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1 CONTINENTI FISICI E CONTINENTI UMANI
Le terre emerse si concentrano in 4 grandi insiemi, composte da una o più masse continentali e da moltissime isole di dimensioni assai variabili. Solo una porzione del pianeta è tuttavia abitato (10-15% delle terre emerse).
Storicamente i geografi hanno sempre distinto l’Europa dall’Asia, individuando così 5 continenti, più l’Antartide.
Europa e Asia.
L’Eurasia è formata da: la massa compatta della Siberia e dell’Asia centrale, scarsamente popolata, perlopiù pianeggiante o leggermente ondulata, in gran parte occupata da taiga, deserti e steppe; un numero consistente di grandi e piccole penisole, spesso legate alla massa continentale da imponenti sistemi montuosi; un numero ancora maggiore di arcipelaghi e isole di dimensioni e origini diverse.
Africa.
L’Africa, circondata dal Mediterraneo, dall’Atlantico e dall’Oceano Indiano, è il continente più massiccio con coste poco mosse e una morfologia abbastanza uniforme. Gran parte del suo territorio é costituita da altopiani e tavolati.
Tra gli ambienti naturali prevalgono i deserti e la savane nella fasce tropicali, e la foresta pluviale nella zona equatoriale. Le aree più popolate sono le coste settentrionali, le valli dei grandi fiumi come il Nilo e il Niger e gli altopiani orientali. Quasi un terzo del territorio è pressoché spopolato.
America.
L’America è formata da due grandi masse continentali, Settentrionale e Meridionale, unite da un istmo che in corrispondenza del canale di Panama ha una larghezza di soli 80 Km. La popolazione si concentra nelle regioni costiere.
Interamente colonizzata dalle potenze europee a partire dal 1500, il continente americano è culturalmente figlio della Spagna, del Portogallo, della Gran Bretagna e della Francia. Tuttavia, le diverse forme assunte dal colonialismo britannico (a nord) rispetto a quello iberico (al centro e al sud), hanno segnato una profonda differenza nella storia successiva delle due regioni americane.
Del continente americano fa parte anche la Groenlandia, nella regione artica, che è la più vasta isola del pianeta.
Oceania.
L’Oceania è formata dalla massa continentale dell’Australia, delle grandi isole della Nuova Guinea e della Nuova Zelanda e infine da centinaia di arcipelaghi minori sparsi nella fascia tropicale dell’Oceano Pacifico. La regione più popolata è quella che si estende lungo la costa sud-orientale australiana.
Antartide.
L’Antartide, intorno al Polo Sud del pianeta, è interamente ricoperta da una crosta di ghiacci perenni, spessa centinaia di metri. Esplorato solo nel corso del novecento, non ospita insediamenti umani permanenti.
2 LE GRANDI AREE GEOPOLITICHE
Se allarghiamo le griglie dell’analisi geografica alla storia, all’economia e alla cultura, possiamo ridisegnare una mappa del pianeta abitato che differisce inevitabilmente e sensibilmente da quella dei continenti fisici.
La sovrapposizione di questi diversi filtri fa emergere, infatti, alcune grandi regioni, le cosiddette regioni geopolitiche, i cui confini differiscono da quelli propriamente geografici. Dal punto di vista della geografia economica questo significa spesso rintracciare elementi comuni nel livello di vita, nella cultura, nell’uso del territorio, nelle prospettive.
Quelle che seguono sono le regioni geopolitiche individuate su scala mondiale, ma gli stessi parametri si potrebbero applicare all’interno delle stesse aree, o anche a scala propriamente regionale.
Una prima grande regione è rappresentata dall’Europa, i cui paesi sono legati da 2000 anni di storia, dal grado di sviluppo economico, dal livello di vita, da forme culturali paragonabili. L’Europa si può dividere in tre grandi blocchi: occidentale, “di mezzo” e orientale.
Questa suddivisione si deve fondamentalmente all’accelerazione prodotta a ovest dalla rivoluzione industriale nel XVIII e nel XIX secolo e all’avvento prima, e alla caduta poi, del comunismo sovietico, inteso soprattutto come modello di economia pianificata.
2.2 Il Nord America.
L’America settentrionale, detta anche anglosassone, rappresenta una regione molto omogenea, sia dal punto di vista economico, sia da quello storico e culturale. Formato da soli due grandi paesi, Canada e USA, dopo la seconda guerra mondiale è divenuta l’area egemone del pianeta sul piano politico-militare ed economico.
