I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
Vive nel castello di Roccachiusa, un ragazzo di nome Parsifal. La madre lo tiene ritirato affinché non conosca nulla del mondo esterno e della cavalleria, perché per l’ideale della cavalleria suo marito e un suo fratello avevano perduto la vita nella prima crociata. Parsifal trascorre le sue giornate in splendidi saloni che non hanno finestre verso l’esterno, ma solo verso i giardini meravigliosi del castello. Ha tutti i giocattoli che vuole, ed è servito da una schiera di paggi pronti sempre ai suoi ordini.
Un giorno giungono al castello 3 cavalieri, e vengono ospitati dalla madre, che parla con loro, dopo avere ben chiusa la porta perché Parsifal non senta. Ma il ragazzo, che è rimasto affascinato dalle loro armature, e dal loro aspetto fiero, ascolta inosservato il racconto delle loro avventure e delle loro imprese a difesa della fede, dei deboli e delle donne. E sente narrare la morte gloriosa del padre, avvenuta nella lotta affrontata per liberare delle donne e dei fanciulli che erano tenuti schiavi da un tiranno. I cavalieri parlano anche di un Re famoso, Artù, circondato da cavalieri valorosi, che seggono con lui ad una tavola rotonda, maestri di eroismo e di cavalleria. Uno dei cavalieri, che sembrava il capo, dice che al cavaliere sono necessarie conoscenza e sapienza: conoscere il mondo per aiutarlo; attraverso la sapienza avere il gusto e l’intuizione delle virtù necessarie al cavaliere. Parsifal per la prima volta viene a sapere che fuori del castello esiste un mondo pieno di bene e di male e sogna una vita diversa, eroica e libera. Cerca perciò un varco e fugge dal castello, per acquistare conoscenza e sapienza.
Una volta fuori dal castello, Parsifal si trova in un bosco verde e misterioso. Avanza senza sapere dove vada, incontra animali e piante che non aveva mai viste, tra i rovi si insanguina le mani e le gambe, verso sera ha fame. Vede una strana costruzione con una porta, che cerca di aprire per ripararsi dal freddo, e qual è la sua meraviglia al vedere che quella piccola capanna era abitata da una povera famigliola, seduta a mensa: un giovane della sua età, un ragazzo e una bambina che avevano innanzi una scodella di polenta e aspettavano pazientemente che si servissero anche i genitori per cominciare a mangiare. Parsifal finora aveva pensato che tutti gli uomini avessero un castello. Dopo avere guardato smarrito, sussurra:”Ho fame”. I genitori della famigliola si guardano in faccia, la mamma mette un’altra scodella sulla tavola, poi ognuno, senza parlare, come se fosse una cosa che avevano fatto altre volte, mette un cucchiaio della propria polenta nel piatto di Parsifal, che in quel momento scopriva la povertà e la virtù della generosità.
Dopo aver mangiato, Parsifal ringrazia e fa per uscire. I ragazzi del boscaiolo, che lo avevano guardato meravigliati per i suoi abiti bellissimi, avevano subito fatto amicizia, sentendo che, al di là della diversità dei vestiti, tutti gli uomini hanno lo stesso cuore, e non vogliono che egli vada via. Intervengono anche i genitori, dicendo a Parsifal che è pericolosa la notte nella foresta. Parsifal si convince e viene ospitato nella notte su un povero giaciglio di paglia, ben diverso dal morbido letto del castello, e all’alba viene svegliato presto, perché la famiglia di boscaioli deve recarsi al lavoro.
Parsifal, vorrebbe in qualche maniera sdebitarsi, ma non ha portato nulla con sé. Avendo notato come il giovane figlio dei boscaioli guardava ammirato i suoi splendidi vestiti, pensa di fargli cosa grata dicendogli: “Mi potresti fare un altro favore?” Il giovane lo guarda con un sorriso e gli dice: “Se posso, sì”. E Parsifal: “Potremmo scambiarci gli abiti? Tu mi dai i tuoi, che sono più adatti a camminare nel bosco, e tra le rocce, e io ti do i miei?” Il giovane boscaiolo, non capisce che Parsifal faceva questa richiesta per fargli piacere e accetta contento. Parsifal lo ringrazia, mentre sperimenta che c’è più gioia nel dare che nel ricevere. Poi il boscaiolo, consegna a Parsifal un arco e delle frecce, perché possa procurarsi il cibo con la caccia e gli augura un buon viaggio: “ Ma dove vai, figliolo, solo nel bosco?”
“Cerco la corte di Re Artù”.
“ La corte di Re Artù”, riprende il pastore, “ ho sentito dire che è nel regno di Camelot. Non so esattamente dove si trovi, ma ho sentito dire che si trova verso il nord”. Parsifal gli chiede: “E dove è il nord?” Il boscaiolo sorride e gli dice: basta voltare le spalle al sole quando è mezzogiorno, o notare il lato degli alberi dove la corteccia ha più muschio: quello è il nord”.
Parsifal, si inoltra allora per un sentiero del bosco in direzione del nord. A un tratto sbuca davanti un cervo bianco dalle corna ramose, Parsifal vorrebbe ucciderlo con una freccia, ma ne ha pietà. Tuttavia si mette a rincorrerlo nel bosco, come in un gioco di bambini, cercando di raggiungerlo e di superarlo. A un tratto il cervo scompare, mentre si sente un urlo disperato e richieste di aiuto. Parsifal si dirige verso il luogo da cui proviene quel grido e qual è la sua meraviglia al vedere un bambino dalla faccia nera, caduto in un fosso da cui non sapeva uscire, che guardava con occhi sbarrati dal terrore, un lupo che lo fissava ululando con la bocca spalancata. Parsifal prende l’arco e con una freccia uccide il lupo minaccioso, poi si protende verso il fossato ad afferrare le manine tremanti del bambino nero, che lo guarda commosso e lo bacia. Poi il bambino nero prende Parsifal per mano gli dice: Mi hai salvato la vita, Vieni, ti faccio conoscere i miei genitori. Parsifal gli chiede con dolcezza: “Come mai sei nero?” E il bambino: “Oh bella! E tu come mai sei bianco? I miei genitori sono neri e son venuti da lontano. Ma sono buoni, sai? Tanto buoni”. I genitori neri del bambino nero ascoltano trepidanti il racconto del figlio e ringraziano di cuore Parsifal, lo invitano a condividere con loro il pasto modesto, allietato dall’amore. Parsifal acquista conoscenza che nel mondo esistono bianchi e neri, ma sotto pelle diversa tutti hanno lo stesso cuore. E lui, abituato ad essere servito e a ricevere tutto dagli altri, sente nel cuore una gioia e una fierezza mai provata per essere intervenuto in difesa di una persona debole e in pericolo.
