Lezioni di Ragioneria

Lezioni di Ragioneria

 

 

 

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Lezioni di Ragioneria

LEZIONE I

Profili storici e prospettive evolutive della Ragioneria

1. Inizio storico dell’arte dei conti – 2. La partita doppia – 3. La Ragioneria scientifica e il sistema patrimoniale – 4. L’Economia aziendale – 5. Lorenzo
de Minico e la Scuola napoletana – 6. La Ragioneria e le altre discipline

 

Inizio storico dell’arte dei conti

La specie umana si è posta problemi di misurazione quantitativa sin da quando  il  suo  sviluppo evolutivo l’ha resa in grado  di  programmare  intenzionalmente  il  procacciamento  e  l’impiego  delle  risorse necessarie al suo sostentamento.  Le  esigenze  di  accumulare  beni,  di  salvaguardarli,  di  ripar-  tirli e di regolarne il consumo fecero sorgere l’idea  del  controllo  e  dell’amministrazione;  nacquero  i  primi, rudimentali, prospetti per tenere memoria degli incrementi e dei decrementi nelle quantità di determinati oggetti (materie, merci, monete, etc.).
Lo studio delle modalità di  tenuta  di  tali  prospetti  e  delle  informazioni  da  essi  desumibili  risa-  lenti ad epoche  lontane  e  recenti  offre  un  contributo  significativo  allo  studio  dell’evoluzione  della  specie umana e delle civiltà che si sono succedute nella storia.

Scheda: Testimonianze storiche

 

EGITTO
Le ricerche archeologiche hanno  rinvenuto  due  categorie  principali  di  registrazioni  conta-  bili: le contabilità dei magazzini generali e le rilevazioni tenute per il pubblico Erario.
Le matere prime, quali oro,  grano,  tessuti  erano  raccolte  e  conservate  attraverso  un  siste- ma di  magazzini  centralizzati,  statali  e  periferici.  I  responsabili  dei  magazzini  rendevano  conto  del loro operato quotidianamente al primo ministro,  il  quale  a  sua  volta  elaborava  delle  situa-  zioni contabili di sintesi da presentare al sovrano.
Lo Stato era diviso in distretti, a capo di ciascuno dei quali era posto un governatore. Il governatore, oltre a verificare, a sua volta, la situazione quotidiana dei magazzini di  sua  com-  petenza,    teneva    un    inventario    delle    proprietà    dei   sudditi    che   serviva    come    base  per


 

l’imposizione fiscale.
I  documenti  ritrovati  dimostrano  che  i  conti  erano  tenuti  con  grande  attenzione  e precisio-
ne.

 

BABILONIA
La civiltà babilonese ha lasciato interessanti testimonianze di  scritture  contabili,  rese  at-  traverso le migliaia di tavolette di argilla ritrovate.
Una tipologia diffusa di registrazioni era quella  delle  “ricevute”:  per  ciascuna  partita  si  te- neva memoria dell’ammontare di beni o danaro ricevuto,  del  nome  di  colui  che  aveva  corri-  sposto i beni o il danaro, il nome del ricevente e la data.
Nei conti “delle spese” si serbava memoria delle  spese  sostenute  in  denaro  o in  natura  e della ragione delle stesse, consumo, acquisti, perdite etc. Questo tipo di conti serviva a rappre- sentare i costi sostenuti per determinate finalità.
I conti dei  “ricavi”  registravano  il bene  o la somma  di denaro  ricevuta,  la sua  provenienza,  la ragione per cui era stata ricevuta e la  data.  Registrazioni  simili  erano  tenute  per  tenere  me- moria delle produzioni effettuate.
Le registrazioni dei debiti contenevano l’ammontare e la natura  dei  beni  o del  denaro  pre- stati, il tasso di  interesse,  il  nome  del  debitore,  il  nome  del  creditore,  la  scadenza  e il  metodo del pagamento, i testimoni e la data.

GRECIA
Nei  sistemi  di  registrazione  si  teneva  conto  del  bilancio  iniziale,  delle  entrate,  delle  uscite   e del  bilancio  finale.  Ogni  anno  si  preparava  un  inventario  dei  beni  e  un  rendiconto  delle  fonti di entrate ed uscite.
Molto interessante è il c.d. papiro  di  Zenone,  risalente  all’epoca di Alessandro Magno (III sec. a.C.), che è stato ritrovato in Egitto.  Esso  spiega  che  l’amministrazione  dello  Stato  era  di- visa in dipartimenti e  che  ciascun  dipartimento  forniva  documentazioni  complete  e  dettagliate  delle transazioni avvenute e degli stock di denaro e beni quali grano, tessuti, olio. Tutte le in- formazioni  erano  rielaborate  in  prospetti  sintetici  riassuntivi   mensili,   annuali   e  triennali;   sulla base delle  risultanze  di  tali  prospetti  avvenivano  cambiamenti  nel personale  amministrativo, riassetti nella struttura dei dipartimenti, modifiche delle procedure.


 

ROMA
Nella civiltà romana i conti erano tenuti prevalentemente con tavolette  a cera,  per  cui  solo poche testimonianze sono  potute  giungere  ai  nostri  giorni.  Dalle  poche  testimonianze  in  pos- sesso degli studiosi, è possibile supporre che si tenevano due registri: uno, quotidiano, ove si registravano tutte le entrate ed uscite ed uno, mensile, nel quale erano riassunte le registrazioni effettuate nel registro giornaliero.
Il ritrovamento a Karanis in Egitto di  un  papiro  risalente  al  191-192 d.C., in cui sono pre- senti  dei  conti  tenuti  a  doppia  entrata,  ha  fatto  molto  discutere  gli  storici  sull’eventualità  che  già nell’antica Roma esistesse una rudimentale contabilità in partita doppia.
Fonte: KAM V., Accounting theory, 2nd ed., 1990

 

Le brevi testiominanze riportate confermano l’assunto secondo cui  nel  corso  della  storia  tutte  le civiltà hanno incontrato,  nella  vita  privata  e  nell’amministrazione  della  comunità,  problemi  fonda- mentali connessi alle relazioni interpersonali e  pubbliche  che  rendevano  indispensabile  la  tenuta  dei  conti. Il progresso culturale, sociale, economico e politico ha stimolato  l’elaborazione  di  soluzioni  peculiari,  concretizzate  in   complessi   contabili   talora   simili,   talora   differenti,   ma  comunque   fondati su rilevazioni elementari.
Nei luoghi ove le civiltà umane hanno ottenuto punte  elevatissime  di  sviluppo  e  brillanti  acqui- sizioni scientifiche anche la contabilità ha raggiunto forme sofisticate, precise e razionali, senza mai adombrare, però, la grande innovazione del metodo della  partita  doppia,  introdotto  dai  mercanti  ita- liani del XIII secolo d.C..

La partita doppia

Nell’Alto Medioevo, alla decadenza del commercio e  dell’economia  si  accompagnò  un  declino  della Ragioneria. I monasteri cattolici, primi  tra  tutti  quelli  benedettini,  crebbero  in  importanza  cul-  turale, sociale  ed economica,  diventando  veri e propri  centri di attrazione  di attività  e di studio;  sotto      i loro domì ni si organizzarono la  produzione,  particolarmente  quella  agricola,  e  il  commercio,  sep-  pure in maniera  limitata,  e  si  preservarono,  quindi,  le  indispensabili  tradizioni  contabili,  oltre  ai  sa- peri umanistici e scientifici.
Più tardi, a partire dal secolo XI, la crescita dell’economia e, soprattutto, del  commercio pose problemi di misurazione economica del tutto nuovi; le  compagnie  di  commercianti  italiani  si  svi- lupparono  fino  a  costituire  organizzazioni  molto  complesse  e  articolate,  con  sedi  in  tutto  il  territorio


 

europeo, raccogliendo soci numerosi  e  capitali  ingenti.  In  questo  contesto  di  rinascita  e sviluppo  de- gli affari maturò la nascita di un nuovo metodo di registrazione, la partita doppia, che  avrebbe  tra- sformato la modalità di tenuta dei conti e che tutt’oggi, epoca di internet e della  globalizzazione,  co- stituisce la struttura portante dei sistemi informativi di tutte le aziende del mondo.
Non è possibile individuare  un  momento  esatto  in  cui  nacque  il  metodo  della  scrittura  doppia.  Di sicuro ben prima dei più antichi documenti  contabili  in  partita doppia conosciuti; prima, cioè, del 1300.
Il metodo si diffuse molto rapidamente in Italia e all’estero, seguendo le rotte commerciali che portavano i mercanti alla scoperta di  nuovi  mercati  e  le  compagnie  italiane  a  stabilire  filiali  nei principali centri del mondo conosciuto. Solo più tardi, infatti, sarebbero comparsi i primi trattati di Ragioneria.
Gli storici riconoscono generalmente nella  Summa  de  arithmetica  di  fra’  Luca  Pacioli,  pubbli- cato nel 1494, il primo autentico  “libro  di  Ragioneria”  in  cui  si  spiega  il  metodo  della  partita  dop- pia. Dalla lettura del testo si desume  che il frate  non intendeva  proporre  l’adozione  di un nuovo  me-  todo, ma si limitava a spiegarne uno utilizzato oramai da qualche secolo, a  conferma  delle  ipotesi  formulate dagli storici sull’inizio della diffusione della partita doppia.
La pubblicazione  della  Summa  ha  il  grande  merito  storico  di  aver  liberato  il  metodo  della  parti- ta doppia dalla sua connotazione esclusivamente pratica, limitata a chi esercitava  la  mercatura,  e  di  averne formalizzata  la  struttura,  facendolo  assurgere  ad  argomento  degno  di  un  carattere  scientifico.  Il libro, grazie al  nuovo poderoso strumento  di  trasmissione  della  cultura  costituito  dalla  stampa,  molto contribuì  alla ulteriore diffusione del metodo.
Nei  secoli  che  seguirono  l’opera  di  Pacioli  i  numerosi  trattatisti  europei  proposero  contributi  ni -
teressanti  e  originali  sistemazioni  della  materia  contabile.  Apparvero  prima  i  trattati  sulla  partita  doppia applicata  alle  aziende  mercantili,  poi  a  quelle  industriali,  poi  a  quelle  di  consumo.  Gli  autori  si dedicarono in prevalenza ad opere di carattere manualistico, ma non si limitarono a spiegare i comportamenti concreti adottati nella pratica. La continua  ricerca  di  leggi  generali,  definizioni  più precise, di spiegazioni degli strumenti contabili e dei loro utilizzi posero  le  basi  per  lo  sviluppo  suc- cessivo della Ragioneria scientifica.
In  anni  più  recenti  è stato  rinvenuto  il  Liber abaci di Leonardo Fibonacci, scritto nel 1202, qua-  si trecento anni prima della Summa di Paciolo, ma pubblicato succesivamente a quest’ultima.