2.3 L’America Latina.
Il resto del continente americano viene chiamato America Latina. Non si tratta di una definizione economica ma piuttosto culturale. Infatti alluda alla colonizzazione spagnola e portoghese che ha occupato questa zona per più di tre secoli. Lingua, religione, costumi accomunano quasi tutti i paesi della regione.
L’occupazione iberica prima e la pesante egemonia politico-economica degli Stati Uniti poi, hanno determinato una forte subalternità della regione compromettendone lo sviluppo economico: per secoli i paesi latino-americani sono stati quasi esclusivamente esportatori di materia prime e hanno accumulato un notevole ritardo nello sviluppo di settori economici più moderni e redditizi.
La regione del Pacifico occidentale è forse la più composita, da tutti i punti di vista. Comprende L’Estremo Oriente Asiatico, l’Asia Sud-Orientale fino alla Birmania, L’Australia, la Nuova Zelanda e, marginalmente, gli arcipelaghi del Pacifico.
Rappresenta un insieme emergente di dimensioni umane, geografiche e economiche capace di reggere il confronto con l’Unione Europea e con gli USA. Un insieme che sta allacciando rapporti sempre più intensi con la sponda orientale del Pacifico, quella americana, in particolare con le regioni di Vancouver (Canada) e degli USA. Si ritiene questa come una delle aree di maggiori prospettive economiche in corsa per la leadership mondiale.
A dispetto delle centinaia di etnie che ospita e della profonda divisione prodotta dal dualismo religioso (paesi induisti/buddisti da una parte e paesi islamici dall’altra) il subcontinente indiano appare come una regione culturalmente omogenea. E’ il cuore dell’Asia Meridionale e dà il suo nome all’Oceano che la circonda; è da ritenersi una delle aree di civiltà più antiche del mondo.
Dal punto di vista geografico si tratta di una regione difficile da definire, distesa com’è dalla Mauritania, nell’Africa Atlantica, al Kazakistan, nel cuore dell’Asia. In questo caso l’elemento unificante è la religione, o meglio la cultura che ne è scaturita e che ha fortemente permeato la storia dei suoi popoli. Altri elementi che in qualche modo identificano questa regione sono la presenza del deserto, che ne occupa buona parte della superficie, e il controllo delle più ricche riserve petrolifere che la rendono vitale per l’economia di tutto il mondo industrializzato.
Uscita solo nella metà del XX secolo dal dominio coloniale europeo (le ultime colonie hanno ottenuto la loro indipendenza alle soglie degli anni novanta), l’Africa Subsahariana continua ad essere solo un fornitore di materie prime per i paesi industrializzati.
E’ l’unica grande regione geopolitica che nell’ultimo mezzo secolo non ha visto migliorare il livello di vita dei suoi abitanti. E’ anche la regione meno integrata nell’economia mondiale.
La nascita delle macroregioni geopolitiche risale all’inizio del 1500 e si delinea con le interrelazioni sviluppatesi nei secoli successivi.
L’espansione europea ha abbracciato tutto il pianeta nel periodo compreso tra il 1500 e il 1900 ed ha radicalmente e irreversibilmente segnato la storia di tutti i popoli del mondo.
Nell’Europa del quattrocento, la sedimentazione delle lente trasformazioni subite dal feudalesimo medievale aveva prodotto un grande dinamismo culturale (artistico e scientificamente) e, soprattutto nelle città interessate dai traffici marittimi, crescono le attività legate al commercio mercantile.
In questo contesto, vengono scoperte l’America da Cristoforo Colombo e l’India da Vasco de Gama e il mondo viene colonizzato dai navigatori europei. Le maggiori potenze europee raggiungevano le ultime terre sconosciute colonizzandole e appropriandosi di ingenti risorse che utilizzavano per finanziare nuove conquiste e nuovi commerci.
Le tecniche di navigazione e le armi da fuoco misero gli europei in una posizione di vantaggio su tutti gli altri. Le risorse economiche provenienti dalle nuove colonie consentirono il rapido sviluppo di nuove tecnologie. L’Europa “produceva” rivoluzioni continue, non solo nella scienza e nella tecnica, ma anche nell’arte e nella filosofia.
