Pascoli retorica

Pascoli retorica

 

 

 

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Pascoli retorica

Giovanni Pascoli introduzione
Giovanni pascoli rappresenta un poeta di transizione nella cultura italiana, passaggio tra contunuità e innovazione, fra 800 e 900. La sua scrittura attinge dalla tradizione ma ne testimonia la crisi e apre la strada ai movimenti sperimentali europei (simbolismo). Pascoli affida le sue dichiarazioni in un libro molto importante (fanciullino, metafora, la poetica è la capacità dei bambini davanti alle cose), la metafora del fanciullino. Il bambino si stupisce davanti alle cose, negli adulti tale capacità è represse tranne che nel poeta, questa capacità di stupirsi viene presa come forma di conoscenza irrazionale eintuitiva.
Il compito del poeta non è inventare perché tutto ciò che c’è da sapere sono già intorno a noi, ciò che è importante sta nelle cose. Sul piano ideologico questo discorso è il rifiuto delle idee positivistiche, rifiuto della ragione come strumento di conoscenza della realtà, dal punto di vista formale questo è scardinamento delle strutture sintattiche metriche e liriche delle forme tradizionale.
Vita
Nasce nel 1855 in romagna, a S.Mauro di romagna. Egli è il quarto di 8 figli, la famiglia è benestante, il padre è amministratore dei Torlonia. Nel 1867 pascoli ha 12 anni, il padre di ritorno da una fiera è ucciso a tradimento, l’assassino non sarà mai trovato, fucilato. Questa tragedia incide sulla vita e sullo sviluppo di Pascoli. Stenti economici senza il padre. L’anno dopo lasciano la tenuta, molti altri lutti in famiglia, sorelle madre e fratelli.
Prosegue gli studi grazie a borse di studio, liceo a urbino e rimini, si iscrive a lettere (bologna), l’esame per la borsa di studio lo da davanti a giosuè carducci. Nel 1876 perda la borsa di studio a causa di una partecipazione ad una manifestazione (contro il ministero della pubblica istruzione) e questo lo costringe a lasciare l’università.
Comizi, prima internazionale, idee anarco-socialiste, manifestazioni, queste attività gli costano 3 mesi di carcere. Esperienza traumatica che lo portano a cambiare idee politiche, da socialismo organizzato a idea socialista basata sull’idea della fratellanza e della solidarietà fra le classi.
Riprende gli studi e si laurea nel 1882. Insegna latino e greco in diversi licei d’Italia, ricostituisce con le sorelle Ida e Maria la famiglia e si trasferiscono a Castelvecchio di Barca a Lucca e vivrà lì per sempre, fa da figura paterna e le donne da madri.
Nel 1891 esce la prima edizione della sua opera (Myricae che significa Tamerici, umile pianta campestre). Nel 1892 vince il concorso di poesia latina ad Amsterdam. Nel 1895 è nominato professore di letteratura nell’università a bologna, poi a messina e a Pisa. Pubblica i “poemetti” e i “canti di castelvecchio” e infine i poemi “conviviali”, raccolte poetiche. Nel 1896 definitivo all’università di bologna sulla cattedra di Carducci. Ultimi anni ispirati ad un vago patriottismo, nazionalismo, nel 1911 celebra l’impresa di Libia con “la grande proletaria si è mossa”, sostiene la guerra per celebrare l’italia. Muore nel 1912.
Pascoli segna una svolta fondamentale nel processo di rinnovamento stilistico tra 800 e 900, in consonanza con il crollo dei miti del positivismo la sua poetica introduce al simbolismo, ha delle componenti contradditorie perché ha componenti dell’una e dell’altra corrente. Si è formato con una cultura classica, formazione classicista. Per questo poesia come concezione dell’ignoto.
Da una parte pascoli è poeta dei bozzetti umili e delle piccole cose, questi umili contenuti legati ad una cultura naturalista sono elevati e visti come simbolo della realtà che si cela dietro le apparenze. Cioè assumono valore simbolico, (aratro simbolo della solitudine tra le immagini in cui è rappresentato, tuono, rondine, dietro la realtà c’è un’altra).
Lessico
Fu definito da un critico: “rivoluzionario” nella tradizione. È il primo che consapevolmente scrive in modo antipetrarchesco, la lingua di petrarca al contrario di quella di dante è media, che viene utilizzata fino a Leopardi. Pascoli oppone un lessico preciso e tecnico (nomi degli arbusti, degli uccelli, degli animali) aperto al dialetto e ai termini stranieri.
Metrico
Rompre anche qui la tradizione petrarchesca. Pascoli inventa versi ricchi di risonanze, di onomatopee, pause, spazi bianche, enjambement (la pausa ritmica [metrica] e la pausa sintattica non corrispondono, figura che allunga e distende il verso). Il verso viene manipolato e arricchito.

