Grammatica per la scrittura

Grammatica per la scrittura

 

 

 

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Grammatica per la scrittura

TIPOLOGIA DEGLI ERRORI

Per individuare gli errori ed imparare ad autocorreggersi, bisogna innanzi tutto sapere di quanti e quali tipi possono essere. Tralasciando per il momento gli errori di carattere logico-contenutistico, possiamo dire che l’elenco degli errori formali è il seguente:

  • errori ortografici,
  • errori di punteggiatura,
  • errori morfologici,
  • errori sintattici,
  • errori lessicali.

Forniamo di seguito una breve spiegazione e gli esempi necessari a chiarire i concetti.

  • L’ortografia è il modo di scrivere le parole correttamente, cioè conformemente alle regole di traduzione dei suoni in segni grafici (lettere, apostrofi, accenti) stabiliti da una certa lingua.

        cavaliere
Un esempio di errore ortograficoIl cavagliere sfidò il nemico in un duello all’ultimo sangue.

  • La punteggiatura è l’insieme dei segni di interpunzione, che sono stati inventati per facilitare la lettura indicando con chiarezza le pause “logiche”, corrispondenti in primo luogo ai confini tra una proposizione e l’altra (pausa più debole della virgola) o tra un periodo e l’altro (pausa forte del punto). La punteggiatura non presenta le regole ferree dell’ortografia, in quanto lascia spazio anche alle scelte individuali di chi scrive; ciò nonostante un insieme di regole-base c’è e va rispettato.

virgola errata perché tra soggetto e verbo
Un esempio di errore di punteggiatura Il cavaliere, sfidò il nemico.
                                                                                                                      
[In un caso del genere un’eventuale pausa della voce di chi legge dopo la parola “cavaliere” non corrisponde ad una virgola;  quest’ultima è, infatti, comunque vietata perché interrompe un’unità forte come quella del soggetto e del suo predicato verbale.]

  • La morfologia è la disciplina che descrive e analizza la forma delle parole e i suoi mutamenti in rapporto alla funzione che le singole parole svolgono nel discorso (ad esempio descrive ed analizza i modi ed i tempi verbali, cioè i mutamenti che le desinenze subiscono nella coniugazione, l’uso degli ausiliari, etc.). Gli errori morfologici sono una categoria molto varia e per ragioni di sintesi ci limitiamo a segnalare gli errori connessi all’errata coniugazione verbale, che sono tra i più frequenti. Si danno anche errori relativi alle altre parti grammaticali del discorso (articolo, sostantivo, aggettivo, avverbio, preposizione, pronome, congiunzione, interiezione), ma la maggiore frequenza si rileva nelle due categorie sopra segnalate.

  scomparve
Un esempio di errore morfologico Pronunciando una formula magica scomparse.

  • La sintassi è lo studio dei modi di combinazione delle parole a formare una frase (sintassi della frase semplice) e delle frasi a formare un periodo (sintassi del periodo). Si tratta degli errori più complessi ed insidiosi, in quanto taluni errori sintattici, in particolare nella sintassi del periodo, possono rendere letteralmente incomprensibile un testo.

 

Un esempio di sintassi del periodo così confusa da risultare incomprensibileIl padre, avendo portato il figlio dal suo capo, il quale per provocarlo gli fa vedere la battaglia che sta volgendo a sfavore dei suoi amici, che cercano di distruggere la Morte Nera. 

  • Il lessico è l’insieme delle parole di un testo scritto o orale oppure la raccolta delle parole di un dizionario. Per usare correttamente le parole bisogna usare termini effettivamente esistenti in una data lingua, conoscerne l’esatto significato ed il contesto d’uso. Gli errori lessicali derivano, per l’appunto, dall’uso di parole inesistenti, dalla conoscenza approssimativa del loro significato (ad esempio dal pensare che abbiano un significato che non hanno) o da confusione relativamente al contesto (ad esempio l’uso di parole della lingua informale e colloquiale in una lettera ufficiale al preside).

   agiate
Un esempio   Era un uomo di condizioni sociali adagiate.
(In questo caso sono state confuse le parole “agiate” e “adagiate” dal suono simile ma dal significato molto diverso, con il risultato di produrre una frase senza significato.)

 

Chi sbaglia dovrebbe imparare a prendere nota degli errori più gravi per evitare di ripeterli una seconda volta.

I miei errori:

  • errori ortografici:
  • errori di punteggiatura:
  • errori morfologici:
  • errori sintattici:
  • errori lessicali:

 


T1 La «o» larga di Achille Campanile

Il racconto umoristico che segue mostra come talvolta mettere gli accenti può risolvere casi ambigui ed evitare errori clamorosi.

« Che modi! » borbottò Beppe guardandosi attorno nei sontuosi locali del periodico mondano. « Prima t’invitano a fa­re una cosa e poi protestano se la fai. »
« Ma nessuno vi ha invitato a domandarmi certe cose! » strepitò la contessa Mara con le gote imporporate di sdegno e di pudico rossore.
« Come no? » fece Antonio. « Sono questi o non sono questi gli uffici del periodico d’arte, moda e mondanità "La vi­ta in rosa"? »
« Sono questi » fece la contessa Mara. « E con ciò? »
« Un momento » continuò 1’altro. « È lei o non è lei che scrive in questo periodico firmandosi Nirvana? »
« Sono io, » disse la contessa con fierezza « e me ne vanto. Si tratta d’un periodico di larga diffusione, che entra nelle mi­gliori famiglie. »
« Questo non m’interessa » proseguì il visitatore, impassi­bile. « Mi dica piuttosto: è lei o non è lei la titolare della ru­brica "Sono tutta per voi"? »
« Sissignore » esclamò la contessa. « Sono io e me ne di­chiaro fiera e orgogliosa. È una rubrica seguita dal grande pubblico... »
« Questo non mi riguarda » interruppe 1’altro.
« Mi lasci dire » gli dié sulla voce la contessa. « È una ru­brica seguita dal grande pubblico e nella quale io rispondo ai quesiti che mi vengono rivolti. »
« E dunque? » esclamò il visitatore in tono di trionfo. « Che cosa ho fatto io se non rivolgerle un quesito? »
La illustre pubblicista lo incenerì con un’occhiata. «Ah, sì, » gridò « le sembrano domande da farsi? »
« Ma... »
« Il fatto che io risponda non deve autorizzare nessuno a rivolgermi domande sconvenienti, come avete fatto voi... »
« Ma... »
« A certe domande non c’è che una risposta da dare: la porta! »
La illustre collaboratrice del periodico, con gli occhi sfa­villanti di contenuto sdegno, indicò 1’uscita al visitatore. Ma questi non si mosse.
« Un momento » disse « un momento. Se lei mi lasciasse parlare, vedrebbe che non ho fatto altro che quanto ella desi­derava. »
« Oh, sfacciato! » gridò la contessa, che stava perdendo il lume degli occhi.
« Quello che anzi lei ha esplicitamente invitato i lettori a fare » aggiunse 1’altro con flemma.
Mise sotto gli occhi della dama un numero del periodico, indicando un trafiletto.
« È lei che ha scritto questo? » domandò.
« Sono io » disse la signora, sbirciando il giornale.
« E dunque! » esclamò 1’altro con un tono che non am metteva repliche. « Se so leggere, non ho sbagliato. Legga. »                                                                                                                                      
« Che cosa? »
« Questo. »
« Ebbene? »
« Legga quello che lei ha scritto. »
La nobile dama lesse, rilesse, concentrandosi nell’attenzio­ne, per cercar di capire in che consistesse quello che, secondo 1’altro, aveva autorizzato la di lui sconveniente domanda. Alla fine si strinse nelle spalle.
« Io » mormorò « non ci trovo niente che possa giustifi­care... »
« Ah, non ci trova niente? » strepitò 1’altro. « Non ci tro­va niente? E allora le leggerò io quello che lei ha scritto. Il suo trafiletto termina con le parole: "Se avete quesiti da por­ci, rivolgetevi a me che sono qui per soddisfarvi". »
« Ebbene? » balbettò la contessa.
« Quesiti da porci! » strepitò il visitatore.
La contessa impallidì.
« Ma no! » gemé. « Con la "o" stretta, e non con la "o" larga. »
« Come sarebbe a dire? » fece 1’altro.
« Voce del verbo "porre" » spiegò la scrittrice con un fil di voce. « Se avete dei quesiti da pÙrci, e non da pòrci. »
E cadde svenuta mentre il visitatore rileggeva la frase in­criminata.
« Che posso sapere, » borbottava fra sé « che posso sapere io, leggendo, se una vocale è stretta o larga? Io credevo con la "o" larga! Ho letto : "una domanda da porci, e ho rivolto una domanda da porco". »
La contessa veniva intanto soccorsa dalle colleghe.


►ALCUNE REGOLE ORTOGRAFICHE

Nelle scritture alfabetiche vi sono regole che insegnano a tradurre in segni grafici (le lettere e le loro combinazioni) i suoni di cui è composta una parola. Vi sono lingue in cui le regole sono relativamente poche, di carattere generale ed abbastanza rigide nell’applicazione; altre in cui non esistono regole altrettanto generali ed altrettanto rigide (in inglese, ad esempio, l’ortografia è difficile perché, per quanto riguarda i suoni vocalici, non esistono regole generali sempre applicabili per pronunciare e scrivere le parole e dunque l’errore ortografico è frequente). L’ortografia è il corretto modo di scrivere una parola; corretto significa conforme alle convenzioni grafiche di quella lingua e solo di quella. Un esempio: nella lingua tedesca il suono che corrisponde alla nostra lettera “v” viene tradotto graficamente con il segno grafico “w”, che nell’alfabeto italiano non esiste.
In italiano vi sono norme di traduzione precise dei suoni in lettere ed un insieme di facili regole. Anche nella nostra lingua vi sono casi difficili e pronunce regionali, cioè influenzate dal dialetto, che possono indurre all’errore. Vengono indicati di seguito i più comuni errori ortografici, che naturalmente non esauriscono tutti gli errori possibili. Si ricorda che è opportuno prendere nota degli errori che facciamo più frequentemente per evitare di ripeterli.

UN / UN’
UN precede un nome maschile che inizia per vocale o per consonante (a meno che quest’ultima non sia “s” seguita da consonante o “z”, nel qual caso l’articolo diventa “uno”)
UN’ precede un nome femminile che inizia per vocale
L’errore più frequente consiste nel mettere l’apostrofo davanti ad un termine che inizia per vocale anche quando questo è maschile o, viceversa, dimenticare di mettere l’apostrofo quando il termine che segue è femminile ed inizia per vocale.

A CAPO                                                                                                                                          È sbagliato andare a capo metten­do s in una riga e b, c, d, f, g, 1, m, n, p, q_r, t , v nella riga successiva: la s non va mai separata dalla consonante che segue (a meno che non si tratti di un’altra s).

E S E M P I 0 :    os =       o=        ospi =
                        pite       spite        te

HO / O    HAI / AI    HA / A    HANNO / ANNO
Nella lingua italiana si è deciso di usare come simbolo grafico la lettera “h”, che in sé è muta, cioè non corrisponde ad alcun suono, per distinguere le voci verbali del verbo “avere” da congiunzioni, preposizioni o nomi che si pronunciano allo stesso modo, ma hanno, ovviamente, un significato diverso.

ESEMPIO: Un anno fa hanno deciso di trasferirsi a Londra.

ZIO –ZIA                                                                                                                                                          Le parole contenenti la sillaba “zio” o la sillaba “zia” non prevedono generalmente il raddoppiamento della zeta (con l’eccezione di alcune parole come “pazzìa” o “razzìa” in cui l’accento tonico cade sulla “ì”).

ESEMPI:   ECCEZZIONALE      ECCEZIONALE
POLIZZIOTTO     POLIZIOTTO

GLI / LI     -     GN / N     -     SE / SCE
Gli emiliani pronunciano male certe parole e perciò le scrivono male. I difetti di pronuncia che fanno commettere più errori ortogra­fici sono i seguenti:

  • pronunciare il suono “gli” quando c’è invece il suono ”1i” dicendo e perciò scrivendo “miglione” anziché “milione”,  “cavagliere” anziché “cavaliere”, “gli” anziché “li”, etc.;
  • pronunciare il suono “gn” quando c’è invece solo il suono “n”, dicendo e perciò scrivendo “gnente” invece di “niente”, ecc.; pronunciare il suono “s” quando c’è invece “sc”, dicendo e perciò scrivendo “sena” invece di “scena", "pese” invece di “pesce”, ecc.

SCIENZA - COSCIENZA - CONOSCENZA
La derivazione della parola “scienza” dal latino “scientia” (a sua volta derivato dal participio presente “sciens scientis” del verbo “scire” = “sapere”) fa sì che nell’ortografia della parola italiana si sia conservata una “ i ” che invece, a livello di pronuncia, non c’è affatto. Pertanto la parola “scienza” ed i suoi derivati, come “scienziato”, “scientifico”, “scientificamente”, “scientificità”, si scrivano con la “ i ”.
Per analoghe ragioni etimologiche, anche “coscienza” e le parole derivate si scrivono con la lettere “ i ”, benché essa non ci sia affatto a livello di pronuncia.
Al contrario la parola “conoscenza” e le parole derivate si scrivono senza “ i ” (in questo caso la pronuncia e la grafia concordano perfettamente).

ACCENTI SULLE PAROLE MONOSILLABICHE
Ogni parola che pronunciamo ha un accento, cioè un punto su cui la voce cade e si ferma per un attimo, altrimenti non sarebbe pronunciabile. Tuttavia, per non complicare troppo l’ortografia della lingua italiana, la regola prescrive che non in tutte le parole sia segnalato l’accento, ma solo in quelle cui esso cade sull’ultima sillaba, come nella parola “città”; l’accento, in questo caso, ci dà un’informazione importante e spesso ci impedisce di commettere errori non solo nella pronuncia, ma anche nella comprensione di una parola. Questo si comprende facilmente se confrontiamo le due parole “nuoto” e “nuotò”: l’accento  nella sillaba finale della seconda parola ci dice come dobbiamo leggere la parola e perciò ci fa capire che si tratta di una voce verbale al passato remoto ed alla terza persona singolare (anziché un sostantivo o una voce verbale al presente indicativo ed alla prima persona singolare).
Nelle parole monosillabiche che terminano con vocale, non si dovrebbe mettere alcun accento grafico, in quanto, visto che c’è una sola sillaba, l’accento tonico cade necessariamente su quella e non c’è bisogno di segnalarlo con un ulteriore simbolo grafico. Tutto ciò ad eccezione dei casi in cui una parola monosillabila può essere confusa con un’altra di identica pronuncia, ma di diverso significato; in tali casi un monosillabo si scrive con l’accento e quello omofono di significato diverso si scrive senza accento. Ad esempio “fu” si scrive sempre senza accento, mentre esistono un “se” non accentato, che è la congiunzione ipotetica («Se te ne vai, ti seguo»), e un “sé” accentato, che è il pronome personale riflessivo («Pensa solo a sé»).
Principali monosillabi che non vogliono mai l’accento: fa, fu, me, qui, qua, so, sa, sto, sta, su, va.
Principali monosillabi a volte accentati ed a volte non accentati:
da / dà (con accento quando è la terza persona del presente indicativo del verbo “dare”),
di / dì (con accento quando è sinonimo di “giorno”),
e / è (con accento quando è la terza persona singolare dell’indicativo presente del verbo “essere”),
la / là (con accento quando è avverbio di luogo),
li / lì (con accento quando è avverbio di luogo),
ne / né (con accento quando indica negazione, spesso in rapporto con un altro “né” con una duplice negazione),
se / sé (con accento quando è un pronome personale riflessivo),
si / sì (con accento quando indica un’affermazione).
te / tè (con accento quando indica la bevanda)

1.1 Nelle frasi seguenti compaiono parole di una sillaba. Alcune vogliono l’accento, altre no. Metti gli accenti dove sono necessari.

  1. Di giorno lavorava e di notte studiava.
  2. Talvolta si dice di si anche se si vorrebbe dire di no.
  3. Quando è tornato in se, si è accorto di averla scampata bella.
  4. Gli disse che se l’amava, doveva lasciarle fare ciò che voleva.
  5. Sta così dritto che sembra ingessato.
  6. Vai la e restaci finché non ti dirò di venire qui.
  7. Fa tante storie! Si crede insostituibile.
  8. Disse fra se: « Ma che ci sto a fare in questa squallida topaia?»
  9. « Vuoi tu sposare il qui presente A. D.? »
  10. Se vuoi guardarti da lui, devi sapere che fa la corte a ogni ragazza che incontra.
  11. Vedi quella foto? Fu scattata tanti anni fa.
  12. Su, non te la prendere per così poco!

13. Non mi piacciono i pantaloni blu ne quelli grigi.

 

1.2 Completa le seguenti frasi usando una delle seguenti espressioni: c’è, ce, n’è, ne, né, se, s’è, sé, la, l’ha, là.

  1. Non …. visto nessuno.
  2. … il presunto ladro non avesse avuto con…. …. refurtiva …. altre prove del furto, il giudice non avrebbe potuto condannarlo.
  3. Me …. hanno raccontate tante, ma non me ….. rimasta in testa nessuna.
  4. Era una scena raccappricciante e chi non…..  potuto allontanare di ..…, ….. dovuta seguire fino alla fine.
  5. Una volta coinvolto nella faccenda, … … pentì e ben presto … … lavò le mani senza dar retta … alle suppliche … alle promesse.
  6. … l’hai ancora con me? Ti … … vuole del tempo per dimenticare i piccoli torti!

 

1.3 Correggi gli errori ortografici presenti nel brano.

Jesse Hexam guadagna da vivere per se e per i figli ripescando tutto ciò che il Tamigi trasporta verso il mare. Un giorno il barcaiolo e la figlia Lizzie ripescano il cadavere di John Harmon, un emigrato nella colonia del Capo, rientrato a Londra per prendere possesso di un’ingente eredità. Nel frattempo, in casa Veneering, nuovi ricchi preoccupati di concquistare un posto in società offrendo pranzi a personaggi importanti, l’avvocato Mortimer Lightwood, incaricato del disbrigo delle pratiche relative all’eredità, forniscie indicazioni sul patrimonio e gli eredi del vecchio Harmon. Quest’ultimo era un’avaro che aveva accumulato ingenti ricchezze commerciando in rifiuti e che prima di morire ha nominato eredi del suo patrimonio il figlio John, cacciato da casa molti anni prima, ed i coniugi Boffin, affezzionati dipendenti ai quali ha lasciato un monticello di rifiuti. Nel caso che John sia morto, i Boffin erediteranno tutto. Mentre Lightwood sta raccontando questa storia, giunge in casa Veneering Charley Hexam, figlio di Jesse, portando la notizia della morte di John Harmon. Mortimer Lightwood e Eugene Wrayburn, un’avvocato suo amico, si recano insieme in casa Hexam, uno scuallido mulino abbandonato in riva al Tamigi, e poi all’ufficio di polizzia, dove viene loro mostrato un cadavere in avanzato stato di decomposizione. Alla sciena assiste anche un giovane che si fà chiamare Julius Handford e che ha destato i sospetti dell’ispettore, il quale ha deciso comunque di procedere con rigore scentifico. Frattanto Mr. e Mrs. Boffin abbandonano la vecchia casa Harmon, un’edificio affiancato da monticelli di rifiuti. [riassunto parziale del romanzo Il nostro comune amico di C. Dickens]

 

1.4 Nelle frasi seguenti mancano gli accenti. Mettili tu, dove ritieni necessario.

  1. Ma si, stai tranquillo! Non tornero tardi.
  2. Sta sempre a guardare la televisione!
  3. “Perché Mario non mi da mai retta?” Penso Giulio tra se e se.
  4. Dove sara Anna? Ah, eccola la!
  5. Non ne posso più di accudirti. Non verro da te ne martedi, ne mercoledi.
  6. Fa tante storie… Si, hai ragione: penso proprio che si creda insostituibile.
  7. Non preoccuparti, ormai sto bene.
  8. Si mette sempre la, in quell’angolo, a chiacchierare.
  9. Ne vuoi ancora? No, non voglio questo, ne quello.
  10. Disse tra se: “Ma che ci sto a fare qui?”
  11. Prima di dormire, da sempre un bacio alla mamma e si volta sul fianco.
  12. Riflettere su di se aiuta a comprendere quale scelta fare.
  13. Non appoggiare i vestiti sul tavolo. Li c’e sporchissimo.

 

1.5 Scegli tra le seguenti espressioni: ne/n’è/né

  1. Conosci molte canzoni? ... conosco tante.
  2. Che ... dici? Ti sembrano belle? No, non mi. piace ... questa, ... quella.
  3. Non ... vuole più sapere: ha deciso di non vederlo più. E’ piuttosto brutto, non è ... carne, ... pesce.
  4. Possiede molti giocattoli? No, ... possiede solo alcuni; non glieli regalano... la madre, ... il padre.
  5. ... ha fatta una troppo grossa: ... Luigi, ... Francesco vogliono più vederlo.
  6. Se ... ricordato all’ultimo momento.
  7. Non è ... bello, ... simpatico, perciò non si capisce perché ... è tanto innamorata.
  8. E’ sempre stata falsa e bugiarda, ma non se ... mai vergognata. Se non ... fai uso, puoi prestarmi. la tua auto?
  9. Non leggo ... libri., ... giornali, perché la lettura non mi piace
  10. Me ... vado via: non cercare di fermarmi!
  11. ... sa una più del diavolo.
  12. Non possiede 1’auto ... altri mezzi motorizzati.
  13. Se ... sentono dire tante, ma tu non devi credere alla voci che cir­colano, ... alla buone, ... alle cattive.

 

1.6 Correggi gli errori ortografici.

Nataniele lascia la sua citta natale per andare a studiare lontano. Egli scrive a casa all’amata fidanzata Clara, che è un’affettuosa e dolcissima fanciulla, ed all’amico Lotario. All’inizio và tutto bene, ma più tardi Nataniele inizia ad essere incquieto. La ragione è questa: un giorno alla sua porta è giunto un certo signor Coppola, un venditore di occhiali, di barometri, etc. Coppola non ha nulla di eccezzionale, ma ricorda a Nataniele un’amico di suo padre quando egli era bambino: ogni volta che Coppelius – così si chiamava l’amico paterno – veniva invitato, il piccolo Nataniele doveva andare a letto. Nella sua mente infantile Coppelius si identificava con il mago cattivo delle fiabe, un’essere pericoloso che, gettando sabbia negli occhi dei bambini, li faceva uscire dalle orbite. Nataniele considerava e considera Coppelius responsabile della morte del padre durante un esperimento scentifico. Il giovane lassia la città universitaria e torna a casa; dopo qualche settimana, sentendosi più sereno, decide di riprendere gli studi e rientra in città, andando ad abitare in una nuova casa. Da quì Nataniele può scorgere l’interno della casa del dottor Spallanzani, uno scenziato che ha una bellissima figlia di nome Olimpia, di cui il giovane si innamora sin dall’inizzio. Egli la ammira per l’eleganza dei suoi movimenti e per il grande senso del ritmo che dimostra quando balla; anche quando, incontrandola più da vicino, scopre che quasi non parla e che il poco che dice lo pronuncia con una strana vocie, ne rimane incantato. Un giorno dalla finestra assiste a questa sciena: Spallanzani e Coppola-Coppelius hanno aferrato Olimpia, il primo per le gambe ed il secondo per le braccia, ed ogniuno tira più che può. Quando Nataniele accorre in aiuto di Olimpia, fà in tempo a vederla andare in pezzi, scoprendo che la donna amata non è altro che un automa, un enorme bambola. Coppelius fugge via portando con se gli occhi di Olimpia, che dice di aver fabbricato …………[riassunto parziale da Il mago sabbiolino di E. T. A. Hoffmann]

1.7 Nelle frasi seguenti compaiono parole di una sillaba. Alcune vogliono l’accento, altre no. Metti gli accenti dove è necessario.

  1. La tua sedia è quella la. Qui mi ci siedo io.
  2. Trenta di ha novembre con april, giugno e settembre.
  3. E meglio che me ne vada.
  4. Da quanto tempo non la vedi?
  5. Mario non mi da ascolto.
  6. Non sono venuti ne Marco ne Luigi.
  7. Se ci vai avvertimi.
  8. Rise tra se pensando alla faccia che avrebbe fatto il suo nemico.
  9. Si, d’accordo, i piatti li laverò io.
  10. Non si muoverà di li finché non glielo dirò.
  11. Commemoriamo la morte di Albert Einstein: fu un grand’uomo.
  12. Sa fare tante cose con le mani, ma non sa ne leggere ne scrivere.
  13. Ne fa di tutti i colori non riesco più a sopportarlo.

 

1.8 Completa le seguenti frasi usando una delle seguenti espressioni: c’è, ce, n’è, ne, né,  se, s’è, sé, la, l’ha, là.

  1. ……  …… sono date tante! Non …… mai visto niente di simile.
  2. E’ arrivato in ritardo perché non ….. potuto liberare prima.
  3. « ….. vuoi ancora di gelato? » «Non vedi che …… finito tutto tuo fratello?»
  4. « Pensi che sia arrivato a New York? » « Non credo. …… …..vogliono di ore per arrivare ….»
  5. Il ladro ….. negato per giorni e giorni, ma alla fine ….. dovuto ammettere.
  6. ….. voluta la malattia della madre perché Giovanni mettesse … testa a posto.

