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Hobbes, Rousseau, Locke: l’origine contrattualistica dello Stato
Scegliamo questi tre autori per esporre antologicamente la teoria politica del contrattualismo moderno, che ha in realtà origini precedenti a Hobbes, in ambiente calvinista e particolarmente in Germania con il giurista Altusio (1557-1638). La moderna e borghese concezione dello Stato come di un corpo politico fondato su di un contratto fra popolo e re, da cui deve dipendere l’autorità del sovrano, garantisce al suddito l’esercizio dei suoi diritti naturali di ‘uomo’, dai quali il diritto positivo, e cioè statuale, non può discostarsi opprimendoli o cancellandoli.
Il diritto naturale costituisce l’oggetto proprio della teoria giuridica del giusnaturalismo , al quale diedero veste sistematica l’olandese Grozio (1583-1645) e il tedesco Pufendorf (1632-1694). Nello stesso periodo in Francia si distinse la teoria politica di Jean Bodin (1529-1596) volta a sganciare lo Stato dai conflitti fra le diverse confessioni religiose e a dichiararne la sovranità assoluta sulla società civile.
In questo quadro si inserisce il pensiero e l’opera di Hobbes (1588-1679). Il suo intervento in ambito di teoria politica viene seguito da quello propriamente illuminista di Locke (1632-1704), anch’egli filosofo inglese, le cui opere principali furono pubblicate tutte dopo la Rivoluzione inglese del 1688-1689.
La figura di Rousseau (1712-1778) si inserisce invece nella Francia dei philosophes, ma il suo intervento si distaccherà polemicamente dalla concezione ottimistica di progresso sociale sostenuta dalla maggior parte degli illuministi francesi a lui contemporanei.
Sebbene i tre autori citati non siano gli unici a parlare di ‘patto’ o di ‘contratto” come origine dello Stato, li abbiamo scelti in quanto espongono in forma sistematica e complessa questa moderna concezione politica.
Hobbes: come e perché nasce lo Stato
La filosofia politica di Hobbes vuole avere carattere scientifico. La sua concezione filosofica della realtà può essere definita come un meccanicismo di stampo materialistico, che si basa sulla convinzione metodologica secondo la quale la scienza deve avere per oggetto ‘corpi’ generati dall’uomo, i quali possono perciò essere indagati e conosciuti. Il ‘calcolo’ filosofico è il lavoro proprio della ragione che fornendo nomi adeguati alle cose ne conosce la causa e gli effetti reali. Gli oggetti propri della filosofia sono perciò costruzioni umane di cui va riconosciuto e ricostruito il processo genetico. Di Dio, che non è un nostro prodotto, non possiamo conoscere le cause, dunque non ne possiamo dare una corretta definizione.
La politica fa pienamente parte della filosofia. Lo Stato, il ‘corpo politico’ è appieno una nostra costruzione, dunque possiamo indagarlo e definirlo scientificamente. E’ possibile perciò, per quanto riguarda l’indagine sociale, antropologica e politica l’applicazione del metodo costruttivistico proposto da Hobbes.
Lo Stato non è, come voleva Aristotele, un ente naturale, ma decisamente artificiale (come una macchina), costruito volutamente dagli uomini sulla base di una convenzione da essi liberamente stipulata, per ragioni che riguardano innanzitutto la necessità di autoconservarsi e mantenersi in vita.
Anche la politica, come le altre scienze, deve seguire un metodo rigidamente deduttivo e procedere secondo il principio di causa-effetto.
Nel 1651 esce a Londra il Leviatano, l’opera politica maggiore di Hobbes.
L’unità dello Stato e l’obbligo politico di obbedire alle leggi emanate dal sovrano sono i principi fondamentali su cui si costruisce il corpo politico.
L’assolutismo dello Stato hobbesiano si presenta come moderna tendenza all’unificazione e all’accentramento del potere politico di contro a quello feudale in cui convivevano numerosi organismi (corporazioni, ordini, assemblee degli ordini, etc.), che pretendevano di controllare e partecipare a pieno titolo alla sovranità.
Secondo Hobbes invece il potere sovrano e l’obbligo politico di obbedienza devono direttamente scaturire dalla volontà stessa degli individui, dal consenso che viene da loro espresso idealmente in un ‘patto’ che istituisce la forma politica di Stato. Non vi può essere "nessuna obbligazione per un uomo, la quale non derivi da un atto personale poiché tutti gli uomini sono egualmente liberi per natura" (Leviatano, XXI). Sebbene Hobbes sia consapevole che l’origine di uno Stato è determinata da violenza e conquista (Leviatano XX), l’obbligo politico si instaura solo se tra sovrano conquistatore e popolo sopravviene un patto : "non è dunque la vittoria a conferire il diritto di dominio sul vinto, ma il patto da costui concluso." Bisogna postulare dunque un patto, qualunque sia la reale origine di uno Stato. I rapporti tra potere sovrano e popolo devono essere regolati ‘come se’ il primo sia nato dal consenso dei secondi.
