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Ludwig Feuerbach nacque a Landshut, in Baviera, il 28 luglio 1804.
Gli spostamenti del padre, magistrato e giurista, lo portarono successivamente a Monaco, Bamberga ed Ansbach, ove, il 7 settembre 1822, terminò il ginnasio.
Studiò teologia a Heidelberg per un anno, e per un secondo anno a Berlino, finché, sotto l’influenza dell’ insegnamento di Hegel, passò, nell’aprile 1825, alla facoltà filosofica.
Rimase a Berlino sino alla primavera dell’anno successivo,e, dopo aver trascorso qualche mese presso la famiglia, ad Ansbach andò a terminare gli studi a Erlangen; ivi, nel 1828, con la dissertazione De infinitate, unitate atque communitate rationis otteneva il dottorato, la stessa dissertazione, lievemente rimaneggiata, e data alle stampe con un altro titolo De ratione una, universali,infinita, Erlangen 1828,gli faceva conseguire, nel dicembre dello stesso anno, la docenza in filosofia.
Nel 1829 iniziò, sempre ad Erlangen,la sua attività di docente con un corso su Descartes e Spinosa; ma nel 1830 faceva uscire anonimi, a Norimerga, i Pensieri sulla morte e l’immortalità; questa opera che, malgrado l’anonimato, gli fu subito attribuita, doveva troncargli la carriera accademica. Mentre continuava saltuariamente, fino al semestre invernale 1835-‘36, l’insegnamento ad Erlangen, pubblicava la Storia della filosofia moderna da Bacone di Verulamio a Spinoza Ansbach 1833) ed iniziava, nel 1835, la collaborazione agli < Annali di critica scientifica > di Berlino, l’organo ufficiale della scuola hegeliana. Continuava, intanto, le sue ricerche di storia del pensiero moderno con i volumi su Leibniz ( Ansbach 1837 ) e su Bayle ( Ansbach 1838 ). Nel 1837, fallito l’ultimo tentativo di essere nato professore straordinario ad Erlangen, si ritirò a Bruckberg, ove visse per 24 anni di una modesta pensione del governo bavarese e della rendita della moglie, comproprietaria di una fabbrica di porcellana.
Alla fine del 1837 era invitato da A. Ruge a collaborare agli < Annalisti di Halle >; su questa rivista, nel 1838 egli doveva pubblicare due importanti scritti: la prima parte di Intorno a filosofia e cristianesimo, poi pubblicato integralmente in volumetto.
( Mannhein 1839 ) e Per la critica della filosofia hegeliana. Stimolato dal Ruge a partecipare sempre più attivamente alle polemiche filosofiche di quegli anni,componeva, in rapida successione, quelli che sono i suoi scritti più noti: L’Essenza del cristianesimo ( Lipsia 1841), Tesi prelinari per la riforma della filosofia ( 1842, pubblicato nel 1943 negli ( Anecdota), Principi della filosofia dell’avvenire ( Zurigo – Winterthur 1843).
Ma già nel giugno di quell’anno egli declinava l’invito a collaborare agli <Annali franco-tedeschi> che Marx e Ruge si preparavano a far uscire a Parigi, e si ritirava nelle sue ricerche di critica religiosa, ritoccando L’Essenza del Cristianesimo (II ed.1843, III ed.1849) e procedendo alla raccolta delle sue opere (dal 1846).
Gli scritti più importanti di questo periodo sono L’Essenza della fede secondo Lutero (1844) e L’Essenza della religione (1845, pubblicato l’anno dopo).
I moti del 1848-’49 lo strapparono alla sua solitudine;dal giugno all’agosto 1848 fu a Francoforte, ove assistette al congresso democratico.
Era chiamato intanto dagli studenti di Heidelberg a tenere un corso, che egli iniziò in dicembre e pubblicò nel 1851,con il titolo Lezioni sulla essenza della religione; nel marzo del1849 era già di ritorno a Bruckberg.
