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Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
In tutte le lavorazioni o applicazioni si sfruttano le particolari attitudini o proprietà che hanno i materiali di lasciarsi trasformare o di resistere agli sforzi esterni.
La conoscenza delle proprietà è di fondamentale importanza per il tecnico meccanico, cui spesso compete la scelta del materiale in relazione alle esigenze d’impiego.
Distinguiamo:
Sulle proprietà fisiche, chimiche e tecnologiche si basano i metodi di lavorazione; sulle proprietà meccaniche si basa la resistenza dei vari materiali agli sforzi esterni.
Si riferiscono alle caratteristiche generali della materia.
Ai fini dello studio della Scienze e Tecnologie Applicate, le più importanti sono:
E’ il rapporto tra la massa di un corpo omogeneo ed il suo volume:
La massa volumica, spesso misurata in [kg/dm3], ha un notevole interesse perché fornisce indicazioni riguardo la pesantezza o la leggerezza di un materiale:
Il magnesio è ultraleggero avendo ρ = 1,74 [kg/dm3] L’alluminio è leggero avendo ρ = 2,7 [kg/dm3]
Il titanio è semileggero avendo ρ = 4,51 [kg/dm3] Il ferro è semipesante avendo ρ = 7,87 [kg/dm3] Il piombo è pesante avendo ρ = 11,50 [kg/dm3]
L’acciaio ha ρ = 7,5 ÷ 8,1 [kg/dm3] La ghisa grigia ha ρ = 7,2 [kg/dm3] Il bronzo ha ρ = 8,9 [kg/dm3]
Il metallo più leggero è il potassio avendo ρ = 0,86 [kg/dm3], il metallo più pesante è l’iridio con ρ = 22,40 [kg/dm3].
Esprime le variazioni di volume di un corpo solido, non soggetto a sollecitazioni meccaniche sensibili, per effetto di variazioni di temperatura.
La dilatazione può essere:
Prendendo in considerazione il caso della dilatazione lineare, un corpo metallico rettilineo di lunghezza L0, in seguito ad un aumento di temperatura ΔT, subisce un allungamento ΔL dato da:
ΔL = αl · L0 · ΔT [m]
dove αl = ΔL / (L0 · ΔT) [m/m · °C] rappresenta il coefficiente di dilatazione termica lineare (si ricava sperimentalmente).
Valori medi di αl tra 20° ÷ 100° sono: 0,000012 per gli acciai
0,000018 per il bronzo 0,000010 per la ghisa grigia.
Esempio: di quanto si allunga un binario ferroviario d’acciaio lungo inizialmente 18 m se la temperatura passa da 20 a 50 °C?.
ΔL = αl · L0 · ΔT
= 0,000012 · 18 · 30
= 0,00648 = 6,48 [mm]
Nelle costruzioni meccaniche la dilatazione termica si considera negli accoppiamenti soggetti a funzionare a temperature elevate e negli strumenti di misura; in fonderia è importante per la costruzione delle forme.
E’ la quantità di calore che bisogna cedere all’unità di massa di una determinata sostanza per aumentare di un valore unitario la temperatura:
dove Cm = Q / (ΔT · M) [J / (kg · K)] rappresenta il coefficiente di capacità termica massica (che una volta era detto “calore specifico”).
Per ciascuna sostanza la capacità termica massica non è costante ma varia sensibilmente al variare della temperatura. Per facilitare i calcoli si assumono valori medi relativi ad ampi campi di temperatura:
Per l’acciaio da 20 a 1150 °C si assume Cm = 685 [J/kg · K] Per la ghisa si assume Cm = 710 [J/kg · K]
Per bronzi ed ottoni si assume Cm = 375 [J/kg · K]
L’interesse pratico è quello di potere determinare la quantità di calore Q che deve essere somministrata ad una sostanza di massa M per riscaldarla (come per esempio nelle operazioni di stampaggio a caldo).
Esempio: Quanto calore occorre fornire ad uno spezzone di barra da stampare avente massa m = 2 [kg] per portarlo alla temperatura di 1100 °C?