 

1.9 Correggi gli errori ortografici presenti nel brano.

Il principe F. è un eccentrico, che và in cerca di avventure nelle strade e nelle taverne di Londra. Una notte F. e il suo amico G. assistono ad una strana sciena: un giovane entra in una taverna e distribuisce paste alla crema ai clienti. Più tardi dice al principe di aver speso la maggior parte dei suoi soldi nell’aquisto delle paste e di avere fatto ciò perché ormai prossimo ad abbandonare questa vita. Egli a deciso di iscriversi al club dei suicidi, grazie al quale la persona vile ma desiderosa di suicidarsi verrà, per così dire, “suicidata”, dietro pagamento di una piccola somma. F. e G. decidono di entrare nell’organizazzione; qui prendono parte ad una riunione nella quale vengono scielti tra i partecipanti la vittima ed il carnefice attraverso la distribuzione delle carte. Il caso risparmia i due, ma non il giovane delle paste alla crema, scielto come assassino, ne un affezzionato cliente del club, un vecchio vizioso che, avendo provato tutti i piacere della vita, ha deciso di provare anche quello sottile della paura e che è ora destinato ad essere ucciso. La sera successiva F. vuole riprovare, ma riceve un’asso di picche, che lo indica come prossima vittima. Si avvia al luogo dell’incontro, ma viene salvato da G., che fin dal mattino ha preparato un aguato contro i membri del club e contro il presidente, un uomo del tutto privo di coscenza. Senza chiamare la polizzia, il fratello di G. viene incaricato di condurre il prigioniero sul continente: da qui egli non dovrà più fare ritorno. La sciena si sposta a Parigi...
[riassunto parziale dal romanzo Il club dei suicidi di R. L. Stevenson]


►COSTRUZIONE SINTATTICA E RAPPRESENTAZIONE GRAFICA

Un periodo è una porzione di discorso che inizia con la maiuscola e termina con un punto. La lunghezza del periodo può essere variabile: vi sono periodi composti da più proposizioni, ma anche periodi composti da una sola proposizione. . Se un periodo è composto da più proposizioni, queste sono abitualmente collegate tra di loro attraverso congiunzioni, pronomi relativi, preposizioni. Il fatto di trovarsi di fronte ad una proposizione si coglie immediatamente, perché, con qualche eccezione, se c’è un verbo, c’è una proposizione.

          es.: Lancillotto amava Ginevra, / che era moglie di re Artù.
I verbi sono due, quindi le proposizioni sono due: la prima è Lancillotto amava Ginevra e la seconda è che era moglie di re Artù. La barretta segna il confine tra le due proposizioni, il che fa parte della seconda proposizione, è un pronome relativo e ha la funzione di agganciare la prima alla seconda proposizione.

Le proposizioni che stanno insieme non sono di uguale importanza e vengono abitualmente distinte in proposizione principale e proposizione/i subordinata/e. La proposizione principale ha senso anche da sola, mentre le subordinate hanno senso solo in rapporto alla principale o ad altre subordinate.

           

es.: Lancillotto amava Ginevra ha senso da sola, cioè possiamo leggerla da sola e capirla; che era moglie di re Artù non ha senso da sola, cioè se la leggiamo senza avere letto Lancillotto..., non la             capiamo.

es.: Mentre Lancillotto era lontano, Ginevra venne rapita.
Anche in questo caso il periodo è composto da due proposizioni, di cui una principale ed una subordinata alla principale. A differenza dell’esempio precedente, la principale viene dopo la subordinata e il connettivo è costituito dalla congiunzione mentre, anziché dal pronome relativo che. In questo caso il gancio ha un significato “temporale” (= nel periodo in cui...) e infatti introduce un tipo di proposizione che viene chiamata temporale.

I periodi possono essere di grande complessità con rapporti interni anche piuttosto intricati. Uno studente che sappia padroneggiare la lingua scritta è in grado di elaborare anche periodi lunghi e complessi senza commettere errori sintattici. Se non si è sicuri di farcela, meglio comporre periodi più brevi, ma corretti.
Gli esempi successivi mostrano un grado di complessità via via maggiore.

          es.: Lancillotto si mise alla ricerca di Ginevra,/ finché giunse ad un castello/ in cui trovò ospitalità.

CONGIUNZIONI COORDINANTI E CONGIUNZIONI SUBORDINANTI

La congiunzione è la parte invariabile del discorso che congiunge fra di loro
(a) parole all’interno di una frase oppure
(b) frasi intere.
Cosa distingue la congiunzione dalla preposizione?
La preposizione serve a costituire i vari complementi della frase, la congiunzione no. Inoltre la preposizione introduce solo frasi implicite (col verbo di modo indefinito: vengo per salutarti, sono stanco di leggere), mentre la congiunzione introduce anche frasi esplicite.

Vuoi latte o limone nel tè?
È uscito ma è rientrato di corsa.
Non ci sarò perché non posso far tardi.

O, ma, perché sono congiunzioni.

Le congiunzioni vengono classificate in

1 COORDINANTI

le parole e le frasi che congiungono sono sullo stesso piano e le frasi si reggono autonomamente:
vado e torno; cantano o ballano; costa ma è bello.

2 SUBORDINANTI

tra le frasi si crea un rapporto di subordinazione, per cui la frase introdotta dalla congiunzione perde la sua autonomia:
vado, perché tu sia contento;
cantano sebbene gli altri dormano;
sarebbe bello, se non costasse tanto.

3 LOCUZIONI CONGIUNTIVE

gruppi di parole con valore di congiunzione: dato che, a meno
che, nel modo che, ecc.

 

  • CONGIUNZIONI COORDINANTI

Sono coordinanti le congiunzioni che uniscono parole o frasi in modo tale da mantenerle sullo stesso  piano, senza che una sia subordinata all’altra.

Le congiunzioni coordinanti si suddividono in

COPULATIVE
affermative    
e, ed, anche, pure, altresì, inoltre, perfino

 

negative
né, neanche, nemmeno, neppure

Marta e Renato non amano la caccia né la pesca.

DISGIUNTIVE
o, ovvero, oppure, altrimenti

Devo prendere quell’autobus o arriverò in ritardo.

AVVERSATIVE
ma, però, tuttavia, invece, piuttosto, anzi , peraltro, senonché

Veronica è pronta, ma Lucia non si vede ancora.

 

DICHIARATIVE o ESPLICATIVE
cioè, infatti, ossia, ovvero

Questa volta le previsioni erano giuste, infatti ci siamo bagnati come pulcini.

CONCLUSIVE
quindi, dunque, perciò, sicché, pertanto, ebbene

È tutto pronto, perciò non ci resta che iniziare

CORRELATIVE
e ... e, né ... né, sia ... sia, o ... o, tanto ... quanto, così ... come

Aldo non è né antipatico né noioso come me lo avevi descritto.

 

  • CONGIUNZIONI SUBORDINANTI

Sono subordinanti le congiunzioni che uniscono due frasi in modo tale che una delle due risulta subordinata all’altra.

Le congiunzioni subordinanti si suddividono in

DICHIARATIVE
che, come

Ti assicuro che Luciano vuole vederti.

CAUSALI
perché, poiché, giacché, siccome

È successo perché sei distratto.

FINALI
affinché, perché, che
Ho messo lì la lettera affinché tu la leggessi subito.

CONSECUTIVE
cosicché, tanto ... che, di modo che, al punto che

Ero così nervoso che ho rosicchiato i/ fazzoletto.

TEMPORALI
quando, mentre, finché, prima/dopo che, non appena, allorché

Il giallo era alla conclusione, quando ha telefonato Sandro.

CONDIZIONALI
se, qualora, purché, nel caso che, caso mai, a patto che

Se incontri il boa non ti spaventare: è addomesticato.

CONCESSIVE
sebbene, benché, per quanto, quantunque, nonostante, anche se

Per quanto abbia tentato, Maria non è riuscita ad aprire.

MODALI
come, come se, quasi, comunque

Salta come se fosse una palla di gomma.

COMPARATIVE
più/meno ... che, meglio/peggio ... che, tanto ... quanto, piuttosto che

È stato più veloce che non credessi.

INTERROGATIVE/DUBITATIVE
se, come, perché, dove, quanto, quando

Sai se Marianna si è tagliata i capelli?

AVVERSATIVE
quando, mentre, laddove

Hai rinunciato, quando sarebbe bastato un po’ d’impegno.

ECCETTUATIVE
fuorché, eccetto, tranne che, a meno che

Non lo farò a meno che non vi sia obbligato.

LIMITATIVE
per quanto, per quello che

Per quanto ne so io, la prova è aperta a tutti.

 

  • LOCUZIONI CONGIUNTIVE

CAUSALI

dato che, visto che, posto che, considerato che

FINALI

a che

CONSECUTIVE

in modo che

TEMPORALI

nel momento che, nel tempo che, appena che, intanto che, nel mentre che, fino a che

CONDIZIONALI

supposto che, a condizione che, a meno che

CONCESSIVE

malgrado che, senza che

MODALI

nel modo che, altrimenti che, nella maniera che

ECCETTUATIVE

salvo che, eccetto che, solo che

LIMITATIVE

secondo che, nel senso che, ne! modo che

 

►PARATASSI E IPOTASSI

Nella formulazione di un periodo possono prevalere i rapporti di subordinazione (nel senso che il numero di proposizioni subordinate è decisamente maggiore del numero delle proposizioni coordinate) oppure possono prevalere i rapporti di coordinazione (nel senso che il numero di proposizioni coordinate è decisamente maggiore del numero delle proposizioni subordinate). Nel primo caso abbiamo una struttura sintattica più complessa, che viene chiamata sintassi ipotattica; nel secondo caso abbiamo una sintassi più semplice, che viene detta parattatica.

a) Lancillotto incontrò un nano a cui chiese se sapeva dove era stata portata la regina Ginevra, dopo che era stata rapita da un malvagio cavaliere di nome Meleagant, che si era invaghito della dama quando l’aveva vista ad un torneo.

b) Lancillotto incontrò un nano e gli chiese della regina Ginevra, infatti la regina era stata vista ad un torneo da un malvagio cavaliere di nome Meleagant ed era stata da lui rapita: nessuno sapeva dove egli aveva portato la dama.

Nel primo caso la sintassi è prevalentemente ipottatica, nel secondo caso prevalentemente parattatica. Nel primo caso i legami tra una proposizione e l’altra sono di carattere ipotattico (= congiunzioni subordinanti e pronomi relativi); nel secondo caso i legami tra una proposizione e l’altra sono di carattere parattatico (= congiunzioni coordinanti). Da notare che nella sintassi parattatica le proposizioni possono essere anche semplicemente accostate senza che sia introdotta alcuna congiunzione tra di esse, come nel caso delle due poposizioni ...ed era stata da lui rapita: nessuno sapeva dove egli aveva portato la dama. In questo caso le due proposizioni sono accostate e separate dal segno dei due punti.

 

►RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DEI RAPPORTI DI COORDINAZIONE E DI SUBORDINAZIONE

 

L’USO DELLA PUNTEGGIATURA E GLI ERRORI DI PUNTEGGIATURA

LA VIRGOLA: gli errori più frequenti
A) La virgola serve come  confine  tra una proposizione e l’altra, all’interno di un periodo. Il confine passa prima del pronome relativo o della congiunzione subordinante o coordinante.

es.:

Ginevra venne rapita, mentre Lancillotto era lontano. (corretto)

 

Ginevra venne rapita mentre, Lancillotto era lontano. (errato)

         
Vi sono delle eccezioni, cioè casi in cui È ERRATO segnare il confine tra una proposizione e l’altra con una virgola e non si deve mettere nessun segno di punteggiatura.

  • Due proposizioni coordinate attraverso la congiunzione e : non si deve mettere virgola prima della e  in quanto la e funziona come una virgola, costituendo di per sé una pausa.

es.:

Lancillotto si mise in viaggio, e incontrò un nano. (errato)

 

(quando c’è di mezzo un inciso le cose cambiano un po’...)

  • Con le espressioni verbali del tipo pensare che/ se, dire che/ se, asserire che, chiedere che/ se, credere che, etc., dove che non è un pronome relativo, ma una congiunzione che introduce una proposizione oggettiva / interrogativa / dubitativa.

 

es.:

Il nano disse, che sapeva dov’era Ginevra. (errato)

 

Il nano chiese, se voleva sapere dove Ginevra era stata portata. (errato)

 

(anche in questo caso le cose cambiano un po’ se vi è un inciso...)

Va comunque notato che la virgola tra una proposizione e l’altra non è obbligatoria. Viene messa per facilitare la lettura soprattutto quando il periodo è lungo.

es.:

Lancillotto cercò Ginevra perché l’amava. (l’assenza di punteggiatura è accettabile)

 

Lancillotto si mise sulle tracce della regina Ginevra che era stata rapita da un malvagio cavaliere il quale l’aveva portata nel lontano regno di Gorre dove la teneva prigioniera.

 

(l’assenza di punteggiaturanon è accettabile, perché rende la lettura più difficile)

B) Fin qui abbiamo parlato dell’uso della virgola come confine tra proposizioni. Un secondo uso possibile della virgola è per delimitare un  inciso  ; in questo caso le virgole sono sempre due: una all’inizio ed una alla fine dell’inciso, perché funzionano come parentesi e come le parentesi vengono per così dire aperte e chiuse. L’inciso può essere costituito da una parola/ un’espressione composta da più parole/ un’intera proposizione e si distingue perché potrebbe essere omesso senza provocare gravi conseguenze (il periodo, infatti, continuerebbe ad avere senso).

es.:

Lancillotto, il prode cavaliere della Tavola Rotonda, amava Ginevra. (Se omettiamo l’inciso il prode cavaliere della Tavola Rotonda, il periodo continua ad avere senso, diventando: Lancillotto amava Ginevra)

 

Lancillotto, però, non poteva sposare Ginevra.

 

Lancillotto, che aveva chiesto informazioni al nano, seppe dove era stata condotta   Ginevra.

 

Lancillotto, insistendo, seppe dove era stata condotta Ginevra

  • E’ ERRATO mettere una sola virgola, anziché due, .

 

C) Quando si mettono virgole  all’interno di una proposizione  , bisogna evitare errori piuttosto grave come mettere la virgola

  • tra soggetto e verbo (a meno che tra il soggetto e il verbo non ci sia un inciso...),
  • tra verbo e complemento oggetto o altro complemento essenziale alla proposizione.

 

es.:

Lancillotto, combattè per salvare l’amata. (errato)

 

E’ invece corretto scrivere: Lancillotto, folle d’amore per Ginevra, combattè per  salvare l’amata; oppure Lancillotto, infine, combattè per salvare l’amata).

IL Punto e il punto e virgola
Il punto e virgola è una pausa appena meno forte del punto, quindi va messo là dove potrebbe starci anche un punto. Un altro possibile uso è in un elenco dopo i due punti, quando ogni elemento dell’elenco sia costituito non da una sola parola, ma da un’intera proposizione o da espressioni abbastanza lunghe.
es.: Lancillotto fece nell’ordine le seguenti azioni: scese da cavallo con un balzo; corse incontro alla donna amata, che lo aspettava sulla porta del castello; si inginocchiò ai suoi piedi.

I Due punti
I due punti hanno essenzialmente tre usi:

  • precedono un elenco;
  • precedono la spiegazione di ciò che si è appena detto;

es.:

Uscì rapidamente dal castello: aveva appena visto il cavaliere nero rapire Ginevra.

 

(ai due punti segue la spiegazione del motivo per cui il cavaliere esce dal castello)

  • introducono il discorso diretto (due punti, aperte le virgolette).

 

►IMPARARE AD ANDARE A CAPO

Quando scriviamo, dobbiamo imparare ad andare a capo dopo il punto quando riteniamo di avere esaurito un certo argomento o sequenza narrativa. In questo modo il nostro testo dovrebbe essere articolato in blocchi, favorendo colui che legge nella comprensione del testo che risulta, anche ad una prima occhiata, articolato in varie unità di significato. Facciamo una prova di leggibilità su tre testi: il primo testo è ERRATO perché va a capo ad ogni punto; il secondo testo è ERRATO perché non va mai a capo; il terzo testo è corretto perché fa la scelta di andare a capo quando lo impone un significativo cambiamento nell’argomento trattato/ nella sequenza narrativa / ecc. Nel terzo passo riportato viene fornita al lettore un’informazione in più, in quanto, grazie alla divisione in paragrafi determinata dagli a capo, può comprendere immediatamente la scansione in blocchi narrativi: situazione iniziale → viaggio e raggiungimento della meta → incontro con l’ospite misterioso e prime inquietudini del protagonista.

  • Il giovane Jonathan Harker, impiegato di un’agenzia immobiliare londinese, è inviato dal suo principale in Transilvania, per prendere contatto con un ricco conte del luogo, di nome Dracula. Quest’ultimo ha, infatti, deciso di acquistare una casa a Londra e Jonathan deve prendere con lui gli ultimi accordi.

Quando il giovane, ignaro del fatto che Dracula non gode di buona reputazione, giunge in una locanda vicina al castello, molte persone di buon cuore gli consigliano di non proseguire, ma Jonathan, che non crede alle superstizioni, non dà ascolto ai consigli: prima sale sulla diligenza, che lo scarica a Passo Borgo; poi sale su una carrozza, che come da accordi era ad attenderlo al passo.
Il cocchiere, che non mostra mai il viso, lo conduce verso il castello del conte Dracula, mentre si sta facendo notte e si vedono gli occhi fosforescenti dei lupi lungo la strada.
Il cocchiere, però, non ha paura dei lupi e sembra avere su di loro uno strano potere.
Jonathan, arrivato finalmente al castello, si rallegra dello scampato pericolo, senza sapere che i lupi sono probabilmente il pericolo meno grave.
Al castello si presenta il conte Dracula, che lo invita a cena.
Il conte è un vecchio dagli occhi magnetici e dalla forza straordinaria; Jonathan impara a conoscere le sue strane abitudini: durante il giorno Dracula non si fa mai vedere e a cena non mangia mai nulla.
Jonathan diventa inquieto e sospettoso, anche perché presto scopre di essere tenuto prigioniero, visto che ad eccezione della sua camera da letto non può entrare in altre stanze e non può uscire dal castello.
Contemporaneamente Dracula pronuncia nei riguardi di Jonathan parole minacciose, che gli fanno temere per la propria vita.

  • Il giovane Jonathan Harker, impiegato di un’agenzia immobiliare londinese, è inviato dal suo principale in Transilvania, per prendere contatto con un ricco conte del luogo, di nome Dracula. Quest’ultimo ha, infatti, deciso di acquistare una casa a Londra e Jonathan deve prendere con lui gli ultimi accordi. Quando il giovane, ignaro del fatto che Dracula non gode di buona reputazione, giunge in una locanda vicina al castello, molte persone di buon cuore gli consigliano di non proseguire, ma Jonathan, che non crede alle superstizioni, non dà ascolto ai consigli: prima sale sulla diligenza, che lo scarica a Passo Borgo; poi sale su una carrozza, che come da accordi era ad attenderlo al passo. Il cocchiere, che non mostra mai il viso, lo conduce verso il castello del conte Dracula, mentre si sta facendo notte e si vedono gli occhi fosforescenti dei lupi lungo la strada. Il cocchiere, però, non ha paura dei lupi e sembra avere su di loro uno strano potere. Jonathan, arrivato finalmente al castello, si rallegra dello scampato pericolo, senza sapere che i lupi sono probabilmente il pericolo meno grave. Al castello si presenta il conte Dracula, che lo invita a cena. Il conte è un vecchio dagli occhi magnetici e dalla forza straordinaria; Jonathan impara a conoscere le sue strane abitudini: durante il giorno Dracula non si fa mai vedere e a cena non mangia mai nulla. Jonathan diventa inquieto e sospettoso, anche perché presto scopre di essere tenuto prigioniero, visto che ad eccezione della sua camera da letto non può entrare in altre stanze e non può uscire dal castello. Contemporaneamente Dracula pronuncia nei riguardi di Jonathan parole minacciose, che gli fanno temere per la propria vita.

 

  • Il giovane Jonathan Harker, impiegato di un’agenzia immobiliare londinese, è inviato dal suo principale in Transilvania, per prendere contatto con un ricco conte del luogo, di nome Dracula. Quest’ultimo ha, infatti, deciso di acquistare una casa a Londra e Jonathan deve prendere con lui gli ultimi accordi.

Quando il giovane, ignaro del fatto che Dracula non gode di buona reputazione, giunge in una locanda vicina al castello, molte persone di buon cuore gli consigliano di non proseguire, ma Jonathan, che non crede alle superstizioni, non dà ascolto ai consigli: prima sale sulla diligenza, che lo scarica a Passo Borgo; poi sale su una carrozza, che come da accordi era ad attenderlo al passo. Il cocchiere, che non mostra mai il viso, lo conduce verso il castello del conte Dracula, mentre si sta facendo notte e si vedono gli occhi fosforescenti dei lupi lungo la strada. Il cocchiere, però, non ha paura dei lupi e sembra avere su di loro uno strano potere. Jonathan, arrivato finalmente al castello, si rallegra dello scampato pericolo, senza sapere che i lupi sono probabilmente il pericolo meno grave.
Al castello si presenta il conte Dracula, che lo invita a cena. Il conte è un vecchio dagli occhi magnetici e dalla forza straordinaria; Jonathan impara a conoscere le sue strane abitudini: durante il giorno Dracula non si fa mai vedere e a cena non mangia mai nulla. Jonathan diventa inquieto e sospettoso, anche perché presto scopre di essere tenuto prigioniero, visto che ad eccezione della sua camera da letto non può entrare in altre stanze e non può uscire dal castello. Contemporaneamente Dracula pronuncia nei riguardi di Jonathan parole minacciose, che gli fanno temere per la propria vita.

►CONOSCERE LE REGOLE E VIOLARLE

Sono state appena enunciate una serie di regole sulla punteggiatura e gli a capo che bisogna conoscere e applicare. Tuttavia chi conosce bene le regole, sa anche quando può violarle per ottenere particolari effetti espressivi. È questo il caso degli scrittori, di cui vedremo qualche esempio nelle pagine seguenti.

 


T2 Dal romanzo L’incarico di Friederich Dürrenmatt

Si possono scrivere periodi molto lunghi utilizzando solo la virgola e scrivendo comunque un testo corretto? Lo scrittore svizzero Düha scritto un intero libro intitolato L’incarico in cui ogni capitolo è costituito da un solo periodo, lungo anche alcune pagine, senza utilizzare mai il punto. Il testo è corretto dal punto di vista della punteggiatura, ma di faticosissima lettura. Riproduciamo i primi capitoli del testo: dovrai per ogni capitolo individuare la proposizione principale e tentare, qualora possibile, di mettere uno o più punti al posto delle virgole, per creare così due o più periodi dal lunghissimo periodo di partenza.

I

Quando Otto von Lambert fu informato dalla polizia che ai piedi della rovina di Al-Hakim era stata rinvenuta sua mo­glie Tina violentata e priva di vita e che il delitto era rima­sto insoluto, lo psichiatra, noto per il suo libro sul terrori­smo, fece trasportare il cadavere con un elicottero oltre il Mediterraneo, per cui la bara che lo conteneva, fissata sotto 1’apparecchio tramite un cavo portante, oscillando dietro ad esso volò ora al di sopra di smisurate pianure illuminate dal sole ora attraverso brandelli di nubi, sulle Alpi fu anche in­vestita da una bufera di neve, in seguito da rovesci di piog­gia, sinché infine, circondata dal corteo funebre, si lasciò ca­lare dolcemente nella tomba aperta che fu subito ricoperta di terra, dopo di che von Lambert, avendo osservato che anche la F. stava filmando 1’avvenimento, chiuse 1’ombrello nono­stante la pioggia, la squadrò brevemente e la invitò a recarsi da lui con la sua équipe la sera stessa, poiché aveva un inca­rico per lei che non ammetteva indugi.

II
La F., nota per i suoi ritratti cinematografici, che si era proposta di tentare vie nuove e inseguiva 1’idea ancora vaga di realizzare un ritratto globale, cioè quello del nostro piane­ta, e sperava di ottenerlo tramite un collage di scene casuali, per questo aveva anche filmato la strana sepoltura, seguendo sconcertata con lo sguardo quell’uomo massiccio, von Lam­bert, che 1’aveva interpellata bagnato di pioggia e non rasato col cappotto nero sbottonato e poi si era allontanato senza un saluto, esitò prima di decidersi ad accettare 1’invito, per­ché una sensazione spiacevole le diceva che qualcosa non quadrava e che inoltre correva il rischio d’imbarcarsi in una storia che 1’avrebbe distolta dai suoi progetti, cosicché di fat­to si recò controvoglia con la sua équipe a casa dello psichia­tra, spinta soltanto dalla curiosità di sapere che cosa questi volesse da lei e decisa a non contrarre alcun impegno.

