutto a torto in fondo, se non altro per il suo cappello a punta, la sua folta barba bianca e il suo ruolo di consigliere di re. Il lettore si ritrova varie volte di fronte all’ambiente della corte e dei castelli, si trova di fronte ai valori cavallereschi e cortesi: Aragorn, ad esempio, combatte per salvare la Terra di Mezzo, ma anche per amore di una donna, perché vincendo la guerra e conquistando il trono spera di poter essere degno della mano di una creatura tanto più nobile di lui e, per giunta, immortale.
Aragorn e Arwen a Gran Burrone
Il romanzo
È in pieno ‘900, l’epoca delle guerre mondiali, del capitalismo, della disillusione, che la voce di Tolkien si leva all’improvviso fuori dal coro, anacronistica ed incomprensibile agli occhi della maggior parte dei critici di allora, che interpretarono le sue opere come un’irresponsabile fuga dalla realtà. Egli a queste accuse rispondeva difendendo con tutte le forze la sacrosanta evasione del prigioniero dalla sua cella scura e stretta, che i critici avevano confuso con la fuga di un disertore, dando per scontato che tutti avrebbero dovuto militare al servizio di un mondo che diventava sempre meno a misura d’uomo.
“Perché mai un uomo dovrebbe essere disprezzato se, trovandosi in carcere, cerca di uscirne e di tornarsene a casa? O se, non potendolo fare, pensa e parla di argomenti diversi dai carcerieri e dai muri della prigione? Il mondo esterno non è divenuto meno reale per il fatto che il prigioniero non possa vederlo. Utilizzando “Evasione” in questo modo, i critici hanno scelto la parola sbagliata, e, quel che è peggio, stanno confondendo, non sempre in buona fede, l’Evasione del Prigioniero con la Fuga del Disertore. Allo stesso modo un portavoce di partito avrebbe potuto etichettare la fuga dalle miserie del Reich del Fürer o di qualsiasi altro regime, o anche solo la sua critica, come un tradimento. In modo simile questi critici, per rendere peggiore la confusione, e attirare il disprezzo sugli oppositori, appiccicano la loro etichetta spregiativa non solo sulla Diserzione, ma anche sull’Evasione vera e propria, e su quelli che sono spesso i suoi compagni: Disgusto, Rabbia, Condanna e Rivolta. Non solo essi confondono l’evasione del prigioniero con la fuga del disertore, ma sembrerebbero preferire l’acquiescenza del collaborazionista alla resistenza del patriota. […]
Non molto tempo fa – per quanto possa sembrare incredibile – udii un chierico oxoniano dichiarare che <dava il benvenuto> alla vicinanza di industrie robotizzate per la produzione di massa, ed al rombo di un traffico meccanico autoparalizzantesi; perché ciò portava la sua università <a contatto con la vita reale>. Può aver inteso dire che il modo in cui gli uomini vivono e lavorano nel XX secolo stava divenendo in maniera allarmante sempre più barbaro, e che la rumorosa dimostrazione di questo nelle strade di Oxford avrebbe potuto servire come ammonimento del fatto che non sarebbe stato possibile preservare a lungo un’oasi di buon senso in un deserto di irragionevolezza con dei semplici steccati, senza una concreta azione offensiva (pratica e intellettuale). Ma ho paura che non fosse così. In ogni caso, l’espressione <vita reale>, in questo contesto, sembra non corrispondere ai canoni accademici. Il concetto che le automobili siano più <vive>, diciamo, dei centauri e dei draghi, è curiosa; che siano più <reali>, diciamo, dei cavalli, è pateticamente assurda. Quanto reale, quanto sorprendentemente viva, è infatti la ciminiera di una fabbrica a paragone di un olmo: povera cosa obsoleta, sogno inconsistente di chi cerca di evadere la realtà!” (Sulle Fiabe)
Tolkien è uno di quei tanti nostalgici dei tempi andati, che da sempre popolano la storia della letteratura, i quali abbondarono in particolare in epoca romantica. I Romantici, infatti, dimostrarono una profonda sfiducia nei confronti dell’epoca a loro contemporanea e si proposero come un’alternativa alle tendenze letterarie più diffuse (il Neoclassicismo). In un periodo di grande fiducia nella razionalità e nella scienza, i Romantici preferirono l’irrazionalità e la fantasia e rivalutarono il Medioevo, fino ad allora considerato un periodo oscuro e di assoluta decadenza.
Tolkien sceglie per i suoi racconti l’ambientazione tipica delle fiabe: il medioevo fantastico, e considera il progresso in maniera negativa, come causa e strumento del male. Egli, inoltre, aveva una particolare avversione per le macchine: in genere nella Terra di Mezzo si servono di macchinari complessi solo Sauron e i suoi servi. Nel Signore degli Anelli, Saruman è il personaggio che incarna i male della Modernità: egli distrugge la foresta di Fangorn per costruire un’immensa fucina in cui fabbricare il suo esercito di Uruk-hai, ma la foresta, guidata dagli Ent (i pastori d’alberi), si vendicherà: distruggerà la sua immensa fabbrica e aiuterà gli uomini nella guerra contro gli Uruk-hai. Gli elfi, al contrario, vivono in armonia con la natura, costruiscono le loro dimore nelle foreste, senza tagliare gli alberi o scavare, ma utilizzando quello che la natura offre e aggiungendo il resto (ad esempio gli elfi di Lórien costruiscono le case sugli alberi). Così anche gli Hobbit, che vivono sotto le colline. L’autore dimostra tutto il suo amore per la natura anche nelle ampie descrizioni dei paesaggi, delle specie vegetali e animali (spesso di sua invenzione). Alcuni animali sono considerati veri e propri personaggi: ad esempio il cavallo Ombromanto e il mulo Bill, per non parlare di Gwaihir, il re delle Aquile, che porta in salvo Frodo e Sam mentre Mordor sta bruciando, tutto intorno a loro, sotto le fiamme del Monte Fato.
Oltre a questo, ogni luogo è espressione della cultura e delle abitudini del popolo che vi abita: la Contea è una verde campagna collinare, vi regna un’atmosfera idilliaca e spensierata; Lothlórien è situata all’interno di un bosco incantato di enormi alberi dal tronco bianco e dalle foglie d’oro: è misteriosa come i suoi abitanti; i Rohirrim cavalcano attraverso vaste praterie; Mordor è un deserto di terra bruciata e di paludi malsane, la natura è ostile, e oltre al pericolo delle eruzioni vulcaniche, non offre quasi mai né cibo, né acqua.
