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Osserviamo subito che possiamo fare una distinzione preliminare nello studio della propagazione delle onde sonore all’interno delle sale:
Ovviamente, questi due aspetti del problema non possono essere scissi nel caso in cui l’obiettivo delle nostre misurazioni sia quello di ottimizzare l’acustica di una sala, in cui sia previsto un sistema d’amplificazione. Supponiamo, a scopo esemplificativo, di dover studiare l’acustica di un’aula progettata per ospitare uno o più oratori, per esempio docenti che devono tenere una lezione, e circa duecento ascoltatori, nel nostro caso gli studenti. Evidentemente poiché l’aula è destinata ad ospitare al suo interno un alto numero di persone è chiaro che quest’ultima dovrà avere dimensioni elevate, ma quest’esigenza mal si coniuga con la necessità di garantire ad ogni ascoltatore la sufficiente chiarezza nell’udire la voce del docente. Possiamo, quindi, pensare di fornire la nostra aula di un adeguato sistema d’amplificazione, tipicamente composto da microfoni, amplificatori ed altoparlanti (in sistemi di fascia medio-alta possono essere presenti anche equalizzatori per migliorare la resa acustica, e sistemi di ritardo per garantire agli ascoltatori più lontani dall’oratore, che il suono che viaggia attraverso l’aula giunga comunque prima di quello emesso dagli altoparlanti). Occorre, però, tenere presente che, essendo i sistemi di trasduzione elettro-magneto-meccano acustica assolutamente non lineari, anche il nostro ambiente nel suo complesso, presenterà delle forti non linearità.
Fatte queste brevi considerazioni, d’ora in poi trascureremo la presenza di qualsiasi tipo di impianto elettronico d’amplificazione, limitandoci a considerare esclusivamente l’ambiente preso in esame.
Nel resto della nostra trattazione assimileremo l’ambiente, oggetto del nostro studio, con un sistema del quale non conosciamo la struttura interna, ma del quale possiamo misurare l’uscita avendo fornito al sistema un ingresso noto. Cerchiamo ora di dare una migliore veste formale a questo nostro assunto, e a tale scopo mutuiamo dall’Analisi Matematica il concetto di funzionale. A questo punto possiamo quindi affermare che l’ambiente non è altro che un funzionale che ad un ingresso x(t) fa corrispondere un ben determinato ed unico segnale d’uscita y(t). La trasformazione del segnale x(t) nel segnale y(t) si denota nel modo seguente:
Una rappresentazione grafica di questa trasformazione è quella in Figura 1. Le frecce indicano i segnali di ingresso e di uscita, ed il rettangolo rappresenta il nostro ambiente.
Figura 1
A questo punto chiediamo che l’ambiente, assimilato ad un sistema, verfichi due importanti proprietà:
La prima proprietà è soddisfatta se al sistema è applicabile il principio di sovrapposizione degli effetti. Tale principio afferma che dati due generici ingressi x1(t) e x2(t) e note le loro rispettive uscite y1(t) e y2(t), ottenute applicando singolarmente gli ingressi, se pensiamo di porre in ingresso una combinazione lineare di x1(t) e x2(t) l’uscita può essere ottenuta mediante la stessa combinazione lineare delle due risposte y1(t) e y2(t). Ricorrendo, nuovamente, all’Analisi Matematica possiamo affermare che un sistema è lineare se soddisfa la relazione:
dove a e b sono coefficienti costanti. Questa relazione è chiaramente riportata in Figura 2.
Figura 2
Passiamo ora a descrivere la proprietà di tempo invarianza. Definiamo tempo invariante, o equivalentemente stazionario, un sistema le cui caratteristiche non variano nel tempo. Assumendo che sia:
il sitema è stazionario se è soddisfatta la relazione:
Questa relazione dice, in pratica, che la risposta corrispondente all’eccitazione traslata nel tempo x(t-t0), ha lo stesso andamento della risposta al segnale originario x(t), purchè la si trasli della medesima quantità t0. Una rappresentazione grafica del concetto di stazionarietà è riportata in Figura 3.