Fanciullino, prosa Il manifesto che esprime la contradditorietà del poeta. Gli uomini comuni diventando adulti perdono la sensibilità dell’infanzia. Il passaggio consapevole da infanzia ad adulti è sempre più legato alla logica e razionale e rigido. L’intento di Pascoli è retrocedere ad un linguaggio infantile, dove il suono assume maggiore forza e significato, il poeta fanciullo vede tutto con meraviglia e “parla alle bestie”, piange e ride senza un perché, scopre legami inconsueti tra le cose, rimpicciolisce per poter vedere e ingigantisce per poter ammirare. La poesia come ricordo del momento magico dell’infanzia non inventa nulla ma scopre nelle cose quotidiane gli echi dell’interiorità e le inquietudini della coscienza. Da una parte viene valorizzata la realtà concreta, dall’altra privilegia lo sguardo simbolico (il poeta è colui che sa cogliere il mistero che avvolge la realtà).
Poesia:
La poesia proprio perché è spontanea e disinteressata può ottenere effetti di suprema utilità sociale, il poeta ha le caratteristiche del veggente (intuisce il valore profondo delle cose) e per questo motivo ha dei tratti di superiorità e il poeta ricopre anche il ruolo di poeta vate. Questa idea di poeta vate fornisce una funzione pedagogica, cioè egli svela agli uomini la verità, avendo la capacità di vedere l’essenza delle cose può svelare agli uomini la verità. Questa è l’altra faccia esatta del superomismo dannunziano. Comprende in sé tutte le cose, tutta la realtà, panismo che rivela l’essenza di tutte le cose.
Pascoli si identifica con il fanciullino, egli riduce al minimo dentro di sé le sue caratteristiche umane e adulte tornando bambino, egli trova una verità e una rivelazione differente rispetto alla visione di poeta vate di d’Annunzio. In ogni caso rimane il ruolo centrale del poeta.
Sera d’ottobre
Analisi poesia:

  • Parafrasi, esaminare la poesia nel suo linguaggio, normalizzandolo e rendendolo in linguaggio corrente, sul piano sintattico e lessicale (molte volte viene usato l’iperbato che cambia l’ordine) e scioglie le figure retoriche. parafrasi denotativa (solo tradurre) o connotativa (arricchimento e spiegazione più approfondita, elementi di interpretazione).
  • commento

Argomento generale: descrizione malinconica di un paesaggio autunnale, campagna,
serie di immagini:

  • siepi con bacche
  • mucche che tornano nelle stalle
  • viandante
  • ragazza che canta spensierata

normalizzazione lessicale:

  • lessico: compaiono termini poco comuni, tipici del linguaggio figurato. sintattico: inversioni di parole.
  • ridere a mazzi = bocche che ridono
  • presepe = stalla
  • foglie stridule = foglie calpestate
  • intuona = intona
  • fiori di spina = canto popolare
  • tarde = lente

normalizzazione sintattica:

  • rimettere a posto la forma del periodo perché possono esserci iperbati

commento

  • introduzione
    • indicazione dell’autore
    • brevi notazioni biografiche
    • precisare l’opera di cui la lirica fa parte e qualche informazione
    • specificare in modo sintetico il tema, argomento della poesia
  • analisi del significato
  • analisi del significante

