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KARL POPPER
Nato a Vienna nel 1902, pubblica nel 1935 l’opera fondamentale: Logica della scoperta scientifica. Rifugiatosi in Nuova Zelanda con l’avvento del nazismo, pubblica la miseria dello storicismo (1944) e La società aperta e i suoi nemici (1945). Dopo la guerra si trasferisce a Londra dove muore nel 1994.
POPPER: NP & EINSTEIN - Il rapporto di Popper con il Neopositivismo è molto critico: dapprima lo si ritenne un NP dissidente (anni Cinquanta), poi l’avversario per eccellenza del NP (anni Sessanta), infine oggi si considera il NP come una delle matrici che più influenzarono il pensiero di Popper, ma non l’unica. Benché condivida con il NP l’esigenza della unità della scienza, dell’unicità del metodo scientifico e di un linguaggio osservativo neutrale, Popper è infatti fortemente critico nei confronti del principio fondamentale del NP, cioè il verificazionismo.
A spingerlo verso questa critica è l’esempio di Einstein che ha saputo compiere una rivoluzione scientifica nell’ambito della fisica in virtù del coraggio di formulare previsioni “rischiose” non in vista di facili conferme ma esponendosi a possibili smentite (“falsificazioni”). Da Einstein, Popper trasse la conclusione che la scienza non consiste di verità assolute ma di ipotesi e congetture falsificabili e che le teorie oggi ritenute inattaccabili e assolutamente vere, domani possono rivelarsi false e superate (come accaduto per la fisica newtoniana).
RIABILITAZIONE DELLA FILOSOFIA - Se Popper adotta un concetto di scienza diverso dal NP, occorre precisare che dal NP si differenzia anche per l’idea di filosofia che viene da lui riabilitata. La filosofia è necessaria in quanto “tutti gli uomini sono filosofi, perché in un modo o nell’altro assumono un atteggiamento nei confronti della vita e della morte”. Inoltre la filosofia ha sempre a che fare con la conoscenza della realtà e non con vuote parole e i problemi filosofici sono autentici e “non meri rompicapi originati dall’abuso del linguaggio”.
IL FALSIFICAZIONISMO - Il punto di partenza della epistemologia di Popper è la critica al verificazionismo che è un mito, un’utopia, in quanto per verificare completamente una legge dovremmo aver presenti tutti i casi possibili, mentre ciò non è empiricamente possibile (cfr. la critica di Aristotele all’induzione: l’esame di più casi particolari non è mai sufficiente a formulare una legge universale, la cui fondazione dipende da un atto di intuizione razionale, come nel caso dell’enunciato “tutti gli uomini sono mortali”, la cui verifica empirica è chiaramente impossibile).
Rigettato il verificazionismo, Popper opta per il falsificazionismo: una teoria è scientifica nella misura in cui può venir smentita, in linea di principio, dall’esperienza.
Una teoria è scientifica quando le sue asserzioni base coincidono con possibili esperienze falsificanti. “Domani pioverà o non pioverà” non è empirica poiché non può esser confutata dall’esperienza (è una tautologia o verità logica), mentre l’enunciato “domani pioverà” ha un chiaro contenuto empirico e dunque valore scientifico in quanto potrebbe essere contraddetto dall’esperienza stessa. In sintesi: una teoria che non può esser contraddetta da alcuna osservazione non ha un contenuto empirico e quindi non può dire nulla di scientificamente valido sul mondo.
Mentre il verificazionismo faceva coincidere al scientificità di un enunciato con il suo esser verificabile empiricamente, il falsificazionismo fa consistere la scientificità di enunciati e teorie nel loro essere confrontabili con l’esperienza. E quanti più confronti (falsificazioni potenziali) sono possibili, tanto più alto è il valore scientifico di una teoria.