 

La Ragioneria scientifica e il sistema  patrimoniale

Con  l’ottocento  la  Ragioneria  si  elevò   definitivamente   sul  piano   scientifico,   grazie   soprattutto  al contributo di Francesco Villa e Giuseppe Cerboni, prima, e di Fabio Besta, poi.
Di grande rilievo  fu l’opera  di Francesco  Villa  (1801-1884) e della Scuola lombarda da lui fon-  data. Egli sostenne che “la contabilità deve essere considerata come un complesso  di  nozioni  eco-  nomiche amministrative  applicate  all’arte  di  tenere  i  conti  o  i   libri”,   individuando nell’amministrazione delle aziende l’ampio oggetto di studio della Ragioneria (che chiamava  sem-  plicemente  contabilità).  Affermò che  l’amministrazione  deve  essere sempre economica,   a  prescin- dere dalla finalità dell’azienda o dalla sua  natura,  pubblica  o  privata,  e  sostenne  con  forza  l’inutilità dello studio delle scritture contabili senza le necessarie conoscenze di amministrazione aziendale.
Giuseppe Cerboni (1827-1917), esponente maggiore della Scuola Toscana, si distinse  per l’originalità  del sistema  contabile  teorizzato,  la  logismografia,  che egli  applicò  anche all’amministrazione  dello  Stato,  dopo  aver  ottenuto  la  nomina  a  Ragioniere  Generale  del  recentis- simo Regno d’Italia.
Ma fu Fabio Besta (1845-1922) ad imprimere il più grande e rilevante progresso agli studi di Ragioneria, allineandoli ai più moderni orientamenti delle altre scienze. Egli sostenne  con forza l’applicazione di un  metodo  di  ricerca  “storico  e positivista”,  che  lo  portò ad elaborare  un paradig-  ma concettuale diametralmente opposto alla logismografia cerboniana.
Secondo Besta, l’azienda è un sistema coordinato di azioni di  gestione,  direzione  e controllo  ri-  ferite ad  un  patrimonio  e  la  Ragioneria  studia  le  aziende  mediante  la  rilevazioni  del  loro  patrimonio  e delle sue modificazioni.
La Ragioneria “studia ed  enuncia  le  leggi  del  controllo  economico  nelle  aziende  di  ogni  fatta  e ne trae norme opportune da seguire acciocchè così fatto controllo possa riuscire veramente efficace, persuadente  e compiuto”.  Il sistema contabile  teorizzato  da Besta si fonda sull’accensione  di due se-      rie di conti, l’una relativa  ai  componenti  del patrimonio,  l’altra  relativa  alle  loro  modificazioni;  al  termine dell’esercizio il risultato economico è dato dalla variazione subita dal patrimonio nel corso dell’esercizio stesso.
Un’altra caratteristica fondamentale del pensiero bestano  è  la  negazione  dell’esistenza  di  una  scienza aziendale  unitaria.  La  Ragioneria  deve  studiare  esclusivamente  il  controllo  economico  e  non  la  gestione,  che  forma  oggetto  di  un’altra  disciplina  che  andava  formandosi  in  quegli  anni:  la  tecni- ca commerciale.


 

Il  sistema  teorico  di  Besta  ha  avuto  una  influenza  molto  significativa  sulle  successive  evoluzio-   ni della  dottrina  ragionieristica,  sviluppato  ed  affinato  da  illustri  allievi  quali  Vianello,  D’Alvise, Lorusso, Alfieri, Ghidiglia ed ha avuto accesi sostenitori anche in tempi più recenti.

 

L’Economia aziendale

L’evoluzione della realtà economica dei primi anni del ‘900, l’ampliamento  dei  processi  di  cre-  azione di  ricchezza,  la  rapidità  crescente  dei  ritmi  produttivi,  la  maggiore  complessità  gestionale  dovuta  ai  nuovi  problemi  industriali  rendevano  più   complicato   l’utilizzo   del   sistema   patrimoniale, che  si  fonda  sulla  minuta  misurazione  di  ogni  singola  modificazione  subita  dal  valore  del  patrimo-  nio.
I mutamenti  della  realtà  operativa  e  i  nuovi  orientamenti  della  logica  e  della  filosofia  della scienza misero in discussione il sistema teorico patrimonialista
Gino  Zappaallievo  di  Besta,  propose  in  una  celebre  prolusione  all’anno  accademico  1926/27 la costruzione di una nuova disciplina scientifica, l’Economia aziendale, scienza unica dell’azienda, riferimento principale  dei  tre  filoni  di  studio  della  Ragioneria,  focalizzata  sui  problemi  della  rileva- zione, della Gestione e dell’Organizzazione. A differenza del suo  Maestro  Besta,  quindi,  Zappa  so-  stenne con vigore non solo la possibilità, ma anche la necessità di uno studio unitario  del  fenomeno aziendale.
L’oggetto  di  osservazione  dell’Economia  aziendale  è   l’azienda,   “coordinazione   economica   in atto, istituita e retta per il soddisfacimento dei bisogni umani”. Mentre  la  definizione  di  Besta  con-  centrava l’attenzione sul patrimonio e sulle  sue  modificazioni,  Zappa  propose  di  osservare  il  feno-  meno aziendale nei suoi connotati dinamici e  sistemici,  spostando  l’attenzione  dal  patrimonio  al  ri-  sultato economico.
Il  reddito costituisce  l’oggetto  primario del  sistema   contabile,   che  è  costitruito   per  osservarlo dal punto di vista quantitativo; con il sistema del reddito, il patrimonio  perde  il  suo  ruolo  da  prota- gonista nel processo di conoscenza dell’azienda, assumendo significato e valore prevalentemente in funzione della sua capacità di generare reddito.
In questa sede, ci si è limitati a individuare  sommariamente  solo  alcune  idee  fondamentali delle  prime opere di Gino Zappa, il Maestro dell’Economia aziendale.  La  sua  produzione  scientifica  si  dispiega in decenni ed affronta un vasto campo d’indagine, con rigore ed autorevolezza, fornendo  contributi dottrinari che ancora oggi costituiscono il punto di riferimento per le discipline economi- co-aziendali.


 

La diffusione delle proposizioni scientifiche zappiane attrasse  un  gran  numero  di  studiosi,  at-  traverso cui il pensiero redditualista si diffuse in tutto il Paese, dando luogo anche ad aspre ed interessantissime discussioni con i fautori del sistema patrimoniale.
L’esame degli illustrissimi allievi  di  Zappa  e  delle  loro  opere  sarebbe  di  grandissimo  interesse, ma non può trovare  spazio  in  un  corso  di  Ragioneria,  di cui  questa  rappresenta  la lezione  introdutti- va.
Tutt’oggi le scritture contabili si  tengono  secondo  il  sistema  introdotto  da  Gino  Zappa,  seppure non nella versione proposta  negli  anni ’20; il  sistema  del  reddito,  quindi,  costituisce  l’oggetto dell’intero corso di Ragioneria.

Lorenzo de Minico e la Scuola napoletana

E’ utile, a questo punto, riportare alcune notizie fondamentali della Scuola Napoletana  di  Ra-  gioneria,  che si  è  distinta  per la  qualità  e  l’originalità  dei contributi  offerti  al  progresso  dell’Economia aziendale, in generale, e della Ragioneria in particolare.
Il primo professore di Ragioneria dell’Università di Napoli fu Lorenzo de Minico (1896-1949). Avellinese, di umili origini, arrivò alla cattedra pur non appartenendo a nessuna Scuola particolare, distinguendosi per l’assoluta originalità e per il valore delle sue pubblicazioni.
Fu per circa quattordici anni preside della Facoltà di Economia  e Commercio  e per  lo stesso  pe- riodo la  sua  dottrina brillò dalla   cattedra   dell’Istituto  Universitario  Navale,  fino  al  momento  della  sua morte improvvisa.
Dobbiamo alla scienza di  de  Minico  alcuni  concetti  fondamentali  dell’economia  aziendale,  di-  versi dei quali saranno oggetto di approfondimento nello svolgimento del corso. Tra questi:

  • l’allargamento del concetto di rateo e risconto;
  • una nuova interpretazione della composizione del capitale a fine esercizio;
  • nuove      riflessioni       sull’individuazione       del   reddito     di    competenza,      sull’ammortamento       e sull’autofinanziamento;
  • la teoria del valore economico del capitale.