III
Von Lambert la ricevette nel suo studio, chiese subito di essere filmato, subì di buon grado tutti i preparativi, quindi, dinanzi alla macchina da presa in azione, seduto dietro la sua scrivania, si dichiarò colpevole della morte di sua moglie, dal momento che lei soffriva spesso di depressione acuta e che lui 1’aveva sempre trattata più come un caso che non come una donna, finché lei, dopo che per caso le erano capitati sott’occhio gli appunti del marito sulla sua malattia, di punto in bianco aveva lasciato la casa, secondo la dichiarazione della governante soltanto con la sua pelliccia rossa su un completo di jeans e con una borsetta, e da allora lui non ave­va più avuto sue notizie, ma non aveva neppure fatto qual­cosa per averne, da un lato per lasciarla totalmente libera, dall’altro, qualora lei avesse saputo che lui stava indagando, per risparmiarle la sensazione di essere ancora osservata, ma ora, dopo che lei aveva fatto una fine così atroce e lui rico­nosceva la sua colpa non soltanto in quanto al metodo usato con lei, quello della fredda osservazione prescritto dalla psi­chiatria, bensì anche per aver tralasciato qualsiasi indagine, riteneva fosse suo dovere apprendere la verità e più ancora renderla accessibile alla scienza, scoprire quanto era avvenu­to, poiché aveva toccato il limite del suo sapere, limite se­gnato dal destino di sua moglie, di salute era un disastro e non era in grado di recarsi lui stesso sul luogo, per cui affi­dava a lei, alla F., 1’incarico di ricostruire con la sua équipe il delitto compiuto sulla moglie, di cui lui come medico era 1’autore, mentre 1’esecutore non rappresentava che un fattore casuale, nel luogo in cui con ogni evidenza si era svolto, dì registrare quanto bisognava registrare affinché il film che ne sarebbe risultato potesse essere presentato a congressi scien­tifici e alla procura della repubblica, poiché lui, in quanto colpevole, come ogni criminale aveva perso il diritto di tener segreto il suo errore, quindi le consegnò un assegno di note­vole entità, parecchie fotografie della defunta come pure il diario di lei e i suoi appunti, dopo di che la F., con meravi­glia della sua équipe, accettò 1’incarico.

 


2.1 Il testo che segue presenta errori ortografici e di punteggiatura: effettua le correzioni necessarie precisando, nel caso degli errori di punteggiatura, di quale errore si tratta. La punteggiatura risulta errata per uno dei seguenti motivi:
A – virgola tra soggetto e verbo,
B – una virgola in meno nell’inciso,
C – virgola sistemata in modo errato a segnare il confine tra due proposizioni (il confine passa dopo o prima di quanto segnalato dalla virgola),
D – virgola usata in modo errato al posto del punto,
E – altre possibilità
Siamo nello studio di Basil Hallward. Lord Henry Wotton, che è un amico di Basil ha visto il ritratto che il pittore sta facendo e si stupise che quest’ultimo non voglia esporlo pubblicamente, visto che il quadro sembra la sua opera migliore. Indagando sulle ragioni di tutto ciò, viene a sapere la verità: Basil afferma di aver messo troppo della sua anima in quell’opera, che ritrae un giovane dotato di incredibile bellezza e potere di fascinazione. Lord Henry aristocratico cinico e amorale, esprime il desiderio di conosciere Dorian Gray il modello ma Basil si oppone temendo che la purezza del giovane possa esserne guastata. Lord Henry insistendo ottiene di rimanere e conoscere Dorian, che sta per giungere. Mentre Basil è concentrato nell’esecuzione del ritratto, Dorian e Henry conversano insieme; quest’ultimo, vuole essere per il giovane una sorta di guida: gli consiglia di soddisfare  pienamente i suoi desideri e cercare il  piacere, senza preoccuparsi delle conseguenze negative per gli altri, il giovane vedendo il ritratto, si compiace della propria avvenenza e si abbandona malinconicamente ad alcune considerazioni sugli effetti del tempo: la bellezza è destinata ad essere consumata dal trascorrere degli anni, mentre il ritratto la conserverà intatta e mostrerà anche in futuro un uomo giovane e bellissimo. Dorian esprime ad alta voce il desiderio che in contrasto con le leggi naturali sia il ritratto e non la sua persona a portare le tracce del tempo che passa. Da questo momento i rapporti tra Dorian e Lord Henry si fanno più stretti, gli incontri più frequenti, mentre le visite a Basil si diradano.
Durante uno dei suoi vagabondaggi per Londra, in cerca di nuove sensazzioni, il giovane Dorian assiste in un teatro di terz’ordine ad uno spettacolo shakespeariano in cui recita un attrice di straordinari talento e bellezza; colpito dalla ragazza, egli torna più volte a vederla recitare in vari ruoli e ben presto se ne invaghisce, amando più il personaggio della finzione teatrale che la donna vera. Sybil Vane, l’attrice, lo ricambia appasionatamente. Dorian le chiede di sposarlo e comunica la sua intenzione a Basil e Henry, che pur disapprovando la decisione, accettano di andare a teatro per vedere la ragazza, quella sera Sybil recita particolarmente male suscitando la collera di Dorian che, finito lo spettacolo, và a trovarla nel camerino per avere spiegazioni, la risposta della donna è chiara: da quando ha sperimentato l’amore di persona, l’irrealtà della finzione teatrale le è apparsa evidente ed insopportabile, al punto da renderla incapace di calarsi in quei personaggi che prima le sembravano la vita stessa. Dorian,  non intende ragione, la insulta e l’abbandona. Giunto a casa, ormai completamente disamorato, vede sulla bocca del ritratto un espressione di crudeltà che lo sfigura; da ciò comprende che il desiderio, espresso alcuni mesi prima, è stato misteriosamente esaudito e sarà perciò il ritratto a portare i segni  dell’invecchiamento e della corruzzione, mentre le sue fattezze conserveranno lo splendore della giovinezza e dell’innocenza. La scoperta turba profondamente Dorian, che decide di riparare al torto fatto a Sybil, alla quale scrive una lettera d’amore e di  pentimento, peraltro poco sincera, la lettera non verrà mai spedita, perché Sybil si è, nel frattempo, suicidata, sollevando così Dorian da responsabilità matrimoniali non desiderate. Ora si tratta di nascondere il ritratto in una stanza di cui solo lui abbia la chiave; li potrà spiarne indisturbato le trasformazioni.
Passano circa dieci anni,  nel corso dei quali il processo di degradazione continua. Dorian, si circonda di cose belle e rare, capaci di stimolare i sensi; si dedica ai piaceri raffinati ed a quelli più volgari; conduce alla rovina economica, al disonore ed anche al suicidio i giovani che hanno avuto la sfortuna di subire il fascino della sua intatta bellezza, e del suo gusto sofisticato. Il ritratto, specchio della sua anima mostra ora un’immagine disgustosa, segnata da rughe di vizio e coruzzione. Su Dorian iniziano a circolare voci inquietanti, perciò Basil che non ha mai cessato di nutrire affetto per lui, decide di fargli visita, prima di partire per Parigi con il treno di mezzanotte. Non trovandolo in casa e temendo di  perdere il treno, il pittore, decide di non aspettarlo oltre. Mentre si dirige verso la stazione, lo incontra e torna a casa di Dorian; quì chiede spiegazioni sulle voci che circolano. Dorian promette a Basil, che gli mostrerà la sua anima e lo conduce nella stanza misteriosa dove, gli fa veder il ritratto. Il pittore, chiede a Dorian di invocare, insieme a lui, la misericordia divina, ma il giovane preso dall’odio, lo pugnala alla gola. Le mani del ritratto si colorano di rosso.
Con l’aiuto di uno scenziato che egli ricatta, Dorian riesce a far sparire, il cadavere di Basil; la polizzia, più  tardi, non saprà spiegarne la scomparsa. La morte di Basil ed il suicidio dello scenziato, sconvolto dai rimorsi, non producono un autentico senso di colpa in Dorian, il quale è, però sempre più ossesionato dal ripugnante aspetto del ritratto perché, costituisce una prova della sua depravazione. Decide di cambiare vita e crede di compiere la sua prima buona azione dopo tanti anni, “risparmiando” una ragazza di campagna, che si è innamorata di lui. Guardando il ritratto nella speranza di vederlo migliorato, Dorian vi scopre invece, una nota di ipocrisia e di scaltrezza che prima non c’era. Egli pensa, che riuscirà a ritrovare la tranquillità, quando il ritratto sarà distrutto; dirige perciò il pugnale verso la tela. La servitù ode un urlo agghiacciante …. Il protagonista ha in realtà trafitto se e nel momento della morte le tracce del vizio segnano, come avrebbero dovuto, il suo volto, mentre il ritratto riaquista l’apparenza dell’originaria, innocente giovinezza.
[riassunto de Il ritratto di Dorian Gray di O. Wilde]


2.2 Individua gli incisi, sottolineandoli e mettendo la punteggiatura necessaria.
Nick un trentenne originario del Middle West e laureatosi a Yale decide di trasferirsi a New York, dove trova lavoro come agente di borsa. Si stabilisce a Long Island, in una minuscola casa con giardino che Nick ha affittato e che è accanto ad un imponente palazzo con parco, proprietà di Jay Gatsby. È proprio la storia di Gatsby che Nick vuole raccontare.
La vicenda narrata si svolge nell’estate del 1922 (nell’ultimo capitolo apprendiamo che viene rievocata da Nick a due anni di distanza), quando Daisy che è sua cugina lo invita nella sua splendida villa. Nick va a trovare la cugina e rimane impressionato dall’eleganza della casa e degli abiti di Daisy. Al contrario il marito Tom che giudica il resto del mondo dall’alto della sua posizione e che è attratto dalle ideologie razziste si presenta anche fisicamente con tutta l’arroganza del potente. Fin dall’inizio viene chiarito che il matrimonio di Tom e Daisy non è felice, perché il marito ha una relazione extracomiugale con una donna che proprio la sera in cui Nick viene invitato dalla cugina non si fa scrupolo di telefonargli a casa. Tornato a casa nel chiarore lunare Nick intravede la sagoma di un uomo nel giardino del vicino: è la prima apparizione di Gatsby, che contempla le stelle e tende poi le braccia verso l’acqua. Guardando nella stessa direzione, Nick riesce a vedere solo una minuscola luce verde, forse l’estremità di un molo.
Poco tempo dopo quell’invito una domenica pomeriggio Tom e Nick vanno insieme a New York in treno. In quest’occasione durante una lunga sosta del treno ad un ponte levatoio scendono dal convoglio ed entrano nello squallido garage di George Wilson, in cui  tutto è coperto della cenere dei vicini inceneritori. Qui incontrano George e la moglie Myrtle. Quest’ultima all’insaputa del marito è l’amante di Tom ed è fisicamente l’opposto di Daisy: Myrtle è florida, volgare e dotata di una vitalità animale da cui deriva probabilmente molto del suo sex appeal mentre Daisy è leggera e raffinata.

2. 3 Correggi gli errori, eliminando le virgole sbagliate, spostandole in un’altra posizione, aggiungendole oppure  trasformandole in punti. Precisa, inoltre, quale errore è stato commesso:
A - è stata messa una virgola tra soggetto e verbo;
B - è stato segnato in modo errato il confine tra due proposizioni (il vero confine passa prima/ dopo di quello segnato dalla virgola);
C - è stata messa una virgola sola nell’inciso;
D - è stata messa una virgola invece di un punto (o di un punto e virgola);
E - altre possibilità.

Anche Myrtle va a New York, ma in un compartimento diverso da quello in cui viaggiano Nick e Tom. I tre si ricongiungono in città, dove Tom, ha affittato un appartamento. Nick ha modo di vedere la casa, che nell’arredo corrisponde all’idea di lusso concepita da una donna di bassa condizione e cultura e di partecipare ad una festicciola a cui sono invitati alcuni vicini. La festa si conclude male: irritato da Myrtle perché ha osato pronunciare ripetutamente il nome di Daisy, Tom la colpisce al naso, l’ultima scena vista da Nick, prima di tornare a casa con il treno delle quattro è quella di Myrtle che perde sangue dal naso e cerca di stendere sulla bella tappezzeria una copia del Town Tattle, un giornale scandalistico di cui è un’appassionata lettrice.
L’incontro tra Nick e Gatsby, avviene durante una festa a cui viene invitato dal suo ricco vicino. Le feste di Gatsby si distinguono per la grandiosità della messa in scena e la generosità. Tra gli ospiti nessuno, conosce veramente Gatsby, sul cui passato circolano voci inquietanti. A Nick Gatsby non appare minaccioso, ma chiuso in una sorta di solitudine.
Dopo questo primo invito, Nick ritorna altre volte a trovare Gatsby finché, una mattina di luglio avanzato è Gatsby arrivando a bordo della sua lussuosa automobile a ricambiare la visita. Insieme andranno in città e durante il percorso Gatsby racconterà qualcosa di sé a Nick: episodi che sembrerebbero inventati se non fosse per le prove materiali - una medaglia, una foto - che Gatsby esibisce a sostegno delle sue affermazioni. Gatsby dice di appartenere ad una ricchissima famiglia, di avere studiato ad Oxford e, allude ad una non meglio precisata “cosa triste”, che lo avrebbe indotto a cercare la morte sui campi di battaglia. A colazione con Gatsby, Nick viene coinvolto in una conversazione a tre a cui partecipa il signor Wolfshiem un giocatore d’azzardo e losco affarista che è conoscente di Gatsby. Più tardi Nick rimane solo con Jordan, un’amica di Daisy e ne riceve le confidenze, Jordan gli rivela tutto sulla “cosa triste” accaduta a Gatsby. Nel 1917 Jordan aveva visto Gatsby e Daisy l’uno accanto all’altra nella spider della ragazza: il modo in cui Gatsby guardava Daisy le aveva rivelato quanto grande fosse l’amore che nutriva per la donna, Gatsby era poi partito per la guerra e Daisy, dopo una periodo di depressione, aveva ripreso la sua vita mondana di sempre e finito per sposare Tom nonostante, il giorno stesso delle nozze avesse ricevuto una lettera di Gatsby e pensato per qualche ora di lasciar tutto. Erano presto seguiti i tradimenti di Tom e la nascita di una bambina. Gatsby divenuto ricco, aveva acquistato una casa a West Egg per essere vicino a Daisy e chiesto a Jordan di intercedere per lui presso Nick perché, invitasse Daisy a casa sua: la visita a casa di Nick sarebbe stata per Gatsby l’occasione per avvicinare la donna amata e mostrarle la sua casa. Al termine della conversazione Nick, attira a sé Jordan e l’abbraccia.
Gatsby può finalmente incontrare Daisy e mostrarle la sua casa, mentre Nick dopo aver fatto da tramite, si ritira discretamente dal gioco. Dopo cinque anni Gatsby, sembra realizzare finalmente la sua illusione: l’amore per una donna o, meglio, per l’immagine di lei che gli riempie la mente. L’incontro con Daisy costituisce l’inizio di una relazione che nella mente di Gatsby dovrebbe riannodare il filo del loro rapporto che, è stato interrotto cinque anni prima; nonostante gli ammonimenti di Nick, Gatsby è convinto, di poter “ripetere il passato” e vorrebbe che Daisy andasse da Tom e gli dicesse: “Io non ti ho mai amato”.
A questo punto del racconto, Nick ricostruisce il passato di Gatsby il cui vero nome è James Gatz in una versione attendibile. Le origini di Gatsby erano modeste, ma la potente immaginazione e l’ambizione lo avevano presto proiettato verso una realtà più luminosa e seducente di quella quotidiana: “... il cuore era in costante, tumultuosa rivolta. Le idee più strambe e fantastiche lo assillavano, la notte, nel suo letto. Un universo di indicibile sfarzo si tesseva e disfaceva nel suo cervello, mentre l’orologio ticchettava sul lavabo e la luna, gli inzuppava di luce umida gli abiti sparpagliati sul pavimento. Ogni notte aggiungeva qualcosa al nucleo delle sue fantasie finché, la sonnolenza non stringeva su qualche vivido scenario il suo oblioso abbraccio.”  La possibilità di dare una svolta alla propria esistenza era stata offerta a Gatsby che aveva allora diciassette anni, dall’incontro con il miliardario Dan Cody quando, il suo yacht aveva gettato l’ancora in un insidioso bassofondo del Lago Superiore e il ragazzo lo aveva informato dei pericoli che correva. Era stato presto assunto sullo yacht, trascorrendo i cinque anni successivi con il miliardario, fino alla sua morte.

2. 4 Correggi gli errori ortografici.

Matura intanto la tragedia. In un afosa giornata estiva, Gatsby, Nick e Jordan incontrano Tom e Daisy nella loro casa: Gatsby e Daisy non fanno nulla per nascondere il loro amore, mentre Tom, che pure tradiscie continuamente la moglie, non sopporta che lei gli sia infedele e cova un odio terribile nei confronti di Gatsby, a stento mascherato dalle buone maniere. Per sfuggire alla noia, decidono di andare tutti a New York con le auto di Gatsby e Tom. Più tardi, in un’appartamento di un prestigioso hotel affittato per l’occasione, Gatsby, di fronte a Tom, chiede a Daisy di dichiarare che ha amato sempre e solo lui e di abbandonare il marito. Daisy, pur con qualche riluttanza, dice di avere (quasi) sempre amato Gatsby, ma quando Tom, che ha compiuto indagini sul conto del rivale, fà pesanti insinuazioni sul passato di Gatsby, sui suoi rapporti con Wolfshiem e sulla sua attività di contrabbandiere di alcolici, la sicurezza di Daisy vacilla; Gatsby nega ogni cosa e difende il suo buon nome, inducendo invece Daisy a ritrarsi sempre più in se stessa. Rientrano tutti a casa: Gatsby e Daisy sull’auto gialla di lui; gli altri sulla vettura di Tom. Sulla strada del ritorno, passando davanti al garage di Wilson, Tom, Nick e Jordan vengono a sapere che Myrtle è stata travolta e uccisa da un’auto che non si è fermata. Capiscono che si tratta dell’auto di Gatsby; Tom non può trattenere le lacrime ed imprecare all’indirizzo di Gatsby. Più tardi Nick incontra Gatsby appostato accanto alla casa di Daisy, pronto ad accorrere in suo aiuto nel caso il marito voglia farle del male, ed apprende che al volante dell’auto non c’era Gatsby - che ha tuttavia l’intenzione di assumersi ogni responsabilità -, ma Daisy. Avvicinatosi alla finestra della dispensa, Nick scorge Tom e Daisy seduti uno accanto all’altra al tavolo di cucina: “Non erano felici, e nessuno dei due aveva toccato il pollo o la birra - e tuttavia non erano neanche infelici. Vi era, in quel quadro, un evidente aria di intimità, e chiunque avrebbe detto che stavano, insieme, complottando qualcosa".
Verso l’alba del mattino successivo all’incidente, Nick và a casa di Gatsby e lo trova triste e senza speranza. Gatsby gli racconta del suo passato: Dan Cody, il primo incontro con Daisy, l’innamoramento, il comportamento valoroso tenuto in guerra, l’università di Oxford, dove era potuto entrare grazie ad un’opportunità offerta agli ufficiali statunitensi (ma era stato malvolentieri perché da Daisy avevano iniziato ad arrivargli lettere piene di inquietudine), la notizia del matrimonio di Daisy. Più tardi i due fanno colazione insieme e poi Nick si reca al lavoro. Il resto del racconto è la ricostruzzione di quello che è accaduto a West Egg ed al garage di Wilson nella notte ed il giorno successivo, durante l’assenza di Nick, che pertanto narra qualcosa di cui non è stato testimone. Wilson ha vissuto una notte d’incubo, in cui ha maturato l’intenzione di uccidere l’autista dell’auto gialla, che egli ritiene l’amante, poi l’assassino volontario della moglie. Al mattino si mette pertanto alla ricerca dell’auto gialla e nel pomeriggio giunge a casa di Gatsby, che è in piscina: gli spara e poi si uccide. Nick, tornato dal lavoro, ne scopre il cadavere, che la servitù probabilmente fingeva di non vedere.
Nick si preoccupa di organizzare il funerale. Il corteo funebre è composto da Nick, dal padre di Gatsby, giunto dal Minnesota, e da uno solo ospite tra i tantissimi che venivano invitati agli affollati ricevimenti di Gatsby. Nessun altro: ne il suo socio d’affari Wolfshiem, che non partecipa per non essere coinvolto, ne Daisy, che è partita insieme al marito senza dare altra notizia di se.  Più tardi Nick decide di ritornare nel Middle West, perché l’Est è diventato per lui, dopo la morte di Gatsby, una sorta di incubo. Dice addio a Jordan. Più tardi, un pomeriggio verso la fine di ottobre, gli accade di incontrare Tom, che, messo alle strette, gli rivela di aver fatto a Wilson il nome del proprietario dell’auto gialla. Non ne è affatto pentito. Nick conclude con un commento sulla noncuranza di Tom e Daisy: “Noncuranza e confusione. Erano noncuranti, Tom e Daisy - schiacciavano cose e persone e poi si ritiravano nel loro denaro e nella loro enorme noncuranza, o qualunque altra cosa che li teneva uniti, e lasciavano che altri provvedessero a risistemare i pasticci che provocavano...”.
L’ultima sera della sua permanenza a West Egg, Nick sosta davanti alla casa abbandonata di Gatsby e sciende poi alla spiaggia. Si mette a fantasticare al pensiero dei primi olandesi giunti nel Nuovo Mondo. [riassunto del romanzo Il grande Gatsby di F. Scott Fitzgerald]

2.5 Traduci graficamente i rapporti di coordinazione e subordinazione dei seguenti periodi.
- Il matrimonio di Tom e Daisy non è felice, perché il marito ha una relazione extracomiugale con una donna che proprio la sera in cui Nick viene invitato dalla cugina gli telefona a casa.

- Dopo essere diventato ricco Gatsby aveva acquistato una casa a West Egg per essere vicino a Daisy e aveva detto a Jordan di parlare a Nick perché voleva che invitasse Daisy.

 

- Il corteo funebre è composto da Nick, dal padre di Gatsby, che è giunto dal Minnesota, e da uno solo ospite tra i tantissimi che venivano invitati agli affollati ricevimenti di Gatsby.

 


2.6 Il testo che segue presenta errori ortografici e di punteggiatura: effettua le correzioni necessarie precisando, nel caso degli errori di punteggiatura, di quale errore si tratta. La punteggiatura risulta errata per uno dei seguenti motivi:
A – virgola tra soggetto e verbo,
B – una virgola in meno nell’inciso,
C – virgola sistemata in modo errato a segnare il confine tra due proposizioni (il confine passa prima o dopo quanto segnalato dalla virgola),
D – virgola usata in modo errato al posto del punto,
E – virgola tra il verbo della proposizione reggente e la proposizione oggettiva o soggettiva (la virgola non deve mai separare il soggetto o l’oggetto dal verbo, neppure quando il soggetto o l’oggetto sono intere proposizioni),
F – altre possibilità