All’alba del Romanticismo, intorno al 1760, Macpherson aveva pubblicato i “Canti di Ossian”, fingendo di aver ritrovato alcuni scritti di un bardo gaelico, vissuto presumibilmente in Scozia, durante il III secolo d.C., e di averli trascritti.
Nella prima metà del 1800, in Italia, Alessandro Manzoni, pubblica “I Promessi Sposi”, affermando di essersi ispirato ad un manoscritto di un anonimo del ‘600, il quale era venuto a conoscenza della storia attraverso il racconto diretto di Renzo.
Tolkien riprende questo motivo in quanto afferma di aver scritto il suo libro sulla base del “Libro Rosso dei Confini Occidentali”: si tratta del diario di viaggio iniziato da Bilbo e concluso da Frodo e probabilmente da Sam (per quanto riguarda i pochi fatti ricordati successivi alla partenza di Frodo dai Rifugi Oscuri). Dice infatti l’autore nelle prime righe del prologo del Signore degli Anelli:
“Questo libro riguarda principalmente gli Hobbit, e dalle sue pagine il lettore imparerà molto sul loro carattere e un po’ della loro storia; ulteriori informazioni potranno trovarsi nel “Libro Rosso dei Confini Occidentali”, già pubblicato col titolo di “Lo Hobbit”. Questa storia è tratta dai più antichi capitoli del “Libro Rosso”, scritti da Bilbo in persona, il primo Hobbit divenuto famoso nel resto del mondo, e da lui intitolati “Andata e Ritorno” poiché narravano il suo viaggio verso l’Est e il ritorno a casa. Fu questa un’avventura che avrebbe più tardi coinvolto tutti gli Hobbit nei grandi avvenimenti di un’Era di cui parleremo.”
Si tratta di un espediente abbastanza diffuso che serve a fornire attendibilità al testo, e di una dichiarazione di modestia da parte dell’autore.
Nell’autore c’è anche la volontà di scrivere qualcosa di simile ad un romanzo storico*, seppure si tratti di una storia fantastica, e ne sono un chiaro esempio Gli Annali dei Re e Governatori situati nelle appendici del libro e tutte le altre documentazioni che comprendono carte geografiche, alberi genealogici delle casate più importanti, approfondimenti sui linguaggi, sui calendari, ecc.
Secondo Tolkien, perché una storia sia credibile, non è necessario che questa sia attendibile nel “mondo primario”, ma è sufficiente che sia coerente in sé stessa: in questo l’autore si contrappone decisamente al Manzoni, mentre si avvicina maggiormente alla concezione poetica del romantico inglese Coleridge, il quale, nel suo “De Anima Poetae”, aveva teorizzato il concetto della “sospensione volontaria dell’incredulità”. Secondo Coleridge il credere del lettore ad una storia, dipende, dunque, dalla volontà del lettore stesso, mentre per Tolkien è dovuta alla bravura dell’autore, e in questo entra in polemica con Coleridge:
“Questa attitudine mentale è stata chiamata <sospensione volontaria dell’incredulità>. Ma non mi sembra una buona descrizione di ciò che avviene. Ciò che avviene in realtà è che il compositore della storia si dimostra un <sub-creatore> riuscito. Egli costruisce un Mondo Secondario in cui la nostra mente può introdursi. In esso, ciò che egli riferisce è <vero>: in quanto in accordo con le leggi di quel mondo. Quindi ci crediamo, finché, per così dire, restiamo al suo interno. Nel momento in cui sorge l’incredulità, l’incantesimo è rotto; la magia, o piuttosto l’arte, non è riuscita. Ci si trova di nuovo fuori, nel Mondo Primario, e si guarda dall’esterno il piccolo, abortito Mondo Secondario. Se si è obbligati, dalla gentilezza o dalla circostanza, a rimanervi, allora l’incredulità può interrompersi (o essere soffocata), altrimenti l’ascolto e la vista diverrebbero intollerabili. Ma questa interruzione dell’incredulità è il sostituto di un sentimento genuino, un sotterfugio che impieghiamo quando accettiamo di giocare o di fingere, o quando cerchiamo (più o meno volontariamente) di trovare del valore nell’opera d’arte che per quanto ci concerne è fallita.” (Sulle Fiabe)
Attraverso queste affermazioni Tolkien segna un netto distacco anche rispetto al romanzo gotico settecentesco e al racconto fantastico ottocentesco, i quali tentavano di fondere il mondo della realtà con quello della fantasia, presentando metropoli infestate dagli spiriti e cercando di introdurre l’orrore e il mistero nella vita quotidiana. La fantasia tolkeniana è inoltre una fantasia prevalentemente “luminosa”, che non si concentra su aspetti macabri e oscuri: persino la magia, nel suo mondo secondario, è quasi assente e, comunque, perfettamente naturale e spiegabile all’interno di quello stesso mondo, non è “sopra-naturale”.
Lo stesso autore sosteneva che gran parte del fascino del Signore degli Anelli fosse dovuto alle “storie non raccontate” presenti al suo interno*2: infatti le canzoni, le filastrocche, e il ricordo di fatti appartenenti alla storia della Terra di Mezzo, aprono come delle finestre su un passato di miti e leggende su cui è costruita la storia principale, stimolando la fantasia e la curiosità
* “Io ho la mentalità dello storico. La Terra-di-Mezzo non è un mondo immaginario. Il nome è la forma moderna (apparsa nel XIII secolo e ancora in uso) di midden-erd / middel-erd, l’antico nome di oikoumene, il posto degli uomini, il mondo reale, usato proprio in contrasto con il mondo immaginario (come il paese delle fate) o come mondi invisibili (come il paradiso e l’inferno). Il teatro della mia storia è su questa terra, quella su cui noi ora viviamo, solo il periodo storico è immaginario.” (La realtà in trasparenza, lettere, n°183)
*2 “Il fascino del Signore degli Anelli è in parte dovuto, penso, all’intuizione di una storia più ampia sullo sfondo: un fascino simile a quello esercitato dalla vista di un’isola lontana e inesplorata, o a quello delle torri di una città che brillano in lontananza nel pulviscolo del sole. Andare fin là significa distruggere la magia, a meno che non si rivelino altri irraggiungibili panorami.” (La realtà in trasparenza, lettere, n° 247)
del lettore. La maggior parte di coloro che leggono il Signore degli Anelli, infatti, spinti dal desiderio di saperne di più, leggono anche le altre opere di Tolkien, e, in particolare nel Silmarillion, trovano risposte alle loro domande; ma, essendo un’opera incompiuta, questa suscita anche nuove domande e nuova curiosità, dando vita ad un circolo senza fine che lascia sempre al lettore la possibilità di immaginare nuove situazioni e nuovi personaggi e di vagare liberamente con la fantasia attraverso i paesaggi della Terra di Mezzo. Nonostante della Terra di Mezzo esistano cartine geografiche, genealogie, calendari, dizionari delle lingue che vi si parlano, il lettore non ha mai la sensazione di conoscerne con sicurezza tutti i confini e tutte le caratteristiche, ma anzi la sente sempre avvolta in un’aura di mistero e di incanto che lo porta sempre a domandarsi “cosa è successo prima” e “cosa succederà in seguito” oppure a chiedersi cosa ci sia ad est del Mare di Rhûn, poiché sa che gli “Orientali” vengono da quei luoghi, ma non sa nulla di più, e sa che da Sud vengono i Corsari, ma niente di più preciso.
