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TRATTAMENTI GALVANICI
Lo scopo fondamentale di una finitura galvanica è ottenere un deposito il cui effetto persista per un periodo almeno pari alla vita media dell’oggetto su cui è applicato. Questo periodo non è di semplice definizione tuttavia esiste qualche condizione su cui ci si può basare per ottenere un risultato soddisfacente.
Innanzitutto bisogna individuare l’ambiente in cui il sistema opera. Sarà quindi utile fare delle prove potenziometriche per definire una scala delle nobiltà relativa all’ambiente dei metalli interessati al processo compreso il metallo base. In questo caso lo strato esterno, per poter mantenere intatte tutte le sue caratteristiche estetiche, dovrà fornire una protezione catodica, cioè avere il massimo di nobiltà possibile.
Stabilita tale scala si potrà definire una successione di depositi conveniente economicamente e di valore tecnico. In genere l’oggetto da rivestire richiede un rivestimento livellato e lucido per eliminare imperfezioni provenienti dalle lavorazioni meccaniche precedenti. I depositi che soddisfano a queste condizioni sono la nickelatura lucida e la ramatura lucida.
Uno o entrambi di questi depositi diventano necessari per conferire le proprietà anzidette indipendentemente dal valore del potenziale del materiale base. E’ buona norma in questo caso che la successione dei depositi segua una scala dei potenziali crescenti nel senso della nobiltà dall’interno verso l’esterno in modo che la differenza fra uno strato ed il successivo non superi i 200 mV.
In queste condizioni la possibilità che si verifichi una corrosione per contatto fra due strati successivi risulta notevolmente ridotta a causa dell’intervento dei fenomeni di polarizzazione dei due elettrodi che assorbono una buona parte del potenziale disponibile rendendo così trascurabile la corrente di corrosione. Affinché questo sia verificato è necessario che i depositi non siano porosi altrimenti si può avere contatto fra due strati non confinanti per intercessione di un elettrolita.
La porosità, che è insita in ogni rivestimento, può essere limitata sfruttando lo spessore del deposito almeno dove l’aspetto economico lo consenta. Oltre alle porosità anche le criccature indotte da sforzi esterni possono provocare il contatto fra strati non adiacenti. Questo succede generalmente quando il deposito è fragile e di elevato spessore.
Da quanto detto è necessario stabilire una successione degli strati che tenga conto dei seguenti parametri:
L’aspetto economico si riferisce in genere al costo del metallo nobile depositato in quanto molto superiore rispetto a tutti gli altri costi generali di deposizione.
Per quanto riguarda l’aspetto corrosivo si riportano due scale della nobiltà crescente in due ambienti diversi che possono essere rappresentativi delle condizioni d’uso per bigiotteria e montature per occhiali, cioè oggetti che vengono a contatto con la pelle e soggetti quindi a sudore o all’azione di corrosione salina.
Soluzione cupro salina acetica |
Sudore artificiale |
Rame |
Alpaca |
Alpaca |
Nickel |
Nickel |
Rame |
Argento |
Argento |
Oro |
Oro |
Palladio |
Platino |
Platino |
Palladio |
Rutenio |
Rutenio |
Composizione della soluzione cupro salina acetica:
Cloruro di Sodio |
NaCl |
50 g/l |
Acido Acetico |
CH3COOH |
10 g/l |
Cloruro Rameico biidrato |
CuCl2×2H2O |
0.26 g/l |
PH |
|
3.0 – 3.1 |
Temperatura |
|
20 °C |
Composizione soluzione sudore artificiale:
Cloruro di Sodio |
NaCl |
10 g/l |
Acido Lattico |
CH3CHOHCOOH |
1 g/l |
Urea |
H2N-CO-NH2 |
1 g/l |
PH |
|
4.7 |
Temperatura |
|
20°C |
. In qualsiasi trattamento galvanico la soluzione elettrolitica è contenuta in una vasca, normalmente rettangolare, costituita in materiale polimerico inerte rispetto alla soluzione e cioè PVC e PP. Il PP ha una miglior resistenza alla deformazione a caldo ma non resiste ad ambienti ossidanti (ad esempio cromati). Se le vasche sono di dimensioni elevate è più economico utilizzare una struttura portante in acciaio e rivestirla con un foglio da 2-3 mm di PVC o PP. Sui due fianchi più lunghi della vasca vengono fissati appesi ad una barra metallica gli anodi. Questi possono essere costituiti da anodi attivi che si ossidano durante l’elettrolisi fornendo ioni alla soluzione dello stesso tipo di quelli che si vanno depositando al catodo. Oppure possono essere di tipo inerte quali titanio o titanio platinato che non partecipano alla reazione anodica ma fanno solo da supporto alla stessa per lo scambio elettronico alla loro superficie. Se gli anodi sono di tipo solubile, come nel caso della ramatura o della nichelatura, gli stessi andranno introdotti in piastre rivestiti con sacchi filtranti di meraklon per evitare che particelle che si staccano dall’anodo possano andare a depositarsi al catodo provocando scarti. E’ diventato di uso comune l’utilizzo di anodi solubili in forma di quadretti, discoidi o sfere di piccole dimensioni che vengono introdotti in cestelli di rete di titanio. In questo modo risulta più semplice mantenere costante la superficie anodica con un rabbocco frequente di materiale. Anche in questo caso è d’obbligo l’uso del sacchetto di protezione in meraklon.
Sopra la vasca, disposta centralmente rispetto alle due barre anodiche viene posizionata la barra catodica su cui vengono disposti i pezzi da trattare. Questa potrà essere dotata di movimentazione longitudinale e parallela agli anodi. In questo modo le linee di corrente subiranno continuamente una modifica di percorso andando ad investire anche zone del catodo che rimarrebbero altrimenti meno favorite. Un secondo effetto della movimentazione è rappresentato dalla azione della soluzione sullo strato limite catodico che viene continuamente rimosso favorendo i fenomeni di diffusione all’interfaccia. La superficie anodica dovrà in genere essere almeno doppia della catodica.
Se la soluzione opera a caldo bisogna dotare la vasca di un sistema di riscaldamento che può essere a vapore oppure a energia elettrica. Nel primo caso la serpentina, all’interno della quale circola il vapore, dovrà essere in titanio per evitare fenomeni di corrosione. Nel secondo caso, valido in particolare per piccoli impianti, si utilizzano resistenze elettriche protette da una camera in ceramica oppure da un rivestimento in teflon. Per controllare la temperatura si utilizzano termostati con regolazione PID (Proporzionale , Integratore, Derivatore) o PI .
Per mantenere la omogeneità della temperatura nella soluzione questa viene agitata mediante una pompa di ricircolo esterna che ha una portata oraria di 10-20 volte il contenuto della vasca. A tale pompa è collegato un sistema filtrante con filtri in carta o in polipropilene che asportano in continuo dalla soluzione eventuali particelle solide provenienti o da pezzi che cadono sul fondo della vasca o dagli anodi per rottura del sacco di contenimento.
Per evitare che una diminuzione del livello del liquido nella vasca metta allo scoperto gli oggetti da trattare o la resistenza elettrica per il riscaldamento, con conseguenze alle volte anche molto onerose, è conveniente dotare le vasca di un sensore di livello che intercetti il comando del riscaldamento e quello della pompa e dia l’allarme.
Un altro elemento importante a corredo della vasca di trattamento è il dosatore automatico dei brillantanti. Mentre la concentrazione dei sali può variare entro intervalli sufficientemente larghi ,la concentrazione degli additivi brillantanti non può variare molto per poter mantenere sufficientemente costante la finitura. Siccome il consumo di queste sostanze è funzione preponderante della quantità di corrente che passa nella soluzione si adottano delle pompe dosatrici la cui portata è funzione degli amperora utilizzati. Con questo sistema il controllo della soluzione può essere notevolmente ridotto.
I telai di supporto dei pezzi da trattare sono costituiti in ottone con ganci generalmente in acciaio armonico. Il tutto, con l’esclusione del contatto alla barra catodica ed il contatto dei pezzi, va ricoperto con plastisol di PVC per evitare il deposito su parti non richieste.
Infine si utilizza un raddrizzatore di corrente che converte la corrente alternata in continua mediante ponti a diodi o triristori in accoppiamento con condensatori per rendere l’onda di corrente più lineare possibile. La tensione a cui si opera arriva ad un massimo di 6-8 V per cui non vi sono problemi di sicurezza anche nell’aggancio manuale dei telai portapezzi sulla barra catodica.
E’ comunque doveroso che tutti i servizi elettrici collegati alla vasca e cioè: pompa, raddrizzatore, riscalcaldatore e movimentazione catodica siano dotati di interruttore differenziale per proteggere l’operatore da eventuali perdite elettriche visto che può essere necessario intervenire manualmente durante le operazioni di elettrodeposizione.
In una produzione industriale i pezzi grezzi che provengono dalle lavorazioni meccaniche possono essere contaminati da materiali estranei raccolti durante il ciclo lavorativo. Inoltre anche le condizioni ambientali e i tempi di lavorazione o di sosta fra una lavorazione e l’altra possono modificare le condizioni superficiali del materiale andando ad influire sulle operazioni galvaniche successive. Le tipologie di sporco più comuni sono:
Dal punto di vista chimico gli sporchi possono essere suddivisi in tre categorie:
Normalmente la rimozione non è una operazione semplice perché lo sporco ha composizioni non sempre definite e costanti. In particolare ha molta influenza il periodo di invecchiamento dello sporco a contatto con il pezzo. Tempi lunghi di contatto comportano maggior difficoltà per l’intervento di reazioni fra metallo e sporco, specialmente nel caso di sostanze organiche che possono subire ossidazione. E’ quindi importante ridurre al minimo il tempo di permanenza dei pezzi allo stato non deterso.
E’ l’operazione che ha lo scopo di rimuovere dal metallo i materiali estranei raccolti nelle precedenti lavorazioni e renderlo così adatto alle successive . Il risultato di questa operazione non dipende solo dalla tipologia delle soluzioni adottate ma anche dalle modalità di lavaggio.
I componenti di un detergente sono i tensioattivi e sali coadiuvanti:
Il componente fondamentale di un sistema di lavaggio è il tensioattivo. Le proprietà dei tensioattivi derivano dalla dipolarità della sua molecola per cui una porzione è solubile in solventi polari (acqua) e un’altra è solubile in quelli apolari (oli minerali). Questo provoca una distribuzione molecolare caratteristica all’interfaccia fra i due sistemi con la modifica dell’energia interfacciale (micelle). I tensioattivi sono quindi utilizzati per modificare la bagnabilità della superficie in fase di lavaggio o per favorire l’emulsionabilità di un olio o di uno sporco per poterlo così asportare dalla superficie di un oggetto. Sono normalmente utilizzati nell’industria con soluzioni alcaline, acide o con solventi. Possono essere suddivisi nelle seguenti classi:
Il tipo cationico è poco utilizzato mentre molto usate sono le miscele di anionici e non ionici.
Il primo tipo di detergente organico ,il sapone derivato da grassi animali, è stato utilizzato per molti anni anche senza una formale conoscenza del meccanismo della detergenza.
Il grasso reagisce con la soda caustica che sposta il gruppo glicerico e salifica l’acido derivato. Questi saponi sono quindi costituiti da una lunga catena di atomi di carbonio solubile in olio e da un gruppo terminale ionizzato negativamente solubile invece in acqua. Sono dei buoni detergenti ma se salificati con metalli come calcio e magnesio diventano insolubili. Le acque dure utilizzate nella preparazione di queste soluzioni inibiscono quindi l’azione detergente.
La loro solubilità in acqua è limitata per la presenza di una lunga catena paraffinica solubile in solventi apolari contro un piccolo gruppo solubile in quelli polari. La loro azione è limitata ad un certa varietà di grassi per cui sono generalmente sostituiti da componenti sintetici. I tensioattivi sintetici sono prodotti da alcoli derivati da noci di cocco, come il laurilsolfato sodico,o da frazioni petrolifere combinate con benzene e solforati con acido solforico.La lunghezza della catena ne determina le proprietà. Se la catena paraffinica contiene da 8 a 10 atomi di carbonio si ottiene un tensioattivo; se gli atomi di carbonio della parte paraffinica sono 12 si ha un detergente mentre con 16 si ha un emulsionante.
Si ottengono condensando fra loro molecole di ossido di etilene con polimeri insolubili in acqua. La struttura ottenuta è costituita da una parte apolare (catena polimerica ) e da un’altra polare ma non dissociata. I gruppi che compongono la parte polimerica sono generalmente:
Se ci sono almeno 20 gruppi di ossido di etilene il prodotto è un tensioattivo, se questo numero è circa 10 allora abbiamo un detergente mentre se sono solo 5 avremo un emulsionante.
In questo caso il gruppo terminale è caricato positivamente invece che negativamente come nel caso degli anionici. I detergenti cationici hanno basse caratteristiche. Il loro uso è dovuto al loro potere germicida, emolliente e antistatico. I più usati sono formati da sali d’ammonio quaternari.
I tensioattivi anfoteri hanno un gruppo anionico ed uno cationico sufficientemente grande e si caricano positivamente o negativamente in base all’alcalinità o basicità della soluzione in cui sono immessi. Essi sono in genere compatibili con soluzioni di natura diversa.
I detergenti possono essere suddivisi nelle seguenti categorie in base alla natura dei sali coadiuvanti che contengono e cioè:
Dal punto di vista fisico possono essere in polvere o liquidi.
Nella scelta di uno sgrassante è necessario tenere in considerazione sia lo sporco che deve essere eliminato, sia il materiale base che deve essere preservato da attacchi che ne alterano le caratteristiche estetiche e meccaniche in generale.
Ad esempio sistemi basici ad elevato contenuto in soda caustica sono molto validi per la detergenza dei materiali ferrosi ma sono sconsigliati per leghe di rame ed estremamente dannosi per l’alluminio. Il grosso dei consumi nell’industria riguarda i detergenti alcalini mentre gli acidi sono più dedicati ad alluminio e sue leghe, rame e ottone.
I solventi organici il cui utilizzo ha avuto un notevole sviluppo nell’ultimo ventennio hanno subito recentemente una notevole contrazione nell’utilizzo per motivi ecologici. Anche per i detergenti a base acquosa gli effetti ecologici hanno imposto comunque restrizioni riguardevoli.
L’azione di uno sgrassante si concentra in uno o più dei seguenti effetti:
3. TIPI di SGRASSANTI
Questa classe di sgrassanti è la più utilizzata ed è costituita da una miscela di sali alcalini con tensioattivi. Lo scopo di queste miscele è di soddisfare ad un certo numero di esigenze che possono essere così elencate:
Per ottenere queste proprietà è spesso necessario mescolare più sali alcalini e più tensioattivi. Il contenuto di tensioattivi è di circa il 5-15% e la sua scelta è molto legata allo sporco da eliminare. Industrialmente vi sono sgrassanti specifici oppure ad ampio specchio. Gli alcali utilizzati nei detergenti industriali sono:
1-Sodio idrato. Fornisce un’alcalinità iniziale.
2-Sodio carbonato. Mantiene il pH basico per idrolisi e liberazione di CO2.
3-Sodio metasilicato e sodio ortosilicato. Forniscono l’acido silicico che essendo insolubile in acqua rimane sospeso nella soluzione per lunghi periodi ed impedisce la rideposizione dello sporco sui pezzi. Inibisce la corrosione dei metalli in particolare di alluminio e zinco. Se la soluzione è acida l’acido silicico precipita sui pezzi formando un velo protettivo di difficile rimozione se non ricorrendo ad alcali molto forti o ad acido fluoridrico. Prima di introdurre i pezzi lavati con una soluzione che contiene silicati in una soluzione acida è bene operare un attento risciacquo.
4-Trisodio fosfato, TSP; Tetrasodio pirofosfato ,TSPP; polifosfati. Hanno elevato valore peptizzante ma scarso valore detergente. Sostituiscono i silicati dove questi sono indesiderati ed hanno un certo effetto nella rimozione degli oli minerali. I polifosfati si combinano con calcio e magnesio presenti nell’acqua per effetto del loro potere sequestrante evitando che questi sali possano reagire con i saponi. L’aspetto negativo è che i fosfati complessi per effetto della temperatura, del tempo o dell’abbassamento del pH idrolizzano a fosfati semplici perdendo il loro potere complessante.