Insomma, si preparavano le basi per quello strapotere tecnologico e sociale che due secolo più tardi avrebbe dato origine alla rivoluzione industriale.
L’espansione europea e la colonizzazione di vastissimi territori riordinarono il pianeta secondo il proprio modello culturale e secondo i propri interessi economici. Le società extra-europee furono integrate con la forza nel sistema commerciale (e poi industriale) europeo. Buona parte del mondo divenne fornitore di materie prime e consumatore dei manufatti delle industrie di Londra o di Parigi. Furono tracciati confini mai esistiti prima secondo la logica delle spartizioni tra i Paesi colonizzati e padroni delle vie di comunicazione marittime. I Paesi colonizzati videro stravolti i loro sistemi sociali tradizionali e la popolazione venne decimata dalle malattie portate dagli invasori e dalle quali non avevano sviluppato nessuna difesa. A tutto questo si sommò la deportazione di schiavi dall’Africa all’America e la migrazione di europei verso i nuovi Paesi scoperti. Tali fenomeni portarono alla nascita di nuovi popoli, di nuove etnie e alla scomparsa di altri. Le popolazioni colonizzate assunsero come proprie la lingua, la religione, i costumi dei paesi europei. Lo sviluppo futuro del mondo contemporaneo risentì grandemente del fenomeno colonialista.
In alcuni Paesi quali l’America settentrionale, l’Australia e la Nuova Zelanda i colonizzatori europei annientarono o emarginarono le popolazioni indigene che oggi rappresentano solo piccole minoranze demografiche, politiche e culturali. Queste nuove Europe d’oltreoceano sono state per la maggior parte colonie inglesi e conservano tuttora una matrice culturale britannica. Economicamente, fanno parte dei Paesi industrializzato; gli abitanti hanno tenori di vita alti, paragonabili o addirittura superiori a quelli medi europei. Gli Stati Uniti, in particolare, sono diventati il leader delle potenze mondiali assumendo un ruolo neocoloniale, anche a livello politico e militare, esportando tecnologia, merci, eserciti ed il loro modello culturale in tutto il mondo.
Anche l’America centrale e quella meridionale possono essere considerate nuove Europe, perché anche qui la dominazione coloniale spagnola e portoghese ha trapiantato cultura, popolazione, organizzazione sociale tipicamente europee. Tuttavia, in Messico, in Cile, a Cuba o in Brasile, la forte presenza di popolazioni indigene o quella di milioni di neri deportati dall’Africa ha prodotto una fusione etnica e culturale .
Un’altra regione parzialmente europeizzata è l’Africa meridionale dove vivono comunità di origine europea (olandesi, inglesi, tedeschi).
3.2 le aree non europeizzate
Poche aree sono rimaste ai margini dell’espansione coloniale europea, vale a dire: il mondo islamico (dal Marocco all’Afghanista), la Cina, il Giappone, la Turchia, buona parte dell’Africa subsahariana, la Corea,la Thailandia, l’Etiopia e alcuni arcipelaghi del Pacifico.
L’Africa settentrionale (dal Marocco all’Egitto) ha subito il dominio coloniale di Francia, Italia, Gran Bretagna ma è stata solo parzialmente “europeizzata” e ha mantenuto i propri caratteri culturali. Lo stesso è accaduto in Medio Oriente: in Iraq, in Giordania, in Palestina, in Afghanistan, nelle arre costiere della penisola arabica, dove la conquista coloniale si è innestata su società consolidate, di antica cultura arabo-islamica.
La Cina è stata sempre troppo difficile da conquistare per la vastità del territorio e per l’elevato numero di abitanti. Gli europei hanno conquistato soltanto basi commerciali come Macao e Hong Kong e occupato per brevi periodi regioni costiere.
Il Giappone è stata una realtà chiusa su ses stessa per millenni, fino a un secolo fa.
La Turchia è stato il centro di grandi imperi, da Costantino all’impero ottomano.
L’Africa subsahariana (escluse le regioni meridionali) è stata terra di conquista e di sfruttamento economico.
L’impatto dello sbarco europeo fu talmente violento da imporre in tutto il mondo colonizzato un nuovo sistema integrato in cui al centro dominava il concetto di mercato. Questa commercializzazione ebbe un effetto esplosivo sulle società tradizionali i cui meccanismi di funzionamento vennero stravolti, rivoluzionati, impiegati alle nuove esigenze.