Parsifal dopo il pranzetto, si rimette in marcia, perché vorrebbe prima di sera raggiungere il castello di Re Artù, ma non sa che esso è ancora molto lontano.
Dopo un’ora di cammino, ecco riapparire il bianco cervo davanti a lui. Parsifal lo insegue attratto da un fascino misterioso fino ad una radura, dove il bosco finiva in una distesa di erba alta nella quale il cervo scompare. Il cielo è nuvoloso e non ci sono più alberi, e Parsifal non sa più come trovare la direzione del nord. Si guarda intorno esitante. A qualche chilometro di distanza si vedono delle montagne coperte di neve, ma nessun castello. Mentre sta perplesso a pensare, gli sembra di udire dei lamenti e dei sospiri: fa qualche passo guardandosi bene attorno e vede, davanti a delle tende, una diecina di uomini, alcuni con la faccia sformata dalle piaghe, altri mutilati, chi con un braccio, chi con una gamba sola, che dicevano l’un l’altro: “Non ce la faremo mai a portare il nostro messaggio a Re Artù. Non abbiamo più forze e il Camelot è lontano. La maledizione del vasteland non finirà mai”.
Parsifal allora si presenta e chiede come mai siano così sfigurati i loro corpi. Un uomo, che sembrava il capo e si sosteneva a stento appoggiandosi ad una gruccia di legno e teneva per mano un bambino dolcissimo, che portava appeso al collo un rotolo di carta pergamena, sospirando gli rispose: “Possibile che tu non sappia nulla del Vasteland? La maledizione che si è abbattuta sulla nostra terra di Avalon, da quando il nostro Re Pescatore, ha usato la lancia sacra di Longino per ferire il suo nemico Klingsor, la lancia che, dopo aver trafitto il cuore di Gesù, nessuno doveva usare per il male? Dopo questo peccato, si sono seccate le sorgenti nella nostra terra, il sole non appare più e viviamo in una fitta nebbia. Ma, quello che è peggio, i cuori si sono raffreddati, e da noi si è spento l’amore: e guerre continue nascono tra famiglie e famiglie, tra vicini e vicini. Le nostre piaghe sono dovute alle malattie e alle guerre che ci dilaniano”.
Parsifal domanda: “Ma non c’è nessuna speranza che le cose possano cambiare? Che il Vasteland possa finire?”
Il capo della triste comitiva gli risponde: “Ci sarebbe una speranza. Ed è il GRAAL. Un misterioso rimedio che conosce solo il nostro Re Pescatore, ma che solo un cavaliere valoroso e purissimo potrà conquistare. Egli per questo ci ha mandati alla corte del Re Artù, ma il suo castello è oltre quelle montagne e noi, malati e mutilati, non potremo mai raggiungerlo”.
Parsifal dice allora: “Anch’io sono diretto alla corte di Re Artù. Porterò io il vostro messaggio e, se avrò la gloria di conoscere cosa è il Graal e di conquistarlo, vi prometto che ve lo porterò”.
L’uomo zoppo dalla gruccia di legno gli disse: “Abbiamo un messaggio per Re Artù. Ma solo uno purissimo, come questo bambino, lo può portare, un altro si accascerebbe al suolo e le sue forze verrebbero meno. Hai tu il coraggio di toccarlo?”
Parsifal si fece il segno della croce e disse: “Sì”. Lo prese dal collo del bambino e lo attaccò al suo. I malati fecero insieme una preghiera alla Madonna e supplicarono Parsifal di far presto: “E’ il messaggio di Re Pescatore per Re Artù, ed è la nostra unica speranza. Noi abbiamo fiducia in te”.
Parsifal stava per rimettersi in cammino, ma il capo lo trattenne: “Non puoi partire adesso che il sole è tramontato. Il bosco di notte è pieno di pericoli. Fermati questa notte con noi”.
Parsifal fu messo a riposare nella tenda del piccolo, perché era l’unico che non aveva ancora malattie e non poteva contagiarlo. Pregarono insieme. Ma fu difficile per Parsifal prendere sonno, udendo i lamenti degli ammalati delle tende vicine.
Vegliò a lungo pensando che aveva acquistato una nuova conoscenza: che nel mondo esistono sani e malati, buoni e cattivi, e che i malati nel corpo e nell’animo vogliono guarire.
Ha promesso un aiuto e vuole mantenere a tutti i costi la parola data: comprendeva l’importanza di una virtù essenziale per un cavaliere: la fedeltà.
All’alba, prima che Parsifal si rimetta in cammino, il capo dei malati gli dice: “Grazie, nobile cavaliere, tu certo sarai fedele alla tua parola. Ma guardati dal malvagio Klingsor, il cavaliere nero che porta una K sulla sua armatura. Egli farà di tutto per ostacolare la tua missione e impedire la nostra salvezza”.
Parsifal risponde umilmente: “Non sono un cavaliere. Ma lo diventerò. E voglio spendere la mia vita a difendere i deboli e gli oppressi come voi”.
Con l’entusiasmo di compiere una nobile missione, Parsifal si incammina subito verso la montagna, finché giunge a un bivio: un sentiero porta verso i prati verdi ed è largo e pianeggiante, un sentiero invece è tra le rocce, stretto e ripido. Chiede indicazione a un pastore che risponde: “Io non conosco la strada: ma so che molti che cercano il castello di Re Artù prendono il sentiero largo tra i prati, ma poi tornano indietro perché non l’hanno trovato. I pochi che hanno intrapreso il sentiero stretto e ripido non sono più tornati. Non so dire se sono arrivati da Re Artù o se sono stati uccisi dai briganti, dai lupi o dai draghi”. Parsifal prega il Signore che gli indichi la via e lo salvi dai pericoli, poi sceglie con audacia il sentiero stretto e ripido che porta dritto tra le rocce della montagna. Sale con fatica, aggrappandosi agli spuntoni delle rocce, voltando le spalle al sole.