D’ora in poi, la sua attività è molto limitata; scrisse nel 1850, la presentazione alla Teoria dell’alimentazione di J. Moleschott, e lavorò a raccogliere i materiali per l’ultima sua opera di una certa ampiezza, la Teogomia, che pubblicò nel 1857.
Nel 1860 la fabbrica di porcellana di Bruckberg doveva chiudere i battenti, e Feuerbach si trovò costretto a trasferirsi a Rechenberg, presso Norimberga.
Qui visse in grandi ristrettezze,occupandosi di scienze naturali e componendo i saggi raccolti poi nel X volume delle opere 1866.
Nella primavera del 1867 ebbe un primo attacco di apoplessia,dal quale si riprese agevolmente;non fu così ,però con il secondo attacco nel 1870.
Morì il 13 settembre 1872.
1.1 Feuerbach e la questione dell’immortalità.
La questione dell’immortalità è sempre stato oggetto della riflessione di Feuerbach.
Secondo Feuerbach, la credenza nell’immortalità - come la fede in Dio- è propria dell’umanità.
Credere nell’immortalità significa che gli uomini non fanno terminare l’esistenza di un uomo con la sua morte, cioè, continua a vivere spiritualmente nella memoria di chi è vivo.
Credere nell’immortalità è una vera, pura, autentica necessità della natura umana, tutti i popoli fin dall’antichità hanno manifestato seppur in modi diversi questa credenza.
La credenza nell’immortalità non è un’enunciazione diretta della natura umana, poiché le viene imposta solo attraverso la riflessione e poiché si fonda soltanto su di un fraintendimento della natura umana.
La vera opinione della natura umana la ritrova espressa nel “lutto” e nella profonda venerazione che si nutre per i morti quasi in tutti i popoli.
Il pianto per il morto in realtà si basa sul fatto che egli deruba della felicità il vivente, l’oggetto del suo amore e della sua gioia gli viene strappato. Ma, se l’uomo,fosse stato realmente convinto che “l’uomo continuasse a vivere dopo la morte”perché avrebbe dovuto piangerlo? disperarsi?
Gioia,e non lutto dovrebbe essere l’espressione della natura umana di fronte alla morte.
E come si spiega la venerazione religiosa dei morti ? I morti sono esseri dell’immaginazione e dell’animo, sono esseri per i viventi, ma non più per o in se stessi.
Il ricordo dei morti è sacro, il ricordo è l’unica cosa che li fa esistere. I morti hanno bisogno di essere protetti dalla religione, devono essere santificati,per non essere dimenticati-solo così-ci si assicura la continuità della vita. Per onorare, per mantenere vivo il ricordo del morto,il morto diviene oggetto di venerazione religiosa,attraverso grandi onori si cerca di ricompensare il morto della perdita del bene più grande: la vita.
Ma se l’immortalità avesse il suo fondamento nella natura umana, perché l’uomo innalza monumenti,dimore eterne, celebra feste per ricordarlo?Usanze il cui scopo è solo quello di conservare all’uomo morto, un’esistenza anche dopo la sua morte, cercando di colmare la sua mancanza. La preoccupazione paurosa dei popoli per i loro morti è quindi, soltanto una espressione della sensazione che la loro esistenza dipenda dei viventi.
Ogni popolo ha le sue tradizioni, si pensi ai romani, ai cinesi…tutti gli uomini hanno il bisogno di innalzare “mausolei” per rendere immortali i propri cari.
Ma, allora perché rendere un essere immortale se in effetti lo è?
l’immortalità esiste per la coscienza la morte per il loro essere, coscientemente ritengono il morto vivente -inconsciamente lo ritengono morto. Nei pianti dell’uomo che soffre per i morti si esprime la natura umana, nei sacrifici, nelle preghiere, nei voti per i morti si esprime l’immaginazione umana.
“L’Uomo fa continuare la vita dopo la morte, è una sua esigenza, se non ci fosse un’altra vita eterna, la presente si dissolverebbe”(L’IMMORTALITA’….pag.57)
Ma, se la vita dell’al dì là è migliore, perfetta perché lottare per questa terrena?
