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Profili storici e prospettive evolutive della Ragioneria
1. Inizio storico dell’arte dei conti – 2. La partita doppia – 3. La Ragioneria scientifica e il sistema patrimoniale – 4. L’Economia aziendale – 5. Lorenzo
de Minico e la Scuola napoletana – 6. La Ragioneria e le altre discipline
La specie umana si è posta problemi di misurazione quantitativa sin da quando il suo sviluppo evolutivo l’ha resa in grado di programmare intenzionalmente il procacciamento e l’impiego delle risorse necessarie al suo sostentamento. Le esigenze di accumulare beni, di salvaguardarli, di ripar- tirli e di regolarne il consumo fecero sorgere l’idea del controllo e dell’amministrazione; nacquero i primi, rudimentali, prospetti per tenere memoria degli incrementi e dei decrementi nelle quantità di determinati oggetti (materie, merci, monete, etc.).
Lo studio delle modalità di tenuta di tali prospetti e delle informazioni da essi desumibili risa- lenti ad epoche lontane e recenti offre un contributo significativo allo studio dell’evoluzione della specie umana e delle civiltà che si sono succedute nella storia.
Scheda: Testimonianze storiche
EGITTO
Le ricerche archeologiche hanno rinvenuto due categorie principali di registrazioni conta- bili: le contabilità dei magazzini generali e le rilevazioni tenute per il pubblico Erario.
Le matere prime, quali oro, grano, tessuti erano raccolte e conservate attraverso un siste- ma di magazzini centralizzati, statali e periferici. I responsabili dei magazzini rendevano conto del loro operato quotidianamente al primo ministro, il quale a sua volta elaborava delle situa- zioni contabili di sintesi da presentare al sovrano.
Lo Stato era diviso in distretti, a capo di ciascuno dei quali era posto un governatore. Il governatore, oltre a verificare, a sua volta, la situazione quotidiana dei magazzini di sua com- petenza, teneva un inventario delle proprietà dei sudditi che serviva come base per
l’imposizione fiscale.
I documenti ritrovati dimostrano che i conti erano tenuti con grande attenzione e precisio-
ne.
BABILONIA
La civiltà babilonese ha lasciato interessanti testimonianze di scritture contabili, rese at- traverso le migliaia di tavolette di argilla ritrovate.
Una tipologia diffusa di registrazioni era quella delle “ricevute”: per ciascuna partita si te- neva memoria dell’ammontare di beni o danaro ricevuto, del nome di colui che aveva corri- sposto i beni o il danaro, il nome del ricevente e la data.
Nei conti “delle spese” si serbava memoria delle spese sostenute in denaro o in natura e della ragione delle stesse, consumo, acquisti, perdite etc. Questo tipo di conti serviva a rappre- sentare i costi sostenuti per determinate finalità.
I conti dei “ricavi” registravano il bene o la somma di denaro ricevuta, la sua provenienza, la ragione per cui era stata ricevuta e la data. Registrazioni simili erano tenute per tenere me- moria delle produzioni effettuate.
Le registrazioni dei debiti contenevano l’ammontare e la natura dei beni o del denaro pre- stati, il tasso di interesse, il nome del debitore, il nome del creditore, la scadenza e il metodo del pagamento, i testimoni e la data.
GRECIA
Nei sistemi di registrazione si teneva conto del bilancio iniziale, delle entrate, delle uscite e del bilancio finale. Ogni anno si preparava un inventario dei beni e un rendiconto delle fonti di entrate ed uscite.
Molto interessante è il c.d. papiro di Zenone, risalente all’epoca di Alessandro Magno (III sec. a.C.), che è stato ritrovato in Egitto. Esso spiega che l’amministrazione dello Stato era di- visa in dipartimenti e che ciascun dipartimento forniva documentazioni complete e dettagliate delle transazioni avvenute e degli stock di denaro e beni quali grano, tessuti, olio. Tutte le in- formazioni erano rielaborate in prospetti sintetici riassuntivi mensili, annuali e triennali; sulla base delle risultanze di tali prospetti avvenivano cambiamenti nel personale amministrativo, riassetti nella struttura dei dipartimenti, modifiche delle procedure.
ROMA
Nella civiltà romana i conti erano tenuti prevalentemente con tavolette a cera, per cui solo poche testimonianze sono potute giungere ai nostri giorni. Dalle poche testimonianze in pos- sesso degli studiosi, è possibile supporre che si tenevano due registri: uno, quotidiano, ove si registravano tutte le entrate ed uscite ed uno, mensile, nel quale erano riassunte le registrazioni effettuate nel registro giornaliero.
Il ritrovamento a Karanis in Egitto di un papiro risalente al 191-192 d.C., in cui sono pre- senti dei conti tenuti a doppia entrata, ha fatto molto discutere gli storici sull’eventualità che già nell’antica Roma esistesse una rudimentale contabilità in partita doppia.
Fonte: KAM V., Accounting theory, 2nd ed., 1990
Le brevi testiominanze riportate confermano l’assunto secondo cui nel corso della storia tutte le civiltà hanno incontrato, nella vita privata e nell’amministrazione della comunità, problemi fonda- mentali connessi alle relazioni interpersonali e pubbliche che rendevano indispensabile la tenuta dei conti. Il progresso culturale, sociale, economico e politico ha stimolato l’elaborazione di soluzioni peculiari, concretizzate in complessi contabili talora simili, talora differenti, ma comunque fondati su rilevazioni elementari.
Nei luoghi ove le civiltà umane hanno ottenuto punte elevatissime di sviluppo e brillanti acqui- sizioni scientifiche anche la contabilità ha raggiunto forme sofisticate, precise e razionali, senza mai adombrare, però, la grande innovazione del metodo della partita doppia, introdotto dai mercanti ita- liani del XIII secolo d.C..
Nell’Alto Medioevo, alla decadenza del commercio e dell’economia si accompagnò un declino della Ragioneria. I monasteri cattolici, primi tra tutti quelli benedettini, crebbero in importanza cul- turale, sociale ed economica, diventando veri e propri centri di attrazione di attività e di studio; sotto i loro domì ni si organizzarono la produzione, particolarmente quella agricola, e il commercio, sep- pure in maniera limitata, e si preservarono, quindi, le indispensabili tradizioni contabili, oltre ai sa- peri umanistici e scientifici.
Più tardi, a partire dal secolo XI, la crescita dell’economia e, soprattutto, del commercio pose problemi di misurazione economica del tutto nuovi; le compagnie di commercianti italiani si svi- lupparono fino a costituire organizzazioni molto complesse e articolate, con sedi in tutto il territorio
europeo, raccogliendo soci numerosi e capitali ingenti. In questo contesto di rinascita e sviluppo de- gli affari maturò la nascita di un nuovo metodo di registrazione, la partita doppia, che avrebbe tra- sformato la modalità di tenuta dei conti e che tutt’oggi, epoca di internet e della globalizzazione, co- stituisce la struttura portante dei sistemi informativi di tutte le aziende del mondo.
Non è possibile individuare un momento esatto in cui nacque il metodo della scrittura doppia. Di sicuro ben prima dei più antichi documenti contabili in partita doppia conosciuti; prima, cioè, del 1300.
Il metodo si diffuse molto rapidamente in Italia e all’estero, seguendo le rotte commerciali che portavano i mercanti alla scoperta di nuovi mercati e le compagnie italiane a stabilire filiali nei principali centri del mondo conosciuto. Solo più tardi, infatti, sarebbero comparsi i primi trattati di Ragioneria.
Gli storici riconoscono generalmente nella Summa de arithmetica di fra’ Luca Pacioli, pubbli- cato nel 1494, il primo autentico “libro di Ragioneria” in cui si spiega il metodo della partita dop- pia. Dalla lettura del testo si desume che il frate non intendeva proporre l’adozione di un nuovo me- todo, ma si limitava a spiegarne uno utilizzato oramai da qualche secolo, a conferma delle ipotesi formulate dagli storici sull’inizio della diffusione della partita doppia.
La pubblicazione della Summa ha il grande merito storico di aver liberato il metodo della parti- ta doppia dalla sua connotazione esclusivamente pratica, limitata a chi esercitava la mercatura, e di averne formalizzata la struttura, facendolo assurgere ad argomento degno di un carattere scientifico. Il libro, grazie al nuovo poderoso strumento di trasmissione della cultura costituito dalla stampa, molto contribuì alla ulteriore diffusione del metodo.