Figura 3
Nell’ipotesi, quindi, che il sistema soddisfi entrambe le proprietà di linearità e tempo invarianza, possiamo misurare la cosiddetta risposta impulsiva, cioè l’uscita del sistema in corrispondenza dell’eccitazione impulsiva x(t)=d(t), dove con d(t) indichiamo la funzione generalizzata impulso unitario, nota anche come delta di Dirac. Questa funzione, tra le varie interpretazioni, può essere vista come una sorta di elemento neutro rispetto all’operazione di integrale di convoluzione:
Convenzionalmente la risposta impulsiva viene indicata con h(t). Abbiamo quindi che:
Da (5) ricaviamo:
Osserviamo che, avendo supposto il nostro ambiente lineare, necessariamente il funzionale f[..] deve essere anch’esso lineare. Quindi, l’operazione di integrale e il funzionale f sono entrambi lineari e quindi è possibile invertirne l’ordine di calcolo, ricavando:
Osserviamo che l’operatore f[..] agisce solo sulle funzioni dipendenti dal tempo, e lascia quindi invariata la quantità x(a), la (8) allora diventa:
e infine, per la proprietà di stazionarietà dell’ambiente e ricordando la definizione di risposta impulsiva h(t), si ottiene:
che stabilisce la seguente relazione fondamentale: il segnale di uscita può essere calcolato attraverso la convoluzione del segnale di ingresso con la risposta impulsiva. Osserviamo che questa proprietà della risposta impulsiva è valida solo se sono verificate le ipotesi di tempo invarianza e linearità.
Fino ad ora abbiamo assunto i segnali di ingresso e di uscita essere segnali a tempo continuo, in realtà, la tendenza moderna è quella di lavorare su segnali a tempo discreto.
Un segnale a tempo discreto si può ottenere da un segnale a tempo continuo, mediante l’operazione di campionamento, che consiste nell’estrarre dal segnale stesso i valori che esso assume a istanti temporali equispaziati, cioè multipli di un intervallo T detto periodo di campionamento. Tali valori andranno quindi a costituire una sequenza il cui valore n-esimo è il valore assunto dal segnale a tempo continuo all’istante nT. Osserviamo in oltre che tali valori vengono rappresentati in aritmetica binaria su un numero finito di cifre(bit), tipicamente 8 o 16.
Figura 4
L’operazione di campionamento viene effettuata dai convertitori analogico/digitale, (comunemente detti convertitori A/D), mentre l’operazione inversa che ci permette di riottenere un segnale in forma analogica, cioè a tempo continuo, è assolta dai convertitori digitale/analogico (D/A). Il motivo per cui oggi si preferisce lavorare su segnali digitali, cioè a tempo discreto, è la facilità con la quale si possono elaborare mediante microprocessori specializzati(dedicati), chiamati DSP (Digital Signal Processor, elaboratore numerico dei segnali).
Tali microprocessori oltre ad essere estremamente economici, offrono il grosso vantaggio di poter realizzare diverse funzioni di elaborazione sui segnali in ingresso, semplicemente cambiando il programma di elaborazione (software), senza dover minimamente modificare la struttura fisica (hardware) del circuito. Uno schema a blocchi di un tipico circuito che implementi un DSP è riportato in Figura 5.
Figura 5
Illustrati questi ulteriori concetti focalizziamo la nostra attenzione sullo scopo della nostra trattazione: determinare il funzionale a cui abbiamo assimilato il nostro ambiente, in maniera tale da caratterizzare completamente ed univocamente quest’ultimo. Vista la (10), il problema si risolve, univocamente, determinando la risposta all’impulso h(t). Consideriamo, a tale scopo, un filtro inverso g(t), tale che la sua convoluzione con x(t) mi dia la delta di Dirac. Moltiplicando ambo i membri della (10) per g(t) otteniamo:
dove si è utilizzata la proprietà commutativa dell’integrale di convoluzione. Sfruttando la definizione di g(t), ottengo:
Ricordando la proprietà della delta di Dirac di fungere da elemento neutro rispetto alla convoluzione, riscriviamo la (12):
A questo punto è lecito chiedersi se a priori sia semplice determinare g(t) per un qualunque segnale di ingresso x(t). Come è facile prevedere la risposta è che in generale è piuttosto laborioso ottenere g(t).