SCIENZA SU PALAFITTE - Se le asserzioni base sono sempre esposte al rischio di smentita dal confronto empirico, la loro validità dipende da un accordo intersoggettivo tra i ricercatori: sono cioè ritenute valide fino a prova contraria. Mancando di un valore di verità assoluto, tali asserzioni costituiscono la base di una scienza che è come una costruzione su palafitte invece di una casa costruita sulla roccia: edificata sulla palude del dubbio e dell’errore, la palafitta della scienza si presenta dunque come una costruzione precaria, valida fino a quando reggeranno i sostegni, ovvero le asserzioni-base che hanno un duplice compito: (1) permettono di stabilire il carattere empirico delle teorie e (2) se effettivamente accettate costituiscono il punto di partenza del concreto meccanismo di controllo di una teoria.
Il principio di falsificabilità ha una superiorità epistemologica rispetto al verificazionismo: mentre infatti non è possibile verificare empiricamente una teoria scientifica (per mostrare che è vero che “tutti i cigni sono bianchi” dovrei poter esaminare l’universo dei cigni e verificare che effettivamente sono tutti bianchi), è sufficiente un solo caso per smentire (falsificare) una certa teoria (osservare un solo cigno nero basta per falsificare la teoria secondo cui “tutti i cigni sono bianchi”).
TEORIE CORROBORATE - La scienza non è dunque il mondo delle verità certe ma l’universo delle ipotesi che, per il momento, vengono accettate e ritenute valide in quanto non ancora falsificate dall’esperienza. Se una teoria non può dunque essere assolutamente vera, può però essere corroborata, ovvero ricevere delle (parziali) conferme dal confronto con l’esperienza, conferme che valgono come criterio (momentaneo) per la scelta fra diverse teorie scientifiche.
Nessuna smentita può però mai essere considerata definitiva: le falsificazioni sottostanno cioè al falsificazionismo stesso, poiché la storia delle scienza mostra come una certa teoria, ritenuta falsa, abbia potuto poi essere rivalutata e riconsiderata valida in seguito. Le teorie smentite non sono dunque definitivamente poste fuori gioco ma semplicemente accantonate, purché però si disponga di una teoria alternativa migliore.
RECUPERO DELLA METAFISICA - Se il criterio di falsificabilità evidenzia la differenza tra teorie scientifiche e non (se non è possibile la smentita esperienziale, una teoria non è scientifica), tuttavia non posso dire che le teorie metafisiche siano insensate (come invece voleva il NP), anzi per Popper è la metafisica ad aver offerto importanti stimoli alla ricerca scientifica grazie ad alcune idee generali (leggi universali, ordine e finalità dell’universo, …) che hanno aperto la strada all’indagine cosmologica fin dall’antichità. Inoltre, benché non empiricamente verificabili, le teorie metafisiche sono pur sempre razionalmente criticabili e non semplicemente riducibili a pure espressioni di sentimenti ed emotività (cioè: di teologia, morale e metafisica si può razionalmente discutere, benché non si possa operare alcune confronto empirico in cerca di conferme o smentite).
CRITICA DI MARXISMO E PSICANALISI - Se Popper accetta la metafisica, dall’altra parte rifiuta invece le teorie che pretendono di essere scientifiche pur essendo costruite in vista di facili conferme e sottraendosi al confronto onesto e rischioso con l’esperienza, vale a dire il marxismo e la psicanalisi che hanno il limite di voler apparire “onnicomprensive” e “onniesplicative” senza però aprirsi a un reale processo di potenziale falsificazione empirica.
IL METODO – Se non esiste un metodo per formulare una teoria (che è frutto più di una audace intuizione creativa), occorre però un metodo per giustificare e controllare le teorie stesse. Questo metodo per Popper è quello del “trial and error”, cioè per tentativi ed errori, laddove il controllo su una teoria scientifica non può che consistere nel formulare una ipotesi e sottoporla al vaglio critico dell’esperienza. Si tratta dunque di un metodo per congetture e confutazioni, dove l’errore assume una notevole importanza epistemologica e pedagogica poiché fa parte di un sapere scientifico precario, provvisorio, chiamato ad auto-correggersi proprio dal progressivo confronto “falsificante” con l’esperienza. La scienza non è dunque episteme (verità certa e assoluta) ma doxa, ovvero insieme di congetture falsificabili e fallibili (fallibilismo).