La verità è soltanto una secondo F.”ciò che per l’uomo coscientemente è verità, incosciamente, di fatto,è una mera immaginazione,una mera illusione”(op.cit.pag.59).
L’uomo ha bisogno della credenza nell’immortalità, infatti, il fondamento della fede non è l’istinto di “perfezionamento” ma l’istinto di conservazione. L’uomo non può non credere che ciò che fa abbia un fine limitato, non riuscirebbe a vivere, non avrebbe obiettivi,se per esempio costruendo una casa l’uomo non creda che possa durare in eterno, non la costruirebbe, non avrebbe aspirazioni, ambizioni…
L’immortalità è un bisogno dell’immaginazione dell’uomo- non della natura umana.
“Il cristianesimo ha portato l’uomo all’apparenza, il cristianesimo per secoli con le false rappresentazioni hanno portato gli uomini ad una forma ineguagliabile di nichilismo”(op.cit.pag.69)
La religione, allora, che cos’è ?
Divinizzazione attraverso l’immaginazione dell’ignoranza.
Il cristianesimo moderno porta l’uomo a vacillare nell’al dì là. La fede dei moderni per F. è incredula, ipocrisia e strumento di asservimento delle coscienze ad uso del potere politico.
La vera realizzazione dell’al dì là è nella Civiltà, questa elimina i limiti del tempo e dello spazio, porta l’uomo al dì sopra del presente, lo conduce nel passato lontano e lo mette in condizione di vivere “posteriormente e sommariamente nei millenni che restavano oscuri a causa dell’ignoranza”.
“La civiltà cioè porta a realizzare desideri e fantasie di una esistenza diversa e migliore”(pag. 80).
Però anche nella povertà, nelle ristrettezze, originariamente l’uomo credeva nell’al dì là, oggi ci crede anche vivendo nel lusso, ma, in fondo anche attraverso lo sviluppo della civiltà l’uomo conserva i residui della sua inciviltà. Questo sacro residuo tramandato dal genere umano altro non è che “la religione”che altro non è che idolatria del passato - devozione nei confronti delle rappresentazioni e delle costruzioni dell’antichità. La religione ha quindi origine nel modo di sentire e di rappresentare dell’umanità non ancora civile. Il progresso della civiltà a proposito della religione,quindi, e consistito “sull’adattare alla cultura le rappresentazioni e gli uso religiosi, nel renderli meno aspri,nel levigarne la palese rozzezza, cosa offensiva per l’uomo colto, ma nel lasciare sussistere incontestato ciò che ne costituiva il fondamento, la causa e l’essenza. Così il Cristianesimo ha abolito il “sacrificio umano sanguinoso,ma al posto suo ha messo il sacrificio umano psicologico”.i moderni cristiani, hanno una visione un po’ particolare, loro infatti, non attribuiscono a dio tutti i miracoli, cioè tutti i segni divini, quelle prove che offendono la religione, continuano però a credere nella esistenza della religione.
La vera religione è quella presentata dagli antichi, in modo rozzo e grossolano, ma questa ormai non esiste più.
1.2. IL PROBLEMA DELL’IMMORTALITA’ è UN PROBLEMA
ANTROPOLOGICO
Il problema dell’immortalità deve essere affrontato solo da un punto di vista antropologico. L’antropologia,indica per F. lo studio di credenze e teorie condotte sulla base di un metodo generico - critico per il quale la natura autentica di un oggetto è riconoscibile sulla base della determinazione delle condizioni che più di tutte lo hanno costituito.
I cristiani ridicolizzano “i popoli selvaggi o rozzi”quando li vedono portare mangiare e bere ai loro morti,loro non immaginano nessuna vita senza nutrizione dopo la morte,non comprendono che questa è una credenza acritica, rozza ,ma l’unica “vera e naturale credenza nell’immortalità”(pag.83,op.cit.),l’uomo infatti, anche dopo la morte è in tutto e per tutto lo stesso.