Tuttavia il segnale x(t), di ingresso, può essere scelto arbitrariamente da noi, quindi nessuno ci vieta di prendere un x(t) tale che il calcolo del filtro inverso risulti semplice.
Supponiamo di assumere come x(t) la delta di Dirac (x(t)=d(t)) e sostituiamo nella (10):
ottenendo che, preso come segnale di ingresso la delta di Dirac, il segnale di uscita y(t) non è altro che la risposta impulsiva da noi cercata.
Ad una tale semplicità teorica, purtroppo non corrisponde una altrettanto semplice applicazione nella pratica poiché ci si scontra con la difficoltà nel generare l’impulso unitario che deve essere brevissimo e di sufficiente potenza (60-80 dB sopra il rumore di fondo).
Per ovviare a questo inconveniente si può convolvere il segnale di risposta dell’ambiente con se stesso rovesciato sull’asse dei tempi, in modo da far diventare primo l’ultimo campione etc.
Questa tecnica prende il nome di Time Reversal Mirror, e porta ad avvicinarsi alla d di Dirac ma non al suo raggiungimento.
Giunti a questo punto si rende necessaria l’introduzione di un nuovo concetto matematico: la trasformata di Fourier(FT). Lo scopo è di passare da un analisi nel dominio del tempo ad una analisi nel dominio della frequenza(nel resto della trattazione indicheremo in lettera maiuscola i segnali ottenuti attraverso la trasformata di Fourier dei rispettivi segnali indicati in lettera minuscola).
La ragione principale è che in ambito frequenziale vale il cosiddetto teorema della convoluzione, che afferma che convolvere due segnali in ambito temporale è equivalente a fare il prodotto delle trasformate di Fourier dei due segnali, nel dominio delle frequenze.
La (10) ottenuta in precedenza, applicando la FT, diventa quindi:
Osserviamo che mentre nel dominio del tempo sono necessarie m convoluzioni ( a loro volta costituite da m somme ed m prodotti ) e quindi un numero di operazioni dell’ordine di m, in frequenza ogni armonica viene semplicemente moltiplicata per un coefficiente per un totale di m operazioni.
Se quindi ripensiamo alla tendenza moderna ad implementare tali operazioni mediante DSP, ci rendiamo conto dell’importanza di ridurre il costo di calcolo(inteso come velocità e quantità di memoria richiesta) delle operazioni che ci sono necessarie. In quest’ottica, infatti, nascono le note classi di algoritmi efficienti per il calcolo della trasformata di Fourier che solitamente vengono indicate come FFT(acronimo di Fast Fourier Transform), tra questi algoritmi ricordiamo quello noto come algoritmo a decimazione nel tempo.
Se indichiamo con IFFT la trasformata veloce di Fourier inversa otteniamo:
Questa relazione, afferma che applicando un segnale x(t) al nostro ambiente e misurando il segnale di uscita y(t), per calcolare la risposta all’impulso è sufficiente applicare ai segnali x(t) e y(t) la trasformata di Fourier ottenendo cosi X(f) e Y(f) il cui rapporto ci da H(f), che usualmente viene chiamata funzione di trasferimento, e che non è altro che la trasformata di h(t), applicando quindi l’operazione di trasformata inversa a H(f) otteniamo la nostra risposta all’impulso.
Osserviamo che nel caso in cui una o più frequenze del segnale in ingresso X(f) abbiano coefficienti nulli si ottengono dei picchi nella funzione di trasferimento. Per ovviare a questo problema si mediano i risultati ottenuti su più tentativi nel tempo (circa cento), e si sceglie x(t) con pari energia su tutte le frequenze; un segnale siffatto è il rumore bianco che viene chiamato bianco in virtù del fatto che proprio come la luce bianca “contiene tutti i colori”, allo stesso modo il rumore bianco contiene componenti a tutte le frequenze con la stessa intensità.
Per ragioni di ordine pratico si preferiscono usare in ingresso segnali diversi dal rumore. Illustriamo due di questi segnali:
Il segnale MLS (acronimo di Maximum Length Sequence) è una sequenza binaria del tipo riportato in Figura 6.