Q = Cm · ΔT · M = 685 · 1080 · 2 = 1 479 600 [J] = 1 479,6 [kJ]
E’ la temperatura alla quale una sostanza passa dallo stato solido allo stato liquido. La trasformazione avviene con assorbimento di calore ed è quindi necessario fornirlo perché essa possa avvenire
Nei metalli puri e nelle leghe eutettiche la fusione (e la solidificazione) avvengono a temperatura costante.
Le leghe non eutettiche hanno una temperatura di inizio fusione (o di solidificazione) ed una temperatura di fine fusione (o di solidificazione).
Temperatura di fusione [°C] |
|
Alluminio |
658 |
Ferro |
1535 |
Rame |
1083 |
Stagno |
232 |
Zinco |
419 |
Acciaio |
1300 ÷ 1400 |
Ghisa |
1150 ÷ 1200 |
Bronzo |
900 ÷ 960 |
Ottone |
900 ÷ 1000 |
Per fare passare una massa M in kg di materiale dallo stato solido allo stato liquido, occorre fornire la seguente quantità di calore:
dove q [J] è il calore massico di fusione (o calore latente di fusione), è cioè una quantità di calore supplementare necessario per vincere le azioni molecolari del materiale, già portato alla temperatura di fusione, per trasformarlo definitivamente da solido in liquido.
Es.: qferro = 268 [kJ/kg]
Tale caratteristica è particolarmente importante nella saldatura e nella fonderia.
Esempio: Quanto calore bisogna fornire ad una massa di materiale ferrso m = 10 [kg] che fonde a 1535 [°C] per portarla a fusione?
Q = Cm · (T2 – T1 ) · M + q · M
= 685 · (1535 – 20 ) · 10 + 268 · 10
= 685 · 1515 · 10 + 2680 = 10 380 430 [J] = 10 380,43 [kJ]
Il calore latente verrà integralmente restituito durante la solidificazione (calore latente di solidificazione). Il passaggio liquido solido avviene cioè con sviluppo di calore.
Indica l’attitudine di un materiale a trasmettere il calore. Ciò si verifica all’interno di un corpo tra punti a diversa temperatura.
Attraverso una lastra di Superficie S e di spessore s, tra le cui facce esiste una differenza di temperatura ΔT, nel tempo t passa una quantità di calore Q dato dalla relazione:
dove kt = (Q · s) / (S · ΔT · t) [J / m · °C · s] é il coefficiente di conducibilità termica.
E’ il caso della “Trasmissione del calore per conduzione” e la legge suddetta è la Legge di Fourier.
Il coefficiente di conducibilità termica rappresenta la quantità di calore, espressa in J, che attraversa in 1 secondo una lastra di 1 m2 di superficie e spessore 1 metro, quando la differenza di temperatura tra le due facce è di 1 °C.
L’acciaio con carbonio 0,20 % ha kt = 83,7 MJ/m · °C Il rame ha kt = 372,2 MJ/m · °C
L’argento ha kt = 418 MJ/m · °C
L’argento ha la maggiore conduttività, il sughero la peggiore.
La conducibilità termica interessa molte costruzioni industriali per la scelta dei materiali buoni conduttori di calore (scambiatori, radiatori) o cattivi conduttori di calore. Questa caratteristica è particolarmente importante anche nella saldatura.
Esempio: calcolare la quantità di calore che attraversa in un’ora una struttura in alluminio (kt =
218) di spessore 20 [cm] e superficie [1 m2] nota che sia la differenza di temperatura tra l’esterno e l’interno ΔT = 36 [°C] :
Q = (kt · S · ΔT · t) / s = 218 · 1 · 36 · 3600 / 0,2 = 1,41 [J]
Esprime l’attitudine di un materiale a trasmettere la corrente elettrica.
La conducibilità elettrica viene espressa anche con la proprietà opposta, detta “Resistività”.