John Keats, nella sua “Ode on a Grecian Urn” aveva sostenuto che le melodie che sentiamo sono dolci, ma quelle che non sentiamo sono ancora più dolci:
“Heard melodies are sweet, but those unheard / Are sweeter; therefore, ye soft pipes, play on; / Not to the sensual ear, but, more endear’d, / Pipe to the spirit ditties of no tone […]
More happy love! more happy, happy love! / For ever warm and still to be enjoy’d, / For ever panting, and for ever young; / All breathing human passion far above, / That leaves a heart high – sorrowful and cloy’d, / A burning forehead, and a parching tongue.”
(“Le melodie udite sono dolci, ma quelle non udite / Sono più dolci; pertanto, molli zampogne, continuate a suonare; / Non all’orecchio del senso, ma, più dilette, / Modulate allo spirito canzoni senza toni […]
Più felice amore! più felice, felice amore! / Sempre caldo e sempre da essere goduto, / Sempre anelante, e sempre giovane; / Assai più in alto d’ogni spirante passione umana, / Che lascia il cuore pieno d’alto dolore e sazio, / La fronte ardente, e la lingua arida.”)
Si tratta di un motivo fondamentale della poetica Romantica, che consiste in un procedimento atto a stimolare la fantasia, all’interno di una visione del mondo in cui la fantasia è fondamentale o è addirittura l’unica dimensione in cui l’uomo possa provare piacere.
Secondo il Leopardi, perlomeno nella prima parte della sua produzione, lo scopo della poesia è quello di “dilettare” e questo non si ottiene attraverso la descrizione del vero, ma attraverso la fantasia e l’immaginazione. Infatti il vero tende piuttosto a mortificare l’anima e a costringerla entro limiti ben delineati, mentre il vago e l’indefinito lasciano spazio alla fantasia e alla creatività dell’individuo:
“Non le angustie, non le carceri non le catene danno baldanza alla fantasia, ma la libertà, né per lei sono campi le scienze né i ritrovati, ma d’ordinario fossi ed argini, né la molta luce del vero può far bene a quella ch’è vaneggiatrice per natura (la poesia), né di quelle cose s’arricchisce l’intelletto, s’arricchisce la fantasia già sterminatamente ricca per se stessa; ma la sua prima e somma ricchezza consiste nella libertà, ed il vero conosciuto ed il certo hanno per natura di togliere la libertà di immaginare.” (Discorso di un Italiano intorno alla poesia romantica)
Da notare come anche Tolkien amasse paragonare la realtà ad un carcere e la fantasia alla libertà. (vedi pag. 20)
Il Leopardi sosteneva che l’uomo antico era più felice dell’uomo moderno perché non conosceva i confini del proprio mondo e la natura di tutti i fenomeni che vi si verificavano, in tal modo egli poteva immaginare cose bellissime al di là di un mare o di una montagna, poteva immaginare che i fenomeni naturali fossero prodotti da forze divine e da magie... Le scoperte scientifiche hanno man mano definito i confini del nostro mondo e spiegato la natura dei fenomeni, limitando le facoltà immaginative dell’uomo.
La scoperta dell’America, ad esempio, è uno di questi grandi avvenimenti che hanno ristretto all’improvviso gli orizzonti dell’immaginazione umana. Secondo Leopardi, una volta tracciati tutti i confini della Terra su una carta geografica, non rimaneva più spazio per immaginare luoghi in cui le stelle riposassero durante il giorno e il Sole durante la notte. Tolkien parla di questo, a proposito del fenomeno che ha veduto, nel corso della storia, il rimpicciolirsi degli esseri fantastici ad esseri minuscoli. Se un tempo erano giganti, titani, sfingi, centauri, draghi, ecc.. con la fine del Medioevo e la scoperta dell’America erano diventati sempre più fatine grandi come il petalo di un fiore:
[…] Ahi ahi, ma conosciuto il mondo / non cresce, anzi si scema, e assai più vasto / l’etra sonante e l’alma terra e il mare / al fanciullin, che non al saggio, appare. / Nostri sogni leggiadri ove son giti / dell’ignoto ricetto / o d’ignoti abitatori, o del diurno / degli astri albergo, e del rimoto letto / della giovane Aurora, e del notturno / occulto sonno del maggior pianeta? / Ecco svaniro a un punto, / e figurato è il mondo in breve carta; / ecco tutto è simile, e discoprendo / solo il nulla s’accresce. […] (Canti, Ad Angelo Mai, v. 87-100) “… ho il sospetto che questa minuzia di fiori e farfalle sia in parte il prodotto di una razionalizzazione che ha trasformato la malia del paese degli Elfi in mera sottigliezza, e l’invisibilità in una fragilità tale da potersi celare in una primula o da defilarsi dietro un filo d’erba. È una tendenza che sembra essere divenuta moda non appena i grandi viaggi hanno cominciato a far apparire il mondo troppo angusto per gli Uomini e per gli Elfi insieme; da quando, cioè, la magica terra di Hy Breasail, nell’Ovest, si è ridotta al semplice Brasile, il paese del legno rosso.” (Sulle Fiabe)
Prima di Tolkien, Richard Wagner aveva ripreso in mano gli antichi miti nordici per farne una grandiosa trilogia, infatti, nell’ “Anello del Nibelungo” aveva fatto dell’Edda antica un’opera lirica lunga quindici ore. La prima opera costituisce l’antefatto ed è intitolata “l’Oro del Reno”: chi forgia un Anello con l’oro del Reno avrà il dominio del mondo. A forgiare l’Anello è il Nibelungo Alberich, egli forgia anche un elmo magico in grado di rendere invisibile chi lo possiede o di cambiarne le sembianze. (Anche l’Anello del Signore degli Anelli ha il potere di rendere invisibile chi lo infila al dito). Gli dei non possono accettare che il dominio del mondo sia assegnato al Nibelungo e gli sottraggono l’Anello e l’Elmo con l’inganno, ma Alberich lancia una maledizione sull’Anello: chi non l’avrà vorrà averlo, ma chi lo possiede, perirà. Nel Signore degli Anelli l’Anello è oggetto delle brame di Gollum, di Denethor, di Boromir, e anche personaggi positivi come Gandalf e Galadriel sono tentati di prenderlo. Chi lo possiede non muore, anzi ottiene il prolungamento della propria esistenza, ma viene corrotto e privato della propria volontà e personalità.