5-Chelanti. Sono sostanze organiche che hanno la funzione dei sequestranti ma la loro forza complessante è maggiore e risente meno delle variazioni di pH. I più comuni sono l’EDTA e la NTA ed il sodio gluconato che ha un buon effetto sul ferro e rame dove l’EDTA è più carente. Anche i cianuri ed i citrati hanno un buon effetto complessate su rame e ferro.
Sono meno utilizzati di quelli alcalini. Sono costituiti da tensioattivi e da sali acidi o neutri come i pirofosfati, tartrati e citrati. Si utilizzano solamente nei casi in cui un metallo sia molto sensibile all’attacco di una base forte. Metalli di questo tipo sono ad esempio lo zinco o le leghe di zinco (Zama) e l’alluminio. L’utilizzo non è elevato in quanto questi sgrassanti sono mediamente molto costosi. Infatti sono costituiti da quantità di tensioattivo più elevate e da sali più pregiati rispetto ai detersivi basici. Quindi si utilizzano solo se è strettamente necessario.
4. PROCESSI DI SGRASSAGGIO
Gli oggetti vengono sottoposti all’azione chimica del detergente più conveniente coadiuvato dall’intervento di azioni meccaniche semplici o combinate quali:
Migliora il ricambio del liquido detergente nell’intorno del pezzo. Non può essere utilizzata con soluzioni di tensioattivi per evitare formazioni di schiume.
Si tratta di una azione meccanica ad elevata frequenza (20000-40000 Hz) che prodotta mediante generatori magnetostrittivi o piezoelettrici viene trasmessa alla parete della vasca che contiene la soluzione detergente. La parete trasmette a sua volta alla soluzione queste vibrazioni ad elevata frequenza che, incontrando i pezzi, provocano sulla superficie degli stessi fenomeni di vibrazione, cavitazione ed implosioni delle bolle di vapore che si formano per effetto della compressione e successiva espansione che il liquido subisce. Queste azioni staccano le particelle di sporco e favoriscono la bagnabilità del pezzo e la conseguente solubilità delle contaminazioni. La concentrazione del detergente varia da 1 a 2% e non deve comunque conferire elevata densità alla soluzione per non opporre resistenza alla trasmissione delle onde d’urto. La temperatura, che coadiuva la solubilità dello sporco, non deve essere prossima all’ebollizione (sono sufficienti 70-80 °C) per evitare formazione di bolle gassose che andrebbero ad assorbire l’azione meccanica degli ultrasuoni prima che questa possa esercitarsi sulla superficie dell’oggetto. E’ buona norma attivare l’ultrasuono alcuni minuti prima di iniziare il lavoro per espellere l’aria assorbita dalla soluzione durante le pause. Questo è molto importante con la soluzione preparata di fresco.
Questa azione di tipo meccanico favorisce il distacco delle particelle ed il rinnovo della soluzione a contatto con la superficie dei pezzi. Può essere accoppiata a quella degli ultrasuoni tenendo presente che in questo caso non deve essere troppo intensa per evitare la formazioni di bolle d’aria all’interno della soluzione.
In questo caso il pezzo costituisce uno dei due elettrodi di un trattamento elettrochimico. Per effetto del passaggio della corrente attraverso la soluzione l’acqua si dissocia in idrogeno al catodo e ossigeno all’anodo. La produzione di elevate quantità di gas produce un elevato livello di agitazione della soluzione facilitando il ricambio della soluzione a contatto con il metallo e quindi l’azione detergente. Il trattamento elettrolitico in oggetto non ha comunque un elevato effetto sgrassante ma serve per togliere il film sottilissimo che gli oggetti potrebbero aver conservato durante il lavaggio chimico o ricevuto durante qualche fase successiva ad esso. Se l’oggetto funziona da catodo si sviluppa idrogeno in quantità doppia rispetto all’ossigeno che si sviluppa all’anodo e quindi è maggiore l’azione meccanica. L’azione dell’idrogeno è molto importante perché produce una riduzione a metallo dei film di ossido presenti sulla superficie. L’azione dell’ossigeno è più importante come sgrassante per effetto dell’azione ossidante verso i grassi e l’aumento della loro solubilità nella soluzione acquosa.
Un problema importante è la possibilità che si formi la miscela tonante idrogeno-ossigeno in concentrazioni tali da provocare l’esplosione . Per evitare questo e necessario che la quantità di tensioattivo presente nella soluzione sia bassa e che la vasca sia dotata di collare di aspirazione.Lo stesso tensioattivo presente nella soluzione forma durante il funzionamento uno strato di schiuma che evita spruzzi e formazioni di nebbie.
In base al modo in cui il pezzo è polarizzato esso potrà funzionare da anodo o da catodo. I metalli che possono subire passivazione per ossidazione come nichel, acciaio inossidabile ,alluminio o titanio sono trattati catodicamente. L’ottone viene trattato catodicamente per evitare la dissoluzione dello zinco contenuto in lega. Contrariamente per il trattamento delle leghe di zinco da fusione si utilizza la polarizzazione anodica . A causa della sensibilità del metallo all’attacco degli sgrassanti alcalini è necessario utilizzare sistemi inibiti. Se questo è costituito da silicato si forma un film insolubile se si opera in catodica. Si opera allora in anodica con formulazioni speciali a bassi valori di tensione e per brevi tempi. L’acciaio, che è scarsamente sensibile all’ossidazione o alla riduzione può essere trattato anodicamente o catodicamente; ad alte densità di corrente l’acciaio tende ad annerire se non sono presenti inibitori. Anche l’acciaio inossidabile può essere trattato catodicamente o anodicamente ma quando viene utilizzata quest’ultima tecnica bisogna ricorrere ad un forte attacco acido per distruggere l’ossidazione superficiale e favorire una buona adesione del deposito galvanico successivo. Per il nickel e sue leghe è consigliato l’uso del trattamento catodico per evitare la formazione di ossidi molto stabili. Rame e zinco possono essere trattati in entrambi i modi ma l’effetto anodico è preferito per evitare deposizione di metallo disciolto nel bagno.
L’ottone di solito è trattato catodicamente e successivamente in modo anodico.
Gli effetti elettrodici dipendono dalla densità di corrente che viene espressa in Ampere per decimetro quadro di superficie. Tuttavia la distribuzione della corrente e quindi la densità non è costante. Essa sarà più alta sulle punte e nelle zone più vicine al controelettrodo, più bassa nei recessi e nelle zone più distanti.
Più alta è la densità di corrente maggiore è la produzione di gas e quindi l’effetto sgrassante ma se il trattamento è anodico può aumentare la dissoluzione del metallo o gli effetti ossidativi. L’utilizzo di alte densità di corrente in anodica può essere ammessa se l’ossido che si forma è facilmente asportabile in ambiente acido: questo viene spesso fatto deliberatamente col rame per evitare la formazione di un ossido rameoso difficilmente solubile mentre è facilmente solubile l’ossido rameico nero.
Conduttività
La conducibilità della soluzione elettrolitica è dovuta alla presenza di ioni la cui mobilità determina l’efficienza di corrente. Ioni monovalenti come l’idrogenione, il sodio, il potassio e lo ione idrossido sono molto più mobili degli ioni complessi. In particolare lo ione ossidrile ha valori di conducibilità molto elevati. Anche la temperatura influenza positivamente la mobilità ionica. Tensioattivi o acidi grassi possono migrare all’elettrodo e formare uno strato impermeabile al passaggio della corrente e di difficile asportazione. Questi inquinanti possono far parte della formulazione del detersivo ma possono derivare anche dallo sporco asportato dai pezzi; per questo è necessario che il trattamento di sgrassatura elettrolitica sia preceduto da un buon lavaggio. Questi bagni vengono sostituiti con una certa cadenza che dipende dall’esperienza degli operatori in funzione delle condizioni operative. La tentazione di voler prolungare la vita di questi sistemi porta spesso a risultati scadenti nei depositi elettrochimici successivi.
La vasca normalmente è in acciaio inossidabile se lo sgrassante è alcalino e non contiene componenti aggressivi per tale materiale tenendo conto anche dell’azione concomitante dell’elettrolisi. In questo caso esso fa da controelettrodo per l’oggetto che invece viene appeso alla barra catodica o anodica.
La vasca dovrà essere collegata ad un raddrizzatore di corrente di opportuna potenza di circa 1-2 Ampere per litro di soluzione. La vasca sarà dotata di riscaldatore gestito da un termostato ed un indicare di livello minimo per evitare che i pezzi o il riscaldatore possano essere parzialmente non coperti dalla soluzione.
Dopo l’operazione di sgrassaggio elettrochimico i pezzi vengono risciacquati con acqua allo scopo di rimuovere i residui di detergente ed in particolare di tensioattivo rimasti aderenti alla superficie. Inoltre l’azione dell’idrogeno può aver trasformato degli ossidi superficiali in un metallo poco aderente al substrato e molto reattivo. La presenza di questa situazione potrebbe generare dei difetti nel deposito successivo. Per evitare questa evenienza i pezzi vengono sottoposti ad una blanda azione acida.
Questa avrà lo scopo di neutralizzare i componenti alcalini provenienti dallo sgrassaggio precedente, sciogliere gli ossidi residui e il metallo attivo causato dalla riduzione. Nei trattamenti puramente industriali dove l’aspetto estetico è minoritario rispetto a quello tecnico è tradizione di operare questo trattamento in una soluzione acida costituita da 2-4% di HCl o 3-5% di H2SO4 . Questo trattamento è poco oneroso ma può provocare l’attacco del substrato annullando l’effetto brillante generato dalle operazioni meccaniche di preparazione come la burattatura o pulitura con ruote di panno. Nel caso sia necessario ottenere una finitura lucida con bassi spessori di nickel o rame (2-6mm) conviene operare con una soluzione più costosa ma meno aggressiva così costituita:
NaHSO4 |
20-30 g/l |
NaHF2 |
5-10 g/l |
Tensioattivo anionico |
1 g/l |
Temperatura |
ambiente |
PH |
2-3 |
Una soluzione di questo tipo evita l’attacco del metallo base, esclusi titanio e alluminio, neutralizza la basicità trasportata sul pezzo dal bagno alcalino precedente, evita la precipitazione sulla superficie dei pezzi di calcio e magnesio presenti nelle acque di risciacquo, e per la presenza del tensioattivo, lascia una superficie bagnabile immediatamente dalla soluzione del bagno successivo.
I tensioattivi non si possono certo considerare in genere pericolosi per l’uomo ma lo sono sicuramente per l’ambiente. Queste sostanze sono nocive per la flora e la fauna ambientale perché ne alterano i meccanismi vitali. In sintesi possiamo fare un elenco dei composti che non dovrebbero essere contenuti nei tensioattivi:
Dovrebbero inoltre non essere schiumogeni ed avere basso COD e basso BOD.
Da queste condizioni si nota che i prodotti futuri si dovranno basare sulla salvaguardia dall’inquinamento, sia esterno che interno al luogo di lavoro, ed essere di facile rigenerazione o almeno biodegradabili.
Quando si ha a che fare con oggetti assemblati con materiali diversi, specialmente con parti in acciaio inossidabile, o di diversi fornitori dai quali spesso è difficile conoscerne l’esatta natura, è conveniente prima di passare alla deposizione degli strati di nickel o rame a spessore effettuare una deposizione sottile con un bagno ad ampio specchio di adesione al substrato e al successivo deposito. Questo si ottiene depositando elettroliticamente un film molto sottile (0,1mm) di nickel o rame dai seguenti bagni
Nickel Cloruro |
NiCl2*6H2O |
240 g/l |
Acido Cloridrico |
HCl 35 % |
125 cc/l |
Temperatura |
|
Ambiente |
Densità di corrente |
|
2-4 A/dm2 |
Polarità |
|
solo catodica |
Rame solfato |
CuSO4*5H2O |
0,5 g/l |
Acido cloridrico |
HCl 35% |
350 cc/l |
Temperatura |
|
ambiente |
Densità di corrente |
|
4-6 A/dm2 |
Polarità |
|
solo catodica |
L’elevata acidità di questi bagni provoca un notevole sviluppo di idrogeno attivando il catodo su cui si deposita un sottilissimo film di metallo. In genere il bagno di prenickel fornisce i risultati migliori specialmente su substrati di nickel o acciaio inossidabile.
Il bagno di prerame ha invece la caratteristica di avere un minor effetto coprente nel caso in cui sul pezzo vi fossero dei difetti di preparazione. In tal senso questo bagno funziona da agente diagnostico sui pretrattamenti.
Il rame viene depositato per diversi motivi ma in particolare:
Due sono le tipologie di soluzioni di ramatura più utilizzate: quelle basiche al cianuro e quelle acide al solfato. Limitate applicazioni hanno ottenuto i bagni al pirofosfato e quelli al fluoborato.
La ramatura al cianuro, malgrado la sua pericolosità, è comunque molto importante in operazioni galvaniche sia per depositi di aggancio che per depositi a spessore quando sia necessario limitare le tensioni interne. I bagni sono caratterizzati da un elevato potere penetrante e possono essere applicati direttamente ad acciai e leghe di zinco a differenza dei bagni acidi. Infatti, immergendo un pezzo di ferro o una lega di zinco in un bagno acido di rame, si avrebbe la deposizione di rame per cementazione.
Il sale di partenza per la formazione del bagno è il cianuro di rame (CuCN) che deve essere complessato con KCN o NaCN per ottenere un complesso solubile in acqua. La forma complessa più importante è rappresentata da K2Cu(CN)3 o Na2Cu(CN)3. La somma del cianuro richiesto per complessare in questo modo il rame più quello richiesto per il buon funzionamento del bagno (cianuro libero) rappresenta il cianuro totale.
La presenza di cianuro libero stabilizza i vari complessi cianurati del rame, però il numero di ioni rame disponibili alla scarica catodica diminuisce con l’aumento della concentrazione del cianuro libero. La polarizzazione catodica invece aumenta ed aumenta così il potere penetrante della soluzione. Il deposito che si ottiene è duro e con grana fine.
La concentrazione del cianuro libero deve essere mantenuta entro limiti ben prefissati. Un aumento eccessivo riduce il rendimento catodico fino a favorire la scarica dell’idrogeno che provoca puntinature ed esfoliazioni del deposito. Se si opera in difetto invece non si solubilizza il CuCN che si forma all’anodo. Questo si ricopre di uno strato di questo sale insolubile quindi si polarizza e non permette la dissoluzione ulteriore dell’anodo.
Gli anodi di rame devono essere di elevata purezza e possono essere in piastre o in quadrotti inseriti in cestelli di rete di titanio entrambi insacchettati in sacchi di meraklon. Se il contenuto di rame aumenta nella soluzione basta sostituire qualche anodo di rame con altrettanti di acciaio fino a trovare le condizioni di stabilità. Il rapporto ottimale fra la superficie anodica e catodica è circa 2:1
La deposizione da questo bagno si utilizza per aumentare l’adesione specie nel caso di superfici passive. Quando viene usato per leghe di zinco bisogna operare con bassa concentrazione di ione idrossido (4 g/l) per evitare l’attacco basico. Un esempio di bagno al sodio è descritto nella tabella sottostante.
Cianuro di Rame |
CuCN |
25-20 g/l |
Sodio cianuro |
NaCN |
40-60 g/l |
Sodio carbonato |
Na2CO3 |
10-15 g/l |
Sodio idrossido |
NaOH |
3-4 g/l |
Temperatura |
|
25-60 °C |
Densità di corrente |
|
0.5-4.0 A/dm2 |
Tempo di deposizione |
|
30-180 sec |
Efficienza catodica |
|
30-60 sec |
Agitazione |
|
Nessuna o meccanica |
Può essere necessario aggiungere del sodio carbonato per migliorare la conducibilità del bagno. La concentrazione di tale sale comunque aumenta con l’invecchiamento del bagno per assorbimento della CO2 dall’atmosfera o per idrolisi e ossidazione del cianuro. Se il carbonato supera certe concentrazioni si deve sostituire una parte di bagno aggiungendo di conseguenza il cianuro di rame ed il sodio cianuro fino a ripristinare le condizioni ideali. La concentrazione del carbonato può essere ridotta per precipitazione con carburo di calcio e successiva filtrazione. In questo caso le reazioni interessate sono le seguenti:
CaC2+2H2O=Ca(OH)2+C2H2
Ca(OH)2+Na2CO3=2NaOH+CaCO3
Un ultimo sistema per ridurre la quantità di carbonato di sodio consiste nel raffreddare la soluzione con una serpentina di raffreddamento in modo tale che il carbonato cristallizzi sulla serpentina stessa.