Il mercato, inteso come lo spazio economico all’interno del quale si scambiano merci, servizi, lavoro, divenne il fulcro della società europea. Il mercato ha sviluppatogli aspetti fondamentali del capitalismo: proprietà privata dei mezzi di produzione, lavoro salariato, divisione del lavoro, specializzazione, accumulazione del capitale, competizione. La ricerca del profitto e la concorrenza costringono tutta la società ad adeguarsi alla loro logica. Tutti questi elementi rendono il capitalismo dinamico, aggressivo, capace di continue trasformazioni alla ricerca di nuovi mercati, nuovi prodotti, nuove tecnologie.
4 IL MONDO VERSO LA GLOBALIZZAZIONE
1 L’affermazione dell’economia di mercato
Letteralmente con il termine globalizzazione si intende la creazione di un mercato mondiale nel quale circolano liberamente i capitali e le merci. Si sottintende anche la diminuzione del controllo dei governi sull’economia nazionale a favore delle istituzioni economiche internazionali come il Fondo Monetario Internazionale (FMI), che regola le concessioni di prestiti agli stati, o l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), che stabilisce le modalità del commercio internazionale.
Il mondo “globalizzato”, insomma, è uno spazio economico senza barriere doganali, nel quale si produce, si acquista, si vende, si consuma. Questo implica l’aumento del commercio internazionale, la mobilità senza limiti di capitali e la dislocazione della produzione nei paesi dove la manodopera costa meno.
La nascita di questo fenomeno si può datare intorno al XVI secolo quando nelle colonie americane dei Carabi e del Sud America, appena conquistate da portoghesi e spagnoli, vennero deportati dall’Africa schiavi per coltivare la canna da zucchero originaria dell’Africa. Nacque così la prima economia globale nella storia, il cosiddetto commercio triangolare, nel quale ognuna delle tre aree coinvolte assunse un ruolo prefissato: l’Africa forniva le braccia, le Americhe il territorio e l’Europa la forza militare, i trasporti, il mercato consumatore e i capitali. L’intero profitto di questo triangolo economico rimase in Europa occidentale e consentì l’accumulazione di capitali che, insieme all’importazione di minerali pregiati, fu decisivo al momento della rivoluzione industriale.
Nella fase della storia economica mondiale, che si aprì alla fine del settecento con la rivoluzione industriale, le modalità di acquisizione delle materie prime rimasero sostanzialmente invariate, ma l’indipendenza delle colonie americane e l’inizio dei rapporti commerciali su vasta scala con i grandi Stati asiatici ( Cina, India) inaugurò una nuova fase della globalizzazione caratterizzata dallo scambio tra le materie prime e i prodotti industriali. Queste aree del pianeta cominciavano a essere considerate remunerativi mercati consumatori. Assorbivano tessuti usciti dai telai meccanici, armi, mezzi di trasporto e di comunicazione la cui produzione era monopolizzata da pochi Stati europei e dagli Stati Uniti.
La seconda tappa del processo di globalizzazione inizia subito dopo la seconda guerra mondiale, quando i principali gruppi industriali, per primi quelli degli Stati Uniti, e successivamente della Germania, della Francia, del Regno Unito, dell’Italia e infine del Giappone, assunsero caratteristiche “multinazionali”. Vennero aperte filiali all’estero per produrre manufatti nei Paesi dove la possibilità di consumo era aumentata e i prezzi del mercato d’origine sarebbero stati troppo alti.
Si era ad un passo dalla terza tappa nella globalizzazione dell’economia mondiale, ma ancora le resistenze ad aprire i propri mercati alla concorrenza internazionale erano molto alte in diversi punti del mondo. Quasi la metà degli abitanti del pianeta vivevano ancora in un circuito economico diverso da quello capitalista: i paesi ad economia pianificata erano coordinati economicamente in una rigida programmazione centralizzata nei due poli di potere di Mosca e Pechino.
Negli anni Ottanta inizia la grande rivoluzione che porterà alla terza tappa della globalizzazione. Vediamone gli elementi centrali:
Ma una tale rivoluzione non sarebbe stata possibile senza il fantastico progresso scientifico di quest’ultimo decennio nei settori dell’informatica delle telecomunicazioni e dei trasporti che hanno reso possibile il collegamento in tempo reale tra i punti più lontani del pianeta.