La resistenza che un conduttore oppone al passaggio della corrente elettrica è direttamente proporzionale alla lunghezza L del conduttore stesso ed inversamente proporzionale alla sua sezione trasversale S:
R = ρ · L/S [Ω]
dove ρ = R · S/L è la resistività, cioè la resistenza offerta da un conduttore avente sezione e lunghezza unitaria.
Resistività [Ω · mm2/m] |
|
Silicio |
150 |
Ghisa grigia |
1,2 |
Acciaio |
0,10 ÷ 0,25 |
Ottone |
0,07 |
Rame |
0,0173 |
Argento |
0,015 |
Materiali per applicazioni elettrotecniche
Il materiale elettricamente più conduttore è l’argento. Tra i materiali a piccolissima conducibilità abbiamo il silicio.
I materiali a bassa resistività vengono utilizzati come conduttori di elettricità (es.: rame). I materiali ad alta resistività sono invece utilizzati per costruire resistenze elettriche …
in:
A seconda del valore della resistività i materiali per applicazioni elettrotecniche si distinguono
Riguardano il complesso dei fenomeni che si producono fra un materiale e l’ambiente in cui questo è posto.
Le reazioni, inizialmente superficiali e successivamente penetranti, danno luogo ad un apporto o ad un asporto di sostanza. Il problema è importante perché ha due aspetti, uno utile ed uno dannoso.
Studia le reazioni, provocate e controllate, fra il materiale e l’ambiente in cui viene posto allo scopo di ricoprirlo di una pellicola dotata di particolari ed utili proprietà.
Ricordiamo per esempio il decapaggio, la brunitura dell’acciaio ed altri trattamenti come la cromatura, la zincatura ecc.
Nel caso degli acciai, il decapaggio chimico viene compiuto mediante immersione del materiale in una soluzione costituita da acqua e acido cloridrico (10 %) o acqua con una miscela di acido cloridrico (10 %) e acido solforico (10 %) a temperatura di 60 ÷ 80 °C. Dopo il decapaggio si procede ad un lavaggio per eliminare le tracce di acido.
E’ un processo di ossidazione anodica controllata, eseguita per semplice immersione del materiale in soluzioni calde di svariata composizione (es: acido nitrico).
Studia le reazioni fra l’ambiente ed il materiale, che provocano su quest’ultimo una progressiva distruzione. Da ciò la necessità della difesa del materiale (protezione dalla corrosione).
La corrosione è un’alterazione chimica che l’ambiente esterno può provocare sui materiali metallici. Può essere provocata da:
Reazioni chimiche, originate dall’affinità del metallo con l’agente corrosivo (liquido, aria);
Reazioni elettrochimiche, prodotte da correnti elettrolitiche che si generano tra zone superficiali di pezzi a potenziale più basso.
Il metallo viene corroso perché gli ioni metallici si spostano a causa della differenza di potenziale. In una struttura costituita da due metalli diversi, quello dei due che assume potenziale più basso (il meno “nobile”, che si comporta da anodo), è destinato a corrodersi.
Tra il ferro e lo zinco si corrode lo zinco.
Tra il ferro ed il rame si corrode il ferro.
Tale tipo di corrosione è detta “Corrosione galvanica”.
Per proteggere i materiali ferrosi è
necessario procedere ad una difesa dalla corrosione. Tra i metodi più diffusi di protezione dalla corrosione ricordiamo la zincatura, sia per immersione a caldo che elettrolitica, la verniciatura ed i rivestimenti con materiale plastico.
Indicano la maggiore o minore attitudine di un materiale ad essere lavorato in un dato modo. Ricordiamo:
Materiali dotati di plasticità sono oro, argento, rame, ferro, piombo, alluminio, acciaio extra dolce.
Fusibilità: è l’attitudine di un materiale ad essere trasformato in un prodotto finito per via di fusione a temperature non eccessivamente elevate. In particolare, un materiale è “colabile” quando fornisce getti sani e compatti (senza soffiature) ed è fluido per costituire spessori anche sottili. Materiali adatti al getto sono le ghise, i bronzi e le leghe leggere (dell’alluminio) da fonderia.