Lo Stato hobbesiano si presenta come un’istituzione fondata essenzialmente sul consenso dei sudditi e perciò moderna, in quanto lascia cadere ogni giustificazione divina o naturale della propria origine.
Il potere sovrano affidato consensualmente dai sudditi a un terzo (un individuo o un’assemblea) deve essere assoluto, cioè accentratore e irresistibile a qualsiasi opposizione o intervento esterno, poiché deve mantenere la pace fra gli uomini, i quali per natura sono tendenzialmente egoisti e incapaci di autoconservarsi in una condizione di pace stabile e duratura.
Il mondo naturale degli uomini è disgregato e in preda a costante competizione fra i singoli, i quali nel perseguimento del loro utile vengono in contrasto con quello degli altri, creando uno stato di guerra che impedisce una pacifica convivenza necessaria all’autoconservazione. La filosofia morale, e cioè la capacità umana di distinguere il bene dal male, e la capacità di accordarsi su ciò che è bene, può venire in aiuto di questa condizione fortemente instabile, ma non può risolvere definitivamente la naturale disposizione dell’uomo alla guerra competitiva e all’egoismo. Solo una costruzione artificiale, quale è lo Stato, può regolare i naturali rapporti umani. Se non ci fosse il ‘corpo politico’ l’uomo vivrebbe in uno stato di natura in tutto simile a uno stato di continuata guerra civile, nell’impossibilità di mantenersi in vita, sebbene per natura gli uomini abbiano diritto all’autoconservazione e alla realizzazione del proprio utile, e dunque siano naturalmente liberi e uguali. Queste leggi di natura, definite dalla filosofia morale, possono spingere l’uomo ad uscire da questa condizione naturale di guerra, ma non possono regolare i rapporti umani, poiché mancano di un consenso universalmente espresso e pattuito, solo dal quale può scaturire l’autorità del comando e l’obbligatorietà dell’ubbidienza alle leggi.
L’origine artificiale dello Stato attraverso il ‘patto’ ha ragioni antropologiche, che si fondano essenzialmente sulla modalità di vita dell’uomo in una condizione di naturalità, la quale però ha già caratteristiche civili e politiche, nella misura in cui produce da sé il suo stesso superamento. Lo stato di natura si presenta come una contraddizione irrisolta, nella misura in cui costringe l’uomo a una guerra che gli impedisce materialmente di perseguire lo scopo stesso del suo vivere naturale: il diritto ad autoconservarsi.
La persona dello Stato è rappresentata dal sovrano (ossia dall’esercizio del potere sovrano) che può anche non essere un monarca, ma un’assemblea di tutti nella democrazia e di pochi nell’aristocrazia. La sovranità detiene in modo unitario e indivisibile tutti i diritti e i poteri dello Stato: diritto di fare le leggi e le norme obbligatorie per i singoli individui. Anche il diritto alla proprietà privata per il singolo, che secondo Hobbes nasce con lo Stato non essendo un diritto di natura, non esclude il potere sovrano, in quanto è la fonte primaria del suo mantenimento. La giustizia, la guerra, l’amministrazione, la decisione in campo religioso, etc., sono tutti ambiti in cui deve intervenire l’autorità del sovrano, al fine di evitare un ritorno allo stato di natura, ovvero una ricaduta del ‘corpo politico’ nella dannosa e lacerante guerra civile. Sebbene l’individuo sia libero privatamente di coltivare le sue convinzioni, anche la sua coscienza religiosa, lo Stato decide in materia di fede e in tutto il resto per quel che concerne la vita pubblica.
L’obbligo di obbedire al sovrano è incondizionato e semplice. Semplice perché l’obbedienza al potere è richiesta al momento stesso del patto, prima che la sovranità si dispieghi in leggi, norme particolari, etc. Incondizionato perché il sovrano non partecipa al patto, non è un’istituzione condizionata a sua volta dal patto, non c’è reciprocità di obblighi fra sudditi e sovrano. La sovranità sta solo dalla parte della persona dello Stato, questo è ciò che il patto stabilisce e che i sudditi esprimono volontariamente.