Nei secoli che seguirono l’opera di Pacioli i numerosi trattatisti europei proposero contributi ni -
teressanti e originali sistemazioni della materia contabile. Apparvero prima i trattati sulla partita doppia applicata alle aziende mercantili, poi a quelle industriali, poi a quelle di consumo. Gli autori si dedicarono in prevalenza ad opere di carattere manualistico, ma non si limitarono a spiegare i comportamenti concreti adottati nella pratica. La continua ricerca di leggi generali, definizioni più precise, di spiegazioni degli strumenti contabili e dei loro utilizzi posero le basi per lo sviluppo suc- cessivo della Ragioneria scientifica.
In anni più recenti è stato rinvenuto il Liber abaci di Leonardo Fibonacci, scritto nel 1202, qua- si trecento anni prima della Summa di Paciolo, ma pubblicato succesivamente a quest’ultima.
Con l’ottocento la Ragioneria si elevò definitivamente sul piano scientifico, grazie soprattutto al contributo di Francesco Villa e Giuseppe Cerboni, prima, e di Fabio Besta, poi.
Di grande rilievo fu l’opera di Francesco Villa (1801-1884) e della Scuola lombarda da lui fon- data. Egli sostenne che “la contabilità deve essere considerata come un complesso di nozioni eco- nomiche amministrative applicate all’arte di tenere i conti o i libri”, individuando nell’amministrazione delle aziende l’ampio oggetto di studio della Ragioneria (che chiamava sem- plicemente contabilità). Affermò che l’amministrazione deve essere sempre economica, a prescin- dere dalla finalità dell’azienda o dalla sua natura, pubblica o privata, e sostenne con forza l’inutilità dello studio delle scritture contabili senza le necessarie conoscenze di amministrazione aziendale.
Giuseppe Cerboni (1827-1917), esponente maggiore della Scuola Toscana, si distinse per l’originalità del sistema contabile teorizzato, la logismografia, che egli applicò anche all’amministrazione dello Stato, dopo aver ottenuto la nomina a Ragioniere Generale del recentis- simo Regno d’Italia.
Ma fu Fabio Besta (1845-1922) ad imprimere il più grande e rilevante progresso agli studi di Ragioneria, allineandoli ai più moderni orientamenti delle altre scienze. Egli sostenne con forza l’applicazione di un metodo di ricerca “storico e positivista”, che lo portò ad elaborare un paradig- ma concettuale diametralmente opposto alla logismografia cerboniana.
Secondo Besta, l’azienda è un sistema coordinato di azioni di gestione, direzione e controllo ri- ferite ad un patrimonio e la Ragioneria studia le aziende mediante la rilevazioni del loro patrimonio e delle sue modificazioni.
La Ragioneria “studia ed enuncia le leggi del controllo economico nelle aziende di ogni fatta e ne trae norme opportune da seguire acciocchè così fatto controllo possa riuscire veramente efficace, persuadente e compiuto”. Il sistema contabile teorizzato da Besta si fonda sull’accensione di due se- rie di conti, l’una relativa ai componenti del patrimonio, l’altra relativa alle loro modificazioni; al termine dell’esercizio il risultato economico è dato dalla variazione subita dal patrimonio nel corso dell’esercizio stesso.
Un’altra caratteristica fondamentale del pensiero bestano è la negazione dell’esistenza di una scienza aziendale unitaria. La Ragioneria deve studiare esclusivamente il controllo economico e non la gestione, che forma oggetto di un’altra disciplina che andava formandosi in quegli anni: la tecni- ca commerciale.
Il sistema teorico di Besta ha avuto una influenza molto significativa sulle successive evoluzio- ni della dottrina ragionieristica, sviluppato ed affinato da illustri allievi quali Vianello, D’Alvise, Lorusso, Alfieri, Ghidiglia ed ha avuto accesi sostenitori anche in tempi più recenti.
L’evoluzione della realtà economica dei primi anni del ‘900, l’ampliamento dei processi di cre- azione di ricchezza, la rapidità crescente dei ritmi produttivi, la maggiore complessità gestionale dovuta ai nuovi problemi industriali rendevano più complicato l’utilizzo del sistema patrimoniale, che si fonda sulla minuta misurazione di ogni singola modificazione subita dal valore del patrimo- nio.
I mutamenti della realtà operativa e i nuovi orientamenti della logica e della filosofia della scienza misero in discussione il sistema teorico patrimonialista
Gino Zappa, allievo di Besta, propose in una celebre prolusione all’anno accademico 1926/27 la costruzione di una nuova disciplina scientifica, l’Economia aziendale, scienza unica dell’azienda, riferimento principale dei tre filoni di studio della Ragioneria, focalizzata sui problemi della rileva- zione, della Gestione e dell’Organizzazione. A differenza del suo Maestro Besta, quindi, Zappa so- stenne con vigore non solo la possibilità, ma anche la necessità di uno studio unitario del fenomeno aziendale.
L’oggetto di osservazione dell’Economia aziendale è l’azienda, “coordinazione economica in atto, istituita e retta per il soddisfacimento dei bisogni umani”. Mentre la definizione di Besta con- centrava l’attenzione sul patrimonio e sulle sue modificazioni, Zappa propose di osservare il feno- meno aziendale nei suoi connotati dinamici e sistemici, spostando l’attenzione dal patrimonio al ri- sultato economico.
Il reddito costituisce l’oggetto primario del sistema contabile, che è costitruito per osservarlo dal punto di vista quantitativo; con il sistema del reddito, il patrimonio perde il suo ruolo da prota- gonista nel processo di conoscenza dell’azienda, assumendo significato e valore prevalentemente in funzione della sua capacità di generare reddito.
In questa sede, ci si è limitati a individuare sommariamente solo alcune idee fondamentali delle prime opere di Gino Zappa, il Maestro dell’Economia aziendale. La sua produzione scientifica si dispiega in decenni ed affronta un vasto campo d’indagine, con rigore ed autorevolezza, fornendo contributi dottrinari che ancora oggi costituiscono il punto di riferimento per le discipline economi- co-aziendali.
La diffusione delle proposizioni scientifiche zappiane attrasse un gran numero di studiosi, at- traverso cui il pensiero redditualista si diffuse in tutto il Paese, dando luogo anche ad aspre ed interessantissime discussioni con i fautori del sistema patrimoniale.
L’esame degli illustrissimi allievi di Zappa e delle loro opere sarebbe di grandissimo interesse, ma non può trovare spazio in un corso di Ragioneria, di cui questa rappresenta la lezione introdutti- va.
Tutt’oggi le scritture contabili si tengono secondo il sistema introdotto da Gino Zappa, seppure non nella versione proposta negli anni ’20; il sistema del reddito, quindi, costituisce l’oggetto dell’intero corso di Ragioneria.
E’ utile, a questo punto, riportare alcune notizie fondamentali della Scuola Napoletana di Ra- gioneria, che si è distinta per la qualità e l’originalità dei contributi offerti al progresso dell’Economia aziendale, in generale, e della Ragioneria in particolare.
Il primo professore di Ragioneria dell’Università di Napoli fu Lorenzo de Minico (1896-1949). Avellinese, di umili origini, arrivò alla cattedra pur non appartenendo a nessuna Scuola particolare, distinguendosi per l’assoluta originalità e per il valore delle sue pubblicazioni.
Fu per circa quattordici anni preside della Facoltà di Economia e Commercio e per lo stesso pe- riodo la sua dottrina brillò dalla cattedra dell’Istituto Universitario Navale, fino al momento della sua morte improvvisa.
Dobbiamo alla scienza di de Minico alcuni concetti fondamentali dell’economia aziendale, di- versi dei quali saranno oggetto di approfondimento nello svolgimento del corso. Tra questi:
Più di ogni altra cosa, de Minico elaborò un approccio assolutamente originale all’Economia aziendale. Egli teorizzò già dagli anni ’30 una visione “funzionale” dell’economia d’azienda: un’interpretazione complessiva del fenomeno aziendale e del processo di creazione di ricchezza, condotta attraverso l’analisi dei servizi che ogni fattore offre al ciclo produttivo. La teoria dei servi- zi di de Minico anticipò di alcuni decenni alcune proposizioni scientifiche, tutt’oggi di grande attua- lità, che nel contesto anglosassone saranno affermate a partire dagli anni ’50.