2 Aspetti contraddittori della globalizzazione.
Per la maggior parte degli economisti e dei politici la globalizzazione è un grande traguardo che si tradurrà in una crescita sostenuta dell’intera economia mondiale.
Per altri questo fenomeno porterà a una ancora più marcata esclusione dell’aree più deboli. Di fatto questo si verifica per interi Stati o anche per regioni particolarmente depresse( all’interno di Stati ad economia forte) oggi non più sostenute da sovvenzioni pubbliche.
E’ altrettanto innegabile che, fino a oggi, chi ha ottenuto più vantaggi dalla integrazione dei mercati sono i paesi a economia più forte e i gruppi economici che già operavano su scala internazionale, cioè le multinazionali e i maggiori gruppi finanziari.
Molti Paesi non industrializzati che hanno accettato nuove regole del mercato mondiale, privatizzando le proprie risorse a favore delle multinazionali straniere e riducendo il ruolo sociale ed economico dello stato, non hanno ottenuto finora grandi vantaggi né nella crescita economica né nel livello di vita della popolazione.
Concretamente, per molti Paesi la globalizzazione si è tradotta nell’apertura del mercato nazionale alle merci fabbricate dai grandi cartelli industriali mondiali, e nella successiva crisi della produzione locale, più costosa e tecnologicamente precaria.
La globalizzazione porta con sé una globalizzazione più generale, culturale, di costumi, di modelli di consumo.
Tutto questo ha provocato risposte diverse che vanno dall’accettazione generalizzata alla resistenza più radicale.
4.3 Titoli e capitali virtuali
I titoli sono attestazioni negoziabili che danno diritto a quote di proprietà o a un reddito. Sono titoli a reddito fisso o obbligazioni i buoni del tesoro emessi da uno Stato per finanziare le proprie spese e i propri investimenti. Sono titoli a reddito variabile, che danno diritto anche a quote di proprietà di una società, le azioni ordinarie che vengono trattate i borsa. Ci sono anche titoli che riguardano merci o altri titoli , trattati in mercati separati (mercati secondari). Grazie ai fusi orari l’attività finanziaria è in continuo movimento e le valute e le azioni si quotano globalmente 24 ore su 24 da Wall Street a Tokyo, a Hong Kong, a Singapore, a Francoforte, a Zurigo, a Parigi, a Milano, a San Paolo, a Città del Messico e infine di nuovo a Woll Streeat. Questi soldi, queste azioni che circolano rapidamente da un Paese all’altro e da una mano all’altra sono “virtuali”, cioè esistono solo nella memoria dei computer e delle contabilità delle società finanziarie e delle banche. Le borse sono il punto di riferimento dei cambi valutari. I meccanismi che regolano il mercato azionario sono simili a quelli che regolano i rapporti di cambio tra le diverse valute che vengono quotate nelle borse internazionali.
4.4 Dollaro, yen e euro
Oggi l’economia mondiale si basa sul dollaro e sui rapporti di cambio con le altre due valute forti: l’euro e lo yen giapponese. I tre poli economici mondiali si identificano con queste tre monete. Geograficamente l’area del dollaro comprende tutto il continente americano, l’Oceania, l’Europa mediterranea, la Gran Bretagna, i Paesi arabi. L’euro è la moneta di riferimento per l’Europa centrale, settentrionale e orientale ed è considerata la valuta guida dell’unione europea. Lo yen è la moneta dell’estremo oriente. Altre valute di riferimento sono: il franco francese per molti Paesi dell’Africa settentrionale ed equatoriale; il rand sudafricano per i Paesi dell’Africa meridionale. La rupia indiana per i Paesi minori dell’Asia meridionale.
La sterlina, è stata per più di un secolo la valuta di riferimento per tutto il mondo, anche se oggi ha perso importanza sui mercati internazionali.
Il franco svizzero è considerata “moneta rifugio” perché la stabilità economica della confederazione elvetica, e la sua neutralità politica sono il punto di riferimento nei momenti di crisi della finanza mondiale. Il franco svizzero è l’unica valuta convertibile in oro.