Vengono utilizzati per ottenere uno spessore notevole in un tempo limitato. Si utilizza per questo una elevata concentrazione di rame cianuro, alta temperatura per aumentare la conducibilità e gli effetti diffusivi e quindi un’alta densità di corrente. Lucentezza e grana sottile si può ottenere mediante correnti pulsate e con l’utilizzo di appropriati additivi.
Una tipica formulazione è data da:
Rame cianuro |
CuCN |
70-80 g/l |
Potassio cianuro |
KCN |
100-120 g/l |
Potassio carbonato |
K2CO3 |
15 g/l |
Potassio idrato |
KOH |
15 g/l |
Tartrato di sodio e potassio |
KNaC4H4O6*4H2O |
45 g/l |
Temperatura |
|
60-70 °C |
Densità di corrente |
|
3-10 A/dm2 |
Efficienza catodica |
|
90-100 |
Agitazione |
|
Meccanica o con aria |
Ai bagni di rame al cianuro vengono spesso aggiunte delle sostanze brillantanti quali sodio bisolfito o sodio solfito. Queste aggiunte riducono la polarizzazione catodica e quindi peggiorano il potere penetrante. Se si aggiunge anche del tartrato si riducono le dimensioni dei grani del rame depositato. Attualmente i brillantanti comprendono sostanze come il trifenilmetano, la cetil-a-betaina, selenio bisditiocarbammato ed altri composti del selenio e potassio tiocianato specialmente in bagni ad alto contenuto in cianuro.
Vantaggi:
Svantaggi:
Un bagno di ramatura al solfato è costituito essenzialmente da rame solfato ed acido solforico. La deposizione di rame può essere effettuata ad alta intensità di corrente per cui questo elettrolita è adatto a depositare alti spessori. Il peggior svantaggio è rappresentato dal basso potere penetrante e dalla impossibilità di deporre direttamente su acciaio e ferro. Un oggetto in acciaio o ferro sposta il rame dalla soluzione secondo la reazione:
CuSO4+Fe>>>FeSO4+Cu
Il rame così precipitato non aderisce al ferro. Per questo motivo deve essere applicato prima un film di rame da un bagno al cianuro dopodiché il pezzo viene trasferito nel bagno acido dove si potrà ottenere lo spessore desiderato. Esiste la possibilità di depositare un flash di rame chimico direttamente su ferro utilizzando una soluzione acida di solfato rameico in presenza di un inibitore come la acetiltiurea. Si ottiene un film aderente senza l’intervento di bagni al cianuro. In questo caso speciale notevole importanza ha la preparazione dei pezzi perché viene a mancare l’effetto detergente del cianuro.
Una formulazione tradizionale utilizzata con i bagni acidi al solfato è la seguente:
Rame solfato |
CuSO4 |
170-220 g/l |
Acido solforico |
H2SO4 |
50-70 g/l |
Cloruri |
Cl- |
100 ppm |
Tiurea |
|
10 ppm |
Destrina |
|
10 ppm |
PH |
|
Acido da acido solforico |
Temperatura |
|
Ambiente |
Densità di corrente |
|
2-6 g/L |
|
|
|
E’ consigliabile operare con alte concentrazioni di rame. La presenza dell’acido solforico diminuisce la solubilità del solfato di rame (fig. 8.5)
L’acido solforico ha le seguenti funzioni:
Al catodo avviene la reazione di riduzione del rame secondo la :
Cu2+ + 2e>>>Cu
Ma studi cinetici hanno dimostrato che lo ione rameico dapprima si riduce a ione rameoso:
Cu2+ + e >>> Cu+ stadio lento
Il quale a sua volta passa a rame metallico
Cu+ + e >>> Cu stadio veloce
All’anodo invece avviene l’ossidazione del rame col processo inverso:
Cu >>> Cu2+ +2e
L’efficienza catodica ed anodica è di circa il 100% sotto normali condizioni operative.
Poiché la polarizzazione catodica per l’incremento della densità di corrente è bassa il potere penetrante del bagno al solfato è inferiore a quello al cianuro. Il potere penetrante del bagno acido può essere migliorato aumentando la concentrazione dell’acido solforico e diminuendo quella del rame solfato o diminuendo la temperatura. I bagni acidi hanno di solito una buona tolleranza nei riguardi delle impurezze ma se sono presenti arsenico antimonio e ferro si ottengono depositi rugosi. Importante è anche l’uso di anodi di rame fosforoso e l’agitazione con insufflazione d’aria.
Per ottenere dei depositi lucidi è necessario evitare la contaminazione del bagno da sostanze organiche e metalli dannosi. Per quanto riguarda le sostanze organiche queste possono provenire dai brillantanti o trascinate dai pezzi dai bagni precedenti. Si possono comunque eliminare mediante un trattamento con carbone attivo il quale eliminerà anche parte dei brillantanti che andranno reintegrati nelle opportune concentrazioni. Per quanto riguarda i metalli possiamo sinteticamente rappresentarne gli effetti:
Antimonio |
>50 ppm |
Ruvido, polverulento |
Arsenico |
>50 ppm |
Ruvido, polverulento |
Bismuto |
>50 ppm |
Ruvido, polverulento |
Cadmio |
>500 ppm |
Polarizza l’anodo, sottrae cloruri alla soluzione |
Ferro |
>1000 ppm |
Riduce la conducibilità ed il potere penetrante del bagno |
Nickel |
>1000ppm |
Riduce la conducibilità ed il potere penetrante del bagno |
Selenio |
>10 ppm |
Polarizza l’anodo,provoca ruvidità |
Tellurio |
>10 ppm |
Polarizza l’anodo,provoca ruvidità |
Stagno |
>500 ppm |
Si deposita chimicamente,polarizza gli anodi |
Zinco |
>500 ppm |
Polarizza l’anodo, sottrae cloruri alla soluzione |
Vantaggi e svantaggi della ramatura acida
I vantaggi della ramatura acida possono essere così sintetizzati:
Gli svantaggi sono:
Le soluzioni dei bagni al pirofosfato contengono rame pirofosfato Cu2P2O7 e K4P2O7. In soluzione il rame è presente prevalentemente come anione Cu(P2O7)26-. Come nel caso dei bagni al cianuro il complessante pirofosfato deve essere presente in eccesso. Esso promuove una efficiente dissoluzione degli anodi, previene la formazione di sali insolubili e assicura una complessazione completa. Il sale potassico è preferito per la sua solubilità e maggior conducibilità rispetto al sale sodico. Il rapporto minimo in peso fra pirofosfato e rame deve essere 7:1. Valori inferiori di questo rapporto rendono difficoltosa la solubilità degli anodi per cui il bagno si impoverisce in ioni rame mentre valori più elevati del rapporto non generano alcun effetto negativo. Assieme ai due sali base vengono aggiunti altri componenti per migliorare le proprietà del deposito ed aumentare la velocità di deposizione. Questi includono l’ammoniaca, nitrati, acidi alifatici ed altri agenti organici. La presenza di ammoniaca e composti organici quali ossalati e citrati aumenta la lucentezza del deposito. Citrati e ossalati funzionato anche da agenti tamponanti del pH.
Una composizione tipica è la seguente:
Rame pirofosfato |
Cu2P2O7*3H2O |
25-120 g/l |
Potassio pirofosfato |
K4P2O7 |
100-400 g/l |
Ammoniaca conc |
NH4OH |
1-2 cc/l |
Temperatura |
|
20-50 °C |
PH |
|
8.2-8.8 |
Densità di corrente |
|
0.5-10 A/dm2 |
Agitazione |
|
Meccanica o aria |
Le concentrazioni più basse servono per depositi flash, quelle più elevate per forti spessori.
Le soluzioni al pirofosfato necessitano di una vigorosa agitazione altrimenti si forma un film scuro non aderente che diminuisce la densità di corrente operativa. Può essere utilizzata l’agitazione meccanica anche se è preferibile quella con aria . I pirofosfati a differenza dei cianuri non subiscono decomposizione e non si formano carbonati. L’efficienza catodica è circa del 100%.
Si ottengono depositi a grana fine, duri ma ragionevolmente duttili La duttilità diminuisce con l’aumento eccessivo della concentrazione dell’ammoniaca e del pH. L’effetto delle condizioni operative sulla duttilità sono illustrate in figura
Le soluzioni di pirofosfato posseggono proprietà livellanti e hanno un potere penetrante simile a quello dei bagni al cianuro. L’effetto delle variabili del bagno sul potere penetrante e sull’efficienza catodica è sommariamente indicata nella tabella seguente:
Variabile |
Potere penetrante |
Efficienza |
Pirofosfato/rame |
Aumenta |
Leggera crescita |
Rame |
Aumenta |
Non Cambia |
Ammoniaca |
Diminuisce |
Non Cambia |
PH |
Diminuisce |
Leggera crescita |
Densità di corrente |
Diminuisce |
Diminuisce |
Temperatura |
Diminuisce |
Leggera crescita |
Agitazione |
Aumenta |
Non Cambia |
|
|
|
Soluzioni basate su una soluzione al pirofosfato sono utilizzate prima della nickelatura su basi costituite da leghe di zinco. Nel caso dei bagni acidi è infatti necessario depositare prima un sottile strato di rame da un bagno al cianuro. Il bagno al pirofosfato è utilizzato nell’ elettroformatura e nella ramatura dei circuiti stampati. L’elevato potere penetrante lo consiglia nella ramatura di componenti con superfici complicate e forate.
Il rame fluoborato ha una elevata solubilità;le soluzioni basate su questo sale possono contenere una concentrazione doppia di rame rispetto a quelle al solfato. A causa delle elevate densità di corrente utilizzabili e della elevata efficienza catodica, normalmente il 100%, il bagno è utilizzato per l’elettroformatura dove è richiesta una rapida deposizione di grossi spessori. Una tipica formulazione può essere la seguente:
Rame fluoborato |
Cu(BF4)2 |
400-500 g/l |
Acido fluoborico libero |
HBF4 |
30-40 g/l |
Acido borico |
H3BO3 |
30 g/l |
PH |
|
0,3-0,6 |
Densità di corrente |
|
10-40 A/dm2 |
Temperatura |
|
35-45°C |
La densità di corrente catodica permessa è determinata dalla temperatura del bagno e dal grado di agitazione. Con temperature nell’intervallo 35-45°C e vigorosa agitazione si possono utilizzare correnti fino a 50 A/dm2.
I bagni al fluoborato producono una grana fine, un deposito livellato, ma la presenza di piombo in soluzione anche in piccole concentrazioni può causare opacità. Questo può essere eliminato con l’aggiunta di acido solforico che precipita il piombo come solfato.
Determinazione volumetrica del rame in un bagno al solfato
Reagenti:
PROCEDURA:
Prelevare 2cc di bagno mediante una pipetta graduata e scaricare in una beuta da 300 cc.
Aggiungere 100 cc di acqua deionizzata e ammoniaca conc fino a comparsa di una intensa colorazione blu e aggiungere qualche goccia di acido acetico per rendere la soluzione più limpida.
Titolare con la soluzione di tiosolfato fino ad ottenere una colorazione giallo-paglierina.
Aggiungere 5 cc di soluzione di salda d’amido e continuare la titolazione fino ad ottenere una soluzione incolore.
Siano A i cc di sodio tiosolfato 0,1 n utilizzati.
Calcolo: g/l di Cu = A*3,177
g/l CuSO4*5H2O = A*11,977
Determinazione dell’acido solforico in un bagno di ramatura acida
Reagenti:
PROCEDURA:
Prelevare 2 cc di bagno mediate una pipetta graduata e scaricare in una beuta da 300 cc.
Aggiungere 5 gocce di metilarancio e titolare con la soda 0,1 N fino a viraggio dell’indicatore.
Siano A i cc di soda 0,1 N utilizzati.
Calcolo: g/l di H2SO4= A*2,45
Determinazione complessometrica dei cloruri in un bagno di ramatura acida
Reagenti:
PROCEDURA
Prelevare 100 cc di soluzione di bagno in una beuta da da 300 cc e aggiungere 2 cc di acido nitrico,10 cc di potassio permanganato, 10 cc di argento nitrato e riscaldare finché tutto il precipitato è coagulato. Permettere la sedimentazione per 10 minuti,filtrare su filtro fascia nera ,lavare il precipitato con demonizzata acidulata con acido nitrico per eliminare il rame. Quando il lavaggio è completo sciogliere il precipitato di argento cloruro con 10 cc di ammoniaca, aggiungere 100 cc d’acqua ,una punta di spatola di potassio tetraciano nicolato e riscaldare a 50 °C. Aggiungere una punta di spatola di muresside e titolare con EDTA 0,01 M fino al viraggio da arancio a Magenta.
Siano A i cc di EDTA 0,01 M utilizzati:
Calcolo: g/l Cl-= A*0,709
g/l NaCl= A*1,169
Determinazione del rame in un bagno di ramatura alcalino
Reagenti:
POCEDURA:
Prelevare 10 cc di bagno in un pallone tarato da 100 cc e portare a volume con acqua distillata. Trasferire 5 cc di questa soluzione in una beuta da 300 cc ,diluire con 50 cc di acqua distillata e aggiungere nell’ordine 5cc di ammoniaca, 2-3 cc di perossido di idrogeno e 2-3 cc di argento nitrato. Aggiungere una punta di spatola di muresside e titolare con EDTA 0,05 M fino a comparsa di una colorazione porpora.
Siano A i cc di EDTA.
Calcolo: g/l Cu= A*6,35
Determinazione del cianuro libero in un bagno di ramatura alcalino
Reagenti:
PROCEDURA:
Prelevare 10 cc di bagno in una beuta da 300 cc, diluire con 150 cc di acqua, aggiungere 3 gocce di ammoniaca e 1 cc di soluzione di potassio ioduro. Titolare con argento nitrato 0’1 N finché la soluzione assume una colorazione lattescente.
Siano A i cc di soluzione di argento nitrato utilizzato.
Calcolo: g/l di NaCN = A*0,98
g/l di KCN = A*1,3
Determinazione del carbonato libero in un bagno di ramatura alcalino
Reagenti:
PROCEDURA
Prelevare 10 cc di soluzione di bagno in un beker da 400 cc, diluire con 200 cc di acqua distillata e aggiungere 30 cc di soluzione di bario cloruro.Quando il precipitato si è depositato filtrare con filtro a fascia bianca e lavare il precipitato sul filtro con acqua calda. Porre il filtro con il precipitato in una beuta da 300 cc, aggiungere 100 cc di acqua distillata, 25 cc di acido cloridrico 1 N e alcune gocce di sol.di metilarancio.Titolare con NaOH 1 N fino a viraggio.
Siano A i cc di NaOH 1 N utilizzati.
Calcolo: g/l Na2CO3 = (25-A)*5,3
g/l K2CO3 = (25-A)*6,91
NICKELATURA
La deposizione elettrolitica di nickel è uno dei processi di finitura utilizzati in modo generalizzato sia nel campo ingegneristico che decorativo. I rivestimenti decorativi si ottengono aggiungendo ai bagni tecnici tradizionali degli additivi organici appropriati. Il processo comprende la dissoluzione di un elettrodo (anodo) e la deposizione del nickel metallo sull’altro elettrodo (catodo). Ciò si fa applicando una tensione fra l’anodo (positivo) ed il catodo (negativo). La conducibilità elettrica fra i due elettrodi è supportata da una soluzione acquosa di sali di nickel. Quando i sali di nickel sono disciolti in acqua il nickel è presente come ione Ni2+(acq) con varie moli d’acqua di coordinazione assieme ad altri gruppi che determina il colore della soluzione che risulta verde. Quando il pezzo da nickelare viene polarizzato catodicamente (-) rispetto all’anodo (+) gli ioni nikel Ni2+ migrano sul catodo,assorbono da questi due elettroni e si depositano come atomi metallici sullo stesso secondo la reazione semplificata
Ni2+ + 2e- >>> Ni
Poichè la reazione che avviene all’anodo è il contrario di questa il processo può avvenire per lungo tempo senza interruzione.