Il suo allievo più brillante fu Domenico Amodeo, che si distinse per aver approfondito e diffuso in maniera sistematica il pensiero del suo maestro de Minico e per aver dato contributi originali sul problema dei costi nelle imprese e sulla generalizzazione dei concetti di rateo e risconto.
Amodeo ha occupato la cattedra di Ragioneria presso la facoltà di Economia e Commercio dell’Ateneo federiciano per svariati decenni fino al 1984. Nel contempo e successivamente (1985-
86) ha insegnato Economia aziendale presso l’Istituto Universitario Navale, profondendo ai giovani con grande chiarezza e magistero il suo sapere scientifico nel campo economico-aziendale, suffra- gato da esperienze professionali di grandissimo livello maturate in oltre cinquant’anni di attività.
Le proposizioni di maggiore rilievo scientifico sono da rinvenirsi nell’applicazione dell’almeno normalità del reddito da assicurare alla vita futura d’impresa e negli accurati studi sul cost- accounting che di molto hanno fatto progredire le tematiche di programmazione e controllo nelle imprese.
Indiscusso merito, inoltre, è quello di aver promosso in Italia, anche come presidente del Con- siglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, ogni iniziativa per introdurre la certifiazione dei bilan- ci delle imprese e l’avvio dell’utilizzo dei principi contabili generalmente accettati, affermando la necessità di predisporre dei bilanci unificati. Sotto quest’aspetto, a buona ragione può essere consi- derato un precursore: ha intravisto con anni di anticipo l’evoluzione dei comportamenti aziendali da collegarsi agli studi più evoluti sulle nuove e diverse funzioni assegnabili al bilancio di esercizio.
Sulla base del discorso fin qui condotto, ben può dirsi che dalla Ragioneria, disciplina che per prima ha indagato gli aspetti economici del funzionamento aziendale, si sono delineate e staccate le altre discipline aziendali che focalizzano i loro saperi sull’aspetto soggettivo (organizzazione) e sull’aspetto oggettivo (economia e gestione) dell’azienda.
Gli studi organizzativi, in via autonoma, divengono basilari per la conduzione delle aziende e più che mai oggi che l’elemento umano e la sua utilizzazione, ad ogni livello aziendale, è fonda- mentale per la creazione di valore in generale e, quasi sempre, è componente immateriale di elevata entità del capitale d’impresa.
L’aspetto oggettivo è campo disciplinare delle Tecniche industriali, commerciali e bancarie, raggruppate negli insegnamenti universitari sotto l’etichetta di “Economia e gestione delle imprese” (industriali, commerciali, assicurative, intermediari finanziari, etc.).
Ebbene, come si pone la Ragioneria ne confronti dell’Economia aziendale, dell’Economia e ge- stione delle imprese e dell’Organizzazione?
E’ sufficiente riferirsi ad una proposizione dello Zappa: “Non si indaga la gestione, anzi non si amministra saggiamente senza un criterio saldamente esercitato negli strumenti e negli apprezza- menti contabili”: ecco il ruolo propedeutico e significativo della disciplina rispetto al novero delle altre discipline aziendali.
La Ragioneria si colloca così quale campo disciplinare indispensabile per preordinare l’attività gestionale e dunque le scelte aziendali, per manitorare i fatti di gestione in corso di svolgimento, per fornire i supporti informativi idonei ad accertare risultati, responsabilità, modalità di utilizzazione delle risorse assegnate, etc.
I vari ambiti di studio delle discipline ragionieristiche sono articolate nei seguenti insegnamenti universitari:
prodotto cognitivo è il bilancio
Le predette discipline studiano le rilevazioni connesse a specifici oggetti la cui conoscenza è fondamentale per una raggiungere l’obiettivo di una compiuta formazione nel campo aziendale, ov- viamente da integrarsi con la propedeutica Economia aziendale e da completare con le altre disci- pline menzionate, quali l’Organizzazione, l’Economia e gestione delle imprese e degli intermediari finanziari, la Finanza aziendale, il Marketing, etc.
L’Economia aziendale, dopo aver posto le basilari conoscenze sulle aziende e sugli elementi compositivi delle stesse quali soggetti e beni, indica le metodologie di studio e di ricerca dei com- portamenti al fine di identificare le uniformità, onde pervenire poi a generalizzazioni estese.
La Ragioneria fornisce “gli strumenti ed i connessi apprezzamenti contabili” senza i quali non si potrebbe avere la rappresentazione fedele della mutevole realità aziendale e non si potrebbero condurre analisi e costruire prospettive sulla sua evoluzione.
La storia e lo sviluppo della Ragioneria hanno segnato i progressi realizzati nello stato delle conoscenze dell’Economia d’azienda: attraverso lo stato quantitativo dei fenomeni che costituisco-
no la vita delle azienda, attraverso le loro analisi interpretative si riesce a penetrare la realtà ed a scrivere la storia delle singole aziene specifiche con conoscenze intorno all’evoluzione della ric- chezza amministrata e ai comportamenti assunti dai soggetti.
In quasi due secoli di dignità “scientifica”, la disciplina ragionieristica ha consentito, nel campo degli studi economico-aziendali di fissare le uniformità concettuali più vaste. Si menzionano:
Senza dir poi delle costruzioni ragionieristiche volte allo studio e alla generalizzazione dei comportamenti concreti:
Il sistema informativo aziendale
Il sistema informativo aziendale è l’insieme delle informazioni quantitative e qualitative affe- renti al sistema aziendale, strutturate secondo procedure di produzione e gestione utili alla condu- zione dell’azienda.
La vita economica dell’istituto aziendale è caratterizzata da decisioni riguardanti le azioni da intraprendere e le azioni volte a tradurre in atti concreti di gestione le scelte formulate.
Per condurre l’azienda a comportamenti orientati al successo gli organi deputati ad assumere decisioni, sia strategiche, indirizzate al lungo periodo, sia tattiche, relative all’attuazione dei pro- grammi, devono poter disporre di informazioni di alto profilo qualitativo.
In altre parole, le informazioni sono risorse indispensabili per la conduzione aziendale e come tali devono essere gestite. Di più, un sistema informativo efficace ed efficiente può costituire una solida fonte di vantaggio competitivo per l’azienda.
Le informazioni realmente utili al processo decisionale si caratterizzano per il possesso di alcu- ne qualità fondamentali:
Il sistema informativo aziendale raccoglie l’insieme delle rilevazioni sistematiche, contabili, statistiche, quantitative e qualitative atte a rappresentare la realtà aziendale, fornendo strumenti per comprenderla e governarla.
Al suo interno è possibile individuare alcuni sub-sistemi fondamentali ordinati a finalità speci- fiche. Intorno ai due fuochi costituiti dal sistema di contabilità generale e dal sistema di contabilità direzionale, a loro volta reciprocamente interconnessi, ruotano altre forme di rilevazione, contabili e statistiche.
La contabilità direzionale (management accounting) è il sistema informativo predisposto per orientare e controllare le scelte strategiche ed operative dell’azienda, mediante un complesso di ri- levazioni che vanno dalla pianificazione al controllo degli obiettivi fissati.
La contabilità generale (financial accounting) è l’insieme sistematico delle rilevazioni ordina- te alla determinazione del reddito di esercizio e del connesso capitale di funzionamento, tenute se- condo il metodo della partita doppia.
Alla base del sistema contabile sono poste alcune scelte di fondo in ordine alla definizione dei profili strutturali del sistema stesso: soggetti coinvolti, flussi informativi, sistemi di archiviazione, livello di rielaborazione delle informazioni, struttura formale dei documenti di sintesi elaborati.
La formulazione delle scelte sulla struttura e sul funzionamento del sistema contabile è un a- spetto di particolare delicatezza sotto il profilo gestionale: dall’efficacia delle politiche contabili e
dal livello qualitativo dei flussi informativi e dei dati a supporto delle decisioni dipendono il succes- so e la sopravvivenza stessa dell’istituto aziendale.
Il flusso di informazioni può essere rappresentato schematicamente attraverso tre fasi successi-
ve:
All’interno dei sistema informativo contabile è possibile osservare il sub-sistema della contabi- lità generale, specificamente oggetto della ragioneria generale.