L’INDUZIONE – Fin dall’antichità il metodo di giustificazione della scienza era stato l’induzione: una legge universale veniva cioè giustificata in virtù dell’osservazione di molti casi particolari. Popper mostra l’impotenza dell’induzione nel famoso esempio del tacchino induttivista che, convinto che sia assolutamente vero il “ricevere da mangiare ogni mattina alle nove” poiché questa esperienza si è ripetuta un certo numero di casi, nel giorno in cui ritiene questa pratica ormai legge universale e assolutamente vera ecco che la gabbia viene aperta per tirargli il collo poiché è la vigilia di Natale e finirà per essere il piatto principale della festa…
Non esiste un numero sufficiente di casi concreti per giustificare il valore universale di una legge (per quanti cigni bianchi io abbia visto, non posso affermare “è assolutamente vero che tutti i cigni sono bianchi”).
Popper afferma dunque che la scienza non parte dai fatti, dalle osservazioni empiriche, bensì dalle teorie. Quando infatti ci rapportiamo al monto intorno a noi, la nostra mente non si presenta come un recipiente vuoto pronto ad accogliere i fatti nudi e crudi, bensì come un faro che illumina la realtà nell’ottica di una certa ipotesi interpretativa (cfr. Nietzsche e il prospettivismo: non ci sono fatti, bensì interpretazioni). Si parte cioè sempre da una congettura generale (teoria) da cui si deduce una ipotesi particolare che verrà sottoposta al vaglio del confronto esperienziale.
In tale modo Popper univa l’orientamento logico-deduttivistico del razionalismo (dalla teoria deduco l’ipotesi…) all’insegnamento di fondo dell’empirismo moderno (… l’ipotesi va confrontata empiricamente con i fatti).
Emerge dunque il netto rifiuto dell’osservazionismo (lo scienziato osserva neutralmente i fatti oggettivi) in favore del riconoscimento che ogni teoria parte da una ipotesi interpretativa della realtà, quasi come se la nostra mente osservasse il mondo con gli schemi a priori kantiani (spazio, tempo e categorie). Con la differenza che mentre tali schemi per Kant sono assolutamente veri e necessari, per Popper gli schemi mentali assunti dalla mente-faro sono pure ipotesi sempre falsificabili e rigettabili in vista di migliori.
LA VERITA’ – La scienza non ha dunque a che fare con al verità ma con semplici congetture: è un sapere precario e incerto. All’uomo non compete mai il possesso della verità, bensì il compito di tendere incessantemente alla verità. Quanto più una teoria si avvicina alla verità (risulta cioè “vero-simile”), tanto più essa è preferibile.
Come scegliere tra teorie diverse? Anzitutto privilegiando quelle scientifiche (cioè falsificabili) rispetto a quelle non scientifiche. Poi optando per T1 rispetto a T2 solo nel caso in cui (a) il contenuto di verità, ma non il contenuto di falsità, di T1 supera quello di T2 e (b) il contenuto di falsità di T2, ma non il contenuto di verità, supera quello di T1. Si tratta cioè di analizzare razionalmente le ipotesi in gioco, preferendo la teoria che – potremmo sintetizzare – è “più confermata e meno smentita” (al momento) dall’esperienza.
REALISMO – Contro l’essenzialismo (la scienza descrive la natura “essenziale” della realtà) e lo strumentalismo (la scienza è un utile e infallibile strumento di previsione; cfr Comte: “scienza, donde previsione, donde azione”) Popper oppone il realismo: una teoria scientifica, abbandonata ogni pretesa di sapere assolutamente vero, può però affermare di avere a che fare con il reale, poiché la verità per Popper è la corrispondenza tra enunciati e fatti.