Ma ecco a un tratto sbucare da dietro un masso un cavaliere con una armatura nera su cui spicca la lettera K: è Klingsor il malvagio. Afferra Parsifal, che si dibatte con forza e riesce ad atterrare Klingsor. Ma altri quattro cavalieri, dalle corazze nere, gli si fanno addosso e lo immobilizzano. Klingsor stende la mano per prendere il rotolo che Parsifal portava appeso al collo, ma, appena lo tocca, cade a terra senza forze; gli altri tentano la stessa cosa con lo stesso risultato, per l’impurità del loro cuore. Parsifal porge loro la mano con generosità e cortesia per risollevarli, ringrazia Dio e poi si rimette in cammino, instancabile, per ore e ore, finché, superata la vetta, vede un grandioso castello circondato da alte torri e da un fossato pieno di acqua:
E’ la reggia del re Artù. Alla porta due sentinelle gli puntano contro l’arco con la freccia, gridando l’alto là. Parsifal solleva il rotolo gridando che ha un messaggio per il Re. Le guardie lo fanno entrare e lo fanno accompagnare dal Re Artù.
Parsifal entra in una sala grandiosa, dalle pareti dipinte con scene di cavalieri e di crociati; da un lato una strana tomba di cristallo, in cui dorme un uomo dalla lunga veste, dalla lunga barba e con un cappello appuntito; al centro una grande tavola rotonda, attorno a cui siedono il Re Artù, che si distingue per la corona che porta al capo e undici nobili cavalieri, i cavalieri della tavola rotonda, i più valorosi di tutto il mondo. Di fronte al seggio di Artù c’è un seggio vuoto.
Re Artù fa cenno a Parsifal di avanzare, Parsifal si fa avanti e stanco si abbandona a sedere sul seggio vuoto.
A quel punto tutti i cavalieri urlano “No!!!” e balzano in piedi atterriti. Parsifal si è seduto sullo scranno periglioso, su cui nessuno, eccetto il cavaliere purissimo, senza macchia e senza paura, predestinato alla conquista del Graal poteva sedersi. Tutti gli altri, sedendosi, sarebbero stati annientati scomparendo nel nulla. Parsifal non capisce il terrore e lo stupore dei cavalieri della tavola rotonda e non ha la forza di alzarsi. Allora i cavalieri si guardano in viso gridando con gioia: “Finalmente sei arrivato. Da secoli si attendeva la tua venuta!”
In quel momento dalla tomba di cristallo viene fuori l’uomo, con in capo un cappuccio a punta e con la barba lunga bianchissima. E’ Merlino, a cui per la prima volta era stato affidato il graal e che aveva ottenuto di non morire definitivamente per potersi risvegliare quando sarebbe venuto il cavaliere degno di succedergli nella custodia del Santo Graal. Merlino lo abbraccia con affetto paterno e poi gli dice: Tu diventerai cavaliere. Alla mia scuola approfondirai conoscenza, imparerai l’arte del cavalcare e delle armi; e, se vuoi, potrai sedere alla scuola della sapienza, con l’ornamento della cortesia. Nel tuo cammino Dio ha notato in te le virtù del perfetto cavaliere del Graal: G come gentilezza, R come rrettitudine, A come audacia, A come altruismo, L come lealtà. Vuoi mantenerti puro e fedele ed entrare nella Cavalleria?”
Parsifal scattò in piedi e disse: “Lo voglio, con l’aiuto di Dio e l’intercessione di Maria”.
“E così sarà”, disse il Re Artù, ponendogli la destra sulla spalla.
Parsifal porse il rotolo del messaggio ad Artù che lo lesse ad alta voce: “Sono il Re pescatore. Ho peccato, usando per ferire la lancia che era stata santificata dal sangue di Gesù. Ora la nostra terra è senza sole e senza acqua, e il nostro popolo vive senza amore e senza pace. Solo il Graal può salvarci. E solo tu e i tuoi cavalieri potete andarne alla ricerca. Se troverai uno degno, mandalo a noi, per pietà. Gli dirò i pochi indizi che conosco per ricercare il Graal, ma solo Dio e il suo cuore glielo faranno conquistare. Fate presto, perché noi moriamo di malattie, di fame e di guerra”.
Re Artù, letto il messaggio, guarda Parsifal: “Toccherà a te”, gli dice, “Una settimana per addestrarti a cavalcare e ad armeggiare, sabato prossimo in un torneo potrai mostrare il tuo valore, e, se ne sarai degno, sarai consacrato Cavaliere”.
L’allenamento di Parsifal è duro ed esigente: ogni giorno si deve alzare alle 5 del mattino; dopo una lunga preghiera e una frugale colazione, deve correre per un’ora a piedi. Poi imparare a indossare in fretta la pesante armatura e marciare per una buona mezz’ora con quel peso addosso a cui non era abituato. Dopo pranzo un po’ di riposo. E poi l’allenamento a cavalcare e ad armeggiare sul cavallo.
Alla sera , dopo una cena frugale, la preghiera nel coro della cappella della reggia, e poi, al lume delle candele e delle lampade ad olio, la formazione:
Un sacerdote, Pierre l’Ermite (così chiamato perché trascorreva la maggior parte dell’anno da solo, in preghiera, come eremita, nel bosco), gli insegna
ad essere fedele, al di sopra di tutti, al Re dei Re che è Dio: e poi anche a Re Artù, ma solo se i suoi ordini non saranno contrari ai comandamenti e agli insegnamenti di Dio;
e a seguire gli ideali degni di un vero cavaliere: la difesa della religione e della patria; la difesa dei deboli, delle donne, dei bambini, degli oppressi;
evitando ogni bassezza, non andando dietro ai piaceri e agli interessi;
a rispettare le tregue sacre nel periodo di quaresima e di pasqua;
a impegnarsi per ogni cosa bella e buona;a mantenere la parola, leali sempre, anche col nemico.
Madama Laurine gli insegna
la cortesia: il saluto e i giusti segni di rispetto e di amore verso tutti, specialmente gli anziani e le donne;
la generosità nel donare e nel prestare,
la moderazione nel parlare;
un atteggiamento sempre dignitoso, evitando ogni modo rozzo e volgare;
Merlino personalmente gli insegna le arti della cavalleria:
come cavalcare,
come destreggiarsi nella battaglia;
come riuscire nelle imprese, senza farsi prendere in trappola dai nemici.
E’ sabato. Il castello si imbandiera e si veste a festa. Squillano le trombe dalle torri: i più nobili cavalieri del regno di Bretagna sono pronti a fare sfoggio della loro bravura e del loro coraggio nella giostra di Primavera.