Figura 6
Questo segnale oggi può essere ottenuto da un qualunque personal computer mediante un software dedicato, che implementi uno shift register(registro a scorrimento), ma fino a poco tempo fa venivano utilizzate delle schede che implementavano per via hardware lo shift register, tra queste schede è famosa quella costruita nel 1989 dall’americano Douglas Rife, e corredata da un software chiamato MLSSA (melissa) particolarmente potente, tanto da essere tuttora usato.
Figura 7 Esempio di shift register a 4 bit
Uno shift register ha un numero N di celle ed è facile dimostrare che la lunghezza, indicata con l, ed intesa come numero di bit del segnale MLS generato, dipende da N secondo la relazione:
La scelta del numero di celle è strettamente dipendente dal tempo di riverbero dell’ambiente oggetto della nostra analisi; dove per tempo di riverbero intendiamo il tempo necessario affinché il livello sonoro decada di 60 dB ossia il noto T60. In particolare la lunghezza temporale L del segnale, che non è altro che l fratto la frequenza di campionamento (fc), deve essere:
è chiaro quindi che è necessario dimensionare il numero di celle in rapporto al tempo di riverbero.
Supponiamo, a scopo illustrativo, di avere T60@1s e verifichiamo che la (19) sia soddisfatta per un segnale MLS ottenuto con un registro a 16 celle(N=16). Dalla (18), otteniamo che la lunghezza l del segnale è pari a: l=216-1=65535. Se la nostra frequenza di campionamento è, ad esempio, uguale a 44.100Hz, allora:
L risulta, quindi, essere maggiore del tempo di riverbero e la scelta del numero di celle si dimostra pertanto sensata.
I vantaggi principali che ci derivano dall’uso di un segnale MLS sono innanzitutto la semplicità di calcolo del segnale inverso, essendo noto il segnale a priori, è sufficiente applicare l’operazione di inversione di Hadamard per ottenere il segnale MLS-1; la semplicità di calcolo delle operazioni di convoluzione, che essendo il segnale di tipo binario si semplificano in sole operazioni di addizione. Inoltre essendo il segnale già in forma digitale risparmio una conversione analogico-digitale, che pertanto deve essere fatta solo sul segnale di uscita. Dal momento, poi, che il segnale ha uno spettro sonoro piatto, come il rumore, ho la possibilità di compiere un’analisi nel dominio della frequenza, dal momento che la funzione di trasferimento non presenta quei fastidiosi picchi di cui parlavamo prima.
A fronte di tutti questi vantaggi c’è però il grosso limite nell’uso di questo segnale, dovuto alla forte dipendenza dalla linearità del sistema. Infatti, in presenza di non-linearità si possono avere fenomeni indesiderati come l’attenuazione delle alte frequenze a causa del loro sfasamento reciproco che le può portare in controfase, o addirittura alla creazione di echi inesistenti. Si può ovviare in parte al problema cercando per quanto sia possibile di utilizzare, per la riproduzione del segnale, altoparlanti estremamente fedeli, ma anche in questo caso è sufficiente il surriscaldamento dei trasduttori per introdurre nel sistema forti non-linearità.
Attualmente il segnale che si preferisce utilizzare è un seno il cui argomento parte dalle frequenze più basse e giunge fino alle più alte.
In base al tipo di relazione che governa la crescita della frequenza si possono distinguere segnali Sine Sweep di tipo:
Generalmente la preferenza ricade sui segnali di tipo logaritmico perché questi
hanno il pregio di fornire più energia nella regione delle basse frequenze, che rappresenta una zona critica, e di procedere più speditamente nella regione delle alte frequenze. Inoltre lo spettro di un segnale Sine Sweep logaritmico assomiglia molto a quello di un rumore rosa, ed ha quindi il vantaggio di essere più gradevole all’ascolto rispetto al rumore bianco.
L’unico inconveniente è che questo tipo di segnale cade di 6dB per ottava, ma il problema si risolve facilmente equalizzando il segnale.
Osserviamo, inoltre che i segnali Sine Sweep hanno una interessante caratteristica: l’inverso di questo tipo di segnale è lo stesso segnale invertito sull’asse dei tempi, secondo la tecnica Time Reversal Mirror.