Più di ogni altra cosa, de Minico elaborò un approccio assolutamente originale all’Economia  aziendale. Egli teorizzò già dagli anni ’30 una visione “funzionale” dell’economia d’azienda: un’interpretazione complessiva del fenomeno aziendale e del  processo di  creazione di  ricchezza, condotta attraverso  l’analisi  dei  servizi  che  ogni  fattore  offre  al  ciclo  produttivo.  La  teoria  dei  servi- zi di de  Minico  anticipò  di  alcuni  decenni  alcune  proposizioni  scientifiche,  tutt’oggi  di  grande  attua-  lità, che nel contesto anglosassone saranno affermate a partire dagli anni ’50.


 

Il suo allievo  più  brillante  fu  Domenico  Amodeo,  che  si  distinse  per  aver  approfondito e diffuso in maniera sistematica il pensiero del suo maestro de Minico e per aver dato contributi  originali sul problema dei costi nelle imprese e sulla generalizzazione dei concetti di rateo e risconto.
Amodeo ha occupato la cattedra di Ragioneria presso la facoltà di Economia e Commercio dell’Ateneo  federiciano  per  svariati  decenni  fino  al  1984.  Nel  contempo  e  successivamente    (1985-
86) ha insegnato  Economia  aziendale  presso  l’Istituto  Universitario  Navale,  profondendo  ai  giovani  con grande chiarezza e  magistero  il  suo  sapere  scientifico  nel  campo  economico-aziendale,  suffra- gato da esperienze professionali di grandissimo livello maturate in oltre cinquant’anni di attività.
Le proposizioni di maggiore rilievo scientifico sono da rinvenirsi  nell’applicazione  dell’almeno normalità del reddito da  assicurare  alla vita futura  d’impresa  e  negli  accurati  studi  sul  cost-  accounting che di molto hanno fatto progredire le  tematiche  di  programmazione  e  controllo  nelle  imprese.
Indiscusso merito, inoltre, è quello di aver promosso  in  Italia,  anche  come  presidente  del  Con- siglio  Nazionale   dei   Dottori   Commercialisti,   ogni  iniziativa   per  introdurre   la  certifiazione   dei  bilan- ci delle imprese e  l’avvio  dell’utilizzo  dei  principi  contabili  generalmente  accettati,  affermando  la necessità di predisporre dei bilanci unificati. Sotto quest’aspetto,  a  buona  ragione  può  essere  consi- derato un precursore: ha intravisto con anni di anticipo l’evoluzione dei comportamenti aziendali da  collegarsi agli studi più evoluti sulle nuove e diverse funzioni assegnabili al bilancio di esercizio.

La Ragioneria e le altre discipline economico-aziendali

Sulla base del discorso fin qui condotto, ben può  dirsi  che  dalla  Ragioneria,  disciplina  che  per prima ha indagato gli aspetti economici  del  funzionamento  aziendale,  si  sono  delineate  e  staccate  le altre discipline aziendali che focalizzano i loro saperi  sull’aspetto  soggettivo  (organizzazione)  e  sull’aspetto oggettivo (economia e gestione) dell’azienda.
Gli  studi  organizzativi,  in  via  autonoma,  divengono  basilari  per  la  conduzione  delle  aziende  e   più che mai oggi che l’elemento umano e  la  sua utilizzazione,  ad  ogni  livello  aziendale,  è  fonda- mentale per la creazione di valore in  generale  e,  quasi  sempre,  è  componente  immateriale  di elevata entità del capitale d’impresa.
L’aspetto oggettivo è campo disciplinare delle Tecniche industriali, commerciali e  bancarie, raggruppate negli insegnamenti universitari sotto l’etichetta di “Economia e gestione delle imprese” (industriali, commerciali, assicurative, intermediari finanziari, etc.).


 

Ebbene, come si pone la Ragioneria ne confronti dell’Economia  aziendale,  dell’Economia  e  ge-  stione delle imprese e dell’Organizzazione?
E’ sufficiente riferirsi ad una proposizione dello Zappa: “Non si indaga la gestione, anzi non si amministra  saggiamente  senza  un  criterio  saldamente  esercitato  negli  strumenti   e  negli   apprezza- menti contabili”:  ecco  il  ruolo  propedeutico  e  significativo  della  disciplina  rispetto  al  novero  delle  altre discipline aziendali.
La Ragioneria si colloca così quale campo disciplinare indispensabile per preordinare l’attività gestionale e dunque le scelte aziendali, per manitorare i fatti di  gestione  in  corso  di  svolgimento,  per fornire  i  supporti  informativi  idonei  ad  accertare  risultati,   responsabilità,   modalità   di   utilizzazione delle risorse assegnate, etc.
I vari ambiti di studio delle discipline ragionieristiche sono articolate nei seguenti insegnamenti universitari:


  • Fondamenti  di  contabilità  generale  (Financial  accounting)  il  di esercizio e le sue utilizzazioni;
  • Economia dei gruppi e bilancio consolidato;
  • Programmazione e controllo;
  • Revisione aziendale;
  • Tecnica professionale;
  • Strategie e politiche aziendali.

prodotto   cognitivo   è  il bilancio


 

Le predette discipline studiano le rilevazioni connesse a specifici oggetti la cui conoscenza è fondamentale per una raggiungere l’obiettivo di una compiuta formazione nel campo aziendale,  ov-  viamente da integrarsi con la propedeutica  Economia  aziendale  e  da  completare  con  le  altre  disci-  pline menzionate, quali l’Organizzazione, l’Economia e gestione delle imprese e  degli  intermediari  finanziari, la Finanza aziendale, il Marketing, etc.
L’Economia aziendale, dopo aver posto le basilari conoscenze sulle aziende e sugli elementi  compositivi delle stesse quali soggetti e beni, indica le metodologie di studio e di ricerca dei  com-  portamenti al fine di identificare le uniformità, onde pervenire poi a generalizzazioni estese.
La  Ragioneria  fornisce  “gli  strumenti  ed  i  connessi  apprezzamenti  contabili”  senza  i  quali  non   si potrebbe avere la rappresentazione fedele della mutevole realità aziendale e  non  si  potrebbero  condurre analisi e costruire prospettive sulla sua evoluzione.
La storia e lo sviluppo della Ragioneria hanno segnato i progressi realizzati nello  stato  delle  conoscenze   dell’Economia   d’azienda:   attraverso   lo  stato   quantitativo   dei  fenomeni   che costituisco-


 

no la vita delle azienda, attraverso le loro analisi interpretative si  riesce  a  penetrare  la  realtà  ed  a  scrivere  la  storia  delle  singole  aziene  specifiche  con  conoscenze  intorno  all’evoluzione  della  ric- chezza amministrata e ai comportamenti assunti dai soggetti.
In quasi due secoli di dignità “scientifica”, la  disciplina  ragionieristica  ha  consentito,  nel  campo  degli studi economico-aziendali di fissare le uniformità concettuali più vaste. Si menzionano:

  • rilevazioni di conto;
  • metodi scritturali;
  • teorie valutative di capitale  reddito;
  • teorie sui costi;
  • teorie di creazione e diffusione del valore.

 

Senza dir poi delle costruzioni ragionieristiche volte allo studio e alla generalizzazione dei  comportamenti concreti:

    • strutture uniformi quali-quantitative di bilancio;
    • principi contabili nazionali ed internazionali;
    • metodi di misurazione del valore economico del capitale, dell’EVA;
    • bilanci sociali e bilanci ambientali;
    • codici etici sulla trasparenza della comunicazione d’impresa.

 

LEZIONE II

Il sistema informativo aziendale

    • Il sistema informativo aziendale – 2. Il sistema contabile

 

 

Il sistema informativo aziendale

Il  sistema  informativo  aziendale  è  l’insieme  delle  informazioni   quantitative   e   qualitative   affe- renti al sistema aziendale,  strutturate  secondo  procedure  di  produzione  e  gestione  utili  alla  condu-  zione dell’azienda.
La vita economica dell’istituto aziendale è caratterizzata da decisioni riguardanti le azioni da intraprendere e le azioni volte a tradurre in atti concreti di gestione le scelte formulate.
Per condurre l’azienda a comportamenti orientati al successo gli organi deputati  ad  assumere  decisioni, sia strategiche, indirizzate al lungo  periodo,  sia  tattiche,  relative  all’attuazione  dei  pro-  grammi, devono poter disporre di informazioni di alto profilo qualitativo.
In altre  parole,  le  informazioni  sono  risorse  indispensabili  per  la  conduzione  aziendale  e  come  tali devono essere gestite. Di  più,  un  sistema  informativo  efficace  ed  efficiente  può  costituire  una  solida fonte di vantaggio competitivo per l’azienda.
Le informazioni realmente  utili  al  processo  decisionale  si  caratterizzano  per  il  possesso  di  alcu-  ne qualità fondamentali:

  • Rilevanza. Un’informazione  è  rilevante  se  è  logicamente  collegata  con  le  decisioni  da  assumere e se consente di ridurre l’incertezza sulle variabili coinvolte nel processo decisionale;
  • Tempestività. E’ un aspetto specifico della rilevanza: se l’informazione  non è  disponibile  nel momento in cui deve essere formulata una decisione, diventa irrilevante;
  • Significatività. Talora alcune informazioni, pur essendo attinenti al processo decisionale  e  pur  essendo tempestive, sono scarsamente significative, nel senso  che  offrono  un  contributo  assai  limitato  alla  formulazione  delle  scelte.  Inoltre,  la  presenza  di  dati  scarsamente  significativi  spes-  so confonde, non consentendo di distinguere ed identificare le informazioni veramente utili al miglioramento  delle  decisioni.   Anche   le  informazioni   poco   significative,   infine,   hanno   un  costo di produzione, che talora può essere sproporzionato rispetto al vantaggio che se ne può trarre;

 

  • Affidabilità. L’informazione deve essere una corretta ed esatta descrizione del fatto  a  cui  si  ri- ferisce, deve essere verificabile e non deve aver subito effetti distorsivi;
  • Obiettività. L’informazione  non  deve aver subito  condizionamenti  soggettivi,  ossia  non  deve essere  condizionata  dalla   volontà   o  dall’intervento   modificatore   di  alcuni   individui   o  di  gruppi di individui. E’ evidente che si tratta di una caratteristica critica del sistema informativo. Come confermato  dagli  studi  specialistici,  non  è  possibile  eliminare  completamente  l’influenza  sogget- tiva dal processo cognitivo; d’altro canto, le risultanze del  sistema  informativo,  ed  in  particolare quelle pertinenti alla sfera contabile, necessitano di un attributo di obiettività che  le  possa  far considerare fedelmente rappresentative della realtà e non  influenzate  od  orientate  da  alcuni  inte-  ressi prevalenti.  La  questione  sarà  a  lungo  approfondita  negli  sviluppi  del  corso,  allorquando  sa- rà affrontata con chiarezza la tematica dei principi contabili.