2) pascoli esponente italiano del simbolismo, scrive questa poesia e la mette nella sua prima opera Myricae, che significa tamerici, piccolo e umile arbusto, come le poesie che raccoglie. Sono raffigurati in toni umili ambienti dimessi. L’argomento generale della lirica è, attraverso diverse immagini suggestive, è descrivere una serata autunnale in campagna.
Lieta energia (ridere, vermiglie, intuona, fanciulla, vento) trasmessa, altri termini trasmettono stanchezza e tristezza (lento, povero, tarde, trascina), questa è una contrapposizione semantica che viene sottolineata dal canto popolare “fiori di spina” che è anch’esso un ossimoro. Grazie a questa alternanza di immagini si crea un’atmosfera di quieta e serena malinconia, data dall’incedere lento delle mucche e del viandante, e dall’alta parte ci sono le bacche ridenti e il canto della ragazza. L’io lirico si rivolge ad un interlocutore indistinto e si crea un clima di complicità ma è anche presente l’idea di universalità del messaggio poetico.
Avvicendamento di sensazioni visive che sono prevalenti nella prima strofa, siepi, mucche bacche, nella seconda strofa prevalgono sensazioni uditive, stridulo delle foglie e canto della ragazza. Le sfere sensoriali si fondono nella metafora “ridere a mazzi le vermiglie bacche”, suono delle risate accostate alla vista del rosso intenso.
3) la poesia è composta da due strofe di tre endecasillabi e un quinario, secondo lo schema ABAB. La musicalità è data da alcuni termini mazzi campi arati, assonanza e anche tarde vacche, altra assonanza, povero lento. La musicalità si accentua con le alliterazioni della lettera R verso 3 e 6. Le cesure e gli enjambement, più ce ne sono più il ritmo della poesia diventa pacato, lento. Iperbati sono verso 2, Verso 4 , verso 5 verso 7.

Myricae:
raccolta poetica del 1891, ultima edizione nel 1911. Titolo latino che tradotto in italiano è tamerici. Pianta reale, arbusto umile che crescono nei giardini. Questa pianta compare anche nelle Bucoliche Virgilio (altre opere: Eneide, Bucoliche e Georgiche), in particolare compare nell’epigrafe del libro (le poche parole di anticipazione), tale epigrafe dice: “arbusta iuvant humilesque myricae”, che significa “piacciono gli arbusti e le umili tamerici”. L’opera parla delle cose umili, degli oggetti concreti e modesti, agli antipodi degli oggetti preziosi di d’Annunzio. Gli oggetti della poesia sono luoghi abitudini e animali della vita contadina. Il proposito è elevare al rango di poesia ciò che è quotidiano donandogli un valore universale. Le cose vengono nominate con precisione, così come gli animali uscendo dalla genericità, non sono piante e fiori, ma gelsomino notturno, albicocco, olmo, gaggia, primalbo. Animali: civetta, assiuolo. Il vento è il libeccio. Ambientazione campestre non creano bozzetti, quadri pittoreschi, senza intenti evasivi e pittoreschi. La campagna per pascoli è qualcosa di reale ma anche un universo simbolico e tutt’altro che rassicurante. Nella poesia di Pascoli non c’è l’idillio Leopardiano (come il passero solitario), si ha una corrispondenza uomo-natura, le voci della natura portano con sé dei significati nascosti (analogia con bodlaire), la natura è veicolo di messaggi, non letterali ma simbolici. La natura non è rassicurante, ma piena di presenze oscure da interpretare.
Tematiche:

  • morti, radice biografica (10 agosto), luogo fondamentale è il cimitero, camposanto
  • mistero, c’è sempre qualcosa di irrisolto, la natura è misteriosa, cose sfuggenti
  • sogno, si divide fra sogno vero e sogno ad occhi aperti
  • nido famigliare, visto come difesa dal male del mondo, svolge una funzione protettiva, la siepe, nebbia ne sono la rappresentazione, nel nido famigliare le sofferenze umane sono allentate dalla solidarietà e dall’affetto

retorica:
ossimori ed onomatopee sono le figure retoriche  usate.