Saldabilità: è l’attitudine di un materiale ad unirsi saldamente con un materiale uguale per mezzo di riscaldamento e fusione dei lembi o riscaldamento con rammollimento del materiale e pressione tra i pezzi. Sono maggiormente saldabili gli acciai a basso tenore di carbonio.
Truciolabilità: è l’attitudine che ha un materiale ad essere lavorato per asportazione di truciolo (tornitura, fresatura …). Per questo sono maggiormente lavorabili gli acciai a basso tenore di carbonio, gli acciai al piombo ed allo zolfo (acciai automatici).
Temprabilità: è l’attitudine di un materiale a subire (per effetto di riscaldamenti e successivi raffreddamenti più o meno rapidi) trasformazioni cristalline tali da ottenere una struttura diversa e, quindi, caratteristiche meccaniche e
tecnologiche differenti. Temprabili sono per esempio gli acciai che hanno una percentuale di carbonio superiore allo 0,40 %.
Per “misurare” le proprietà tecnologiche dei materiali si effettuano sugli stessi delle prove tecnologiche. Alcune sono unificate, altre sono diffuse nella pratica di lavoro anche se ufficialmente non sono riconosciute.
Ricordiamo la prova di imbutitura (UNI 4693), prove di piegamento (previste dalle norme UNI sui tubi), prove di fucinatura, prove di colabilità …
PROPRIETÀ MECCANICHE
Indicano l’attitudine di un materiale a resistere alle sollecitazioni esterne che tendono a deformarlo. Rappresentano, cioè, il comportamento dei materiali quando sono sottoposti alle sollecitazione d’impiego.
Si parla di sollecitazioni statiche quando la forza applicata è gradualmente crescente, da zero fino al suo valore massimo, per un tempo variabile da alcuni secondi a qualche minuto.
Le principali prove secondo questa caratteristica sono:
Una sollecitazione viene definita dinamica quando la forza applicata alla provetta in esame è applicata per un brevissimo tempo, quasi istantaneo.
La prova dinamica più importante è quella effettuata tramite il pendolo di Charpy, che tende a misurare la resilienza, cioè la resistenza agli urti dei materiali.
Una sollecitazione è detta a fatica quando il materiale è sottoposto ad una successione di sollecitazioni dinamiche, dirette nello stesso senso oppure in senso variabile periodicamente.
A parità di carico applicato, il materiale resiste in modo ed in misura diversa ai vari tipi di sollecitazione esterna:
Rsollecitazione a fatica < Rsollecitazione dinamica < Rsollecitazione statica
Quando una forza è applicata in una zona ristretta o puntiforme, si parla di Forza concentrata.
Tra due
superfici di contatto di due corpi in
movimento, fra loro striscianti (attrito radente) o rotolanti (attrito
volvente), si genera una Forza d’attrito.
Se un materiale è sottoposto ad una sola sollecitazione, la sollecitazione è detta semplice.
Quando il materiale è sottoposto a due o più azioni la sollecitazione è detta composta.
Supponendo di considerare il seguente provino, andremo ad analizzare le sollecitazioni semplici applicabili ad esso.
Il corpo subisce uno sforzo di trazione e/o compressione quando le forze esterne applicate sono parallele alle fibre assiali. C’è trazione quando le forze tendono ad allungare le fibre, viceversa se c’è compressione.
Si ha invece sforzo di flessione quando la forza esterna agisce su un piano perpendicolare all’asse del corpo e tende a “flettere” il corpo stesso, cioè a piegarlo.
Con “coppia” indichiamo due forze uguali ed opposte agenti su rette d’azione diverse e parallele, distanti fra loro da una grandezza detta braccio.
Se invece la nostra barra è sollecitata a sforzo di torsione, le sezioni trasversali rispetto l’asse saranno soggette a rotazione.
Infine rimane la sollecitazione a taglio, quando le forze applicate si riducono ad una risultante, il tutto in una sezione trasversale passante per il baricentro del pezzo.