Laura Willowes la protagonista del romanzo, cresce in campagna nella tenuta di Lady Place, dove mobili e vecchi oggetti conservano il ricordo delle precedenti ge­nerazioni dei Willowes, la mor·te della madre, avvenuta quando Laura è già grande la rende responsabile della gestione della casa; il padre, fabricante di birra, ha per lei più che per i figli maschi una particolare predilezione e le consente di deci­dere in piena libertà, cosa tutt’altro che frequente nell’epoca in cui è ambienta­ta la storia (alla fine dell’Ottocento nonostante il movimento delle suffragette i poteri decisionali delle donne erano piuttosto limitati). L’esistenza di Laura è tranquilla ma, appagante: ha un intensa vita interiore; si dedica a letture poco a­datte alla sua età ed al suo sesso, alla raccolta di erbe selvatiche ed alla disti1lazzione; non si preoccupa in contrasto con la morale corrente, di trovare marito e rifugge dalle mondanità, che la annoiano. Questo stato di grazia, ha termine, quando il padre di Laura muore. Ella, possedendo una discreta rendita, potrebbe vivere sola e amministrare il suo patrimonio, ma le idee morali dell’epoca non lo consentono, per cui i fratelli che vogliono salvaguardare 1’onore della famiglia decidono che Laura andrà a vivere con Henry a Londra, lasciando Lady Place a James, 1’altro fra­tello.
Laura và a Londra ed affianca la cognata Caroline una donna particolarmente efficiente benché di vedute un po’ limitate nei lavori domestici e nella gestione della casa. Viene coinvolta nella quieta e convenzionale vita di una famiglia altoborghese, con il suo attivismo ingiustificato, ed i suoi vuoti rituali. La vera Laura si nasconde dietro la paziente e disponibile zia Lolly nomignolo che le è stato assegnato dalla più piccola delle nipoti, lasciando che la sua autentica personalità emerga solo nella solitudine dei suoi vagabondaggi segreti, ai quali si abbandona, quando i suoi doveri le lasciano un po’ di respiro, nel periodo della stagione autunnale poi Laura viene colta da un inquietudine immotivata e da improvvise visioni di lande desolate e prati al margine dei boschi.
La decisione di lasciare tutto giunge improvvisa, dopo vent’anni di vita londine­se. Laura che ha ormai quarantotto anni entra in un piccolo e rustico negozio dove, frutta, verdura e fiori convivono piacevolmente e senza riflettere si trova a chie­dere da dove vengono i crisantemi che ha appena aquistato e che tanto 1’hanno attratta per il loro aroma di boschi scuri e frusianti. Alla risposta che provengono dal­le Chiltern Hills, la decisione di trasferirsi là è immediata. I1 luogo prescelto è Great Mop, dove Laura con la piccola rendita che le è rimasta dopo le speculazioni sbagliate del fratello va ad abitare, pensando, una volta ogni tanto, solo a se.
Great Mop un villaggio tra le colline le piace subito sebbene, le antiche abitu­dini di una vita metodica e diretta ad uno scopo non la abbandonino subito: munita di una cartina della zona, si accinge ad un’esplorazione sistematica ed accurata preoccupata di raggiungere un’obiettivo ad ogni escursione ma con 1’atto simbolico di gettare la mappa in un pozzo si libererà da questa assurda costrizione all’attivismo, che si pone sempre risultati da conseguire. Anche i rapporti so­ciali si presentano sotto una nuova veste;: non falsati dal desiderio di essere a tutti i costi cortesi. Quanto agli abitanti di Great Mop, rispetto al metro di giudizio della società urbana sono sicuramente schivi senza arrivare alla selvati­chezza e soprattutto sembrano avere un intensa vita notturna.
Il rapporto tra Laura e la natura si fà più intenso e più semplice, con un abbando­no mai conosciuto prima. A riportarla alla vita passata giunge il nipote Titus che, ha deciso di stabilirsi a Great Mop per qualche tempo per scrivere un libro. Il luogo, lo attrae e, con la sua giovanile irruenza minaccia la tranquilla vita di Laura, che, per lui è ancora la paziente zia Lolly che ha conosciuto fin dall’infanzia. Mentre stà a casa di- Laura senza preoccuparsi del disagio che provoca, la donna inizzia a covare contro di lui un rancore ansioso perché, egli le dimostra ad ogni istante che la servitù passata può essere ristabilita. In preda allo sconforto, Laura-Lolly si ri­fugia in un solitario ricovero naturale, 1’unico ancora protetto dall’invadenza di Titus. Quì invoca un’aiuto e le sembra di avere una risposta positiva dalla natura. Ritornata più tranquilla a casa, scopre nella sua stanza uno sparuto gattino nero, che la ferisce ad un dito con un grafio. Laura comprende, per una sorta di intuizio­ne improvvisa che la goccia di sangue uscita dal dito ha sigillato un patto con Satana, di cui il gattino ribattezzato Aceto, è un messaggero. Poco tempo dopo, Laura vie­ne condotta dall’affittacamere Mrs. Leak ad un sabba (= riunione delle streghe) dove, incontra gran parte degli abitanti del villaggio. Dopo un iniziale coinvolgimento nella danza sfrenata, Laura si ritrae perché, prova lo stesso disagio che provava, in giovinezza, durante le fe­ste, alle quali, in genere si annoiava. Con ciò il patto diabolico non è sciolto; semplicemente, ognuno stabilisce con il demonio un’accordo che ne lascia inalterata la personalità, libero di rifiutare ciò che non gli piace. Dopo aver abbandonato il luogo del sabba Laura, si siede su un prato e si addormenta, risvegliandosi al­1’alba ed incontrando un gentile e rassicurante guardiacaccia, che ella, riconosce come Satana. Ormai Laura, in cui era presente una naturale predisposizione alla stre­goneria è diventata a tutti gli effetti una strega.
L’aiutante di Laura, il gattino Aceto, provvede a creare, con spirito bizzarro ed un po’ crudele, inconvenienti che rendano la vita di Titus impossibile e lo inducano a lasciare Great Mop: fà cagliare il suo latte, infettare la ferita ad un dito e riem­pire le stanze di fastidiose mosche. il colpo di grazia viene dallo stesso Satana; Ti­tus viene assalito da uno sciame di api, sotto lo sguardo indifferente di Laura, e più tardi, ritornato a casa, vi trova Pandora Williams, alla quale rivela il suo amo­re, decidendo immediatamente il fidanzamento ed il ritorno a Londra, finalmente sollevata al pensiero della partenza di Titus, Laura malvolentieri lo accompagna fino alla stazione più vicina, aspettando la corriera che deve riportarla a Great Mop, la donna sale su di una collina dietro la quale le appaiono le cupole dorate della "follia di Maulgrave", un mausoleo di cattivo gusto, voluto dall’eccentrico signor Maulgr·ave. Da­gli alberi che circondano il sepolcro, esce un giardiniere in cui Laura riconosce Sa­tana, conversano tranquillamente insieme: egli appare un essere gentile, la cui fama di spirito malvagio appare ingiustificata, Laura esprime la sua convinzione che, vi sia in tutte le donne una naturale predisposizione alla stregoneria, mentre le rego­le del vivere sociale le condannano ad un’esistenza grigia e convenzionale. [riassunto del romanzo Lolly Willowes e l’amoroso cacciatore di Laura Townsend Warner]

 


2.7 Il testo che segue presenta errori ortografici e di punteggiatura: effettua le correzioni necessarie precisando, nel caso degli errori di punteggiatura, di quale errore si tratta. La punteggiatura risulta errata per uno dei seguenti motivi:
A – virgola tra soggetto e verbo
B – una virgola in meno nell’inciso
C – virgola sistemata in modo errato a segnare il confine tra due proposizioni (il confine passa prima o dopo di quanto segnalato dalla virgola)
D – virgola usata in modo errato al posto del punto
E – virgola tra il verbo della proposizione reggente e la proposizione oggettiva o soggettiva (la virgola non deve mai separare il soggetto o l’oggetto dal verbo, neppure quando il soggetto o l’oggetto sono intere proposizioni)
F – altre possibilità

La novella inizia con un annuncio sul giornale: una signora rimasta vedova, la marchesa di O... chiede al padre sconosciuto del bambino che porta in grembo - è incinta ma non sa come - di farsi conoscere, promettendo, per riguardo alla famiglia, di sposarlo. Un successivo flash back, racconta com’è giunta a questa decisione.
La vicenda si svolge nell’Italia settentrionale nell’importante città di M., in un età imprecisata, presumibilmente nel periodo delle guerre napoleoniche, la marchesa di O... viene presentata come una donna rispettabile che, dopo la morte prematura del marito è tornata a vivere con i genitori, conducendo una vita moralmente irreprensibile, decisa a non risposarsi e a dedicarsi interamente alla cura dei figli. Allo scoppio della guerra la marchesa si trova nella fortezza di cui il padre è comandante, e non si allontana in tempo per non essere coinvolta nelle operazioni militari. La piazzaforte, è sottoposta al fuoco nemico: fuggendo dagli edifici in fiamme insieme ai figli, la marchesa viene assalita da cinque soldati decisi a farle violenza. Come un angelo salvatore giunge un’ufficiale russo, che colpisce con forza gli assalitori e li costringe ad abandonare la preda. Si rivolge poi alla marchesa con i modi del perfetto gentiluomo: “offrì il braccio alla signora, parlandole cortesemente in francese, e la condusse ammutolita in un ala del palazzo non ancora lambita dalle fiamme, dove ella si abbattè del tutto fuor di coscenza”. Mentre la marchesa giace quì svenuta, il suo salvatore - il conte F., tenente colonnello del ...corpo dei cacciatori - si getta nuovamente nella mischia e si prodiga poi, dopo che il comandante si è arreso a spegnere l’incendio ed a portar fuori gli esplosivi dalla santabarbara, compiendo atti di autentico eroismo. In questa guerra, condotta, sembra, secondo le regole del codice cavalleresco, il generale in capo dell’esercito russo venuto a conoscenza del tentativo di violenza ai  danni della marchesa decide di punire con la morte i soldati, sentenza prontamente eseguita: nonostante la reticenza del conte F. a rivelarne l’identità - non ha potuto, dice, vederli  distintamente in volto -, i  colpevoli vengono individuati e fucilati. Il comandante e la sua famiglia vorrebbero adeguatamente esprimere la loro gratitudine al conte F., ma egli deve subito ripartire.
La famiglia, attende l’occasione per ringraziarlo, ma giunge la notizia che egli è stato colpito al petto ed è morto pronunciando la frase: “Giulietta! questa palottola ti vendica!”. La marchesa si rammarica di non potergli più esprimere la propria gratitudine e compiange la donna da lui invocata in punto di morte, che porta il suo stesso nome. Frattanto il padre costretto a lasciare ad un ufficiale russo il comando della fortezza si trasferisce in città con moglie, figli, nipoti. La vita sembra riprendere come di consueto, ma la marchesa manifesta presto i sintomi di una gravidanza. Poiché non sà spiegarsi come ciò possa essere avvenuto, rimuove questa bizarra idea.
Inaspettatamente, un giorno, viene annunciata la visita del conte F., che non è morto, anche se è stato gravemente ferito. Egli dice di avere ricevuto l’ordine di portare dei dispacci a Napoli e forse di proseguire per Costantinopoli, ma più che la missione gli stà a cuore la marchesa, di cui chiede immediatamente la mano. In seguito racconterà qualcosa su tale passione tanto precipitosamente concepita, in particolare il sogno fatto durante la degenza, quando l’immagine della marchesa si era trasformata in quella di un cigno su cui egli, bambino, aveva gettato fango e che, riaquistato il suo candore aveva continuato a scivolare placidamente sull’acqua, lontano da lui, il comandante è sorpreso dalla domanda di matrimonio e, pur non opponendo un netto rifiuto gli chiede di attendere e consentire alla figlia di approfondire la sua conoscienza. Il conte dichiara di essere un uomo d’onore: ha commesso nella propria esistenza una sola azione indegna e la stà già riparando... Il comandante non cambia idea, per cui il conte F. decide di assecondarne i desideri: non partirà affatto per Napoli e si fermerà a M., così la marchesa potrà conoscerlo meglio. La decisione del conte lascia ancora una volta stupefatti il comandante ed i suoi, visto che si tratta di una mossa suicida perché, non andare a Napoli ed inviare i dispacci attraverso qualcun altro significa compromettere l’esito della missione, subendo poi i provvedimenti disciplinari  previsti dal codice militare, la prigione o peggio. Più tardi la marchesa, pur tra incertezze e rossori, dichiara che, il conte non le dispiace e potrebbe, una volta tornato da Napoli, esaudire i suoi desideri qualora le informazioni raccolte su di lui risultassero positive; la madre, contenta di un nuovo matrimonio della figlia, propone una soluzione di compromesso: si potrà promettere al conte che, prima del suo ritorno da Napoli Giulietta non contrarrà impegni con nessun altro uomo. La proposta viene accolta da tutta la famiglia, benché il comandante dichiari di sentirsi battuto dal russo per la seconda volta, convocato, il pretendente accetta con gioia e parte alla volta di Napoli, promettendo di ritornare il più presto possibile.
Con il passare del tempo quella che sembrava un ipotesi inconcepibile - la gravidanza di Giulietta - diventa una realtà indiscutibile: prima il medico e poi la levatrice dichiarano che la donna è incinta, la madre è pronta a perdonarla purché ella confessi la propria colpa, ma la marchesa dice di non aver nulla da confessare. Verrà cacciata da casa dal padre furibondo, pronto addirittura a sparare contro il soffitto qualche colpo intimidatorio quando la figlia va da lui per parlargli. Ritiratasi in campagna con i bambini, la marchesa attende il figlio così oscuramente concepito.  Non cerca di riconciliarsi con il padre e non vuole pietà; dimostra di sapere badare a se. E’ a questo punto che, per conoscere finalmente l’dentità dello stupratore, decide di mettere l’inserzione sul giornale.
Ritorna il conte e viene a sapere che Giulietta è stata cacciata di casa. La raggiunge nella villa di  campagna cercando di parlarle, ma ne viene allontanato. Di fronte all’inserzione sul giornale e alla pubblicazione di una risposta  - lo sconosciuto  cercato dalla marchesa le dà appuntamento il giorno X  alle ore 11 nella casa paterna - il padre della marchesa rimane sulle proprie posizioni: pensa, che l’annuncio sia un’espediente per ottenere il suo perdono; la madre, al contrario, inizia a nutrire seri dubbi sulla colpevolezza della figlia e, nonostante l’opposizzione del marito, decide di andare da lei e sottoporla ad una prova escogitata per vagliarne l’innocenza. Le dice che lo sconosciuto si è presentato a palazzo  e di fronte all’ansiosa curiosità della figlia che vuole sapere chi è, dichiara che si tratta dell’attendente Leopardo, le reazioni di Giulietta non lasciano dubbi sulla sua innocenza e la madre non faticherà a convincere di ciò anche il marito. La marchesa è riammessa a palazzo.
Il giorno seguente è quello dell’atteso appuntamento. La marchesa pare decisa a rispettare la promessa fatta, sempre che lo sconosciuto non sia un criminale; i genitori ed il fratello ritengono invece che il matrimonio debba farsi solo nel caso egli sia di condizioni sociali accettabili, cioè non troppo inferiori a quelle di lei. Si presenta il conte F., vestito come il giorno fatale del loro primo incontro. Giulietta respinge le sue profferte d’amore, esclamando: “A uno scellerato ero preparata, ma non a un ---demonio!” Finirà per sposarlo, ma mantenendolo a debita distanza. Gli consentirà poi di andarla a trovare e di riconquistarla con un nuovo, secondo corteggiamento, condotto secondo le regole: “Quando il suo sentimento gli disse che da tutte le parti, grazzie al fragile ordinamento del mondo, era stato perdonato, riprese a fare la corte alla Contessa, sua sposa, e in capo a un’anno ne ricevette un secondo si...”. Il matrimonio si rivela felice. Una volta il conte chiede alla moglie perché lei, che era rassegnata a sposare qualsiasi mascalzone, lo aveva quel giorno rifiutato; Giulietta risponde che “non le sarebbe parso come un demonio quel giorno, se alla prima apparizione non fosse arrivato a lei come un angelo”. [riassunto de La marchesa di O. di H. von Kleist]


2. 8

  • Metti la punteggiatura dove è necessario (virgole, punti e virgola, due punti)
  • Dopo aver messo la punteggiatura necessaria, sottolinea le parole o le frasi che possono essere incisi

Un giovane in un tardo pomeriggio del 1830 entra in una casa da gioco parigina e viene notato dai presenti per lo sguardo pieno di dolore il colorito malsano e l’abito ordinato ma liso che lo qualificano immediatamente come “il principe” di quei derelitti che sono divorati dal demone del gioco dopo aver giocato la sua ultima moneta ed averla perduta esce dalla casa da gioco e va verso la Senna: ha in mente di gettarsi da un ponte ma è trattenuto dal pensiero che potrebbe essere visto e salvato dal momento che è ancora giorno mentre aspetta che faccia notte entra nel negozio di un antiquario e per passare il tempo si mette a curiosare fra strani oggetti, che sono accatastati in modo caotico, spesso con effetti bizzarri.
Sopraggiunge il padrone della galleria un misterioso vecchio in vestaglia nera il quale dopo aver conosciuto i cupi pensieri che attraversano la mente di Raffaello il giovane giocatore gli mostra un oggetto meraviglioso è una pelle di zigrino che come rivela una scritta in sanscrito è in grado di esaudire i desideri ma ad ogni desiderio si restringe e con ciò estingue un po’ della vita del possessore finché finiscono insieme lo zigrino e la vita sebbene l’antiquario giudichi la pelle di zigrino molto pericolosa e prospetti a Raffaello tutti i rischi del suo possesso il giovane che sembra invasato afferra la pelle di zigrino per portarla con sé per provare l’efficacia dell’oggetto magico Raffaello esprime ad alta voce i suoi primi desideri vuole partecipare ad un festa straordinaria come quella di un re e si augura che il vecchio antiquario che mai ha voluto innamorarsi si invaghisca di una ballerina.

2.9 Individua i possibili incisi presenti nel testo, sottolineandoli.

 

Appena uscito, sul ponte, Raffaello incontra Emilio, un amico che lo trascina alla festa del facoltoso e spregiudicato banchiere Taillefer, che ha invitato al suo splendido palazzo letterati, pittori, scienziati, giornalisti più o meno famosi. Emilio riferisce a Raffaello che il banchetto festeggia la fondazione di un nuovo giornale, che, finanziato dal banchiere, dovrebbe appoggiare la monarchia orleanista appena ascesa al potere. Nella sontuosa cornice del palazzo, dopo che la cena è degenerata in un’orgia sfrenata, in cui gli ospiti, ormai ebbri, si sono gettati nelle braccia di alcune belle cortigiane, Raffaello racconta ad Emilio il suo tumultuoso passato, che non può dimenticare e che lo ha condotto vicino alla morte. Finito il racconto, Raffaello si ricorda improvvisamente che ha in tasca il talismano, nei cui poteri ancora non crede, e lo pone su di un tovagliolo segnadone il contorno ed esprimendo il desiderio di diventare ricco. Poco tempo dopo giunge un notaio che Raffaello ascolta allibito, quando gli annuncia che ha appena ereditato una somma favolosa. Il giovane controlla la pelle di zigrino, che vede diminuita.

2.10 Rappresenta graficamente i rapporti di coordinazione e subordinazione tra le proposizioni e  precisa qual è la proposizione principale (PP).

Raffaello, ormai ricco, vuole salvaguardare la sua esistenza dal malvagio potere del talismano e pensa che non dovrà provare desideri, perché in questo caso la pelle di zigrino si restringerà sempre di più e lo avvicinerà alla morte, che ora egli teme

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2.11 Correggi gli errori di punteggiatura precisando di quale errore si tratta:
A – vi è una virgola tra soggetto e verbo o tra verbo e complemento oggetto,
B – vi è una sola virgola nell’inciso,
C – è stato segnato in modo errato il confine tra le proposizioni attraverso la virgola (il confine passa prima/dopo il punto in cui è stata messa la virgola),
D – “che” è stato preceduto da una virgola benché non si tratti di un pronome relativo ma di una congiunzione,
E – è stata messa una virgola là dove ci vorrebbe un punto (o un punto e virgola),
F – altri casi.

In continua ansia per ciò che gli può accadere Raffaello, si chiude nella sontuosa dimora che si è fatto costruire; fa installare dei meccanismi automatici che provocano l’apertura automatica di tutte le porte e tiene una carrozza pronta a partire davanti all’ingresso; soprattutto, interpone fra sé e il mondo il fedele servitore Gionata, che deve anticipare i suoi desideri ed esaudirli prima che egli li formuli. Raffaello che porta impressi in viso i segni della malattia, vive senza provare piacere, controllando ossessivamente la pelle dello zigrino, a spezzare la fittizia tranquillità di questa vita apparente, interviene l’incontro con Paolina, una donna un tempo amata, che egli rivede a teatro. La donna, è splendidamente vestita ed adorna di gioielli come egli aveva sempre sognato. La passione per Paolina torna a sgorgare nell’animo del giovane, che, dopo aver gettato lo zigrino in un pozzo si abbandona senza resistenze all’amore. A riportarlo alla coscienza della propria condizione, giunge un giardiniere che ha ripescato la pelle nel pozzo: anche ad una semplice occhiata Raffaello si accorge, che essa si è notevolmente rimpicciolita. Abbandona Paolina e decide, affidandosi alle ultime scoperte scientifiche di provare altre soluzioni: prima tenta di stendere la pelle con l’aiuto di agenti fisici e chimici e poi consulta medici famosi per guarire della oscura malattia che lo consuma, e lo rende ogni giorno più debole. I medici, gli prescrivono una cura che, se non lo guarirà non potrà certo nuocergli: egli, dovrà recarsi in una stazione termale e fare le cure del caso, Raffaello va ad Aix in Savoia, ma il soggiorno gli è penoso in quanto, le sue condizioni peggiorano ed è respinto ai margini della comunità dal disprezzo degli altri ospiti, che non tollerano la sua malattia. Un giovane, che si è incaricato di espellerlo gli dichiara pubblicamente, che la sua presenza non è gradita, con l’intenzione di giungere ad un duello che è sicuro di vincere. Raffaello accetta la sfida suo malgrado, perché sa che il talismano, lo aiuterà contro il rivale ma, ridurrà ulteriormente il tempo che gli rimane da vivere. Durante il duello la pallottola, sparata da Raffaello senza prendere la mira colpisce in pieno il suo avversario mentre, la pallottola del suo avversario finisce in un laghetto. [riassunto parziale de La pelle di zigrino di H. de Balzac]

 


2.11 Individua i possibili incisi presenti nel testo, sottolineandoli e mettendo le virgole da essi richieste.

La storia si svolge nell’epoca presente. Lo scrittore Jack Torrance accetta un lavoro stagionale di scarso impegno che dovrebbe lasciargli tempo sufficiente per scrivere il suo nuovo libro. Si tratta di trascorrere l’inverno in un grande hotel nelle Montagne Rocciose, riparando i piccoli guasti, riscaldando ora un’ala ora l’altra dell’immenso edificio, custodendolo nel miglior modo possibile in attesa della riapertura estiva. Il datore di lavoro dopo averlo convocato spiega a Jack tutto questo ed aggiunge che nell’hotel Overlook è avvenuto un fatto inquietante: il precedente custode impazzito improvvisamente ha ucciso e tagliato a pezzi la moglie e le due figliolette. Jack che non è affatto superstizioso non dà peso a queste parole e parte con la moglie ed il figlio Danny, uno strano bambino che nasconde ai genitori i suoi poteri paranormali e che non vorrebbe andare a vivere all’Overlook.
La famiglia dopo un lungo viaggio giunge all’hotel, nel momento in cui anche gli ultimi ospiti in corrispondenza della chiusura invernale se ne stanno andando. Jack e la moglie prendono in consegna l’edificio, di cui vengono loro mostrate le vaste cucine, dispense, sale, mentre Danny fa conoscenza con il cuoco nero anch’egli dotato di facoltà extrasensoriali che gli spiega in termini accessibili ad un bambino la natura dei suoi poteri, che chiama “shining” ovvero in traduzione italiana “luccicanza”. Gli dice poi che nell’hotel sono accaduti fatti terribili e che il luogo ne è rimasto impregnato, vietandogli di entrare nella stanza 237. Una volta che clienti e personale se ne sono andati, Jack, la moglie e Danny rimangono soli, isolamento che è reso assoluto dalle continue nevicate e dai guasti alla rete telefonica.

 

2.12 Alcune virgole sono errate e dovrebbero essere sostituite da punti. Effettua la correzione, mettendo (dove necessario) i punti al posto delle virgole e la lettera maiuscola.

Mentre Jack si accinge a scrivere il suo libro, Danny fa passeggiate con la madre o corre con il triciclo nei lunghi corridoi dell’hotel, che formano un angosciante percorso labirintico, anche fuori, nel cortile, vi è un grande labirinto di vegetazione - alte siepi ne formano il tracciato - prima verde e poi bianco per le nevicate, Jack diventa sempre più intrattabile: non vuole essere disturbato nel suo lavoro e rimprovera violentemente la moglie che, a suo dire, lo deconcentra, ingiungendole di non farsi più vedere nella stanza dove è intento a scrivere, Danny, che già prima di partire ha avuto delle visioni, vede ora nei corridoi due gemelle che lo invitano a giocare con loro “per sempre”, poi gli appaiono morte in una pozza di sangue, la stanza 237 inoltre esercita un potente richiamo sul piccolo, ma egli, ricordando le parole del cuoco, resiste alla tentazione di entrarvi, tuttavia, un giorno, credendo che la madre sia nella camera, la cui porta è socchiusa, finisce per varcarne la soglia, non vediamo ciò che gli accade, ma più tardi ci appare muto per il terrore e con gli abiti strappati, la madre chiede a Jack che vada a controllare la stanza, pensando che qualche estraneo si sia introdotto nell’albergo, Jack, come Danny, varca la soglia ed entrato nella stanza da bagno, vede uscire dalla vasca, nuda ed invitante, una donna che va verso di lui e lo abbraccia, dopo essersi abbandonato con voluttà al suo bacio, Jack si accorge con raccapriccio che ella sta decomponendosi tra le sue braccia.

2.13 Correggi gli errori, eliminando le virgole sbagliate, spostandole in un’altra posizione, aggiungendole o trasformandole in punti. Precisa, inoltre, quale errore è stato commesso tra i seguenti:
A - è stata messa una virgola tra soggetto e verbo;    
B - è stato segnato in modo errato il confine tra due proposizioni (il vero confine passa prima/ dopo di quello segnato dalla virgola);
C - è stata messa una virgola sola nell’inciso;
D - ‘che’ è stato preceduto/ seguito da una virgola, benché in questo caso non sia un pronome relativo;
E - altre possibilità.

Jack fugge via, ma anziché abbandonare al più presto l’hotel, si lascia prendere dalla sua malefica influenza. Esso, si popola per lui di figure: i camerieri, i clienti, i musicisti di una festa che, come gli abiti, le musiche, etc. stanno a dimostrare si svolge nel passato, cinquanta o sessant’anni prima, Jack, completamente preso nella rete non si stupisce affatto, si inserisce nella festa ed ascolta un cameriere che ha il nome del custode assassino e gli dice di aver “punito” la moglie e le figlie troppo invadenti, consigliandogli di fare altrettanto. Ormai Jack è determinato ad uccidere la moglie ed il figlio.
Dopo aver sospettato la presenza di estranei nell’hotel la donna, si rende conto del pericolo rappresentato dal marito e trova conferma ai suoi sospetti quando, legge le numerose pagine da lui scritte in quei giorni; su ognuna compare, ripetuto ossessivamente, un insignificante proverbio: “Il mattino ha l’oro in bocca”. Dunque, Jack è impazzito ed il suo sguardo allucinato e malvagio dimostra che ha intenzione di uccidere: questo pensa probabilmente la donna, che, quando egli le si avvicina è pronta a colpirlo con una mazza da baseball ed a rinchiuderlo, svenuto, nella dispensa.
Per lei e per Danny, però la fuga dalla casa è impossibile: fuori la natura è sconvolta da una tormenta mentre, il gatto delle nevi è stato messo fuori uso da Jack, il quale si è, inoltre preoccupato di guastare anche la ricetrasmittente. Nel frattempo il cuoco, chiamato telepaticamente da Danny giunge all’hotel, in tempo per distogliere l’attenzione di Jack, che, uscito dalla dispensa con l’aiuto dei malvagi spiriti del luogo è sul punto di uccidere a colpi d’ascia la moglie. Egli, abbandona la sua vittima terrorizzata, dirige la sua arma contro il cuoco e lo uccide; poi inizia, questa volta, ad inseguire Danny che, gridando per la paura, ha rivelato la sua presenza. Il bambino fugge all’aperto, nella gelida notte, con il pazzo alle calcagna, per fortuna, dopo il colpo ricevuto dalla moglie che lo ha stordito e fatto cadere dalle scale, Jack , zoppica e non è abbastanza veloce. La caccia prosegue nel labirinto di neve dove, Danny si è rifugiato; la madre chiama disperatamente il bambino, che, con un trucco riesce a ritornare verso l’uscita del labirinto. Danny e la madre si allontanano sul gatto delle nevi con cui è giunto il cuoco mentre, Jack si accascia al suolo, forse colpito da un attacco di cuore, ed incapace di muoversi  per ritornare nell’hotel, muore assiderato.
L’immagine finale mostra una foto appesa ad una parete dell’hotel: si vede una festa, una folla di gente felice con Jack sorridente in primo piano. La fotografia porta una data: 1921.
[riassunto del film Shining di S. Kubrick]

2.14
a) Traduci graficamente i rapporti di coordinazione e subordinazione del seguente periodo.
b) Spiega se ci troviamo di fronte ad un esempio di ipotassi o di paratassi, motivando la tua scelta.