Il sistema informativo aziendale  raccoglie  l’insieme  delle  rilevazioni  sistematiche,  contabili,  statistiche, quantitative e qualitative atte a rappresentare la realtà aziendale, fornendo strumenti per comprenderla e governarla.
Al suo interno  è  possibile  individuare  alcuni  sub-sistemi  fondamentali  ordinati  a  finalità  speci- fiche. Intorno ai due fuochi costituiti dal sistema di contabilità generale e dal sistema di contabilità direzionale, a loro volta reciprocamente interconnessi, ruotano altre forme di rilevazione, contabili e statistiche.
La contabilità direzionale (management accounting) è il sistema informativo predisposto  per  orientare e controllare le scelte strategiche ed operative dell’azienda, mediante un  complesso  di  ri-  levazioni che vanno dalla pianificazione al controllo degli obiettivi fissati.
La  contabilità  generale  (financial  accounting)  è  l’insieme  sistematico  delle  rilevazioni  ordina-  te alla determinazione del reddito di esercizio e del connesso  capitale  di  funzionamento,  tenute  se-  condo il metodo della partita doppia.

 

Il sistema contabile

Alla base del sistema contabile sono poste alcune scelte di  fondo  in  ordine  alla  definizione  dei  profili  strutturali  del sistema  stesso:  soggetti  coinvolti,  flussi  informativi,  sistemi  di   archiviazione,   livello di rielaborazione delle informazioni, struttura formale dei documenti di sintesi elaborati.
La formulazione delle scelte  sulla  struttura  e  sul  funzionamento  del  sistema  contabile  è  un  a- spetto   di  particolare   delicatezza   sotto   il  profilo   gestionale:   dall’efficacia   delle   politiche   contabili  e


 

dal livello qualitativo dei  flussi  informativi  e  dei  dati  a  supporto  delle  decisioni  dipendono  il  succes-  so e la sopravvivenza stessa dell’istituto aziendale.
Il  flusso  di  informazioni  può  essere  rappresentato  schematicamente  attraverso  tre  fasi     successi-
ve:

  • Raccolta dei dati. In questa fase i dati  informativi  sono  rilevati,  selezionati  per  verificare  la  presenza delle caratteristiche qualitative sopra elencate (rilevanza, tempestività,  significatività,  affidabilità, obiettività) e ordinati  secondo  procedure  preordinate,  al  fine  di  codificarne  il  conte-  nuto per la successiva elaborazione;
  • Elaborazione dei dati. I  dati  informativi,  preventivamente  selezionati,  sono  analizzati  e  rielabo-  rati al  fine  di  ottenere  informazioni  che,  opportunamente  organizzate  in  prospetti  di  sintesi,  sia-  no di supporto nelle varie fasi dei processi gestionali;
  • Utilizzo delle  informazioni.  Le  informazioni   sono  utilizzate   dalla  struttura   aziendale,  mediante  la predisposizione e la rappresentazione in schemi interpretativi  utili  a  ciascun  ambito  della  ge-  stione:
  • Situazioni patrimoniali
  • Prospetti di flussi (conti economici, cash flow, variazioni di capitale proprio)
  • Dati per il budget e il budgetary control
  • Dati per studi su investimenti, ricerche, marketing, finanza, etc.

 

All’interno  dei  sistema  informativo  contabile  è  possibile  osservare  il  sub-sistema  della  contabi- lità generale, specificamente oggetto della ragioneria generale.
Il sistema informativo della contabilità generale  si  sostanzia  nelle  osservazioni,  misurazioni,  valutazioni e rilevazioni che hanno come finalità prevalente la costruzione del bilancio di esercizio, documento fondamentale che permette la rappresentazione sintetica dell’intero  sistema d’azienda attraverso le due grandezze fondamentali di capitale e reddito.
Per il suo funzionamento è necessario:

  • definire con precisione le grandezze ricercate (capitale e reddito)
  • scegliere i fatti economici
  • osservarne le uniformità
  • rilevarli in maniera uniforme coerentemente con gli oggetti ricercati
  • valutare i risultati delle rilevazioni
  • interpretare gli aspetti qualitativi e quantitativi degli oggetti ricercati (capitale e reddito)

 

Il bilancio di esercizio è un documento di sintesi composto da prospetti  numerico-quantitativi e allegati  qualitativo-descrittivi  che  intendono  rendere conto dei  processi economici   aziendali   attra- verso la raffigurazione dei due macro-aggregati del capitale e del reddito.
In prima  approssimazione,  può  evidenziarsi  che  il  bilancio  di  esercizio,  derivante  dalla  contabi- lità generale, assume numerose e notevoli funzioni per la vita dell’azienda:

    • attraverso la rappresentazione del risultato di esercizio, indica  la  redditività  del  capitale  in-  vestito, la bontà delle scelte gestionali compiute nel passato, l’abilità  del  management  ad  ot- tenere risultati economici soddisfacenti;
    • è  di  ausilio   del   management   in   diversi   significativi   ambiti   decisionali   (solvibilità dell’impresa; revisione della politica degli acquisti e delle vendite, dei prezzi, dei  salari, pianficazione fiscale, tassi di interesse, tassi di cambio, ecc.);
    • consente di realizzare la politica dei dividendi e dell’autofinanziamento;
    • risponde ai bisogni conoscitivi dei  numerosi  soggetti  che  interagiscono  con  l’azienda:  i  mer-  cati  finanziari,  gli  investitori  istituzionali, i  finanziatori, i  fornitori,  i  clienti,  i  dipendenti,   il   fisco, ecc.;
    • nelle sue parti qualitativo-descrittive rende conto in modo ampio del ruolo dell’impresa nella comunità (bilancio sociale) e della sua relazione con l’ambiente (bilancio ambientale).

 

LEZIONE III

Il capitale

    • Il capitale – 2. L’equazione patrimoniale – 3. Il reddito: alcuni cenni

 

 

Il capitale

Il capitale può essere definito come l’insieme dei  beni  a  disposizione  dell’azienda  in un dato  i- stante, armonicamente utilizzati per il perseguimento delle finalità aziendali.
In una nozione più estesa, esso comprende tutte le condizioni produttive: beni, materiali e  im- materiali, potenzialità economiche, obbligazioni assunte verso terzi, etc.
Il capitale, dunque, è un insieme di beni che si caratterizza per alcuni connotati distintivi:

  • è composto dai beni  nella  disponibilità  dell’azienda;  è  possibile,  cioè,  impiegare  nella  ge-  stione tutte le sue componenti e i beni non disponibili all’utilizzo non  ne  sono  elementi  co-  stitutivi;
  • è  orientato  al  perseguimento  della  finalità  aziendale;  la  finalizzazione  del capitale   fa  assu- mere ai suoi componenti caratteristiche economiche  peculiari,  qualitative  (ad  esempio,  l’impiego di un fabbricato nella produzione industriale ne caratterizza  la  fruibilità,  rendendo  difficile  l’immediato  mutamento  di  destinazione)  e  quantitative  (il  valore   dei   beni   compo- nenti il capitale dipende dalla capacità  del  capitale  stesso,  impiegato  nella  gestione,  di  gene- rare ricchezza);
  • è osservato  istantaneamente;  le  operazioni  di  gestione  trasformano  continuamente  il  capitale  sia sul piano qualitativo che su  quello  quantitativo,  tanto  che  l’osservazione  del  capitale  non  può che aversi con un definito riferimento temporale.

Dal punto di vista qualitativo, i beni possono essere ripartiti in classi, in  modo  da  evidenziare  alcune caratteristiche significative della composizione del capitale.
Secondo un criterio funzionale, o della destinazione,  i beni  possono  essere  osservati  rispetto  al tipo di legame  che  hanno  con  il  processo  economico,  distinguendo  immobilizzazioni  disponibili- tà.


 

Si definiscono immobilizzazioni tutti quei beni che non possono essere allontanati dal processo produttivo  senza   interromperlo   o   danneggiarne   l’equilibrio   economico-finanziario   nel   tempo.   Alcu- ni esempi di immobilizzazioni sono i macchinari,  l’edificio  in  cui  ha  sede  la  società,  i  diritti  di  bre-  vetto relativi ai prodotti dell’azienda, le scorte “vincolate” di materie prime, il fondo cassa minimo  necessario all’apertura di un punto vendita aziendale o alla gestione della liquidità, etc.
Si definiscono disponibilità  quei  beni  che  possono essere allontanati  dal  processo produttivo  senza pregiudicarne l’equilibrio.  Alcuni  esempi  di  disponibilità  sono  le  materie  prime  eccedenti  il minimo  necessario,  i  crediti  concessi  ai  clienti,  i  titoli  acquistati  per  impiego  temporaneo  di  liquidi-  tà, le scorte monetarie liquide.
Tra le condizioni produttive del capitale sono presenti anche i  debiti,  che  tipicamente  sono  clas- sificati secondo la scadenza in debiti a breve,  debiti  a  medio-lungo  periodo,  e il  capitale  investito  a titolo di rischio dall’imprenditore o dai soci.

