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ANTOLOGIA DI PASCOLI:
“Arano”
La poesia Arano è tratta dalla raccolta di Myricae e si inspira alla vita dei campi, descritta nel momento dell’aratura in una giornata autunnale al tempo della semina.
In essa Pascoli si commuove davanti alla vita semplice e fresca della natura e dei campi , quasi per dimenticare gli affanni e le pene della sua angoscia avendo un momento di serenità.
Nonostante la stagione autunnale, questo quadro di vita campestre è pervaso di sorridente felicità. Le immagini emergono nitide e festose come un germogliare fresco di vita.. I gesti lenti dei contadini, il loro lavoro placido, sereno e il canto del pettirosso appaiono come un approdo di pace per l’anima. Il sentimento del poeta sembra totalmente dimenticato nella contemplazione di quel fresco quadro di natura; ma l’ultimo verso palpita di una ritrovata e pura gioia del cuore.
La prima parte della poesia è dominata da elementi cromatici, come il rosso del filare e il fumare della nebbia, mentre la seconda è prevalsa da elementi uditivi. La poesia è formata da due terzine di endecasillabi seguiti da una quartina. Le rime sono incatenate per le terzine e alternate nella quartina. Nella poesia sono presenti diverse figure retoriche come l’anafora e l’enjambement.
“Novembre”
La poesia “Novembre” fu prima pubblicata su “La Vita Nuova” nel 1891e poi inserita nella prima edizione di Myricae nel 1891.
Nel mese di novembre c’è l’estate dei morti, , intorno si diffonde una sensazione di primavera ma è un’illusione breve: i rami sono stecchiti, il cielo vuoto di rondini, la terra resa arida e compatta dal freddo; su tutto grava un’amara solitudine, un silenzio sconfinato. In questo silenzio l’anima coglie un lontano cadere di foglie, un declinare irreversibile della vita. La poesia è capace di rendere le sensazioni più impalpabili e la vibrazione che esse suscitano nella vita della coscienza. Evoca il senso della morte.
L’estate di San Martino produce un’illusione di calore estivo che nasconde in realtà "l’estate fredda dei morti", la fragilità della vita.
La poesia è divisa in tre strofe di cui ognuna è formata da quattro versi. La prima strofa rende, in maniera netta e precisa, l’idea di una improvvisa primavera, infatti c’è la descrizione di una splendida giornata di Novembre. La seconda strofa ribalta istantaneamente la prima con una serie di parole-chiave (secco, stecchite, nere, vuoto, cavo, sonante) che, per suono e significato, ci portano ad un’immagine di freddo e di morte. Cosi, osservando più attentamente il paesaggio, il poeta si accorge che la realtà è ben diversa da quella immaginata.
La terza strofa svela definitivamente la tragica legge di morte come unica realtà che rimane al fondo della momentanea, effimera illusione di colori e fiori primaverili, di vita, così, il paesaggio s’incupisce e si carica di tutta la tristezza autunnale.
“Lavandare”
“Lavandare” è tratta dalla raccolta Myricae. E’ una poesia d’immagini e di sensazioni. Gli oggetti sembrano dissolversi in un’onda di malinconia.Un campo appena arato, un aratro abbandonato sui solchi, i rumori prodotti dalla sciacquio delle lavandaie, sono, infatti, le immagini che risaltano in essa. Poi tutto sfuma in un’unica nota: un canto d’amore e di nostalgia, che è come il modularsi, in una voce umana sperduta nell’immensità della campagna, dello sfiorire autunnale, che già Pascoli aveva colto in quell’aratro abbandonato.
La prima parte è descrittiva, in essa prevale ancora il colore. L’aratro dà un’idea di dimenticanza; difatti è stato abbandonato nel campo. La seconda parte si lega alla prima attraverso il canto delle lavandare, canto dell’abbandono: la persona amata si è allontanata e ancora non ritorna al paese.
L’aratro solo in mezzo al campo simboleggia la solitudine umana e dunque costituisce il correlativo oggettivo della donna abbandonata. Negli aspetti della natura e delle cose Pascoli mira, anche qui, ad evidenziare rapporti e relazioni che mettono a nudo il suo carico di ansietà e di smarrimento verso la vita.