Lo scrittore Jack Torrance accetta un lavoro stagionale di scarso impegno che dovrebbe lasciargli tempo sufficiente per scrivere il suo nuovo libro e vivere accanto alla famiglia, a cui vuole molto bene.


Verifica finale

2. 15 Metti l’accento dove ti sembra necessario.

 

1. Sono stanchissima. Non sto affatto bene, forse ho la febbre.

 

/

 

2. Fatti sentire se torni in città: non mi telefoni mai e io mi chiedo sempre se sei ancora vivo.

 

/

 

3. Rifletteva tra se e se, chiedendosi: “Devo rimanere qui oppure è meglio che mi trasferisca da lei?”

 

/

 

4. Non voglio che tu mi veda piangere, ne voglio la tua compassione.

 

/

 

5. Avvenne tre estati fa. Fu un incontro meraviglioso! La, sulla spiaggia, al chiaro di luna...

 

/

 

6. Se ne ando da casa, portando con se solo pochi oggetti personali.

 

/

 

7. Fu veramente un gran pranzo, in particolare la torta. Infatti non ne rimase neppure una briciola.

 

/

 

8. Non vorrei rattristarti, ma dei due uomini di cui ti sei innamorata non credo ti amasse nessuno: ne Marco, ne Stefano.

 

/

 

9. Va ogni giorno al lavoro in treno: non ne può più.

 

/

2.15 Riempi i punti vuoti con una delle seguenti espressioni: se / sé / s’è / ne / né / n’è / ce/ c’è / la / là / l’ha (anche combinate insieme come nelle espressioni “ce n’è”, “ce ne”, “se n’è” e simili).

 

1. ..... innamorato di una ragazza che non ..... vuole sapere di lui.

 

/

 

2. ..... sul ramo ..... posato un gufo che ci guarda fisso con i suoi occhi tondi. ..... da averne paura!

 

/

 

3. Non avercela con lui. Ti sbagli quando pensi che lui non ..... ..... con te: in realtà ti vuole bene.

 

    /

 

4. ..... amato per anni, poi ..... ..... dimenticata!

 

/

 

5. ..... ..... sono tanti come lui: uomini senza scrupoli, che per fare carriera venderebbero ..... madre ai beduini!

 

/

 

6. ..... vista mentre usciva di casa con il figlio, ma a causa dell’amnesia che ..... colpito non ha riconosciuto lei ..... il piccolo.

 

/

 

7. Frodo è arrivato al cratere di Monte Fato dove deve gettare l’anello. L’hobbit ..... con ..... ma ormai il potere dell’anello su di lui è tale che ..... ..... vogliono di sforzi per gettarlo ..... dentro!

 

    /

8. Per fortuna dietro di lui ..... Gollum che gli salta addosso per prendergli l’anello, di cui non ..... dimenticato e che ha seguito ovunque nella speranza di riappropriarsene.

 

 

/

9. ..... Frodo fosse riuscito a conservare l’anello il Male avrebbe trionfato, ma per fortuna tanto Gollum che l’anello precipitano nel cratere senza che Frodo possa afferrare ..... il piccolo essere mostruoso, ..... l’anello che è rimasto attaccato al dito che Gollum gli ha staccato con un morso.

 

 

/

 

10. Ora che la storia ..... conclusa, nasceranno molte ballate che canteranno le gesta di Frodo dalle nove dita.

 

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2.16 Rispondi alle seguenti domande.

a. Spiega che cosa è la sintassi.
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b. Spiega che cosa è un errore lessicale e dai un esempio di errore lessicale.
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c. Dai un esempio di errore di punteggiatura e spiega perché è sbagliato.
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...........................................................................................................................................................................

 

 

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2.17 Il passo che segue è quasi completamente privo di punteggiatura: metti punti, punti e virgole, due punti e virgole dove ti sembra necessario.

Ismaele per sfuggire allo stato di depressione in cui si trova decide di imbarcarsi su di una nave baleniera pernotta in una locanda in attesa di imbarcarsi per Nantucket il più antico centro baleniero del New England e gli accade di trovarsi in camera con il pellerossa Queequeg che alla fine nonostante i suoi strani comportamenti diventa suo sincero amico i due si imbarcano sul Pequod una vecchia nave bizzarramente decorata con denti e ossa di balena che biancheggiano in modo lugubre sullo sfondo nero dello scafo.
Il capitano della nave di nome Achab entra in scena solo quando la nave è ormai salpata ma ancora prima di vederlo veniamo a sapere che è un individuo misterioso ritornato invalido dall’ultimo viaggio in cui una straordinaria balena bianca gli ha rovinato una gamba provocandone l’amputazione l’ossessione di Achab è evidente fin dalla prima apparizione quando inchioda un doblone d’oro all’albero maestro promettendolo a chi per primo avvisterà la balena responsabile della sua gamba di legno l’esaltato discorso di Achab contro la gigantesca creatura convince i marinai che lo seguiranno fino alla fine con entusiasmo come se fossero ipnotizzati dalla sua personalità la balena è per lui simbolo del male a causa della sua fronte rugosa e corrucciata della straordinarie dimensioni del colore bianco e del comportamento pieno di malizia.

 

  

 

  
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2.18 Il passo che segue contiene errori di punteggiatura e errori di ortografia. Correggi gli uni e gli altri e nel caso degli errori di punteggiatura specifica con una lettera di quali errori si tratta:
A – una virgola tra soggetto e verbo,
B – una virgola in meno nell’inciso,
C – una virgola là dove ci vorrebbe un punto (o un punto e virgola o i due punti),
D – un confine errato tra proposizioni.
La correzione della punteggiatura consisterà nell’eliminare la virgola (A), nell’aggiungere una virgola (B), nel mettere un punto /punto e virgola / due punti al posto della virgola (C), nello spostare la virgola in un’altra posizione (D).

Per lungo tempo le attività del Pequod vanno avanti come di consueto: caccia, squartamento della balena, raffinazione dell’olio, e sua raccolta in barile. Ad un certo punto, però, giunge il momento di volgere la prua verso la zona in cui incrocia la balena Moby Dick. Da questo istante in poi il susseguirsi degli eventi si fà più rapido e i cattivi presagi, si accumulano. Un tifone si abbatte sul Pequod e i parafulmini, posti alla sommità degli alberi, si incendiano formando tre bianche fiammelle. Achab, col braccio alzato verso la triplice fiamma lancia la sua sfida allo spirito del fuoco e non indietreggia davanti alle suppliche del suo primo ufficiale, di nome Starbuck, che cerca di persuaderlo a rinunciare all’impresa: le parole di un’uomo onesto e sinceramente religioso, non riescono ad averla vinta contro l’energia e l’ostinazione di Achab.
Pip un marinaio di colore, è il compagno preferito di Achab nella conclusione della vicenda. Si tratta di un giovane marinaio nero che, saltato in acqua per la paura è stato lasciato per qualche tempo in alto mare, ha temuto di essere stato abbandonato al suo destino ed è perciò impazzito, Achab si affezziona al ragazzo, forse perché è folle come lui, e lo vuole con se nella cabina.
Poco tempo dopo un ramponiere filippino, che fà parte dell’equipaggio ha una visione, sulla cui base predice il futuro. Secondo la visione il capitano, morirà solo “per cappio”, preceduto nella morte dal ramponiere, che riapparirà ad indicargli la via delle tenebre.
I segni che annunciano la fine puntualmente si presentano quando, il ramponiere scompare in mare durante la caccia a Moby Dick. Il giorno successivo alla scomparsa e terzo giorno di caccia alla balena bianca, Achab rivede il cadavere del marinaio fissato sul dorso della balena dalle corde aggrovigliate dei ramponi mentre, lui stesso viene trascinato via da una corda in cui è rimasto impigliato. Nel frattempo il Pequod viene colpito violentemente dalla balena e affonda con tutto l’equipaggio, il solo a salvarsi è Ismaele che, si aggrappa ad una bara, attrezzata per costituire una sorta di macabro salvagente. [riassunto del romanzo Moby Dick di H. Melville]

 

    /

 

2.19 Rappresenta graficamente il seguente periodo.

Il giorno successivo alla scomparsa e terzo giorno di caccia alla balena bianca Achab rivede il cadavere del marinaio che è fissato sul dorso della balena dalle corde degli arpioni mentre lui stesso viene trascinato via da una corda in cui è rimasto impigliato.                                                            

►PRONOMI RELATIVI E PROPOSIZIONI RELATIVE

In italiano ‘che’ può essere un pronome relativo o una congiunzione che introduce una proposizione dopo verbi del tipo “dire”, “pensare”, “immaginare”, “credere”, etc. Tutte e solo le proposizioni introdotte da un pronome relativo - che/il quale/la quale/i quali/le quali, a cui/al quale/ai quali/alle quali, in cui/nel quale/nella quale/nei quali/nelle quali, etc. etc.- sono dette proposizioni relative. Possiamo distinguere facilmente il che-pronome relativo dal che-congiunzione in quanto il che-pronome relativo può essere sostituito da ‘il quale’ (la quale/ i quali/ le quali) e la proposizione in cui ‘che’ è inserito continua ad avere senso.
Esempio:
Il presidente degli USA, che (= il quale) è ora George Bush, non potrà più candidarsi alle prossime elezioni per il Partito Repubblicano.

‘Che’, inoltre, può svolgere la funzione di soggetto della proposizione che segue o di complemento oggetto. Esempio:
                                                            soggetto
a) La marchesa di O.,  che   era rimasta vedova, mise un annuncio sul giornale.

           c. oggetto                                                     soggetto
b) La marchesa di O.,  che      il padre    aveva cacciato da casa, andò a vivere da sola con i suoi figli.

Gli errori più frequenti per quanto riguarda i pronomi relativi sono essenzialmente di tre tipi.

1) Si usa il relativo ‘che’ anche quando il verbo che segue regge una preposizione - di,a, da, in, con, su, per, etc. - e pertanto la forma del relativo corretta dovrebbe tenerne conto - di cui, a cui, da cui, in cui, con cui, su cui, per cui, etc.
Esempio:
                                                     a cui
Il padre si arrabbiò con Giulietta    che   le  aveva chiesto il nome del suo amante.

[In questo caso, non bisogna dimenticare che il verbo ‘chiedere’ regge la preposizione ‘a’, si dice infatti come segue: chiedere qualcosa - c. oggetto - a qualcuno - c. di termine.]

2) Si creano in chi legge dei problemi di comprensione perché non si sa bene a chi o a che cosa ci si riferisce usando il pronome relativo.

3) Non si pone il pronome relativo accanto al termine a cui si riferisce, ma accanto ad un altro a cui non si riferisce.
Esempio:
Il generale chiese al conte chi erano i soldati che avevano disonorato l’esercito, che disse di non saperlo.
[Nelle intenzioni di chi scrive ‘che’ dovrebbe probabilmente riferirsi al termine ‘conte’, ma, essendo sistemato accanto alla parola ‘esercito’, finisce per riferirsi ad essa! ]

 

 

3.1 Nelle frasi che seguono sottolinea le proposizioni relative e indicane il soggetto - non dimenticando che può anche essere sottinteso - ed il complemento oggetto - se c’è .

1. La fortezza, che i russi avevano attaccato, dovette capitolare.

2. Il conte F. accorse in aiuto della marchesa, che era stata assalita da un gruppo di soldati che intendevano violentarla.

3. Il conte F., che era un soldato valoroso, ebbe la meglio sui violentatori.

4. La marchesa cercò il conte, che nel frattempo era dovuto partire.

5. Si disse che il conte F., che aveva combattuto valorosamente, era morto pronunciando il nome di Giulietta.

6. Il conte F. abbandonò l’idea di andare a Napoli, che avrebbe invece dovuto raggiungere al più presto sulla base degli ordini che aveva ricevuto dal suo comandante.

7. Il padre e la madre, che Giulietta aveva cercato di convincere della sua innocenza, non le credettero.

8. Giulietta, che il padre aveva cacciato da casa, decise di scrivere un annuncio che mise sul giornale.

9. Il conte F. dovette riconquistare Giulietta, che, dopo avere saputo la verità, lo teneva a debita distanza.

10. Il conte F. temette che non sarebbe mai più riuscito a riconquistare la marchesa, che pure,  per rispetto delle convenienze sociali, aveva accettato di sposarlo.

 

3.2 Spiega perché  le proposizioni sottostanti sono errate e procedi alla correzione.

1. Capuleti padre voleva che la figlia sposasse Paride, che preferiva invece Romeo.

2. E’ un libro di scorrevole lettura, che, pur lasciando una sorta di mistero, lo scrittore sembra voler dare alcuni indizi nel racconto per fare in modo che prima della conclusione si capisca già chi è il colpevole.

3. Il rapinatore puntò la sua pistola contro la vecchietta, che indossava un passamontagna per non farsi riconoscere.

4. Il gatto incontrò sulla sua strada un cane, che iniziò a soffiare e arruffò il pelo, ingrossando in modo particolare la coda.

5. Il conte, saputo ciò che è accaduto in sua assenza, non desiste e si reca dalla marchesa nella sua residenza, la quale lo rifiuta buttandolo fuori di casa.

6. La marchesa sposa il conte, che dapprima tratta in modo indifferente ma che successivamente se ne innamora.

7. Qualche giorno dopo il conte F. chiede alla marchesa di sposarlo che, colta impreparata, decide di aspettare a dargli una risposta.

8. I genitori si rivelano duri con Giulietta, che viene cacciata da casa e non giunge più nessuna notizia dai suoi familiari.

9. La marchesa aspetta l’arrivo di una risposta per giorni e giorni, che infine arriva e stabilisce un appuntamento che l’uomo misterioso si rivelerà.

10. Giulietta rimane profondamente delusa, in quanto il conte F. era un uomo dal comportamento irreprensibile, che sarebbe stato un onore concedergli la propria mano.

11.  Si tratta di una rivelazione, che, sebbene la getti nello sconforto, la marchesa non si lascia abbattere.

12. Contro il soldato violentatore le era parso un angelo, che il cielo gli aveva ordinato di andare a salvarla.

 

3.3 Ricava un solo periodo dai due/tre periodi separati usando in modo opportuno il pronome relativo.

1. Un ufficiale dell’esercito britannico deruba una statua della dea indù Khali. Sulla statua c’è un diamante di grandi dimensioni chiamato pietra di luna.

2. Da quel momento tre sacerdoti dediti al culto della dea seguono l’ufficiale: Quest’ultimo ritorna in Inghilterra.

3. Passano gli anni, ma i tre bramini non riescono ad entrare in possesso della pietra. Quegli anni non sono felici per l’ufficiale inglese. Egli teme per la propria vita.

4. Riesce a conservare la pietra perché impone come condizione testamentaria che, nel caso muoia assassinato, il diamante venga tagliato in tante pietre di dimensioni più piccole. I bramini non se ne farebbero nulla di tante piccole pietre, perché debbono ricollocare il diamante integro sulla statua della dea. Il diamante è tenuto al sicuro nella cassaforte della banca.

5. In punto di morte l’ufficiale decide di lasciare il diamante a Rachel, la figlia della cugina,  come vendetta, perché sa che esso significa in primo luogo guai. La cugina, infatti, lo ha sempre disprezzato per la sua malvagità.

6. Il giovane Franklin viene incaricato di portare il diamante a casa di Rachel, in occasione del suo diciottesimo compleanno. Egli non sa nulla della “maledizione” del diamante. Rachel ama Franklin.

 

3.4 Correggi gli errori sui pronomi relativi. Qualche frase è corretta!

1. Durante la notte del compleanno di Rachel, il diamante, che la ragazza aveva mostrato un vivo interesse, sparì.

2. Il mattino seguente chi sapeva tutta la storia del diamante pensò che fossero stati i bramini a rubare la pietra nella stanza di Rachel che era sacra alla dea Khali, ma dovettero concludere che in casa non poteva essere entrato nessuno e che perciò le ricerche dovevano restringersi agli abitanti abituali della villa ed agli ospiti che la ragazza aveva rivolto l’invito per la festa del suo compleanno.

3. Rachel iniziò comunque a comportarsi in modo insolito, perché il mattino dopo la sparizione della pietra mostrò di odiare e disprezzare proprio colui – Franklin – che la sera prima sembrava innamorata.

4. Franklin, dal canto suo, si era impegnato a prendere contatti con un famoso poliziotto perché venisse ad indagare sulla scomparsa di quel gioiello che era più che mai portatore di una maledizione.

 

3.5 Individua nei periodi sottostanti i pronomi relativi, precisando quali, tra di essi, svolgono la funzione logica di soggetto e quali svolgono funzione logica di complemento oggetto.

In casa Verinder una ragazza il cui nome era Rosanna venne accolta come cameriera nonostante il suo passato, visto che era una giovane ladra che qualche tempo prima era finita in prigione. La signora Verinder aveva avuto compassione di Rosanna, a cui aveva dato un lavoro nella speranza che diventasse una donna onesta. La giovane Rosanna, che provava gratitudine per la padrona, ricambiava la fiducia comportandosi in modo irreprensibile.
Era però sempre triste, perché aveva un brutto viso e la sua schiena era deformata da una gobba, che allontanava i giovanotti che le capitava di incontrare e che si guardavano bene dal farle la corte. Rosanna soffriva per la solitudine a cui la sua bruttezza e la deformità la condannavano ed amava passare le ore libere dal lavoro lungo la riva del mare, presso le sabbie mobili che rendevano la spiaggia pericolosa e solitaria e che, invece di impaurirla, la attraevano. La ragazza aveva il presentimento che sarebbe morta inghiottita dalle sabbie mobili.
Betteredge, che era il vecchio maggiordomo di casa Verinder, era molto comprensivo con la ragazza e le diceva sempre frasi gentili. Rosanna, dal canto suo, lo considerava come un padre, a cui confessare le proprie pene. Un giorno la ragazza, che stava assorta nei suoi pensieri, venne raggiunta dal vecchio, a cui volle confidare il proprio oscuro presentimento. Mentre gli parlava, emerse dalle dune di sabbia Franklin Blake, che era appena tornato dall’Europa continentale e che appariva in tutto lo splendore della sua giovinezza. Rosanna gettò un’occhiata su di lui ed arrossì violentemente: il classico colpo di fulmine.

 

3. 6 Ricava un solo periodo dai due/tre periodi separati usando in modo opportuno il pronome relativo.

1. Franklin Blake neppure si accorse di Rosanna. Da quel momento in poi la ragazza, invece, fu travolta da una violenta passione. Si  sarebbe abbandonata a questa passione senza fare resistenza.

2. Franklin non poteva essere attratto da Rosanna che era brutta e povera. Franklin amava la bella Rachel.

3. Rachel apparteneva al suo stesso ceto sociale. Il suo ceto era quello più elevato.

4. Dopo la scomparsa del diamante anche Rosanna aveva assunto un comportamento strano come se avesse qualcosa da nascondere. Molti accusarono Rosanna di furto.

 

3.7 Individua gli errori sui pronomi relativi, spiega in che cosa consistono e correggili. Attenzione! Non tutti i pronomi relativi sono sbagliati.

Il poliziotto che era venuto da Londra per svolgere le indagini stabilì che il ladro, che era entrato nel salottino attiguo alla camera di Rachel, doveva essersi sporcato gli abiti con la vernice della porta che le avevano appena dato una mano di vernice. Sulla porta, infatti, c’era al mattino, dopo il furto, una sbavatura di colore che, secondo la testimonianza della cameriera personale di Rachel, non vi era la sera precedente e perciò doveva essere stata prodotta dal ladro mentre passava.
Un modo per sapere chi era passato di lì era controllare tempestivamente gli abiti delle persone che vivevano o erano ospitate nella villa, su cui dovevano sicuramente esserci delle macchie di colore. Rachel, però, si oppose al controllo dei suoi abiti e perciò il detective, che la madre della ragazza aveva assunto e se ne fidava, decise di lasciar cadere la sua richiesta. Il lettore del romanzo a questo punto si chiede se è Rachel ad avere fatto sparire il suo stesso diamante (ma perché?), se è stato qualcuno che lei gli vuole bene e intende coprire o se magari non c’è qualche complicità tra Rachel e Rosanna..... [riassunto parziale de La pietra di luna di Wilkie Collins]

 

3.8 Rappresenta graficamente il seguente periodo.
In casa Verinder una ragazza il cui nome era Rosanna venne accolta come cameriera nonostante il suo passato, visto che era una giovane ladra che qualche tempo prima era finita in prigione.

3.8 Rappresenta graficamente il seguente periodo.

Era però sempre triste, perché aveva un brutto viso e la sua schiena era deformata da una gobba, che allontanava i giovanotti che le capitava di incontrare e che si guardavano bene dal farle la corte.

 

3.9 Individua nei periodi sottostanti i pronomi relativi, precisando quali svolgono la funzione logica di soggetto, quali svolgono funzione logica di complemento oggetto o di altro complemento.

Delaney abita con la moglie Kyra ed il figliastro Jordan in una bella casa di Arroyo Blanco, una delle tante proprietà esclusive abitate da una borghesia agiata di professionisti che ha deciso di abbandonare Los Angeles - troppo inquinata, affollata, pericolosa - alla ricerca di una vita più serena a contatto con la natura, ancora in parte selvaggia, di un canyon non lontano da Santa Monica. Delaney ama e conosce le piante e gli animali da cui è circondato e di cui scrive nella rubrica di una rivista naturalistica firmandosi ‘Pilgrim’, mentre la moglie lavora con successo in un’agenzia immobiliare. Una vita tranquilla, soprattutto per Delaney, che si dedica alla famiglia, alla casa, alle passeggiate ed ai suoi articoli. Ma la serenità e la pace sono un’illusione, poiché ad avvelenare l’esistenza di Arroyo Blanco si materializzano paure reali e paure immaginarie, che si incarnano nella figura di un nemico: i messicani, immigrati clandestini, che i ricchi abitanti del quartiere temono. In attesa che la frontiera con il Messico sia resa impenetrabile, pensano che i pericoli si possano tenere lontano costruendo intorno al villaggio un cancello e più tardi un muro, custoditi da una guardia che selezioni gli ingressi.

3.10 Nei punti segnalati da una sottolineatura ricava un solo periodo dai due/tre periodi separati usando in modo opportuno il pronome relativo.

Il racconto inizia quando Delaney, risalendo il canyon diretto ad Arroyo Blanco, investe un uomo. Più tardi lo ritrova contuso e stordito dietro un cespuglio ed gli dà, a titolo di risarcimento, venti dollari.   Candido, un messicano immigrato clandestino, riesce a trasportarsi a fatica lungo il sentiero. Questo sentiero conduce nel canyon ad un luogo. Qui lui e la moglie sono accampati. Mentre giace debole e malato su una coperta, è la bella e giovanissima América, la sposa diciassettenne incinta di un bambino, che deve andare alla ricerca di un lavoro.   La ragazza attira l’attenzione degli uomini, tanto gringos quanto ispanici. Questi giungono anche – è il caso di un losco messicano e del suo compare – ad usarle violenza.