Dal punto di vista quantitativo, il capitale può essere considerato come un fondo di valori.
Al concetto di “fondo” sono  legati  quelli  di  “aggregato”,  “somma”,  “stock”.  Definendo  il  capi- tale come “fondo” si vuole sottolineare il suo  carattere  di staticità,  in contrasto  con  il “flusso”  dina- mico del reddito.
In un certo istante, il capitale si manifesta come l’insieme delle condizioni produttive aziendali cristallizzato  in  una  realtà  statica  in  grado,  con  il  successivo  impiego  nella  gestione  e  con  il  fluire  del tempo, di sprigionare  energia  economica  capace  di  generare  ricchezza  nuova  ossia,  come  oggi  suol dirsi, di creare valore.
Sul  piano  quantitativo,  tali condizioni  produttive  possono  essere   sintetizzate   mediante  l’attribuzione di un valore , espresso in equivalente monetario.

L’equazione patrimoniale

 

In un dato istante, il capitale  può  essere  rappresentato  dalla  somma algebrica delle sue compo-  nenti positive e negative, attraverso l’equazione

A – P = N         (1)
dove:
A = Attività P = Passività N = Netto


 

Passiamo, adesso, all’analisi delle singole componenti.
Le “attività”, o elementi attivi del capitale, sono i valori dei beni  mobili,  immobili,  macchinari, attrezzi, crediti, titoli; sono i valori di tutti i  componenti  del  capitale  che,  nel  breve  o  nel  lungo  pe- riodo, si tradurranno prevedibilmente in afflussi di denaro all’economia dell’azienda.
Le “passività”, o elementi passivi del capitale, sono i valori dei  debiti  verso  fornitori,  delle  cambiali passive, dei debiti verso banche; sono i valori di quei componenti del capitale che, nel bre-          ve o nel lungo periodo, causeranno prevedibilmente deflussi di denaro dall’economia dell’azienda.
La differenza tra attività e passività, se positiva, prende il  nome  di  “capitale  netto”,  o  “patri- monio netto”. Se negativa, se, cioè, le passività superano le attività, prende il nome di “deficit pa- trimoniale”.
L’eccedenza delle attività rispetto alle passività non può essere attribuita ad  alcun  bene  in  parti- colare, in  quanto  tutti  i  beni  componenti  il  capitale,  attivi  e  passivi,  concorrono  in  maniera  integrata al dispiegarsi nel tempo del processo produttivo.
Il capitale netto è individuato come valore differenziale tra il totale delle attività  e  il  totale  delle passività e, pertanto, si rivela come entità astratta, non attribuibile ad alcuno dei beni particolari.  Pa-  rimenti, le parti in cui si suole  dividere  il  patrimonio  netto,  distinguendo,  ad  esempio,  il  capitale  ini- ziale dalla ricchezza autogenerata, si definiscono anche “quote ideali del netto”: sono parti in cui idealmente si  divide,  per  finalità  di  rappresentazione,  l’entità  astratta  costituita  dalla  differenza  tra attività e passività.
In ogni momento, deve essere verificata la (1), che può anche essere espressa come:

 

(I + D) – (P+ Pl) = (N+ N+ …+ Nn)           (2)
Dove:
I = Immobilizzazioni D = Disponibilità
Pb = Passivo a breve termine
Pl  = Passivo a medio-lungo termine
N1, N2, …, Nn  = Quote ideali del netto

 


 

 

 

E’ interessante notare che la (1) può anche essere scritta come

 

(I + D) = (Pb + Pl) + (N+ N+ …+ Nn)            (3)
dove:
I = Immobilizzazioni D = Disponibilità
Pb = Passivo a breve termine
Pl  = Passivo a medio-lungo termine
N1, N2, …, Nn  = Quote ideali del netto

In questa forma, il lato destro dell’equazione patrimoniale può essere interpretato come rappre- sentazione delle fonti di finanziamento, provenienti da terzi  (P)  e  dai  soci  (N),  complessivamente  investite nelle attività che, indicate nel lato  destro  dell’equazione,  sono  osservabili  anche  come  im-  pieghi dei  finanziamenti  ottenuti.  Anche  in  questo  caso,  si  evidenzia  l’impossibilità  di  correlare  sin-  gole classi di fonti di finanziamento a  singole  classi  di  impieghi:  la  somma  di  passività  e  netto  e- sprime l’intero valore della ricchezza complessivamente investita nelle attività.


 

Il reddito: alcuni cenni

L’incremento o il decremento subì to dal capitale per effetto della gestione, in un certo tempo, è definito “reddito”.  Esso  esprime  in  maniera  sintetica  il  valore  della  ricchezza  che  il  capitale,  in  vir- tù del processo produttivo, ha prodotto (utile) o distrutto (perdita).
Il reddito è  l’indicatore  fondamentale  dell’economicità  della gestione e  della   capacità dell’impresa  di  raggiungere  le  sue  finalità  istituzionale.   D’altronde,   l’obiettivo   principale   di  chi   in- veste risorse economiche nell’azienda è proprio l’accrescimento del capitale investito, mediante la produzione di nuova ricchezza.
Il  riferimento  al  tempo  nella  definizione  del   risultato   economico   sottolinea   l’aspetto   dinamico del reddito stesso, in contrasto con la staticità del capitale. Il reddito  si configura  come flusso  di ric-  chezza promanante nel tempo dal capitale: il capitale con  il  decorrere  del  tempo  sprigiona  nel  pro-  cesso gestionale le sue  potenzialità  economiche  producendo  ricchezza,  o  distruggendola  se  la  ge-  stione non rispetta il vincolo di economicità.
Il reddito si costituisce come risultato di sintesi di tutte  le  operazioni  in  cui  si  sostanzia  la  ge-  stione, ma la sua misurazione è tutt’altro che semplice ed immediata. Il  reddito,  infatti,  è  un  valore astratto, che dipende dalle stime che è necessario effettuare.
Il  contabile,  nel  valutare  le  componenti  non  monetarie  del  capitale,  afferma  dei  giudizi  di  stima   e compie delle scelte valutative che hanno  un  impatto  sull’ammontare  del  reddito  rilevato.  Asse-  gnando un valore inferiore o superiore alle componenti del capitale, il contabile, quindi,  incide  di-  rettamente sui processi di creazione e distribuzione della ricchezza.
Con attinenza ai  processi  di  stima  relativi  alla  problematica  del  reddito,  è  opportuno  accennare in questa sede a due configurazioni differenti che può assumere il reddito:

  • reddito prodotto: è il reddito prodotto dalla gestione, comunque determinato sulla base  di  processi di stima, orientati prevalentemente al passato, alle operazioni concluse;
  • reddito prelevabile o distribuibile: è  il  reddito  che  può  essere  distribuito  senza  compromet- tere il valore reale o sostanziale  del capitale,  ossia senza pregiudicare  la capacità  del capita-       le di produrre redditi in futuro; anch’esso è determinato sulla base di processi di stima che osservano con attenzione anche le prospettive future della gestione.

La problematica sarà analizzata con maggiore profondità in altra sede.


Esempio: Relazioni tra capitale e  reddito
5/2/01
Si costituisce la ALFA srl con capitale sociale € 20.000 secondo le quote:

  • socio A € 12.000 con versamento in contanti
  • socio B € 8.000 con versamento in contanti L’equazione patrimoniale al 5/2/01 è:

20.000 (cassa) = 20.000 (capitale netto)

15/2/01
Alfa acquista merci per € 10.000 e macchinari per € 8.000 L’equazione patrimoniale al 15/2/01 è:

    • (cassa) + 10.000 (merci) + 8.000 (macchine) = 20.000 (capitale netto)

Al passaggio dal 5/2/01 al 15/2/01:

      • la consistenza qualitativa del capitale è mutata;
      • il valore del capitale, a causa del rischio di impresa, diviene incerto e prospettico.

3/3/01
La società Alfa vende  tutte  le  merci  per  € 12.000,  con  pagamento  metà per contanti e metà a  tre mesi.
L’equazione patrimoniale al 3/3/01 è:

    • (cassa) + 6.000 (crediti) + 8.000 (macchine) = 20.000 (capitale sociale) + 2.000 (utile)

Al passaggio dal 15/2/01 al 3/3/01:

      • la consistenza qualitativa del capitale è mutata;
      • il capitale ha subito un incremento di € 2.000

Il capitale (€ 20.000) per effetto delle operazioni di gestione ha subì to dal 5/2/01 al 3/3/01 un incremento (€ 2.000).
L’incremento subito dal capitale per effetto della gestione nel periodo considerato è il reddito del periodo 5/2/01 – 3/3/01.
A ben vedere, il reddito risulta dalle stime effettuate:

  • sull’esigibilità dei crediti (se si stimasse di poter incassare € 5.500 e non l’intero por- tafoglio crediti, il reddito sarebbe ridotto, corrispondentemente, di € 500);

a.e. 8.000 (cassa) + 5.500 (crediti) + 8.000 (macchine) = 20.000 (cap. soc.) + 1.500 (utile)

  • sul valore da assegnare alle macchine (se si ritenesse che le macchine avessero un va- lore inferiore, il reddito sarebbe corrispondentemente ridotto).