“Lavandare” è una poesia composta da due terzine e una quartina con versi endecasillabi, e rime alternate; ciascuna strofa ha una particolare caratteristica: la terzina iniziale è statica, non descrive nessun tipo di azione, ed è pervasa da sensazioni visive che l’autore comunica attraverso l’accurata scelta di vocaboli e di figure retoriche come in questo caso l’enjambement presente nel secondo e terzo verso “pare/dimenticato”, che in un certo senso, costringe a proseguire con maggior interesse la lettura del componimento. Nella seconda terzina invece, prevalgono sensazioni di tipo acustico indotte soprattutto dalle numerose onomatopee che attribuiscono alla strofa un ritmo cadenzato molto particolare scandito proprio da parole come “sciabordare” e “tonfi” che anche se non sono propriamente onomatopee sembrano comunque riprodurre i rumori. Questa terzina risulta essere dinamica in quanto le rime al mezzo contribuiscono a velocizzare e scandire il ritmo della strofa. La terza ed ultima quartina può essere definita drammatica perché riporta un triste canto di amore e nostalgia e il ritmo sembra rallentare improvvisamente, effetto dato dalle “e”, dalla quantità delle “r” e delle “s”, e dalla sostituzione di rime alternate con assonanze come “frasca e rimasta”.
La campagna autunnale, il lavoro agricolo, l’umile fatica delle lavandare, insomma, non si risolvono in un idillio o in una serena descrizione paesaggistica, ma in una rappresentazione in cui le cose "significano" stati d’animo e sensazioni attraverso una serie di corrispondenze e simbologie (aratro = solitudine esistenziale) e di notazioni coloristiche e acustiche.
Temporale
Pascoli , nella poesia “Temporale”, presenta un paesaggio al tramonto: da un parte il mare, infuocato dal brillare dei raggi del sole che cala, e dall'altra le montagne, su cui si stanno addensando le nere nubi di un temporale.
La poesia si apre con un’onomatopea che indica l’eco lontano di una minaccia. L’unica salvezza nella tempesta è il casolare, è il nido, che si distingue grazie alla luce di un lampo improvviso. Il poeta descrive la scena attraverso le sensazioni, che si susseguono una dopo l'altra nella poesia: il rumore del tuono; il colore rosso dell'orizzonte; il nero delle nuvole minacciose del temporale, in mezzo al quale si staglia qualche nuvola sfilacciata più chiara; il colore bianco del casolare che appare all'improvviso e che è reso dall'analogia.
Tutta la poesia pascoliana è caratterizzata da una valenza simbolica così il casolare è per analogia avvicinato all'ala del gabbiano e questa immagine assume un valore simbolico, anche se difficile da sciogliere. Gli uccelli sono largamente presenti nella poesia pascoliana: sono la voce di un mondo che sta al di là della realtà e che in genere coincide con il mondo dei morti. Gli uccelli poi sono strettamente legati all'idea del nido, uno dei temi ricorrenti in Pascoli: li vi trova sicurezza, calore e protezione, così come all'interno del casolare. Inoltre, l'immagine del gabbiano è sempre associata all'idea di libertà e di leggerezza, che contrasta il peso e la minaccia del temporale; anche il colore bianco costituisce un momento di consolazione e di conforto nello spavento provocato dal temporale, espresso invece con la sfumatura del nero.
Il linguaggio utilizzato fa ricorso solo alle sensazioni, alle impressioni, che colpiscono l'immaginazione del lettore: è come un quadro, in cui non ci si affida alla linea dei contorni delle figure ma solo al colore.
“LA MIA SERA”
La poesia “La mia sera” é stata scritta nel 1903 da Giovanni Pascoli ed é tratta dalla raccolta “Canti di Castelvecchio”. Con questa l’autore vuole fare un paragone tra il temporale e la pace della sera: il temporale simboleggia la sua vita travagliata (perdita del padre e della madre) e la sera un momento di pace della sua vita.
L'autore immagina una sera estiva dopo un temporale e descrive le silenziose stelle e i campi, nei quali si sentono le rane, mentre arriva la quiete della sera. Si devono far strada le stelle fra le nuvole e nel campo si sente il fiumiciattolo singhiozzare e dopo il temporale, arriva l’umida sera. La tempesta é finita col singhiozzare del ruscello, dei fulmini rimangono le nuvole rosse e dorate nell’ultima sera. Ora le rondini volano nell’aria e la fame che le assale, prolunga la loro ricerca di cibo che neanche i piccoli avranno. Si sente il suono delle campane, che assomiglia ad una ninna-nanna, che canta una madre mentre addormenta il piccolo sul finir della sera.