Dunque il patto di unione fra sudditi si determina piuttosto come patto di dominazione o patto a favore del sovrano. D’altra parte, l’obbligo unilaterale a cui i sudditi sottostanno, è autorizzato dalla loro espressa volontà. Il potere assoluto del sovrano non è perciò ‘arbitrario’, nella misura in cui è il risultato di un atto politico (il patto) universalmente consaputo e liberamente voluto.
Locke: lo Stato ‘antiassolutista’ o ‘liberale’, ovvero la comunità politica
Nel Secondo Trattato sul Governo (1690), non diversamente da Hobbes, Locke traccia la sua teoria contrattualistica del potere politico e dello Stato. Ciò che separa Locke dall’assolutismo hobbesiano è l’introduzione esplicita e argomentata, nella ricostruzione della formazione moderna dello Stato, della categoria di individuo libero e uguale sia nello stato di natura che in quello di diritto. Il rapporto Stato/individuo viene modificato da Locke in senso ‘liberale’: la sovranità non appartiene unilateralmente alla persona dello Stato, ma innanzitutto a quella del suddito poiché "nulla può far diventare suddito un uomo se non l’associazione fatta in forma di un impegno positivo e di una esplicita promessa o contratto" (Secondo Trattato, §122). Al di fuori di questo meccanismo, cioè al di fuori del potere politico pattuito liberamente dai singoli individui, vi è uno stato di natura in cui essi vivono in rapporti di perfetta eguaglianza. Il rapporto politico di sudditanza o di sovranità a cui sottostanno, interviene proprio in virtù della naturale libertà con la quale i singoli decidono di unirsi a Stato. Lo stato di natura fonda così quella stessa libertà che deve permanere nello stato di diritto.
Lo stato di diritto interviene a riordinare ciò che illegittimamente è stato sovvertito, la legge di natura violata con la forza e con la guerra necessita di un’ulteriore ricomposizione, quella pienamente politica. La conflittualità naturale in realtà si presenta già regolata da norme giuridiche che distinguono l’aggressore dall’aggredito e spingono il conflitto a ricomporsi pacificamente a un livello giuridico più elevato. Il problema presentato consapevolmente da Locke è "quello di non far coincidere col "vuoto" storico che, di fatto, il concetto di stato di natura produce, un "vuoto" anche di ordine, bensì proprio un ordine "originario" che esclude, ad ogni livello dei meccanismi costitutivi del potere politico, la presenza di una volontà non sottoposta alla norma."
Anche il sovrano perciò, così come il popolo, è sottoposto a precise norme che regolano la sua stessa istituzione e che permettono al popolo di resistergli qualora tentasse arbitrariamente di violarle. La guerra civile si presenta perciò come conflitto di potere e non come un disordinato e agiuridico stato naturale. L’uso della forza come reazione violenta ad un sopruso viene pienamente giustificato e preferito a una pace imposta come dall’alto.
Il ‘corpo politico’ lockiano, nel quale si identifica il popolo, vive in costante mediazione con quel Governement, al quale viene affidato il potere sovrano attraverso il patto originario e fondante lo Stato. E proprio il potere del governo deve essere continuamente verificato, anche e soprattutto attraverso la "rivoluzione", la quale deriva da una violazione del patto da parte dei governanti e si presenta come una necessaria restaurazione di un nuovo sistema di dominio.
Governo e popolo sono i soggetti reali dello Stato lockiano, i quali interagiscono a pari titolo e diritto, derivando anzi la possibilità del conflitto e della guerra più dall’arbitrio del primo che dal secondo. La comunità politica risulta quindi dal loro rapporto, anche conflittuale e problematico.
L’abbandono dello stato di natura da parte degli uomini è certamente motivato dalla necessità di evitare il conflitto e la guerra civile. L’istituzione di un giudice comune che dirima le controversie fra i singoli individui costituisce la Society, cioè una collettività in cui l’individuo sia volontariamente annullato a favore di una sola volontà e voce. Questa prende forma politica nel Governement.
La Political Society si legittima perciò nel passaggio da uno stato di natura (e di diritto) in cui vengano violati i diritti fondamentali dell’individuo, a uno stato pienamente politico, in cui i diritti umani di libertà e indipendenza vengano formalmente garantiti da un istituto particolare e dal suo rapporto con il corpo politico in quanto tale. Il rapporto di sottomissione-dipendenza che si instaura fra individuo e potere politico viene mediato innanzitutto dal consenso espresso da ciascuno al momento del patto, ma soprattutto dall’istituto politico della rappresentanza; per cui ogni singola volontà è soggetta solo a se stessa quando si riconosce volontariamente nella totalità del corpo politico. La Community scaturisce così esclusivamente e automaticamente dal patto.