Il sistema informativo della contabilità generale si sostanzia nelle osservazioni, misurazioni, valutazioni e rilevazioni che hanno come finalità prevalente la costruzione del bilancio di esercizio, documento fondamentale che permette la rappresentazione sintetica dell’intero sistema d’azienda attraverso le due grandezze fondamentali di capitale e reddito.
Per il suo funzionamento è necessario:
Il bilancio di esercizio è un documento di sintesi composto da prospetti numerico-quantitativi e allegati qualitativo-descrittivi che intendono rendere conto dei processi economici aziendali attra- verso la raffigurazione dei due macro-aggregati del capitale e del reddito.
In prima approssimazione, può evidenziarsi che il bilancio di esercizio, derivante dalla contabi- lità generale, assume numerose e notevoli funzioni per la vita dell’azienda:
Il capitale
Il capitale può essere definito come l’insieme dei beni a disposizione dell’azienda in un dato i- stante, armonicamente utilizzati per il perseguimento delle finalità aziendali.
In una nozione più estesa, esso comprende tutte le condizioni produttive: beni, materiali e im- materiali, potenzialità economiche, obbligazioni assunte verso terzi, etc.
Il capitale, dunque, è un insieme di beni che si caratterizza per alcuni connotati distintivi:
Dal punto di vista qualitativo, i beni possono essere ripartiti in classi, in modo da evidenziare alcune caratteristiche significative della composizione del capitale.
Secondo un criterio funzionale, o della destinazione, i beni possono essere osservati rispetto al tipo di legame che hanno con il processo economico, distinguendo immobilizzazioni e disponibili- tà.
Si definiscono immobilizzazioni tutti quei beni che non possono essere allontanati dal processo produttivo senza interromperlo o danneggiarne l’equilibrio economico-finanziario nel tempo. Alcu- ni esempi di immobilizzazioni sono i macchinari, l’edificio in cui ha sede la società, i diritti di bre- vetto relativi ai prodotti dell’azienda, le scorte “vincolate” di materie prime, il fondo cassa minimo necessario all’apertura di un punto vendita aziendale o alla gestione della liquidità, etc.
Si definiscono disponibilità quei beni che possono essere allontanati dal processo produttivo senza pregiudicarne l’equilibrio. Alcuni esempi di disponibilità sono le materie prime eccedenti il minimo necessario, i crediti concessi ai clienti, i titoli acquistati per impiego temporaneo di liquidi- tà, le scorte monetarie liquide.
Tra le condizioni produttive del capitale sono presenti anche i debiti, che tipicamente sono clas- sificati secondo la scadenza in debiti a breve, debiti a medio-lungo periodo, e il capitale investito a titolo di rischio dall’imprenditore o dai soci.
Dal punto di vista quantitativo, il capitale può essere considerato come un fondo di valori.
Al concetto di “fondo” sono legati quelli di “aggregato”, “somma”, “stock”. Definendo il capi- tale come “fondo” si vuole sottolineare il suo carattere di staticità, in contrasto con il “flusso” dina- mico del reddito.
In un certo istante, il capitale si manifesta come l’insieme delle condizioni produttive aziendali cristallizzato in una realtà statica in grado, con il successivo impiego nella gestione e con il fluire del tempo, di sprigionare energia economica capace di generare ricchezza nuova ossia, come oggi suol dirsi, di creare valore.
Sul piano quantitativo, tali condizioni produttive possono essere sintetizzate mediante l’attribuzione di un valore , espresso in equivalente monetario.
In un dato istante, il capitale può essere rappresentato dalla somma algebrica delle sue compo- nenti positive e negative, attraverso l’equazione
A – P = N (1)
dove:
A = Attività P = Passività N = Netto
Passiamo, adesso, all’analisi delle singole componenti.
Le “attività”, o elementi attivi del capitale, sono i valori dei beni mobili, immobili, macchinari, attrezzi, crediti, titoli; sono i valori di tutti i componenti del capitale che, nel breve o nel lungo pe- riodo, si tradurranno prevedibilmente in afflussi di denaro all’economia dell’azienda.
Le “passività”, o elementi passivi del capitale, sono i valori dei debiti verso fornitori, delle cambiali passive, dei debiti verso banche; sono i valori di quei componenti del capitale che, nel bre- ve o nel lungo periodo, causeranno prevedibilmente deflussi di denaro dall’economia dell’azienda.
La differenza tra attività e passività, se positiva, prende il nome di “capitale netto”, o “patri- monio netto”. Se negativa, se, cioè, le passività superano le attività, prende il nome di “deficit pa- trimoniale”.
L’eccedenza delle attività rispetto alle passività non può essere attribuita ad alcun bene in parti- colare, in quanto tutti i beni componenti il capitale, attivi e passivi, concorrono in maniera integrata al dispiegarsi nel tempo del processo produttivo.
Il capitale netto è individuato come valore differenziale tra il totale delle attività e il totale delle passività e, pertanto, si rivela come entità astratta, non attribuibile ad alcuno dei beni particolari. Pa- rimenti, le parti in cui si suole dividere il patrimonio netto, distinguendo, ad esempio, il capitale ini- ziale dalla ricchezza autogenerata, si definiscono anche “quote ideali del netto”: sono parti in cui idealmente si divide, per finalità di rappresentazione, l’entità astratta costituita dalla differenza tra attività e passività.
In ogni momento, deve essere verificata la (1), che può anche essere espressa come:
(I + D) – (Pb + Pl) = (N1 + N2 + …+ Nn) (2)
Dove:
I = Immobilizzazioni D = Disponibilità
Pb = Passivo a breve termine
Pl = Passivo a medio-lungo termine
N1, N2, …, Nn = Quote ideali del netto
E’ interessante notare che la (1) può anche essere scritta come
(I + D) = (Pb + Pl) + (N1 + N2 + …+ Nn) (3)
dove:
I = Immobilizzazioni D = Disponibilità
Pb = Passivo a breve termine
Pl = Passivo a medio-lungo termine
N1, N2, …, Nn = Quote ideali del netto
In questa forma, il lato destro dell’equazione patrimoniale può essere interpretato come rappre- sentazione delle fonti di finanziamento, provenienti da terzi (P) e dai soci (N), complessivamente investite nelle attività che, indicate nel lato destro dell’equazione, sono osservabili anche come im- pieghi dei finanziamenti ottenuti. Anche in questo caso, si evidenzia l’impossibilità di correlare sin- gole classi di fonti di finanziamento a singole classi di impieghi: la somma di passività e netto e- sprime l’intero valore della ricchezza complessivamente investita nelle attività.
L’incremento o il decremento subì to dal capitale per effetto della gestione, in un certo tempo, è definito “reddito”. Esso esprime in maniera sintetica il valore della ricchezza che il capitale, in vir- tù del processo produttivo, ha prodotto (utile) o distrutto (perdita).
Il reddito è l’indicatore fondamentale dell’economicità della gestione e della capacità dell’impresa di raggiungere le sue finalità istituzionale. D’altronde, l’obiettivo principale di chi in- veste risorse economiche nell’azienda è proprio l’accrescimento del capitale investito, mediante la produzione di nuova ricchezza.
Il riferimento al tempo nella definizione del risultato economico sottolinea l’aspetto dinamico del reddito stesso, in contrasto con la staticità del capitale. Il reddito si configura come flusso di ric- chezza promanante nel tempo dal capitale: il capitale con il decorrere del tempo sprigiona nel pro- cesso gestionale le sue potenzialità economiche producendo ricchezza, o distruggendola se la ge- stione non rispetta il vincolo di economicità.
Il reddito si costituisce come risultato di sintesi di tutte le operazioni in cui si sostanzia la ge- stione, ma la sua misurazione è tutt’altro che semplice ed immediata. Il reddito, infatti, è un valore astratto, che dipende dalle stime che è necessario effettuare.
Il contabile, nel valutare le componenti non monetarie del capitale, afferma dei giudizi di stima e compie delle scelte valutative che hanno un impatto sull’ammontare del reddito rilevato. Asse- gnando un valore inferiore o superiore alle componenti del capitale, il contabile, quindi, incide di- rettamente sui processi di creazione e distribuzione della ricchezza.