 

LEZIONE IV
La gestione

 

1. La gestione: prvvista, trasformazione e scambio – 2. La gestione secondo la prospettiva redditualista – 3. La gestione nell’aspetto numerario e
nell’aspetto economico: uno schema integrato di analisi

 

La gestione: provvista, trasformazione e scambio

Per “gestione”, o “amministrazione  economica”,  dell’azienda  si  intende  l’insieme  delle  scelte  e  delle azioni che si compiono in vista del perseguimento del fine aziendale. Si tratta di un’attività e- stremamente complessa, in cui ciascuna scelta è  intimamente  legata  alle precedenti  e  vincola,  in maggiore o minore misura, le successive.
Allo  stesso  modo,  i  fatti  e  gli  atti  amministrativi  sono  intimanente  uniti  da  legami  di  interazione  e interdipendenza, tanto che  difficilmente  l’osservatore  può isolare  le  influenze  di  ciascuno sull’economia della gestione per coglierne il contributo al raggiungimento del fine aziendale.
La  complessa  attività  dell’amministrazione  aziendale  non   può   essere   agevolmente   interpretata con modelli di analisi standardizzati che tentino  di  ridurre  a  schemi  semplificati  la  molteplicità  degli  aspetti della gestione e le peculiarità di ogni singola azienda.


 

Possono, però, essere identificati tre momenti tipici del  ciclo  produttivo  a  cui  è  possibile  ricon- durre  la  pluralità  dei fenomeni  gestionali,  componendo  tre classi  di  fenomeni  che si  rivelano   di grande aiuto nell’analisi dei processi economici dell’azienda: provvista, trasformazione, scambio.
Nella generalità dei casi, l’impresa dà inizio alla sua attività acquistando i beni  e  i  servizi  da  impiegare nel processo produttivo: acquista materie  prime,  terreni,  fabbricati,  macchinari,  brevetti,  assume operai, impiegati, manager, acquisisce servizi da terzi.  In  altre  parole,  fa’  provvista di tutti  i fattori produttivi necessari ad attivare l’attività economica.
I fenomeni gestionali attinenti alla  fase  della  provvista  si  caratterizzano  per  la  prevalente  pre- senza di figure contrattuali quali la compravendita, la locazione, i  contratti  di  lavoro  subordinato, sostenendo esborsi di danaro in cambio dell’ottenimento dei beni e dei servizi di cui necessita.
Completato  l’approvviggionamento,  l’azienda  attiva  i  processi   di  trasformazione   che,  attraver- so la combinazione dei fattori produttivi, conducono all’ottenimento dei beni e dei  servizi  oggetto  dell’attività aziendale, dal cui collocamento  nei  mercati  di  sbocco  l’impresa  intende  ottenere  un guadagno. I fenomeni che avvengono durante la fase di trasformazione si svolgono esclusivamente all’interno dell’azienda.
Successiva  alla  trasformazione  è  lo  scambio,  fase  gestionale  in  cui  l’impresa  colloca  sul  merca- to i beni e i servizi  prodotti  in cambio  di un corrispettivo.  E’ solo in seguito  agli atti di scambio  che        si rivela l’incremento di valore indotto dai processi di trasformazione, mediante  la  misurazione  “og-  gettiva” del valore del bene o del servizio alienato  rappresentata  dall’equivalente  in  denaro  o in  altri  beni o servizi che l’impresa percepisce dall’acquirente.
Le operazioni di gestione, dunque, possono essere logicamente raggruppate nei tre momenti fondamentali di provvista, trasformazione e scambio.
La successione indicata è solo una semplificazione che agevola nell’analisi del  complesso  dei  fenomeni aziendali, poiché è  evidente  che  nella  realtà  l’impresa  non  passa  schematicamente  attra-  verso  il  ciclo  di  fasi  descritto,  bensì  in  ogni  momento  possono  osservarsi  contemporaneamente  fatti e atti pertinenti a ciascuno dei tre momenti tipici  descritti.  Durante  il  normale  fluire  della  vita dell’impresa, coesistono  nella  coordinazione  sistemica  della  gestione  numerosi  cicli  produttivi,  cia-  scuno dei quali si articola in fenomeni di provvista, di trasformazione e di scambio.
La constatazione della presenza simultanea di atti e fatti pertinenti a più fasi gestionali non compromette, però, la validità dello schema di analisi proposto, che consente di comporre classi di fenomeni utili ai fini delle rilevazioni contabili.


 

La gestione secondo la prospettiva redditualista

I fenomeni della gestione possono essere osservati da due punti di vista distinti: numerario e economico.
Sotto  l’aspetto  numerario1    si  osservano  tutti  i  mutamenti  e  le  variazioni  del  denaro  e  dei suoi
sostituti (assegni bancari, assegni circolari, cambiali attive e passive, crediti, debiti) connessi ai fatti osservati.  Il  miglioramento  dei  mezzi  numerari  prende  il  nome  di  entrata,  il  peggioramento   dei mezzi numerari prende il nome di uscita.
L’aspetto lucrativo o economico riguarda gli effetti sul  risultato  economico  degli  eventi  ge- stionali. Da tale punto di osservazione, i fenomeni aziendali danno luogo a costi o a ricavi.
Il  costo è l’onere  che  l’azienda  sostiene  per  ottenere  la disponibilità  di un bene,  di un servizio  o  di una condizione produttiva; esso costituisce un componente negativo del  risultato  economico.  Al contrario, il ricavo  è  il  vantaggio  connesso  alla  cessione  di  beni  o  servizi  prodotti;  esso  costituisce un componente positivo del risultato economico.
Tali oneri e vantaggi sono misurati in termini di valori monetari; così , il  costo  è  “misurato”   dall’uscita connessa al suo sostenimento e il ricavo è “misurato” dall’entrata legata al  suo  conse-  guimento. Ad esempio, nell’acquisto di  un  automezzo  si  può  osservare  un’uscita  che  misura  un  co-  sto e nella vendita di un prodotto si evidenzia un’entrata che misura un ricavo.
Generalizzando, si può affermare che, nell’osservazione di un  atto  o  di  un  fatto  aziendale,  tra  aspetto numerario e aspetto economico esiste  un  rapporto  di  misurazione :  l’aspetto  numerario “misura” l’aspetto economico. Il  primo  è evidente  e può  essere  osservato  in  via  diretta  ed  immedia- ta, il  secondo  nasce  da  una  considerazione  logicamente  successiva,  legata  all’esame  del  contributo  del fenomeno al fine aziendale. Si dice anche che l’aspetto numerario,  misuratore,  è  originario  e  l’aspetto economico, misurato, è derivato.
Nell’analisi di un fenomeno  di  gestione  il  primo  elemento  che  è dato  di  osservare  è la  variazio- ne dei mezzi numerari generata, positiva (entrata) o  negativa  (uscita);  l’esame  della  variazione  os- servata evidenzia la presenza di un componente economico, negativo (costo) o positivo (ricavo).



1 Il sostantivo “numerario” si riferisce al denaro contante e, più in generale, alle specie monetarie. Benchè si tratti di un termine non più diffuso nella lingua comune, il suo uso permane nel linguaggio tecnico della ragioneria.


 

Esempi: Analisi dei fenomeni  gestionali

L’azienda ALFA acquista € 100.000 di minerale di ferro, pagando in contanti.
E’ un’operazione  di provvista
Analisi  dell’aspetto  numerario:
diminuisce il denaro in cassa 7  uscita numeraria di €  100.000
Analisi  dell’aspetto  economico:
costo per l’acquisto di materie prime pari a €   100.000

Si ha una variazione numeraria passiva (uscita) di € 100.000 che misura il costo per l’acquisto di ma-  terie.

 

L’azienda BETA vende € 75.000 di prodotti dolciari, accettando in pagamento  cambiali  per l’intero importo.
E’ un’operazione di  scambio
Analisi  dell’aspetto  numerario:
aumentano le cambiali in portafoglio  7  entrata numeraria di €  75.000
Analisi  dell’aspetto  economico:
ricavo per la vendita di prodotti pari a €   75.000

Si ha una variazione numeraria attiva (entrata)  di € 75.000 che misura il ricavo per la vendita dei pr o- dotti.

 

L’azienda BETA acquista € 2.500 di zucchero, pagando € 2.000 con l’emissione di ca m- biali e € 500 in contanti.
E’ un’operazione di provvista
Analisi  dell’aspetto  numerario:
diminuisce il denaro in cassa 7 uscita numeraria di € 500 aumentano le cambiali passive 7 uscita numeraria di € 2.000 Analisi  dell’aspetto  economico:
costo per l’acquisto di materie prime pari a €   2.500

Si hanno  una  variazione  numeraria  passiva  (uscita)  di  € 500 e una variazione numeraria passiva (usci- ta) di € 2.000, entrambe misuratrici del costo per l’acquisto di materie prime.

 

L’azienda BETA acquista € 20.000 di farina; per il pagamento gira cambiali tenute in portafoglio per l’intero importo.
E’ un’operazione di provvista
Analisi  dell’aspetto  numerario:
diminuiscono le cambiali attive 7  uscita numeraria di €  20.000
Analisi  dell’aspetto  economico:
costo per l’acquisto di materie prime pari a €   20.000

Si ha una variazione numeraria passiva (uscita) di € 20.000 che misura il costo per l’acquisto di mate-     rie prime.