La tipica formulazione di un bagno di nickelatura lucida si basa sulla formulazione di un bagno di Watts cioè una ricetta nata per depositare un nickel opaco che ha avuto una notevole importanza nella storia della nickelatura. Le caratteristiche fondamentali di tale ricetta sono le seguenti:
Componente |
Intervallo di conc. |
Valore ottimale |
Nickel solfato NiSO4*6H2O (g/l) |
250-320 |
300 |
Nickel cloruroNiCl2*6H2O (g/l) |
50-70 |
60 |
Nickel totale come metallo (g/l) |
65-75 |
70 |
Acido borico (g/l) |
30-45 |
40 |
Temperatura (°C) |
45-65 |
60 |
PH |
3.5-5.5 |
4.5 |
Agitazione |
Aria o meccanica |
|
Densità di corrente catodica (A/dm2) |
3-6 |
4 |
Densità di corrente anodica (A/dm2) |
2-4 |
3 |
Anodi |
Nickel |
Nickel |
Il nickel solfato fornisce la maggioranza del contenuto in ioni nickel nel bagno. E’ un sale poco costoso con uno anione che non subisce riduzione al catodo o ossidazione all’anodo e non è volatile.
Il nickel cloruro fornisce gli ioni cloro che prevengono la ossidazione degli anodi che si traduce in una passivazione. Infatti all’anodo le tre reazioni concorrenti sono:
Ni >>> Ni2+ + 2e- (1)
2Cl- >>>Cl2 + 2e- (2)
2OH- >>>H2O+1/2O2 +2e- (3)
La reazione desiderata è la (1) che ripristina all’anodo quello che si è depositato al catodo. La reazione (3) provoca la formazione di ossigeno all’anodo con conseguente deposizione di ossido di nickel e di ossigeno adsorbito che riduce la conducibilità elettronica aumentando così la tensione di lavoro (polarizzazione ). La reazione (2) provoca la ossidazione dell’anodo con formazione di NiCl2 sale solubile che passa subito in soluzione mantenendo quindi l’anodo allo stato di nikel attivo.
L’acido borico serve come tampone per il film catodico. Qui infatti la scarica continua di cationi (Ni2+ e in misura molto minore anche se indesiderato H+) provoca un aumento del pH che se non viene tamponato porta alla formazione di idrossidi di Nickel, sali poco solubili, che vanno a depositarsi sul pezzo originando delle puntinature e quindi degli scarti.
L’antipuntinante è necessario poiché l’efficienza catodica di scarica del nickel è circa del 97% mentre il resto è dovuto alla scarica dei portatori minoritari H+ con formazione di bollicine di H2 che rimangono attaccate al catodo. Per favorire il distacco di queste vengono aggiunti dei tensioattivi anionici che riducono la tensione interfacciale soluzione - superficie nickelata per cui la soluzione bagna la superficie scalzando la bollicina ed evitando così che questa crei un impedimento alla crescita del deposito con formazione di una cavità. Il lauril solfato sodico è uno dei più comuni tensioattivi adottati nei bagni lucidi.
I brillantanti sono sostanze che migliorano la lucentezza del deposito ma non forniscono da soli l’aspetto lucido richiesto. Si possono suddividere in due classi:
I brillantanti della classe 1 sono acidi benzendisolfonici, benzentrisulfonici, benzensolfonammidi e benzensulfonimidi (saccarina). Gli anelli aromatici sono di solito benzenici o naftalenici ma attualmente vengono utilizzati gruppi insaturi alifatici quali il vinile e l’allile Queste sostanze migliorano la lucentezza del deposito ma non forniscono da soli l’aspetto lucido richiesto. Le concentrazioni di questi additivi possono arrivare anche a valori di qualche grammo (1-10 g/l) senza interferire sull’adesione e sulla corrente limite. Essi comunque tendono a diminuire le tensioni interne del deposito e per i valori più alti dell’intervallo tendono a farle divenire di compressione. Questi composti tendono ad introdurre dello zolfo nel deposito.
I brillantanti della classe 2 sono utilizzati in combinazione con quelli della prima classe per produrre livellamento e brillantezza che aumenta con l’aumento dello spessore. Questi sono costituiti da composti organici insaturi. Hanno la caratteristica di introdurre carbonio nel deposito. Molti di questi brillantanti devono essere utilizzati assieme a quelli della prima classe perché se utilizzati da soli producono tensioni interne riducendo l’adesione al substrato. I principali brillantanti della seconda classe contengono il gruppo olefinico –C=C- come la cumarina o il gruppo acetilenico come il 2-butin-1-4-diolo.
La temperatura deve essere mantenuta sufficientemente elevata nell’intervallo definito. Questo permette di operare con una velocità di deposizione elevata. Infatti la velocità con cui il deposito si forma dipende dalla velocità con cui i portatori ionici utili (Ni2+) possono giungere sul catodo, velocità che è funzione della tensione applicata agli elettrodi. Se però la tensione applicata è troppo alta per cui la scarica ionica è elevata possono intervenire i due seguenti fenomeni:
Determinazione della quantità di nickel
REAGENTI:
1)Ammonio cloruro
2)Ammoniaca 1:1
3)Muresside - NaCl 1:100
4)EDTA 0,1 mol
PROCEDURA:
Pipettare 10 cc di soluzione di nikelatura e portarla a 100 cc in un pallone tarato con acqua distillata.
Prelevare da questa nuova soluzione 10 cc e portarli in una beuta da 300 cc diluendo con 50 cc di acqua distillata.
Aggiungere una spatolina di cloruro d’ammonio e 30 cc di ammoniaca 1:1 e una punta di spatola di muresside.
Titolare quindi con EDTA 0,1 M fino a comparsa di una colorazione porpora della soluzione
Siano a i cc di EDTA utilizzati.
Calcolo : g/l di Ni = a x 5,87
Determinazione del contenuto in cloruro
REAGENTI:
1) Potassio cromato sol.10%
2) Argento nitrato sol. 0,1 N
PROCEDURA
Pipettare 10 cc di di soluzione di nickelatura in una beuta da 300 cc e diluire con 50 cc di acqua distillata.
Aggiungere 3 cc di soluzione di potassio cromato al 10%
Titolare con argento nitrato 0,1 N fino a comparsa di una colorazione rosso bruno.
Siano b i cc di argento nitrato 0,1 N utilizzati
Calcolo: g/l di Cl- = b x 0,354
g/l di NiCl2 = b x 1,17
Determinazione del contenuto in acido borico
REAGENTI:
1) Potassio cromato sol.10%
2) Argento nitrato sol. 0,1 N
PROCEDURA
Pipettare 10 cc di di soluzione di nikelatura in una beuta da 300 cc e diluire con 50 cc di acqua distillata.
Aggiungere 3 cc di soluzione di potassio cromato al 10%
Titolare con argento nitrato 0,1 N fino a comparsa di una colorazione rosso bruno.
Siano b i cc di argento nitrato 0,1 N utilizzati
Calcolo: g/l di Cl- = b x 0,354
g/l di NiCl2 =b x 1,17
Determinazione della saccarina
REAGENTI:
1) HCl 1:1
2)Gravetolo (Sciogliere 0,2 gr di rosso metile in 50 cc di alcool isopropilico,aggiungere 1,75 cc di acido solforico concentrato e portare ad un litro con etilacetato. Filtrare la soluzione dopo 2 giorni)
3) Alcool etilico
4) NaOH 0,1 N
PROCEDURA
Pipettare 50 cc di soluzione di nikelatura in un imbuto separatore, aggiungere 2 cc di HCl 1:1, 10 cc di Gravetolo e 25 cc di alcool etilico.
Agitare vigorosamente per 1 minuto. Permettere la separazione e drenare lo strato inferiore verde.
Trasferire la soluzione gialla in una beuta , aggiungere 25 cc di alcool etilico e titolare con NaOH 0,1 N da giallo a rosso.
Siano b i cc di NaOH 0,1 N utilizzati
Calcolo: g/l di saccarina = b x 1,4
TEORIA DELLA CROMATURA
La deposizione elettrolitica del cromo ha avuto inizio nel terzo decennio del ventesimo secolo e dalla sua introduzione ha avuto molte applicazioni viste le sue proprietà anche a spessori molto limitati.
Il cromo forma con il nickel la coppia di metalli più importanti nella deposizione galvanica. Come per il nickel anche per il cromo si possono avere essenzialmente due tipologie di deposito:
Le caratteristiche positive del cromo hanno dovuto scontrarsi con alcuni fattori negativi che non vanno trascurati e in particolar modo gli aspetti ecologici lo stanno, in questi tempi, mettendo a dura prova.
Gli svantaggi più importanti del processo di cromatura sono:
La ragione per la quale il processo di cromatura è tuttora così utilizzato è da attribuire alle eccellenti proprietà dimostrate dal deposito specie su substrati di nickel o rame-nickel.
Possiamo considerare che alle concentrazioni usuali del bagno di cromatura il cromo sia presente come Cr2O7=. Le reazioni più importanti che si ipotizzano al catodo sono:
Deposizione di cromo : Cr2O7= + 14 H+ + 12 e- >>> 2 Cr + 7 H2O
Evoluzione di idrogeno : 2 H+ + 2 e- >>> H2
Formazione di Cr3+ : Cr2O7= + 14 H+ + 6 e- >>> 2Cr3+ + 7H2O
In effetti molte sono le ipotesi sulla reazione di deposizione di cromo ma poche le conferme. E’ difficile credere che un gruppo Cr2O7= possa reagire contemporaneamente con 12 elettroni e quattordici idrogenioni. Questa reazione deve avvenire per stadi successivi. La reazione di sviluppo di idrogeno è per la deposizione una reazione passiva, ma potrebbe anche partecipare alla riduzione chimica del cromo (VI) a cromo (III) mediante reazione puramente chimica in combinazione con quella elettrolitica. Sembra, infatti, che la presenza di cromo trivalente sia necessaria per la riduzione elettrochimica a cromo metallo. L’importanza del cromo trivalente si esplica probabilmente all’interfaccia catodica. Comunque un elevato valore della concentrazione in cromo trivalente produce effetti negativi sulla deposizione e diminuisce la conducibilità del bagno.
Non si utilizzano anodi di cromo perché non sono solubili. Conviene utilizzare anodi insolubili meno costosi e più adatti. Questi sono costituiti da piombo o sue leghe con contenuti del 10% in Sn o Sb che hanno la caratteristica di avere una sufficiente resistenza alla corrosione in quest’ambiente. Ma il maggior pregio di questi anodi è di concorrere alla riossidazione del cromo trivalente compensando quello prodotto nelle reazioni viste al catodo.
Le reazioni più importanti che avvengono all’anodo sono:
Evoluzione di ossigeno 2H2O >>> O2 + 4H+ + 4e
Ossidazione dello ione cromico 2Cr3+ +6H2 >>> 2CrO3 + 12H+ + 6e-
Produzione di PbO2 sull’anodo Pb + 2H2O >>> PbO2 + 4H+ + 4e-
Molta energia è consumata per la produzione di ossigeno. Le altre due reazioni sono molto importanti. La riossidazione del cromo (III) a cromo (VI) compensa la sua produzione al catodo permettendo di mantenere il livello di Cr3+ entro valori dell’intervallo di deposizione ottimale. Perché ciò accada è necessario che l’anodo si ricopra di uno strato di biossido di piombo. Se questo film scompare o non si forma, compare al suo posto uno strato di cromato di piombo che ha la caratteristica di non permettere la riossidazione del cromo trivalente. Tale evenienza può succedere quando il bagno non viene utilizzato per lungo tempo. In tal caso si nota la formazione sugli anodi di uno strato giallo di piombo cromato. Quando il bagno viene riutilizzato lo strato di biossido in genere si riforma e si nota sull’anodo un caratteristico colore scuro quasi nero.
Una mancanza di questo film può anche indicare uno scarso contatto elettrico dell’anodo con la barra anodica per cui l’anodo non riceve la quantità di corrente che gli spetta. Può anche succedere che ciò sia dovuto alla presenza di un cortocircuito interno alla soluzione fra anodo e catodo. Se l’anodo non si riattiva spontaneamente durante l’esercizio normale della elettrolisi è necessario scollegarlo dalla barra anodica, liberarlo dello strato di piombo cromato mediante spazzolatura e immergerlo di nuovo nella soluzione avendo l’accortezza che ciò avvenga mentre il bagno è in funzione, cioè quando alla barra catodica sono appesi degli oggetti in fase di lavorazione. In questo modo l’elettrodo rigenerato entrerà in funzione istantaneamente e l’ossigeno che si sviluppa porterà immediatamente alla formazione del biossido di piombo.
Il cromo rappresenta lo strato finale dei trattamenti lucidi di nickelatura o di ramatura e nickelatura . Questo metallo è dotato di un colore bianco-bluastro ed ha una elevata riflettività che mantiene in diversi ambienti di esposizione. Esso resiste molto bene all’opacizzazione in ambienti domestici normali e questa è la ragione del suo utilizzo come rivestimento del nickel. Resiste molto bene all’usura e al graffio. Raramente è applicato direttamente al metallo base ma rappresenta di solito la finitura di un substrato di nickel o rame-nickel. L’eccezione può essere rappresentata dalla cromatura dell’acciaio inossidabile dove viene applicato direttamente alla base per fornire all’acciaio una colorazione più gradevole. Lo spessore di cromo che viene applicato su nickel dipende dalle condizioni di esposizione e d’uso e dal livello di qualità dell’oggetto.
Per applicazioni domestiche in ambiente secco sono sufficienti spessori di circa 0,1 µm. Per applicazioni all’interno di autoveicoli e in particolare all’esterno degli stessi sono consigliati spessori di circa 1,25 micron. Applicazioni marine richiedono gli stessi spessori utilizzati per gli esterni delle automobili. In verità non tutte le attrezzature marine che devono resistere all’acqua di mare vengono cromate ma molte sono fatte direttamente in materiali resistenti a queste condizioni come i bronzi. In effetti sono pochi i sistemi di placcatura economici che resistono all’acqua di mare .
Esistono due tipologie di bagni di cromatura da acido cromico: I “convenzionali” in cui il catalizzatore è l’acido solforico e i bagni “catalizzati” in cui oltre al solfato è presente il fluoruro sotto forma di fluosilicato.
L’elettrodeposizione di metalli da soluzioni nelle quali sono presenti in un sistema anionico è comunemente praticata. I più importanti sono i bagni alcalini al cianuro da cui, per esempio, vengono depositati rame, zinco e metalli preziosi. Anche il cromo è presente nei bagni di cromatura in forma anionica, tuttavia esiste una differenza sostanziale fra le due forme. Nel caso del cianuro e complessanti simili, si può assumere che l’equilibrio del complesso fornisca in modo continuo, anche se limitato dalla costante di stabilità e dalla cinetica di scomplessazione, la quantità di metallo in forma ionica necessaria alla deposizione (per esempio il cianuro di argento scomplessato in ione argento libero e ioni cianuro):
Ag(CN)2- >>> Ag+ +2 CN-
Nel caso dell’acido cromico non è termodinamicamente possibile la liberazione di uno ione cromo esavalente poiché l’atomo corrispondente è contenuto nello ione CrO42- che è molto stabile in ambiente acquoso. La decomposizione semplice in ioni CrIII e ossigeno è altrettanto impossibile se non interviene una reazione di riduzione. La deposizione di cromo può solamente essere effettuata come risultato della riduzione dell’acido cromico, che può procedere in molti stadi.
La deposizione da cromo esavalente consiste essenzialmente di una soluzione relativamente concentrata di acido cromico, che deve , comunque, sempre contenere in aggiunta una piccola quantità di anioni estranei, normalmente fluoruri o solfati. Una piccola quantità di cromo trivalente è anch’essa sempre presente, anche se studi hanno evidenziato che la deposizione del metallo non avviene da questo, ma direttamente dall’acido cromico. La riduzione dell’acido cromico avviene per stadi, in un singola serie di reazioni nel film catodico. Il cromo trivalente che viene prodotto in questo modo diffonde dalla zona del catodo e si distribuisce in ogni parte dell’elettrolita per cui non resta disponibile per lungo tempo per un’ulteriore riduzione diretta a metallo. Egli può, comunque, raggiungere l’anodo, dove esso viene riossidato ad acido cromico e così entra nuovamente nel ciclo di reazione.