Lavandare:
lavandare significa lavandaie.
Parafrasi: nel campo mezzo arato e mezzo no c’è un aratro senza buoi dimenticato nella nebbia, scandito dalla riva del fiume di sente il rumore delle lavandaie che lavano i panni sbattendoli mentre cantano: “Il vento soffia e ai rami cadono le foglie e tu ancora non sei tornato al tuo paese, quando sei partito sono rimasta come l’aratro nel campo”
11 versi di endecasillabi, 2 terzine e una quartina, le rime sono incatenate, ABA CBC DEDE, rima imperfetta tra frasca e rimasta, due rime interne: sciabordare-lavandare e dimenticato-cadenzato. Alliterrazione della s e della f in soffia e frasca. Onomatopea = sciabordare.
Lessico semplice, nel titolo si ha un termine dialettale. La poesia è circolare, inizia e finisce con la figura dell’aratro. Chiasmo in vento soffia e nevica la frasca, tonfi spessi in lunghe cantilene, gli estremi e i medi si corrispondono (aggettivi, verbi, sostantivi). Similitudine: come l’aratro in mezzo alla maggese, come sono rimasta. Metafora: nevica la frasca, le foglie cadono come neve dagli alberi. Tonfi spessi = sinestesia.
campi semantici, sono tre, di colore di significato e percetivo.

  • Colore: Grigio e nero del campo, manca nel campo il lavoro dell’uomo
  • Significato: aratro, solitudine contrastata dal rumore delle lavandare
  • Forti sonorità, date dal rumore cadenzato, dai tonfi spessi e dalle lunghe cantilene

La poesia è composta principalmente da percezioni sensoriali, abbiamo una contrapposizione tra la prima e la seconda strofa.

  • La prima strofa prevalgono percezioni di tipo visivo, si mostra la solitudine dal lato visivo
  • La percezione prevalente è di tipo uditivo
  • Nell’ultima strofa sono nello stesso verso contrapposte le due sfere nel verso: vento soffia e nevica la frasca.

Significato:

  • significato primario: si tratta di una giornata grigia che vede delle lavandaie cantare attendendo il ritorno
  • significato secondario: solitudine, incompletezza e infelicità di essere soli

scenario di una campagna autunnale, colori tristi, echi dell’attività umana e in questo viene proiettato anche lo stato d’animo del poeta melanconico. Gli oggetti quotidiani si caricano di significati simbolici. L’aratro in mezzo al campo diventa simbolo della solitudine e dell’abbandono. Senso generale di desolazione attraverso la quale il poeta esprime  tristezza.
Chiusura (collegamenti con altre poesie, inserimento nell’opera):
le altre poesie hanno il tema della morte, questa ha un sotto tema, la solitudine. Si può richiamare il fanciullino, il poeta vede come un bambino e riesce a comunicare con la natura vedendo con occhi diversi il mondo.
X Agosto
Riferimento ad una vicenda autobiografica, la morte misteriosa del padre.
Denotativa:
san lorenzo io lo so perché un così grande numero di stelle nell’aria serena si incendia e cade, perché un così grande pianto risplende nel cielo, nel cielo concavo sfavilla. Una rondine tornava al suo nido, l’uccisero, cade tra dei rovi, ella aveva un insetto nel becco, la cena per i suoi piccoli. Ora è morta come in croce e tende l’insetto al cielo lontano, i suoi piccoli sono nell’ombra che l’attendono e pigolano sempre più piano. Anche un uomo tornando a casa, lo uccisero e disse perdono, e nei suoi occhi sbarrati vi era un grido, portava due bambole in dono. Nella sua casa solitario lo attendono e lui porge le bambole al cielo. E tu cielo dall’alto dei mondi, che sei infinito e immortale inondi la terra maligna.
Metrica:
6 quartine di endecasillabi e novenari in rima alternata con schema ABAB.
Retorica:

  • metonimia: nido che pigola
  • similitudine: ora è la come in croce
  • personificazione: e tu Cielo
  • Parallelismo tra le strofe, tra la storia della rondine a quella del padre, tra la 2° strofa e la 4°. Tutta la poesia è circolare, storia di san Lorenzo
  • Climax ascendente, figura retorica attraverso la quale partendo da un elemento base minore lo si accentua fino ad arrivare ad un elemento maggiore.