Ad un certo punto il re degli dei, Wotan, si vede costretto a consegnare l’Anello a due giganti: Fafner e Fasolt, per riscattare la dea della giovinezza. Costoro però lottano tra loro per il possesso dell’Anello e Fasolt rimane ucciso. Come non pensare all’episodio in cui Gollum (che allora si chiamava Sméagol) uccide il fratello Déagol per impossessarsi dell’Anello?
Dopo una lunga serie di vicende e di disgrazie ad esso legate, l’Anello viene finalmente (nell’ultima opera: “Il Crepuscolo degli Dei”) restituito al Reno, il quale straripa, un po’ come il Monte Fato che esplode dopo aver inghiottito l’Anello del Signore degli Anelli.
Il Signore degli Anelli e il Macbeth
Per quanto si tratti di un motivo non riconducibile al modello dell’epica, né a quello romantico, Tolkien fa più volte riferimento al Macbeth di Shakespeare, nel Signore degli Anelli e anche nel saggio “Sulle Fiabe”. Evidentemente la tragedia shakespeariana dovette aver lasciato in lui una forte impressione. È come se egli fosse rimasto deluso nello scoprire che il bosco di Birnam che marciava verso Dunsinane non era un vero bosco, ma solo un esercito di soldati con dei rami in mano. Così Tolkien decise di inserire nel suo racconto un episodio in cui una foresta vera e propria scendesse in guerra al fianco dei Cavalieri di Rohan e marciasse verso il Fosso di Helm: la foresta di Fangorn guidata dagli Ent. A Macbeth era stato predetto che nessun uomo nato da donna avrebbe potuto ucciderlo. Anche il Re dei Nazgul del Signore degli Anelli è convinto del fatto che nessun uomo potrà mai ucciderlo, ma entrambi finiranno per morire senza che se lo aspettino:
Macb. “Sprechi la fatica: più facilmente potresti con la tua spada affilata, lasciar traccia nell’aria non fendibile, che far uscire del sangue da me. Cada la tua lama su cimieri vulnerabili: io porto in me una vita incantata, che non può cedere ad uno il quale sia stato partorito da donna.”
Macd. “Dispera del tuo incanto: e il demone che tu hai servito ti dica che Macduff fu tratto innanzi tempo, con un taglio, dal grembo di sua madre.”
(Macbeth, atto V, scena VIII)
“Una spada risuonò mentre veniva sguainata. <Fa ciò che vuoi; ma io te lo impedirò, se potrò>.
<Impedirmelo? Sei pazzo! Nessun uomo vivente può impedirmi nulla!> Allora Merry udì fra tutti i rumori il più strano: gli sembrò che Dernhelm ridesse, e la sua limpida voce era come una vibrazione d’acciaio. <Ma io non sono un uomo vivente! Stai guardando una donna. Éowyn io sono, figlia di Éomund.[ … ]>.
(Il Signore degli Anelli, libro V, capitolo VI)
Éowyn e Merry contro il Re dei Nazgul
La storia e la Storia
Ben pochi sono i motivi ispirati direttamente dalla biografia dell’autore all’interno del Signore degli Anelli. L’esperienza della Somme sicuramente segnò Tolkien e probabilmente ispirò la descrizione degli scenari di guerra e degli episodi di sofferenza, legati ad essa, presenti nel libro. Tolkien fu accusato di essere un “guerrafondaio”, per il fatto che la guerra è un elemento importante, se non fondamentale, della sua storia. Egli però odiava la guerra, prima di tutto perché l’aveva vissuta in prima persona, aveva perso gli amici durante la Prima Guerra Mondiale e aveva dovuto sopportare che i suoi figli combattessero nella Seconda. L’autore non può essere considerato nemmeno un pacifista assoluto, in quanto era convinto che potessero esistere “guerre giuste”: guerre che era necessario combattere; se riteneva che la Prima Guerra Mondiale fosse stata un inutile e assurdo spargimento di sangue, non diceva altrettanto a proposito della Seconda e in qualche modo si schierava a favore della lotta ideologica contro i totalitarismi. In questo la Guerra dell’Anello è simile alla Seconda Guerra Mondiale: per Tolkien sono due guerre necessarie.
In particolare Tolkien non sopportava che Hitler continuasse a promuovere un’ideologia assurda e chiaramente priva di fondamento, e che, nonostante questo, continuasse ad avere un grande consenso. L’autore infatti conosceva bene i concetti e i valori a cui Hitler pretendeva di far riferimento e mise in luce più volte quanto costui li avesse travisati e strumentalizzati.