Gli studi sulla teoria del processo di cromatura elettrolitica procedettero in modo simultaneo con lo sviluppo della tecnologia del processo. Vari studiosi hanno sviluppato studi teorici dettagliati applicandoli ad esperimenti. La più significativa proposta, ancora valida oggigiorno, è che durante l’elettrolisi, un film di cromato di cromo, insolubile negli acidi, si formi al catodo in modo da avere un maggiore effetto sulla reazione. Dal momento che questo film è normalmente di spessore sub-microscopico, è stato per lungo tempo impossibile osservarlo o dimostrare la sua esistenza direttamente; la sua presenza può essere rilevata soltanto mediante misure di densità di corrente / potenziale. Questo naturalmente porta a vedute conflittuali sulla natura del film. Comunque si è riusciti a preparare e osservare direttamente questo film al microscopio elettronico. La formazione di questo film è influenzata enormemente dalla presenza di ioni estranei nella soluzione. In accordo con questi studi l’influenza degli ioni estranei consiste di un effetto catalitico sulla reattività dell’acido cromico. Weiner è stato capace di far vedere, con analisi dettagliata di curve densità di corrente / potenziale catodico su un gran numero di metalli, che il metallo del catodo ha una profonda influenza sui processi elettrochimici nella zona catodica. Studi completi sul ruolo che gioca il metallo al catodo sul meccanismo di reazione sono stati forniti da misure con fasci elettronici nel film catodico con i quali è possibile dimostrare la presenza di metallo nel film catodico.
J. Matulis assunse che la reazione dell’acido cromico con il catodo di metallo avvenga per deposizione chimica attraverso la formazione di un film primario senza l’intervento di processi elettrolitici. Processi elettrolitici si hanno solo quando la polarizzazione del catodo rimuove la passività del metallo catodico e rende possibile la sua dissoluzione nell’ acido cromico. Un film secondario si può anche sviluppare durante l’elettrolisi per riduzione diretta dell’acido cromico a cromo trivalente con la formazione di cromato di cromo insolubile sulla superficie catodica.
Dal momento che l’acido cromico è molto aggressivo e il suo potenziale Redox è anche più nobile dei potenziali degli altri metalli (incluso l’oro), è ovvio che tutti gli altri metalli che possono essere usati come catodo si possono sciogliere, così che i loro ioni possono essere disponibili per reazioni nella zona catodica.
Altri studi hanno preso in considerazione misure potenziometriche, per esempio misure galvanometriche su un catodo a potenziale costante invece di catodo a densità di corrente costante. Va tenuto conto in questo contesto che tenendo costante il potenziale esterno del catodo non significa che il processo al catodo rimanga costante. Il potenziale misurato è dato dalla somma di processi parziali che sono individualmente accessibili cosicché l’assunzione di uno stato stazionario assoluto in uno studio condotto secondo misure potenziometriche può dare risultati errati.
Attualmente, gli studi potenziometrici portano alle stesse difficoltà, che sono quindi solamente spostate dal potenziale alla densità di corrente ma rimangono invariate.
La riproducibilità di queste curve è in alcuni casi peggiore che nella maggior parte degli altri processi elettrochimici. Ciò è dovuto all’effetto passivante incontrollabile che si ha al catodo. Anche il pretrattamento del catodo, sia di attivazione che passivazione, ha un notevole effetto sulla forma delle curve. Nonostante tutte le incertezze che ci sono, è stato stabilito che la forma simile dei rami delle curve per diversi metalli catodici è correlata al loro potenziale.
Ogni operatore sa che il nickel passivato (cioè nickel che è stato esposto all’aria per lungo tempo, o che ha subito un trattamento di passivazione) non può essere ricoperto con cromo senza che venga effettuata qualche forma di attivazione come immersione in acido oppure trattamento catodico. E’ precisamente l’analisi di questi fattori tecnici, che può essere considerata nella ricerca, che spesso fornisce una pietra di paragone per la teoria. Nel caso del rame e ottone, che non hanno tendenze passivanti come il nickel, il fenomeno della non rivestibilità con cromo non è osservato.
Nell’ acido cromico con un basso contenuto di ioni estranei, è ostacolata la formazione di un film che inibisce la riduzione dell’acido cromico come risultato dell’azione catalitica di questi ioni. Malgrado ciò, un film è presente in alcuni range di potenziale. Questo può essere definitivamente notato dalla curva densità di corrente/potenziale e da altre osservazioni, come l’impossibilità di produrre cromo aderente su superfici che sono state catodicamente pretrattate in acido cromico. La presenza di questi film è stata provata con il microscopio elettronico; le fotografie di diffrazione elettronica in particolare evidenziano la notevole partecipazione del metallo catodico nella formazione di questo film. Gli ioni del metallo catodico che vanno in soluzione accelerano la riduzione dell’acido cromico a cromo trivalente a causa del loro alto tasso di scarica.
Il potenziale di scarica del metallo catodico gioca un ruolo importante. Le curve di densità di corrente-potenziale dei metalli che presentano due stadi di valenza differenti evidenziano addizionali ramificazioni rispetto a quelli che presentano un unico stadio.
Gli ioni cromo trivalenti che sono rimossi dalle immediate vicinanze del catodo per convezione o per diffusione non sono disponibili per ulteriore riduzione, probabilmente come risultato della formazione di un complesso con la grande quantità di acido cromico presente. D’altra parte, gli ioni Cr3+ rimanenti nel film diffusivo sul catodo possono essere ridotti a cromo metallico. Che questa riduzione avvenga dal film formatosi al catodo, o dagli ioni Cr3+ disciolti, o direttamente dall’acido cromico non può essere ancora provato.
Il meccanismo della riduzione catodica dell’acido cromico si può immaginare che avvenga come segue:
Immergendo un catodo solubile, come rame o oro, in acido cromico, esso è disciolto essenzialmente nel suo stato di valenza più elevato dovuto all’alto potenziale di ossidazione dell’acido cromico. La dissoluzione cessa se il catodo diventa rivestito da un denso, compatto film (assenza di ioni estranei). Se il catodo è ora polarizzato, il primo processo che avviene è quello della riduzione degli ioni dei metalli ad alta valenza ad uno stato a bassa valenza. Il potenziale dell’acido cromico è attualmente più nobile del potenziale Redox dei metalli, e da un punto di vista termodinamico la riduzione dell’acido cromico deve essere il primo stadio. La riduzione è, comunque, un processo molto complicato che avviene in un numero di stadi ed è soggetto ad effetti di ritardo, così che la riduzione del metallo avviene prima per effetto della cinetica di reazione.
La concentrazione degli ioni a bassa valenza aumenta nella zona del catodo e inizia quindi la riduzione dell’acido cromico.
E’ certo anche che, come nel caso della deposizione catodica, la forma del metallo depositato è notevolmente influenzata dalla struttura del film diffusivo che ricopre il catodo, nel quale la presenza di una fase solida gioca un ruolo molto importante. L’esistenza di quest’ultimo è confermata dal fatto che particelle finemente suddivise di inclusioni di ossido presenti nel cromo elettrodepositato, si combinano per formare grandi particelle visibili al microscopio per effetto di un adatto riscaldamento.
In ogni caso la deposizione di cromo avviene in un intervallo di potenziale nel quale può avvenire evoluzione di idrogeno al catodo, cosicchè entrambi i processi non sono inseparabili, ma l’ultimo prende il sopravvento, e l’efficienza di corrente al catodo è generalmente nel range del 10-20% e può raggiungere il 35% in circostanze eccezionali. Il processo principale è in accordo con la formazione di idrogeno gassoso, seguita dalla riduzione dell’acido cromico a cromo metallico sia direttamente sia attraverso uno stadio intermedio costituito da un composto di cromo a bassa valenza.
La deposizione può alternativamente avvenire dal film di cromato presente allo stato solido che costantemente si consuma dalla parte del catodo, e simultaneamente si riforma dalla parte dell’elettrolita.
Il piombo, o le sue leghe, è usato come materiale anodico che si ossida anodicamente a biossido di piombo. Il principale processo anodico consiste nell’evoluzione di gas ossigeno. Gli ioni Cr3+ presenti nell’elettrolita sono ossidati ad acido cromico. Se la quantità di cromo trivalente ossidato all’anodo è equivalente a quella che si forma nell’elettrolita al catodo, il contenuto di questo rimane costante ad un valore di meno del 10% del contenuto di acido cromico. Se l’area dell’anodo è piccola, la densità di corrente anodica diventa grande e la riossidazione del cromo trivalente avviene a bassa efficienza di corrente, cosicchè incrementa gradualmente la sua quantità nell’elettrolita e può essere dannoso per le operazioni. Al contrario una grande area anodica può portare ad una riduzione del contenuto di Cr3+ .
Su anodi di Platino l’ossidazione di Cr3+ non avviene. Se una piccola quantità di piombo è aggiunta all’elettrolita essa viene depositata sull’anodo di platino come perossido di piombo e quest’ultimo catalizza l’ossidazione del Cr3+ ad acido cromico. L’uso dell’anodo di Platino non è praticato perché costoso.
Gli anodi di ferro oltre a non riossidare il Cr3+ si sciolgono nella soluzione e quando il contenuto di ferro in soluzione cresce sopra i limiti permessi provoca problemi alla deposizione per cui questo materiale non è adatto per operazioni continue.
Struttura e proprietà del deposito di cromo
L’elettrodeposizione del cromo differisce dagli altri processi di placcatura non solo per il tipo di bagno ma anche per la natura del metallo depositato. Con depositi molto sottili (sotto i 0,5 µm) si ottiene un deposito fortemente poroso. Con l’aumento dello spessore non si ha un aumento della porosità ma il deposito di cromo si rompe irregolarmente e perpendicolarmente alla superficie del substrato per cui il metallo risulta permeato da una sottile rete di crepe che giungono ad angolo retto sulla superficie. Questo deposito criccato viene gradualmente ricoperto da altro cromo, che a sua volta si crepa, per cui alla fine si otterrà un sandwich di depositi criccati uno sull’altro. Le criccature che si sovrappongono producono delle porosità che possono raggiungere il metallo base. Ciò succede finché il deposito non supera i 20µm. La formazione di una struttura criccata dipende dalla natura degli ioni estranei presenti nel bagno. Bagni che contengono fluoruri forniscono in genere una criccatura molto sottile; bagni al solfato forniscono un sistema a grana grossa mentre i bagni al solfato–fluoruro danno un deposito di struttura intermedia. La causa per cui si forma una struttura criccata sembra sia dovuta alla iniziale formazione di un idruro di cromo CrH stabile di struttura esagonale. Sembra che la struttura stabile dell’idruro sia la fcc. Il tipo di idruro che si forma dipende dalle condizioni di lavoro. La formazione di un idruro esagonale è favorita dalle basse temperature del bagno, dalle alte densità di corrente e dalla alta concentrazione di anidride cromica del bagno. La struttura cubica del cromo è altamente distorta principalmente per l’incorporamento di sostanze estranee nel film catodico e per l’assorbimento di idrogeno nel deposito. Con l’aumento della quantità di idrogeno assorbito la struttura cubica diventa instabile e passa alla forma esagonale, che ha una più elevata capacità assorbente. La liberazione dell’idrogeno legato chimicamente o assorbito fisicamente permette la ritrasformazione dell’idruro in cromo metallico (bcc). Il CrH è un idruro molto stabile e poiché la superficie del deposito tende ad assorbire ossigeno questo blocca la liberazione dell’idrogeno L’idrogeno è presente nel metallo parzialmente allo stato assorbito e parzialmente allo stato combinato. La completa decomposizione dell’idruro per riscaldamento porta alla formazione di cromo metallico (bcc) simile a quello prodotto termicamente. Questa trasformazione comporta una riduzione di volume del 15% per cui si sviluppano nel deposito delle tensioni interne. Ma poiché l’adesione del cromo al supporto è molto elevata la contrazione avviene in senso parallelo al substrato e produce la rottura degli strati di cromo. Queste crepe sono riempite con un film invisibile che è convertito a CrO3 per riscaldamento. A causa delle cricche presenti il peso specifico del cromo elettrodepositato è compreso fra 6,9 e 7,1 in funzione delle condizioni di elettrolisi mentre quello ottenuto per fusione è 7,138. Riscaldando l’idruro di cromo si accelera la sua decomposizione e a 600 °C comincia la ricristallizzazione che provoca l’aumento delle criccature e la diminuizione delle tensioni interne. Nel deposito si possono trovare degli ossidi che non sono visibili al microscopio ottico. Col trattamento termico questi si possono agglomerare in particelle visibili preferenzialmente al contorno dei nuovi grossi grani di cromo formatisi. La ricristallizzazione produce una netta riduzione della durezza sopra i 500 °C. Sopra i 600 °C la riduzione diventa trascurabile e può essere imputata alla perdita dell’idrogeno assorbito.
La formazione di depositi di cromo criccato è molto spesso richiesta. Il numero di cricche può essere aumentato mediante attacco chimico per sviluppare una superficie notevolmente porosa che ha la capacità di trattenere gli oli lubrificanti.
Al contrario è possibile produrre dei depositi non criccati ad elevati spessori partendo da elettroliti misti e operando in condizioni costanti dei parametri. La presenza del 15% di indio rapportato al contenuto di acido cromico a densità di corrente fra 15 e 45 A/dm2 fornisce questa condizione. Se la produzione di depositi esenti da criccature non è molto complicata, esistono comunque problemi per mantenere tale proprietà dopo la loro produzione. Quando il prodotto viene sottoposto a tensioni esterne possono ricomparire le criccature annullando il successo precedente.
La dimensione del grano del cromo è generalmente molto piccola (0,008-0,14mm) mentre le dimensioni dei cristalli ottenuti termicamente sono circa 1 mm. Le dimensioni limitate dei cristalli si possono attribuire alla decomposizione degli idruri prodotti inizialmente. Nella deposizione ad alte temperature gli idruri si formano in piccole quantità oppure si sviluppano solo idruri con vita molto breve. In questo caso i depositi hanno tensioni interne molto basse e limitate criccature. I depositi di cromo lucidi hanno in genere una grana più fine e presentano dei cristalli orientati parallelamente alla superficie. Presentano una fitta rete di criccature e contengono inclusioni. Questi hanno una resistenza alla corrosione minore rispetto ai depositi opachi che hanno invece cristalli senza orientamento preferenziale, sono meno criccati e hanno meno inclusioni. Molte criccature del cromo sono originate da difetti del substrato che vengono poi trasferiti al cromo sovrastante.
Come è già stato detto ,l’idruro di cromo che inizialmente si forma nella deposizione prima o poi si decompone in cromo metallico ed idrogeno. Il metallo base rimane così parzialmente non protetto dal cromo e vi è la possibilità che questo assorba idrogeno specialmente quando questo metallo è ferro o nickel. Le tensioni interne del metallo base prodotte dall’assorbimento di idrogeno possono indurre difetti sul deposito di cromo. I cambiamenti di volume nel deposito dovuti alla decomposizione degli idruri portano alla formazione di tensioni interne. In accordo con diversi studi si nota che le tensioni di compressione si sviluppano prima nel nickel che nel cromo per effetto dell’assorbimento di idrogeno. Queste vengono trasferite al cromo dove compensano parzialmente le tensioni di trazione dello stesso. All’aumentare dello spessore l’effetto del substrato diminuisce fino a sparire. Questo risultato è stato ottenuto con uno spessore di cromo di 0,02 a 0,6mm. Inizialmente le tensioni sono di compressione e sono da attribuire al metallo base poi gradualmente diminuiscono fino ad annullarsi a 0,5mm per poi diventare di trazione. Quindi la decomposizione dell’idruro di cromo inizialmente non gioca ruoli significativi nello sviluppo delle tensioni nel cromo ma molto di più nella crescita dei singoli cristalli. Sono stati misurati in uno spessore di 2 mm i valori delle tensioni interne che sono variati da un valore di compressione di 2200 kgp/mm2 ad uno di trazione di 1350 kgp/mm2; in genere però i valori delle tensioni di trazione variano da 0 a 240 kgp/mm2. I più alti valori delle tensioni interne sono stati trovati nei depositi di cromo ottenuti da bagni al fluoruro o al tetracromato. Con temperature e intensità di corrente elevate si ottengono depositi poco tensionati o addirittura con tensioni di compressione. La condizione di formazione di un deposito non stressato non corrisponde ad una regola come può essere quella che porta alla formazione di un deposito di cromo lucido. Aumentando la temperatura dell’ elettrolita sotto condizioni costanti degli altri parametri le tensioni interne prima aumentano per poi diminuire. Particolari aggiunte all’ elettrolita come ad esempio acido selenico agiscono sulle tensioni interne. Se le tensioni interne superano il limite di rottura del cromo allora il deposito si cricca, condizione che si verifica normalmente quando si supera lo spessore di 2 mm. Una parziale criccatura riduce il valore delle tensioni interne sebbene la loro presenza debba essere sempre considerata. In particolare con depositi di cromo di elevato spessore queste tensioni possono essere latenti ma possono condurre alla formazione di ulteriori criccature come conseguenza di azioni meccaniche esterne. Una riduzione sostanziale delle tensioni interne può essere ottenuta con il riscaldamento. Questo non è necessario nel caso di depositi lucidi sottili che sono permeati di fessurazioni. Al contrario il trattamento termico diventa necessario per ridurre le tensioni a valori accettabili per l’uso pratico.