Poesia:

  • diversamente dai bozzetti naturalistici a cui certe poesie campestri ci avevano abituato, questa pur appoggiandosi ad un quadro naturalistico, tuttavia è una poesia nella quale non sono presenti solo riferimenti alla natura ma presenta una costruzione logica.
  • Il titolo è essenziale, la X è una croce che è simbolo del martirio, tema ricorrente della poesia, assassinio di Ruggero pascoli, si festeggia anche per il calendario cristiano san Lorenzo martire, bruciato vivo sulla graticola. In questa notte si verifica la caduta delle stelle cadenti secondo la tradizioni.
  • Esordio e inizio poesia vocativo, quasi come una preghiera al santo (sempre circolare, anche al verso 21). Poi prosegue una costruzione tipica del parlato (io lo so), perché il poeta conosce la ragione profonda del pianto del cielo, che è fatto non di lacrime ma di stelle. Il cielo alla fine è definito come infinito e immortale, (aggettivi di tipo leopardiano), la fine non è una preghiera perché il cielo di pascoli è vuoto.
  • Male, gli ultimi due versi, la terra viene inondata dal pianto delle stelle e viene definita come atomo il che la vede come una piccolezza insignificante, opaco sta ad indicare al fatto che la terra non brilla di luce propria, opaco è un aggettivo con valenza etica, ciò che oscura la terra rendendola opaca è il male, cioè la violenza e la cattiveria degli uomini.
  • L’animale provvede alla sopravvivenza in modo istintivo portando il cibo mentre l’uomo compie un gesto affettivo portando le bambole, nell’uomo c’è una parola di perdono, mentre nell’animale vi è un muto cadere. Il nido con forma circolare è protettivo, caldo, viscerale, che può proteggere gli affetti dal mondo esterno e dalle sue insidie. Il parallelismo tra nido e casa consente al poeta di collocare il proprio lutto privato dentro una vicenda di male universale, tale da rendere opaca la terra e far piangere il cielo

Temporale
La prima cosa che viene da osservare è che la poesia è di tipo impressionistico, c’è solo un verbo (rosseggiare), è una poesia nominale. Situazione precedente all’arrivo di un temporale, tuoni, lampi (colora di rosso), il cielo è nero come la pece e nuvole bianche in mezzo. Un casolare nel mezzo di questo paesaggio è paragonato all’ala di un gabbiano.
Metrica:
7 versi settenari divisi in due strofe, la prima è solo un verso. Presenti sinalefe, dialefe, sineresi, dieresi. Rime irregolari, ABCBCCA.
Retorica:
Bubbolio = onomatopea per il rumore del tuono e alliterazione della o.
Nero di pece, stracci di nubi: sono ipalege. Le parole sono più pesate di quanto non sarebbero.
Ipalege = figura retorica nella quale l’aggettivo viene sostantivato
Analogia tra il casolare e l’ala di gabbiano, si crea una terza immagine che solleva e suscita in chi legge una nuova immagine senza l’espressione di comparazione.
Lessico:
sembra facile ma in realtà è molto profondo.
L’ala del gabbiano è in realtà l’immagine del nido protettivo.
Lirica:
la lirica è brevissima e in pochi tratti si delinea un paesaggio campestre situato tra mare e montagna minacciato da un temporale e descritto in modo impressionistico per mezzo di notazioni acustiche e visive. Le immagini che evocano il temporale culminano nella notazione finale dell’associazione analogica tra l’ala del gabbiano e il bianco casolare.
Analisi:
esempio paradigmatico e antologizzata. È presente la tecnica impressionistica tipica di mirice. La poesia si apre con una sensazione acustica di valenza onomatopeica che è l’unica della poesia. Il bubbolio, sordo rombo del tuono. Nel primo verso c’è un ellissi del verbo unitamente all’isolamento del verbo in apertura comunicano un senso di trepida attesa, sottolineato anche dai tre puntini di sospensione. Il rumoreggiare del tuono è dilatato e si evoca una vaga e incombente minaccia (l’aggettivo lontano, di gusto leopardiano). Nei versi successivi prevalgono figure visive, l’unico verbo non indica un’azione ma indica uno stato, un colore che viene evidenziato da affocato che evoca l’idea del fuoco. Come se nel cielo verso il mare stesse divampando un incendio. Al rosso si contrappone il colore nero (ipalage tipicamente leopardiano). Domina infine la paratassi, i quadri sono giustapposti e non legati da un nesso logico, colori antitetici tra loro alliteranti.
paratassi e ipotassi sono metodi di legare i periodi, paratassi mote proposizioni coordinate (sullo stesso piano) mentre nell’ipotassi è quando si legano i periodi in modo subordinato.
Il cielo ormai completamente nero è solcato da qualcosa di chiaro, un uccello che si ostina a volare nonostante il temporale imminente. Lo scuro del temporale è interrotto da una macchia di luce, un gabbiano e la sua ala. Come se chi osserva possa vedere solo una parte e non il tutto dell’animale. Analogia tra il casolare che sulla terra interrompe il buio (macchia dell’uomo sulla natura, affetti famigliari in questa tempesta) e l’ala del gabbiano che nel cielo con il suo volo vale come immagine di speranza. Sono entrambe immagini che hanno un valore consolatorio.