La festa inizia con un giro di campo, in cui ognuno fa sfoggio liberamente delle belle armature e delle sue capacità di destrezza. Parsifal, pur indossando degli abiti e delle armature modeste, ottiene degli applausi, ma è Arcibaldo il cavaliere che mostra più destrezza ed eleganza. Lealmente e senza invidia, gli altri cavalieri e Parsifal lo applaudono e gli stringono la mano.
Poi è la volta della giostra del saracino: I cavalieri in corsa debbono colpire con la lancia lo scudo di un pesante fantoccio, che rappresenta il saraceno; ma il fantoccio, ruotando, fa vibrare una sferza con palline di metallo e, se il cavaliere non si scansa a tempo, può essere colpito con forza e anche disarcionato, uscendo così di gara. Quasi tutti i cavalieri superano brillantemente la prova. Qualcuno viene colpito di striscio da una frustata che lo fa sanguinare. Ma nessuno emette un lamento, mostrando così la propria forza di animo e la propria audacia.
Viene poi il momento della gara più importante: la sfida a disarcionare il rivale, facendolo cadere giù da cavallo. Vengono sorteggiate le coppie: Ultimo rimane Parsifal, senza avversario, quand’ecco giungere di corsa un misterioso cavaliere in groppa a un cavallo nero, ricoperto da un manto rosso attorno all’armatura e col viso nascosto dalla celata dell’elmo. Sarà l’avversario di Parsifal.
I cavalieri si sfidano in un clima di lealtà e di festa, fra gli applausi del pubblico ai vincitori e ai vinti, che hanno gareggiato con lealtà e destrezza.
Alla fine viene il turno di Parsifal e del cavaliere rosso.
Dopo un giro dell’arena, i due cavalieri si pongono ai due capi del campo, e iniziano la corsa, l’uno nella direzione dell’altro, prima a distanza di 6 metri, poi sempre più vicino, a lunghezza di asta, in modo da poter disarcionare il cavaliere rivale. A un primo scontro la lancia di Parsifal scrolla il cavaliere rosso, che sta per perdere l’equilibrio, ma riesce a riassettarsi in sella. Più furioso il secondo scontro. Parsifal corre afferrandosi saldamente al collo del cavallo e tenendo con una mano la lancia sporgente. La lancia del cavaliere rosso sembra distante per cui Parsifal non para il colpo, ma si trattava di un trucco sleale: il cavaliere rosso la teneva ritirata indietro, per allungarla all’improvviso, all’appressarsi di Parsifal che non si aspettava il colpo. Parsifal barcolla, ma l’asta del cavaliere rosso si spezza ed è proprio lui, che, per il contraccolpo cade a terra, il mantello rosso si scompone e appare l’armatura nera con una K: era Klingsor il malvagio. Parsifal scende per risollevarlo, ma Klingsor lo assale con il pugnale. Pasrsifal si ripara con la sinistra e viene ferito all’avambraccio. Tra i fischi e le urla della folla, Klingsor, svergognato, abbandona di corsa il campo, mentre Parsifal viene curato da Merlino e viene acclamato come valoroso e degno di essere consacrato cavaliere.
Alla vigilia dell'investitura Parsifal trascorre una notte in veglia d’arme nella chiesa del castello: assistito dai cavalieri e dai saggi della corte, riflette sugli ideali della cavalleria e sugli obblighi a cui si assoggetta.
Poi si confessa, per purificare il suo cuore, e inizia un tempo prolungato di preghiera.
L’indomani tutta la corte è in festa. La gente è accorsa nel cortile imbandierato del castello, e applaude all’ingresso del Re Artù e dei suoi cavalieri, ma è soprattutto all’ingresso di Parsifal che l’entusiasmo si scatena. Poi suona la tromba e tutti fanno silenzio.
Il Re dice: "In considerazione della tua prodezza sei stato candidato all’ordine della Sacra Tavola Rotonda. Hai ben compreso lo scopo del nostro ordine, e cosa viene richiesto dai suoi cavalieri?" “Sì”, risponde Parsifal.
Il Re continua:
"Le leggi della cavalleria e l’attesa del popolo esigono che il cavaliere
sia modello e guida per il popolo, e tu hai dimostrato di averne stoffa;
che il che il cavaliere sia gentile e cortese, come hai dimostrato anche nella Giostra e come tutti possono testimoniare;
e che sia fedele e pronto ad affrontare ogni ostacolo e ogni pericolo per il bene della religione, della patria e per la difesa dei deboli.
Se accetti il carico della cavalleria, giura fedeltà ai suoi impegni per tutta la vita"
Parsifal, ponendo le mani giunte tra le mani del re, dice:
"Io Parsifal giuro di essere un cavaliere leale e generoso, scudo dei deboli, fedele al mio signore, cortese in ogni momento, campione della giustizia e della bontà"
Il Re allora gli ordina di inginocchiarsi e accollando la spada prima sulla spalla destra e poi sulla sinistra, dice: “In considerazione del giuramento fatto e ricevuto" (spalla destra) "In considerazione della tua nobiltà di animo e del tuo impegno" (spalla sinistra) ti nomino Cavaliere della Tavola Rotonda." (stretta di mano).
Uno dei cavalieri della tavola rotonda gli si accosta e gli dice: "Alzati Sir Parsifal. E’ nostro piacere darti il benvenuto nel nostro ordine, e aggiungere la tua voce al nostro coro, in modo che tutti insieme possiamo aiutarci a raggiungere l'eccellenza."
Un altro cavaliere porta al candidato le insegne dell'ordine e dice: "Indossa queste insegne e portale con onore: e ricorda che la virtù dell'umiltà è l'unica che mantiene unito il nostro ordine, e che ciascuno di noi può distruggerlo con una singola azione o una turpe parola".
Era usanza della cavalleria, a questo punto, porre una domanda al neocavaliere, lasciando a suo piacimento il momento della risposta, ma non oltre sei mesi di tempo. A Parsifal il Re Artù pone la domanda: Cosa è il graal?
I fratelli ora danno con un abbraccio il benvenuto al nuovo membro e la cerimonia termina fra i canti e le danze dei castellani e della gente del borgo.
Nei giorni seguenti, Parsifal chiede a Merlino delle indicazioni per capire cosa sia il Graal e come possa trovarlo, Merlino risponde: “Ma sei tu, Parsifal, quello che dovrai rivelare questo mistero e ritrovare il Graal.