“La gente di questo paese non sembra ancora essersi resa conto che nei tedeschi noi abbiamo dei nemici le cui virtù (e sono virtù) di obbedienza e patriottismo superano le nostre, nella massa. La cui in¬dustria è circa dieci volte più sviluppata. E che sono - sotto la male¬dizione del Signore - guidati ora da un uomo ispirato da un diavolo pazzo, vorticoso: un tifone: che fa assomigliare il povero vecchio Kaiser al lavoro a maglia di una vecchietta. Ho trascorso gran parte della mia vita, fin da quando avevo la tua età, a studiare germanistica (che in senso generale comprende In¬ghilterra e Scandinavia). C'è molta più forza e veridicità nell'ideale «germanico» di quanta la gente ignorante non immagini. Io ne ero molto attratto da studente (quando Hitler, penso, si dilettava di pit¬tura e non ne aveva ancora sentito parlare), come reazione contro i «classici». Bisogna cercare di scoprire il lato buono delle cose, indivi¬duando il male vero. Ma nessuno mai mi chiama alla radio o mi chie¬de di scrivere un poscritto! Eppure credo di sapere meglio di molti al¬tri qual è la verità a proposito del consenso «nordico». Comunque, in questa guerra io ho un bruciante risentimento privato, che mi rende¬rebbe a 49 anni un soldato migliore di quanto non fossi a 22, contro quel dannato piccolo ignorante di Adolf Hitler (perché la cosa strana circa l'ispirazione demoniaca e l'impeto è che non riguarda per nien¬te la statura intellettuale di una persona, ma riguarda la sola volontà). Sta rovinando, pervertendo, distruggendo, e rendendo per sempre maledetto quel nobile spirito nordico, supremo contributo all'Euro¬pa, che io ho sempre amato, e cercato di presentare in una giusta lu¬ce.” (La realtà in trasparenza, lettere, n° 45, a Michael Tolkien, 9.6.1941)
Da una lettera a Stanley Unwin. 25 luglio 1938
La Allen & Unwin aveva trattato la pubblicazione di una traduzione in tedesco de Lo Hobbit con la Ruetten & Loening di Potsdam. Questa casa editrice scrisse a Tolkien per chiedergli se era di razza “arisch” (ariana).
Devo proprio dire che la lettera acclusa della Ruetten & Loening è un tantino dura. Devo sopportare questa impertinenza perché ho un nome tedesco o le loro leggi lunatiche richiedono un certificato di origine “arisch” da tutte le persone degli altri paesi?
Personalmente sarei incline a rifiutare di concedere qualsiasi “Bestaetigung” (approvazione) (dato che posso benissimo farlo) e lasciare che la traduzio¬ne in tedesco vada a quel paese. In ogni caso, ho delle forti remore nei confronti di un'eventuale comparsa sulla stampa di una dichiara¬zione del genere. Non considero affatto la (probabile) assenza di san¬gue ebreo come necessariamente onorevole; e ho molti amici ebrei, e dovrei rammaricarmi di aver prestato fede all'affermazione che ho sottoscritto, della completa perniciosità e non-scientificità della dot¬trina della razza.
Questo riguarda Lei, in primo luogo; io non posso mandare a monte la possibilità di un'edizione tedesca senza la Sua approvazio¬ne. Quindi Le sottopongo due abbozzi di eventuali risposte.
Alla Ruetten & Loening Verlag
Uno dei «due abbozzi» citati da Tolkien nella lettera precedente. Que¬sto è l'unico conservato negli archivi della Allen & Unwin ed è quindi proba¬bile che la casa editrice inglese abbia inviato l'altro in Germania. È chiaro che in quella lettera Tolkien rifiutò di dichiararsi di razza “arisch”.
20 Northmoor Road, Oxford 25 luglio 1938
Cari Signori, grazie per la vostra lettera. [...] Temo di non aver capito chiara¬mente che cosa intendete per “arisch”. Io non sono di origine ariana, cioè indo-iraniana; per quanto ne so, nessuno dei miei antenati parla¬va indostano, persiano, gitano o altri dialetti derivati. Ma se Voi vo¬levate scoprire se sono di origine ebrea, posso solo rispondere che purtroppo non sembra che tra i miei antenati ci siano membri di quel popolo così dotato. Il mio bis-bis-nonno venne in Inghilterra dalla Germania nel diciottesimo secolo: la gran parte dei miei avi è quindi squisitamente inglese e io sono assolutamente inglese, il che dovreb¬be bastare. Sono sempre stato solito, tuttavia, considerare il mio no¬me germanico con orgoglio e ho continuato a farlo anche durante il periodo dell'ultima, deplorevole guerra, durante la quale ho servito nell'esercito inglese. Non posso, tuttavia, trattenermi dall'osservare che se indagini così impertinenti e irrilevanti dovessero diventare la regola nelle questioni della letteratura, allora manca poco al giorno in cui un nome germanico non sarà più motivo di orgoglio.
La Vostra indagine è sicuramente dovuta all'obbligo di adeguar¬si alla legge del Vostro paese, ma che questa debba anche essere ap¬plicata alle persone di un altro stato è scorretto anche se avesse (ma non ce l'ha) a che fare con i meriti del mio lavoro o con la sua idonei¬tà alla pubblicazione, lavoro del quale sembravate soddisfatti anche senza saper nulla della mia “Abstammung” (discendenza).
Confidando che troverete soddisfacente questa risposta, rimango il Vostro fedele J.R.R. Tolkien
Il Signore degli Anelli si prestò da subito a svariate interpretazioni allegoriche, e a partire dal periodo in cui fu pubblicato, sino ad oggi, la tendenza più diffusa è stata quella di leggerlo come un’allegoria della Seconda Guerra Mondiale, nonostante l’autore avesse più volte tentato di scoraggiare questo tipo di atteggiamento nei confronti della sua opera, in particolare nell’introduzione alla seconda edizione inglese:
“Riguardo al significato profondo, o al "messaggio", nell'intenzione dell'autore non ne ha alcuno (il libro). Non è allegorico né fa riferimento all'attualità. La storia, crescendo, ha messo radici (giù nel passato) ed ha prodotto rami inaspettati: il suo tema principale però è stato imposto fin dall'inizio dall'inevitabile scelta dell'Anello quale legame con Lo Hobbit. Il capitolo cruciale, "L'ombra del passato", è una delle parti più vecchie del racconto. È stato scritto molto prima che i presagi del 1939 si mutassero in minacce di un disastro inevitabile, e da quel punto la storia si sarebbe sviluppata lungo le stesse linee anche se quel disastro fosse stato evitato. Le sue fonti sono cose che avevo già in mente, o in alcuni casi avevo già scritte, e poco o nulla è stato modificato dalla guerra iniziata nel 1939 o dalle sue conseguenze.