PROPRIETA’ MECCANICHE
La struttura del cromo elettrodepositato e’ responsabile della elevata durezza dei depositi. I depositi di cromo più duri sono due volte più duri di metalli quali ferro, cobalto e nickel . Sono anche molto più duri degli acciai temprati. La durezza Vickers, che è determinata mediante l’uso di una punta di diamante piramidale caricata con un peso prefissato, è compresa fra 1000 kg/mm2 e 1200 kg/mm2.
Sempre in riferimento alla durezza del cromo si trovano frequentemente valori variabili. Questo è principalmente dovuto al fatto che le durezze dipendono dalle condizioni di deposizione. Questo fatto è stato studiato e viene sempre tenuto presente nelle misure di durezza. Un’altra causa di discordanza dei dati e dovuta ai limitati spessori dei depositi che sono anche caratterizzati da una fitta rete di criccature, perciò depositi identici possono presentare differenti valori quando vengono determinati con diversi metodi. Ovviamente si possono fare solo misure di microdurezza con pesi inferiori ad 1 Kg (generalmente 200 gr). E’ usuale misurare la profondità dell’ impronta, o la diagonale dell’ impronta fatta dalla piramide di diamante. Nel caso di una durezza Vickers si ottiene una impronta quadrata. Col metodo Knoop si ottiene un’impronta rombica. Nella determinazione della durezza di questi depositi bisogna che il metallo base non influenzi i risultati. Perché ciò non accada la profondità dell’impronta deve essere una frazione dello spessore del deposito. E’ spesso conveniente condurre la prova su una sezione di spessore molto elevato. Poiché’ le impronte sono funzioni del peso , questo va specificato per ogni prova. Le misure di durezza vengono fatte con il metodo Vickers utilizzando un diamante piramidale con un angolo di 136° fra le facce o con il metodo di Knoop utilizzando una piramide rombica con angoli di 72°30’ e 130° fra due facce. La profondità della impronta è 1/7 della diagonale del quadrato dell’ impronta nel metodo Vickers. Nel caso del metodo di Knoop l’ impronta è profonda 1/30 della lunghezza della diagonale del rombo. Sembra quindi vantaggioso l’uso del metodo Knoop, specialmente per depositi sottili poiché questo metodo ha una penetrazione inferiore. La durezza Knoop può essere trasformata in durezza Vickers con opportune tabelle.
Un errore comune che viene compiuto nell’uso dei valori di durezza di un deposito è quello di legarlo direttamente alla resistenza all’abrasione o alla resistenza in generale. Tuttavia non solo la durezza ma anche la duttilità e l’elasticità sono fattori che influenzano la resistenza all’usura. Quindi nessuna conclusione può essere tratta riguardo la resistenza all’abrasione da misure di durezza ne inversamente. Tenendo presente l’importanza della cromatura dura nelle applicazioni industriali la questione delle misure di durezza e di resistenza all’usura è di primaria importanza. Mentre vi sono molti metodi standardizzati per le misure di durezza, nel caso delle misure di resistenza all’abrasione prevale un sistema di prove più personalizzate. Vari sono i metodi usati per la misura della resistenza all’abrasione come ad esempio la riduzione dello spessore, la perdita di peso, il volume abraso, il consumo di abrasivo, il tempo per ridurre lo spessore di un certo valore in seguito a continuo sfregamento. In ogni caso metodi diversi producono risultati diversi. Sono stati riportati i risultati di molte prove mettendo in relazione la durezza con la resistenza all’abrasione come si vede in fig 8.
Volumi elevati indicano maggior usura e bassa resistenza all’abrasione. Sono stati testati più di 100 depositi di cromo da differenti bagni e differenti condizioni di deposizione; i relativi valori della durezza Vickers e dei volumi abrasi sono stati racchiusi all’interno delle due curve. Si è visto che i depositi di cromo duro con HV=750-800 kg/mm2 hanno una elevata resistenza ad usura poiché con questi valori esiste un rapporto più favorevole fra durezza e duttilità (fig.9).
Il fenomeno per cui si osserva il valore ottimale delle caratteristiche abrasive a valori intermedi di durezza può essere notato anche con i depositi di oro. Questi depositi sono spesso utilizzati nei contatti elettrici dove sono imposti stress di sfregamento. Vengono utilizzati depositi di oro con durezza di 400 kg/mm2 ma questi hanno una scarsa resistenza ad usura mentre sono più adatti depositi con durezza di 250 kg/mm2. Che le condizioni del substrato influenzino la resistenza ad abrasione del cromo è accertato. Cilindri per alta pressione che sono rivestiti di rame come substrato del cromo hanno durata completamente diversa a seconda del tipo di deposito di rame. Su un deposito orientato il cromo ha una scarsa aderenza e la vita di questo deposito è un decimo di quella di un cromo deposto su un rame a orientamento irregolare. Lo spessore del cromo ha un’influenza sulla vita dello stesso e questa non è interamente proporzionale allo spessore ma decresce rapidamente a bassi spessori. Se la resistenza all’abrasione deve essere la caratteristica fondamentale del deposito questo deve avere almeno uno spessore di 7,5mm.
Il colore del cromo è bianco con riflessi azzurrini. Il coefficiente di riflessione di una superficie pulita di cromo è del 55% rispetto ad una argentata e lucidata nel campo del visibile. Tuttavia queste proprietà riflettive vengono mantenute per lunghe esposizioni all’atmosfera mentre tutti sanno che l’argento si opacizza in breve tempo. L’argento perde le sue proprietà riflessive specialmente in ambienti solforati mentre il cromo rimane inalterato.
Attualmente nel campo della moda si tende ad incoraggiare il deposito opaco o semiopaco piuttosto che il deposito lucido. Questo accade ad esempio nel campo ottico o automobilistico ove l’effetto lucido deve essere evitato, oppure nel campo decorativo dove magari viene preferito l’effetto opaco. E’ risaputo che la produzione di un deposito opaco è molto più difficoltosa di quello lucido specialmente su superfici molto larghe. Queste difficoltà possono essere evitate depositando un substrato opaco di nickel o rame oppure utilizzando un trattamento meccanico di opacizzazione come la sabbiatura. Su questa superficie viene poi depositato un film di cromo lucido che non comporta variazioni apprezzabili dell’originaria opacità.
Una proprietà del cromo elettrodeposto è il suo basso coefficiente di frizione. In particolare il suo coefficiente d’attrito a secco è il più basso di tutti i metalli.
Tab. 1: Coefficiente di attrito di vari metalli
Combinazione |
Coefficiente d’attrito |
|
|
Statico |
Dinamico |
Cromo su cromo |
0.14 |
0.12 |
Cromo su metalli bianchi |
0.15 |
0.13 |
Cromo su acciaio |
0.17 |
0.16 |
Acciaio su metalli bianchi |
0.25 |
0.20 |
Metalli bianchi su metalli bianchi |
0.54 |
0.19 |
Acciaio su acciaio |
0.30 |
0.20 |
Il coefficiente di frizione del cromo su ferro aumenta all’aumentare della temperatura mentre nel caso dell’acciaio su ferro non cambia. L’attrito diminuisce con la lubrificazione. Si è visto che l’aggiunta di un acido grasso ad un olio neutro ha un favorevole effetto sulla lubrificazione dell’acciaio mentre è inefficace nel caso di superfici cromate. La scarsa bagnabilità delle superfici cromate ha spesso un effetto indesiderato sulle condizioni di scorrevolezza. Da queste considerazioni il cromo non rappresenta mai una soluzione ottimale. Data la sua scarsa bagnabilità viene utilizzato dove non è possibile lubrificare come nello stampaggio della plastica dei vetri e dei metalli nell’industria tessile e nei vari campi dell’industria alimentare.
I depositi di cromo contengono spesso apprezzabili quantità di idrogeno ed ossigeno. Le quantità di questi dipendono dalla concentrazione del bagno, dalla densità di corrente e dalla temperatura. Il contenuto di idrogeno diminuisce considerevolmente con l’aumento della temperatura di elettrolisi, ma solo leggermente con l’aumento della densità di corrente. Per esempio con una densità di corrente di 50 A/dm2 ed una soluzione alla temperatura di 35 °C si ottiene un contenuto di idrogeno nel deposito di 0,07%. A 55°C diventa lo 0,05% e a 80°C lo 0,03%. L’idrogeno può essere gradualmente eliminato dal cromo per riscaldamento del pezzo. Di regola circa il 50% di idrogeno può essere eliminato per prolungato riscaldamento a 200°C. L’idrogeno residuo può essere eliminato per fusione sotto vuoto. Esso fuoriesce dal deposito sotto forma di gas molecolare e non sotto forma di acqua benché nel cromo sia presente anche dell’ossigeno.
Contrariamente a quanto si può pensare l’idrogeno non ha una particolare influenza sulla durezza del cromo ma ne causa solo un piccolo aumento per effetto della distorsione del reticolo. Contrariamente ha un maggior effetto sulla fragilità.
Il contenuto di ossigeno nel cromo elettrodepositato dipende prevalentemente dalla temperatura dell’elettrolita. Da un elettrolita comune a 20°C il metallo contiene circa l’ 1% di ossigeno; a 50°C ne contiene lo 0,4% e a 85 °C lo 0,1 %. In generale i depositi con contenuto di ossigeno sono più duri di quelli che non ne contengono.
L’elevata resistenza alla corrosione atmosferica da parte del cromo dipende, come nel caso dell’alluminio, dalla formazione di un sottile strato di ossido che lo protegge da un’ulteriore ossidazione. Fino a circa 300°C il cromo non subisce opacizzazioni palesi e solo per esposizioni prolungate sopra questa temperatura si manifesta un imbrunimento della superficie dovuto all’aumento dello spessore dell’ossido. Se la temperatura supera i 500°C l’ossido assume un colore bluastro.
L’ossido che si forma agisce da protezione contro diversi aggressivi chimici, cosicché il cromo pur non essendo un metallo nobile dal punto di vista del potenziale normale mostra un alto grado di resistenza all’attacco chimico per effetto dello strato passivo. Agenti ossidanti o riducenti hanno scarso effetto sul cromo, tuttavia è rapidamente attaccato dall’acido cloridrico e moderatamente dall’acido solforico e nitrico diluiti. L’attacco acido ha inizio dalle criccature. Bisogna notare che la scarsa bagnabilità del cromo ha un effetto favorevole sulla resistenza a corrosione. Questo significa che la superficie microcriccata ha una resistenza alla corrosione più alta di quella che ci si potrebbe aspettare sulla base della porosità. La resistenza alla corrosione per effetto della passivazione è solo di limitato valore nel caso di rivestimenti elettrodeposti. In tutti i depositi decorativi e spesso in molti rivestimenti di cromo duro non esiste un deposito che sigilli completamente il substrato. Esso è sempre comunque costituito da un certo numero di criccature e porosità che lo attraversano. Il sistema protettivo alla corrosione non può essere attribuito solo al cromo bensì alla combinazione del cromo con altri metalli che sono molto meno nobili rispetto ad esso.
Il risultato è che il rivestimento di cromo forma degli elementi elettrochimici locali con il materiale base in cui quest’ultimo rappresenta l’anodo solubile ed è quindi corroso rapidamente; ciò porta alla dissoluzione dell’intero substrato o anche alla formazione di pitting che penetrano fino al metallo base causandone il suo attacco. Questo fatto si nota ancora spesso nella pratica industriale. Si utilizzano ancora depositi di cromo con spessori di circa 0,25 mm sopra un substrato metallico. Si nota che il cromo microfessurato accelera notevolmente l’azione corrosiva sul nickel sottostante.
La ragione per cui si trovano spesso difetti nel nickel è dovuta all’applicazione di un cromo poroso su di esso. Prove fatte su nickel rivestito in cromo e non, dimostrano la elevata tendenza alla corrosione del nickel rivestito con un basso spessore. Il cromo non poroso con uno spessore almeno di 18-20 mm dimostra invece una eccellente protezione alla corrosione che dura nel tempo anche per l’elevata resistenza all’abrasione. Per assicurarsi contro la corrosione da gas è necessario avere un deposito di cromo di almeno 30 mm. Lo straordinario campo di applicazione dei depositi decorativi, specialmente quelli esposti all’atmosfera esterna (industria automobilistica), è la conseguenza degli studi condotti in vari paesi.
Costituenti di un bagno di cromo e loro azione
Nella produzione di elettrodepositi di cromo vengono usate soluzioni di cromo esavalente (anidride cromica o acido cromico). Inizialmente i primi tentativi di deposito del cromo sono stati condotti con cromo trivalente ma ancora adesso i risultati non sono soddisfacenti se paragonati con il deposito da anidride cromica.
I bagni di cromo operano senza eccezione con anodi insolubili cosicché tutto il metallo depositato è prelevato dalla soluzione e quindi deve essere continuamente rimpiazzato. Questo viene fatto aggiungendo anidride cromica.
Si deve tener presente che non è possibile depositare cromo da soluzioni pure di acido cromico ma che invece è necessaria la presenza di piccole quantità di anioni estranei chiamati catalizzatori costituiti generalmente da solfati, fluoruri, fluosilicati o fluoborati. Poiché la quantità di anioni estranei è dell’ordine dell’1% del contenuto di acido cromico e la loro concentrazione agisce in maniera determinante sul risultato della deposizione, è conveniente utilizzare dell’acido cromico molto puro sia per la formazione del bagno che per la sua manutenzione. Se questo non è possibile è conveniente conoscere la concentrazione in acido solforico dell’anidride cromica utilizzata per poter eseguire in modo appropriato l’aggiunta di catalizzatore mancante.
La concentrazione di acido cromico generalmente varia da 150 a 400 g/l. Basse concentrazioni permettono rendimenti di corrente maggiori e riducono i problemi delle emissioni sia aeriformi che liquide. Soluzioni concentrate hanno maggior conducibilità e quindi richiedono minor tensione ovvero minor potenza impegnata; inoltre sono meno sensibili alle impurezze e alla variazione di concentrazione. Le soluzioni diluite forniscono depositi più tensionati mentre quelle concentrate hanno miglior potere penetrante. Queste differenze non sono però molto determinanti nella scelta di un elettrolita. Le proprietà di un cromo elettrolitico dipendono non solo dal contenuto di acido cromico ma anche dalla natura e dalla quantità di catalizzatore utilizzato, dalle condizioni operative, dalle impurezze (come ferro e cromo trivalente) presenti in soluzione. La variazione di un parametro influenza l’effetto degli altri.
Solfati, fluoruri, fluosilicati, fluoborati o miscele di questi sono esempi classici di catalizzatori utilizzati. Se non è presente un catalizzatore il cromo non si deposita al catodo nelle condizioni usuali di corrente. A bassi potenziali catodici è possibile che non si abbia nessun apprezzabile passaggio di corrente. Con polarizzazione catodica più elevata si ha sviluppo di idrogeno senza deposizione di cromo. A densità di corrente più alte, il cui valore dipende dal tipo di elettrolita, invece si deposita cromo.
Se è presente una quantità troppo piccola di catalizzatore inizialmente non passa nessuna corrente oppure la corrente passa senza generare deposito di cromo ma solo con la formazione di un deposito di ossido bruno.
Un eccesso di catalizzatore si evidenzia con effetti diversi. Innanzitutto influenza il potere penetrante del bagno. Con valori molto alti di concentrazione di catalizzatore il rendimento di corrente diminuisce rapidamente e la deposizione del metallo viene completamente inibita.