Io l’ho avuto in dono dodici secoli fa da Giuseppe di Arimatea, quello che aveva assistito alla crocifissione e aveva curato la sepoltura di Gesù, e gli ho giurato di mantenere il segreto e di trasmetterlo insieme al Graal, prima di morire, a un mio successore, che avrebbe fatto lo stesso alla sua morte.
Poi io mi sono addormentato nella mia tomba di cristallo, e il graal col suo segreto è passato di mano in mano ai miei discendenti, finché un giorno, se n’è perduta ogni traccia.
L’ultimo mio discendente ora vivente è il Re Pescatore, solo lui potrebbe saperne qualcosa. Egli abita nel regno di Avalon, ma non potrai raggiungerlo senza avere superato la prova del ponte periglioso. Molti prodi cavalieri han provato ad attraversarlo e vi hanno perduto la vita.
Guardati anche dalla fata Morgana, che cercherà di distoglierti dall’impegno, dal sacrificio e dalla fatica, allettandoti con la promessa di comodità e di piaceri.
Per nulla intimorito e scoraggiato, con gli auguri di Re Artù e degli altri cavalieri della tavola rotonda e con la benedizione di Pierre l’Ermite, Parsifal si mette in viaggio su un bianco cavallo, verso il regno di Re Pescatore: deciso a tutto, per conoscere il mistero del graal e per mantenere la promessa fatta agli ammalati di riportare il graal e far cessare il Vasteland. nel regno di Avalon.
Con baldanza e cantando nel suo cuore, Parsifal si dirige ad est, verso la terra di Avalon, dove si trova il Re Pescatore. Conosceva la strada fino alla radura in cui aveva incontrato i malati e i mutilati di Avalon. Vi si diresse, non ritrovò l’accampamento né alcuno degli ammalati. Ma ecco apparire il cervo bianco, che altre volte gli era sembrato messaggero della provvidenza. Lo segue con la sua cavalcatura, finché il cervo si sofferma davanti a un promontorio sul mare da cui si vedeva un’isola grande avvolta dalla nebbia, collegata con il promontorio attraverso un ponte stretto e affilato come una spada. Era il ponte periglioso di cui parlavano i racconti dei cavalieri antichi. Sotto il ponte un abisso sul mare nero e vorticoso, e degli enormi draghi volanti, con le fauci aperte. Mentre Parsifal guarda pensando al modo di fare la traversata, ecco uno scalpitio di cavalli che si avvicina sempre più. E’ Klingsor con i suoi quattro cavalieri dalle corazze nere, che non ha cessato di spiare e di seguire Parsifal, per tentare di conquistare lui il misterioso Graal. Klingsor scende da cavallo e dice a Parsifal che, da buon cavaliere, non ostacolerà la sua impresa, ma anzi vorrà ancora una volta gareggiare con lui nell’affrontarla. Parsifal lega ad un albero la sua cavalcatura e dopo avere pregato, si incammina con destrezza e coraggio sul ponte di spada, guardando sempre avanti. Non può voltarsi indietro per vedere cosa fa il malvagio Klingsor, che, dopo avere tentato qualche passo sul ponte, si ritira indietro impaurito, libera il cavallo di Parsifal e scompare nel bosco.
Intanto Parsifal giunge all’altro capo del ponte, dove ad ostacolarlo sono due terribili leoni, che gli girano attorno cercando di divorarlo. Si difende con lo scudo, li affronta con la spada, ma non può ucciderli. Soltanto quando solleva la spada afferrandola per la lama e la presenta come una croce rigata dal suo sangue, le due belve scompaiono nel nulla e Parsifal può inoltrarsi nella terra desolata dal Vasteland. Una malinconia enorme lo opprime quando cammina in una terra senza sole, e vede bambini, donne, uomini trascinarsi a stento o giacere per terra malati o mutilati, smagriti dalla fame; o quando vede liti furibonde e ode grida di guerra e lamenti di feriti.... Finalmente, dopo avere vagato a caso, intravede nella foschia un castello verde tutto sgretolato. E’ la dimora del Re Pescatore.
Parsifal può entrare senza che nessuno si opponga, le guardie sonnecchiano sdraiate per terra anch’esse di un pallore mortale. Incontra poi una donna pallida, con delle piaghe nel volto, di una indicibile dolcezza, che sembra scrutarlo, come a volere riconoscere un volto sconosciuto, poi gli domanda che cosa venga a cercare in mezzo a quello squallore. E lo invita, maternamente, ad allontanarsi presto da quel luogo maledetto, in cui rischia di essere contagiato dalla lebbra. Parsifal non la ascolta, ma chiede la grazia di poter incontrare il Re Pescatore. La donna gli risponde che non ha il coraggio di svegliare il Re Pescatore, che è molto ammalato, e da poco si è assopito: “Domani potrai incontrarlo. Adesso cena e poi riposerai in qualcuno di questi divani”. La donna gli porta del cibo povero, ma Parsifal nota nelle sue mani un tremito che gli sembra di affetto e di commozione, a stento trattenuta. La donna si allontana in fretta e lo lascia solo e pensoso. Quand’ecco tutta la sala scompare ai suoi occhi, gli sembra di udire un canto dolce avvicinarsi sempre più, poi una luce dirada la nebbia, e nella luce distingue due candelabri con le candele accese, portati da due ragazzi vestiti di bianco, che avanzano accanto a un giovane che porta una lancia dalla punta insanguinata. Dietro una donna giovane e dolcissima porta accanto al petto una coppa d’oro, tempestata di diamanti e pietre preziose, che manda raggi di mille colori. E dietro un corteo di cavalieri vestiti di bianco che cantano un canto dolce e solenne. Parsifal vorrebbe chiedere a qualcuno di che cosa si tratti, ma ricorda gli insegnamenti della cortesia cavalleresca, non vuole essere curioso e indiscreto e tace. Il corteo sembra attraversare misteriosamente le pareti del castello, che alla fine si richiudono e tutto ripiomba nella semioscurità come era prima. Parsifal mangia il boccone, che gli sembra saporito come quello preparato dalla sua mamma, pensando alla quale si addormenta.