Con attinenza ai processi di stima relativi alla problematica del reddito, è opportuno accennare in questa sede a due configurazioni differenti che può assumere il reddito:
La problematica sarà analizzata con maggiore profondità in altra sede.
Esempio: Relazioni tra capitale e reddito
5/2/01
Si costituisce la ALFA srl con capitale sociale € 20.000 secondo le quote:
20.000 (cassa) = 20.000 (capitale netto)
15/2/01
Alfa acquista merci per € 10.000 e macchinari per € 8.000 L’equazione patrimoniale al 15/2/01 è:
Al passaggio dal 5/2/01 al 15/2/01:
3/3/01
La società Alfa vende tutte le merci per € 12.000, con pagamento metà per contanti e metà a tre mesi.
L’equazione patrimoniale al 3/3/01 è:
Al passaggio dal 15/2/01 al 3/3/01:
Il capitale (€ 20.000) per effetto delle operazioni di gestione ha subì to dal 5/2/01 al 3/3/01 un incremento (€ 2.000).
L’incremento subito dal capitale per effetto della gestione nel periodo considerato è il reddito del periodo 5/2/01 – 3/3/01.
A ben vedere, il reddito risulta dalle stime effettuate:
a.e. 8.000 (cassa) + 5.500 (crediti) + 8.000 (macchine) = 20.000 (cap. soc.) + 1.500 (utile)
LEZIONE IV
La gestione
1. La gestione: prvvista, trasformazione e scambio – 2. La gestione secondo la prospettiva redditualista – 3. La gestione nell’aspetto numerario e
nell’aspetto economico: uno schema integrato di analisi
Per “gestione”, o “amministrazione economica”, dell’azienda si intende l’insieme delle scelte e delle azioni che si compiono in vista del perseguimento del fine aziendale. Si tratta di un’attività e- stremamente complessa, in cui ciascuna scelta è intimamente legata alle precedenti e vincola, in maggiore o minore misura, le successive.
Allo stesso modo, i fatti e gli atti amministrativi sono intimanente uniti da legami di interazione e interdipendenza, tanto che difficilmente l’osservatore può isolare le influenze di ciascuno sull’economia della gestione per coglierne il contributo al raggiungimento del fine aziendale.
La complessa attività dell’amministrazione aziendale non può essere agevolmente interpretata con modelli di analisi standardizzati che tentino di ridurre a schemi semplificati la molteplicità degli aspetti della gestione e le peculiarità di ogni singola azienda.
Possono, però, essere identificati tre momenti tipici del ciclo produttivo a cui è possibile ricon- durre la pluralità dei fenomeni gestionali, componendo tre classi di fenomeni che si rivelano di grande aiuto nell’analisi dei processi economici dell’azienda: provvista, trasformazione, scambio.
Nella generalità dei casi, l’impresa dà inizio alla sua attività acquistando i beni e i servizi da impiegare nel processo produttivo: acquista materie prime, terreni, fabbricati, macchinari, brevetti, assume operai, impiegati, manager, acquisisce servizi da terzi. In altre parole, fa’ provvista di tutti i fattori produttivi necessari ad attivare l’attività economica.
I fenomeni gestionali attinenti alla fase della provvista si caratterizzano per la prevalente pre- senza di figure contrattuali quali la compravendita, la locazione, i contratti di lavoro subordinato, sostenendo esborsi di danaro in cambio dell’ottenimento dei beni e dei servizi di cui necessita.
Completato l’approvviggionamento, l’azienda attiva i processi di trasformazione che, attraver- so la combinazione dei fattori produttivi, conducono all’ottenimento dei beni e dei servizi oggetto dell’attività aziendale, dal cui collocamento nei mercati di sbocco l’impresa intende ottenere un guadagno. I fenomeni che avvengono durante la fase di trasformazione si svolgono esclusivamente all’interno dell’azienda.
Successiva alla trasformazione è lo scambio, fase gestionale in cui l’impresa colloca sul merca- to i beni e i servizi prodotti in cambio di un corrispettivo. E’ solo in seguito agli atti di scambio che si rivela l’incremento di valore indotto dai processi di trasformazione, mediante la misurazione “og- gettiva” del valore del bene o del servizio alienato rappresentata dall’equivalente in denaro o in altri beni o servizi che l’impresa percepisce dall’acquirente.
Le operazioni di gestione, dunque, possono essere logicamente raggruppate nei tre momenti fondamentali di provvista, trasformazione e scambio.
La successione indicata è solo una semplificazione che agevola nell’analisi del complesso dei fenomeni aziendali, poiché è evidente che nella realtà l’impresa non passa schematicamente attra- verso il ciclo di fasi descritto, bensì in ogni momento possono osservarsi contemporaneamente fatti e atti pertinenti a ciascuno dei tre momenti tipici descritti. Durante il normale fluire della vita dell’impresa, coesistono nella coordinazione sistemica della gestione numerosi cicli produttivi, cia- scuno dei quali si articola in fenomeni di provvista, di trasformazione e di scambio.
La constatazione della presenza simultanea di atti e fatti pertinenti a più fasi gestionali non compromette, però, la validità dello schema di analisi proposto, che consente di comporre classi di fenomeni utili ai fini delle rilevazioni contabili.
I fenomeni della gestione possono essere osservati da due punti di vista distinti: numerario e economico.
Sotto l’aspetto numerario1 si osservano tutti i mutamenti e le variazioni del denaro e dei suoi
sostituti (assegni bancari, assegni circolari, cambiali attive e passive, crediti, debiti) connessi ai fatti osservati. Il miglioramento dei mezzi numerari prende il nome di entrata, il peggioramento dei mezzi numerari prende il nome di uscita.
L’aspetto lucrativo o economico riguarda gli effetti sul risultato economico degli eventi ge- stionali. Da tale punto di osservazione, i fenomeni aziendali danno luogo a costi o a ricavi.
Il costo è l’onere che l’azienda sostiene per ottenere la disponibilità di un bene, di un servizio o di una condizione produttiva; esso costituisce un componente negativo del risultato economico. Al contrario, il ricavo è il vantaggio connesso alla cessione di beni o servizi prodotti; esso costituisce un componente positivo del risultato economico.
Tali oneri e vantaggi sono misurati in termini di valori monetari; così , il costo è “misurato” dall’uscita connessa al suo sostenimento e il ricavo è “misurato” dall’entrata legata al suo conse- guimento. Ad esempio, nell’acquisto di un automezzo si può osservare un’uscita che misura un co- sto e nella vendita di un prodotto si evidenzia un’entrata che misura un ricavo.
Generalizzando, si può affermare che, nell’osservazione di un atto o di un fatto aziendale, tra aspetto numerario e aspetto economico esiste un rapporto di misurazione : l’aspetto numerario “misura” l’aspetto economico. Il primo è evidente e può essere osservato in via diretta ed immedia- ta, il secondo nasce da una considerazione logicamente successiva, legata all’esame del contributo del fenomeno al fine aziendale. Si dice anche che l’aspetto numerario, misuratore, è originario e l’aspetto economico, misurato, è derivato.
Nell’analisi di un fenomeno di gestione il primo elemento che è dato di osservare è la variazio- ne dei mezzi numerari generata, positiva (entrata) o negativa (uscita); l’esame della variazione os- servata evidenzia la presenza di un componente economico, negativo (costo) o positivo (ricavo).
1 Il sostantivo “numerario” si riferisce al denaro contante e, più in generale, alle specie monetarie. Benchè si tratti di un termine non più diffuso nella lingua comune, il suo uso permane nel linguaggio tecnico della ragioneria.
Esempi: Analisi dei fenomeni gestionali
L’azienda ALFA acquista € 100.000 di minerale di ferro, pagando in contanti.
E’ un’operazione di provvista
Analisi dell’aspetto numerario:
diminuisce il denaro in cassa 7 uscita numeraria di € 100.000
Analisi dell’aspetto economico:
costo per l’acquisto di materie prime pari a € 100.000
Si ha una variazione numeraria passiva (uscita) di € 100.000 che misura il costo per l’acquisto di ma- terie.
L’azienda BETA vende € 75.000 di prodotti dolciari, accettando in pagamento cambiali per l’intero importo.