La poesia é suddivisa in 5 strofe da 8 versi ciascuna. I versi sono tutti novenari tranne gli ultimi di ogni strofa che sono senari. Tutte le strofe terminano con la parola “sera”, esclusa l’ultima che termina con la parola “intera”.
Le figure retoriche presenti nella poesia sono: onomatopee (“..gre gre di ranelle...”), la sineddoche (“...i nidi perché con l'espressione nidi lui si riferisce ai rondinotti che stanno dentro i nidi...”), ossimori (“..fulmini fragili...”) e la metonimia (“..stanco dolore...”). Nel terzo verso c'è anche una sinestesia “tacite stelle” perché le stelle non possono essere silenziose e il poeta con questa espressione vuole indicare la tranquillità di quando in cielo ci sono le stelle ossia durante la sera.
In questa poesia il linguaggio, come si verifica anche in molte altre poesie del Pascoli, è apparentemente semplice, Pascoli vuole trasmettere i suoi sentimenti verso la pace e la tranquillità che gli sono trasmesse dalla sera, in contrasto con il temporale ed il frastuono che hanno caratterizzato il giorno. E’ evidente anche il riferimento alla sua vita che ha conosciuto momenti di violenta "bufera", mentre la pace della sera gli ricorda la sua infanzia serena e il dolce rapporto con la madre.
La simbologia è quella ricorrente della casa- nido, dell’infanzia, della madre.
X AGOSTO
La poesia “X agosto”, tratta dalla raccolta Myricae, è stata scritta da Giovanni Pascoli e rievoca la morte del padre del poeta, che venne ucciso il 10 agosto nel 1867. Questo giorno è anche la festività di un martire, S. Lorenzo, e in cui si verifica il fenomeno delle stelle cadenti. Le stelle che cadono durante quella notte non sono altro che per il poeta le lacrime del cielo sulla malvagità degli uomini. Egli afferma di sapere perché un così gran numero di stelle sembra incendiarsi e cadere nel cielo:è perché tante stelle che cadono così fitte non sono altro che le lacrime del cielo. Poi immagina una rondine che,mentre tornava al suo nido, fu uccisa e cadde tra i rovi .Ella aveva un insetto nel becco ,cibo per i suoi piccoli. Qui Pascoli con una metafora intende dire che la rondine era l'unica fonte di sostentamento per i suoi piccoli così come suo padre lo era per lui. Descrive la rondine trafitta sui rovi spinosi con le ali aperte quasi come se fosse in croce,accostando tale immagine a quella dei suoi rondinotti che rimangono in una vana attesa del cibo. Dopo passa a descriverci un uomo,suo padre che mentre tornava a casa fu ucciso pronunciando parole di perdono verso i suoi assassini. Negli occhi rimane la volontà di emettere un grido. Invece Pascoli,con il particolare delle due bambole che l'uomo portava in dono alle sue figlie ,voleva alludere alla tenerezza che avrebbe caratterizzato l'arrivo del padre a casa e delinea un mondo di consuetudini affettuose che la morte interruppe. Adesso nella casa "solitaria" i suoi familiari lo attendono inutilmente come in precedenza avevano fatto i rondinotti. Il povero uomo ,con gli occhi impietriti dalla morte,indica le bambole al cielo,descritto dal poeta come molto distaccato e indifferente al dolore umano. E infine, dice che il cielo, visto come una divinità, lascia cadere fitte lacrime su questa piccola parte dell'universo, che è il regno del male.
In questa poesia la morte del padre assurge al simbolo dell'ingiustizia e del male: il dolore del poeta diventa il dolore di tutti. La lirica quindi trasmette senza dubbio sentimenti tristi, malinconici per la distruzione di un nido familiare,unico rifugio in un mondo in cui domina la violenza e la malvagità umana che uccide creature innocenti.
Fonte: http://classe4ba.altervista.org/ANTOLOGIAPASCOLI.doc
Sito web da visitare: http://classe4ba.altervista.org/
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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