Un corpo solido, sottoposto a forze esterne, tende a subire delle deformazioni, nel senso che le particelle elementari che lo compongono si spostano reciprocamente. Aumentando reciprocamente le azioni esterne, ad un certo punto si perverrà alla rottura del corpo.
Le deformazioni conseguenti alle sollecitazioni applicate possono essere di due tipi:
Nelle applicazioni pratiche bisogna sempre evitare che i materiali in opera si deformino in modo permanente. Perché gli organi di macchine rispondano agli scopi cui sono destinati, occorre che le deformazioni determinate dai carichi non siano permanenti, ma di tipo elastico (ossia la deformazione scompare quando viene eliminato il carico). Non solo: il ripetersi di azione esterne (carico e scarico), fatti accidentali (urti), ecc, potrebbero incidere sulla conservazione delle caratteristiche meccaniche nel tempo. Per tali ragioni, l’assunzione di un materiale per uno scopo ben preciso va eseguito con rilevante attenzione, con uno studio approfondito delle sollecitazioni che dovrà subire. Il materiale non dovrà mai lavorare al limite delle sue possibilità, ma ben al di sotto (assumendo opportuni coefficienti di sicurezza) del carico che porterebbe alla rottura.
Le prove di laboratorio rappresentano il mezzo più idoneo per raccogliere dati ed informazioni sulle caratteristiche dei materiali e dei trattamenti ai quali sono stati sottoposti. Da qui l'importanza di conoscere e valutare attentamente le proprietà dei materiali impiegati.
Si distinguono tre momenti di controllo:
Una prova viene indicata con il termine distruttiva quando la stessa si conclude con la rottura, che talvolta rende inutilizzabile la provetta. E' il caso della prova di trazione: la provetta, fissata fra le due ganasce della macchina , viene sottoposta a sforzo di trazione fino a pervenire alla rottura.
Le prove non distruttive, al contrario di quelle distruttive, non hanno il fine di pervenire alla rottura del provino. Tali prove non alterano la forma, le dimensioni, le proprietà e la struttura del materiale campione. Poiché le caratteristiche dei materiali possono essere molto differenti, si usa classificare in modo preciso e dettagliato le proprietà meccaniche, intese a definire il comportamento rispetto a carichi esterni.
Resistenza: facoltà di un materiale a sopportare un carico prima di rompersi; il suo indice è il carico di rottura.
Tenacità: facoltà di sopportare carichi senza rompersi facilmente; caratteristica opposta è la fragilità. Un materiale tenace ha buona resistenza a trazione, buon allungamento e buona resilienza.
Resilienza: capacità del materiale di sopportare urti senza danni.
Durezza: capacità del materiale di non farsi scalfire o penetrare da altri corpi.
La prova di trazione consiste nel sottoporre un’apposita provetta ad un carico di trazione applicato con una certa velocità d’incremento fino a provocarne la rottura. Il vero scopo della prova é quello di determinare le
caratteristiche di resistenza, elasticità e deformabilità.
La prova viene eseguita con un’apposita macchina
che è in grado di registrare su un grafico l’entità dei carichi e degli allungamenti della provetta presa in esame.
La prova di resilienza consiste nel rompere con un solo colpo, attraverso una mazza a caduta pendolare, la provetta intagliata e
opportunamente posizionata sul pendolo di Charpy.
Oltre a determinare l’energia spesa per la rottura del provino, si
possono osservare e studiare le sezioni dei provini lungo l’intaglio per poter trarre delle conclusioni riguardo la duttilità o fragilità del materiale.
La durezza può essere definita come una resistenza alle sollecitazioni di piccole porzioni di materia che tendono ad essere spostate localmente.
La durezza è una proprietà del materiale e dipende dalle strutture cristalline e dalla elasticità dello stesso. Nelle leghe metalliche la durezza aumenta ad opera del possibile incrudimento provocato da lavorazioni meccaniche o da trattamenti termici.
Tra le prove di durezza, ricordiamo: durezza Brinell, Rockwell e Vickers.
La prova di durezza Brinell fu ideata dall’ingegnere svedese J. A. Brinell verso il 1900. Essa risulta attendibile per durezze < 450 HBS.