La guerra reale non ricorda la guerra leggendaria nello svolgimento né nella conclusione. Se essa avesse ispirato o diretto lo sviluppo della leggenda, allora per certo l'Anello sarebbe stato preso ed usato contro Sauron; Sauron stesso sarebbe stato non annientato ma sottomesso, e Barad-dûr non sarebbe stata distrutta ma occupata. Saruman, non riuscendo ad entrare in possesso dell'Anello, sfruttando la confusione ed i tradimenti del tempo avrebbe trovato a Mordor il legame mancante alle sue ricerche sulla Scienza degli Anelli, e dopo non molto avrebbe forgiato un suo Grande Anello con il quale sfidare l'autoproclamato Signore della Terra di Mezzo. In un tale conflitto entrambe le parti avrebbero odiato e disprezzato gli Hobbit, che non sarebbero sopravvissuti a lungo neanche come schiavi.
Altre soluzioni possono essere trovate in accordo con i gusti di quelli che amano l'allegoria o il riferimento all'attualità. Io però detesto cordialmente l'allegoria in tutte le sue manifestazioni, e l'ho sempre detestata da quando sono diventato abbastanza vecchio ed attento da scoprirne la presenza. Preferisco di gran lunga la storia, vera o finta che sia, con la sua svariata applicabilità al pensiero ed all'esperienza dei lettori. Penso che molti confondano "applicabilità" con "allegoria"; l'una però risiede nella libertà del lettore, e l'altra nell'intenzionale imposizione dello scrittore.” ("Foreword to the Second Edition" copyright © 1966 by J.R.R. Tolkien. Traduzione italiana by Soronel)
Nonostante le dichiarazioni dell’autore, spesso si è voluto vedere l’Anello come allegoria della bomba nucleare, senza considerare che nel Signore degli Anelli, l’azione di gettare l’Anello nel Monte Fato comporta la salvezza di un mondo e di tante vite, mentre nella Seconda Guerra Mondiale è accaduto l’esatto opposto.
Una tendenza diffusa è stata anche quella di vedere nell’alleanza Mordor-Isengard le potenze dell’Asse, e in quella Gondor-Rohan-Contea, quelle Alleate; ma se è vero che Gondor e Rohan sono alleate, la Contea invece non partecipa assolutamente alla Guerra, se non attraverso i quattro Hobbit protagonisti della storia, e non certo con un’alleanza militare.
I regni di Denethor e Saruman sono stati paragonati ai governi fantoccio come quello di Vichy, ma Saruman è un vero e proprio alleato di Sauron, mentre Denethor rimane sempre un nemico di Mordor e Mordor non riuscirà mai ad assoggettare il suo regno.
Nell’episodio in cui gli Hobbit tornano nella Contea e la trovano in preda ad una sorta di socialismo che l’ha rovinata, molti hanno voluto vedere l’Europa del secondo dopoguerra, ma in realtà l’intenzione dell’autore era semplicemente quella di rappresentare un qualunque dopoguerra e di mostrare come le guerre non si concludano mai semplicemente con le parate trionfali, ma lascino dietro di sé lunghe scie di povertà e distruzione.
Esistono anche altre interpretazioni che, piuttosto che soffermarsi su parallelismi rigidi, cercano di individuare e capire la concezione che l’autore ha della guerra in generale e dei fenomeni connessi ad essa. In fondo egli stesso ammise:
“Questa nostra epoca così buia ha sicuramente influito sulla storia. Anche se non è un’allegoria.” (La realtà in trasparenza, lettere, n° 34)
Sauron e Saruman, in qualche modo, sono a capo di regimi totalitari. L’unico occhio di Sauron, infatti, può essere facilmente assimilabile ad una visione univoca del mondo e ad una volontà di assoggettare a questa sua visione tutti i popoli della Terra. Saruman potrebbe rappresentare la figura del dittatore moderno, la cui arma principale è la voce, la comunicazione: l’arma più potente dell’uomo moderno. Per questo sono stati numerosi i confronti con Hitler, e anche perché, se Hitler incoraggiava certi esperimenti genetici, Saruman ottiene gli Uruk-hai attraverso incroci ed esperimenti: il dittatore moderno è un individuo che usa gli uomini come se fossero oggetti, pur di raggiungere i suoi scopi; anche Stalin approfittava senza scrupoli della grande disponibilità di risorse umane che offriva la Russia (la popolazione numerosa gli dava la possibilità di fornire un continuo ricambio all’esercito).
Il racconto è ambientato in un passato immaginario, ma le concezioni del potere e del male sono quelle moderne del XX secolo. Il potere corrompe: gli uomini desiderano il potere con le più nobili intenzioni, ma una volta raggiuntolo questo ne assorbe e ne incatena la volontà. Saruman era un personaggio positivo: buono e saggio. Egli desidera il potere e per raggiungerlo non esita ad allearsi con le forze del male, sempre con “buone” intenzioni però, in quanto è convinto che, anche quando Sauron avrà assoggettato il mondo, dopo aver seminato morte e disperazione ovunque, prima o poi anche costui, per governare, avrà bisogno di stabilire un certo ordine, delle leggi, ecc… e questo era il compito che Saruman si sarebbe assegnato. Boromir crede che l’Anello sia l’unica speranza per la Terra di Mezzo, che solo usandolo come arma contro Sauron egli potrà salvare il suo popolo (ancora una volta una nobile intenzione), ma non si rende conto che l’Anello lo sta già rendendo suo schiavo e che lo spingerà ad aggredire Frodo pur di impossessarsene. Il potere è capace di rendere malvagie persone perfettamente normali. In effetti, a dispetto di coloro che continuano a vedere nel Signore degli Anelli la “guerra eterna” tra il Bene assoluto e il Male assoluto, nel racconto sono quasi completamente assenti personaggi completamente positivi o completamente negativi. Come già detto, Saruman era un personaggio positivo, Boromir è prevalentemente un personaggio positivo, Gollum è l’esempio più eclatante di mescolanza di bene e male. Persino Frodo alla fine si lascia corrompere. Sauron non è stato sempre malvagio, in principio era un Maia (una divinità minore) e fu corrotto da Morgoth, che in principio era una creatura di Dio (sono due angeli caduti). Oltretutto l’unico “personaggio” che dovrebbe rappresentare il male assoluto (Sauron) non è un vero e proprio personaggio, in quanto non ha forma corporea, ma solo spirituale: si manifesta esclusivamente attraverso il suo enorme occhio di fiamma e questo lo rende ancora più spaventoso. Anche gli Schiavi dell’Anello, i Nazgul, non hanno corpo e sono considerati una delle rappresentazioni del male più riuscite della produzione tolkeniana. Anche queste infatti testimoniano una concezione del male molto moderna: i Nazgul sono vuoti, privi di volontà: è la volontà del loro Signore che agisce attraverso di loro.