 

3.7 Metti il pronome relativo corretto nei punti indicati.

Con un montaggio parallelo e talvolta narrando lo stesso avvenimento da più punti di vista, vengono seguite le vicende di Delaney e Kyra. Talvolta le due coppie si incrociano per un attimo, ma è sempre all’insegna dell’incomprensione, dei fraintendimenti, della diffidenza. Così quando Delaney incontra nuovamente Candido, ..... preoccupato per América si è trascinato fino al punto di ritrovo dei messicani in cerca di lavoro, crede di trovare conferma al sospetto, instillatogli dal suo avvocato, che si tratti di un attaccabrighe e di un imbroglione, uno di quelli che si fanno investire dalle auto per poter chiedere un risarcimento.
Nei mesi che vanno dall’estate all’inverno, si accaniscono su Candido ed América la sfortuna e la cattiveria, così che ogni volta perdono il denaro ...... hanno messo da parte e ...... contano per pagare l’affitto e trasferirsi in un luogo più sano e confortevole. Le vicende della coppia messicana seguono una parabola discendente, verso condizioni di vita sempre più intollerabili. Dopo che América ha dato alla luce una bambina chiamata Socorro proprio nella notte ....... un incendio li ha costretti ad una fuga precipitosa, Candido, ....... la sorte avversa e la cattiveria degli uomini impedisce di trovare lavoro, inizia a rubare, a frugare nei bidoni della spazzatura e nella discarica, a catturare i gatti dell’esclusiva proprietà di Arroyo Blanco per farne arrosti. Contemporaneamente, i suoi rapporti con América, ..... pure lo ama, si deteriorano, perché la moglie non riesce a sopportare le asprezze di quell’esistenza e la delusione delle sue speranze infrante.  
Analoga parabola discendente percorre Delaney. Si tratta però della sua coscienza democratica  che frana di fronte al clima di sospetto e di intolleranza diffuso nella comunità di Arroyo Blanco e ...... Delaney non sa e non vuole opporsi. Tutti i rancori, ...... covano nell’animo di Delaney e ...... il suo avvocato ampiamente contribuisce, si concentrano proprio su Candido, dopo che Delaney è riuscito a prenderne un’istantanea grazie ad un congegno per fotografare chi si aggira di notte vicino al muro di cinta del villaggio. Più tardi, quando in una piovosa giornata a ridosso delle feste natalizie, decide di seguirne le tracce, come ha sempre fatto con gli animali selvatici, nonostante sia ormai buio. Nel momento ...... Delaney strappa il lembo di tappeto che fa da porta alla baracca e punta la pistola contro Candido, América e Socorro, una cascata di acqua e di fango si abbatte su di loro e li trascina via, travolgendo poco oltre proprio quel muro ...... il villaggio era circondato per tenere lontani i pericoli. Sul tetto dell’ufficio postale, diventato una piattaforma nel vorticare dell’acqua tempestosa, troveranno un provvidenziale rifugio América e Candido, che, vedendo un volto ed una mano bianca che annaspa per afferrarsi alle tegole, si sporgerà ad afferrarla. [sintesi del romanzo América di Coraghessan T. Boyle]


► A CIASCUNO IL SUO: I TEMPI PASSATI DEL MODO INDICATIVO E I CONTESTI D’USO

Quando noi raccontiamo qualcosa che è accaduto, possiamo fare uso di tempi verbali

  • al passato pros­simo + imperfetto,
  • al passato remoto + imperfetto,
  • al presente.

Il passato prossimo associato all’imperfetto è il tempo che, nell’Italia settentrionale, usiamo per riferirci anche a qualcosa che ci è accaduto parecchio tempo fa, ma a rigore noi dovremmo usarlo solo per il passato recen­te.
Es. Dieci minuti fa ho incontrato tua sorella. Tre anni fa mi tolsero il dente del giudizio.

  • Nei romanzi le vicende sono invece (quasi) sempre narrate usando come tempi verbali-base il passato remoto e l’imperfetto. Pertanto se noi vogliamo scrivere un racconto imitando i veri scrittori, dobbiamo usare questi tempi verbali.

 

  • I riassunti possono fare uso del passato remoto + imperfetto oppure del presente, che è una sorta di falso presente, detto presente storico. In genere 1’uso del presente per riassumere un testo narrativo o saggistico che pure faccia uso di tempi passati è comunque più facile di quello del passato.
  • Gli articoli giornalistici di cronaca che si riferiscono ad avvenimenti accaduti il giorno prima sono in genere al passato prossimo + imperfetto.

 

  • Le recensioni e le analisi compiute su di un testo (ad esempio l’analisi di un personaggio) sono al tempo presente.

4.1 Per ciascuna delle voci verbali al modo indicativo indica

  • la persona,
  • la forma attiva / passiva,
  • il tempo presente / passato prossimo / imperfetto / passato remoto / trapassato prossimo / trapassato remoto.

Attenzione! Un errore degli errori più frequenti nell’attribuzione dei tempi verbali riguarda i verbi intransitivi che hanno ausiliare "essere” e che, ad uno sguardo superficiale, possono essere confusi con verbi transitivi in forma passiva. Un esempio:

È svanito nel nulla. È amato da tutti.

Queste due voci verbali sono solo apparentemente identiche. In realtà "è svanito " è voce verbale attiva di un verbo intransitivo con ausiliare "essere" ed è al modo indicativo, tempo passato prossimo; al contrario, "è amato " è voce verbale passiva di un verbo transitivo ed è al modo indicativo, tempo presente.

LE REGOLE DELL’UNIFORMITÀ E DELL’ANTERIORITÀ NELL’USO DEI TEMPI VERBALI

Soffermiamoci ora sul riassunto. Riassumere una storia richiede sia mantenuta una certa uniformità, per cui è errato raccontare al presente e poi improvvisa­mente usare il passato remoto, senza che questo abbia qualche giustificazione logica. E’ errato scrivere quanto segue:

Don Abbondio sta percorrendo un viottolo di campagna ed è intento a leggere il breviario. Due bravi gli si pararono davanti, minacciandolo ed intimandogli di non celebrare il matrimonio tra Renzo e Lucia. Don Abbondio è molto scosso e decise di obbedire.

L’uniformità nell’uso del presente è relativa, non assoluta. Vi sono casi in cui è necessario usare un passato prossimo/ un imperfetto/ un trapassato prossimo anche se si sta raccontando al presente e ciò accade, precisamente, quando, arrivati ad un certo punto del racconto, torniamo indietro nel tempo e ci riferiamo a qualcosa che è avvenuto prima.

Renzo va da Lucia e le dice che Don Abbondio non ha voluto / non aveva voluto celebrare il loro matrimonio. Lucia si rattrista.

In questo caso è necessario abbandonare il presente perché l’episodio - il rifiuto di Don Abbondio di celebrare il ma­trimonio - è precedente all’incontro tra Renzo e Lucia.
Un discorso analogo possiamo farlo per i riassunti fatti al passato remoto-imperfetto (l’imperfetto è un tempo che indica un’azione che du­ra nel tempo, si ripete, è abituale nel passato ed è una sorta di ‘jol­ly’ che si associa correttamente a tutti i tempi del passato: passato prossimo/ passato remoto/ trapassato prossimo). Anche in questo caso bisogna mantenere per tutto il racconto il passato remoto + imperfetto, per cui è errato dire:

Renzo arrivò a Milano mentre la folla assaliva i forni; egli non capi­sce quello che sta accadendo e finì per mettersi nei guai.

E’ corretto:

Renzo arrivò a Milano mentre la folla assaliva i forni; egli non capì quello che stava accadendo e finì per mettersi nei guai.

Anche nel riassunto al passato remoto + imperfetto l’uniformità non è assoluta, ma relativa. Infatti, nel caso la narrazione torni indietro ad un punto precedente della vicenda, è necessario fare uso di un tempo più passato del passa­to remoto, cioè il trapassato prossimo.

Renzo andò (passato remoto) al lazzaretto alla ricerca di Lucia. Era già stato (trapassato prossimo) a Lecco e poi al palazzo di Donna Prassede e Don Ferrante, ma non aveva incontrato (trapassato prossimo) la sua promessa sposa. Ciò che vide (passato remoto) nel lazzaretto fu tale da farlo inorridire.

Nel passo precedente riassumiamo al passato remoto ciò che avviene a Renzo nel momento A1 - egli andò alla ricerca di Lucia -, poi torniamo indietro al momento A0 - era già stato...non aveva incontrato... - e infine riprendiamo a raccontare là dove ci eravamo fermati per compie­re il flash-back, ad un momento A2 successivo al momento A1.

La frec­cia del tempo del racconto ha dunque questo andamento:
I tempi verbali devono registrare questo andamento passando dal passa­to remoto (andò) al trapassato prossimo (era stato, non aveva incontra­to) e tornando infine al passato remoto (vide, fu).
Non importa di quanto si torna indietro - di un minuto o di cento anni - i tempi verbali devono segnalarlo.

Es. Padre Cristoforo fu allontanato dal suo convento, perché, alcuni giorni prima, aveva cercato di aiutare Renzo e Lucia. Trent’anni prima, Padre Cristoforo aveva ucciso un uomo per uno stupido motivo ed anche ora non riusciva a dimenticarlo.

Nel caso il tempo verbale prescelto per il riassunto sia il presente, l’anteriorità può essere segnalata con il passato prossimo.

Es. Padre Cristoforo è allontanato dal suo convento, perché, alcuni giorni prima, ha cercato di aiutare Renzo e Lucia.

Va infine ricordato infine che non si devono mescolare il passato remoto ed il passato prossimo, ma si deve sempre scegliere o l’uno o l’altro. Pertanto, il riassunto che segue è errato.

Es. Renzo non sapeva se Lucia era ancora viva. Tornò perciò al paese, ma non la trovò. Qui gli hanno detto che era a Milano, perciò Renzo si trasferì in città.


4.3 Quello che segue è un riassunto parziale del romanzo Frankenstein di Mary Shelley, svolto al tempo presente (quello che abbiamo chiamato presente storico). Trasforma i tempi verbali prendendo come tempi-base il passato remoto + imperfetto.

Victor Frankenstein è un giovane svizzero appassionato allo studio delle scienze naturali e alla magia. Completati gli studi superiori, lascia la casa paterna per frequentare l’università tedesca di Ingolstadt, dove presto raggiunge livelli di eccellenza nel campo delle scienze naturali e nel suo laboratorio inizia a fare esperimenti sul modo di dare vita alla materia inanimata, creando come Dio un nuovo Adamo. Se nella storia biblica Dio crea Adamo dalla polvere, Frankenstein giunge a comporre il nuovo essere vivente pezzo per pezzo da tessuti, ossa, nervi prelevati dai cadaveri nei cimiteri. Per potere portare a termine il progetto che ha in mente, deve lavorare sulle grandi dimensioni in particolare su un individuo che si aggira sui due metri e mezzo di altezza. Frankenstein è preso da una sorta di ossessione, perché il lavoro lo assorbe tanto da fargli dimenticare la sua stessa famiglia, a cui non scrive mai, pur essendo sempre stato molto affezionato al padre, ai fratelli e alla sorella adottiva.
Alla fine tutti gli sforzi del giovane sono coronati da successo e la creatura, il nuovo essere nato in laboratorio, prende vita. Nel momento in cui si anima e apre gli occhi Frankenstein rimane inorridito: la statura gigantesca, la pelle grigia tesa sulle ossa e soprattutto gli occhi umidi di un colore giallastro lo terrorizzano, costringendolo a fuggire precipitosamente.
Per strada gli accade di incontrare un amico che è giunto a Ingolstadt proprio per avere sue notizie. Frankenstein si comporta in modo strano, preso da un nervosismo inspiegabile per chiunque non sappia che cosa gli è successo. Quando più tardi torna a casa, scopre con sollievo che la creatura non c’è più, ma questa scoperta, giunta dopo insopportabili momenti di tensione emotiva, ne provoca il crollo nervoso e Frankenstein cade malato.

 

4.4 Quello che segue è un riassunto parziale del romanzo Frankenstein di Mary Shelley, svolto prendendo come tempi-base il passato remoto + imperfetto.
a) Alcuni dei passi sotto riportati si riferiscono ad avvenimenti anteriori a quelli di partenza e pertanto fanno uso di un tempo più passato del passato remoto, cioè il trapassato prossimo. Evidenzia l’espressione di tempo che segnala il riferimento ad un tempo precedente a quello della vicenda narrata all’inizio, sottolinea tutti i tempi verbali che segnalano un’anteriorità rispetto al passato remoto e indica se si tratta di forme attive o passive.
b) Trasforma i tempi verbali prendendo come tempo-base il presente.

Assistito amorevolmente per mesi dall’amico, il giovane scienziato si ristabilì e decise di tornare dalla famiglia, ma anche qui la creatura continuò a perseguitarlo. Poco prima di giungere a Ginevra, la sua città natale, Victor ricevette una lettera che lo informava di un tragico avvenimento: il fratello minore William era stato assassinato e la colpa era ricaduta su Justine, una giovane cameriera, che era stata arrestata e poi condannata a morte, perché le era stato trovato in tasca un medaglione di un certo valore che il bimbo aveva con sé. Frankenstein non aveva dubbi sul fatto che l’assassino era la sua creatura, perché l’aveva intravisto aggirarsi furtivamente proprio sul luogo in cui era avvenuto l’omicidio. D’altra parte non poteva rivelare quello che sapeva in quanto era convinto che nessuno gli avrebbe creduto e tutti lo avrebbero preso per matto. Decise così di tacere, ma era tormentato dall’angoscia per avere lasciato che una giovane fanciulla innocente venisse giustiziata. Cercò così conforto nella bellissima natura delle montagne svizzere, incamminandosi verso un maestoso ghiacciaio senza sapere che il suo nemico era in agguato. Da una caverna ghiacciata vide infatti uscire l’essere gigantesco a cui aveva dato vita: la malvagia creatura era riapparsa...

 

4.5 Il passo sotto riportato è tratto da un racconto dello scrittore americano Jack London, che alla fine del XIX secolo racconta la difficile vita dei cercatori d’oro nella gelida Alaska. Nel racconto Silenzio bianco un cercatore di nome Mason viene travolto dalla caduta di un albero e giace in condizioni disperate; egli sa che la salvezza dell’amico Malemute Kid e della moglie pellerossa Ruth dipende dal fatto che si allontanino al più presto dalla foresta innevata lasciandolo al suo destino, che è comunque segnato. Di fronte all’insistenza di Malemute Kid e della moglie acconsente tuttavia a farli restare ancora un giorno, perciò Malemute si allontana a caccia di una preda che li sfami per quel giorno.
Nel passo si alternano tempi verbali al passato remoto all’imperfetto e al trapassato.
a) Individua i tre tempi verbali e indica quando si tratta di forme passive.
b) Individua nel testo eventuali indicatori temporali che segnalino il riferimento a momenti anteriori alla vicenda qui raccontata, cioè quella della caccia di Malemute.
b) Precisa caso per caso la ragione per cui lo scrittore fa a volte uso del trapassato prossimo, cioè di un tempo più passato del passato remoto e dell’imperfetto.

Lasciando la giovane donna in lacrime gemere accanto al suo uomo, Malemute Kid s’infilò il parka e le racchette, mise il fucile sotto il braccio e si inoltrò nella foresta. Non era un pivello della dura vita del Nord, ma non gli era mai capi­tato di affrontare un dilemma così arduo. In astratto, era una questione sempli­ce, matematica: tre vite contro una condannata. Ma ora esitava. Per cinque anni, fianco a fianco, su fiumi e su piste, in accampamenti e miniere, affrontan­do la morte in combattimenti, inondazioni e carestie, avevano tessuto i vincoli della loro amicizia. Così stretto era il loro legame, che egli aveva spesso provato quasi un vago sentimento di gelosia nei confronti di Ruth, fin dalle prime volte che era comparsa tra loro. E ora questo legame doveva essere spezzato dalle sue proprie mani.
Aveva pregato che comparisse un alce, soltanto un alce: ma tutta la selvaggina sembrava aver abbandonato la foresta, e la sera l’uomo esausto tornò abbattuto al campo, le mani vuote, il cuore pesante. Affrettò il passo, udendo il ringhio dei cani e le grida di Ruth.
Arrivò di corsa e trovò la giovane donna che, al centro del branco di cani ammucchiati uno sull’altro, si dava da fare con l’accetta. I cani avevano violato la ferrea regola dei padroni, e si erano catapultati sulle provviste. Egli si tuffò nella mischia col fucile rovesciato, e l’antico gioco della selezione naturale fu giocato con tutta la spietatezza di questo ambiente primordiale. Fucile e accetta andavano su e giù, colpivano o mancavano il colpo con monotona regolarità, agili corpi balzavano, con occhi selvaggi e fauci spalancate, e l’uomo e la bestia lottarono per la supremazia fino alla più aspra conclusione. Poi gli animali bat­tuti strisciarono verso il bordo del fuoco, leccandosi le ferite, ululando il loro dolore alle stelle.
Tutta la riserva di salmone affumicato era stata divorata, e restavano forse un paio di chili di farina per aiutarli ad affrontare i trecento chilometri di deserto. Ruth tornò dal marito, mentre Malemute Kid tagliava a pezzi il corpo ancora caldo di uno dei cani, il cui cranio era stato sfracellato dall’accetta. Ogni por­zione fu accuratamente messa via, salvo la pelle e le interiora, che vennero gettate a quelli che fino a un momento prima erano stati i suoi compagni.

4.6Quello che segue è un riassunto che fa uso del tempo presente come tempo-base. Esso contiene degli errori nell’uso dei tempi verbali

  • perché non mantiene l’uniformità dei tempi, mescolando tempi passati e tempi presenti,
  • perché non rispetta l’anteriorità di taluni eventi, non mettendo cioè, benché in questo caso siano necessari, tempi che sono più passati del tempo presente, usato  come tempo-base.

Effettua la correzione dove pensi sia necessario, mettendo il tempo verbale corretto.

In una città statunitense di provincia, negli anni Quaranta del XX secolo, l’onesto George Bailey rischia la bancarotta, perché lo zio ha dimenticato una borsa piena di soldi proprio nella casa del suo acerrimo nemico, il signor Potter, che finge di non averla trovata e reclama il pagamento dell’ultima rata del debito che George ha contratto con lui.
George pensa che la sua vita sia stata inutile e medita il suicidio. Mentre tutti erano a casa, al caldo, perché era la sera del 24 dicembre, egli si diresse verso il fiume in preda alla collera contro se stesso e contro il mondo intero. Vuole gettarsi dall’alto del ponte nelle acque gelide e vorticose, tra il turbinio dei fiocchi di neve, ma a questo punto giunge in suo soccorso un grassoccio angelo di seconda classe a cui Dio ha promesso le ali, che egli ancora non ha, se salverà George. L’angelo si butta in acqua prima di George, in quanto ritiene che quest’ultimo dimenticherà temporaneamente i suoi disperati propositi per salvargli la vita.
L’angelo di nome Clarence ha ragione: George si getta nel fiume dietro di lui non con l’intenzione di annegarsi, ma con l’intenzione di salvargli la vita. Tutti e due raggiungono la riva e trovano rifugio, bagnati fradici, in una casa vicino al fiume, dove cercarono di asciugarsi al fuoco di un caminetto.
A questo punto Clarence cerca di spiegare a George che cosa sarebbe successo se lui non fosse mai nato e per convincerlo, con un miracolo, trasforma la realtà. Da questo momento in avanti Clarence e George si trovarono in un mondo che era apparentemente identico a quello in cui George aveva vissuto fino a quel momento, tranne che in un punto: George lì è uno sconosciuto, perché in realtà non è mai nato. Clarence gli spiega inoltre che lui è un angelo e che San Pietro lo ha inviato giù sulla terra per salvargli la vita, con la promessa che, se riuscirà nella sua missione, verrà ricompensato con la concessione delle ali, diventando finalmente un angelo di prima categoria. Aggiunge che quando sulla terra si sente suonare un campanello, quello è il segnale che su in paradiso un angelo ha messo le ali.
George non credette assolutamente a quello che Clarence gli aveva raccontato. Abbandonò la casetta e tornò verso la città, ancora disperato e arrabbiato contro il destino avverso. Si accorge, però, che ora, stranamente, sente da entrambe le orecchie, mentre fino a pochi istanti prima non sentiva affatto dall’orecchio destro. Bisogna sapere che molti anni prima George salva la vita al fratello, caduto nell’acqua ghiacciata di un laghetto e che, proprio per il tuffo nell’acqua gelida, perde l’uso dell’orecchio destro.

4.7 Quello che segue è un racconto e che, pertanto, fa uso del passato remoto e dell’imperfetto come tempi-base. Esso contiene degli errori nell’uso dei tempi verbali

  • perché (senza che questo dipenda da una scelta espressiva consapevole come nel romanzo di Lucarelli) non mantiene l’uniformità dei tempi, mescolando tempi passati e tempi presenti,
  • perché non rispetta l’anteriorità di taluni eventi, non mettendo cioè, benché in questo caso siano necessari, tempi che sono più passati del passato remoto e dell’imperfetto, usati  come tempi-base.

Effettua la correzione dove pensi sia necessario, mettendo il tempo verbale corretto.

George non sapeva spiegare quanto avvenne dall’incontro con Clarence in avanti, ma la storia raccontata dall’angelo era troppo strana perché egli potesse crederla vera. Procedendo lungo la strada coperta di neve e splendente delle luci del Natale, raggiunse il bar dell’amico Nick.
“Ehi, Nick, dammi un whisky...” disse, avendo appena deciso di bere fino a ubriacarsi e dimenticare tutto. Nick parve non riconoscerlo e gli versò un bicchiere con aria ostile, come a dire: “Ma tu chi sei?”.
Il locale è diverso dal solito: Nick non è mai scortese e poi la sua amica Violetta, che ora siede al banco, è vestita e si comporta come una prostituta. Gli sembra di essere dentro un sogno, un brutto sogno... Sbatte le palpebre per svegliarsi, ma si vede davanti un vecchio barbone, che si avvicinò per chiedere da bere. Nei suoi lineamenti devastati dall’alcool George riconosce il volto del farmacista, che sapeva rigorosamente astemio.
La mente di George era sempre più confusa: forse Clarence aveva detto la verità e lui si trovava in un mondo in cui nessuno lo conosceva perché non era mai nato. Se le cose stavano così, anche l’alcolismo del farmacista diventava comprensibile. Tanti anni prima, infatti, quando era ancora un ragazzino, George impedì che il farmacista commettesse un fatale errore, sconvolto dalla notizia, appena giunta, che il figlio morì in guerra. In quel caso, infatti, il farmacista preparò per una cliente delle pillole che, invece di guarirla, l’avrebbero uccisa. Se George non avesse capito tutto, il farmacista avrebbe causato la morte della donna e questo sarebbe stato l’inizio della sua rovina... [sintesi parziale del film La vita è meravigliosa di F. Capra]

4.8 Per ognuno dei periodi sottostanti, identifica le proposizioni componenti separandole con una barretta, precisa qual è la proposizione principale (PP) e sottolinea il legame (punteggiatura, congiunzione coordinante o congiunzione subordinante, pronome relativo, etc.) con cui le proposizioni coordinate o subordinate si connettono alla proposizione principale o tra di loro.
                                                                                 PP
Es. In una città statunitense di provincia, negli anni Quaranta del XX secolo, l’onesto George Bailey rischia la bancarotta, / perché lo zio ha dimenticato una borsa piena di soldi proprio nella casa del suo acerrimo nemico, il signor Potter, / chefinge / di non averla trovata / e reclama il pagamento dell’ultima rata del debito / che George ha contratto con lui.

 

George pensa che la sua vita sia stata inutile e medita il suicidio. Mentre tutti sono a casa, al caldo, perché è la sera del 24 dicembre, egli si dirige verso il fiume in preda alla collera contro se stesso e contro il mondo intero. Vuole gettarsi dall’alto del ponte nelle acque gelide e vorticose, tra il turbinio dei fiocchi di neve, ma a questo punto giunge in suo soccorso un grassoccio angelo di seconda classe a cui Dio ha promesso le ali, che egli ancora non ha, se salverà George. L’angelo si butta in acqua prima di George, in quanto ritiene che quest’ultimo dimenticherà temporaneamente i suoi disperati propositi per salvargli la vita.

 

 

 

 

 

 

 

4.9 Di ognuno dei quattro periodi dell’esercizio 4.8 costruisci la rappresentazione grafica che evidenzia la principale e i rapporti di coordinazione e di subordinazione delle proposizioni dipendenti, come nel seguente esempio.

In una città statunitense di provincia
..........................bancarotta

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

.........la bancarotta

 
PP


George pensa che la sua vita sia stata inutile e medita il suicidio. Mentre tutti sono a casa, al caldo, perché è la sera del 24 dicembre, egli si dirige verso il fiume in preda alla collera contro se stesso e contro il mondo intero. Vuole gettarsi dall’alto del ponte nelle acque gelide e vorticose, tra il turbinio dei fiocchi di neve, ma a questo punto giunge in suo soccorso un grassoccio angelo di seconda classe a cui Dio ha promesso le ali, che egli ancora non ha, se salverà George. L’angelo si butta in acqua prima di George, in quanto ritiene che quest’ultimo dimenticherà temporaneamente i suoi disperati propositi per salvargli la vita.

 

4.10 Il testo che segue è l’inizio dell’analisi di un personaggio. Coniuga i verbi tra parentesi utilizzando il tempo-base adatto tra i seguenti: presente, passato prossimo-imperfetto, passato remoto-imperfetto. Mantieni l’uniformità dei tempi verbali adottati, con l’eccezione dei passaggi in cui va applicata la regola dell’anteriorità.

Sherlock Holmes (essere) l’investigatore più famoso della storia della letteratura e del cinema, massimo esempio di razionalità e spirito di osservazione. Nel film Vita privata di Sherlock Holmes, però,(essere rappresentato) in modo insolito. Il regista Billy Wilder (divertirsi) a sconvolgerne l’immagine tradizionale, perché, nell’avventura di cui (essere) protagonista, Sherlock (apparire) meno intelligente del solito e (essere ingannato) da un’affascinante spia tedesca, su cui egli non (avere) nessun sospetto. Evidentemente l’amore (potere) oscurare le menti anche degli uomini più razionali!
L’antagonista di Sherlock (essere) Gabrielle – Frau von Hofmannsthal. Un cocchiere la (condurre) a casa di Sherlock, bagnata fradicia, piena di lividi e con gli abiti strappati. Il vetturino (raccontare) che egli la (trovare) nel fiume in stato di choc e (portare) dall’investigatore, perché (stringere) in una mano un biglietto con l’indirizzo di Baker Street. Gabrielle (rivelarsi) subito un osso duro per Sherlock, perché (recitare) la sua parte di donna debole e bisognosa di aiuto alla perfezione. Se poi (aggiungere) che è una donna bella e che (fare) intravedere le sue bellezze più nascoste, (capire) perché l’investigatore più intelligente del mondo (cadere) nella trappola.
L’astuzia di Gabrielle (manifestarsi) anche nel fatto che (fingere) di non ricordare il suo nome a causa dello choc subito e questo, naturalmente, (stuzzicare) subito la curiosità di Sherlock, che (divertirsi) solo quando (avere) dei misteri da risolvere. Nel film, infatti, l’investigatore presenta un altro tratto psicologico: (sembrare) incline alla depressione quando la sua vita non (essere) stimolata da qualche caso intrigante.