L’indomani Parsifal viene svegliato con dolcezza dalla donna pallida e piagata, poi viene introdotto nella sala del Re. Che differenza nei confronti della splendida reggia di Re Artù: qui tutto è povero, le pareti sono bianche e incrostate di muffa, al posto del trono, un povero letto su cui è disteso il Re Pescatore che respira con un certo affanno. Parsifal gli narra innanzitutto la visione della sera precedente. Appena ha finito, i presenti gli dicono accorati: “Perché non hai domandato? Dovevi chiederlo e fermarli: forse era il Santo Graal. Era la nostra unica salvezza”. Parsifal si rammarica, e dice che proprio per la ricerca del Graal era venuto. Racconta al Re Pescatore della sua promessa agli ammalati e mutilati di Avalon, della sua investitura a cavaliere della Tavola Rotonda, e chiede di essere aiutato per rispondere alla domanda che gli è stata posta dal Re Artù: cosa sia il Graal. Re Pescatore gli risponde che lui non può rivelare a nessuno questo segreto, ma che avrebbe saputo la risposta solo quando lo avesse trovato.
Parsifal allora dice che lui vuole conquistarlo e chiede delle indicazioni. Re Pescatore gli risponde “Non so dove sia andato a finire il Graal, da quando ho peccato, usando contro il mio nemico Klingsor la lancia che aveva ferito Gesù ed era stata santificata dal suo sangue. L’unico aiuto che ti posso dare è questa mappa e la guida di una colomba viaggiatrice che deve conoscere il percorso”. Si fa portare da un paggio una cassetta, ne tira fuori un mappa ingiallita dal tempo e la porge a Parsifal, che la apre con ansia, ma non vi vede tracciata nessuna indicazione. Guarda deluso il Re Pescatore, che gli dice: “Non ti ingannare: questa è la mappa, ma le sue linee andranno apparendo man mano che tu avrai sconfitto un mostro nel Bosco amaro, a cui la colomba ti guiderà. Vai e che Dio ti benedica, e tu possa riportarci la salvezza e la pace”.
Parsifal ringrazia e promette, riavvolge la mappa misteriosa, e tende la mano per afferrare la colomba, che uno scudiero gli porgeva, ma questa, volteggiando dolcemente, lo precede alla porta e nel cammino fino al ponte periglioso. Parsifal, guardando la colomba, lo attraversa senza difficoltà, ma quando giunge all’altra sponda, qual è il suo doloroso stupore quando non ritrova più il suo destriero bianco. Si inginocchia allora a pregare. Riaprendo gli occhi vede accanto a sé il cervo bianco che gli fa come un cenno di montargli in groppa. Parsifal obbedisce, la colomba si leva in volo, il cervo la segue, Parsifal attraversa su di esso magicamente prati, montagne, mari, finche il cervo lo depone ai margini di una selva fitta e misteriosa, e poi scompare. Anche la colomba scompare, e Parsifal si trova incerto e solo. Certo, pensa, è questo il bosco amaro di cui mi parlava il Re Pescatore, dovrò attraversarlo e liberarlo dai mostri, prima di trovare il Graal. Guarda istintivamente la mappa per cercare qualche indicazione, ma la vede bianca e muta come prima. Avanza a caso
Finché si sente stanco e spossato, la vista gli si appanna, come se avesse delle vertigini, poi in mezzo a una nebbia gli sembra di vedere una figura bella e luminosa, una donna col capo coronato di rose che lo invita a sé con un sorriso, indicandogli un prato smaltato di fiori colorati e un castello dai mille colori. Parsifal, come incantato la segue nel castello. Una volta entrato viene accolto da servi in livrea in una grande sala, ammobiliata con splendidi specchi e morbidi divani, con tanti giocattoli meravigliosi, oh! sì, rassomiglia perfettamente alla sala del castello dove aveva trascorso la sua fanciullezza felice ed ignara del mondo. La donna bellissima coronata di rose, ora prende l’aspetto della madre e con voce suadente lo invita a riposarsi, a non affaticarsi inutilmente rischiando anche la vita per gli altri. Per un attimo Parsifal sta per cedere e si sdraia sul divano più morbido per riposare. E’ stanco e si addormenta. Ma che sogni quella notte! Bambini assaliti dai lupi che chiedono aiuto; gli ammalati e i mutilati della terra di Avalon che puntano il dito su di lui, piangendo e gridando: “Così ci tradisci e ci deludi?”; e poi il Re Artù davanti a cui pronunzia il suo giuramento di battersi per la difesa dei deboli e degli oppressi; e poi Mago Merlino che lo mette in guardia dalle insidie della fata Morgana; e poi la bella signora dai capelli coronati di rose, che si avvicina sorridente ma si trasforma a un tratto nel nero e malvagio Kilgson, che gli si lancia contro sghignazzando e deridendolo: “Il cavaliere!... il cavaliere si è macchiato, il cavaliere si è macchiato!”, e il nero dell’armatura di Kilgson che scivola giù come l’inchiostro a macchiare la sua corazza bianca; e il bambino con la pergamena al collo che lo scuote e gli grida: “Non ti macchiare! non ti macchiare!”. A questo punto Parsifal si sveglia gridando, si alza dal morbido divano e cerca, come aveva fatto nel suo antico castello, un varco, e fugge per riprendere la sua impresa. Pentito di avere ceduto per un poco alle lusinghe della fata Morgana. E si avvia deciso verso il bosco periglioso, il bosco amaro, popolato di mostri, che deve sconfiggere, per liberare coloro che ne sono diventati preda.
Facendosi strada a stento tra gli arbusti e tra i rovi pungenti, ancora bagnati dalla rugiada della notte, Parsifal arriva a una radura, dove vede una capanna di paglia. Si avvicina e vede con meraviglia, inginocchiato a pregare, Pierre l’Ermite. Pierre accoglie Parsifal con un sorriso, e gli dice: “Ti aspettavo. Ora inizia la tua missione più difficile: liberare dai mostri il bosco amaro”.
Parsifal coraggiosamente gli risponde che è disposto a tutto, pur di aiutare degli infelici. Ma l’abbé Pierre gli dice: “Tu però dovrai prima liberare dai mostri il tuo cuore. Anche tu hai peccato. E non sei abbastanza puro per ritrovare il Graal. Per un momento, ammaliato da Morgana, hai lasciato che la pigrizia e l’indifferenza pigliasse possesso del tuo cuore. E poi hai un antico peccato su cui non hai mai riflettuto: Hai abbandonato senza neppure salutarla, la tua mamma, che ti ha cercato dappertutto, fin nella terra di Avalon, dove è diventata lebbrosa e ha bisogno anche lei di essere salvata”. Parsifal abbassa gli occhi, ora gli sembra di riconosce che la pallida donna che lo aveva servito con commozione nel castello di Re Pescatore era proprio la sua povera mamma. Ma, abbassando gli occhi, si accorge che la sua armatura bianca ha una grande macchia nera... dunque non era solo un sogno... Desolato si prostra a terra sospirando: “Dunque non potrò più conquistare il Graal?”. Pierre l’Ermite gli risponde: “Ti laveranno le acque del Giordano, là dove le lacrime di pietra si mescolano al ruscello di sangue. Ma prima dovrai attraversare il bosco e liberarlo dai mostri che lo popolano. Vai con fiducia, perché Dio è con te”.