Hannah Arendt teorizzò una concezione del male molto simile in “La Banalità del Male” (1963). Essa attribuiva le azioni malvagie principalmente a quella che chiamò l’“incapacità di pensare”. Questa “incapacità di pensare” non è propria degli stupidi, può essere presente anche nelle persone più intelligenti e consiste nel non riuscire a riflettere su se stessi e sulle proprie azioni. Quei pochi che non aderirono ai regimi totalitari avevano la “capacità di pensare”, cioè erano in grado di auto-giudicarsi e di chiedersi se sarebbero stati in grado di compiere o meno certe azioni e di affrontare poi il proprio giudizio.
Nel XX secolo più che in passato il male non è più frutto di una precisa volontà di “far del male”, non è una scelta consapevole, ma una questione di burocrazia. Secondo Tolkien questo è dovuto anche ai nuovi mezzi con cui si combatte: le armi da fuoco hanno fatto decadere i valori cavallereschi medioevali: la guerra non è più uno scontro fra uomo e uomo: è una questione di burocrazia, fatta di bombe lanciate dal cielo.
Per la Arendt il processo di Norimberga e il processo ad Eichmann (famoso criminale nazista) furono una rivelazione: in quelle occasioni era emerso quanto il concetto di male tradizionale non avesse più valore. Si trattava di persone che avevano commesso crimini atroci, eppure nessuna di esse era un mostro sadico e perverso: erano tutte persone perfettamente “normali” che facevano il loro lavoro, spinti da una “cieca obbedienza”. Eichmann, che dirigeva l’organizzazione del trasferimento degli Ebrei nei campi di concentramento, dichiarò di essersi occupato semplicemente “di trasporti”. La Arendt, con il termine “banalità” intende “senza radici”: si tratta di un male che può essere estremo, ma non radicato e profondo, prodotto da una precisa volontà demoniaca. I Nazgul sono i funzionari di Sauron, non hanno una volontà, agiscono spinti dalla “cieca obbedienza” al loro Padrone, come anche i Corsari e gli Orientali: l’autore lascia intendere che non siano assolutamente malvagi (vedi pag. 13); persino gli Orchi un tempo erano elfi e uomini, che Morgoth aveva torturato sino a cambiarne la natura. Questo fenomeno della “banalità del male” è sicuramente in parte dovuto all’affermarsi della società di massa: la massa può essere facilmente manipolata e strumentalizzata da un individuo dalla forte personalità. Nel Signore degli Anelli Aragorn riesce a convincere gli Uomini Morti maledetti a combattere per lui e, nonostante questi siano una massa di infidi traditori, daranno un contributo decisivo alla vittoria delle forze del Bene.
In Italia, in parte a causa dell’interpretazione gnostica di Elémire Zolla, la lettura del Signore degli Anelli ha avuto una storia del tutto particolare; infatti solo in Italia continua ad essere considerata una lettura “di destra” ed è considerata con sospetto, probabilmente da quando la Lega Nord ne ha fatto un manifesto della propria ideologia, inserendo immagini dell’Anello nei manifesti di propaganda e organizzando “Campi Hobbit” estivi per i ragazzi, travisandone e forzandone i contenuti un po’ come aveva fatto Hitler con le ideologie germaniche, con le opere di Fiche, Nietzsche, ecc. e un po’ come tendono a fare tutti gli estremisti, che cercano di dar credito alle loro idee attraverso la strumentalizzazione della cultura. Nonostante molta critica abbia dimostrato l’inesistenza di legami tra il pensiero filosofico di Nietzsche col nazismo, certe concezioni e pregiudizi sono difficili da sradicare e Tolkien ha avuto la stessa sorte. Ma se il pensiero di Fiche o quello di Nietzsce si prestavano facilmente a quel tipo di lettura, non si può dire lo stesso dell’opera di Tolkien, la quale si presta facilmente anche alla lettura opposta, dato che negli anni ’60 era considerata nientemeno che la “bibbia” degli hippies e degli ecologisti. In effetti, se è vero che il Signore degli Anelli è imbevuto di valori feudali ed è popolato da società guerriere, se è vero che i nemici vengono dall’Est e dal Sud (evidentemente per pura coincidenza), e se è vero che certamente non è un inno al comunismo e anzi lo critica quasi apertamente, è altrettanto vero che la storia è un’esaltazione della multiculturalità e multirazzialità, gli Hobbit sono organizzati in comunità, non hanno nessuno che li comandi e si gestiscono da soli; nelle sue lettere l’autore si scaglia spesso contro il colonialismo inglese e contro la globalizzazione, non amava il Commonwealth e il Regno Unito, amava profondamente la diversità delle culture e riteneva che il prevalere del mondo anglofono l’avrebbe fortemente penalizzata; talvolta si esprime con toni talmente polemici e forti da superare quasi il limite del lecito.
Da una lettera a Christopher Tolkien. 29 novembre 1943
Nell'estate del 1943, Christopher, che aveva diciotto anni, fu chiamato nella Royal Air Porce. Quando questa lettera venne scritta, era in un campo di addestramento a Manchester.