►RIASSUMERE UN TESTO NARRATIVO: I REQUISITI DELLA CORRETTEZZA E DELLA COMPLETEZZA

Se il riassunto riguarda un testo narrativo, non dovranno, naturalmente, essere omesse le informazioni essenziali per la comprensione di un ipotetico interlocutore che non abbia letto il racconto e debba capire quello che accade solo dal riassunto. Nel racconto di una vicenda ci sono uno spazio (where), un tempo (when), dei personaggi (who), uno più fatti che si sviluppano in vari passaggi e modi (what, how) e sono determinati da cause e moventi (why). Pertanto il riassunto, per essere comprensibile, non dovrà tralasciare nessuna di queste informazioni essenziali. In particolare, dovranno essere chiari i grandi blocchi che compongono la narrazione a partire da una situazione iniziale, attraverso uno sviluppo della vicenda secondo uno o più momenti, fino alla conclusione (più dettagliatamente: situazione iniziale → rottura dell’equilibrio iniziale per il verificarsi di qualche evento → sviluppo della vicenda, articolato in varie fasi → scioglimento grazie ad un evento risolutore → situazione finale). Anche i moventi e le cause delle azioni, nonché la caratterizzazione dei personaggi sono particolarmente rilevanti, perché ad agire sono individui che hanno una ben precisa psicologia e collocazione sociale, obiettivi da raggiungere e ostacoli da superare.  
Va osservato che nel testo originale informazioni anche rilevanti possono essere sottintese, lasciando al lettore ed a colui che riassume di renderle esplicite per sé e per gli altri, con un lavoro che è già interpretativo. Le ellissi, cioè le omissioni volute, dipendono da varie ragioni: si omette per suscitare particolari effetti di suspence o di comicità; si tralascia qualcosa per rendere più partecipe il lettore, stimolandolo a colmare le lacune; si saltano alcuni passaggi logici considerandoli ovvi per non appesantire eccessivamente la narrazione; etc.
Il riassunto può essere svolto al tempo presente o al passato remoto + imperfetto. Tutti i discorsi diretti vanno trasformati in discorsi indiretti.

 


T4 La tisana di L. Bloy

Il testo che segue costituisce un esempio di racconto in cui il narratore omette vari particolari per creare un effetto finale di sorpresa e per indurre il lettore a colmare le lacune.

Jacques si giudicò semplicemente ignobile. Era odioso rimanere lì, al buio come una spia sacrile­ga, mentre quella donna a lui sconosciuta si stava confessando.
Ma allora avrebbe dovuto andarsene subito, non appena era arrivata assieme al sacerdote con in­dosso la cotta, o almeno fare un po’ di rumore, in modo che fossero avvertiti della presenza d’un estraneo. Adesso era troppo tardi e non avrebbe fatto altro che aggravare quell’indiscrezione di per sé già imperdonabile.
Si era trovato sfaccendato, come gli onischi in cerca di un luogo fresco, sul finire d’una giornata canicolare; e gli era venuta l’idea piuttosto pere­grina di entrare nella vecchia chiesa. Si era seduto in quell’angolo in ombra dietro al confessionale per vagare con la mente osservando impallidire la luce del rosone. E senza sapere come e perché, dopo qualche minuto era diventato il testimone affatto involontario d’una confessione.
È vero che le parole gli giungevano indistinte e che, tutto sommato, sentiva soltanto un bisbiglio, tuttavia da ultimo il colloquio sembrava farsi animato. Qua e là, alcune sillabe si staccavano dal flusso incolore di quel chiacchierio penitenziale; e il giovane che, guarda caso, era tutt’altro che un tanghero, temette davvero di cogliere qualche confessione evidentemente non destinata alla sua persona. Quindi, d’un tratto la previsione s’avve­rò. Fu come se si levasse una violenta ondata, poi 1’onda immota si scisse rumoreggiando per lasciar sorgere un mostro, e colui che ascoltava, al colmo dell’angoscia, udì pronunciare con tono spazien­tito queste parole: "Padre, le dico che gli ho messo del veleno nella tisana! "
Poi, più nulla. La donna, il cui viso restava invisi­bile, si alzò dall’inginocchiatoio per scomparire silenziosamente nella foresta d’ombre.
Quanto al prete, non dava segno di vita, e trascor­sero minuti interminabili prima che aprisse lo sportello e si allontanasse a sua volta col passo pesante d’un uomo che ha ricevuto una mazzata. Ci vollero il tintinnio insistente delle chiavi dello scaccino e 1’intimazione di uscire, ripetuta sbrai­tando nella navata, perché anche Jacques si al­zasse, inebetito da quella frase che echeggiava in lui tumultuosamente.
Aveva riconosciuto perfettamente la voce di sua madre!
Oh! impossibile essersi sbagliati. Aveva persino riconosciuto la sua andatura, quando 1’ombra della donna si era levata a due passi da lui. Ma allora..., allora tutto crollava, erano tutte balle, era stata soltanto una mostruosa presa in giro! Viveva da solo con la madre, che non vedeva quasi nessuno e usciva unicamente per andare alle fun­zioni. Si era abituato a venerarla con tutta 1’ani­ma, come un esempio unico di rettitudine e bontà. Per quanto risalisse con la memoria nel passato, non trovava né un’ombra né una macchia, non una bassezza o un sotterfugio. Una bella strada bianca a perdita d’occhio, sotto un cielo grigio. Perché 1’esistenza della poverina era stata molto triste.
Il giovane aveva appena conosciuto suo padre, ucciso a Champigny (= durante la guerra tra francesi e prussiani nel 1870), e dalla scomparsa del marito ella non aveva ancora smesso il lutto, tutta dedita all’educazione del figlio, da cui non si sepa­rava un solo giorno. Non aveva voluto mandarlo a scuola per timore delle cattive compagnie, assu­mendosi il compito della sua istruzione e rinun­ciando a se stessa pur di crescerlo a propria im­magine. In conseguenza di quel sistema di vita egli aveva una sensibilità inquieta e un sistema ner­voso particolarmente eccitabile, che lo esponevano alle minime offese - e forse anche ad auten­tici pericoli.
Con 1’adolescenza erano venute le inevitabili scappate, alle quali la madre non poteva porre un freno, e che 1’avevano resa un po’ più malinconi­ca, ma non per questo meno affettuosa. Nessun rimprovero, nessun muso. Aveva accettato come tante altre 1’inevitabile.
Così tutti parlavano di lei con rispetto, mentre lui, il suo adorato figliolo, era 1’unico al mondo che si vedeva costretto a disprezzarla - a disprezzarla in ginocchio e con gli occhi bagnati di pianto, come gli angeli avrebbero disprezzato Dio se non avesse mantenuto le sue promesse! ...
C’era veramente di che impazzire, c’era da dare in escandescenze davanti a tutti. Sua madre un’assassina! Non aveva senso, era un’assurdità troppo grande, assolutamente da non credersi; e tuttavia era vero. Non 1’aveva forse detto lei stessa un momento prima? Avrebbe sbattuto la testa contro il muro.
Ma poi avvelenatrice di chi? Buon Dio! Non gli risultava che nella cerchia dei suoi familiari qual­cuno fosse morto avvelenato. Non certo suo pa­dre, colpito al ventre da una raffica di mitraglia. E neppure avrebbe cercato di uccidere lui, che non si era mai ammalato, che non aveva mai avuto bisogno di tisane e che sapeva quanto lei lo adora­va. La prima volta che era rincasato tardi, e non certo per qualcosa di molto pulito, era stata male lei, per l’apprensione.
E se si fosse trattato di un fatto antecedente alla sua nascita? Suo padre 1’aveva sposata per la sua bellezza, e lei allora era appena ventenne. Che qualche avventura precedente alla loro unione fosse all’origine del delitto?
No. Quel passato era limpido e a lui noto per essere stato raccontato infinite volte con sicuri dati di fatto. Perché dunque questa tremenda confessione? Ma soprattutto perché proprio lui doveva trovarvisi presente!
Tornò a casa ubriaco di orrore e di disperazione.
Subito la madre premurosa gli si fece incontro per abbracciarlo:
"Hai fatto tardi, figliolo! Come sei pallido! Non stai bene?"
"No", egli rispose, "sto bene, ma soffro il caldo e temo che non riuscirò a mangiare. E tu, mamma, come ti senti? Sarai uscita a prendere un po’ di fresco. Mi pare d’averti intravista di lontano sul lungosenna "
"Sì, sono uscita, ma non hai potuto vedermi sul lungosenna, perché sono stata a confessarmi. Cosa che credo tu non faccia da parecchio tempo, ragazzaccio!"
Jacques constatò con meraviglia che non soffoca­va; non era caduto riverso, folgorato, come avve­niva nei buoni romanzi.
Quindi davvero era stata a confessarsi! In chiesa non aveva sognato, questa terribile sciagura non era frutto d’un incubo come aveva follemente spe­rato per un momento.
Non svenne, ma diventò molto più pallido, e la madre vedendolo in quello stato si allarmò. "Caro Jacques, che cos’hai?" gli disse. "Tu stai soffrendo e nascondi qualcosa a tua madre. Do­vresti avere più fiducia in lei, che vuol bene sol­tanto a te e ha solo te al mondo... In che modo mi guardi! tesoro mio... Ma che ti succede? Mi fai paura!…"
E lo prese amorevolmente fra le braccia.
"Ascolta bambinone, io non sono curiosa, lo sai, e non ti voglio giudicare. Non dirmi nulla, se non vuoi, ma lascia che mi prenda cura di te. Ora vai subito a letto. Intanto ti preparo qualcosa di leg­gero. Te lo porterò io. E se questa notte dovesse venirti la febbre, ti farò una TISANA..."
Questa volta Jacques stramazzò a terra.
"Finalmente!" ella sospirò un po’ affaticata, con la mano protesa verso un campanello.
Jacques aveva un aneurisma all’ultimo stadio, e sua madre un amante che non intendeva diven­tare patrigno.
Questo dramma elementare ebbe luogo tre anni fa nei pressi di Saint-Germain-des-Prés. La casa che ne ospitò i protagonisti appartiene a un impresa­rio di demolizioni.

 

Il racconto si fonda sul “non detto”, cioè dà alcune informazioni, ma tace su altre, chiedendo al lettore che ricostruisca le parti mancanti, in particolare non dice come la madre riesce a realizzare un delitto perfetto, cioè un delitto di cui  non potrà mai essere accusata perché la morte di Jacques appare come un evento naturale e non come un assassinio. La spiegazione è tutta sintetizzata nelle ultime cinque righe, dove deve concentrarsi lo sforzo del lettore per ricostruire le parti mancanti.
Il riassunto del racconto dovrà sforzarsi di colmare le lacune e chiarire movente dell’omicidio, modi della sua realizzazione e ragioni per cui risulta un delitto perfetto.
Ti presentiamo, di seguito, due riassunti del brano incompleti: avendo tralasciato nella sintesi qualche elemento essenziale della ricostruzione, danno luogo ad una ricostruzione logicamente incomprensibile per chi non abbia già letto il racconto. Spiega ciò che viene tralasciato nel riassunto a) e ciò che viene tralasciato nel riassunto b).

  • Il racconto narra la vicenda di un ragazzo di nome Jacques, il quale entra in chiesa per sfuggire al caldo estivo e qui ascolta la confessione di una donna, la quale svela un delitto. Jacques scopre che è sua madre. In seguito egli passeggia per lunghe ore per la città e tornato a casa, alla vista della madre, impallidisce. Quest’ultima chiede ripetutamente al figlio che cos’ha ed alla fine gli dice che se continuerà a star male gli preparerà una tisana. Jacques, a queste parole, stramazza a terra morto: Jacques soffriva di un grave aneurisma ed alla minima emozione sarebbe morto. La madre aveva un amante segreto che non voleva figli.

 

  • Era un caldo pomeriggio estivo, un giovane di nome Jacques pensò di entrare in chiesa per cercare un po’ di fresco. Entrando, scorse una donna che si stava confessando. Si sedette lì accanto e senza volere iniziò ad ascoltarne le parole, all’inizio indistinte. Più tardi intese chiaramente che la donna confessava al prete di avere messo del veleno nella tisana di qualcuno. Jacques riconobbe la voce della madre e, mentre si allontanava, la sua andatura. Subito Jacques fu preso dal panico, poi, sconvolto, uscì dalla chiesa e si recò a casa. Entrato, scorse sua madre e cominciò ad interrogarla per sapere se si era recata in chiesa. Notando il suo pallore, la madre, fingendosi preoccupata, lo invitò ad andare a riposarsi, dicendogli che gli avrebbe preparato una bella tisana. A quelle parole Jacques cadde a terra morto. La madre era così riuscita nel suo intento: ora poteva vivere il resto della sua vita con l’amante.

T5 Dal romanzo il giro del mondo in ottanta giorni di J. Verne

Siamo alla fine dell’Ottocento. Phileas Fogg, un ricco aristocratico inglese, nel corso di un’animata discussione nel suo club, as­serisce di essere in grado di compiere il giro del mondo in ottanta giorni e, controbattendo alle incredule argomentazioni dei presenti, decide di scommettere nell’impresa tutte le sue sostanze. Accompagnato dal fedele servitore Passepartout, comincia così I’avventura che lo porta a fare il giro del mondo tra mille imprevisti. Tra questi, in India, Fogg si trova ad assistere ai preparativi per il rogo in cui dovrebbe essere bruciata viva la giovane vedova di un marajà, secondo le tradizioni religiose locali che prevedevano l’uccisione della vedova dopo la morte del marito, sulla stessa pira che ne doveva ardere il cadavere. In attesa dell’esecuzione la donna è chiusa in un tempio nel mezzo della foresta.

La guida poco dopo si fermò all’estremità di una radura. Qualche torcia illuminava il luogo. Il suolo era disseminato di gruppi di dormienti storditi dall’ebbrezza [= stato di esaltazione, stordimento dovuto all’alcool o a droghe].
Sembrava un campo di battaglia ricoperto di cadaveri. Uomini, donne, fanciulli erano mescolati insieme. Qualche ubriacone rantolava ancora qua e là.
In secondo piano si scorgeva il tempio di Pillaji confuso tra la massa degli alberi. Ma con grande delusione della gui­da, le guardie del rajah illuminate da torce fuligginose, vigilavano davanti alle porte, passeggiando con la sciabo­la sguainata. Era facile immaginare che nell’interno anche i preti vegliassero.
Il Parsi [= la guida di Phileas Fogg e dei suoi compagni e aiutanti Passepartout e Francis Cromarty] non andò oltre. Aveva riconosciuto l’impossibilità di forzare l’entrata del tempio, e ricondusse indietro i compagni.
Phileas Fogg e Sir Francis Cromarty avevano compreso anch’essi che non potevano tentare nulla da quella parte. Si fermarono e si consultarono a bassa voce.
—        Aspettiamo, — disse il brigadiere generale [= Sir Francis Cromarty], — sono appena le otto; ed è possibile che anche le guardie vengano sopraffatte dal sonno.
—        La cosa è possibile, — rispose il Parsi.
Phileas Fogg e i suoi compagni si sdraiarono sotto un albero e aspettarono.
Il tempo pareva lungo! La guida ogni tanto li lasciava, e andava al limitare del bosco in osservazione. Le guardie del rajah vegliavano sempre al lume delle torce, e un vago bagliore filtrava attraverso le finestre della pagoda. Attesero così fino a mezzanotte. La situazione non cambiò. Sorveglianza immutata dall’esterno. Era evidente che non potevano contare sul sonno delle guardie. Probabilmente l’ubriachezza dello hang [= bevanda oppiacea] era stata loro risparmia­ta. Bisognava dunque agire altrimenti e penetrare per un’apertura praticata nel muro della pagoda. Restava il pro­blema di sapere se i preti vegliavano presso la vittima con la stessa attenzione delle guardie alla porta del tempio. Dopo un’ultima intesa, la guida si dichiarò pronta a partire. Mr Fogg, Sir Francis e Passepartout la seguirono. Fecero un giro assai lungo per giungere alla pagoda dal lato opposto.
Verso mezzanotte e mezzo arrivarono ai piedi del muro senza aver incontrato anima viva. Da quella parte non c’era alcuna sorveglianza, ma d’altro canto mancavano del tutto porte e finestre.
La notte era buia. La luna, allora all’ultimo quarto, si alzava appena dall’orizzonte ingombro di grosse nuvole. L’altezza degli alberi accresceva l’oscurità.
Ma non bastava aver raggiunto la base del muro, bisognava ancora praticarvi un’apertura. Per quest’operazione Phileas Fogg e i suoi compagni non avevano altro utensile che i loro temperini. Per fortuna le pareti del tempio erano costruite di mattoni e di legno e non doveva esser difficile forarle. Una volta tolto il primo mattone, gli altri sa­rebbero venuti via facilmente.
Si misero all’opera cercando di fare il meno rumore possibile. Il Parsi da una parte e Passepartout dall’altra cercavano di staccare i mattoni in modo da ottenere un’apertura larga due piedi.
Il lavoro continuava, quando improvvisamente fu udito un grido all’interno del tempio; e subito dopo altre grida risposero dall’esterno.
Passepartout e la guida interruppero il lavoro. Erano stati sorpresi? Era stato dato l’allarme? La più semplice pru­denza consigliava loro di allontanarsi. Ciò che fecero, insieme a Phileas Fogg e a Sir Francis Cromarty. Si rannic­chiarono di nuovo nel più folto del bosco, aspettando che l’allarme, se di allarme si trattava, fosse cessato, pronti in questo caso a riprendere l’operazione.
Ma – contrattempo funesto – alcune guardie apparvero sul retro della pagoda, e si postarono in modo da impedire a chiunque d’avvicinarsi.
Sarebbe difficile descrivere il disappunto dei quattro uomini, costretti a desistere dalla loro impresa. Ora che non potevano più raggiungere la vittima, come avrebbero potuto salvarla? Sir Francis Cromarty si rodeva i pugni. Pas­separtout era fuori di sé, e la guida faceva fatica a trattenerlo. L’impassibile Fogg aspettava, senza esternare i pro­pri sentimenti.
– Non ci resta che andarcene? – chiese il brigadiere generale a bassa voce.
– Non ci resta che andarcene, – rispose la guida.
–Aspettate, – disse Fogg. – Basta che io sia a Allahabad domani prima dì mezzogiorno.
– Ma cosa sperate? – replicò Sir Francis Cromarty. – Fra qualche ora si farà giorno, e..
– L’occasione che ci sfugge ora può ripresentarsi nel momento decisivo.
Il brigadiere generale avrebbe voluto poter leggere negli occhi di Phileas Fogg. Su che cosa contava dunque quell’impenetrabile Inglese? Voleva forse, al momento del supplizio, precipitarsi sulla giovane donna, e strapparla apertamente ai suoi carnefici?
Sarebbe stata una pazzia, e come ammettere che quell’uomo fosse pazzo a tal punto? Sir Francis Cromarty, tuttavia, acconsentì ad aspettare la conclusione di quella scena terribile. La guida però non lasciò i suoi compagni nel luogo dov’erano nascosti e li ricondusse verso la parte anteriore della radura. Qui, riparati dietro un boschetto, po­tevano osservare i gruppi addormentati.
Frattanto Passepartout, arrampicato sui rami inferiori d’un albero, ruminava un’idea che gli era passata una pri­ma volta per la mente come un lampo, e aveva finito poi per fissarglisi nel cervello,
In quel primo momento s’era detto: «Che pazzia!» E ora ripeteva: «Perché no, dopotutto? È forse l’unica probabilità che ci resta, e con delle simili bestie!...»
In ogni modo Passepartout non indugiò in questo pensiero e si lasciò scivolare, con l’elasticità d’un serpente, sui rami bassi dell’albero che con le loro propaggini giungevano quasi fino a terra.
Le ore passavano e, dopo non molto, striature d’ombra meno densa annunciarono l’avvicinarsi del giorno. Ma, per intanto, l’oscurità era ancora profonda.
Giunse il momento. Vi fu come una resurrezione tra quella folla assopita. I gruppi si animarono. Risuonarono colpi di tam tam. Echeggiarono di nuovo canti e grida. Era giunta l’ora in cui quella poveretta doveva morire. Infatti, le porte della pagoda si aprirono. Una luce più viva uscì dall’interno. Mr Fogg e Sir Francis Cromarty po­terono scorgere la vittima, vivamente illuminata, che due preti trascinavano fuori. Sembrò loro perfino che la disgraziata, scrollandosi di dosso per un supremo istinto di conservazione l’intontimento dell’ubriachezza, tentas­se di sfuggire ai suoi aguzzini. Il cuore di Sir Francis Cromarty trasalì e afferrando con un movimento convulso la mano di Phileas Fogg, sentì che quella mano stringeva un coltello aperto. Si notò un movimento nella folla. La donna era piombata nel torpore provocato dai fumi della canapa. Passò in mezzo ai fachiri che la scortavano intonando le loro cantilene religiose.
Phileas Fogg e i suoi compagni, mescolandosi alle ultime file della folla, la seguirono.
Due minuti dopo, giungevano sulla riva del ruscello e si fermarono a meno di cinquanta passi dal rogo su cui era coricato il corpo del rajah. Nella semioscurità videro la vittima assolutamente inerte, stesa presso il cadavere del-lo sposo.
Poi fu avvicinata una torcia, e il legno, Imbevuto d’olio, si accese immediatamente. In quel momento Sir Francis Cro­marty e la guida trattennero Phileas Fogg, che in un attimo di generosa pazzia stava slanciandosi verso il rogo... Phileas Fogg li aveva già respinti, quando la scena improvvisamente cambiò. Si levò un grido di terrore. Tutta la fol­la si gettò a terra spaventata.
Fu come se il rajah non fosse morto. Lo videro infatti rialzarsi a un tratto, come un fantasma, sollevare la giovane donna tra le braccia, scendere dal rogo in mezzo a nugoli di vapore che gli davano un aspetto spettrale. I fachiri, le guardie, i preti, in preda a un improvviso terrore, stavano lì con la faccia a terra, non osando alzare gli occhi e guardare un tale prodigio!
La vittima inanimata passò tra le braccia vigorose che la portavano senza quasi avvertirne il peso. Mr Fogg e Sir Cro­marty erano rimasti in piedi. Il Parsi aveva chinato la testa, e Passepartout doveva anche lui essere sbalordito!... Il risuscitato giunse così vicino al luogo dove stavano Mr Fogg e Sir Francis Cromarty, e qui, con voce decisa: – Scappiamo!... – disse.
Era Passepartout in persona che si era avvicinato al rogo in mezzo al fumo denso! Passepartout, che approfittan­do dell’oscurità ancora profonda aveva strappato la giovane alla morte. Passepartout, che assistito dalla fortuna nella sua audacia, era passato tra lo spavento generale!
Un istante dopo tutti e quattro sparivano nel bosco, e l’elefante li portava via di gran carriera. Ma grida, schia­mazzi e persino un proiettile che bucò il cappello di Phileas Fogg li avvertirono che il trucco era stato scoperto. Infatti sul rogo in fiamme spiccava il corpo del vecchio rajah. I preti, rinvenuti dal loro spavento, avevano capito che era stato perpetrato un rapimento.
Immediatamente si precipitarono nella foresta. Le guardie li seguirono. Ci fu una sparatoria, ma i rapitori, fuggendo veloci si trovarono presto fuori dal tiro delle pallottole e delle frecce.

 

I riassunti che seguono contengono errori che riguardano la completezza e la correttezza della sintesi.
a) Per ognuno dei due passi indica quali informazioni essenziali non sono state riportate,  rendendo così il riassunto incompleto e pertanto incomprensibile.
b) Individua le affermazioni false presenti nelle due sintesi.
c) Elenca sinteticamente i principali blocchi narrativi e sulla base di questi stendi un riassunto ben fatto.

1. Intorno al tempio di Pillaji, in India, ci sono corpi a terra senza vita e i soli vivi sono i guardiani del tempio. L’aristocratico inglese Phileas Fogg, il suo compagno di viaggio sir Francis Cromarty, la guida Parsi e il servo Passpartout vogliono penetrare nel tempio per salvare la giovane vedova di un marajà, che deve essere bruciata viva. Decidono di approfittare del buio per giungere sul retro del tempio e praticare un’apertura nel muro. All’improvviso odono un grido e scappano nel bosco. L’inglese Fogg pensa che potrà strappare la donna dalle mani dei carnefici al momento della brutale esecuzione.
Quando la donna sta per essere bruciata, sembra che il cadavere del raja si alzi, prendendo la donna tra le braccia. Poi Passepartout ordina ai compagni di scappare, perché le guardie e la folla hanno capito che la ragazza è stata rapita e li stanno inseguendo.