Gli anioni estranei possono essere aggiunti come acidi liberi o come sali alcalini o alcalino terrosi. Il più utilizzato è il solfato che viene aggiunto nel rapporto CrO3:SO4 compreso fra 80 e 120 con un valore ottimale di 100. E’ importante notare che la quantità di catalizzatore non rappresenta una quantità assoluta ma è sempre relativa alla concentrazione di anidride cromica.
Al posto del solfato può essere aggiunto del fluoruro nella concentrazione da 1,5 a 4%. I fluoruri permettono di operare a rendimenti di corrente maggiori e quindi con una velocità di deposizione più elevata. Da soluzioni che contengono solo acido fluosilicico si deposita cromo più duro. Questi bagni presentano lo svantaggio di essere più sensibili alle impurezze quali il ferro per cui è necessario avere un maggior controllo nella conduzione del bagno. Inoltre il controllo analitico dei fluoruri è complicato e inoltre questi sono molto aggressivi nei confronti dei materiali ceramici di cui possono essere costituiti i riscaldatori e nei riguardi degli anodi di piombo. Particolarmente svantaggiosa è l’aggressività nei riguardi delle zone catodiche dove la densità di corrente è molto bassa, o delle zone non ben protette dalle vernici utilizzate per ottenere cromature selettive. L’uso di questi bagni non è quindi molto consigliato e si ricorre piuttosto all’utilizzo di fluoruri complessi quali la criolite (fluoruro sodico di alluminio) o i fluoborati che presentano questi inconvenienti in misura molto più limitata. Sono invece consigliate aggiunte di fluoruri dei metalli delle terre rare che aumentano il potere coprente, il potere penetrante, e danno una grana più fine con una maggior velocità di deposizione.
In questi ultimi anni sono stati introdotti bagni contenenti piccole quantità di sali quali il solfato di stronzio (SrSO4) ed il fluosilicato di potassio . Questi sali hanno una solubilità in acido cromico tale da fornire una concentrazione di ioni solforici e fluoridrici corrispondente a quella ideale per la deposizione del cromo. Bisogna tener presente che la solubilità di questi sali è funzione della temperatura e della concentrazione dell’acido cromico, Questi due parametri possono variare in un intervallo definito ma sufficientemente largo per una buona riuscita dell’elettrodeposizione. Per queste caratteristiche tali bagni autoregolanti vengono chiamati SRHR (self regulating high speed). La presenza di un eccesso di sale insolubile sul fondo del bagno permette di evitare un controllo continuo del catalizzatore la cui quantità nella soluzione va via via diminuendo per effetto dello scodellamento ma viene ripristinata dall’equilibrio di solubilità del solido. L’unica avvertenza da tenere presente è che il riequilibrio della solubilità di questi sali per una variazione di temperatura o di concentrazione dell’acido cromico non è istantanea ma richiede un certo intervallo di tempo funzione delle variazioni.
Oltre all’acido cromico e al catalizzatore il bagno di cromo contiene anche del cromo trivalente. Questo viene aggiunto al bagno sotto forma di sale di cromo(III) o viene fatto generare dall’acido cromico per aggiunta di un riducente organico come alcool, acido citrico, tartarico, ossalico o zucchero. Durante l’operazione di elettrodeposizione il cromo trivalente si forma spontaneamente al catodo mentre si riossida all’anodo. Questo cromo che si trova distribuito nella soluzione per effetto della diffusione e convezione si pensa non prenda parte direttamente alla riduzione a cromo metallico ma che abbia comunque una qualche influenza sulla stessa. Probabilmente non esiste come ione libero Cr3+ ma è complessato con il catalizzatore o con il gruppo cromato.
Si è verificato che piccole quantità di cromo trivalente aumentano il potere penetrante e nello stesso tempo diminuiscono il rendimento di corrente. Sulla quantità di cromo trivalente necessaria le opinioni divergono. Le ipotesi vanno da 2 a 20 g/l. Esperienze personali su cromatura lucida a 40 °C e 300 g/l di CrO4 in un bagno autoregolato limitano il valore a 7g/l. Questi valori così discordanti dipendono dalle impurezze presenti nel bagno e maggiori sono queste minore è la necessità di cromo trivalente. Quando un bagno lavora, se il cromo(III) non si mantiene costante, è necessario intervenire sulla superficie anodica. Quando, per la configurazione dei pezzi non è possibile ottenere questo giusto rapporto si utilizza una vasca di servizio collegata alla principale mediante una pompa. Essa ribilancia il rapporto superficie catodica / superficie anodica. che deve essere basso per la riossidazione e alto nel caso contrario. Anche se il valore della concentrazione del cromo trivalente non è importante come quella del catalizzatore un suo controllo saltuario è comunque conveniente in quanto serve per conoscere la stabilità dello stesso specialmente nei riguardi degli anodi.
Se ad un bagno di acido cromico con circa 400 g/l di anidride cromica vengono aggiunti 60 g/l di NaOH si ottiene una soluzione di cromatura in cui l’acido cromico è parzialmente neutralizzato a tetracromato. Questi bagni sono caratterizzati da una elevata conducibilità e da un rendimento di circa il 30% quindi il doppio di un bagno standard. Poiché il tetracromato si decompone ad alte temperature e in genere si lavora con alte densità di corrente, è necessario raffreddare la soluzione a temperatura ambiente. L’aggiunta di acido borico ( 5-10g/l ) evita la formazione di macchie e produce depositi più lucidi e duri. Anche l’aggiunta di piccole quantità di composti del magnesio o del tungsteno migliorano le proprietà del deposito. L’aggiunta di selenio, titanio o zirconio da la possibilità di ottenere depositi lucidi direttamente dai bagni al tetracromato, altrimenti da questi bagni si ottengono depositi opachi che sono però lucidabili.
L’aggiunta di magnesio fluoruro aumenta il potere coprente di un bagno standard. Additivi organici molto utilizzati nei bagni convenzionali di ogni tipo non hanno trovato grosse applicazioni nei bagni di cromo a causa dell’eccessivo potere ossidante. Sembra comunque accertato che aggiunte di acido glicolico o di acido diclorosuccinico e di altri acidi organici aumentino il potere penetrante, il potere coprente ed il campo di variabilità della densità di corrente. Non è ben definito se ciò coincida con l’aumento entro dati limiti della quantità di cromo trivalente generato per riduzione.
Una tipologia di additivi molto importanti è rappresentata dalle sostanze organiche che vengono aggiunte per ridurre la formazione di nebbie cromiche. Infatti a causa dell’elevata produzione di gas agli elettrodi questi asportano delle nebbie contenenti la soluzione cromica. Questa nebbia è accentuata dalla viscosità della soluzione. L’aggiunta di tensioattivi diminuisce la viscosità e riduce la possibilità di formazione di nebbie. Naturalmente questi tensioattivi devono resistere all’ossidazione della soluzione e appartengono alle famiglie dei fluorurati.
Durante la lavorazione queste sostanze generano una schiuma che evita la fuga dei gas rallentando la loro emissione e favoriscono la loro espulsione mediante i collettori di aspirazione che si trovano sul bordo vasca.
Le soluzioni di cromo esavalente hanno notevoli svantaggi che possiamo così elencare:
Per questi motivi si è pensato di sostituire il cromo esavalente con quello trivalente e sono stati depositati diversi brevetti. Sono state proposte soluzioni al solfato, al cloruro, al perclorato con complessi organici ed inorganici. Varie sostanze sono state indicate come additivi quali urea e formaldeide. La densità di corrente è paragonabile a quella dei bagni all’acido cromico. Sono stati proposti anche bagni in sali fusi come quello costituito da cloruro di cromo (CrCl3) in miscela con cloruri di sodio e di potassio (NaCl e KCl) a 800°C, e soluzioni di sali di cromo in solventi organici quali formammide ed acetammide. Di tutte queste proposte non si sono avute applicazioni pratiche di rilevanza industriale esclusa una soluzione che ha avuto qualche applicazione in Inghilterra. Questa contiene cloruro di cromo, sodio e ammonio cloruro e acido borico in soluzione al 40% di dimetilformammide (DMF) in acqua. Il cromo è depositato a 25°C e a pH 1.0 con una densità di corrente media pari a 12 A/dm2 . L’efficienza catodica è sufficientemente alta con un minimo di 0,25 mm al minuto. Con questo spessore il deposito è microporoso mentre a 1,25mm è totalmente microfessurato. Il colore del deposito ottenuto da questo bagno è diverso da quello ottenuto dai bagni convenzionali decorativi che presentano un aspetto bluastro. Test di esposizione ad ambienti esterni sia mobili che fissi hanno dimostrato che questi depositi hanno caratteristiche simili a quello dei sistemi microcriccati e superiori rispetto ai sistemi tradizionali.
Un altro sistema che ha il vantaggio di non necessitare dei diaframmi di separazione fra la zona anodica e quella catodica è costituito da un complesso alogenocarbossilato che ha però lo svantaggio di produrre cloro all’anodo di carbone oltre che fornire un deposito decisamente grigio opaco. Il potere coprente è tuttavia eccezionale come del resto la distribuzione del metallo per densità di corrente di 10-100 A/dm2. Dopo lungo tempo è stato presentato un processo con applicazioni commerciali e brevettato in diversi stati. Questo sistema è ragionevolmente semplice da condurre e richiede vasche in plastica, anodi di carbone con ganci in titanio. L’alimentazione elettrica richiede una densità di corrente di 10 A/dm2 e una tensione di 6-10 V. L’ agitazione della soluzione con aria è necessaria per una miglior distribuzione del deposito. Si opera a freddo, preferibilmente a 20-25 °C per cui diventa necessario un sistema di raffreddamento. I problemi di inquinamento sono minimizzati data la presenza di cromo trivalente che può essere precipitato dalla soluzione con idrato sodico e non presenta emissioni di nebbie durante il processo di elettrolisi. Il colore del deposito si avvicina a quello dell’ acciaio inox ed i costi di manutenzione sono ridotti. La composizione della soluzione non è nota ma si sa che contiene del cromo complesso, sali conduttori ed un tensioattivo speciale. Il contenuto di cromo è circa 20 g/l che va reintegrato in base al consumo. Il pH è mantenuto fra 2,5 e 3 con ammoniaca o acido cloridrico e la velocità di deposizione è di 0,8-1,5 mm con una densità di corrente di 10 A/dm2.
In questi ultimi tempi la ricerca si è spinta verso la possibilità di deporre leghe di cromo con altri metalli basati sull’utilizzo di soluzioni contenenti cromo trivalente ed in particolar modo leghe con ferro, cobalto e nickel e altri metalli pesanti. In particolare lo scopo è prevalentemente quello di ottenere una composizione simile all’acciaio inossidabile. Generalmente è possibile depositare solo spessori molto sottili mentre, mantenere una costanza di concentrazione e di parametri del bagno per produrre un deposito di composizione costante, è quasi impossibile. Si deve notare che queste leghe, anche se hanno una composizione analoga ad un acciaio, hanno comunque una struttura completamente diversa e quindi anche il comportamento alla corrosione non è in genere quello che ci si aspetterebbe.
Questa lega si deposita con una composizione del 65% in stagno ed del 35% in nichel corrispondente al composto intermetallico SnNi. Ha un aspetto metallico lucido con un riflesso rosa ed è resistente all’imbrunimento. Può essere alternativa al cromo per certe applicazioni decorative per interni o esterni, o per applicazioni su contatti elettrici. Ha una buona resistenza all’usura e trattiene un film d’olio che ne esalta questa proprietà. Trova applicazione nella metallizzazione dei fori dei circuiti stampati, come parziale sostituto dell’oro, a causa del notevole potere penetrante dei bagni e la buona conducibilità del deposito.
La durezza del deposito è compresa fra quella del nickel e quella del cromo. Essa è duttile e saldabile.
La tipologia di bagno più utilizzata risponde alla seguente composizione:
SnCl2 2H2O |
50 g/l |
NiCl2 6H2O |
250 g/l |
NH4HF2 |
55 g/l |
NH4Cl |
50 g/l |
NH4OH o HCl |
fino a pH 2.5-3.5 |
Temperatura |
65 °C |
Densità di corrente |
1.0-3.0 A/dm2 |
Agitazione |
Movimentazione catodica |
L’agitazione non è necessaria per piccoli spessori mentre diventa obbligatoria nel caso contrario.
Anche la filtrazione continua si rende necessaria per eliminare particelle sospese.
Si utilizzano anodi di nickel oppure anodi di nickel con anodi di stagno nel rapporto 2:1.
Nel primo caso lo stagno consumato va reintegrato con aggiunte regolari di cloruro stannoso.
Il contenuto in fluoruro è molto importante per il suo effetto complessante sullo stagno. Un aumento della sua concentrazione diminuisce il contenuto di stagno nel deposito.
Molto dannosa è la presenza di contaminanti organici. Piombo oltre i 25 ppm, rame,zinco e cadmio oltre i 200 ppm, hanno effetti negativi sul deposito ma questi possono essere rimossi mediante elettrolisi a bassa densità di corrente.
Determinazione iodometrica dello stagno(II) in un bagno di nickel-stagno
Reagenti:
PROCEDURA:
Prelevare 5 cc di bagno e porli in una beuta da 300 cc, diluire con 200 cc di acqua distillata e aggiungere 30 cc di acido cloridrico concentrato. Aggiungere 5cc di salda d’amido e titolare con iodio 0,1N finché la soluzione passa dal nero al blu.
Siano A i cc di iodio 0,1 N utilizzati.
Calcolo: g/l Sn(II) = A*1,187
ArgentATURA
I bagni cianurati di argento sono quelli che forniscono i migliori risultati tecnici ed economici anche tenendo conto delle spese per il trattamento delle emissioni. Gli anodi d’argento si sciolgono bene nei bagni al cianuro ed il consumo di brillantanti è basso.
Un bagno classico utilizzabile a telaio è il seguente:
Argento come KAg(CN)2 |
15-40 g/l |
Potassio cianuro KCN |
20-150 g/l |
Potassio carbonato K2CO3 |
20 g/l |
Temperatura |
20-30 °C |
Densità di corrente |
0.5-4 A/dm2 |
Per un’ argentatura a buratto si tiene conto che si ha un maggior trascinamento e una minore densità di corrente per cui si utilizzano bagni a minor concentrazione. Una formula tipica è la seguente:
Argento come KAg(CN)2 |
5-20 g/l |
Potassio cianuro KCN |
25-75 g/l |
Potassio carbonato K2CO3 |
20 g/l |
Temperatura |
20-30 °C |
Densità di corrente |
0.1-0.8 A/dm2 |
Entrambe le formulazioni producono un deposito opaco ma comunque tenero. Per produrre un deposito molto lucido vengono aggiunti affinatori del grano e brillantanti.
Esempi di questi brillantanti sono molecole organiche che contengono gruppi ammidici quali la nicotinammide o gruppi amminici come l’etilendiammina e complessi dei metalli del gruppo VA e VIA come selenio, bismuto o antimonio.
Aumentando la quantità di brillantanti aumenta la durezza del deposito. Questa è compresa di solito fra i 100 e 200 Knoop. Antimonio e selenio aumentano la durezza più delle sostanze organiche ma queste ultime impartiscono miglior conduttività elettrica.
I carbonati derivano dalla ossidazione del cianuro cosicchè l’aggiunta iniziale non deve essere ripetuta. Questa ossidazione è lenta quando il bagno non lavora ma quando la concentrazione arriva verso i 120 g/l allora il deposito diventa opaco. La rimozione di questo sale può essere fatta per raffreddamento della soluzione ed asportazione dei cristalli di carbonato precipitato o precipitazione dello stesso con idrato di bario.
L’argento è un metallo relativamente nobile per cui l’immersione in una sua soluzione di un metallo meno nobile può provocare fenomeni di cementazione che di solito sono deleteri per l’adesione dello strato successivo. Per minimizzare questo effetto è necessario impiegare un predeposito di argento. Una composizione tipica di questo bagno è la seguente:
Argento come KAg(CN)2 |
3.5-5 g/l |
Potassio cianuro KCN |
80-100 g/l |
Potassio carbonato K2CO3 |
20 g/l |
Temperatura |
15-25 °C |
Densità di corrente |
0.5-1.0 A/dm2 |
Lo spessore ottenuto da questo deposito è molto limitato ( 0,05-0,25mm). Dopo il bagno di preargentatura si entra in quello di argentatura senza risciacquare. La purezza degli anodi è molto importante poiché impurità come il rame, ferro, piombo, solfuro, tellurio, e metalli del gruppo del platino possono causare contaminazione della soluzione con formazione di un film sull’anodo che inibisce la solubilità dello stesso. Gli anodi devono essere ottenuti per trafilatura, fusione o estrusione e devono subire un trattamento di ricottura per ottenere una grana che non si sfogli durante la dissoluzione. Una insufficiente concentrazione di cianuro libero e un’area anodica limitata causa consumi e dissoluzione anomali.