Certo, il realismo (il fatto che un enunciato scientifico sia vero perché corrisponde a un fatto oggettivo e reale) è una pura ipotesi, ma costituisce pur sempre la miglior congettura (finora) possibile per Popper.
Al “Mondo 1” delle cose si affianca dunque il “Mondo 2” delle esperienze soggettive (pensieri, sentimenti) e il “Mondo 3” delle teorie scientifiche: quest’ultimo lascia emergere il “platonismo” dell’ultimo Popper poiché le teorie scientifiche sono ritenute oggettive e reali (poiché non dipendono dagli stati d’animo soggettivi dell’individuo tipici del Mondo 2), quasi come verità iperuraniche. Stante questo, Popper non disconobbe mai il carattere storico delle stesse teorie scientifiche, la cui evoluzione dipende dalla storicità propria del mondo umano.
NUVOLE E OROLOGI – Esaminando il difficile rapporto tra mente e corpo, Popper afferma che queste due realtà, pur costituendo due “mondi” distinti, sono in un rapporto di azione reciproca (l’azione volontaria ne è un esempio). Se si pensa ai sistemi fisici altamente irregolari e disordinati, indeterminati, come a “nuvole”, mentre i sistemi fisici regolari, ordinati e determinati (quelli tipici della fisica newtoniana) sono “orologi”, ecco che – dice Popper – per comprendere l’interazione mente-corpo dobbiamo pensare a un sistema intermedio tra nuvole e orologi: l’uomo vive cioè formulando casualmente e creativamente ipotesi che poi vengono ordinatamente e criticamente vagliate, unendo così spontaneità e razionalità a fondamento della propria libertà.
LE DOTTRINE POLITICHE – Le argomentazioni di Popper in ambito politico sono volte alla difesa delle ragioni della libertà e del pluralismo (coerentemente con l’epistemologia: se non si possiede al verità assoluta, la migliore garanzia di progresso verso la verità è la libertà della ricerca: cfr. J.S. Mill, “Sulla libertà”).
Anzitutto Popper critica lo storicismo (La miseria dello storicismo, 1944) ovvero quelle teorie che pretendono di cogliere un senso globale e oggettivo nella storia (Marx, Hegel, Comte) mentre per Popper non esiste un senso della storia precostituito rispetto alle decisioni e interpretazioni umane (cfr. Nietzsche: non esistono fatti, bensì interpretazioni). Individuando un senso assoluto della storia, lo storicismo ha preteso di predire il “futuro inevitabile” dell’umanità, partorendo un’utopia totalitaria carica di fanatismo, violenza, intolleranza (Hegel, Marz, Lenin).
Alla società chiusa tipica dello storicismo – organizzata cioè su rigidi modelli di comportamento e sul controllo soffocante della collettività sull’individuo – Popper oppone la società aperta (La società aperta e i suoi nemici, 1945): una società fondata sulla salvaguardia della libertà dei suoi membri mediante istituzioni democratiche auto correggibili (vs Platone ed Hegel).
La democrazia si identifica dunque con la possibilità da parte dei governati di controllare i governanti in modo non violento (ad esempio tramite elezioni). Nella società aperta non trova posto l’atteggiamento rivoluzionario ma un riformismo graduale che (1) non promette utopici paradisi terreni, (2) non pone fini assoluti, (3) domina progressivamente i mutamenti sociali, (4) correggendo i propri mezzi e i propri fini alla luce delle circostanze concretamente emergenti, (5) mantenendo sempre il maggior grado di libertà possibile. Con questo Popper non è un conservatore ma un sostenitore delle riforme e del progresso della società, purché si conservino però il metodo della democrazia e il valore della libertà.
Fonte: https://diegomanetti.files.wordpress.com/2014/12/karl-popper-vita-e-pensiero.doc
Sito web da visitare: https://diegomanetti.files.wordpress.com
Autore del testo: indicato nel documento di origine
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