5 I MONDI DELLO SVILUPPO
Il concetto di “sviluppo” applicato all’economia risale al XIX secolo, quando l’accumulo di capitali, innovazioni tecnologiche e risorse umane determinò in alcuni Paesi dell’Europa occidentale la nascita di un modello economico basato sul ruolo centrale dell’industria e dei servizi. Agli inizi del 1900 si utilizzava la dicitura Paesi “sviluppati” o “civilizzati” (l’Europa nord-occidentale, gli Usa, il Giappone e alcune aree dell’Europa orientale e di quella mediterranea) e Paesi “sottosviluppati” o “arretrati” con un’economia definita “statica” tutti gli altri.
A metà degli anni 50 del 1900 era nato il concetto dei tre mondi dello sviluppo e cioè: un Primo Mondo formato dai Paesi industrializzati di tipo capitalista, un secondo , formato dai paesi industrializzati ad economia pianificata e un terzo che comprendeva i Paesi produttori di sole materie prime agricole e minerarie. A questa definizione, successivamente si sommò un “Quarto Mondo” costituito dai Paesi più poveri dell’Africa e dell’Asia. Con gli anni fu abbandonato il termine “Paese sottosviluppato” a favore del termine “Paese in via di sviluppo”, senza che però cambiasse il senso del problema. Nel “Rapporto sullo sviluppo” presentato dalle Nazioni Unite nel 1980 vennero presentati due mondi, Nord e Sud; nel Nord vennero collocati i Paesi industrializzati ad alto reddito, mentre del Sud facevano parte tutti gli altri Paesi con un impianto industriale debole o nullo, servizi pubblici scadenti, larghe fasce della popolazione in condizioni di povertà. Ma, sul finire degli anni 90 del secolo il modello industriale come unica via di sviluppo non è più un fatto scontato; il modello di sviluppo socialista è stato abbandonato da molti Stati e molti Paesi dell’Asia e dell’America Latina si stanno convertendo ad un modello di industrializzazione; altr cominciano ad affiancarsi al mercato mondiale (Cina, Corea del Sud).
6 ALLA RICERCA DI NUOVE CHIAVI DI LETTURA
6.1 Le economie forti
Il nucleo storico dei Paesi industrializzati si concentra quasi interamente nell’Europa occidentale (Gran Bretagna, Germania, Belgio, Paesi Scandinavi, Italia, Francia, Svizzera, Austria, Paesi Bassi, Spagna) e comprende oggi gli Stati Uniti, il Canada e il Giappone. L’Australia e la Nuova Zelanda sono gli ultimi entrati a fare parte del gruppo delle economie forti . Tali Paesi si collocano ai primi posti sia per l’indice di sviluppo umano che per il reddito pro capite. I Paesi di questo gruppo hanno influenzato lo sviluppo economico di altre aree geografiche sulle quali esercitano una notevole influenza. Il Giappone ha innescato il processo di industrializzazione nell’Estremo Oriente trasferendo parte dei suoi impianti in Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong. La politica industriale statunitense prevedeva invece investimenti diretti solo nell’Europa occidentale, mentre nei principali Paesi dell’America Latina (Messico, Brasile e Argentina) sono stati realizzati investimenti solo nei settori automobilistico e alimentare, confermando il loro ruolo di produttori di materie prime agricole e minerarie. Lo stesso vale per l’Europa che ha colonizzato l’Africa ma non vi ha mai trasferito tecnologia o capitali, rimpatriando qualsiasi profitto ottenuto con il commercio delle materie prime agricole e minerarie. I Paesi ex socialisti europei ( Federazione russa, Ucraina, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Bulgaria, Stati dell’ex Jugoslavia) dopo un periodo di sviluppo economico trovano difficoltà ad inserirsi nel mercato mondiale.
6.2 Paesi emergenti: le tigri asiatiche
I Paesi dell’Asia orientale c.d. Stati cerniera si possono collocare tra i Paesi a economia forte in quanto, gli alti tassi di crescita economica degli anni 70 e 80 del XX secolo di Corea del Sud, Taiwan, Singapore, Hong Kong, hanno permesso lo sviluppo dell’imprenditoria locale che si è ormai affacciata sul mercato mondiale. Altri Paesi asiatici come l’Indonesia, le Filippine, la Malesia, la Thailandia stanno attraversando una crescita vertiginosa della produzione industriale. Un caso particolare è quello della Cina che negli ultimi dieci anni detiene il record mondiale di crescita economica grazie al nuovo apparato industriale per l’esportazione sorto nelle regioni costiere. Le imprese straniere che scelgono di investire nei Paesi emergenti sono attirati dal bassissimo costo della manodopera, dal favorevole regime fiscale e dalla possibilità di esportare i prodotti.