Parsifal chiede la benedizione dell’eremita e parte, umiliato dalla sua macchia, ma con la volontà sempre più decisa di affrontare ogni pericolo pur di ritrovare il Graal, che avrebbe guarito anche la sua povera mamma. Vede innanzi a sé la bianca colomba che gli fa strada, e la segue fino a una radura.
In mezzo alla radura vede con meraviglia un grande attrezzo che non aveva mai visto: è una grande scatola parlante, con uno schermo luminoso in cui si vedono tanti personaggi e tanti oggetti. E la sua voce invita tutti i passanti a comprare quegli oggetti, a vestire quei vestiti, ad avere quelle scarpe, a portare agli orecchi misteriosi oggetti con delle cifre e dei numerini, a fare e dire quello che fanno e dicono i suoi personaggi. E, se qualcuno non si adegua, viene da tutti deriso e disprezzato Tutti allora tornano indietro nella foresta, in cui, come per incanto, sono cresciuti case, palazzi e grattacieli e tutti tornano acconciati alla stessa maniera e solo così possono entrare nella luminosa scatola parlante. Parsifal li guarda stupito, e dopo un po’ li vede uscire dalla porta posteriore della macchina parlante, ma trasformati in scimmie. Inorridito, cerca di convincere la folla a non fidarsi della scatola parlante, ma tutti lo prendono in giro, come arretrato, e poi con quegli strani vestiti indosso, cose da medio evo!... Parsifal allora si fa strada tra la folla che si accalca attorno al mostro parlante e con la mazza di ferro la distrugge. Tutte le persone si mettono allora a piangere desolate. Ma poi le scimmie tornano ad essere uomini e donne normali e diversi, riacquistano senno e amore, consolano quelli che piangono e acclamano a Parsifal come liberatore. Alcuni gli chiedono di diventare suoi scudieri e di seguirlo. Parsifal ne accoglie quattro e si allontana di soppiatto dalla folla. Guarda la sua mappa. Vi è apparsa misteriosamente una grande freccia che indica una via. Parsifal segue l’indicazione della freccia e trova un grande sentiero. Vi si incammina con fiducia.
Dopo un’ora di cammino vede in lontananza dei grandi fiori bianchi disseminati in un prato da gente allegra e distratta. Avvicinandosi bene, nota che questi strani fiori sono di una strana materia rigida, non soffici e vellutati, né profumati come i fiori veri. Hanno la forma di bicchieri e di piatti e deturpano la bella natura. Poi vede una fonte di acqua, e assetato come è, si avvicina per bere, ma, mentre porta con le mani l’acqua verso la bocca, ecco apparire la bianca colomba che con una virata improvvisa gliela fa cadere per terra. Parsifal attristato guarda verso terra e vede tanti animali morti, mentre dalla fonte si solleva una nuvola puzzolente ad appestare anche il cielo. Parsifal guarda i suoi quattro scudieri e insieme si mettono a raccogliere quanti più bianchi fiori rigidi possono, liberando l’erba tenera e i fiori veri che si affacciano a ringraziare con i loro colori e con il loro profumo. Alcune persone guardano e li scherniscono, altre li imitano e si mettono anche loro a purificare il bosco, e alcuni chiedono a Parsifal di diventare suoi scudieri. Parsifal ne sceglie quattro che lo seguono e vanno a togliere i veleni che a monte inquinavano l’acqua della sorgente, che torna allegra e pura a cantare, mentre la bianca colomba appare nel cielo diventato limpido come per un miracolo. Parsifal e i suoi otto scudieri sono felici come bambini e ammirano con stupore le bellezze del creato e ringraziano insieme il creatore.
Poi Parsifal guarda la sua mappa; un’altra freccia è apparsa, che indica un sentiero che porta a un’altra radura.
Parsifal e i suoi otto bianchi scudieri, seguono l’indicazione e vedono con sgomento dei ragazzi e degli uomini che si azzuffano furiosamente, e a poco a poco vanno trasformandosi in tori inferociti che si scornano a sangue. Intorno tante persone stanno sedute senza far niente. Parsifal e i suoi otto scudieri vorrebbero fare qualcosa per impedire quella strage, e chiedono aiuto alle persone che stanno attorno, ma si accorgono con meraviglia che sono tutte bendate: Non vedono, non sentono, non parlano. Si affrettano allora a strappare le bende dai loro volti. E li invitano ad intervenire. Tutti si meravigliano, alcuni si voltano indietro, altri stanno a guardare da lontano, pochi si avvicinano in cerchio verso l’arena dove ci si uccide. Parsifal mostra la croce della sua spada, gli otto scudieri cantano: “Pace!”, la gente che si è avvicinata invoca: “Perdono e pace!”. La colomba gira volteggiando sui tori cozzanti che si trasformano in uomini e si abbracciano da fratelli. Parsifal ne è felice. Alcuni gli chiedono di seguirlo come scudieri, egli ne sceglie quattro, che si mettono in marcia con lui, seguendo il volo della colomba, finché questa scompare. Parsifal guarda la sua mappa e vede una freccia che indica un fiume. Mentre abbassa gli occhi per leggere, rivede con dolore la sua armatura bianca macchiata di nero, anche gli scudieri vedono con dolore delle macchie sulle loro tuniche bianche. Pregano a lungo e si incamminano come in pellegrinaggio verso il fiume indicato sulla mappa.
Giunti al fiume Giordano, scendono nell’acqua, desiderosi di lavare le macchie delle loro corazze. Ma, per quanto si affatichino, l’acqua da sola non può renderle bianche. Risalgono piangendo il corso del fiume, fino a un luogo dove delle grosse lacrime, cadono giù dalla roccia. Sentono tre volte il canto di un gallo, alzano gli occhi per guardare e sembra loro di vedere Pietro che piange accoratamente dopo avere rinnegato Gesù. Parsifal e i suoi 12 scudieri, si inginocchiano, battendosi il petto e piangendo i loro peccati. Vedono allora l’acqua del Giordano arrossarsi, perché vi si immetteva un torrente di sangue che nasceva dal vicino monte, su cui stava eretta una croce. La bianca colomba scende roteando attorno al capo di Parsifal. Qual è la sua gioia e la gioia dei dodici scudieri, al vedere che le loro armature, lavate dalle lacrime e dal sangue, finalmente erano ritornate candide e belle!