Per i cristiani, quindi la vita nell’al dì là è solo spirito, cioè una “esistenza astratta”,solo pensata, rappresentata, una esistenza a cui la morte ha tolto tutto ciò che appartiene all’esistenza.Chi crede all’uomo dopo la morte, deve crederci senza negazioni,se l’uomo dopo la morte non esiste allo stesso modo di quando è in vita(cioè non mangia,non beve…)allora lui esiste con delle negazioni e se si ammette la sua esistenza con delle negazioni, vuol dire che l’uomo “può dubitare che egli esista”.
L’immortalità è una credenza “critica”,con tanti dubbi e incertezze,ed è una questione della religione.
L a questione dell’immortalità deve essere posta dal punto di vista dell’antropologia. Si parla di una immortalità dell’anima e del corpo, quindi non solo morte del corpo come vogliono i cristiani e mortalità dello spirito, ma la resurrezione.Questa è la vera garanzia dell’immortalità:lo stesso uomo e lo stesso corpo.
Il Cristianesimo sostiene che l’anima immortale non è altro che l’immagine dell’uomo che ha vissuto una volta, risorto dalla morte nella fantasia e rappresentato come un essere che vive in modo autonomo.Il Cristianesimo però, non è la fede innata, originaria dell’umanità, è la fede dell’astrazione e della riflessione.
La fede in Dio che rappresenta l’espressione del cristianesimo non è fede primitiva dell’uomo, come sostengono i cristiani. Infatti, si pensi ai bambini,cosa ne sanno dell’idea di dio fino a quando qualcuno (genitore, insegnante..) non gli inculchi l’idea di Dio?
La fede originaria di dell’uomo e la fede nella verità dei sensi,la fede nella natura visibile,udibile e tangibile, che egli rende sempre più simile a sé.
Allo stesso modo per il cristianesimo la sua fede nella immortalità non è ne fede originaria dell’umanità, ma una fede speculativa astratta e negativa,una fede a metà,con apparenze e contraddizioni, nel cielo i morti non si sposano…l’uomo è un essere a cui vengono sottratti tutti i bisogni.
E’ quindi evidente come il cristianesimo è una fede negativa e critica e gli uomini fanno di questa incompletezza una totalità ”gli uomini dopo la morte non esisteranno”perché non berranno, non mangeranno…Questa negazione però, conduce l’uomo a ripensare alla fede originaria dell’umanità,per essa non vi è morte, né immortalità perché a causa dell’ignoranza della mancanza di cultura, crede solo alla verità di questa vita e s’immagina l’uomo dopo la morte come l’uomo prima della morte.
L’immortalità è una dichiarazione di valore:è concessa solo a chi è ritenuto degno dell’immortalità, perciò la fede nell’immortalità inizia ad esistere quando s’identifica con la fede in dio, quando esprime un giudizio religioso: quindi, l’immortalità è soltanto un’espressione delle divinità o del divino.”Provare che l’uomo o l’anima siano immortali significa provare che l’uno o l’altra sono DIO”. (op.cit.pag.95).
Ciò è ben chiaro se osserviamo gli antichi, perché esprimono apertamente la divinità dell’anima o dello spirito - che la saggezza e ipocrisia cristiana negano a parole,anche se riconoscono l’immortalità.
Gli antichi la riservavano all’aristocrazia e la concedevano a grandi uomini.Il Cristianesimo,invece,trasformò questa immortalità in un ben comune plebeo al quale ogni uomo comune e semplice poteva prenderne parte,ma esso ne fece un ulteriore privilegio dell’aristocrazia dei credenti, infatti solo ad essi destinava il cielo è immortalità.
La morte è quindi una cosa sola con Dio, Dio è l’essenza personificata della morte, così come in Dio non vi è corporeità, temporalità, bisogno, inquietudine, manchevolezza…così anche nella morte.
Morire, dunque, significa: raggiungere Dio.
Fonte: http://xoomer.virgilio.it/semidiluce/_private/Feuerbach%20e%20la%20questione%20dell'immortalita'.doc
Sito web da visitare: http://xoomer.virgilio.it/semidiluce/
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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