E’ un’operazione di scambio
Analisi dell’aspetto numerario:
aumentano le cambiali in portafoglio 7 entrata numeraria di € 75.000
Analisi dell’aspetto economico:
ricavo per la vendita di prodotti pari a € 75.000
Si ha una variazione numeraria attiva (entrata) di € 75.000 che misura il ricavo per la vendita dei pr o- dotti.
L’azienda BETA acquista € 2.500 di zucchero, pagando € 2.000 con l’emissione di ca m- biali e € 500 in contanti.
E’ un’operazione di provvista
Analisi dell’aspetto numerario:
diminuisce il denaro in cassa 7 uscita numeraria di € 500 aumentano le cambiali passive 7 uscita numeraria di € 2.000 Analisi dell’aspetto economico:
costo per l’acquisto di materie prime pari a € 2.500
Si hanno una variazione numeraria passiva (uscita) di € 500 e una variazione numeraria passiva (usci- ta) di € 2.000, entrambe misuratrici del costo per l’acquisto di materie prime.
L’azienda BETA acquista € 20.000 di farina; per il pagamento gira cambiali tenute in portafoglio per l’intero importo.
E’ un’operazione di provvista
Analisi dell’aspetto numerario:
diminuiscono le cambiali attive 7 uscita numeraria di € 20.000
Analisi dell’aspetto economico:
costo per l’acquisto di materie prime pari a € 20.000
Si ha una variazione numeraria passiva (uscita) di € 20.000 che misura il costo per l’acquisto di mate- rie prime.
Nell’analisi della gestione possono evidenziarsi alcuni caratteri tipici che consentono di sche- matizzare le manifestazioni dei fenomeni osservati sotto i due aspetti.
Durante la provvista, l’impresa di approvvigiona dei fattori necessari al processo produttivo, realizzando contratti di acquisto e locazione, assumendo personale; questo genere di operazioni da’, tipicamente, luogo a uscite che misurano i costi per l’acquisto dei fattori produttivi.
La fase di trasformazione, si è detto, riguarda la combinazione fisica ed economica dei beni e dei servizi per l’ottenimento dei prodotti ed è completamente interna all’azienda. Dal punto di vista numerario, quindi, non da’ luogo ad alcuna fenomeno osservabile.
Le operazioni di trasformazione, non evidenziando alcuna variazione originaria, misuratrice, non sono osservabili neanche sotto l’aspetto economico.
Durante la fase di scambio, l’impresa colloca nei mercati di sbocco i beni e i servizi prodotti, dando luogo, tipicamente, a entrate che misurano i ricavi di vendita.
Approfondendo le riflessioni che si stanno conducendo, è bene evidenziare che i valori numera- ri si distinguono in certi, assimilati e presunti.
Il denaro è il valore numerario certo, poiché ad esso corrisponde con certezza l’importo che rappresenta, che si calcola contando materialmente le specie monetarie. Allo stesso modo del dena- ro si considerano valori numerari certi i valori bollati, gli assegni circolari e gli assegni bancari, se sono dotati di copertura garantita. I valori numerari certi sono solo attivi, in quanto non esistono i valori numerari certi passivi.
Sono valori numerari assimilati i valori che si sostituiscono alla moneta per effetto delle ordi- narie operazioni di gestione; tipicamente, si tratta dei crediti connessi ad operazioni di scambio e dei debiti connessi alle operazioni di provvista. I valori numerari assimilati possono essere sia attivi (ad esempio, crediti verso clienti), sia passivi (ad esempio, debiti verso fornitori, debiti verso dipenden- ti).
L’esigenza di determinare il risultato dell’esercizio spinge a rilevare fenomeni di gestione che, pur relativi ad operazioni già concluse, non hanno ancora prodotto variazioni nell’aspetto numerario ma che in futuro genereranno entrate o uscite (fitti passivi pagati in via posticipata nell’esercizio successivo, interessi attivi maturati ma percepiti nell’esercizio successivo). In tal caso, si elaborano delle previsioni in ordine alle entrate e alle uscite che si manifesteranno in futuro e si sostituiscono
con valori numerari frutto di valutazioni presuntive: i valori numerari presunti. Anche i valori numerari presunti possono essere sia attivi (entrate future), sia passivi (uscite future).
Un problema analogo si pone quando l’impresa, intrattenendo rapporti commerciali con l’estero, diviene titolare di crediti e debiti denominati in moneta differente da quella che ordinaria- mente circola nel ciclo produttivo aziendale e che è utilizzata come misuratore di tutti i fatti di ge- stione.
Il valore delle divise estere è suscettibile di oscillazione fino al momento in cui si procede alla negoziazione valutaria, nell’attesa di tale negoziazione, si procede comunque alla registrazione dei fatti, traducendo i valori numerari sulla base di tassi di cambio solo stimati che danno, quindi, luogo a variazioni numerarie presunte.
Così , l’acquisto in valuta estera di materie prime, dà luogo a variazioni numerarie presunte pas- sive che misurano costi e la vendita di prodotti in valuta estera genera variazioni numerarie presunte attive che misurano ricavi.
Tornando all’esame delle variazioni che si possono rivelare nell’aspetto numerario, può dirsi che le entrate possono riferirsi ad un incremento di valori numerari attivi (certi, assimilati, presunti) o alla diminuzione di valori numerari passivi (assimilati, presunti);
Parimenti, le uscite possono riferirsi ad un incremento di valori numerari passivi (assimilati, presunti) o ad una diminuzione di valori numerari attivi (certi, assimilati, presunti).
Inoltre,
Sulla base del modello di analisi che ripartisce la gestione nelle tre fasi di provvista, trasforma- zione e scambio, può essere costruito il seguente schema che evidenzia, in prima approssimazione, le manifestazioni numerarie e le manifestazioni lucrative tipiche delle due fasi di provvista e scam- bio (si ricorda che nella fase di trasformazione non è osservabile alcuna variazione numeraria):
PROVVISTA |
||
Variazioni numerarie passive (uscite): |
MISURANO |
Costi |
SCAMBIO |
||
Variazioni numerarie attive (entrate): |
MISURANO |
Ricavi |
Il discorso necessita di un ulteriore approfondimento, dato che le categorie tipiche evidenziate non ecomprendono tutte le classi di atti e fatti gestionali.
Accade, talora, che alcuni fenomeni si esauriscano nell’aspetto numerario o, assai più raramen- te, nell’aspetto economico. Sono i c.d. fenomeni permutativi.
L’incasso di un assegno bancario, il pagamento di una cambiale, l’acquisto di titoli del debito pubblico danno luogo, contemporaneamente, ad variazioni numerarie attive e passive. Le operazioni che hanno ad oggetto il pagamento o la riscossione, oppure il rinnovo o la sostituzione dei debiti e dei crediti sorti nelle operazioni di provvista e di scambio sono denominate permutazioni numera- rie.
Esse possono essere semplici, se si esauriscono nel solo aspetto numerario, ossia se non hanno alcuna influenza sul risultato economico, o miste se interessano parzialmente anche l’aspetto eco- nomico.
Occasionalmente si realizzano particolari circostanze in cui alcuni eventi sono osservabili solo nell’aspetto economico (ad esempio, la permuta di un automezzo con un altro). Le operazioni che si esauriscono nell’aspetto economico sono denominate permutazioni lucrative o economiche .
Anche le permutazioni lucrative possono essere semplici, se si esauriscono nel solo aspetto e- conomico, o miste se riguardano parzialmente anche l’aspetto numerario.
Gli aumenti e le diminuzioni del capitale proprio danno luogo, generalmente, ad entrate ed uscite. In questi frangenti, le variazioni numerarie non misurano ricavi e costi, ma aumenti e diminuzioni del capitale di rischio.
Si hanno, perciò, variazioni numerarie attive (entrate) che misurano aumenti di capitale proprio e variazioni numerarie passive (uscite) che misurano diminuzioni di capitale proprio.
Oltre che alle modifiche dell’ammontare del capitale di rischio, per alimentare la gestione e coprire il fabbisogno finanziario, l’azienda sovente ricorre ad operazioni finanziarie di prestito che hanno ad oggetto la negoziazione di denaro (accensione di mutui, emissione di obbligazioni, acqui- sto di titoli del debito pubblico). In queste circostanze, il denaro è, al contempo, misuratore del fe- nomeno e oggetto stesso del fenomeno osservato.