Le mie opinioni politiche inclinano sempre più verso l'anarchia (intesa filosoficamente come abolizione di ogni controllo, non come uomini barbuti che lanciano bombe) - oppure verso una monarchia non costituzionale. Arresterei chiunque usi la parola Stato (intenden¬do qualsiasi cosa che non sia la terra inglese e i suoi abitanti, cioè qualcosa che non ha poteri né diritti né intelligenza); e dopo avergli dato la possibilità di ritrattare, lo giustizierei se rimanesse della sua idea! Se potessimo tornare ai nomi propri, sarebbe molto meglio. Go¬verno è un sostantivo astratto che indica l'arte e il modo di governare e sarebbe offensivo scriverlo con una G maiuscola come per riferirsi al popolo. Se la gente avesse l'abitudine di riferirsi al «Consiglio di re George, Winston e la sua banda», si farebbero dei grandi passi avan¬ti e rallenterebbe questo pericoloso scivolare verso la Lorocrazia. ,
[…] I Greci, liti¬giosi e presuntuosi, riuscirono a farcela contro Serse; ma gli abomine¬voli chimici e ingegneri hanno dotato di tale potere Serse e tutti quelli che sono contro le comunità, che la gente comune non può farcela. Noi tutti stiamo cercando di fare come Alessandro - e, come insegna la storia, Alessandro e tutti i suoi generali finirono con l'orientaliz¬zarsi. Il povero sciocco immaginava (o voleva che la gente immagi¬nasse) che era figlio di Dioniso e morì per il troppo bere. La Grecia che valeva la pena di salvare dalla Persia scomparve; e diventò una specie di Vichy-Hellas o di Hellas-combattente (che non combatte¬va), parlando di onore e cultura greci e prosperando con la vendita dell'antico equivalente delle cartoline. Ma la cosa terribile dei nostri tempi è che è così dappertutto. Non c'è nessun posto dove poter fug¬gire. Persino i piccoli infelici Samoiedi, temo, hanno cibo in scatola e l'altoparlante del villaggio che racconta le favole di Stalin sulla demo¬crazia e sui fascisti crudeli che mangiano i bambini e rubano i cani da slitta. C'è una sola cosa positiva ed è l'abitudine, sempre più diffusa, di chi è scontento, di far saltare con la dinamite fabbriche e centrali elettriche; spero che, essendo ora incoraggiata come «patriottica», questa consuetudine rimanga! Ma non servirà a niente, se non diven¬ta universale. […] (La realtà in trasparenza, lettere, n°52)
“Il colonnello Knox dice che un ottavo della popolazione mondiale parlerà inglese e che l'inglese è la lingua più diffusa. Se è vero, che vergogna - dico io. Che la maledizione di Babele possa colpire le loro lingue in modo che possano solo dire «baa baa». Tanto è lo stesso. Pen¬so che mi rifiuterò di parlare se non in antico merciano.
Ma scherzi a parte: trovo questo cosmopolitanesimo americano terrificante. Per quanto riguarda la mente e lo spirito, e trascurando le insignificanti paure di chi non vuole essere ucciso da soldati brutali e licenziosi (tedeschi o di altra nazionalità), non sono del tutto sicuro che una vittoria americana a lunga scadenza si rivelerà migliore per il mondo nel suo complesso piuttosto della vittoria di - . Non penso che le lettere inviate entro i confini del paese vengano censurate. Ma se lo fossero, o no, è inutile che dica che così pensa parecchia gen¬te - e non significa mancanza di patriottismo. Perché io amo l’ Inghilterra (non la Gran Bretagna e sicuramente non il Commonwealth-grr!), e se avessi l'età per fare il militare, penso che sarei in servizio attivo e pronto ad andare fino alla fine - sperando sempre che le cose si possano mettere al meglio per l'Inghilterra più di quan¬to non sembri in questo momento.” (La realtà in trasparenza, lettere, n°53)
Dire che Tolkien fosse “di destra” è assurdo esattamente come lo è dire che fosse “di sinistra”. Egli odiava la politica e il suo intento era quello di scrivere una storia che non avesse nulla a che fare con quel mondo di bruttura e di mediocrità in cui egli stesso viveva, ma che desse un po’ di pace e di evasione alla sua anima e all’anima dei suoi lettori.
Epilogo
Il successo del Signore degli Anelli ha dato vita ad un intero mondo artistico che non è più limitato al solo mondo della letteratura e che riguarda ormai anche la musica, il cinema e le arti figurative. Chiunque legga il libro una volta, in genere lo rilegge di nuovo ogni anno, perché difficilmente riesce a trovare in altri libri ciò che trova nei libri di Tolkien. Perché? La risposta migliore è sicuramente quella del figlio Michael:
“Almeno per me non c’è nulla di misterioso nell’entità del successo toccato a mio padre, il cui genio non ha fatto che rispondere all’invocazione di persone di ogni età e carattere, stanche e nauseate dalla bruttezza, dall’instabilità, dai valori d’accatto, dalle filosofie spicciole che sono stati spacciati loro come tristi sostituti della bellezza, del senso del mistero, dell’esaltazione, dell’avventura, dell’eroismo e della gioia, cose senza le quali l’anima stessa dell’uomo inaridisce e muore dentro di lui.” (Vita di J.R.R. Tolkien di Daniel Grotta, p. 183, Rusconi)
Bibliografia
J.R.R. Tolkien - Il Signore degli Anelli - Bompiani
J.R.R. Tolkien - Il Silmarillion - Bompiani
J.R.R. Tolkien - Lo Hobbit o la Riconquista del Tesoro – Adelphi La Nuova Italia
J.R.R. Tolkien - Il Medioevo e il Fantastico - Bompiani
J.R.R. Tolkien - La Realtà in Trasparenza, Lettere - Bompiani
Anonimo - Beowulf (a cura di Ludovica Koch) - Einaudi
Snorri Sturluson - Edda (a cura di Giorgio Dolfini) - Adelphi
Andrea Monda, Saverio Simonelli - Tolkien Il Signore della fantasia - Frassinelli
Elémire Zolla - Uscite dal Mondo - Adelphi
Omero - Odissea - Einaudi
Ovidio - Le Metamorfosi - Bur
Giacomo Leopardi - Opere, Tomo I, a cura di Sergio Solmi - Riccardo Ricciardi Editore
G. Ciavorella - Mito, Poesia e Storia, Antologia dell’epica antica - Il Capitello
Dante Alighieri - Divina Commedia (con pagine critiche a cura di Umberto Bosco e Giovanni Reggio) - Le Monnier
Paolo di Sacco, Mauro Serìo - Il Mondo Latino - Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori
Salvatore Guglielmino, Hermann Grosser - Il Sistema Letterario - Principato
Dario del Corno - La Letteratura Greca - Principato
Grame Thomson, Silvia Maglioni - Literary Links – Cideb Black Cat
Grazia D’Aiello - Questione di Archetipi - www.eldalie.com
Serena Contadin - Chi è J.R.R. Tolkien? - www.eldalie.com
Umberto Bucalossi - Allegoria ed applicabilità: il '900 visto da Tolkien - www.eldalie.com
www.filosofico.net (Hannah Arendt)
Enciclopedia della Musica Garzanti
Peter Jackson - Il Signore degli Anelli - Special Extended DVD Edition - New Line Cinema
Le immagini ispirate a luoghi e personaggi della Terra di Mezzo sono di John Howe
Fonte: http://web.tiscali.it/tobiasammet/Tesina.doc
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