Lampo
La visione del cielo e della terra sconvolti dal lampo sono resi da aggettivi che marcano di aspetto antropomorfo. Il paesaggio è simbolo di tormento interiore. Natura inquieta, non è la natura idillica di Leopardi, carica di pensiero. La fusione tra natura e umani culmina nella grande figura dell’occhio che rappresenta il lampo, caratterizzazione quasi surreale. Trattandosi del lampo di un evento visivo molto notazioni visive, ad eccezione del bellissimo tacito tumulto, notazione di tipo acustico. La poesia inizia con la congiunzione copulativa e che non si connette a nient’altro e non ha la funzione di congiunzione. Non si tratta un esordio come quelli foscoliani (forse della fatal quiete tu sei l’immago o sera), il senso di questa “e” è “ed ecco”, ed è da porre in relazione con il titolo. Alla sua luce intensa il cielo e la terra paiono sconvolti. Cielo e terra considerati oggetto dello sguardo sono trattati come una cosa sola. La descrizione della terra è affidata a tre espressioni, solo la seconda (livida) potrebbe appartenente alla visione naturalistica della terra, gli altri indicano il respiro affannato di un essere umano. Il secondo elemento che è il cielo viene qualificato come ingombro (di nubi), l’ingombro può essere naturalistico ma gli altri due aggettivi alludono ad una tragedia che ha più che altro valore simbolico, come una minaccia percepita da un essere umano. La luce abbagliante del lampo illumina una casa, sempre simbolo della presenza dell’uomo (come già in temporale). Nel verso 5 la casa è posticipata, priva ne viene indicato il colore, che addirittura viene duplicato per ottenere un relativo assoluto, con un ritorno alla poetica del fanciullino, la duplicazione delle parole. Tra le notazioni visive c’è la presenza di ossimoro acustico alliterante, tacito tumulto. La coppia di passati remoti, antitetici per significato (apparì sparì) che danno l’idea di un tratto brevissimo di tempo, e sono alliteranti nel significante. La lirica si conclude con una straniante analogia, la casa immersa nel buio per un attimo illuminata dalla luce del lampo, paragonata ad un occhio. Nella notte nera è un alliterazione che rende ancora di più l’idea del cupo.
Significato e significante = significato è l’oggetto che rappresenta, il significante cambia in ogni lingua, il suono che quell’oggetto ha nella lingua.
Il titolo isola un momento, che precede il tuono, la folgore.
Apparì sparì, s’aprì si chiuse = rendono l’idea del lampo
Le due triadi di aggettivi si riferiscono come a figure umane