I crediti e debiti connessi a tale operazioni di finanziamento si definiscono anche “non numera- ri”, per rimarcare la distinzione dai crediti e debiti “numerari” connessi alle normali operazioni di funzionamento.
Le accensioni di debiti “non numerari”, o “di finanziamento”, danno luogo a variazioni numeriarie attive (entrate) che misurano “ricavi di finanziamento”, relativi agli afflussi di de- naro connessi all’accensione dei debiti; successivamente, all’atto della restituzione dei capitali presi in prestito si hanno uscite che misurano le riduzioni dei ricavi di finanziamento.
Le accensioni di crediti “non numerari”, o “di finanziamento” danno luogo a variazioni numerarie passive (uscite) che misurano “costi di finanziamento”, relativi ai deflussi di denaro connessi all’erogazione di credito a terze economie; successivamente, all’atto della restituzione dei capitali concessi in prestito si hanno entrate che misurano le riduzioni dei costi di finanziamento.
Focalizzando l’attenzione sul processo produttivo, è possibile sintetizzare l’analisi finora con- dotta nelle seguenti osservazioni riassuntive.
Durante la fase di provvista, quindi, l’azienda si approvvigiona di tutti i fattori della produzione e si manifestano:
Durante la fase di scambio, quindi, l’azienda cede il risultato della produzione e si manifestano:
Inoltre, qualora l’azienda proceda alla riduzione dei finanziamenti attinti e si manifestano:
Per completare l’analisi, bisogna menzionare la possibilità, peraltro non infrequente, che l’azienda conceda finanziamenti a terzi (a.e. con operazioni di finanziamento, con l’aquisto di titoli obbligazionari e del debito pubblico). Per queste operazioni, all’atto dell’erogazione del denaro si hanno:
All’atto della restituzione del denaro da parte del debitore, si osservano:
Uno schema di analisi del ciclo capitalistico |
||
PROVVISTA |
||
Variazioni numerarie passive (uscite): |
MISURANO |
Costi |
Variazioni numerarie attive (entrate): |
MISURANO |
Ricavi di finanziamento Aumenti di capitale |
SCAMBIO |
||
Variazioni numerarie attive (entrate): |
MISURANO |
Ricavi |
RIDUZIONE DEI FINANZIAMENTI |
||
Variazioni numerarie passive (uscite): |
MISURANO |
Rimborsi dei finanziamenti attinti |
CICLO DEI FINANZIAMENTI EROGATI |
||
Variazioni numerarie passive (uscite): |
MISURANO |
Costi di finanziamento |
Variazioni numerarie attive (entrate): |
MISURANO |
Rimborsi dei finanziamenti erogati |
L’analisi condotta trova applicazione alla generalità delle imprese industriali e commerciali, che si caratterizzano per la presenza di cicli economici in cui la fase di provvista, con sostenimento dei costi, precede la fase di scambio, con il conseguimento dei ricavi.
Differentemente, in alcune categorie particolari di aziende la fase di scambio, con il consegui- mento dei ricavi, precede la fase di provvista, con il sostenimento dei costi. Un esempio tra tutti può essere costituito dalle imprese di assicurazione in cui l’incasso dei premi precede sistematicamente il sostenimento dei costi relativi agli eventuali rimborsi per sinistri (ramo danni) e alle erogazioni di rendite (ramo vita).
Esempi: Analisi dei fenomeni gestionali
L’azienda ALFA prende in prestito € 50.000 dalla Banca di Roma
E’ un’operazione di provvista di risorse finanziarie
Analisi dell’aspetto numerario:
aumenta il denaro in cassa 7 entrata numeraria di € 50.000
Analisi dell’aspetto economico:
ricavo di finanziamento pari a € 50.000
Si ha una variazione numeraria certa attiva (entrata) di € 50.000 che misura il ricavo di finanziamento per il debito contratto
I soci di BETA decidono un aumento di capitale di € 33.000. Il socio A e il socio B vers a- no € 11.000 a testa in contanti, il socio C conferisce crediti del valore di € 11.000.
E’ un’operazione di aumento di capitale
Analisi dell’aspetto numerario:
aumenta il denaro in cassa 7 entrata numeraria di € 22.000 aumentano i crediti in portafoglio 7 entrata numeraria di € 11.000 Aumento di capitale:
aumenta il capitale sociale di € 33.000
Si hanno una variazione numeraria certa attiva (entrata) di € 22.000 e una variazione numeraria ass i- milata attiva (entrata) che misura l’aumento di capitale
L’azienda BETA incassa i crediti del valore di € 11.000. E’ una permutazione numeraria
Analisi dell’aspetto numerario:
aumenta il denaro in cassa 7 entrata numeraria di € 11.000 diminuiscono i crediti 7 uscita numeraria di € 11.000
Si hanno una variazione numeraria certa attiva (entrata) di € 11.000 e una variazione numeraria assi- milata passiva (uscita) di € 11.000.
LEZIONE V
Il reddito
– 4. Ratei e risconti in senso lato ed in senso stretto – 5. Capitale e reddito a fine esercizio
Il capitale, in seguito alle operazioni di gestione subisce modificazioni nella sua composizione e nel suo ammontare.
Il reddito è l’incremento o il decremento subito dal capitale per effetto della gestione, in un certo tempo.
Con il fluire del tempo i fenomeni gestionali di provvista, trasformazione e scambio incidono sul capitale, trasformando le utilità economiche di cui è composto, generando o distruggendo ric- chezza. La sintesi del risultato di tutte le operazioni, semplici e complesse, è espressa dal reddito ri- ferito al periodo osservato.
Le operazioni di gestione causano l’insorgenza di costi e ricavi, sintetizzati dal reddito, che e- sprime, quindi, la variazione del capitale subita per effetto delle operazioni stesse. Può anche affer- marsi che ogni atto di gestione può generare un incremento o un decremento del capitale; è menoa- gevole osservare isolatamente il contributo di ogni singola operazione.
La vita delle aziende, si è visto, è particolarmente complessa, in quanto i cicli produttivi si so- vrappongono continuamente e incessantemente in una coordinazione sistematica che non può essere scissa se non con distinzioni artificiose e approssimative.
E’ opportuno, a questo punto, proseguire il ragionamento sulla base di un’ipotesi semplificativa che, pur allontanando il discorso dalla realtà concreta, sarà d’ausilio nel chiarimento dei concetti e- sposti.
Supporremo, infatti, una gestione aziendale fortemente semplificata, caratterizzata da poche operazioni e limitata nel tempo, tanto da poter osservare e misurare l’incremento del capitale subì to durante l’intera vita dell’azienda; studieremo, in altre parole, la misurazione del reddito totale d’impresa.
Supporremo, inoltre, che durante la vita dell’impresa non sono stati effettuati conferimenti o ri- duzioni di capitale, né sono stati distribuiti utili.
Infine, supporremo che nell’arco di tempo definito dall’intera vita dell’impresa il potere di ac- quisto della moneta non è variato; se non si partisse da questo presupposto, non sarebbe possibile comparare grandezze espresse in termini monetari il cui valore economco è diverso con il passare del tempo.
Sulla base delle ipotesi formulate, il reddito totale dell’impresa è, innanzitutto, misurabile cal- colando la differenza tra il valore del capitale al termine della vita dell’impresa e il valore del capi- tale inizialmente investito. Questa metodologia di calcolo deriva direttamente dalla definizione stes- sa di reddito; può essere espressa mediante la formula:
dove:
Rt = Reddito totale
N f = Netto finale
Ni = Netto iniziale
A ben vedere, il reddito può essere calcolato anche come differenza tra tutti i ricavi, vantaggi economici, conseguiti e tutti i costi, svantaggi economici, sostenuti durante la vita dell’impresa, se- condo la formula:
(5)
Rt = Reddito totale
r = ricavi totali
c = costi totali
Infine, il reddito totale può essere calcolato operando un raffronto tra tutte le entrate di denaro e tutte le uscite di denaro, ad esclusione di quelle relative al conferimento iniziale di capitale e alla di- stribuzione finale del capitale al termine del processo di liquidazione:
ossia, che, assumendo che non sono stati effettuati aumenti o riduzioni di capitale e che non so- no stati distribuiti dividendi, la differenza tra tutti i ricavi conseguiti e tutti i costi sostenuti dall’impresa durante l’intero arco della sua vita coincide con la differenza tra tutte le entrate di de- naro e tutte le uscite di denaro e con la differenza tra il valore del capitale finale e il valore del capi- tale investito inizialmente. Ciascuna di queste tre differenze esprime il reddito totale d’impresa, os- sia la ricchezza che l’impresa ha complessivamente prodotto, se positivo, o distrutto, se negativo, durante la sua esistenza.