L’analisi della concentrazione del cianuro libero deve essere eseguita frequentemente e regolarmente e ripristinata con potassio cianuro. Il rapporto anodo catodo consigliato e 2-1e la densità di corrente catodica massima di 1,25 A/dm2
L’argentatura di piccoli pezzi può essere fatta anche utilizzando anodi inerti. In questo caso i tradizionali bagni al cianuro subiscono degradazione per effetto della polimerizzazione del radicale cianuro e della sua ossidazione. Sono state sviluppate delle soluzioni per sopperire a questi casi particolari utilizzando bagni privi di cianuro libero di cui la seguente è una formulazione classica:
Argento come KAg(CN)2 |
40-75 g/l |
Sali conduttori e tamponanti |
60-120 g/l |
PH |
8.0-9.5 |
Temperatura |
60-70 °C |
Densità di corrente |
30-400 mA/dm2 |
Agitazione |
a flusso di soluzione |
Anodi |
Platino o titanio platinato |
I sali conduttori sono di solito pirofosfati che funzionano anche da tamponi, oppure nitrati in cui i tamponanti sono costituiti da borati. In queste soluzioni sono molto importanti i sali tamponanti poiché sull’anodo inerte vengono consumati gli ossidrili con conseguente aumento dell’acidità. Si forma allora all’anodo del cianuro d’argento insolubile per effetto della perdita del acido cianidrico che si sviluppa. Per questa causa aumenta l’effetto di polarizzazione anodica con diminuzione della corrente. Le seguenti reazioni illustrano il fenomeno:
4OH->>> 2H2O + O2 +4e-
Ag(CN)2- >>>AgCN¯ + CN-
La doratura è un tipo di placcatura con metalli preziosi che ha numerose applicazioni specialmente per oggetti ornamentali.
I sistemi di doratura odierni sono suddivisi in 8 classi:
Classe |
Tipo |
A |
Flash di oro decorativo 24K (0.05-0.1 mm), su telaio e in buratto |
B |
Flash di leghe di oro decorativo (0.05-0.1mm), su telaio e in buratto |
C |
Leghe di oro decorativo, pesante(0.5-1mm), su telaio . Questi depositi possono essere sia classe C – 1 carato o C – 2 carati |
D |
Oro tenero ad alta purezza per industria elettronica (0.05-0.5mm) su telai, in buratto e selettivo |
E |
Oro pesante (95%) duro,opaco per industria elettronica (0.05-0.5mm) su telaio, in buratto e selettivo |
F |
Leghe di oro spessore (0.05-1mm) su telaio e selettivo |
G |
Leghe opache e pure, raffinato (0.01-0.1mm), su telaio e selettivo |
H |
Miscele, comprendenti oro elettroformato e leghe di oro, per scopi architettonici |
Per semplificare ulteriormente l’oro e le leghe di oro possono essere considerate appartenenti a 5 gruppi generali:
Gruppo |
Miscele |
Classi |
1 |
Oro cianuro alcalino, per doratura e placcatura di leghe di oro |
A - D ; F - H |
2 |
Oro cianuro neutro, per doratura ad alta purezza |
D , G |
3 |
Oro cianuro acido, per doratura opaca e dura |
B , C , E – G |
4 |
Oro solfito, per doratura generica |
A – D ; F – H |
5 |
Miscele |
|
Ci sono centinaia di formulazioni tra queste cinque classi di soluzioni di oro per doratura.
Fisicamente, considerazioni di tipo estetico e ingegneristico determinano in quale di questi gruppi è il bagno desiderato. Il fattore normalmente altrettanto importante è quello economico. Il prezzo dell’oro è solo un aspetto che deve essere considerato nella decisione del tipo di tecnica di deposizione (telaio, buratto, continua o selettiva).
Per ogni applicazione è necessario bilanciare e ottimizzare le seguenti variabili:
Gran parte della placcatura decorativa è applicata alla gioielleria, in generale per oggetti che servono da ornamento. Lo spessore di oro o di leghe di oro è di circa 0.05-0.1mm e il tempo di placcatura è di circa 5-30 sec. Indrustialmente si distingue tra questo tipo di placcatura che viene chiama flash rispetto a quella a spessore in cui lo spessore del deposito è maggiore di 0.5mm.
Questi depositi sono usualmente applicati su un substrato di nickel lucido e l’aspetto risultante è ancora lucido. Non richiedono quindi successivo trattamento di lucidatura.
Gli anodi utilizzati sono di acciaio puro. Il miglior rapporto fra l’area del anodo e quella del catodo è 1:1 oppure 3:1. Alti rapporti, quando la vasca è usata come anodo, tendono a dare un colore e uno spessore del deposito disomogenei, e il pezzo finale frequentemente si brucia. Non è necessario nessun tipo di agitazione per assicurare colore uniforme.
L’oro e gli elementi in lega si consumano durante il processo e quindi devono essere aggiunti periodicamente per non sbilanciare il bagno. Normalmente ci si basa sulla lettura di un amperometro. Il bagno opera con un efficienza catodica di circa il 6%. Quindi ogni 11 Ah consumate devono essere aggiunti 5 g di oro, assieme alla giusta quantità di elementi in lega.
Tutte le condizioni operative devono essere controllate attentamente. Ogni variazione di queste condizioni influenza l’efficienza della corrente catodica dell’oro o delle leghe o di entrambi.
I fattori che alterano il colore del deposito sono:
Tabella di Oro e leghe di Oro in bagni Flash (Classi A,B)
Bagni alcalini di oro al cianuro (Gruppo 1, Classe D)
Tabella dei Bagni di Oro alcalini al cianuro
La tabella sovrastante elenca i bagni alcalini di oro cianuro che sono ancora usati. Per depositi opachi, aumentando la temperatura, si ha il miglior deposito e la più alta velocità di deposizione. Bisogna però cercare di non superare il limite di temperatura consentito.
I bagni alcalini al cianuro sono molto sensibili alle impurezze organiche , sia quelle introdotte dal trascinamento, sia quelle dovute all’assenza di pulizia, così come quelle dovute al crollo del cianuro libero. Per fare in modo che un deposito sia di buon aspetto e strutturalmente sano, è necessario trattare la soluzione con carbone e filtrarla periodicamente. Il grado di purezza del carbone deve essere elevato in modo da non introdurre più impurezze di quelle rimosse. La filtrazione continua attraverso un filtro impaccato di carbone è praticamente accettata ma non è efficiente nella rimozione delle impurità come un trattamento discontinuo con carbone. Se la soluzione è abbastanza contaminata prima del trattamento, è importante conservare il carbone utilizzato e i filtri per recuperare la quantità di oro persa durante il processo.
Il miglior metodo per trattare una soluzione con carbone è di:
Nessuna regola viene data alla frequenza di trattamenti con carbone. Ciò dipende dalla pulizia generale e dalla disponibilità economica, come dal pezzo che si deve processare; mediamente varierà da una volta ogni due settimane a una volta ogni due mesi. Per esempio i bagni a temperatura ambiente necessitano di trattamenti con carbone meno frequenti rispetto a quelli caldi al cianuro.
Bagni neutri di oro al cianuro. (Gruppo 2 , Classe D)
I bagni neutri al cianuro sono principalmente usati dalla industria dei semiconduttori. Molta cura va data per prevenire la contaminazione della soluzione perché anche una piccola quantità (ppm) di sostanze inorganiche indesiderabili può causare problemi al deposito come rotture o fragilità.
Bagni acidi di oro al cianuro. (Gruppo 3 , Classe E)
Il platino può trovarsi in soluzione allo stato bivalente o tetravalente. Lo ione bivalente può subire l’ossidazione a tetravalente all’anodo specialmente in soluzione alcalina. Questo effetto diminuisce il rendimento di corrente e perciò può essere utile separare con membrane la zona catodica da quella anodica.
Tipologie di bagni:
Bagni al dinitroplatinato solfato
Platino come H2Pt(NO2)2SO4 |
5 g/l |
Acido solforico |
fino a pH 2 |
Temperatura |
40 °C |
Densità di corrente |
0,1-1 A/dm2 |
Anodi |
Platino, Titanio platinato |
Bagni acidi all’acido cloroplatinico
Platino comeH2PtCl6 |
20 g/l |
Acido cloridrico (al 35%) |
300 g/l |
Temperatura |
65 °C |
Densità di corrente |
0,1-2 A/dm2 |
Anodi |
Platino,titanio platinato |
Bagni ammoniacali all’acido cloroplatinico
Platino comeH2PtCl6 |
10 g/l |
Ammonio fosfato |
60 g/l |
Ammonio idrato |
fino a pH 7.5-9.0 |
Temperatura |
65-75 °C |
Densità di corrente |
0,1-1 A/dm2 |
Anodi |
Platino, Titanio platinato |
La formulazione alcalina può essere applicata direttamente su basi nickelate. Le formulazioni acide richiedono in genere una predoratura sul materiale base.
Tre sono le tipologie di bagni che sono stati finora proposti per la rodiatura e cioè:
La prima tipologia fornisce un deposito prevalentemente tecnico, la seconda un deposito a caratteristiche prevalentemente estetiche (lucido e riflettente) e la terza produce un deposito con proprietà intermedie fra i due precedenti.
La gioielleria e la produzione di oggettistica in argento sono le industrie che maggiormente utilizzano questo deposito per il suo aspetto molto bianco. Benché entrambi i bagni forniscano depositi bianchi, i bagni al fosfato sono stati preferiti perché intaccano meno le saldature quando la rodiatura viene eseguita direttamente sul metallo base.
Il trattamento di rodiatura ha uno scopo puramente estetico. I suoi depositi sono molto bianchi, lucidi e duri ma altrettanto porosi e costosi per cui vengono utilizzati spessori molto bassi (0.1 mm).
Bagni al fosfato di rodio
Rodio fosfato |
2 g/l |
Acido fosforico all’ 85% |
60-150 g/l |
Temperatura |
40-50 °C |
Densità di corrente |
2-10 A/dm2 |
pH |
< 1 |
Anodi |
Platino, Titanio platinato |
Agitazione |
moderata |
Bagni al solfato di rodio
Rodio solfato |
1-2 g/l |
Acido solforico al 96% |
50-150 g/l |
Temperatura |
40-50 °C |
Densità di corrente |
2-10 A/dm2 |
PH |
<1 |
Anodi |
Platino, Titanio platinato |
Agitazione |
moderata |
Bagni al solfato-fosfato di rodio
Rodio fosfato |
1-2 g/l |
Acido solforico al 96% |
50-150 g/l |
Temperatura |
40-50 °C |
Densità di corrente |
2-10 A/dm2 |
PH |
<1 |
Anodi |
platino,titanio platinato |
Agitazione |
moderata |
Il palladio può essere depositato da sistemi caratterizzati da ambienti ammoniacali o acidi. Fra questi i più numerosi sono quelli ammoniacali in cui il palladio è presente in forma coordinata con molecole di ammoniaca Pd(NH3)42+ mentre l’anione che fa da controione può essere il Cl- ,NO2- e SO42-.
Gli elettrodepositi di palladio sono suscettibili alla formazione di microcricche per effetto della codeposizione di idrogeno per cui conviene sempre depositare in condizioni di alto rendimento. Per rendere lucido il deposito esistono dei brillantanti che fanno parte della famiglia dei solforati, che funzionano da duttilizzanti, mentre i legami olefinici impartiscono lucentezza . I sottostrati di rame vanno protetti con nickel o con un flash di palladio o di oro prima di entrare in un bagno di palladiatura per evitare opacizzazioni per effetto del contenuto ammoniacale.
Le soluzioni di placcatura acide vengono utilizzate per ottenere alti spessori con basse tensioni interne. Sono basati sull’impiego di palladio cloruro o solfato. Questi depositi sono opachi o semilucidi e l’efficienza di corrente è del 97-100% . La presenza di rame nella soluzione provoca dei depositi lattescenti.
Bagni convenzionali
Al solfammato
Palladio come Pd(NH3)2(NO2)2 |
10-20 g/l |
Ammonio solfammato |
100 g/l |
Ammonio idrato |
fino a pH 7,5-8,5 |
Temperatura |
25-35 °C |
Densità di corrente |
0,1-2,0 A/dm2 |
Anodi |
Titanio platinato |
Al cloruro
Palladio come Pd(NH3)4Cl2 |
10-20 g/l |
Ammonio cloruro |
60-90 g/l |
Ammonio idrato |
fino a pH 8.0-9.5 |
Temperatura |
20-25 °C |
Densità di corrente |
0,1-2,5 A/dm2 |
Anodi |
Titanio platinato o grafite |
Acido al cloruro
Palladio come PdCl2 |
50 g/l |
Ammonio cloruro |
30 g/l |
Acido cloridrico |
fino a pH 0,1- 0,5 |
Temperatura |
40-50 °C |
Densità di corrente |
0.1-1.0 A/dm2 |
Anodi |
Palladio o grafite |
Palladio - Nickel
Il palladio forma leghe con diversi metalli. Di queste la più importante commercialmente è quella con il nickel che si può depositare elettroliticamente con una composizione compresa fra il 30 e il 90% in palladio. Nella pratica corrente viene utilizzata la lega con il 75-85% in palladio. Questo tipo di lega ha la caratteristica di avere una notevole resistenza alla corrosione e una buona duttilità fino a spessori di 2 mm che garantiscono la bassa porosità. La lega è meno sensibile alle criccature indotte dall’idrogeno rispetto ai depositi di palladio puro.
La composizione più utilizzata è la seguente:
Palladio come Pd(NH3)4Cl2 |
18-28 g/l |
Ammonio cloruro |
60 g/l |
Nickel cloruro esaidrato |
20-40g/l |
Ammonio idrossido |
fino a pH 7.5-9.0 |
Temperatura |
< 25°C |
Densità di corrente |
0.1-2.5 A/dm2 |
Anodi |
Titanio platinato,grafite |
Brillantanti |
Solfonati e Acetilenici |
Il Rutenio è un metallo molto duro ed è il meno caro dei metalli del gruppo del platino. Ha una elevata temperatura di fusione. Il colore del deposito è più scuro rispetto al palladio e può essere ulteriormente inscurito con aggiunta di sostanze organiche tipo fenolo o piridina fino ad assumere un colore canna di fucile.
Una formulazione molto usata è la seguente:
Rutenio solfammato o nitrosil solfammato |
5 g/l |
Acido solfammico |
8 g/l |
PH |
1-2 |
Temperatura |
60-65 °C |
Densità di corrente |
1-3 A/dm2 |
Rendimento di corrente |
10-20 % |
A causa dell’ acidità del sistema è conveniente far precedere questo deposito da una predoratura o da un flash di palladio.
Esso è costituito da una sorgente luminosa che emette radiazioni pressoché monocromatiche caratteristiche dell’elemento che interessa.
Il campione viene portato allo stato atomico mediante una fiamma aria – acetilene. La soluzione viene prelevata dal contenitore mediante un tubicino che la invia nebulizzata con aria e acetilene alla fiamma. Qui si formano gli atomi, che assorbono la luce proveniente dalla sorgente.
Il segnale in uscita dalla fiamma passa attraverso un monocromatore che si incarica di eliminare le radiazioni che non interessano. Infine la radiazione monocromatica passa al rivelatore (di solito un tubo fotomoltiplicatore) che produce una corrente proporzionale all’intensità del raggio.
La corrente viene trasformata in tensione e amplificata. Il segnale ottenuto viene poi espresso sotto forma numerica in un display e rappresenta la concentrazione del metallo della soluzione precedentemente diluita.
BIBLIOGRAFIA:
Fonte: http://www.ing.unitn.it/~colombo/TRATTAMENTI_GALVANICI_DEI_METALLI/File%20relazione/Relazione.doc
Sito web da visitare: http://www.ing.unitn.it/~colombo/
Autore del testo: D.Colombo
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