 

Nell’analisi della gestione possono evidenziarsi alcuni caratteri tipici che  consentono  di  sche-  matizzare le manifestazioni dei fenomeni osservati sotto i due aspetti.
Durante la provvista, l’impresa di approvvigiona dei fattori necessari al processo produttivo, realizzando contratti di acquisto e locazione, assumendo personale; questo genere di operazioni da’, tipicamente, luogo a uscite che misurano i costi per l’acquisto dei fattori produttivi.
La fase di trasformazione,  si  è  detto,  riguarda  la  combinazione  fisica  ed  economica  dei  beni  e dei servizi per l’ottenimento dei prodotti ed è completamente interna all’azienda. Dal punto di vista numerario, quindi, non da’ luogo ad alcuna fenomeno osservabile.
Le  operazioni di  trasformazione,  non evidenziando   alcuna   variazione   originaria,   misuratrice,   non sono osservabili neanche sotto l’aspetto economico.
Durante la fase di scambio, l’impresa colloca nei mercati di  sbocco  i beni  e i servizi  prodotti,  dando luogo, tipicamente, a entrate che misurano i ricavi di vendita.

La gestione nell’aspetto numerario e nell’aspetto economico: uno schema integrato di analisi.

Approfondendo le  riflessioni  che  si  stanno  conducendo,  è  bene  evidenziare  che  i  valori  numera- ri si distinguono in certi, assimilati e presunti.
Il denaro è il valore numerario certo, poiché ad esso corrisponde con certezza l’importo che rappresenta, che si  calcola  contando  materialmente  le  specie  monetarie.  Allo  stesso  modo  del  dena- ro si considerano valori numerari certi  i  valori  bollati,  gli  assegni  circolari  e  gli  assegni  bancari,  se  sono dotati di copertura garantita. I valori  numerari  certi  sono  solo  attivi, in  quanto  non  esistono  i valori numerari certi passivi.
Sono valori numerari assimilati i valori che si  sostituiscono  alla  moneta  per  effetto  delle  ordi- narie operazioni di gestione; tipicamente, si tratta dei crediti connessi  ad operazioni  di scambio  e dei  debiti connessi alle operazioni di provvista. I valori numerari assimilati possono essere sia  attivi (ad esempio, crediti verso clienti),  sia passivi (ad  esempio,  debiti  verso  fornitori,  debiti  verso  dipenden-  ti).
L’esigenza  di  determinare  il  risultato  dell’esercizio  spinge  a  rilevare  fenomeni  di  gestione  che,   pur relativi ad operazioni  già  concluse,  non  hanno  ancora  prodotto  variazioni  nell’aspetto  numerario  ma che in futuro genereranno entrate o uscite (fitti passivi pagati  in  via  posticipata  nell’esercizio successivo, interessi attivi maturati  ma  percepiti  nell’esercizio  successivo).  In  tal  caso,  si  elaborano delle  previsioni  in  ordine  alle  entrate  e  alle  uscite  che  si  manifesteranno  in  futuro  e  si    sostituiscono


 

con valori numerari frutto di valutazioni  presuntive:  i  valori  numerari presunti. Anche  i  valori numerari presunti possono essere sia attivi (entrate future), sia passivi (uscite future).
Un  problema analogo si  pone  quando l’impresa,  intrattenendo  rapporti commerciali  con  l’estero, diviene titolare di crediti e debiti denominati  in  moneta  differente  da  quella  che  ordinaria-  mente circola nel ciclo produttivo aziendale e che è  utilizzata  come  misuratore  di  tutti  i  fatti  di  ge-  stione.
Il valore delle divise estere è suscettibile di oscillazione fino al momento in cui si procede alla negoziazione  valutaria,  nell’attesa  di  tale negoziazione,  si   procede   comunque  alla  registrazione   dei fatti,  traducendo  i valori  numerari  sulla  base  di  tassi  di  cambio  solo  stimati  che  danno,  quindi,  luogo a variazioni numerarie presunte.
Così , l’acquisto in valuta estera di materie  prime,  dà  luogo  a variazioni  numerarie  presunte  pas- sive che misurano costi e la vendita di prodotti  in  valuta  estera  genera  variazioni  numerarie  presunte attive che misurano ricavi.

Tornando  all’esame  delle  variazioni  che  si  possono   rivelare   nell’aspetto   numerario,   può  dirsi che  le  entrate  possono  riferirsi  ad  un  incremento  di  valori  numerari  attivi  (certi,  assimilati,  presunti)   o alla diminuzione di valori numerari passivi (assimilati, presunti);
Parimenti, le uscite possono riferirsi ad  un  incremento  di  valori  numerari  passivi  (assimilati,  presunti) o ad una diminuzione di valori numerari attivi (certi, assimilati, presunti).
Inoltre,

  • le modifiche negli ammontari di valori numerari certi prendono anche il nome di variazioni  numerarie certe attive (entrate certe) e passive (uscite certe);
  • le modifiche negli ammontari di valori numerari assimilati  prendono  anche  il  nome  di  va-   riazioni numerarie assimilate attive (entrate assimilate) e passive (uscite certe);
  • le modifiche negli ammontari di valori  numerari  presunti  prendono  anche  il  nome  di  varia-  zioni numerarie presunte attive (entrate presunte) e passive (uscite presunte).

Sulla base del modello di analisi che ripartisce la  gestione  nelle  tre  fasi  di  provvista,  trasforma- zione e scambio,  può  essere  costruito  il  seguente  schema  che  evidenzia,  in  prima  approssimazione,  le manifestazioni numerarie  e  le  manifestazioni  lucrative  tipiche  delle  due  fasi  di  provvista  e  scam-  bio (si ricorda che nella fase di trasformazione non è osservabile alcuna variazione numeraria):


 

PROVVISTA

Variazioni numerarie passive (uscite):
O        Diminuzione di valori numerari certi
O        Diminuzione di valori numerari assimilati attivi
O        Diminuzione di valori numerari presunti attivi
O        Aumento di valori numerari assimilati passivi
O        Aumento di valori numerari presunti passivi

 

MISURANO

 

Costi

SCAMBIO

Variazioni numerarie attive (entrate):
O        Aumento di valori numerari certi
O        Aumento di valori numerari assimilati attivi
O        Aumento di valori numerari presunti attivi
O        Diminuzione di valori numerari assimilati passivi
O        Diminuzione di valori numerari presunti passivi

 

MISURANO

 

Ricavi

 

Il discorso necessita di  un  ulteriore  approfondimento,  dato  che  le  categorie  tipiche  evidenziate  non ecomprendono tutte le classi di atti e fatti gestionali.
Accade, talora, che alcuni  fenomeni  si  esauriscano  nell’aspetto  numerario  o,  assai  più  raramen-  te, nell’aspetto economico. Sono i c.d. fenomeni permutativi.
L’incasso di un assegno bancario, il pagamento di una cambiale, l’acquisto di  titoli  del  debito  pubblico danno luogo, contemporaneamente, ad variazioni  numerarie  attive  e  passive.  Le  operazioni  che hanno ad oggetto  il  pagamento  o  la  riscossione,  oppure  il  rinnovo  o  la  sostituzione  dei  debiti  e dei crediti sorti nelle operazioni  di  provvista  e  di  scambio  sono  denominate  permutazioni  numera- rie.
Esse possono essere semplici, se si esauriscono nel solo aspetto numerario, ossia  se  non  hanno alcuna influenza sul risultato economico, o miste se interessano parzialmente  anche  l’aspetto  eco- nomico.
Occasionalmente si realizzano particolari circostanze in cui alcuni eventi sono osservabili solo nell’aspetto economico (ad esempio, la permuta di un automezzo con un altro). Le operazioni che si esauriscono nell’aspetto economico sono denominate permutazioni lucrative o economiche .
Anche le permutazioni lucrative possono essere semplici, se si esauriscono nel solo aspetto e- conomico, o miste se riguardano parzialmente anche l’aspetto numerario.

Gli aumenti e  le  diminuzioni  del  capitale  proprio  danno  luogo,  generalmente,  ad  entrate  ed  uscite. In questi frangenti, le  variazioni  numerarie  non misurano  ricavi  e  costi,  ma  aumenti  e  diminuzioni del capitale di rischio.


 

Si hanno, perciò, variazioni numerarie attive (entrate) che misurano aumenti di capitale proprio e variazioni numerarie passive (uscite) che misurano diminuzioni di capitale proprio.

Oltre che alle modifiche  dell’ammontare  del  capitale  di  rischio,  per  alimentare  la  gestione  e  coprire il fabbisogno finanziario,  l’azienda  sovente  ricorre  ad  operazioni  finanziarie  di  prestito  che  hanno ad  oggetto  la  negoziazione  di  denaro  (accensione  di  mutui,  emissione  di  obbligazioni,  acqui- sto di titoli del debito pubblico). In queste circostanze, il denaro è, al  contempo,  misuratore  del  fe- nomeno e oggetto stesso del fenomeno osservato.

I crediti e debiti connessi  a  tale  operazioni  di  finanziamento  si  definiscono  anche  “non  numera- ri”, per rimarcare la distinzione dai crediti e debiti “numerari” connessi alle normali operazioni di funzionamento.

 

Le accensioni di debiti “non numerari”, o “di finanziamento”, danno luogo a variazioni numeriarie attive (entrate) che misurano  “ricavi  di  finanziamento”,  relativi  agli  afflussi  di  de-  naro  connessi  all’accensione  dei  debiti;  successivamente,   all’atto  della  restituzione   dei  capitali  presi   in prestito si hanno uscite che misurano le riduzioni dei ricavi di finanziamento.
Le accensioni di crediti “non numerari”, o “di finanziamento” danno luogo a variazioni numerarie passive (uscite) che misurano “costi di finanziamento”, relativi ai deflussi di denaro connessi all’erogazione di credito a terze economie;  successivamente,  all’atto  della  restituzione  dei  capitali concessi in prestito si hanno entrate che misurano le riduzioni dei costi di finanziamento.