L’unica controindicazione nell’impiego di questo segnale è la potenza di calcolo che esso richiede. L’operazione di convoluzione, infatti, non trae nessun vantaggio dall’utilizzo di questo segnale, e presenta quindi la ben nota complessità di calcolo. Per questa ragione, infatti, si è incominciato ad utilizzare questo segnale solo in tempi recenti, ossia da quando gli elaboratori hanno messo a disposizione maggiore potenza di calcolo.
Va inoltre detto che passando nel dominio della frequenza per effettuare l’operazione di convoluzione si può ricorrere all’algoritmo Overlap And Save che permette di lavorare su un numero di campioni dell’ordine di centinaia di migliaia.
Negli ultimi le nostre città sono cresciute nelle dimensioni, ed insieme ad esse è cresciuto il rumore di sottofondo che ci accompagna nell’arco della giornata. Per questo motivo solo recentemente è stata riconosciuta la giusta importanza ad un adeguato isolamento acustico. Nel seguito ci proponiamo, quindi, di illustrare le vie attraverso le quali si propaga il suono in ambienti tipicamente domestici, con lo scopo di migliorarne l’isolamento.
Figura 8
Quando un'onda sonora, IINC prodotta all'interno di un ambiente incontra una parete la sua intensità sonora viene in parte riflessa, in parte assorbita dal muro stesso e in parte trasmessa nell'ambiente adiacente.
da cui dividendo entrambi i membri per IINC otteniamo:
Chiameremo i tre termini del primo membro rispettivamente coefficiente di riflessione, coefficiente d’assorbimento e coefficiente di trasmissione.
Spesso in acustica si fa riferimento al coefficiente di assorbimento a definito come:
Questo coefficiente, ci da una misura della quantità di onda sonora che viene ritrasmessa dopo l’urto e tiene quindi conto sia della percentuale di onda assorbita, sia della percentuale che viene ritrasmessa dalla parte opposta. Pensiamo, ad esempio, al caso di una finestra aperta: questa è un buon assorbente (a grande) perché tutta l’intensità che riceve viene ritrasmessa verso l’esterno. Quello che noi ci proponiamo di fare è minimizzare l’intensità dell’onda che viene ritrasmessa, ossia minimizzare il coefficiente t. Per i nostri scopi quindi la conoscenza del coefficiente di assorbimento a non è soddisfacente. Proviamo allora a definire un altro parametro con il quale caratterizzare il potere di isolamento acustico.
Definiamo il potere fonoisolante R come:
Dove il segno meno serve a rendere R positivo, dal momento che il logaritmo è negativo essendo t<1. Il potere fonoisolante indica, in buona sostanza, l'abbattimento in dB che il suono subisce passando attraverso una parete. Vale quindi la relazione:
Che risulta ancora più chiara in Figura 8.
Figura 9
A partire da questa definizione possiamo pensare di misurare R come differenza di livello sonoro tra l’ambiente in cui viene generato il suono e quello dove si ascolta, due stanze adiacenti facenti parte di due appartamenti diversi divise da una parete cieca (senza porte).
Figura 10
L’altoparlante è rivolto verso un angolo in modo che il suono sia principalmente riverberato. Le misure vanno effettuate a tutte le frequenze separatamente (secondo le norme ISO tra 100Hz e 5kHz in bande di 1/3 d’ottava). Se fosse:
sarebbe molto facile ottenere R, in realtà il livello LB non dipende solo dal potere fonoisolante ma anche dalle dimensioni di B, dal suo potere fonoassorbente e dal suo riverbero. Introduciamo quindi nella (27) un termine correttivo che tenga conto di questi contributi:
In cui Sdivisorio è la superficie del tramezzo, ai e Si sono rispettivamente i coefficienti di assorbimento e le superfici delle altre pareti all’interno dell’ambiente B. A questo punto misuriamo il T60 di B, ad ogni frequenza:
dove V è il volume della stanza B. Da questa relazione otteniamo poi:
A questo punto sostituendo la (30) nella (28) ottengo:
è lecito chiedersi se non sia possibile stimare il potere fonoisolante senza effettuare nessuna misurazione di livelli sonori, sfruttando invece altre proprietà delle materia come la massa. La risposta a questo quesito è la legge di massa:
dove s è la densità superficiale della parete in Kg/m2. Osserviamo che secondo questa legge il potere fonoisolante di una parete non è costante per tutte le frequenze ma cresce di 6 dB per ottava.
Ad esempio una parete di cemento, la cui densità sappiamo essere pari a 2400kg/m3, e il cui spessore è uguale a 0,1m avrà due diversi valori di R alle frequenze di 100Hz e di 1000Hz dati rispettivamente dalla (33) e dalla (34):
Figura 11
La Figura 11 rappresenta graficamente l’andamento di R in funzione della frequenza.
Nel grafico si possono distinguere tre regioni principali: è immediato osservare che la legge di massa è rispettata, con le dovute approssimazioni del caso, solo nella Regione II, che per i divisori abituali copre un intervallo modesto di frequenze.
Nella Regione I si manifesta uno scostamento dalla legge di massa a causa di effetti di risonanza.
Il divisorio sollecitato da onde sonore a frequenze coincidenti con quelle proprie di vibrazione entra in risonanza e conseguentemente il suo potere fonoisolante tende a diminuire per raggiungere un minimo alla frequenza fondamentale fo, che è la più bassa delle frequenze naturali.
Il fenomeno è più o meno evidente in funzione dello smorzamento interno, il cui effetto si traduce in un più o meno rapido annullarsi delle vibrazioni, generatesi nella struttura, per effetto di una qualunque sollecitazione esterna; ciò da ragione delle curve a tratto discontinuo, valide per smorzamento grande, medio e piccolo.
Si noterà come al crescere dello smorzamento interno i picchi di risonanza tendano ad appiattirsi.
Fortunatamente il fenomeno ha scarsa importanza pratica ai fini dell’attenuazione del suono, almeno nel caso di pareti (o pavimenti) normalmente impiegati nell’edilizia, dato che per essi la frequenza naturale fondamentale fo si colloca intorno ai valori di 10-20 Hz, e comunque quasi sempre inferiori a 100 Hz.
Nella Regione III la legge della massa non è più valida a causa del fenomeno della conincidenza. Sappiamo che in ogni istante ci sono punti della parete su cui l'onda acustica esercita il massimo della pressione sonora, altri dove il carico è nullo e altri ancora dove è negativo; come conseguenza la parete tende a flettersi con una certa lunghezza d'onda lFche dipende dall'angolo q, e dalla lunghezza d’onda del suono incidente. Ogni parete, inoltre, ha una propria lunghezza d’onda lNAT, che si può determinare facendo vibrare la parete con uno strumento apposito chiamato shaker. Il fenomeno della coincidenza si ha quando la lunghezza dell'onda del campo è uguale alla lunghezza d'onda naturale, misurata per un carico alla stessa frequenza, in questo caso si ha un più efficace trasferimento di energia sonora dall’aria alla parete e, quindi, una diminuzione del potere fonoisolante di quest’ultima.
Figura 12
La frequenza alla quale si ha il fenomeno della coincidenza si può calcolare mediante la relazione:
valida per i materiali impiegati nell’edilizia, dove:
E = modulo di elasticità
s = coefficiente di Poisson
r = densità del materiale
s = spessore del materiale
c0 = velocità di propagazione del suono nell’aria ( @ 343 m/s).
Va detto, inoltre che l’ampiezza del fenomeno dipende dal fattore di smorzamento del materiale: per materiali "canterini" come il vetro, con fattore di smorzamento basso, R ha una grande caduta. Per questo motivo si usa un vetro camera, fatto da due lastre di diverso spessore (quindi con diversa frequenza di coincidenza) separate da uno strato d'aria o ancor meglio da un film plastico antisfondamento come quello usato per le vetrate delle banche che fa da cuscinetto elastico smorzante. Inoltre, si può osservare che più la parete è sottile più aumenta la frequenza di coincidenza.
In chiusura osserviamo che fino ad ora abbiamo del tutto trascurato la presenza nei muri di imperfezioni quali micro fessure e cammini di fiancheggiamento come ad esempio condotti di aerazione, tubi di vario genere, guide metalliche dell’ascensore, ecc., che sicuramente influiscono negativamente su R.
Fonte: http://pcfarina.eng.unipr.it/dispense00/bellanova124695.doc
Sito web da visitare: http://pcfarina.eng.unipr.it
Autore del testo: Rosario Bellanova
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