A novembre
L’aria è limpida e splendente (come se fosse una gemma [gemmea = aggettivo]) e il sole è così chiaro che tu cerchi gli albicocchi fioriti e hai l’impressione in te di sentire l’odore amaro del biancospino ma il rovo (biancospino) è secco e il ramo delle piante senza fogli tracciano nel cielo limpido (senza uccelli) un disegno. Il passo sul terreno risuona e fa sembrare vuoto l’interno, tutto intorno c’è silenzio e soltanto al soffio del vento si sente lontano dai giardini e dagli orti il rumore delle foglie secche che cadono dagli alberi e vengono calpestate. È l’estate fredda, San Martino, giorno dei morti sembra sia tornato il bel tempo. Illusione della primavera.
Metrica:
La poesia è costituita da 12 versi in tre strofe di tre endecasillabi e un trinario, la rima è incatenata, ABABCDCDEFEF.
Retorica:

  • F r g, alliterazioni onomatopeiche.
  • Cader fragile = sinestesia
  • Ultimo verso idea di una stagione nascente in una che muore, quindi è un ossimoro, estate fredda
  • Odorino amaro = sinestesia

Lessico:
il lessico non è complicato . Elegante “gemmea” frase sostantivata, toni familiari come “odorino”. Alliterazioni.
Analisi:
le tre strofe corrispondono a tre fasi:

  • la prima strofa è l’illusione di una primavera improvvisa
  • la seconda è ribaltamento della prima, il biancospino è secco, la terra non è fertile, ritorno alla realtà
  • terza constatazione della presenza della morte dominante dietro le apparenze della vita

come spesso accade in mirice un quadretto in apparenza naturalistico di una primavera resa attraverso sensazioni visive e olfattive invece si inserisce in una visione simbolica. Illusione della primavera nella realtà dell’autunno stagione morta.

Nebbia
Non fa parte di Myricae ma dei “Canti di Castelvecchio”. Il tema della nebbia è molto presente nella poesia di pascoli. La nebbia non è intesa come fenomeno atmosferico ma utilizzato in funzione simbolica, ma costituisce una sorta di opaco, rassicurante diaframma, tra il poeta e una realtà esterna percepita come dolorosa, inquieta.
Inizia con un imperativo esortativo (Nascondi).
Lirica:
lunga esortazione alla nebbia perché nasconda agli occhi del poeta le cose che egli non vuole vedere e che sono definite lontane, all’inizio del primo verso di ogni strofa. La nebbia che da il titolo è la nebbia dell’oblio e l’opaco che consente di non vedere e di non immaginare. Ciò che gli consente la nebbia è che essa consente di restringere il campo visivo e permette di non mostrare quello che ama e che lo attirano verso la vita e che quindi lo fa soffrire. L’invocazione scandisce tutto il testo con regolarità. Dopo l’esortazione segue un aggettivo che esplica le cose vaghe che si vogliono tenere lontane.
Il lontane rima con l’ultima parola della strofa. La rima ha valore semantico, perché lega ciò che il poeta non vuole vedere con un elemento rassicurante del microcosmo che lui vive che costituisce il suo presente. (tranne la prima). Ch’io veda, è presente sotto forma di anafora nel 3 verso di ogni strofa tranne nel primo. Le strutture portanti son queste due.
Nascondi si riferisce a cose lontane che non possiamo definire.
Il ch’io veda corrisponde in vece a cose precise e definite, la siepe, la mura, il cipresso determinate o con l’articolo determinativo o con la cardinalità o con il nome per denotare con specificatezza. Pascoli rifiuta di reagire alla passività (anche nella sua vita). Le cose concrete che lui vuole vedere sono elementi sia concreti sia significato simbolico.

  • Siepe: isola il mondo della campagna dal mondo esterno
  • Muro: baluardo riflessivo
  • Crepe: dolori che lasciano il segno
  • valeriane: allevia i dolori

bianco di strada = ipalage
fai volare via le cose che non voglio in modo che il volo del cuore non possa arrivarci. Che io possa vedere solo il cipresso del mio orto dove riposa il mio cane.
Ebbre di pianto = visione ossimorica, piacere estremo e tristezza.