 

2. Mr. Fogg, Sir Francis e Passepartout vengono accompagnati dalla guida attraverso l’India. Giungono in un luogo in cui sta per essere arsa viva la giovane vedova di un marajà, che dopo la morte del marito deve essere sacrificata sulla base delle usanze del luogo.
Arrivano a una radura dove al suolo ci sono uomini, donne e bambini che dormono storditi dall’ubriachezza. In questa radura circondata dalla foresta si scorge il tempio di Pillaji. Questo tempio è sorvegliato dalle guardie del rajah. Phileas Fogg e i suoi compagni aspettano che le guardie si addormentino. Le guardie però rimangono sveglie e loro fanno il giro giungendo alla pagoda dall’altro lato, che non è custodito. Mr. Fogg e i suoi compagni cercano di staccare i mattoni del muro, ma delle grida li fanno scappare verso la radura.
Dopo l’allarme altre guardie bloccano il passaggio dalla parte dietro la pagoda. Fogg e i suoi compagni non sanno cosa fare e dopo un po’ di tempo giunge l’ora in cui la giovane vedova del marajà deve essere bruciata. Mr. Fogg e i suoi compagni si mescolano nelle ultime file della folla poi si avvicinano alla pira.
A un certo punto Passepartout prende la giovane e scappa insieme ai compagni, inseguiti dalla folla, che all’inizio era rimasta temporaneamente impietrita dal terrore.

 


►SOSTENERE UNA POSIZIONE CON DELLE “BUONE RAGIONI”

Ogni giorno ci capita di dover sostenere una posizione in merito a questa o quella questione, confrontandoci a volte con chi ha un’opinione diversa. Sostenere una posizione significa in primo luogo esporre una serie di “buone ragioni” in suo favore e / o contro la posizione altrui. I nostri discorsi possono essere più o meno elaborati e portare delle ragioni più o meno condivisibili. La posizione che sosteniamo viene chiamata tesi, le buone ragioni in suo favore argomenti e si dirà che una tesi è confermata dagli argomenti. Se dimostriamo che il nostro avversario ha torto, diciamo che abbiamo confutato la sua tesi.
Anche l’uomo politico, l’avvocato, il giornalista, l’economista, lo scienziato, lo storico o il critico letterario sono impegnati a sostenere una posizione a partire da buone ragioni, ma il loro ragionamento, per essere convincente, dovrà poggiare su ragioni molto buone (ad esempio dati di fatto indiscutibili o molto probabili) e dovrà essere svolto in modo corretto, cioè essere logicamente valido. Anche qui vi sono delle differenze, perché il grado di rigore e di certezza di un ragionamento nell’ambito della matematica è il più alto possibile, mentre non è sempre così nel caso del discorso di un uomo politico che cerca spesso di persuadere il suo uditorio puntando sulle emozioni, soprattutto paure e speranze, di chi lo ascolta piuttosto che su un ragionamento rigoroso, a partire da dati di fatto indiscutibili o altamente probabili. Per farsi un’idea di ragionamento rigoroso e corretto basta pensare alla dimostrazione di un teorema della geometria euclidea: qui date premesse vere si deduce attraverso un ragionamento valido (cioè svolto secondo le regole della logica) una conclusione che è senz’altro vera, proprio perché le premesse erano vere e il ragionamento valido. Se le premesse non sono vere, la conclusione non è vera anche se il ragionamento è stato svolto in modo corretto, cioè valido. Viceversa, se le premesse sono vere e il ragionamento non è svolto correttamente, non ci si può attendere una conclusione vera.

Vediamo ora un esempio di discorso in cui un personaggio sostiene una posizione (tesi) con dei buoni argomenti e attraverso un ragionamento valido. Il personaggio prescelto è Shylock, presente nell’opera teatrale di Shakespeare Il mercante di Venezia. Nella commedia shakespereana l’ebreo Shylock presta una forte somma di denaro ad un giovane di nome Bassanio; garante per il prestito ottenuto è Antonio, amico di Bassanio e mercante in attesa che le sue navi cariche di mercanzia giungano in porto. Shylock firma con Antonio un contratto che prevede, in caso di mancata restituzione del prestito e degli interessi, una libbra di carne che egli provvederà a staccare dal corpo di Antonio. Quando si diffonde la notizia che le navi di Antonio sono perdute e che quindi quest’ultimo non sarà forse in grado di restituire la somma di denaro, un amico di Antonio gli chiede se davvero egli ha intenzione di rivalersi su Antonio tagliandone una libbra di carne.

SALERIO - Beh, se proprio dovesse venir meno
a questo impegno, tu, sono sicuro
che non ti vorrai prender la sua carne.
Che cosa ne faresti?

SHYLOCK - Esca per pesci!
E se non servirà a nutrir nient’altro,
servirà a nutrir la mia vendetta.
M’ha sempre maltrattato come un cane,
m’ha fatto perdere mezzo milione;
ha riso alle mie perdite,
ha sghignazzato sopra i miei guadagni,
ha offeso ed oltraggiato la mia razza,
m’ha sempre ostacolato negli affari,
m’ha raffreddato tutte le amicizie,
e m’ha scaldato contro i miei nemici.
E ciò perché? Perché sono ebreo.
Non ha occhi un ebreo?
Un ebreo non ha mani, organi, membra,
sensi, affetti, passioni,
non s’alimenta dello stesso cibo,
non si ferisce con le stesse armi,
non è soggetto agli stessi malanni,
curato con le stesse medicine,
estate e inverno non son caldi e freddi
per un ebreo come per un cristiano?
Se ci pungete, non sanguiniamo?
Non moriamo se voi ci avvelenate?
Dunque, se ci offendete e maltrattate,
non dovremmo pensare a vendicarci?
Se siamo uguali a voi per tutto il resto,
vogliamo assomigliarvi pure in questo!
Se un cristiano è offeso da un ebreo,
come gli mostra la sua famosa carità? Vendicandosi.
Perciò se un cristiano offende un ebreo,
quale dovrà essere, a somiglianza di quella cristiana,
la sua carità? Eh... la vendetta!
villania mi insegnaste
E villania vi userò;
e sarà ben difficile per me
rimanere al disotto dei maestri.

Shylock sostiene dunque il suo diritto a vendicarsi (tesi), porta degli argomenti a sostegno della sua posizione e sviluppa un ragionamento valido. Naturalmente il lettore non se la sente di giustificare il gesto che Shylock si appresta a compiere, ma non può non riconoscere che egli ha dei buoni motivi per essere esacerbato. Dice Shylock:

  • Premessa I

Se sono maltrattati, gli uomini si vendicano. Così fanno anche i cristiani, nonostante la loro proclamata carità.

  • Premessa II

Io sono un uomo proprio come i cristiani e sono stato maltrattato ripetutamente da Antonio, proprio come fanno abitualmente i cristiani con gli ebrei.

Conclusione che deriva logicamente dalle premesse I e II (o tesi che Shylock voleva dimostrare)

Dunque (ergo), anch’io imparerò dai cristiani e mi vendicherò di Antonio.

 

 

T6 Dalla novella Tancredi e Ghismunda di G. Boccaccio: il discorso di Ghismunda

Il passo che segue è la traduzione in un italiano contemporaneo di una famosa novella di Boccaccio e riferisce la risposta che una giovane donna dà alle accuse che il padre le rivolge. Ghismunda è la figlia del principe di Salerno, Tancredi, e vive in un’epoca - l’età medievale – in cui è il padre a decidere il matrimonio della figlia. Tancredi dà Ghismunda in sposa ad un nobile, che però muore non molto tempo dopo il matrimonio. La figlia vorrebbe un secondo marito, ma il padre, che non vuole separarsi da lei, non sembra intenzionato ad autorizzare un nuovo matrimonio; pertanto la donna decide che si prenderà un amante. Tra tutti gli uomini della corte sceglie il giovane valletto Guiscardo, molto apprezzato dal padre per le sue tante qualità (= virtù), ma di umili origini. Trova il modo di incontrarlo di nascosto, ma un giorno il padre viene a scoprire questi incontri segreti senza che i due amanti se ne accorgano e fa arrestare il giovane all’insaputa della figlia. Va poi a trovare Ghismunda e la rimprovera aspramente.

Il giorno successivo Ghismunda non sapeva ancora nulla. Tancredi, in preda a pensieri terribili, dopo pranzo andò nella camera della figlia, com'era sua abitudine. La fece chiamare, si chiuse dentro con lei e piangendo le disse: «Ghismunda, mi sembrava di conoscere la tua virtù e la tua purezza. Non avrei mai creduto, neanche se qualcuno me l'avesse detto, che tu potessi anche solo pensare di darti a un uomo che non fosse tuo marito. Eppure ti ho vista coi miei occhi mentre lo facevi. E ora io, per quel poco di vita che mi resta, non potrò mai togliermi dagli occhi questa immagine dolorosa. E avesse voluto Iddio che, se proprio dovevi calpestare il tuo onore in questo modo, almeno scegliessi un uomo degno della tua nobiltà. Invece, fra tanti che vivono alla mia corte, hai scelto Guiscardo, un giovane di origini miserabili, che è stato allevato qui per carità. E quindi mi hai gettato in un dubbio grandissimo, perché a questo punto non so davvero che fare di te. Per quanto riguarda Guiscardo, che ho fatto catturare stanotte mentre usciva dallo spiraglio, e che tengo rinchiuso, ho già stabilito che farne. Ma con te non so come comportarmi. Da una parte il mio amore di padre ‑ e io t'ho sempre amata infinitamente ‑ mi spinge a perdonarti; dall'altra però, il giusto sdegno per il tuo folle comportamento mi spinge ad andare contro la mia natura e a punirti crudelmente. Prima di prendere una decisione, comunque, desidero ascoltare quello che hai da dire». Detto questo abbassò la testa e pianse come un bambino picchiato.
Ghismunda, sentito che il suo amore segreto era stato scoperto e che Guiscardo era stato catturato, fu presa da un dolore insostenibile e andò molto vicina a mostrarlo con grida e lacrime, come fanno le donne di solito. Ma grazie alla forza della sua personalità riuscì a vincere questa debolezza, e, con eccezionale autocontrollo, impedì al proprio volto di mostrare la disperazione. Pensando che il suo Guiscardo fosse già morto, decise che si sarebbe uccisa, piuttosto che implorare pietà.
Non assunse l'aria della donna addolorata o pentita per il proprio errore. Aveva il viso asciutto e  diginitoso, quando, con coraggio e senza turbamenti, rispose: «Tancredi, io non sono disposta a negare quello che è avvenuto, né a implorare il tuo perdono. So che non servirebbe, e non voglio che serva. Non intendo in alcun modo suscitare la tua benevolenza facendo leva sul tuo amore. Voglio invece difendere il mio onore dicendo la verità, e tenere fede, con i fatti, alla purezza del mio animo. È vero, ho amato Guiscardo, l'amerò per la poca vita che mi resta, e poi, se si ama anche dopo la morte, io non smetterò mai di amarlo. Ma bada che non è stata la mia fragilità femminile, a portarmi a questo; sono state invece la tua poca sollecitudine a farmi risposare e le virtù di Guiscardo. Ti doveva essere chiaro, Tancredi, che, essendo tu fatto di carne, avevi generato una figlia di carne, e non di pietra o di ferro. Dovevi ricordarti ‑ e devi ricordarti ‑ anche se ormai sei vecchio, quali sono le leggi della giovinezza e con quanta forza si fanno valere. Tu hai dedicato i tuoi anni migliori alla guerra, tuttavia non dovevi ignorare cosa avviene, nei vecchi come nei giovani, quando vivono nell'ozio e nella raffinatezza. Io sono di carne, come mi hai fatto tu, sono ancora giovane, non ho vissuto abbastanza, e per queste ragioni sono piena di desiderio. Inoltre sono già stata sposata, ho conosciuto cosa si prova a soddisfare quella voglia, e questo ha moltiplicato straordinariamente il mio desiderio. Non potendo resistere a forze così grandi, decisi di assecondarle, e mi innamorai. Feci di tutto per impedire che questo peccato, impostomi da un istinto naturale, procurasse vergogna a te e a me. L'Amore pietoso e il destino benevolo mi indicarono il modo per soddisfare i miei desideri senza che nessuno lo sapesse. Non so chi te lo ha detto, o come l'hai saputo, comunque io non nego nulla. Non ho fatto come molte donne, che scelgono un uomo quasi per caso: io, riflettendo, ho preferito Guiscardo ad ogni altro. L'ho avvicinato con prudenza e poi, con saggia perseveranza, abbiamo lungamente goduto del nostro amore. Purtroppo mi sembra che tu sia più interessato all'opinione della gente che alla verità: infatti mi dici che, oltre che dal mio peccato d'amore, sei turbato dal fatto che ho scelto un uomo di umili origini, invece che un nobile. Non ti rendi conto che dicendo questo non rimproveri amaramente il mio peccato, ma quello del. caso, che spesso innalza persone indegne e lascia in basso quelle di valore. Ma sorvoliamo su questo, e considera l'origine delle cose: siamo fatti tutti della stessa carne, e uno stesso Creatore ha creato tutte le anime con la stessa forza, le stesse possibilità, le stesse doti. Nasciamo tutti uguali, ed è la virtù che dimostriamo a distinguerci. In passato furono detti nobili gli uomini più virtuosi, e gli altri furono considerati uomini comuni. Successivamente il modo per definire la nobiltà è mutato così tanto da nascondere il significato originario, ma la natura conserva immutata questa verità: chi agisce virtuosamente dimostra con ciò stesso di essere nobile, ed è in grave errore chiunque non lo consideri tale. Ma guarda gli uomini che si aggirano a corte, esamina la loro vita, il loro comportamento, le loro abitudini; poi guarda Guiscardo: se valuti senza risentimento, vedrai che lui è nobilissimo, mentre tutti quei presunti nobili sono degli ignobili zoticoni. Io ho creduto alla virtù e al valore di Guiscardo basandomi sui miei occhi e sulle tue parole. Non eri tu che lo elogiavi in tutte quelle cose per cui va elogiato un uomo di valore? E avevi ragione: se non mi sbaglio non gli hai mai fatto una lode che lui non meritasse ampiamente, e anzi direi che le sue azioni superavano le tue parole. Se poi mi sono ingannata, saresti stato tu ad ingannarmi. E ora vorresti ripetermi che mi sono messa con un uomo da poco? Mentiresti. Ma se per caso ti venisse in mente di dire che è povero, questo lo dovrei ammettere, ma la vergogna ricadrebbe su di te: ecco come hai saputo ricompensare un tuo servitore prezioso. Comunque, la miseria non toglie a nessuno la sua nobiltà, toglie solo le ricchezze. Molti re, molti gran principi furono poveri, e, d'altra parte, molti zappatori e pecorai furono ricchissimi e lo sono tuttora. Scaccia dalla tua testa l'ultimo dubbio, cioè cosa fare di me: se tu nell'estrema vecchiaia sei disposto a fare ciò che non facesti quando eri giovane, cioè a comportarti con crudeltà, allora riversa pure su di me questa sete di sangue. Io non sono disposta a chiederti perdono per il mio peccato, se poi ha senso chiamarlo peccato. Ti assicuro che farò a me stessa, con queste stesse mani, quello che hai già fatto o farai a Guiscardo. Ora va', vai via, corri a piagnucolare come una femmina isterica, e poi, guidato dalla crudeltà, se ti pare giusto, uccidi me e lui con il medesimo colpo».

Nel testo sono stati sottolineati i due argomenti che Tancredi oppone alla figlia a sostegno della sua tesi: Ghismunda non avrebbe dovuto prendersi un amante.
La risposta che quest'ultima dà al padre si presenta come un bell'esempio di arte dialettica, in cui gli argomenti addotti dal principe a sostegno della propria tesi vengono discussi e  ribattuti con estrema abilità.
Prova a ricostruire l'impalcatura del ragionamento di Ghismunda, che risulta articolato in una serie di argomenti a sostegno della tesi opposta, cioè il suo diritto ad amare ed in particolare ad amare Guiscardo.

A. Lavoro preliminare sul testo

  • Ghismonda pronuncia un discorso a difesa del proprio amore nella forma di risposte precise e puntuali (= argomenti) alle accuse e alle perplessità del padre. Individua nel testo le risposte di Ghismonda, sottolineale e numerale come segue: Accusa 1, risposta 1.a, risposta 1.b ....ecc...
  • Il discorso di Ghismonda è un testo compatto in cui non ci sono mai a capo. Nel modo di scrivere corrente, al termine di ogni argomento bisogna andare a capo. Evidenzia i punti dopo i quali sarebbe opportuno andare a capo.

B. Schematizzazione
Sintetizza il discorso di Ghismonda come segue.

Accusa 1: ...................                  Argomento 1. a ................................................................
Argomento 2. b ................................................................ecc
Ecc..............................                      .........ecc......ecc....        

C. Riassunto
Su un foglio separato, senza avere il testo a disposizione, riassumi in un testo unitario non schematico le accuse e le perplessità di Tancredi e le risposte di Ghismonda (obbligatoria la terza persona, il discorso indiretto e l’uso del tempo presente come tempo-base).

 

T7 Dal saggio storico Quando il cielo si oscura di V. Fumagalli

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Il Medioevo, soprattutto nell'età feudale, fu in Europa 1'epoca degli uomini di Chiesa, sacerdoti e monaci.
Le fondazioni pie, luoghi di culto e di assistenza ai poveri, oltre che di preghiera, sorgevano dappertutto, piccole o grandi; esse erano una caratte­ristica dominante del paesaggio, concorrendo con le fortificazioni, castelli, torri e mura, a dargli una fisionomia destinata a durare per secoli. La paura dell'aldilà, la presenze incombente delle pene infernali che scuotevano 1'immaginazione di uomini istintivi ed impressionabili, li spingevano a mettersi all'ombra di una chiesa, di un ospizio, di un monastero, donando ad essi i propri beni e richiedendo in cambio una preghiera costante dopo la morte. Fu così che aumentarono le proprietà del clero e aumentarono gli ecclesiastici con il passare del tempo, assicurati nella loro sussistenza da cospicue donazioni. Dai piccoli lotti di terra conferiti da contadini di mediocre condizione, alle vaste estensioni donate dalla nobiltà e dai re, si venne formando una somma di beni inferiore solo a quelli della corona. Nella seconda metà del secolo IX, il monastero piacentino di San Colombano di Bobbio aveva già accumulato parecchie decine di grandi proprietà fondiarie. […] Più di 600 coloni aveva Bobbio a quel tempo; un migliaio erano i coloni del monastero di Santa Giulia di Brescia; di analoghe folle di coltivatori dipendenti disponevano tanti altri enti monastici nell'Italia del tempo. In Toscana, San Salvatore dell'Amiata e Sant'Antimo, nel Senese, gareggiavano con i potenti monasteri del Nord e con quelli del Centro e del Sud, tra i quali Santa Maria di Farfa e San Vincenzo al Volturno. Alcuni esempi, questi, fra decine di grandi cenobi [= conventi], di fondazione regia quasi tutti, che raggiunsero ricchezza e celebrità eccezionali con il trascorrere degli anni, toccando 1'apice nel secolo X.
Le chiese vescovili disponevano in genere di una ricchezza inferiore a quella delle abbazie; come la cattedrale di Modena, sempre in conflitto, per motivi di proprietà, con la vicina abbazia regia di Nonantola. Ma, se le famose comunità monastiche, le più presti­giose sedi vescovili detenevano il primato della ricchezza, del potere e della cultura, una miriade di piccole chiese, di piccoli monasteri concorrevano con le prime per 1'altissimo numero a cui assommavano. Dai passi alpini ed appenninici alle basse pianure paludose, ai litorali malsani del mare, migliaia di fondazioni di culto e di assistenza a poveri e viandanti si offrivano in successione continua a chi allora si metteva in viaggio da una regione all'altra dell'Italia. Non diversamente stavano le cose nelle zone transalpi­ne, dove primeggiavano le abbazie illustri di Corbie, in Francia, di Fulda, Reichenau, San Gallo, Prüm, nelle terre di lingua tedesca. Centinaia di monaci affollava­no i grandi monasteri; tutti dediti ad una pesante liturgia, all'impetrazione continua [= richiesta a Dio attraverso la preghiera] della pace, della sicurezza dell'Impero e dei Regni, della fede cristiana, alla celebrazione della ricorrenza degli anniversari di morte dei grandi personaggi; centinaia di poveri venivano sfamati mentre si alzavano i canti dalle bocche dei confratelli a rimedio delle anime dei potenti defunti. Nelle piccole chiese, nei piccoli monasteri, sparsi nelle campagne e nei villaggi, si pregava per uomini sconosciuti, cui la salute dell'ani­ma era assicurata dal dono di un campo, di un vigneto, di una fetta di bosco ai sacerdoti ed ai monaci.
Pur persistendo culti pagani nella folla dei rustici [= contadini], questi si legavano sempre maggiormente alle chiese, spesso confondendo le pratiche, credendo ad una fede naturalistica antica [= fede pagana basata sulla divinizzazione delle forze e degli elementi della natura, come alberi, fonti, etc. trasformati in divinità] ed agli insegnamenti della religione cristiana, in un'ibrida commistione [= mescolanza] che noi, ancora oggi, ben poco conosciamo. Dalle leggi longobarde a quelle carolingie, i re stessi debbono vietare i culti pagani tributati alle forze della natura, ad alberi, fonti, sorgenti, rocce, considerati sacri perché vicino ad essi i rustici si adunavano a compiere pratiche antiche. Molti chierici [= ecclesiastici] credevano alle stesse cose cui prestavano fede i contadini e tremavano se la luna s'oscurava, se in cielo appariva per lunghe notti una cometa, se un mago pronosticava calamità. Grandine, tuoni e lampi si credeva fossero manifestazioni dell'ira divina, come di divinità pagane così anche del dio cristiano, quando la paura causata da guerre e malattie si accompagnava a tali fenomeni naturali. Potevano nascere ed essere raccontate leggende paurose: grosse pietre che cade­vano dal cielo assieme alla grandine, fulmini che castigavano gli uomini incendiando i villaggi di una regione, piogge di sangue, simboli di guerra proiettati nelle figure rosseggianti di un cielo al tramonto dove si vedevano spade, lance, cavalieri in marcia verso un paese lontano.
Su questo sfondo di credenze, pagane o cristiane, ma pur sempre sollecitatrici di paura, è facile capire come chi rappresentava sulla terra la divinità, mago o sacerdote, fosse guardato con rispetto, venerazione, come la malattia piegasse gli uomini a temere la morte e ad accattivarsi il clero elargendogli i propri beni. Così il clero, soprattutto 1'alto clero, si arricchiva ed il suo stile di vita si allineava a quello dei nobili, negli abiti stessi, nella vita di ogni giorno. Ripetutamente i re carolingi debbono proibire agli abati, alle badesse, ai vescovi, e a tutto il clero, di andare a caccia. E il grande abate di Cluny, Oddone, scrive, come abbiamo visto, che Dio ebbe in dispregio Esaù perché era cacciatore; perché la caccia distrae dalla riflessione e scatena istinti incontrollabili.
Da una Chiesa umile - quella dei primi secoli - ­via via si giunge alla Chiesa ricca, cattedrali e abbazie floride e potenti, vescovi e abati splendidamente vestiti, amanti dei cavalli, dei cani, delle grandi mangiate, non diversamente dai nobili laici al quali spesso sono imparentati.
Vito Fumagalli

TESI

Il testo proposto presenta la seguente articolazione:

  • enunciazione della tesi che si vuole sostenere,
  • argomenti generali portati a sostegno della tesi,
  • esempi tratti da situazioni concrete, cioè relativi a eventi, processi e personaggi dell’Europa medievale, che confermano gli argomenti generali.

Trattandosi di un testo espositivo-argomentativo di carattere storico, gli argomenti generali possono prendere anche la forma di un’analisi delle cause e degli effetti.

 

A. Lavoro preliminare sul testo

  • Individua nel testo gli argomenti generali a sostegno della tesi (se è necessario, indicando cause → effetti), e procedi alla numerazione degli argomenti (argomento A, argomento B, ecc.).
  • Per ogni esempio a sostegno di un argomento generale, scrivi nella colonna di destra la parola “es” accompagnata da un numero progressivo (es1, es2, ecc.).

B. Schematizzazione

  • Trascrivi la struttura argomentativa del testo che hai individuato, procedendo secondo il modello indicato

TESI: Il Medioevo, soprattutto nell'età feudale, fu in Europa l'epoca degli uomini di Chiesa, sacerdoti e monaci.

A) Argomento generale: ....................................................................................................
.........................................................................................................................................................................................................................................................................................
1) esempio:                                                                                                                                  
.............................................................................................................................................
.............................................................................................................................................
2) esempio:                                                                                                                                  
.............................................................................................................................................
.............................................................................................................................................
ecc.
B) Argomento generale: .....................................................................................................
.............................................................................................................................................
.............................................................................................................................................
1) esempio: .........................................................................................................................
.............................................................................................................................................
ecc.
2) esempio: .........................................................................................................................
.............................................................................................................................................
ecc.
ecc.

C. Riassunto
Riassumi con parole tue, in un testo unitario non schematico, il passo sopra riportato, con particolare attenzione alla struttura argomentativa del passo.

Fonte: http://www.pascal.re.it/Documents/SpazioStudenti/materialeDidattico/biennio/Ferretti%20MA-1D-EserciziGrammatica.doc

Sito web da visitare: www.pascal.re.it/

Autore del testo: Maria Assunta Ferretti

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