6.3 Altre realtà emergenti: non solo l’industria
Un ulteriore gruppo di Paesi cerniera è formato da Messico, Brasile, Argentina, Sudafrica e India che, applicarono un ferreo protezionismo sui prodotti nazionali e lo Stato realizzò massicci investimenti in infrastrutture e impianti produttivi. L’obiettivo era quello di sostituire le importazioni di manufatti attraverso attraverso la creazione di un’industria di base in grado di spezzare la dipendenza dai Paesi a economia forte. Questo sistema entrò in crisi ma, hanno continuato a produrre una parte significativa di manufatti che si consumano localmente e si sono sviluppati alcuni settori ben inseriti nel mercato mondiale, soprattutto quelli legati alla trasformazione delle materie prime. Il principale dato sociale è quello della marcata differenza di reddito tra i settori di popolazioni coinvolti nel mercato mondiale e quelli legati alle attività agricole tradizionali.
Un altro gruppo di Paesi quali Arabia Saudita, Libia, Emirati Arabi Iraq, Venezuela vive della rendita petrolifera, dove l’estrazione degli idrocarburi è al centro dell’economia (oltre il 25% del PIL) e grazie alla sua rendita lo Stato acquista all’estero alimenti e prodotti manufatti.
Da pochi anni vi sono i piccoli Stati del “terziario” (Bahamas, le Maurizio, le Antille olandesi, le Barbados) nei quali si sono sviluppate attività nei settori finanziario, turistico, commerciale.
6.4 Il variegato panorama delle economie deboli
I Paesi economicamente più deboli sono quelli che dipendono esclusivamente dall’agricoltura o dall’estrazione mineraria. Alcuni di questi Paesi quali, Colombia, Costa Rica, Ghana, Kenya sono inseriti nel mercato mondiale grazie all’esportazione di materie prime pregiate (cacao, spezie, caffè, frutti tropicali, grano, thè); invece, buona parte dei Paesi dell’Africa, del Medio Oriente, dell’Asia meridionale e centrale e alcuni Stati dell’Asia orientale del Centro e Sud America e dei Caraibi, hanno una produzione rivolta sostanzialmente al consumo interno (riso, mais) in quanto lo Stato non è in grado di investire nella costruzione di strutture produttive, né di fornire servizi alla popolazione che vive quasi solo della propria produzione agricola.
7 GLI INDICATORI DELLO SVILUPPO
Se vogliamo descrivere la situazione economica e sociale di un paese possiamo utilizzare diversi indicatori (parametri il cui valore fornisce indicazioni su fenomeni che avvengono in un paese o in una regione) che espressi in cifre forniscono una veritiera fotografia della realtà. La scelta dell’indicatore è di fondamentale importanza ed è relativa agli aspetti che si vogliono evidenziare.
Esistono almeno due tipi di indicatori per descrivere lo sviluppo:
7.1 Gli indicatori economici
7.2 Gli indicatori sociali
Incrociando questi indicatori con quelli economici si può rilevare che molti Paesi formalmente “poveri” (Cina, Uruguay, ecc.) hanno una situazione sociale migliore rispetto a quella dei Paesi apparentemente più ricchi. Anche la crescita demografica viene misurata per monitorare il tipo di sviluppo di un Paese. Gli indicatori demografici più utilizzati sono quelli dell’indice di natalità – il rapporto tra il numero delle nascite e il numero di abitanti di uno Stato in un anno – e il tasso di crescita della popolazione.
Le Nazioni Unite hanno elaborato un nuovo indicatore l’indice di sviluppo umano (ISU) che comprende sia dati puramente economici, sia dati sociali, e viene calcolato incrociando la speranza di vita alla nascita, l’indice di alfabetizzazione, la media di anni scolastici frequentati e il reddito pro capite a parità di potere d’acquisto.
Fonte: http://lumolin.altervista.org/files/capitolo_1_-_il_mondo_verso_la_globalizzazione.doc
Sito web da visitare: http://lumolin.altervista.org
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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