Esempio: Calcolo del reddito totale
10/2/01
Si costituisce l’azienda commerciale Alfa, mediante versamento in contanti di 2.000.
L’equazione patrimoniale (2) è:
(2.000) – (0) = (2.000)
15/2/01
La prima operazione consiste nell’acquisto in contanti di merci per un costo di 500.
La (2) diventa:
(500 + 1.500) – (0) = (2.000)
20/3/01
Alfa prende in prestito 500.
La (2) diventa:
(500 + 2.000) – (500) = (2.000)
17/7/01
Alfa vende tutte le merci, ottenendo un ricavo di 800, interamente incassato in contanti
La (2) può scriversi:
(2.800) – (500) = (2.000 + 300)
22/11/01
La società Alfa viene posta in liquidazione. Si restituisce la somma di 500 presa in prestito.
La (2) diviene:
(2.300) – (0) = (2.000 + 300)
Il reddito totale è dato da:
Rt
Rt
r c = 800 – 500 = 300
E U = (500 + 800) – (500 + 500) = 300
Rt
N f
Ni = 2.300 – 2.000 = 300
Le riflessioni fin qui elaborate sono partite da alcune ipotesi lontane dalla realtà.
Le imprese tendono a durare nel tempo e hanno nella longevità uno degli obiettivi di riferimen- to della dinamica gestionale: non sono rari i casi di realtà aziendali che durano addirittura alcune centinaia di anni! Ed è ragionevole supporre che nell’intero arco temporale della vita dell’impresa si effettuino variazioni dei mezzi propri e distribuzioni di utili. Il potere d’acquisto della moneta, infi- ne, è tutt’altro che stabile: solo in anni recenti i Paesi più ricchi stanno sperimentando tassi di infla-
zione bassi; nei Paesi meno sviluppati si hanno tassi di inflazione elevati e talora, in casi limite, su- periori al 100% annuo.
I bisogni conoscitivi espressi da tutti i gruppi di soggetti che gravitano intorno all’economia dell’azienda riguardano orizzonti temporali limitati e necessitano di essere soddisfatti con riferi- mento a periodi assai più brevi della vita dell’azienda.
Gli azionisti attendono una remunerazione per il capitale investito e necessitano di informazioni aggiornate sulla situazione aziendale per rimodulare le proprie scelte di investimento e per verifica- re l’operato del management; i finanziatori hanno l’esigenza di avere informazioni aggiornate per poter valutare l’affidabilità dell’azienda; l’erario esige informazioni sul reddito e sul capitale per poter applicare l’imposizione fiscale. Questi sono solo alcuni degli interessi conoscitivi che conver- gono sull’azienda e che devono essere assecondati in modo adeguato e tempestivo.
Non potendosi, quindi, attendere che l’impresa abbia termine per elaborare delle rappresenta- zioni che siano in grado di descrivere gli andamenti aziendali, il bilancio viene costruito dividendo convenzionalmente la vita dell’impresa in periodi amministrativi, o “esercizi”, in genere pari ad un anno solare. Il bilancio riferito a tali periodi prende il nome di bilancio di esercizio e rappresenta il reddito di esercizio ed il connesso capitale di funzionamento.
Il frazionamento del continuo e complesso fluire sistemico della gestione, si è detto, è artificio- so e implica che l’individuazione del reddito relativo ad un singolo periodo amministrativo si pre- senta come un processo difficoltoso e necessariamente condizionato da approssimazioni.
E’ evidente che in qualsiasi data di riferimento individuata per il termine dell’esercizio l’impresa è nel pieno della sua attività di funzionamento, con processi produttivi in corso, macchi- nari in funzione, prodotti in via di completamento e prodotti completati in attesa di essere collocati sui mercati di sbocco, materie prime in magazzino e materie prime già ordinate e non ancora conse- gnate.
A ben vedere, nessuno dei tre differenti procedimenti di calcolo del reddito totale d’impresa sembra idoneo ad essere applicato con immediatezza e semplicità per la soluzione del problema del reddito di periodo.
Utilizzando la (4) si ottiene il reddito come differenza tra due stati del capitale, all’inizio e alla fine del periodo.
L’applicazione di questa metodologia di calcolo all’intera vita aziendale non si presenta parti- colarmente difficile: all’inizio dell’esistenza dell’impresa, infatti, il capitale è interamente composto da denaro o dai conferimenti dei soci, il cui valore è certo e confermato da perizie di stima; al ter-
mine della vita dell’impresa, con la liquidazione il capitale viene interamente convertito in denaro da distribuire ai soci. Pertanto, il reddito totale può essere valutato come differenza tra due espres- sioni monetarie del capitale che possiamo considerare certe e di agevole calcolo.
Per applicare la stessa metodologia alla soluzione del problema del reddito di esercizio è neces- sario pervenire al valore del capitale nei due suoi stati relativi all’inizio e al termine del periodo amministrativo individuato. In qualsiasi momento il capitale è soggetto alle continue modificazioni dovute alle operazioni della gestione che con assiduità intervengono sulla sua composizione; è composto da valori in corso di formazione, valori solo stimati e la sua valutazione complessiva si presenta come operazione assai complessa e delicata.
L’applicazione della (4) con riferimento al reddito di esercizio discende essenzialmente dalla sistematica patrimoniale del Besta e non risulta coerente con l’impostazione concettuale che si sta sviluppando in queste lezioni.
Secondo la (5) il reddito totale si calcola mediante la differenza tra la totalità dei ricavi conse- guiti e la totalità dei costi sostenuti dall’impresa.
Frazionando l’intera esistenza dell’impresa in esercizi, l’operazione si rivela tutt’altro che age- vole.
Se, infatti, i costi sono gli oneri che si sostengono per ottenere la disponibilità di beni e servizi da impiegare nel processo produttivo, è dalla scansione temporale di tale impiego che dipende la pertinenza dei costi ad un certo esercizio. L’acquisto di un bene è un evento istantaneo, che trova una precisa collocazione nel tempo, mentre la fruizione dello stesso avviene per periodi estesi, talo- ra compresi in più periodi amministrativi. Un macchinario industriale, ad esempio, viene acquistato in un momento specifico di un certo esercizio, ma contribuisce alla produzione per un certo numero di esercizi, fino a quando avrà esaurito la sua utilità economica.
Un discorso analogo può essere condotto con riferimento ai ricavi. Possono darsi, infatti, i casi di ricavi ottenuti dalla vendita di prodotti che sono stati completati negli esercizi precedenti, ricavi percepiti anticipatamente per prodotti che devono ancora essere completati. Anche per i ricavi il momento del conseguimento non coincide necessariamente con il periodo amministrativo a cui ap- partengono sulla base di corrette considerazioni economiche.
Perché il reddito di esercizio sia espressione della ricchezza prodotta in un definito lasso di tempo, dunque, l’istante del conseguimento dei ricavi e del sostenimento dei costi non può essere considerato un indice preciso e chiaro che consente di collocare costi e ricavi nel corretto periodo amministrativo.
E’ necessario individuare un criterio, o un fascio di criteri, che consenta di ripartire i costi e i ricavi tra gli esercizi sulla base di idonee considerazioni di carattere economico. Individuati tutti i costi e tutti i ricavi, si dà luogo ad un processo di stima che, sulla base di alcuni principi-guida, por- ta a valutare la competenza economica dei costi e dei ricavi.
Per affrontare il problema del reddito di competenza economica dell’esercizio è necessario sta- bilire alcune ipotesi di partenza:
Il principio della competenza economica prescrive che l’effetto dei fatti e degli atti di gestio- ne deve essere attribuito all’esercizio a cui tali fatti e atti si riferiscono, a prescindere dall’epoca del- la loro manifestazione numeraria.
La competenza economica dei ricavi è identificata dall’applicazione del principio di realizza- zione. I ricavi si ritengono realizzati se:
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Autore del testo: a cura di L.F.Mariniello
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