HBS é il simbolo che caratterizzava tale tipo di prova, eseguita mediante un “penetratore” sferico in acciaio al carbonio temprato.
Nel caso si utilizzi come penetratore una sfera di metallo duro, come oggi previsto dalla normativa, il simbolo della durezza Brinell è HBW. La sfera in metallo duro era prima usata per i materiali con durezza Brinell fino a 650.
La prova viene effettuata mediante un “durometro”, capace di applicare una o più determinate forze, grazie alla predisposizione rapida del carico di prova mediante un selettore a pulsanti posto generalmente nella parte laterale o frontale dell’incastellatura della macchina. Nella parte superiore uno schermo translucido permette la visualizzazione e la misurazione, tramite regolo graduato, dell’impronta ingrandita.
La figura a lato rappresenta il durometro Karl Frank detto “Francoscopio” che, oltre alla predisposizione rapida mediante pulsanti del carico, permette, grazie ad un dispositivo a revolver che
sostituisce il penetratore con un obiettivo senza alcun spostamento del provino, la proiezione dell’impronta sul vetro smerigliato dello schermo translucido.
Solidale a quest’ultimo é un regolo graduato che consente la misura del diametro dell’impronta, senza dover ricorrere all’uso di microscopi misuratori delle impronte.
I carichi disponibili nel durometro Frank, in kg, sono:
1 – 2 – 3 – 5 10 – 15,625 – 20 – 30 – 31,25 – 40 – 50 62,5 –
100 – 125 – 150 – 187,5 – 250.
Si definiva numero di durezza Brinell (HBS), il rapporto fra il carico di prova P e la superficie dell’impronta della calotta sferica S, lasciata dalla sfera sul pezzo
Con l’introduzione del Sistema Internazionale SI, il carico si indica con F e si esprime in [N]. Il Comitato Tecnico dell’ISO ha comunque deciso che l’introduzione del SI non doveva comportare variazioni dei valori esistenti della durezza e, sempre nel 1975, ha abolito l’unità di misura dimensionale della durezza Brinell, i cui valori sono quindi oggi numeri adimensionali (UNI EN
ISO 6506). Per questo, ha introdotto il fattore di conversione 0,102. L’espressione precedente, considerando anche il penetratore sferico in carburo metallico sinterizzato
Il carico da applicare si sceglie in funzione del diametro della sfera e del materiale di prova, come indicato nella seguente tabella:
In mancanza di tabelle può essere utilizzata la seguente formula:
F = K · D2
dove D é il diametro della sfera e K un coefficiente che dipende dal materiale del provino. Per quanto riguardo il coefficiente K, si ha:
K = 30 per i materiali ferrosi
K = 20 per gli acciai extra dolci K = 10 per le leghe leggere
K = 5 per bronzi e ottoni K = 2,5 per metalli teneri
K = 1,25 per metalli tenerissimi (stagno e sue leghe) K = 0,5 per il piombo
Diametro delle sfere: Vengono normalmente usate sfere di diametro 10 - 5 - 2,5 - 2 e, più raramente, 1 mm.
|
DUREZZE |
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|
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350 |
|
|
|
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300 |
|
|
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C40 |
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250 |
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|
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39NiCrMo4 |
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200 |
|
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88MnV8 |
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150 |
|
|
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40CrMnMo7 |
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100 |
|
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Fe370 |
|
50 |
|
|
|
Alluminio |
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0 |
|
|
|
Rame |
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0 2 4 |
6 |
Otone |
|
dell’indicatore, l’avvenuto contatto tra penetratore e pezzo);
Si passa poi alla fase di misurazione dei diametri di ogni impronta. Per ognuna delle impronte si posiziona il provino con l’impronta stessa in corrispondenza del puntino luminoso proveniente da una piccola lampadina posta a fianco del penetratore nella condizione di leve alzate. Un microscopio integrato al durometro ingrandisce l’area dell’impronta proiettandola su un piccolo schermo. Solidale a questo c’é un righello mobile che permette di misurare i diametri ortogonali dell’impronta. E’ bene misurare due volte, in maniera ortogonale, il diametro dell’impronta e, quindi, assumere un valore medio.