Ma le loro esclamazioni di gioia vengono interrotte da un forte terremoto che scuote la roccia. Alcuni massi cadono nel fiume ed ecco aprirsi nella parete rocciosa una caverna luminosa da cui proviene una luce chiara e un canto dolcissimo, come quello che gli era sembrato di udire nella visione che aveva avuto nella corte di Re Pescatore. Parsifal, come incantato e commosso, entra nella grotta. Rivede i due ragazzi della visione che, ai lati di una porta chiusa, tengono in mano candele accese, mentre fa la guardia un giovane, che tiene con una mano una lancia dalla punta insanguinata e un libro aperto nell’altra.
Parsifal questa volta si fa coraggio e chiede: “Cosa è il Graal?”. Il canto si ferma e, in un silenzio misterioso, risuona una dolce voce femminile che dice: “E’ il calice che ha raccolto il sangue del mio figlio, nell’ultima cena e mentre pendeva sulla croce. Nel suo corpo e nel suo sangue è la salvezza e la vita del mondo”.
Parsifal si avvicina alla porta e aspetta con ansia che essa si apra. Vedendo che rimane chiusa si rattrista. La giovane guardia gli porge allora il libro che teneva in mano. Parsifal lo sfoglia e legge: “Io sono il pane della vita”... “Questo è il mio sangue versato per voi, per il perdono dei peccati”. E poi, sfogliando ancora: “Bussate e vi sarà aperto“.
Bussa allora con fiducia alla porta, che si apre: una luce vivissima si diffonde nella grotta e tutto intorno, mentre riprende dolcissimo il canto, la donna della visione consegna nelle mani tremanti di Parsifal la sacra coppa. Parsifal esce dalla grotta portando con devoto rispetto il sacro Graal. Il giovane con la lancia insanguinata gli si pone innanzi, ai suoi fianchi si dispongono i due ragazzi con le candele accese, seguono in corteo i suoi dodici bianchi scudieri. Parsifal li guarda e gli sembra di rivedere i bianchi cavalieri della visione. Avanzano insieme, cantando, verso il bosco ormai liberato dai mostri. Giunti ai primi alberi, odono all’improvviso uno scalpitio di cavalli: sono cinque cavalieri, sulla corazza del primo spicca bianca la lettera Kappa. E’ Klingsor il malvagio, che ha seguito di nascosto i movimenti di Parsifal, per impossessarsi lui del Graal. I cinque si piazzano minacciosi attorno a Parsifal e ai suoi compagni con le lance puntate. Klingsor tende le mani per strappare il graal dalle mani di Parsifal, ma le sue mani impure non possono toccarlo. La faccia di Klingsor e le sue mani diventano bianche di lebbra, mentre una luce vivissima acceca i cavalli che fuggono imbizzarriti all’impazzata nel fitto del bosco.
Di Klingsor e dei suoi quattro cavalieri neri non si ebbe più notizia. Alcuni dicono che andarono a precipitare con i loro cavalli imbizzarriti in un profondo burrone, altri che condussero il resto della vita da eremiti, facendo penitenza dei loro peccati.
Intanto Parsifal e il suo corteo, ripresisi dallo sgomento, avanzano solennemente in processione, finché giungono alla radura dove i tori cozzanti si erano trasformati in uomini di pace. Qui trovano ad attenderli quindici bianchi cavalli e il cervo bianco.
Montano in groppa: Parsifal sul cervo bianco e gli altri sui bianchi cavalli e in una magica galoppata attraversano mari e monti, finché si ritrovano nella terra di Avalon.
All’apparire del Santo Graal la nebbia del Vasteland si dirada, gli ammalati riacquistano la salute, le braccia alzate per colpire si fermano e si stringono in un abbraccio di pace.
Dietro il Graal si forma a poco a poco un corteo festante che grida: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”. Avanzano fino alla corte del Re Pescatore. La nebbia che avvolgeva il castello si dirada, Parsifal entra fino alla sala del Re Pescatore, che, alla vista del Graal, si alza dal suo letto di dolore, e si prostra a chiedere il perdono e la pace e a ringraziare per la guarigione.
Anche le pallide guance della mamma di Parsifal si tingono di un rosa sano, e il suo sguardo malinconico si apre alla gioia di riabbracciare il figlio, redento, e portatore della redenzione.
Parsifal è radioso. Guarda commosso la mamma e le chiede perdono del dispiacere e delle pene che le aveva arrecato. E la mamma a lui: “Io ti ho subito perdonato, ma anche tu devi perdonare me, che egoisticamente ti trattenevo dal percorrere la tua via e dal seguire i tuoi ideali”.
Poi tutta la città si raccoglie nella cattedrale, per ringraziare il Signore.
E lì avviene un altro prodigio: Il Vescovo della città impone le mani sul capo di Parsifal e in quel momento il calice si riempie del Sangue di Gesù, e sulla mensa appaiono le bianche ostie dell’ultima cena.
Ora tutti si accostano a ricevere Gesù, il vero GRAAL, segno e portatore della gentilezza, della rettitudine, dell’audacia, dell’amore e della leale fedeltà di Dio alle sue promesse.
Poi Parsifal, con i suoi bianchi scudieri, si recò alla corte di Re Artù. Erano passati degli anni. Re Artù era morto e Merlino era tornato nella sua tomba di cristallo, i cavalieri della tavola rotonda erano partiti per il mondo in cerca di avventure e di gloria.
Dopo la prima tavola rotonda, quella dell’ultima cena di Gesù con i suoi apostoli; dopo la seconda tavola rotonda, quella di re Artù e dei suoi cavalieri, che lasciavano vuoto il posto di Giuda, lo scranno periglioso, destinato al cavaliere purissimo del Santo Graal: ora si formava la terza Tavola rotonda, quella dei cavalieri del Santo Graal, che da Camelot avrebbero portato nel mondo, con il pane di vita e il calice di salvezza, la luce e l’amore. Amen.
Fonte: http://anteprima.qumran2.net/aree_testi/bambini/estate/grest_graal.zip/grest_graal.doc
Sito web da visitare: http://anteprima.qumran2.net/
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.
I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve