Strumenti di misura

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Strumenti di misura

STRUMENTI  E  METODI  DI  MISURA 

La misurazione di una grandezza fisica è l’operazione che consente di determinare il valore numerico, cioè la misura, esprimente il rapporto fra la grandezza stessa ed un’altra grandezza della stessa specie presa come unità di misura.
Qualunque sperimentatore deve ottenere lo stesso valore numerico (entro le incertezze di misura) purchè esegua la stessa operazione nelle stesse condizioni.
Per eseguire questa operazione lo sperimentatore adopera strumenti di misura(zione) e metodi di misura(zione).

STRUMENTI  DI  MISURA

Uno strumento di misura è un apparato che effettua il confronto fra la grandezza da misurare e la sua unità di misura. Esso è costituito da un dispositivo sensibile alla grandezza da misurare, rivelatore, e da un dispositivo indicatore, indice, che mostra, generalmente all’occhio dello sperimentatore, il risultato della misura su una scala graduata.

Tra il rivelatore e l’indice a volte si interpone un dispositivo trasduttore che trasforma la risposta del rivelatore in variazioni di una grandezza più facilmente osservabile dallo sperimentatore.

  Esempio termometro a liquido.
In esso il rivelatore  è  costituito dal  liquido contenuto nel bulbo la
cui variazione di volume, causata da una variazione di temperatura,
provoca una variazione dell’altezza della colonna di  liquido conte-
nuto nel tubo capillare che costituisce il trasduttore. Il menisco che,
nel  capillare,  separa  il  liquido dal   suo vapore  è  l’indice  per  la
lettura della temperatura sulla scala graduata del termometro.

Le caratteristiche principali di uno strumento sono:

¨ Prontezza ¨ è legata al tempo occorrente perché l’indice raggiunga la posizione definitiva in una misura. Esprime anche la capacità dello strumento a seguire variazioni nel tempo della grandezza da misurare. Nell’esempio del termometro è il tempo necessario perché si raggiunga l’equilibrio termico tra il bulbo e l’oggetto di cui si vuole misurare la temperatura.

¨ Campo di misura ¨ è dato dal valore massimo, detto portata o fondo scala (f.s.), e minimo, detto soglia, della grandezza da misurare che lo strumento può apprezzare. Esistono strumenti aventi diverse portate, prefissate dal costruttore, che possono essere impostate a scelta dello sperimentatore.

¨ Sensibilità ¨ Può essere definita come il più piccolo valore Dy della grandezza capace di far spostare apprezzabilmente l’indice dello strumento dall’inizio della sua scala, in tal caso essa coincide con la soglia. Siccome uno strumento è tanto più sensibile quanto più piccola è Dy, conviene esprimere la sensibilità con l’inverso di Dy.
Spesso si preferisce definire la sensibilità come il rapporto Dn/Dy tra la variazione Dn della risposta dello strumento (misurata in numero di divisioni della sua scala) e la corrispondente variazione Dy della grandezza da misurare. Più in generale, il valore della sensibilità s è dato dalla derivata calcolata nei vari punti della scala dello strumento:
s = dn/dy

e viene espressa dal numero di divisioni di cui si sposta l’indice per una variazione unitaria della grandezza da misurare. Dalla definizione, la sensibilità risulta diversa in differenti punti della scala quando la risposta non dipende linearmente dalla grandezza (strumenti a scala non lineare).
Le due definizioni forniscono lo stesso valore per la sensibilità se si suppone che la risposta minima apprezzabile Dn sia pari ad una divisione della scala. Tuttavia non sono equivalenti in quanto la prima definizione esprime l’effettiva sensibilità dello strumento mentre la seconda è comoda per esprimere la costante caratteristica K di esso come:  K = s-1.

¨ Risoluzione ¨ è la minima variazione della grandezza che, sollecitando lo strumento, può essere letta sulla scala per tutto il campo di misura. Viene indicata dal costruttore ed esprime di quanto deve variare la grandezza da misurare perché l’indice dello strumento, in qualunque punto della scala si trovi, cambi apprezzabilmente la sua posizione su di essa.
Nel caso di uno strumento digitale è la differenza d’indicazione corrispondente al cambiamento di una unità della cifra meno significativa.

¨ Classe di precisione ¨ nel quadrante di lettura di alcuni strumenti, in particolare quelli adoperati per misure elettriche, viene indicata dal costruttore la classe di precisione Cp. E’ l’incertezza u dovuta allo strumento adoperato, espressa come percentuale della portata o fondo scala (f.s.) dello strumento:

Cp = (u/f.s.)x100

Le norme CEI (Comitato Elettrotecnico Italiano) prevedono le seguenti classi:
-   0,05;   0,1              per strumenti campioni  
-   0,2;   0,3;   0,5;      per strumenti di laboratorio
-   1;   1,5;   2,5;   5    per strumenti industriali

Esempio   un amperometro di classe 0,5 e fondo scala 5 A ha:

u = 0,5 x 5/100 = 0,025 A

ATTENZIONE
Supponiamo di adoperare un amperometro di classe 0,5 e f.s. di 5A per effettuare la misura delle seguenti tre correnti: 5A;  2A;  0,5A  lette sulla scala dello strumento. Otterremo quindi:
i1 = (5 ± 0,025) A                         u1 = (0,025/5)100 = 0,5%
i2 = (2 ± 0,025) A                         u2 = (0,025/2)100 = 1,25%
i3 = (0,5 ± 0,025) A                      u3 = (0,025/0,5)100 = 5%


Conviene, allora, effettuare le letture nella seconda metà della scala o adoperare uno strumento con fondo scala appropriato.
METODI  DI  MISURA

 

Essi si possono distinguere in :

ª Misura diretta o relativa o di confronto ª confronto diretto tra grandezza da misurare ed un’altra della stessa specie presa come campione.

Esempio lunghezza di un tavolo, diametro di una ruota, durata di un film, massa di un sasso,……
Inconveniente necessità di campioni.

 

ª Misura indiretta o assoluta o derivata ª grandezza da misurare funzione nota di altre grandezze non della stessa specie già misurate o misurabili.

Esempio superficie di un tavolo (S=bh), velocità (media) di una automobile (v=Ds/Dt), momento d’inerzia di un anello rispetto al suo asse (J=mR2), pressione di una colonna di liquido (p=rgh),…..
Inconveniente conoscenza esatta della legge di dipendenza.

 

ª Misura con apparecchi tarati o a lettura diretta ª costituisce la stragrande maggioranza delle misure. In definitiva si può considerare una misura diretta.

Esempio dinamometro, bilancia ad indice, tachimetro delle automobili, amperometro, voltmetro, metro, calibro, orologio,….
Vantaggio eliminano gli inconvenienti delle misure dirette o indirette.
Inconveniente ci si deve fidare del costruttore!


INCERTEZZE  DI  MISURA

 

Lo scopo di una misura è di determinare la migliore stima y del valore aspettato (vero) yv della particolare grandezza Y da misurare, detta misurando.

L’errore, definito come  y - yv , è un concetto ideale in quanto non si conosce yv . Tuttavia è necessario fornire qualche indicazione sulla qualità del risultato della misura che ne specifichi l’attendibilità.

L’incertezza rappresenta la migliore stima dell’errore e deve sempre accompagnare la stima y del valore di Y. Il suo calcolo non è, in generale, un compito facile né di pura applicazione di formule matematiche. Esso richiede una specificazione dettagliata del misurando, del metodo di misura e del procedimento di misura.

L’Organizzazione Internazionale per la Standardizzazione(*) (ISO) raccomanda che l’incertezza totale venga espressa come combinazione di due tipi di contributo, ambedue basati su distribuzioni di probabilità, caratterizzati soltanto dal metodo del loro calcolo senza alcuna differenza nella natura delle componenti così risultanti le quali vengono quantificate da varianze o deviazioni standard. I contributi di “tipo A”, detti incertezze standard uA , sono ottenuti da una funzione densità di probabilità ricavata da una osservata distribuzione di frequenza mentre i contributi di “tipo B”, detti incertezze standard uB , sfruttano tutte le informazioni non statistiche disponibili (quali specifiche degli strumenti, misure fatte precedentemente, personale giudizio dello sperimentatore,etc.) per ipotizzare una funzione densità di probabilità (soggettiva) fondata sul grado di fiducia dell’avverarsi di un evento.
Questa interpretazione elimina l’ambiguità dell’incertezza statistica su una singola misura e la disuguaglianza di trattamento di una singola lettura ed un insieme di dati aventi una dispersione.

 

(*)  “Guide to the Expression of the Uncertainty in Measurement” – ISO, Geneva (1995)

E’ da notare che questi due tipi di contributo in generale non corrispondono ai tradizionali errori casuali e sistematici. Infatti, il modo di valutare l’incertezza di tipo B implica una descrizione probabilistica degli errori sistematici dal momento che essi non sono mai noti esattamente.

L’incertezza combinata uc (incertezza totale) è data da:

Per la maggior parte delle situazioni, l’ISO suggerisce di utilizzare come distribuzioni di probabilità quella gaussiana, quella triangolare e quella uniforme o rettangolare, tutte simmetriche e quindi col valore centrale come migliore stima, con incertezza standard data dalla radice quadrata della rispettiva varianza e con probabilità, rispettivamente, del 68% , 65%, 58% .
Per procedere al calcolo dell’incertezza totale associata al risultato di una misura occorre elencare inizialmente tutte le fonti di incertezza e calcolare ciascun contributo utilizzando un’appropriata distribuzione di probabilità per ciascuna fonte.

Il risultato della misura di una grandezza fisica è solo un’approssimazione od una stima del valore del misurando e pertanto, per essere completo, deve essere accompagnato dal valore dell’incertezza di tale stima.
L’incertezza dà l’intervallo, attorno alla stima, entro cui con una certa probabilità riteniamo si trovi il valore vero del misurando.

Distribuzioni suggerite dall’ISO

Esempi

Caso di una singola lettura – Incertezza di tipo B
Supponiamo di voler effettuare la misura della tensione tra i poli di una batteria utilizzando un voltmetro analogico avente classe di precisione Cp=1, f.s.=3V e scala formata da 150 divisioni. L’occhio dello sperimentatore giudica che l’indice dello strumento indichi una lettura di 124,5 divisioni cui corrisponde un valore di tensione V dato da:

V = (3/150)124,5 = 2,49 volt

Le fonti di incertezza sono dovute alla lettura della posizione dell’indice sulla scala e alla classe di precisione Cp dello strumento.
Scegliamo, per l’incertezza associata alla lettura, la distribuzione di probabilità uniforme fissando i limiti (a giudizio dello sperimentatore) pari ad 1/3 dell’intervallo tra due divisioni successive della graduazione cioè      a = 0,0066 @ 0,007 volt.

L’incertezza standard associata alla sola lettura vale:

ule = ½ larghezza rettangolo/√3 = 0,007/√3 = 0,0040 volt.

Anche per la conversione in incertezza standard del contributo dovuto alla classe di precisione scegliamo una funzione densità di probabilità di tipo rettangolare. Dalla definizione di Cp possiamo calcolare la semilarghezza del rettangolo come:   ½ largh. rettang. = (f.s. x Cp)/100 cioè

½ largh. rettang. = (3x1)/100 = 0,03 volt

da cui l’incertezza standard associata alla c.p. vale:

uCp = 0,03/√3 = 0,0173 volt

e l’incertezza totale (incertezza combinata) sarà:

uc = √ule2 + uCp2 = √0,00402 + 0,01732 = 0,0178 volt.

Il risultato della misura verrà espresso come:

V = 2,490 ± 0,018 volt.

Se ci dovessero essere altre fonti d’incertezza devono essere considerate allo stesso modo, dopo avere scelto l’appropriata distribuzione di probabilità che le rappresenta.

 

Caso di più letture (misure) ripetute - Incertezza di tipo A
Abbiamo effettuato, sempre nelle stesse condizioni, N=20 misure indipendenti del periodo di oscillazione di un pendolo usando un contasecondi avente una risoluzione di 1 ms ed una sensibilità di 0,1 ms. Con le N letture costruiamo l’istogramma di frequenze considerandole un campione di una distribuzione gaussiana che sarebbe ideale se N = ∞ e l’ampiezza degli intervalli dell’istogramma fosse ridotta a zero. Supponiamo di avere trovato per la media tm e la deviazione standard s(t) degli  N valori osservati:

tm = 1,015 s              s(t) = 0,146 s

Poiché la distribuzione delle medie è normale, la deviazione standard sperimentale della media vale:

s(tm) = s(t)/√N = 0,146/√20 = 0,033 s = uA
ed il risultato sarà espresso da:

t = 1,015 ± 0,033 s .

L’interpretazione del risultato è la seguente:  la migliore stima del periodo è 1,015 s con una incertezza standard di 0,033 s e con la probabilità del 68% che il suo valore vero stia dentro l’intervallo 1,015 ± 0,033 s assumendo gaussiana la distribuzione dei tempi osservati.
Ovviamente potrebbero esserci altre cause d’incertezza del tipo B che porterebbero ad una incertezza combinata maggiore di 0,033s.


STRUMENTI  ANALOGICI  E  DIGITALI

Un amperometro per c.c.  e  c.a. connesso ad una rete di resistenze e ad una f.e.m. interna costituisce un unico apparato frequentemente utilizzato in laboratorio, chiamato multimetro o tester, perché può essere adoperato o come misuratore di corrente o come voltmetro oppure come ohmetro. Testers più completi permettono anche misure di capacità, induttanza, frequenza, etc. Esistono tester analogici e tester digitali.

Nel tester analogico lo strumento che consente le misure è un amperometro di tipo analogico che ad una sollecitazione risponde con una rotazione di un ago, mobile su una scala graduata, la cui posizione può quindi assumere valori continui.

Gli strumenti in cui la risposta è un numero (di assegnato numero di cifre), letto su un indicatore luminoso, esprimente direttamente il risultato della misura vengono detti digitali.
Un multimetro digitale appartiene a questa categoria di strumenti e, anch’esso, viene adoperato per misure di corrente, tensione, resistenza, etc.
Non ha parti meccaniche mobili ma solo circuiti elettronici alimentati da una f.e.m. interna. La sua parte essenziale è quella voltmetrica che consente di misurare d.d.p. tra 10-4 V e 1000 V ed il cui schema è mostrato in figura.

 

 

La d.d.p. incognita  vx  viene applicata all’ingresso di un amplificatore la cui amplificazione A può essere variata di quantità Ai (maggiori o minori dell’unità, in genere in rapporti di 10 tra loro) che determinano la portata usata. L’amplificatore permette, inoltre, di ottenere una resistenza d’ingresso molto elevata, che non dipende dalla scala usata e che costituisce la resistenza interna dello strumento: normalmente 10¸20 MW.
La tensione d’uscita Vx dell’amplificatore viene inviata al circuito raddrizzatore, il quale non la modifica se essa è  positiva mentre se essa è negativa la cambia di segno e comanda l’accensione del segno meno sull’indicatore numerico. Nel caso in cui la tensione da misurare è alternata, il raddrizzatore fornisce alla sua uscita una tensione continua e positiva uguale al valore quadratico medio (rms) della d.d.p.  vx  in misura entro un intervallo di frequenze tra 10 Hz e 10 kHz.
L’uscita analogica Vx del raddrizzatore viene trasformata in un numero dal convertitore analogico-digitale o ADC (Analog to Digital Converter) il quale è un circuito elettronico che, appunto, trasforma un’informazione analogica in una digitale. Esistono parecchi tipi di ADC, ne descriviamo il funzionamento di uno ( v. fig.).

                                                                                                                                                         
Il circuito di controllo produce un impulso periodico (a frequenza di qualche Hz) di comando il quale genera una tensione V(t), funzione lineare del tempo (rampa), da un valore massimo positivo Vo fino al valore zero. Questa tensione viene continuamente confrontata con quella Vx legata alla d.d.p. da misurare vx . L’amplificazione Ai viene scelta, o dallo sperimentatore o automaticamente, in modo tale che Vx £ Vo . Nell’istante in cui la tensione V(t) della rampa uguaglia la tensione Vx viene prodotto un segnale che fa partire un oscillatore, di frequenza f ben costante, che viene fermato quando V(t) raggiunge lo zero. Si genera, così, un treno d’impulsi a frequenza f di durata pari al tempo Dt per cui l’oscillatore resta in funzione. Il numero N = fDt d’impulsi viene contato ed il risultato è mostrato sull’indicatore numerico in cui un’unità sull’ultima cifra significativa è pari alla sensibilità di misura. Viene anche indicato il segno della d.d.p. misurata e la posizione della virgola che dipende da Ai . Il circuito di controllo azzera quindi l’indicatore numerico e fa ripartire un nuovo ciclo di misura.
Analiticamente, dalla figura si ricava:

Dt = Vx/m       e      Dt = N/f      da cui    Vx = mN/f = kN

Il numero di cifre dell’indicatore, in genere 4 o 5, è tale che la precisione dello strumento sia dello stesso ordine di grandezza della sua sensibilità di misura. La precisione dipende dalla stabilità dell’amplificatore, della pendenza della rampa, del valore Vo e della frequenza dell’oscillatore.
Il costruttore dello strumento fornisce una formula per il calcolo dell’incertezza assoluta sul valore misurato, generalmente sotto forma di somma di due o più  termini:
u = ±[% della lettura + % del fondo scala]                          oppure
u = ±[% della lettura + numero di unità nella (posizione della) cifra meno significativa]

Nelle misure di corrente, all’ingresso dell’amplificatore viene inviata la d.d.p. prodotta dal passaggio della corrente da misurare attraverso una resistenza tarata interna allo strumento; nelle misure di resistenza è la corrente di un generatore interno che viene fatta passare attraverso la resistenza da misurare e la d.d.p. così prodotta viene presentata all’ingresso dell’amplificatore della sezione voltmetrica descritta. Gli intervalli di misura in genere consentiti sono tra 10-4 A e 1 A per le correnti,  10-1 W  e  20 MW per le resistenze.

Esempio   Supponiamo che la formula fornita dal costruttore per il calcolo dell’incertezza sia:
incertezza = ±[0,6% lettura + 0,08%  f.s.]
e che la lettura fatta sia:


1.

9

6

7

3

l’incertezza su tale valore è data dallo 0,6% di 1.9673 sommato allo 0,08% di 1.9999 poiché la prima cifra può assumere solo i valori 0 od 1 (half digit).
Nel caso in cui la formula fornita sia del tipo: incertezza = ±[0,5% lettura + 2 dgt] e la lettura sia            


1

4.

6

5

l’incertezza su tale valore è data dallo 0,5% di 14.65 sommato a 0,02 che è il numero di unità fornito nella posizione della cifra meno significativa.


RICHIAMO DI CONCETTI E DEFINIZIONI DI ALCUNE GRANDEZZE ELETTRICHE

Carica elettrica

E’ definita dalla legge di Coulomb. La sua unità di misura, chiamata coulomb, è la quantità di carica Q che in un secondo attraversa una sezione qualunque di un conduttore percorso dalla corrente di 1 ampere.
Come vedremo più avanti, poiché nel sistema internazionale (SI) di unità di misura la corrente I è una grandezza fondamentale, le dimensioni di Q sono:   
[Q] = [IT]    da cui segue:
 

      1C =  1A  x  1s

 

Campo elettrico e potenziale

Il campo elettrico E  esistente in una regione dello spazio è definito operativamente come il rapporto tra la forza F che agisce su una carica elettrica Q e la carica stessa:

E = F/Q    (newton/coulomb)

dalla quale se ne possono derivare le dimensioni:
[E] = [F/Q] = [LMT-3I-1].
Poiché tale campo è conservativo per il lavoro (come lo è, ad es., il campo gravitazionale terrestre) esso, in ogni punto, può essere descritto da una funzione scalare detta potenziale elettrico.
Si definisce energia potenziale U di una carica Q posta in un punto P del campo il prodotto della carica per il potenziale VP in quel punto:

U = QVP
da cui:
VP = U/Q    (joule/coulomb)

La differenza di potenziale (d.d.p.) V tra due punti A e B di un campo elettrico è allora data da:

V = VA – VB = UA/Q – UB/Q = DU/Q = ℒ/Q

ed ha il significato fisico di lavoro ℒ necessario per spostare la carica Q da un punto all’altro. Alla sua unità di misura si è dato il nome di volt (V), e, siccome  [V] = [ℒ/Q] = [L2MT-3I-1], risulta:
 



1V = 1J x 1C-1

Poichè [joule] = [newton x metro] da cui segue [N] = [J/m], le dimensioni del campo elettrico sono anche: [E] = [N/C] = [J/mC] = [volt/m] e l’unità di misura generalmente adoperata per esso è il volt/m espresso da:
 



1V/m = 1J x (1m x 1C)-1

Dalla definizione di d.d.p. deriva la legge di Joule, la quale afferma che in un conduttore, nel quale scorre una corrente I ed ai cui estremi  è applicata una d.d.p. V, si dissipa, sotto forma di calore od altra forma di energia, una potenza W data da:

                                    W = dℒ/dt = VdQ/dt = VI      (watt)           (1)

(giustificando  l’uso  frequente,  in  elettrotecnica, dell’unità di potenza volt-ampere).

Corrente elettrica

I potenziali elettrici diversi VA e VB, a cui vengono portati due conduttori A e B, tendono ad uguagliarsi quando i due conduttori vengono connessi tra loro con un filo metallico: si dice che la loro differenza di potenziale (d.d.p.) tende a zero.
Tale uguaglianza si può ottenere solo a causa di uno spostamento di cariche elettriche da A verso B o viceversa attraverso l’interno del filo metallico.
Questo spostamento di cariche è dovuto all’esistenza, all’interno del filo, di un campo elettrico, diretto nel verso dei potenziali decrescenti, che mette in moto le cariche libere (elettroni) del conduttore stesso.

Un moto di cariche elettriche fra A e B costituisce una corrente elettrica.

Se tra i due conduttori non viene mantenuta una d.d.p., la corrente scorre per un tempo brevissimo.
Le prese di corrente (termine improprio) esistenti in casa sono collegate permanentemente, tramite la rete di distribuzione dell’ENEL, ai generatori delle centrali elettriche che provvedono a mantenere fra i poli delle prese stesse una tensione o d.d.p. pari a 220 V.
In questo modo è possibile alimentare un utilizzatore (ferro da stiro, stufa, apparecchio TV, videoregistratore, HiFi .....) facendo scorrere in esso per un tempo indefinito una corrente che ne permette il funzionamento.

Per convenzione si chiama verso o senso di una corrente elettrica quello del moto di cariche positive capace di produrre gli stessi effetti della corrente considerata.
Poiché, in realtà, in un conduttore la corrente è dovuta al moto di cariche negative (gli elettroni), il suo senso convenzionale è opposto a quello del moto degli elettroni.
Nei gas e negli elettroliti la corrente è dovuta ad un moto simultaneo di cariche positive e negative.
La corrente si dice continua se non cambia di senso nel tempo, alternativa se cambia di senso periodicamente, alternata se cambia di senso con legge sinusoidale.
Se attraverso un determinato contorno (per es. quello della sezione di un filo conduttore) passa nel tempo dt una quantità di carica dQ, si chiama (intensità di) corrente I, attraverso il contorno, il rapporto:

I = dQ/dt

 

All’unità di misura dell’intensità di corrente, nel sistema internazionale (SI) nel quale essa è una grandezza fondamentale, si è dato il nome di ampere (A). Dalla definizione di intensità di corrente si deduce che:
 


1A = 1C x 1s-1

Sottomultipli dell’ampere sono:
1 mA (milliampere)  = 10-3 A
1 mA (microampere) = 10-6 A
Diamo un’idea del numero di cariche elementari trasportate nell’unità di tempo da una corrente d’intensità pari, ad es., ad 1 mA = 1 mC/1s.
Poiché   1 mC = ne ,  avendo indicato con n il numero di cariche elementari trasportate, risulta n = 10-6 C/1,6.10-19 C = 6.1012 , per cui si ha:

1 mA = 6.1012 cariche elementari/s

Attenzione a non confondere l’ampere con l’ampere-ora (Ah) che è un’altra unità di quantità di carica o di elettricità e viene adoperata per esprimere, per es., la capacità di una batteria. Se una batteria è capace di erogare un ampere per un’ora, la sua capacità è di 1 Ah. La quantità di carica, in coulomb, erogata sarà:

1 Ah = (1 C/1 s)3600 s = 3600 C

Resistenza elettrica

Supponiamo di applicare agli estremi A e B di un conduttore omogeneo metallico una d.d.p. V = VA – VB  e di misurare la corrente I che circola in esso, calcoliamo il rapporto tra V ed I:

                                                 R = V/I                                         (2)

Supponiamo di raddoppiare, triplicare, dimezzare, ….. il valore della d.d.p. applicata allo stesso conduttore e di misurare le corrispondenti correnti; se calcoliamo ogni volta il rapporto (2), troveremo che esso è sempre lo stesso (entro gli errori sperimentali).
Ciò significa che se raddoppiamo V anche la corrente I raddoppia, se dimezziamo V anche la I si dimezza.
Dalla (2) risulta:  [R] = [V/I] = [L2MT-3I-2].

La (2) costituisce la prima legge di Ohm, che può essere riscritta  come:

                                                 V = RI                                           (3)

I conduttori che “ubbidiscono” a tale legge si dicono ohmici.
La costante di proporzionalità R viene detta resistenza del conduttore.
L’unità di misura della resistenza elettrica, nel sistema internazionale, è stata chiamata ohm (W), dalla (2) segue che:
 

1 W = 1 V x 1 A-1

La legge di Ohm (3), indicando con G = R-1 la conduttanza, si può scrivere anche:

                                                    I = GV                                      (4)

All’unità di misura della conduttanza è stato dato il nome  siemens (S):

1 S = 1 W-1

Sostituendo la (3) e la (4) nella relazione (1), si ottiene rispettivamente:

                            W = V2/R                                W = I2R
W = V2G                                 W = I2/G
equivalenti alla (1).

 

Capacità elettrica
E’ definita dal rapporto costante tra la carica elettrica Q accumulata su un conduttore ed il potenziale V cui esso si porta:

                                                     C = Q/V                                   (5)

essa dipende solamente dalla geometria del conduttore e dalla costante dielettrica e del mezzo in cui è immerso. Ricordando che I = dQ/dt, possiamo scrivere la (5) anche come:

V = [òI(t)dt+cost]/C

che, derivata rispetto al tempo, dà:

I(t) = C dV/dt

Dalla definizione (5) si ha:  [C] = [L-2M-1T4I2]. L’unità di misura della capacità viene chiamata faraday (F):


1 F = 1 C x 1V-1

Facciamo notare che il prodotto RC (resistenza per capacità) ha le dimensioni di un tempo, infatti dalle dimensioni di R e C si ricava:

[RC] = [L2MT-3I-2] x [L-2M-1T4I2] = [T].


RETE O CIRCUITO ELETTRICO

L’insieme di una sorgente di corrente o di d.d.p. (generatore) S, dell’utilizzatore (carico) U e dei conduttori di collegamento fra i poli della sorgente e l’utilizzatore costituisce un circuito elettrico chiuso.
Mediante i fili di collegamento si trasferisce energia elettrica dal generatore all’utilizzatore, il quale, in generale, la converte in altre forme di energia (calore, luce, …).

Quando si interrompe la continuità di un conduttore del circuito, inserendovi un isolante, si impedisce il passaggio della corrente ed il circuito si dice aperto. Ciò può essere ottenuto mediante un interruttore I: in questo caso l’isolante è l’aria.

 

ELEMENTI COSTITUTIVI DI UNA RETE
Gli elementi ideali che possono essere collegati fra loro in modo da formare una rete o circuito elettrico vengono distinti in:
A) passivi, sono quelli in cui viene dissipata od immagazzinata energia. Per adesso considereremo solo:

resistenza – viene costruita con un  conduttore che segue la legge di Ohm. Nello schema di un circuito il suo simbolo è quello di figura:                    
                                                                                                   3
1                       2                         1                       2                        
1                        2

a) resistenza fissa              b) resistenza variabile              c) potenziometro

In essa viene dissipata energia.
Nel caso b) R12 può variare da 0 fino ad un massimo fissato; nel caso c) su una resistenza di valore fissato R12 striscia un contatto mobile la cui posizione determina il valore delle resistenze R13 ed R32 ambedue variabili da 0 a R12 ma sempre in modo tale che R13 + R32 = R12 .
L’elemento reale di circuito viene detto resistore.

Capacità – viene realizzata mediante due conduttori affacciati con un mezzo isolante interposto tra di essi.
Il simbolo usato è il seguente:
 

 


                        capacità fissa                                    capacità variabile

L’elemento reale di circuito si chiama condensatore.
I condensatori servono ad immagazzinare energia.

B) attivi, sono le sorgenti dell’energia elettrica fornita agli altri elementi della rete in cui sono inserite. Questa energia può essere ottenuta, a sua volta, trasformando quella chimica, come in una pila per torcia elettrica od una batteria d’automobile, oppure quella di altra natura, per esempio elettromagnetica, come l’energia del sole che fa funzionare le batterie solari dei satelliti artificiali o dei pannelli fotovoltaici.
Esse vengono divise in generatori di tensione e generatori di corrente. Se la tensione o la corrente da essi fornita non dipende dal tempo vengono detti generatori di tensione o di corrente continua (c.c.); se, invece, la dipendenza dal tempo è periodica sinusoidale vengono detti generatori di tensione o di corrente alternata (c.a.).
generatore di tensione – è un dispositivo capace di generare e mantenere tra i suoi poli una d.d.p. V indipendente dal resto del circuito (carico) in cui viene inserito. Negli schemi delle reti viene adoperato il simbolo:

Nel caso a) il generatore tende a far circolare corrente dal polo positivo a quello negativo.
Nella realtà un siffatto generatore non può esistere. Infatti, dalla W = V2/R, esso, cortocircuitando i suoi poli (R=0), dovrebbe essere capace di erogare una potenza infinita. Ciò non è fisicamente possibile. Il generatore, nell’esplicare la sua funzione, viene attraversato dalla stessa quantità di carica che, nello stesso tempo, scorre nella rimanente parte del circuito cui esso è collegato. Le cariche, nel fluire all’interno del generatore, incontrano una resistenza r (detta resistenza interna) non nulla che ne ostacola il moto.
Si definisce  forza elettromotrice (f.e.m)  e  del generatore la d.d.p. tra i suoi terminali quando esso non eroga corrente.
In un generatore ideale di tensione le cariche che lo attraversano non incontrano alcuna resistenza (r = 0): la d.d.p. presente ai suoi terminali è uguale alla f.e.m. e, vedi figura a), anche quando esso eroga corrente.
Un generatore reale di tensione viene rappresentato da un generatore ideale di f.e.m. e con in serie una resistenza r, vedi figura b). Quando esso eroga corrente, perché chiuso su un carico R, la d.d.p. fra i suoi terminali, a causa della caduta di tensione nella sua resistenza interna r, si abbassa tanto più quanto più alta è la corrente erogata.

                  e                                                                e
A            -    +            B                                    A    -     +       r              B

 

I’                                                                             I

                   R                                                                        R
a) generatore ideale                                       b) generatore reale

VA – VB =  e = VR                VA – VB = e – Ir = eR/(R+r) = VR    (6)
I’ = VR/R = e/R                                    I = VR/R = e/(R + r)

Nel caso b), solo quando R >> r  risulta VR @ e  e il generatore può essere approssimato ad un generatore ideale di tensione.

La caratteristica  VR = f(I)  di un generatore reale è rappresentata, nel piano V – I , da una retta di equazione data dalla (6):  VR = e – Ir  ed è mostrata in figura (linea continua).

 

caratteristica di un generatore di tensione: a) ideale;   b) reale

Osserviamo che, al diminuire della resistenza interna r, la pendenza della retta diminuisce. Quando r = 0 , la retta diventa parallela all’asse delle I (linea a tratteggio) e pertanto la caratteristica di un generatore ideale, essendo un generatore con resistenza interna nulla, è una retta parallela all’asse delle I.
Ciò equivale a dire che esso mantiene fra i suoi poli una tensione indipendente dalla corrente erogata.
generatore di corrente – nel caso ideale, esso deve fornire una corrente I indipendente dalla rimanente parte del circuito su cui è chiuso. Da ciò segue che se la resistenza R di questa parte è arbitrariamente grande, poiché W = I2R, la potenza erogata deve essere arbitrariamente grande e, come sappiamo, questo non è fisicamente realizzabile.
Il simbolo di un generatore di corrente ideale è:
 


                    I                                                I(t)   ~

 

         a) generatore c.c.                            b) generatore c.a.

Nel caso a) il verso della corrente è quello indicato dalla freccia.
Analogamente al generatore reale di tensione, un generatore reale di corrente viene schematizzato con un generatore ideale di corrente I con in parallelo la sua resistenza interna r. Quando esso è collegato ad un carico R la sua caratteristica è rappresentata dalla retta IR = I – Ir = I – VR/r mostrata in figura.

 

caratteristica di un generatore di corrente: a) ideale;   b) reale

Anche qui facciamo notare che all’aumentare della resistenza interna r la pendenza della retta diminuisce e per r = º la retta diventa parallela all’asse delle VR , cioè la corrente erogata non dipende dal carico ed il generatore si comporta come un generatore ideale di corrente e pertanto esso deve avere una resistenza interna infinita.

Gli alimentatori normalmente utilizzati in laboratorio sono dei dispositivi che contengono nel loro interno un generatore reale. Essi sono molto versatili perché permettono di poter variare, entro un intervallo, la tensione o la corrente ed inoltre i circuiti elettronici del loro interno permettono di ottenere un’alta stabilità.

NODI,  RAMI,  MAGLIE  DI  UNA  RETE

In una rete comunque complessa si definiscono come:

NODO    : un punto della rete in cui confluiscono tre o più conduttori;

RAMO   : l’insieme di elementi di circuito(resitenze,capacità,generatori,..)
connessi tra due nodi successivi;

MAGLIA :l’insieme ordinato di elementi di circuito incontrati partendo
da un nodo e ritornando allo stesso nodo lungo un cammino
qualunque che non percorra alcun ramo più di una volta.

 

 

In una rete non tutte le maglie sono indipendenti. Si può, infatti, dimostrare che il numero di maglie indipendenti n(M) è legato al numero di rami n(R) ed al numero di nodi n(N) dalla relazione:
n(M) = n(R) – n(N) + 1                       (7)

Nel caso della rete dell’esempio, si ha:  n(M) = 7 – 4 +1 = 4


LEGGI  DI  KIRCHHOFF

1a  LEGGE  (o  dei  NODI)
Discende dalla conservazione della carica elettrica, per cui in un nodo di una rete la somma delle correnti entranti deve essere uguale a quella delle correnti uscenti:

convenendo di considerare positive le correnti entranti nel nodo e negative quelle uscenti o viceversa, tanto la (8) resta sempre valida in quanto vengono invertiti tutti i segni.

 

2a  LEGGE  (o delle MAGLIE)
Discende dalla conservazione dell’energia. Infatti in una maglia, in cui sono connesse k resistenze e j generatori di f.e.m, una carica Q, che la percorra nel senso effettivo della corrente, dissiperebbe nelle resistenze una energia Q´SkRkIk mentre nell’attraversare  i generatori di f.e.m. acquisterebbe una energia Q´SjVj , cioè Q´SjVj = Q´SkRkIk , da cui:



                                                  SjVj = SkRkIk                             (9)

 

Quindi percorrendo, con verso scelto arbitrariamente, una intera maglia   la somma delle f.e.m. incontrate deve uguagliare la somma delle cadute di tensione nelle resistenze incontrate lungo il percorso.
Per convenzione, si prendono col segno positivo quelle f.e.m. Vj che tendono a far circolare corrente nel verso di percorrenza della maglia e quelle correnti Ik concordi con tale verso mentre si prendono col segno negativo le Vj che tendono a far circolare corrente in verso opposto a quello di percorrenza della maglia e le Ik non concordi con esso. Se si inverte il verso scelto di percorrenza della maglia, la (9) resta ancora valida perché cambierebbero anche di segno tutti i termini sia del primo che del secondo membro di tale relazione.


RESISTENZE  IN  SERIE  E IN PARALLELO

resistenze in serie - Due o più resistenze si dicono (connesse) in serie quando vengono attraversate dalla stessa corrente.
Consideriamo la rete di figura formata da una sola maglia di n resistenze collegate ad un generatore di tensione V.

 

resistenze in serie

Dalla 2a legge di Kirchhoff si ha

V = R1I+R2I+ … RnI = (R1+R2+…Rn)I = RsI     da cui
 



Rs = R1 + R2 + …… Rn

Facciamo notare che, poiché ai capi della generica resistenza Ri esiste una d.d.p. Vi = RiI = VRi/Rs , il circuito di figura ripartisce la tensione V in n parti: esso prende il nome di partitore di tensione. Si possono così ottenere ai capi di ciascuna resistenza d.d.p. prefissate dimensionando le resistenze opportunamente.
Un particolare partitore di tensione si può realizzare utilizzando un potenziometro; grazie alla possibilità di poter variare in modo continuo la resistenza tra il suo cursore ed uno dei suoi estremi, si può ottenere un valore  di d.d.p. tra essi continuamente variabile tra zero e V.

 

1
 



3
V
V32 = 0 ¸ V

2

resistenze in parallelo - Due o più resistenze si dicono in parallelo quando sono connesse in modo tale che la d.d.p. ai loro estremi è la stessa.
I1         R1
 


resistenze in parallelo

Dalla 1a legge di Kirchhoff, applicata ad uno dei due nodi A o B, si ha

I = I1 + I2 + …… In                 cioè

I = V/R1+V/R2+ …+V/Rn = (1/R1+1/R2+….1/Rn)V = V/Rp

da cui             

 



1/Rp = 1/R1 + 1/R2 + …..+ 1/Rn

 

Facciamo notare che da questo risultato si deduce che:
la resistenza equivalente di più resistenze in parallelo ha un valore minore della più piccola di queste resistenze.

 

Nel caso di due sole resistenze in parallelo si ha:

Rp = R1R2/(R1+R2)

 

e le due correnti attraversanti le due resistenze R1 e R2 sono date, rispettivamente, da:

I1 = V/R1 = RpI/R1 = [(1/R1)R1R2/(R1+R2)]I = R2I/(R1+R2)

I2 = V/R2 = RpI/R2 = [(1/R2)R1R2/(R1+R2)]I = R1I/(R1+R2)

e il loro rapporto è inversamente proporzionale alle rispettive resistenze:

I1/I2 = R2/R1

come deve essere.
Nel caso generale, la corrente Ij circolante nella resistenza Rj vale

Ij = V/Rj = IRp/Rj

ed il circuito, scegliendo opportunamente i valori delle resistenze, può essere utilizzato come partitore di corrente.


MISURA DELLA CORRENTE ELETTRICA

EFFETTI  DELLA  CORRENTE  ELETTRICA

Il passaggio di una corrente elettrica in un conduttore provoca diversi effetti.

 

1)  effetto magnetico – creazione di un campo magnetico attorno al conduttore. Di ciò ci si può accorgere posizionando una bussola nelle vicinanze del conduttore: l’ago magnetico della bussola assume un nuovo orientamento.

¨esempio¨ elettrocalamita

 

2)  effetto termico – sviluppo di calore (per effetto Joule) dovuto all’urto delle cariche in moto contro le molecole del conduttore.

¨esempio¨ stufe elettriche, lampada ad incandescenza, ferro da stiro,….

 

3)  effetto chimico – decomposizione chimica, detta elettròlisi, di soluzioni acquose di sali minerali.

¨esempio¨ galvanostegìa o ricopertura con un metallo della superficie di un altro metallo: doratura, cromatura di oggetti.

 

4)  effetto fisiologico – nella materia vivente può provocare riscaldamento, coagulazione, scossa elettrica,….principalmente a causa dell’effetto Joule o dell’elettròlisi.

 

MISURA DELLA  CORRENTE CON APPARECCHI  TARATI

Gli strumenti adoperati per segnalare semplicemente un passaggio di corrente vengono chiamati galvanometri e devono avere una elevata sensibilità.
In genere il loro indice per la lettura è costituito da una tacca luminosa riflessa da uno specchietto (metodo di Poggendorf), incollato al filo di sospensione dell’equipaggio mobile, su di una scala graduata in millimetri posta ad una certa distanza dallo specchio (galvanometri a specchio). Il metodo consente di ottenere una lettura amplificata del piccolo angolo di rotazione dell’equipaggio mobile  (vedi figura).


Uno specchietto concavo (od anche piano, in tal caso è necessario impiegare una opportuna lente) viene fissato all’equipaggio mobile con l’asse ottico perpendicolare all’asse di rotazione. Un fascetto luminoso fisso viene riflesso dallo specchio e un’immagine I a forma di tacca viene raccolta su una scala graduata ortogonale ad OI ad una certa distanza da O. Quando lo specchio ruota di un angolo a, il pennello luminoso riflesso ruota di un angolo pari a 2a e la sua immagine si sposta in I’ in modo tale che IÔI’ = 2a da cui segue che
a @ (1/2)(II’/OI).
Se poniamo II’ = n, e la esprimiamo in millimetri, ed OI = m, e la esprimiamo in metri, risulta che a = (1/2000)(n/m). Nei galvanometri con scala a distanza fissata per costruzione anche m è costante e quindi risulta:
a µ n
In realtà i galvanometri non sono strumenti tarati tuttavia possono essere usati come misuratori di corrente se si conosce o si misura la loro costante galvanometrica KA. Questa è definita come il rapporto tra la corrente i (A)  e la deviazione n (mm), da essa prodotta, dell’indice luminoso sulla scala:

KA = i/n    (A/mm)

in genere essa è compresa tra 10-7 e 10-9A/mm. Il suo inverso rappresenta la sensibilità amperometrica sA che vale:

sA = KA-1 = n/i  (mm/A).

Nota KA, il valore dell’intensità di una corrente i che produce una deviazione dell’indice di n millimetri  è data da:

i = KAn    (A)
Dell’equipaggio mobile fa parte una bobina in cui si fa circolare la corrente da misurare, il filo conduttore con cui essa viene costruita presenta una resistenza elettrica la quale costituisce la resistenza interna rg del galvanometro. Quando esso è attraversato da una corrente i, ai capi di rg si crea una d.d.p. pari a V = irg e lo strumento può essere usato per rivelare deboli d.d.p. Si può anche definire la costante voltmetrica KV la cui relazione con quella galvanometrica KA è, ovviamente:

KV = rgKA= V/n          (V/mm).


A causa della loro grande sensibilità, l’equipaggio mobile dei galvanometri è molto delicato per cui il loro uso richiede molta cura.

 

Gli strumenti adoperati comunemente per la misura dell’intensità di corrente vengono detti  amperometri.
Sono strumenti, di relativamente bassa sensibilità, con indice meccanico (un ago) che può scorrere su una scala tarata in ampere o suoi sottomultipli, permettendo così di leggere direttamente il valore della corrente.

La sensibilità di un amperometro è definita come il rapporto tra il numero nf.s. di divisioni del suo fondo scala (f.s.) ed il valore if.s. della corrente capace di portare l’indice a f.s.:

sa = nf.s./if.s.     (div/A).

Secondo il loro fondo scala si dividono in:

- AMPEROMETRI                  (f.s. dell’ordine o maggiore dell’ampere)

- MILLIAMPEROMETRI       (f.s. dell’ordine o maggiore del mA)

- MICROAMPEROMETRI     (f.s. dell’ordine o maggiore del mA)

Il loro funzionamento è basato sugli effetti magnetico, termico o (raramente) chimico della corrente.

Gli amperometri che utilizzano l’effetto magnetico della corrente sfruttano l’interazione mutua tra il campo magnetico da essa generato ed un altro campo creato da un magnete permanente o da una bobina fissa.

Quelli basati sull’effetto termico sfruttano la variazione, causata dal riscaldamento, della lunghezza di un filo attraversato dalla corrente da misurare.

Diversi sono i tipi di amperometri usati nelle misure di corrente; tratteremo più in dettaglio quello a bobina mobile, perché di più largo uso, e daremo qualche cenno su alcuni altri.


Amperometri a bobina mobile

La rotazione del loro equipaggio mobile, a cui è attaccato l’indice meccanico, avviene in modo analogo a quello dei galvanometri.


Una bobina di forma rettangolare è avvolta su un nucleo cilindrico di materiale ferromagnetico ed è immersa in un campo magnetico a simmetria cilindrica creato dalle espansioni polari a sezione circolare di un magnete permanente. La bobina può ruotare attorno ad un asse perpendicolare al piano di figura e passante per il suo centro, mentre una molla antagonista ne ostacola la rotazione. Quando la bobina è percorsa dalla corrente da misurare, dall’interazione tra il campo magnetico permanente e quello creato dal passaggio della corrente nella bobina, nascono coppie di forze, applicate ai lati della bobina, il cui momento la fa ruotare. La molla antagonista si carica ed applica un momento opposto.

Quando si raggiunge l’eguaglianza dei due momenti la rotazione si ferma e tramite l’indice si legge il valore della corrente sulla scala tarata.


Consideriamo, infatti, una spira rettangolare di lati a, b immersa in un campo magnetico il cui vettore induzione magnetica sia B (vedi figura).

                               I        -Fb/2                              nel piano Fa – B

I lati a della spira siano ortogonali a B ed essa possa ruotare attorno ad un asse parallelo a questi lati ed equidistante da essi.
Se la spira è percorsa da una corrente costante I, i suoi lati sono soggetti a forze, dette di Lorentz, espresse da:

Fb = - Fb’ = IbÙB
Fa = - Fa’ = IaÙB

Le due forze Fb ed  Fb’ hanno la stessa retta d’azione ed essendo la spira rigida esse si annullano. Rimangono efficaci le sole forze Fa ed Fa’ di modulo  Fa = Fa’ = IaB (si ricordi che B è ortogonale al lato a della spira), le quali formano una coppia di momento M = bÙFa che tende a far ruotare la spira fino a disporla col suo piano ortogonale a B (in tale posizione, infatti, anche le forze Fa ed Fa’ avranno la stessa retta d’azione e la loro risultante sarà nulla).
Il modulo di M vale:

                              M = bFasenJ = IabBsenJ = ISBsenJ                (10)
avendo indicato con J l’angolo fra il lato b della spira e la forza Fa e con S la superficie della spira.
Contemporaneamente, però, la molla antagonista esercita un momento resistente di  modulo pari a:
M’ = Ca                                              (11)
essendo C la costante elastica della molla ed a l’angolo di rotazione della spira.
Si raggiunge una posizione di equilibrio quando i due momenti sono uguali in modulo, dall’eguaglianza della (10) ed (11) si ricava quindi:

                                  a = ISBsenJ/C                                           (12)

In realtà il campo magnetico, abbiamo detto, è a simmetria cilindrica. Questo comporta che esso è sempre parallelo al lato b della spira (almeno entro un ampio intervallo di a), quindi l’angolo J risulta sempre retto, per cui la (10)  si può scrivere come M = ISB e di conseguenza la (12) diventa:

                                   a = ISB/C = cost.I                                    (13)

e si elimina, così, la complicata dipendenza dal senJ.
Per aumentare la sensibilità dello strumento, anziché usare una sola spira si utilizza una bobina formata da n spire, per cui si ha:

        a = InSB/C = cost.I     od      I = Ca/nSB = a/cost                     (14)

Poichè l’angolo a di rotazione della bobina (e quindi dell’indice) è proporzionale ad I, questi tipi di strumenti possono misurare solo correnti continue.
La classe di precisione va da 0,1 a 2.


Amperometri a ferro mobile
a = cost.I2
Misurano correnti continue ed alternate, data la loro robustezza in genere vengono usati per misurare la corrente erogata dalle batterie  installate sulle automobili.
La classe di precisione è scarsa (1, 2 o più).

 

Amperometri elettrodinamici

a = cost.I2

anche questo tipo permette di misurare correnti sia continue che alternate.
Sono i più accurati, essendo la classe di precisione compresa tra 0,1 e 0,3.


Amperometri a filo caldo

a = cost.I2


questo tipo di amperometro, essendo l’angolo di deviazione proporzionale al quadrato della corrente, permette di misurare correnti sia continue che alternate. La classe di precisione va da 0,5 a 3.

Per misurare la corrente che percorre un circuito elettrico occorre interromperlo e tra i due punti d’interruzione inserire un amperometro che, così, viene anch’esso attraversato dalla stessa corrente circolante nel circuito: un amperometro deve sempreessere inserito in questo modo. Tale modo di inserzione viene detto in serie.
Negli strumenti in cui lo spostamento dell’indice è proporzionale al quadrato della corrente che li attraversa la scala di lettura è quadratica.


lineare

 

quadratica

 
AMPEROMETRO: RESISTENZA INTERNA E AUMENTO DELLA PORTATA

Uno strumento di misura dell’intensità di corrente che attraversa un ramo di circuito deve permettere non solo il passaggio di tale corrente ma deve anche modificarne il valore quanto meno possibile.
Analogamente a quanto detto per i galvanometri, anche un amperometro presenta una resistenza interna ra dovuta, per esempio nel caso del tipo a bobina mobile, alla resistenza ohmica delle n spire di filo della bobina.
Come abbiamo detto, lo strumento viene inserito in serie nel ramo del circuito in cui si vuole misurarne la corrente. Esso deve opporre la più piccola resistenza alla corrente e quindi la sua resistenza interna ra deve essere piccola in confronto alla resistenza del ramo di circuito considerato, in modo che sia trascurabile la d.d.p. V (zero nel caso di uno strumento ideale) che si crea ai suoi capi per effetto del passaggio, attraverso lo strumento stesso, della corrente i da misurare:

                                                   V = rai @ 0                                   (15)
Un amperometro reale si può pensare, quindi, essere costituito da un amperometro ideale A (avente resistenza interna nulla) con in serie una resistenza di valore ra .

Simbolo di un amperometro reale:

 

ra         A

 

 

Comunemente negli schemi dei circuiti viene disegnato solo il simbolo A in quanto viene supposta trascurabile la resistenza ra .

Solo nelle condizioni della (15) l’errore sistematico introdotto dall’inserzione dello strumento si può ritenere trascurabile.


E’ possibile aumentare la portata if.s. di un amperometro o di un galvanometro facendo passare nello strumento una frazione 1/n della corrente i da misurare e la rimanente parte (n-1)/n in una resistenza rs (detta shunt o derivatore) collegata in parallelo allo strumento.


Analizzando il circuito possiamo scrivere:

i = ia + is

ra ia = rs is

dalle quali si ricava:         rs = ra ia/ is = ra(ia/i - ia) = ra/[(i/ ia) - 1]

che, ponendo   i/ ia = n (³1),   può essere scritta     rs = ra/(n-1) .
In queste condizioni, quando ia = if.s. (ricordiamo che è la portata dello strumento A) la  corrente i  che  attraversa  il  parallelo  delle  due resistenze  ra  e  rs vale:
i = n if.s. = If.s.

If.s. rappresenta il nuovo fondo scala dello strumento A derivato con rs.

 

Esempio

Portata dello strumento A pari a 1 A e vogliamo aumentarla fino a 10 A.
Si ha che n = 10 e la resistenza di shunt deve essere rs = ra/9; se invece vogliamo raddoppiarne la portata deve essere rs = ra dato che n = 1.

Facciamo notare che la resistenza equivalente delle due in parallelo ra e rs è uguale a ra/n e, quindi, come abbiamo trovato, in essa circola una corrente n volte più grande di quella che attraversa ra .


MOTO  DELL’EQUIPAGGIO  DI  UN  GALVANOMETRO

L’angolo a di cui ruota la bobina di un galvanometro al passaggio di una corrente varia in funzione del tempo. Il moto dell’equipaggio mobile deve soddisfare la seconda legge della dinamica. Ne segue che, in ogni istante, il prodotto del suo momento d’inerzia J (rispetto all’asse di rotazione) per la sua accelerazione angolare d2a/dt2 è uguale alla somma algebrica dei momenti delle forze a cui è sottoposto l’equipaggio mobile:

                                                                               (16)

I momenti agenti sono:

-   una coppia deviatrice di momento  ki
(k = nSB, n = numero di spire della bobina di superficie S, B= induzione magnetica del campo in cui è immersa la bobina);

-   una coppia elastica di richiamo il cui momento vale  -Ca
( C = costante di torsione del filo cui è appesa la bobina, il segno meno indica che la coppia tende a riportare a verso il valore zero);
una  coppia di smorzamento di  momento   -b1da/dt   proporzionale  alla  velocità  angolare (il segno meno indica che essa ostacola il moto: la bobina, infatti, è frenata dall’attrito dell’aria in cui essa si muove).

Possiamo, allora, scrivere l’equazione (16) come:

                          Jd2a/dt2 = ki - Ca - b1da/dt                                      (17)

Quando una bobina si muove entro un campo magnetico essa, se chiusa su una resistenza R, viene percorsa da una corrente ii (detta indotta) dovuta al fenomeno dell’induzione magnetica, il cui valore è dato da:

                                   ii = - (1/R)(dFB/dt)                                            (18)

essendo FB = nSBa = ka il flusso del vettore B attraverso le n spire della bobina di superficie S.

Tenuto conto che dFB/dt = (dFB/da)(da/dt) = kda/dt, la (18) diventa:

                                     ii = - (1/R)k(da/dt)                                         (19).

Facciamo notare che R = R1 + rg somma della resistenza esterna R1 su cui viene chiuso il galvanometro e della resistenza della bobina (= resistenza interna rg del galvanometro).
A causa dell’induzione magnetica, la corrente i che compare nella (17) non è solamente quella ix che si vuole misurare ma ad essa si aggiunge, col suo segno, anche quella indotta ii , per cui la (17) deve essere scritta come:

Jd2a/dt2 + b1da/dt + Ca = ki = k(ix + ii)

che, tenendo conto della (19), si scrive:

Jd2a/dt2 + b1da/dt + Ca = kix - (k2/R)(da/dt)

cioè                 Jd2a/dt2 + (b1 + k2/R)da/dt + Ca = kix

che, indicando con   b = b1 + k2/R  il coefficiente di smorzamento, dà la seguente equazione differenziale non omogenea del secondo ordine a coefficienti costanti:

                        Jd2a/dt2 + bda/dt + Ca = kix .                                     (20)

In genere, l’attrito dovuto all’aria è molto piccolo in confronto a quello  magnetico originato dal fenomeno dell’induzione magnetica:   b1 << k2/R   per  cui  b @ k2/R  e lo smorzamento del moto dell’equipaggio è dovuto essenzialmente alle correnti indotte.

Il secondo membro della (20) può essere una costante, eventualmente uguale a zero, oppure una funzione del tempo. Supponiamo che per t < 0 sia ix = 0 mentre per t > 0 sia ix = io = cost.
La soluzione della (20) si ottiene risolvendo l’equazione caratteristica della sua omogenea associata:

                                         Jm2 + bm + C = 0                                       (21)

la quale ha radici date da:     m1,2 = -(b/2J) ± [(b/2J)2 - C/J]1/2
(22)
e discriminante  D = (b/2J)2 - C/J = (k2/2RJ)2 – C/J.

A seconda che il discriminante D è minore, uguale o maggiore di zero, l’equazione oraria del moto assume tre differenti forme che danno luogo  a tre possibili tipi di moto.

La figura mostra l’andamento dell’equazione oraria del moto nel caso       D < 0 (debole smorzamento), della sua derivata (velocità angolare) e della curva di smorzamento. Come si può notare l’elongazione del moto è massima laddove la velocità è nulla, come deve essere. Essa è rappresentata da una sinusoide la cui ampiezza decresce esponenzialmente con il tempo fino al valore ao : il moto è sinusoidale smorzato esponenzialmente, detto anche pseudo-periodico.

 


Se, una volta che l’equipaggio del galvanometro ha raggiunto la  posizione di equilibrio ao , si toglie la corrente aprendo il circuito, esso ritorna a zero effettuando una serie di oscillazioni smorzate attorno ad a = 0.

Nel caso D > 0 (forte smorzamento) l’equipaggio mobile si avvicina alla sua posizione  di equilibrio ao in modo approssimativamente esponenziale. L’equazione oraria mostra un andamento aperiodico  del moto.
Questo caso viene sempre evitato nell’uso di un galvanometro in quanto la lentezza con cui l’indice si avvicina al valore d’equilibrio allunga inutilmente il tempo di misura ed inoltre facilita la possibilità che gli attriti possano fermarlo prima che esso la raggiunga.

Il caso D = 0 (limite fra i due precedenti) si ha per un particolare valore di R = Rc che rende nullo il discriminante (si ricordi che D = [(k2/2RJ)2 – C/J] e questo valore costituisce la resistenza critica Rc del galvanometro.
Il moto si dice aperiodico critico. La posizione di equilibrio viene raggiunta in modo quasi esponenziale senza mai oltrepassarla. Il tempo necessario a che a differisca da ao di una quantità Da minore di una frazione assegnata di ao (per esempio Da = ao/1000) è molto più piccolo che nei due casi precedenti. Proprio per questa circostanza, un galvanometro viene in genere utilizzato chiudendolo sulla sua resistenza critica Rc .

La figura mostra i tre tipi di moto calcolati per un galvanometro, attraversato da una corrente di 10-6 A, avente le caratteristiche seguenti:

          To=3 s;          rg=50 W;          Rc=400 W;          k=3,8.10-3 Wb;

                         C=3,8.10-8 N.m/rd;               J=9.10-9 kg.m2.

La resistenza su cui è chiuso il galvanometro è R = 1500 W ed R = 150 W rispettivamente per il moto pseudo-periodico e per il moto aperiodico. Nel caso del moto aperiodico critico è R = Rc = 400 W.

Le relazioni tra i principali parametri di un galvanometro sono le seguenti:

C = RcTo/ps2         J = RcTo3/4p3s2       Fmax = RcTo/ps = nSB

avendo indicato con s = J/i la sensibilità amperometrica dello strumento.


Per lo stesso galvanometro viene riportato nella figura seguente il tempo necessario affinchè  si abbia Da = 10-3ao. Come si vede questo tempo è minimo per R = Rc.
 

MISURA  DELLA  RESISTENZA  CRITICA  E  DEL  PERIODO

 

Si adopera il circuito mostrato in figura.

 

 

Si studia il moto dell’equipaggio mobile per valori diversi di R1 e in corrispondenza della fase di ritorno a zero di esso.
Si parte da R1 massimo e si chiudono i tasti T1 e T in modo che l’equipaggio si allontani dalla posizione corrispondente ad i = 0. Si apre, quindi, il solo tasto T e si aspetta che l’equipaggio ritorni a zero mediante un moto oscillatorio attorno a questa posizione.
Per tentativi, diminuendo ogni volta R1, si fa in modo che il ritorno a zero avvenga con moto aperiodico (senza oscillazioni attorno allo zero): il primo valore di R1 per il quale accade ciò fornisce la resistenza critica Rc

Rc = R1 + rg

Con lo stesso circuito si può misurare il periodo di oscillazione tenendo sempre aperto il tasto T1 e lanciando una corrente nel galvanometro con la chiusura del tasto T. Si apre, quindi, T; in questo modo il circuito galvanometrico è aperto, cioè R = ¥.
Contando il numero di oscillazioni attorno alla posizione di zero e misurando con un contasecondi il tempo nel quale esse avvengono si può determinare sperimentalmente il periodo di oscillazione e confrontarlo, noti J e C, con quello teorico di un moto oscillatorio non smorzato,dato da:

T = To = 2p(J/C)1/2.


MISURA  DELLA  RESISTENZA  INTERNA  E  SENSIBILITA’

 

 

Le resistenze R~1MW, R1=1¸2W, R2=10¸103W sono resistenze campione.
La corrente ig che circola nel galvanometro G è data da:

ig = ER1/[R(R2+rg+R1)+(R2+rg)R1] @ ER1/R(R2+rg)

dato che le resistenze vengono scelte in modo che R >> R1 e (R2+rg).
Effettuando due misure per due diversi valori di R2 (R2’ ed R2”) , il rapporto k fra le due correnti (ig’ , ig”) ottenute è uguale al rapporto fra le deviazioni (n’ , n”) dell’indice sulla scala:

k = ig’/ ig” = n’/n” = [ER1/R(R2’+rg)][ R(R2”+rg)/ ER1] = (R2”+rg)/ (R2’+rg)

dalla quale si ricava:

rg = (kR2’- R2”)/(1-k)

con una buona precisione purchè K sia molto diverso da 1 e (R2’, R2”) siano confrontabili con rg .

Con lo stesso circuito si può misurare la sensibilità amperometrica che abbiamo definita come:

sA = n/ig

Facendo passare una corrente ig attraverso il galvanometro, il suo indice devia di n divisioni della scala, per cui:

sA = n/ig = nR(R2+rg)/ER1

nota o misurata la E.

 

PARAMETRI DI COSTRUZIONE DI UN GALVANOMETRO

 

Con le caratteristiche misurate Rc , rg , To , sA si possono calcolare, non con grande precisione, i parametri seguenti:

costante elastica di richiamo                    C = RcTo/psA2

momento d’inerzia equipaggio mobile    J = RcTo3/4p3sA2

flusso massimo concatenato                    Fmax = RcTo/psA = k

coefficiente di smorzamento                    b = k2/(Rc+rg)


MISURA  DELLA  CARICA  ELETTRICA

GALVANOMETRO  BALISTICO

Supponiamo che un galvanometro a bobina mobile, avente periodo di oscillazione To ed inizialmente in condizioni di riposo, sia attraversato in un intervallo di tempo brevissimo t << To da una corrente variabile ix che trasporta durante il tempo t una carica totale Q.

L’equipaggio mobile subisce un impulso e si può dimostrare che la sua prima elongazione massima, il cui valore dipende dalla resistenza su cui è chiuso il galvanometro, è proporzionale a Q.

Un galvanometro può , così, essere utilizzato per misurare quantità di carica: si dice che il galvanometro è usato come balistico.

Il moto può essere studiato partendo dall’equazione (20), moltiplicandone tutti i termini per dt e poi integrandoli tra t = 0 e t = t (@ 0). Si ha:
t                                      t                                  t                    t 
Jòo(d2a/dt2)dt + bòo(da/dt)dt + Còoadt = kòoixdt               (23)
t
la quale dà:           J[da/dt]ot + b[a]ot + Còoadt = kQ .

Per gli istanti successivi a t (ix = 0) l’equazione del moto (20) si riduce alla:

                            J(d2a/dt2) + b(da/dt) + Ca = 0                              (24)

e si può prendere l’istante t come uguale a zero.

 


Consideriamo i due più comuni casi di uso balistico di un galvanometro caratterizzati da due differenti valori dello smorzamento cioè da due differenti valori della resistenza su cui si chiude lo strumento.

 

a) Smorzamento molto piccolo (b @ 0 ® R @¥).

L’equazione (24) si riduce alla:

                                            J(d2a/dt2) + Ca = 0   

che è l’equazione dell’oscillatore armonico la cui soluzione sappiamo essere del tipo:

a = A sen(bt + j)

con A , j costanti da determinare in base alle condizioni iniziali del moto e b costante dipendente dalle caratteristiche del galvanometro.

L’ampiezza del moto vale:  

amo = (k/Jb)Q µ Q                        (25)

e risulta proporzionale alla carica Q che ha attraversato il galvanometro.

 

b) Smorzamento critico (b = bc ® R = Rc).

L’equazione del moto è la (24) e la sua soluzione, tenendo conto che ao=0 perché ix = 0, è data dalla:

a = b*texp(-at)

con a costante dipendente dalle caratteristiche del galvanometro e             b* = kQ/J.
L’elongazione massima amc vale:

amc = [(1/e)(k/Ja)]Q µ Q       (e = 2,71….)                (26)

anche in questo caso proporzionale alla carica Q che ha attraversato il galvanometro.

In entrambi i casi abbiamo trovato che la carica Q che ha attraversato il galvanometro risulta proporzionale ad am . Ma am è anche proporzionale alla deviazione n, per cui si può scrivere:

Q = KBn

la costante di proporzionalità KB viene detta costante balistica ed è definita come:
KB = Q/n .

Si trova anche che:   

                                         amo/amc = e         (e = 2,71….)            (27)

e poiché am è proporzionale alla deviazione n dell’indice luminoso, è anche :

                                         no/nc = e                                              (28)

Nel caso di smorzamento critico la sensibilità, dalla (27), risulta, quindi,  2,7 volte minore che nel caso di smorzamento nullo.

Poiché, come abbiamo visto, am ed n sono funzioni dello smorzamento anche KB lo sarà.
Per i due casi particolari esaminati prima, possiamo scrivere:

a)    b = 0    quindi  R = ¥       e       KB = KB¥ = Q/no ;

b)    b = bc  quindi   R = Rc      e      KB = KBc = Q/nc

Da queste si ricava che   KBc = e KB¥ > KB¥    o, in altre parole, al crescere della resistenza R la costante balistica KB diminuisce tendendo asintoticamente a  KB¥   mentre la sensibilità balistica aumenta.

Oltre che per misure di quantità di carica, un galvanometro balistico può essere impiegato anche per determinare campi magnetici attraverso la misura della carica prodotta per induzione magnetica.

La figura mostra la deviazione di un galvanometro tipo KN90 usato nel modo balistico nelle esperienze di laboratorio per la misura della carica accumulata sulle armature di un condensatore carico.
Il galvanometro ha le seguenti caratteristiche:

   Rc = 100 W;      rg = 14 W;      T = 2 s;      sB¥ = (KB¥)-1 = 50 mm/mC;  
   sA = KA-1 = 23 mm/mA;          distanza specchietto-scala   m = 0,4 m;  
   J = 1,63.10-8 Kg.m2.

Come  si  può  notare  la  deflessione  massima  no  a smorzamento nullo (R = ¥) è pari a e volte quella  nc  a smorzamento critico (R = Rc).



MISURA  DELLA COSTANTE BALISTICA

Si determina facendo attraversare il galvanometro da una quantità di carica nota Q ottenuta mediante la scarica di un condensatore di capacità nota C caricato ad una d.d.p. nota V. La fig. mostra il circuito utilizzato.

 

Applicando la legge di Ohm al circuito, istante per istante, possiamo scrivere:

RiR = rgig

dalla quale, poiché ovviamente è iT = ig + iR = ig + rgig/R = (R+rg)ig/R , si ricava:

ig = [R/(R + rg)]iT

che, integrata rispetto al tempo da 0 ad ¥ (in pratica su un intervallo di tempo maggiore della durata della scarica che si può prendere pari a 10t @ 10 rgC), fornisce la carica q che ha attraversato il galvanometro:

q = [R/(R + rg)]Q = [R/(R + rg)]CV

Si ha , quindi: 

KB = q/n = [R/(R + rg)]CV/n

la quale, nel caso che  R >> rg , si riduce alla:      

KB = CV/n

Se per R si sceglie un valore tale che  R + rg = Rc , con Rc la resistenza critica dello strumento ed rg la sua resistenza interna, ambedue fornite dal costruttore o misurate, la costante balistica così determinata KBc viene detta critica.
Se si sceglie R = ¥, si misura la costante balistica KB¥ a smorzamento (quasi) nullo.


MISURA  DELLA  TENSIONE  ELETTRICA

Se si vuole misurare la d.d.p. tra due punti A e B di un circuito, bisogna inserire lo strumento di misura (chiamato voltmetro) in parallelo a questi due punti.

L’inserzione dello strumento fra A e B deve modificare quanto meno possibile la d.d.p. esistente fra di essi e quindi esso deve avere una resistenza interna la più grande possibile (infinita, per un voltmetro ideale) o almeno parecchie volte più grande della resistenza “vista” dai due punti.

Per illustrare ciò, prendiamo in esame il semplice circuito di figura:

 

per il quale, col voltmetro disinserito, si ha:       

              VA – VB = V = VoR2/(R1 + R2)                                         (29)

La d.d.p. misurata inserendo lo strumento può risultare notevolmente diversa da quella ricavata dalla (29) poiché l’inserzione cambia la resistenza totale in serie ad R1 (non più R2 ma il parallelo di R2 ed rv).

 

La d.d.p. fra A e B, in tal caso, è data da:

VA – VB = V’ = íVo/[R1 + R2rv/(R2 + rv)]ý[R2rv/(R2 + rv)] =

                       = VoR2/[(R1R2/rv) + (R1 + R2)]

che approssima la (29) tanto più quanto più grande è rv rispetto ad R2 .

 

Esempio

1)    Vo = 10 volt               R1 = 60 W              R2 = 40 W             rv = ¥

V = 10*40/(60 + 40) = 4 volt

 

2)    Vo = 10 volt              R1 = 60 W              R2 = 40 W             rv = 1000W

V’ = 10*40/(2,4 + 100) = 3,91 volt

 

3)    Vo = 10 volt               R1 = 60 W              R2 = 40 W             rv = 400W

V’ = 10*40/(6 + 100) = 3,77 volt

 

4)    Vo = 10 volt               R1 = 60 W              R2 = 40 W             rv = 40W

V’ = 10*40/(60 + 100) = 2,5 volt


VOLTMETRO  AD  ASSORBIMENTO

E’ costituito da un milliamperometro od un microamperometro di resistenza interna ra e di portata if.s. con in serie una resistenza R di valore elevato.

 

voltmetro

Perché il milliamperometro con in serie la resistenza R sia attraversato da una corrente pari ad if.s. , si deve applicare tra A e B una d.d.p. uguale a:

                                Vf.s. = if.s.(R + ra)                                       (30)

Vf.s. costituisce la portata del voltmetro.

Se tra A e B applichiamo una d.d.p. V < Vf.s. , il milliamperometro sarà attraversato da una corrente:

i = V/(R + ra) = kV

proporzionale alla tensione applicata V.

 

Esempio

Supponiamo di voler costruire un voltmetro di portata Vf.s. = 10 V utilizzando un milliamperometro avente una if.s. = 1 mA ed una resistenza interna ra = 50 W. La resistenza R da mettere in serie al milliamperometro si deduce dalla:

R + ra = Vf.s./if.s. = 10/10-3 = 104 W

La bontà di un voltmetro ad assorbimento è caratterizzata dall’inverso della portata if.s. del misuratore di corrente con cui viene costruito, cioè, ricordando la (30), da:

1/if.s. = (R + ra)/Vf.s.

e si esprime in W/V. Nell’esempio trattato, abbiamo:

1/if.s. = 104/10 = 1000 W/V

che è 5 volte peggiore di un voltmetro che ha 1/if.s. = 5000 W/V.

L’utilizzo di un voltmetro per misurare tensioni alternate dipende dal tipo di misuratore di corrente usato nella sua costruzione.

E’ possibile costruire un voltmetro con più portate sostituendo la resistenza R con resistenze diverse e di valore tale da ottenere le varie portate, come in figura.

 

VA – VB = 10 Vf.s.                    R1 + ra = Vf.s./if.s. = 10/10-3 = 104 W

VA – VC = 50 Vf.s.                    R2 + ra = Vf.s./if.s. = 50/10-3 = 5.104 W

VA – VD = 100 Vf.s.                  R3 + ra = Vf.s./if.s. = 100/10-3 = 105 W

 

MISURA  DELLA  RESISTENZA  ELETTRICA

METODO  VOLT-AMPEROMETRICO

La misura di una resistenza può essere effettuata, sfruttando la sua definizione, col metodo volt-amperometrico consistente nel misurare la corrente i che la attraversa e la d.d.p. V che si instaura ai suoi capi al passaggio di tale corrente:

                                                    R = V/i                                      (31)

La misura si può  eseguire realizzando uno dei due circuiti seguenti:

 

Adoperando lo schema (A), risulta
I = i + iv = + 
da cui, ricavando Rx , si ha:

Rx  = (V/I) [rv/(rv-V/I)] = (V/I) /[1-(V/I) (1/rv)]                      (32)

Analogamente, per lo schema (B) si ha:     v = iRx + ira   da cui

                                            Rx  = (v/i) – ra                                       (33)

In queste espressioni V e v, I e i rappresentano i valori delle tensioni e delle correnti indicati dal voltmetro e dall’amperometro inseriti in ciascun circuito, mentre rv ed ra sono, rispettivamente, i valori delle loro resistenze interne.

Al tendere di rv ad infinito (rv >> Rx), dal circuito (A) si deduce che I tende ad i e dalla (32) che Rx risulta dato dalla (31), in accordo con la definizione di resistenza.

D’altra parte, dal circuito (B), al tendere di ra a zero (ra << Rx) si deduce che v tende a V e dalla (33) risulta che Rx è ancora data dalla (31).

 

OHMETRO

E’ uno strumento molto adoperato per misurare la resistenza elettrica perché di facile uso e dal risultato immediato in quanto è possibile tarare la sua scala direttamente in ohm.

Può essere realizzato in vari modi, uno dei quali è rappresentato in figura.

 

 

Se mettiamo in corto circuito i punti A e B (Rx = 0) la corrente it, erogata dalla pila di f.e.m. E, è data da:

            it = E/Rt                                                          (34)

essendo la resistenza totale del circuito Rt = R + rgRs/(rg+Rs) @ R dato che

si fa sempre R >> rg , ne segue che  it = E/R per cui ai capi delle due resistenze in parallelo rg ed Rs si stabilisce una d.d.p. V data da:

V = itrgRs/(rg+Rs) = (E/R)[rgRs/(rg+Rs)]

La corrente ig che attraversa il milliamperometro  è data (legge di Ohm) dal rapporto tra la d.d.p. V ai suoi morsetti e la sua resistenza interna rg:

ig = V/rg = (1/rg)(E/R)[rgRs/(rg+Rs)] = (E/R)[Rs/(rg+Rs)]            (35)

Scegliendo un opportuno valore di Rs, questa relazione permette, per Rx= 0 (punti A e B uniti), di ottenere la condizione ig = if.s. del milliamperometro usato. Ciò è utile perchè la f.e.m. E della batteria diminuisce con il tempo e con l’uso (perché si va scaricando) però agendo su Rs si può, entro una fissata diminuzione di E, riportare sempre lo strumento al suo fondo scala. 
Rs viene detta resistenza di azzeramento.
Se adesso, in queste condizioni, inseriamo tra i punti A e B una resistenza Rx ¹ 0, la corrente ig che attraversa il milliamperometro diminuisce e sarà:

ig = [E/(R+Rx)][Rs/(rg+Rs)]                                   (36)

e, poiché normalmente si fa Rs >> rg , si ha:

ig = E/(R+Rx)                                                       (37)          

da cui si ricava:

Rx = (E – Rig)/ig = E/ig – R = [(if.s. / ig) - 1]R       (38)

che è rappresentata da una iperbole equilatera avente come asintoti ig = 0  ed Rx = - R.
Quindi, noti i valori di E e di R e letta la corrente ig indicata dal milliamperometro, la (38) permette di calcolare la resistenza incognita Rx .


Allo stesso risultato si perviene riportando in grafico la (38) e leggendo su di esso il valore di Rx in corrispondenza della corrente ig rilevata dal milliamperometro.

 

Si può anche graduare la scala del milliamperometro direttamente in ohm utilizzando sempre la (38).

esempio
Supponiamo di voler costruire un ohmetro utilizzando un microamperometro avente una corrente di fondo scala di 100 mA e una resistenza interna di 100 W ed una comune pila da 1,5 V. Secondo lo schema studiato, l’unica cosa che occorre determinare è il valore della resistenza R. Dalla (38), ricordando che Rx = 0 quando ig = if.s. , si ha:

R = E/if.s. = 1,5/10-4 = 15 kW

Usando la (38) si può ricavare la seguente tabella di corrispondenza fra corrente misurata e resistenza incognita:
Rx (W)                                    ig (mA)
0                                            100
1000                                       93,7
3000                                       83,3
6000                                       71,4
10.000                                    60
15.000                                    50
20.000                                    42,8
100.000                                  13
¥                                       0
Notiamo che, una volta graduata in ohm la scala del milliamperometro, il valore del centro scala rappresenta proprio la resistenza R che abbiamo inserito; infatti per Rx = R la (38) dà:

ig = (1/2) E/R = if.s./2   dalla quale segue   R = E/if.s. .

Nel caso dell’esempio riportato si ha R = 1,5/10-4 = 15 kW, verificabile osservando la tabella in corrispondenza di ig = if.s./2 = 50 mA.
Se si vuole aumentare il valore del centro scala dell’ohmetro, per aumentarne la portata, occorre aumentare il valore di E inserendo altre batterie in serie e ricalcolare R.
L’incertezza sul valore di Rx , dedotta da quella Dig su ig , aumenta sempre più all’aumentare di Rx stesso fino a diventare inaccettabile. Come si vede dalla fig., infatti, al crescere di Rx i valori sulla scala graduata del suo asse si infittiscono sempre più. L’incertezza relativa DRx/Rx = e si può calcolare dalla relazione (38) espressa come Rx = [(if.s. / ig) - 1]R. Si ha:
DRx = R(if.s. / ig2)Dig  ,     quindi     e = (Dig/ig)/(1- ig/if.s.)    e  moltiplicando
numeratore e denominatore per ig/if.s.  si ottiene :

e = (Dig/if.s.)/(ig/if.s.) (1- ig/if.s.)
che è rappresentata nella fig. seguente per uno strumento di classe 1 (Dig/if.s. = 0,01). Come si vede, nel primo e nell’ultimo quarto di scala l’incertezza e assume valori rapidamente crescenti e solo nei due quarti centrali assume valori intorno al 5%. E’ conveniente allora effettuare le misure in questi due quarti centrali di scala. Nel caso non fosse rispettata questa condizione conviene cambiare portata.


           


OSCILLOSCOPIO A RAGGI CATODICI

IL  TUBO  A  RAGGI  CATODICI

La debolissima inerzia offerta dagli elettroni alle sollecitazioni cui essi sono sottoposti viene sfruttata in un dispositivo chiamato tubo a raggi catodici (CRT).
Un CRT, mostrato schematicamente in figura, è costruito inserendo all’interno di un contenitore di vetro, di forma tronco-conica e in cui è stato fatto il vuoto, un cannone elettronico, che genera un sottile pennello di elettroni, e due coppie di placchette metalliche Vx e Vy ortogonali fra di loro, parallele e simmetriche rispetto al pennello.

 

Il cannone elettronico provvede a generare un sottile fascio collimato di elettroni monoenergetici che procedendo lungo l’asse del tubo va a colpire, in assenza di sollecitazioni esterne, il centro O dello schermo costituito da un deposito di una sostanza fluorescente, detta fosforo, sulla faccia interna della base maggiore del CRT.
Il fosforo trasforma l’energia cinetica degli elettroni in luce visibile, cosicchè il punto O d’incidenza di essi appare come un puntino luminoso.
Il fascio di elettroni viene generato da un filamento percorso da corrente che riscalda un catodo ricoperto da ossidi (simile a quello di un diodo o un triodo a vuoto) a basso potenziale di estrazione, il quale emette elettroni con velocità aventi direzioni casuali ed il  cui  valore  quadratico  medio, ricordando  che  è   ue @ 3kT/2, risulta  ue ~ 105 m/s a temperature intorno a 103 °K.

La focalizzazione del fascio viene ottenuta e regolata portando a tensione negativa, rispetto al catodo, l’elettrodo di focalizzazione (di geometria opportuna) e tenendo l’anodo forato ad un’alta tensione positiva che, inoltre, accelera gli elettroni. Essi emergono  dall’anodo forato collimati e tutti con all’incirca la stessa energia, dando luogo ad una macchia visibile sullo schermo la cui luminosità può essere aggiustata variando l’intensità del fascio di elettroni ottenuta agendo sulla tensione negativa  applicata alla griglia controllo.

Poiché la tensione positiva Va applicata all’anodo è molto maggiore di quella della griglia, l’energia cinetica con cui gli elettroni fuoriescono dall’anodo forato è, praticamente, Ec = mu2/2 = eVa .  Dalla quale,  per    Va ~ 103 V, si ottiene u ~ 107 m/s molto più grande di quella ue di emissione dal catodo, per cui il fascio può essere considerato monoenergetico.

L’applicazione di una d.d.p. Vy alla coppia di placchette di deflessione verticale, la cui distanza sia d, produce una deflessione y del fascio dalla sua traiettoria rettilinea che, a distanza x minore o uguale alla lunghezza  l delle placchette, è espressa da:

y = (1/4d)(Vy/Va)x2

Quando il fascio esce dalla coppia di placchette deflettrici prosegue con moto rettilineo uniforme andando a colpire lo schermo, posto a distanza D dall’uscita di esse, in un punto P sulla verticale passante per il centro O. L’angolo a tra la direzione della traiettoria rettilinea all’uscita dalla coppia di placchette e la direzione dell’asse di esse è dato da:

tga = (dy/dx)x=l = (l/2d)(Vy/Va)

e quindi la coordinata di P sullo schermo vale:

y = (1/4d)(Vy/Va)l2 + D(l/2d)(Vy/Va) = [(l2+2lD)/4Vad]Vy = SoyVy

dove Soy rappresenta la sensibilità verticale. Nota Soy , è possibile misurare una tensione incognita Vy dalla misura dello spostamento y su una scala di riferimento tracciata sullo schermo:

                                           Vy = Soy-1y                                      (39)

con                            Soy-1 = 4Vad/(l2+2lD)                               (40)

Valori tipici delle costanti che compaiono nella (40) sono: superficie di ciascuna placchetta  A = 5 cm2 ;   d = 0,5 cm ;   l = 2 cm ;   Va = 2kV ;      D = 20 cm ; da cui si ricava  Soy-1 = 50 V/cm (e quindi Soy = 0,02 cm/V).  

Con un ragionamento analogo, fatto per le placchette di deflessione orizzontale x, si ottiene:

                                                   x = SoxVx                                (41)

Da quanto detto si deduce che ad ogni punto P di coordinate (x, y) sullo schermo è associata una coppia (Vx , Vy) di tensioni applicate alle placchette orizzontali e a quelle verticali indipendentemente.

Poiché il punto P appare come una macchia luminosa il cui diametro può essere reso minimo agendo sull’intensità e sulla focalizzazione del fascio, l’errore di lettura della coordinata è determinato da tale diametro (qualche decimo di millimetro).

 

Nei CRT dei televisori, chiamati cinescopi,viene utilizzata la deflessione magnetica sostituendo le placchette deflettrici con due bobine di deflessione aventi assi paralleli agli assi x ed y. In tal caso la deflessione è proporzionale ai campi magnetici generati dalle due bobine e quindi alle correnti che in esse vi circolano.

Se la d.d.p. applicata alle placchette non è costante ma dipende dal tempo, perché la (39) sia ancora applicabile occorre che questa d.d.p. si possa considerare costante nel tempo tt (detto tempo di transito) necessario agli elettroni per attraversare uno spazio pari alla lunghezza l delle placchette:

tt = l(m/2eVa)1/2

che, sostituendo i valori dati, vale tt @ 0,8.10-9 s (= 0,8 ns).
D’altra parte ogni coppia di placchette costituisce un condensatore piano di capacità C = eoA/d ( con i valori precedentemente forniti C = 1 pF) che viene caricato alla tensione applicata alla coppia attraverso una resistenza R (@ 1 kW). Occorre, come abbiamo visto, un tempo dell’ordine della costante di tempo t = RC (= 103.10-12 = 1 ns) perché questa tensione si stabilizzi.
In altre parole, variazioni della tensione applicata alle placchette devono avvenire in un intervallo di tempo Dt > tt,t affinchè siano rivelabili dal CRT.


IL FUNZIONAMENTO DELL’OSCILLOSCOPIO

Se ad un tubo a raggi catodici (CRT) vengono aggiunti opportuni circuiti elettronici di comando, capaci di convertire la grandezza tempo in un’altra più facilmente apprezzabile dallo sperimentatore (uno spostamento), viene realizzato uno strumento, che prende il nome di oscilloscopio a raggi catodici, che consente di effettuare misure di grandezze elettriche sia stazionarie sia rapidamente variabili nel tempo. Un tale strumento è molto utile in laboratorio.
Un oscilloscopio è schematizzato in figura. Le placchette verticali del CRT vengono pilotate mediante un amplificatore la cui amplificazione A (> o < 1), variabile a scatti, consente di cambiare la sensibilità verticale propria Soy del CRT in Sy = Soy/A. Il circuito elettronico dell’amplificatore presenta un suo tempo di risposta che, con i due tempi tt e t esaminati nello studio del tubo a raggi catodici, contribuisce a determinare la prontezza dello strumento.
Le placchette orizzontali vengono comandate da un circuito che genera una tensione a denti di sega,di periodo T selezionabile a scatti, espressa da:
Vx(t) = kt        per       -T/2 £ t £ T/2
e, ricordando la (41)  x = SoxVx , sostituendo si ottiene:                          

x(t) = Soxkt = Kt .

In questo modo si è trasformata la variabile tempo nella variabile x. Sullo schermo dell’oscilloscopio si vede il puntino luminoso spostarsi, lungo l’orizzontale, con velocità  K costante da un estremo all’altro. Se tale velocità, detta di spazzolamento, è opportuna, per il fenomeno della persistenza delle immagini sulla retina, la traccia luminosa appare continua e costituisce l’asse del tempo di un grafico in cui appare in ordinata il valore istantaneo della   tensione  applicata   contemporaneamente  alle   placchette  verticali tramite l’ingresso y. Il ritorno del pennello di elettroni dall’estremo destro dello schermo a quello sinistro in realtà avviene in un tempo non nullo, per cui è necessario un circuito elettronico che, durante questo tempo,  provvede al temporaneo spegnimento del fascio applicando una tensione opportuna alla griglia del cannone elettronico.


Un oscilloscopio è uno strumento molto versatile che consente di visualizzare la forma del segnale inviato al suo ingresso verticale e di misurarne caratteristiche quali l’ampiezza, la frequenza, la durata, etc.

 

 

Oscilloscopio a raggi catodici


MISURE CON L’OSCILLOSCOPIO

1) Misure di fase. Impieghiamo l’oscilloscopio per misurare il modulo dello sfasamento j = jy - jx tra due tensioni di uguale frequenza e dipendenti sinusoidalmente dal tempo:

Vx(t) = Vxsen(wt+jx)      e      Vy(t) = Vysen(wt+jy).

Le due d.d.p. sinusoidali vengono applicate una all’asse x (ingresso asse x esterno) e l’altra all’asse y (ingresso y), ottenendo:

                x(t) = SxVx(t) = SxVxsen(wt+jx) = Xsen(wt+jx)
(42)
y(t) = SyVy(t) = SyVysen(wt+jy) = Ysen(wt+jy)

con     X = SxVx     e       Y = SyVy .
Poiché  jy = j + jx , sostituendolo nella seconda delle (42) otteniamo:

                                      y(t) = Ysen[(wt+jx) + j]

che, sviluppata dà:        y(t) = Y[sen(wt+jx)cosj + cos(wt+jx)senj]

e dato che   sen(wt+jx) = x(t)/X ,  sostituendo si ha:

                 y(t) = Y[(x(t)/X)cosj + cos(wt+jx)senj] ,    che si può scrivere

[y(t)/Y - (x(t)/X)cosj]2 = cos2(wt+jx)sen2j = [1 – sen2(wt+jx)]sen2j

cioè                  [y(t)/Y - (x(t)/X)cosj]2 = [1 – (x(t)/X)2] sen2j

dalla quale si ricava l’equazione della traiettoria della traccia luminosa sullo schermo:

x2(t)/X2 + y2(t)/Y2 – (2x(t)y(t)/XY)cosj  =  sen2j                     (43)

Questa equazione rappresenta un’ellisse con centro nell’origine delle coordinate (centro dello schermo) ed il cui asse maggiore sta nel I e III quadrante quando cosj >0, nel II e IV quadrante quando cosj <0.


Esaminiamo alcuni casi particolarmente interessanti.
1) Sfasamento j generico.                                             Y
L’equazione (43) dà:                                                y*

per x(t) = 0               y*/Y = çsenj ç                                                  x*  X      x
per y(t) = 0               x*/X = çsenj ç

e l’una o l’altra ci consente di misurare il modulo dello sfasamento j. Il
segno lo si può ricavare solamente dal verso di percorrenza dell’ellisse.
Se il verso di percorrenza è orario allora senj>0; se il verso è antiorario
risulta senj<0.
2) Sfasamento j = 0. 
La (43) si riduce a      [(x(t)/X) – (y(t)/Y)]2 = 0 ,        da cui
y(t) = (Y/X)x(t)      riproducente un segmento passante per l’origine e
avente pendenza positiva, dato che cosj>0.
3) Sfasamento j = ±p. 
La (43) si scrive come    [(x(t)/X) + (y(t)/Y)]2 = 0      da cui
y(t) = - (Y/X)x(t)     che  rappresenta  un  segmento  passante  per
l’origine  e avente pendenza negativa poiché cosj<0.
4) Sfasamento j = ±p/2. 
L’equazione (43) diventa         [x(t)/X)2 + (y(t)/Y]2 = 1
e rappresenta un’ellisse con gli assi sovrapposti  a  quelli  coordinati.
Nel caso in cui     X = Y ,  l’ellisse  diventa  un  cerchio  con  centro
nell’origine e raggio uguale a X.
 

 


2) Oscillogramma delle caratteristiche di un diodo a giunzione e di un  transistore. Con i due circuiti mostrati nelle figg. si possono visualizzare le caratteristiche di un diodo a semiconduttore e di un transistore. Nello schema a) una tensione proporzionale alla corrente Id del diodo viene inviata all’asse y dell’oscilloscopio mentre l’asse x è comandato dalla tensione Vd ai capi del diodo.
Nello schema b) l’asse y è comandato da una tensione proporzionale alla corrente di collettore Ic del transistore mentre all’asse x viene inviata la tensione tra collettore ed emettitore Vce , parametro la corrente Ib di base.

 

Fonte: http://www.lemur.it/Sissis/LabFisicaDiBase_vs03.doc

Sito web da visitare: http://www.lemur.it/

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