Indicando con:
D, d, h, rispettivamente il diametro della sfera, il diametro e la profondità dell’impronta, la superficie della calotta sferica in funzione della profondità, è data da:
S = π · D · h [mm2]
Dal triangolo rettangolo AOB, detto “k” il cateto maggiore e “d/2” il cateto minore, risulta:
h = D/2 – k
dove, con Pitagora, k =
Quindi: h = [D-√(D2-d2)] / 2
Trovato “k” e quindi “h”, sostituita nella formula che dà il valore di S, precedentemente indicata, si ottiene la superficie dell’impronta in funzione del diametro della sfera e della profondità dell’impronta.
Il diametro dell’impronta può essere misurato con il regolo o con un microscopio, che dà una misura più esatta.
Si consiglia di effettuare le prove lungo un diametro del provino e di assumere come diametro dell’impronta il valor medio dei diametri ortogonali di almeno tre impronte.
Da ciò si può calcolare la durezza Brinell utilizzando la formula:
F
HBW =
S
La temperatura di prova deve essere compresa tra 10 e 35 [°C].
Lo spessore del provino su cui si effettua la prova deve essere:
s ≥ 8 h (con h la profondità dell’impronta).
La superficie su cui vengono effettuate le prove deve essere spianata con cura in modo da non creare riscaldamenti che possano modificare le caratteristiche del materiale. Essa deve essere liscia e pulita perché le eventuali impurità potrebbero creare difficoltà nella lettura delle impronte e ostacolo alla penetrazione.
La prova, data l’ampiezza dell’impronta, non si può eseguire su superfici cilindriche.
Il carico è applicato gradualmente in modo che raggiunga il valore massimo in un tempo di 2 ÷ 8 secondi e deve rimanere applicato per altri 10 ÷ 15 secondi.
del diametro dell’impronta) come indicato in figura.
Nella zona intorno ad una impronta il materiale risulta incrudito per cui la sua durezza è aumentata; pertanto eventuali misure in vicinanza di un impronta darebbero luogo a valori sfalsati di durezza. Anche in vicinanza dei bordi si possono rilevare misurazioni errate a causa del cedimento del materiale. Per evitare queste cause d’errore le norme UNI prescrivono che tra il centro di due impronte e tra il centro di un’impronta e il bordo del pezzo deve esserci una certa distanza minima (funzione
Le condizioni “normali” di prova sono le seguenti:
Quando le condizioni di prova sono differenti da quelle “normali”, la norma UNI 560 stabilisce che il simbolo HBW sia preceduto dal valore di durezza e completato da un indice che specifica nell’ordine:
Per esempio:
300 HBW 5/200
con 5 il diametro della sfera, 200 kg il carico applicato e con tempo di mantenimento da 10 a 15 secondi (come da normativa e quindi senza necessità di indicazione);
300 HBW 2/120/20
con 2 il diametro della sfera, 120 kg il carico applicato e con tempo di mantenimento di 20 secondi.
Perché la prova Brinell possa ritenersi valida occorre che il rapporto d/D non abbia un valore qualsiasi ma sia compreso entro i limiti 0,24 ÷ 0,6.
Idealmente il valore preciso é d/D = 0,375. Tale valore si ha quando d/2 = D/2 · cos 68°. In tali condizioni, l’angolo di penetrazione α tra le tangenti alla calotta nei punti di contatto con la sfera é di 136°.
La “tolleranza” sul diametro dell’impronta ammessa dalla normativa, d = (0.24 ÷ 0.6) · D, comporta un angolo di penetrazione compreso tra 106° ÷ 152°.
Acciaio C 40: 170
Il grafico di figura mostra i valori delle durezza HBS rilevati su una serie di provini di materiale diverso.
Fonte: http://www.itisconegliano.it/studenti/Propr_mat_Brin.pdf
Sito web da visitare: http://www.itisconegliano.it
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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