"Soprattutto due sono gli elementi da prendere in considerazione: in che consista l’atto del pattuire per il singolo e come la logica maggioritaria subentri automaticamente."
La costituzione del ‘corpo politico’ tramite patto muove dalla volontà di ciascun individuo, considerato come Free and Intelligent Agent, dunque come individuo per natura razionale e capace di superare la sfera passionale vivendo in uno stato di natura perfetto, regolato già dal diritto (alla libertà, alla proprietà, etc.).
Una volta che il patto fra individui sia concluso e la comunità abbia sostituito il potere e il volere di ciascuno, il ‘corpo politico’ agisce per lui meccanicamente, cioè al suo posto, facendo le veci della sua naturale individualità. Siamo con ciò fuori dello stato di natura e all’interno di quella comunità politica che funziona secondo il meccanismo della rappresentanza e il "consenso della maggioranza".
Il ‘corpo politico’, artificio razionale a cui approda la volontà naturale dell’uomo-individuo, per superare le difficoltà insite in quello stato di natura in cui pure sussistono i diritti fondamentali di libertà e uguaglianza, deve presentarsi come un corpo compatto, un tutt’uno che procede in un’unica e certa direzione.
L’omogeneità della comunità politica le deriva dall’uguaglianza naturale dei singoli, i quali stringono il patto proprio perché la stessa venga difesa e garantita da un giudice comune che dirima i conflitti e le diseguaglianze provenienti da un eventuale stato di guerra. D’altra parte bisogna anche notare che "lo stato di natura contempla […], per Locke, un importante fattore di diversificazione: la proprietà privata che crea fra gli individui diseguaglianza e rapporti di dipendenza sul piano della produzione." (8)
Allora, per concludere, si potrebbe dire che, sebbene lo stato di natura lockiano sia, a differenza di quello di Hobbes, già uno stato di diritto o stato di natura perfetto, anch’esso però è inficiato essenzialmente dalla possibilità della rottura violenta del diritto e della legge naturale. Il pericolo del conflitto fra individualità deriva proprio dalla parità con la quale queste si affrontano, in una condizione però divergente in quanto a proprietà.
La possibilità, in altri termini, della guerra e in particolar modo della guerra civile, sebbene sia inserita in un quadro pre-politico (e in Hobbes pre-giuridico), è la molla reale che innesca il meccanismo contrattualistico e che giustifica, nella teoria lockiana, il passaggio a una condizione di stabilità socio-politica, a un ordinamento sociale e politico fuori dal quale le moderne e ormai borghesi forze produttive, e i nuovi rapporti di proprietà sganciati da vincoli feudali, non riuscirebbero autonomamente e durevolmente a riprodursi.
Rousseau: lo Stato democratico
Le esperienze cui andò incontro nella vita, la sua personalità, le difficoltà sorte al momento della pubblicazione delle sue due maggiori opere - il Contratto sociale e l’Emilio, entrambe del 1762 -, la polemica con gli enciclopedisti a proposito del ‘dispotismo legale’, alcuni caratteri del suo pensiero, fanno di Rousseau un illuminista sui generis, estraneo al trionfalismo proprio dell’ideologia del progresso del ‘partito filosofico’ allora culturalmente imperante in Francia e in Europa.
Già nel suo Discorso sulle scienze e sulle arti (1750) sottolinea la funzione negativa che le scienze e le arti ufficiali esercitavano nella società, rovesciandone i valori originari e promuovendo egoistiche passioni private.
Nel Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza fra gli uomini (1755) analizza l’ineguale sviluppo della società civile: "Il primo che, cintato un terreno, pensò di affermare ‘questo è mio’ e trovò persone abbastanza ingenue da credergli fu il vero fondatore della società civile." La polemica è tutta rivolta contro l’origine della società da un atto indebito di appropriazione privata della terra. La proprietà privata - a differenza di Locke che la considerava un diritto naturale da trasformare in diritto positivo - secondo Rousseau non è un diritto di natura ma frutto di un graduale processo di acculturazione, che subisce un’accelerazione quando vengono inventate le arti metallurgiche e agricole che richiedono la divisione del lavoro. Le leggi nascono dal riconoscimento della proprietà privata, e insieme ad esse nasce il potere del governo. Dunque la società civile e politica sorge da uno snaturamento della condizione umana, poiché con essa si instaura un’innaturale e convenzionale diseguaglianza che tradisce le esigenze primarie della maggioranza degli uomini: "è contro la legge di natura […] che un bambino comandi a un vecchio, che un imbecille guidi un saggio, e che un pugno d’uomini rigurgiti di cose superflue mentre la moltitudine affamata manca del necessario".