L’Assiuolo
Animale notturno, viene nominato in modo specifico, scientifico. Mi domandavo dove fosse la luna visto che il cielo aveva un colore chiaro e il mandorlo e il melo sembravano sollevarsi per vederla meglio. Da nuvole nere in lontananza venivano i lampi mentre una voce dai campi chiamava chiu. Poche stelle brillavano nella nebbia bianca, sentivo il cullare del mare e sentivo un rumore tra i cespugli e sentivo un’agitazione nel cuore, eco di un dolore passato, si sentiva un singhiozzo lontano chiu. Su tutte le vette dei monti illuminate dalla luna soffiava un vento leggero mentre il canto delle cavallette sembrava il suono dei sistri (strumento musicale dell’antico egitto che pareva aiutare le anime a passare nel regno dei morti) funebri che bussano alle porte della morte che forse non si aprono più. E continuava quel pianto di morte chiu.
Analisi:
Tre quadri apparentemente autonomi, giustapposti (una cosa dietro l’altra unite in modo arbitrario), legate debolmente dalla parola onomatopeica chiu, in rima con il penultimo novenario di ogni strofa.
Le tre strofe delineano un paesaggio notturno coperto da un mistero e da in quietudine, in particolare:

  • prima strofa: cielo notturno al sorgere della luna
  • seconda strofa: fruscio che proviene da bosco e il rumore ritmico del mare
  • terza strofa: si amplia l’orizzonte che illumina degli alberi scossi dal vento

é una lirica emblematica di Myricae, essa immette il lettore in una dimensione onirica (di sogno), in cui i confini tra sonno e veglia, tra consci e inconscio sono labili e non definiti.
La domanda iniziale non è razionalmente giustificabile, giustificata solo dal fatto che la luna deve ancora sorgere. Non viene rivelato a chi è riferita la domanda. Alla domanda iniziale non segue una risposta ma viene posta una proposizione causale, questa non si riferisce ad una proposizione principale espressa, si ha un’anomalia sintattica, una subordinata senza una reggente.
Fin dalla prima strofa compare la dialettica determinato-indeterminato (la stessa di nebbia e gelsomino notturno). Alba di perla (indeterminato) vede subito dopo due elementi precisi (mandorlo e melo), questa è una metafora dell’attesa della natura dell’epifania lunare (sorgimento della luna).
Dal 5 all’8 vengono introdotti dei connotatori (espressioni) di inquietudine e angoscia, “soffi di lampi” e “nero di nubi” (Nei versi anche alliterazione, espressionistica).

La natura si carica di significati enigmatici e ciò che è descritto si rivela in realtà falso. Simboli e impressioni sostituiscono descrizione e narrazione. Verbi tutti all’imperfetto e rimandano tutti al senso dell’udito, divcevano accompagnato da un infinito sostantivante (cullare del mare [rima interna, cullare moto/suono]), il secondo da un’onomatopea (fru fru tra le fratte, alliterazione onomatopea) e l’ultimo da “nel cuore”.
Passato remoto dopo tutti gli imperfetti dove si viene proiettati in una lontananza temporale un grido doloroso. La chiusa (chiu) non è più una voce dai campi ma un singulto con valenza di lutto e di pianto.

Nella terza strofa compaiono le cavallette che sbattendo le ali producono un rumore metallico che il poeta accosta al suono degli stumenti egizi del culto di iside (sistri). “servono ancora i miti religiosi e le credenze dell’aldila per superare le porte invisibili che separano la vita dalla morte?”, la risposta non si può dare e a essa si sostituisce nella campagna un pianto di morte, chiu.
Retorica:

  • fru fru tra le fratte, finissimi sistri d’argento, tintinni a invisibili porte = alliterazioni
  • chiu = onomatopea pura (ripetizone di un suono), anafora
  • sentivo = seconda strofa anafora
  • finissimi sistri = onomatopea delle cavallette
  • fru fru = onomatopea
  • un’alba di perla = metafora
  • la nebbia di latte = metafora
  • un sospiro di vento = metafora
  • nero di nubi =ipalage
  • soffi di lampi = sinestesia
  • com’eco di un grido che fu = similitudine
  • nero di nubi e nebbia di latte = antitesi, nero e bianco
  • doppio climax ascendente, chiu, che passa da un grido a un singhiozzo a pianto di morte. Il secondo riguarda la negatività che scende.

 

Fonte: http://wpollow.altervista.org/download/italiano/Giovanni%20Pascoli.docx

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