Nel Contratto sociale, logica prosecuzione del secondo Discorso, Rousseau esordisce dicendo: "L’uomo è nato libero, e dovunque è in catene."
L’analisi condotta in questo scritto intende valutare attentamente i fondamenti del potere politico togliendo al dispotismo e all’ineguaglianza ogni ragione di legittimità.
La forza non può dar luogo al diritto né l’obbedienza incondizionata può costituire il dovere.
Lo Stato ‘secondo natura’, rispettoso cioè dei diritti naturali dell’uomo, non può fondarsi sull’ineguaglianza tra chi comanda e chi è comandato, non può rendere convenzionalmente valido ciò che è in realtà incompatibile con la natura umana, cioè con il diritto alla libertà. L’ipocrisia della moderna società civile e del moderno Stato politico va smascherata con la critica proveniente proprio dai quei settori sociali che subiscono il rovesciamento di valori, a danno della loro stessa vita.
Il patto sociale dovrà coinvolgere allora il popolo nel suo insieme al fine di trovare una forma associativa che protegga la persona e i beni di ciascun associato in modo però da conservarlo nella sua piena libertà e uguaglianza con tutti gli altri. E’ la formulazione del patto sociale che risolverà questo moderno problema: con esso ciascuno aliena completamente i suoi diritti a tutta la comunità, e non al sovrano o al magistrato piuttosto che al governo. Dunque l’alienazione che il singolo fa dei suoi diritti è totale, ma la controparte è la comunità intera (non un altro singolo o una parte dell’associazione); solo così, pur alienandoli, il singolo può contemporaneamente conservarli.
Come si può notare, la forma del patto proposta da Rousseau rinnova il concetto di sovranità popolare rispetto a Hobbes e Locke. Il potere sovrano non è più un ‘terzo’ rispetto agli associati, non è la controparte del popolo, esso è il popolo stesso, ovvero la comunità che come ente collettivo esprime ed esercita la sua sovranità - la volontà generale - nell’ambito delle assemblee. I governanti sono semplici funzionari (e non rappresentanti) del popolo sovrano, il loro mandato può essere in ogni momento revocato, poiché la decisione sovrana (indivisibile e inalienabile) spetta al popolo riunito in assemblea, cioè alla comunità stessa, che opera attraverso il principio maggioritario.
Questa sovranità popolare ricompone quella diseguaglianza civile che Rousseau aveva prospettato nel suo secondo Discorso. La volontà generale realizza la volontà della comunità e del popolo nel suo insieme, dunque non può che essere ‘una’ volontà, uguale e compatta in se stessa ottenuta tramite quel patto fondamentale che
"invece di distruggere l’uguaglianza naturale, sostituisce, al contrario, un’uguaglianza morale e legittima a quel tanto di disuguaglianza fisica che la natura ha potuto mettere tra gli uomini i quali, potendo per natura trovarsi ad essere disuguali per forza o per ingegno, diventano tutti uguali per convenzione e di diritto" (Rousseau, Contratto sociale, I/9).
Ecco adesso l’incipit del trattato:
"L’uomo è nato libero, e dovunque è in catene. C’è chi si crede padrone di altri, ma è più schiavo di loro. Come è avvenuto questo cambiamento ? Lo ignoro. Che cosa può renderlo legittimo ? Ritengo di poter risolvere questo problema.
Se non considerassi che la forza e l’effetto che ne deriva, direi: "Finché un popolo è costretto ad obbedire ed obbedisce, fa bene; non appena può scuotere il giogo e lo scuote, fa ancor meglio: perché, ricuperando la sua libertà con lo stesso diritto con cui gli è stata tolta, o è giusto che egli la riprenda, o non era nemmeno giusto che altri gliela togliesse". Ma l’ordine sociale è un diritto sacro che serve di base a tutti gli altri. Tuttavia questo diritto non viene dalla natura; è dunque fondato su delle convenzioni. Si tratta di sapere quali siano. Ma prima di arrivare a ciò, devo dimostrare quanto ho ora affermato."
[Rousseau, Il Contratto sociale, I]
Fonte: https://ciamp.files.wordpress.com/2010/10/confronto-hobbes-locke-rousseau1.doc
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