Focalizzando  l’attenzione  sul  processo  produttivo,  è  possibile  sintetizzare  l’analisi   finora   con- dotta nelle seguenti osservazioni riassuntive.
Durante la  fase  di  provvista,  quindi,  l’azienda  si  approvvigiona  di  tutti  i  fattori  della  produzione e si manifestano:

  • Uscite che misurano  i  costi  relativi  all’acquisizione  dei  beni,  materiali  e  immateriali,  neces-  sari al ciclo produttivo;
  • Entrate che misurano i ricavi di finanziamento relativi ai capitali presi in prestito;
  • Entrate che misurano aumenti nella dotazione di capitale a titolo di rischio.

Durante la fase di scambio, quindi, l’azienda cede il risultato della produzione e si manifestano:

  • Entrate che misurano i ricavi relativi alla cessione dei prodotti

Inoltre, qualora l’azienda proceda alla riduzione dei finanziamenti attinti e si manifestano:

  • Uscite che misurano i deflussi di capitale per la restituzione dei capitali presi in prestito;
  • Uscite che misurano diminuzioni nella dotazione di capitale a titolo di rischio.

 

Per  completare  l’analisi,  bisogna  menzionare  la  possibilità,  peraltro   non   infrequente,   che l’azienda conceda finanziamenti a terzi (a.e. con operazioni di finanziamento, con l’aquisto di titoli obbligazionari e del debito pubblico). Per queste  operazioni,  all’atto  dell’erogazione  del  denaro  si  hanno:

  • Uscite che misurano i costi relativi ai finanziamenti erogati.

All’atto della restituzione del denaro da parte del debitore, si osservano:

  • Entrate che misurano afflussi di capitale per la restituzione dei capitali concessi in prestito. A questo punto, si può completare lo schema di analisi proposto:

 

Uno schema di analisi del ciclo capitalistico

PROVVISTA

Variazioni numerarie passive (uscite):
O        Diminuzione di valori numerari certi
O        Diminuzione di valori numerari assimilati attivi
O        Diminuzione di valori numerari presunti attivi

 

MISURANO

 

Costi

Variazioni numerarie attive (entrate):
O        Aumento di valori numerari certi
O        Aumento di valori numerari assimilati attivi
O        Aumento di valori numerari presunti attivi

 

MISURANO

 

Ricavi di finanziamento Aumenti di capitale

SCAMBIO

Variazioni numerarie attive (entrate):
O        Aumento di valori numerari certi
O        Aumento di valori numerari assimilati attivi
O        Aumento di valori numerari presunti attivi

 

MISURANO

 

Ricavi

RIDUZIONE DEI FINANZIAMENTI

Variazioni numerarie passive (uscite):
O        Diminuzione di valori numerari certi
O        Diminuzione di valori numerari assimilati attivi
O        Diminuzione di valori numerari presunti attivi

 

MISURANO

Rimborsi dei finanziamenti attinti
Diminuzioni di capitale

CICLO DEI FINANZIAMENTI  EROGATI

Variazioni numerarie passive (uscite):
O        Diminuzione di valori numerari certi
O        Diminuzione di valori numerari assimilati attivi
O        Diminuzione di valori numerari presunti attivi

 

MISURANO

 

Costi di finanziamento
(all’atto dell’erogazione)

Variazioni numerarie attive (entrate):
O        Aumento di valori numerari certi
O        Aumento di valori numerari assimilati attivi
O        Aumento di valori numerari presunti attivi

 

MISURANO

 

Rimborsi dei finanziamenti erogati


 

 

L’analisi  condotta  trova  applicazione  alla   generalità   delle   imprese   industriali   e   commerciali,   che si caratterizzano per  la  presenza  di  cicli  economici  in  cui  la  fase  di  provvista,  con  sostenimento dei costi, precede la fase di scambio, con il conseguimento dei ricavi.
Differentemente, in alcune categorie particolari di aziende  la  fase  di  scambio,  con  il  consegui- mento dei ricavi, precede la fase di provvista, con il sostenimento dei costi.  Un esempio  tra  tutti  può essere  costituito  dalle  imprese  di  assicurazione  in  cui  l’incasso  dei  premi  precede  sistematicamente   il sostenimento dei costi relativi agli eventuali rimborsi per sinistri  (ramo  danni)  e  alle  erogazioni  di  rendite (ramo vita).

 

Esempi: Analisi dei fenomeni gestionali

L’azienda ALFA prende in prestito € 50.000 dalla Banca di Roma
E’ un’operazione di provvista di risorse   finanziarie
Analisi  dell’aspetto  numerario:
aumenta il denaro in cassa 7 entrata numeraria di €   50.000
Analisi  dell’aspetto  economico:
ricavo di finanziamento pari a €  50.000

Si ha una variazione numeraria certa attiva (entrata)  di € 50.000 che misura il ricavo di finanziamento  per   il debito contratto

 

I soci di BETA decidono un aumento di capitale di € 33.000. Il socio A e il socio B vers a-  no € 11.000 a testa in contanti, il socio C conferisce crediti del valore di € 11.000.
E’ un’operazione di aumento di  capitale
Analisi  dell’aspetto  numerario:
aumenta il denaro in cassa 7 entrata numeraria di € 22.000 aumentano i crediti in portafoglio 7 entrata numeraria di € 11.000 Aumento  di capitale:
aumenta il capitale sociale di €  33.000

Si hanno una variazione numeraria certa attiva (entrata) di € 22.000 e una variazione numeraria ass i- milata attiva (entrata) che misura l’aumento di    capitale

 

L’azienda BETA incassa i crediti del valore di € 11.000. E’ una permutazione numeraria
Analisi  dell’aspetto  numerario:
aumenta il denaro in cassa 7 entrata numeraria di € 11.000 diminuiscono i crediti  7  uscita numeraria di € 11.000

Si hanno una variazione numeraria certa attiva (entrata) di  € 11.000 e una variazione numeraria assi- milata passiva (uscita) di €  11.000.


 

LEZIONE V
Il reddito

    • Il reddito totale d’impresa – 2. Il reddito di esercizio – 3. Lo sfasamento temporale tra eventi numerari ed eventi lucrativi: rettifiche ed integrazioni

– 4. Ratei e risconti in senso lato ed in senso stretto – 5. Capitale e reddito a fine esercizio

 

 

Il reddito totale d’impresa

Il  capitale,  in  seguito  alle  operazioni  di  gestione  subisce  modificazioni   nella  sua  composizione     e nel suo ammontare.
Il reddito è l’incremento o  il  decremento  subito  dal  capitale  per  effetto  della  gestione,  in  un  certo tempo.
Con  il  fluire  del  tempo  i  fenomeni  gestionali  di  provvista,  trasformazione  e  scambio  incidono   sul capitale, trasformando le utilità economiche di cui  è  composto,  generando  o  distruggendo  ric-  chezza. La sintesi del risultato di tutte le operazioni,  semplici  e complesse,  è espressa  dal  reddito  ri- ferito al periodo osservato.
Le operazioni di gestione causano l’insorgenza di costi e ricavi, sintetizzati dal reddito,  che  e-  sprime, quindi, la variazione del capitale subita per effetto delle  operazioni  stesse.  Può  anche  affer-  marsi che ogni atto di gestione può generare un incremento o un decremento del  capitale;  è menoa-  gevole osservare isolatamente il contributo di ogni singola operazione.


 

La vita delle aziende, si è visto, è particolarmente complessa, in quanto i cicli produttivi si so- vrappongono continuamente e incessantemente in una coordinazione sistematica  che  non  può  essere  scissa se non con distinzioni artificiose e approssimative.
E’ opportuno, a questo punto,  proseguire  il  ragionamento  sulla  base  di  un’ipotesi  semplificativa  che, pur allontanando il discorso dalla realtà concreta, sarà d’ausilio  nel  chiarimento  dei  concetti  e-  sposti.
Supporremo, infatti, una gestione aziendale fortemente semplificata, caratterizzata da  poche  operazioni e limitata nel tempo, tanto da poter osservare e misurare l’incremento del  capitale  subì to durante l’intera vita dell’azienda; studieremo, in altre parole, la misurazione  del  reddito  totale d’impresa.
Supporremo, inoltre, che durante la vita dell’impresa non sono stati effettuati  conferimenti  o  ri- duzioni di capitale, né sono stati distribuiti utili.
Infine, supporremo che nell’arco di tempo definito  dall’intera  vita  dell’impresa  il  potere  di  ac- quisto della moneta non è variato; se non si partisse da questo presupposto, non sarebbe possibile comparare grandezze espresse in  termini  monetari  il  cui  valore  economco  è  diverso  con  il  passare  del tempo.
Sulla base delle ipotesi formulate, il reddito  totale  dell’impresa  è,  innanzitutto,  misurabile  cal-  colando la differenza tra il valore  del  capitale  al  termine  della  vita  dell’impresa  e  il  valore  del  capi- tale  inizialmente  investito.  Questa  metodologia  di  calcolo  deriva  direttamente  dalla  definizione  stes-   sa di  reddito; può essere espressa mediante la formula:

 


dove:
Rt = Reddito totale
N = Netto finale
N= Netto iniziale

 

A ben vedere, il reddito può essere calcolato anche come differenza tra tutti i ricavi, vantaggi economici, conseguiti e tutti i costi, svantaggi economici,  sostenuti  durante  la  vita  dell’impresa,  se- condo la formula:



(5)


Rt   = Reddito totale
  r = ricavi totali
  c = costi totali

Infine, il reddito totale può essere calcolato operando un raffronto tra tutte le entrate di denaro e     tutte le uscite di denaro, ad esclusione di quelle relative al conferimento iniziale di capitale e alla di- stribuzione finale del capitale al termine del processo di liquidazione:

 


 


 

 

ossia, che, assumendo che  non  sono  stati  effettuati  aumenti  o riduzioni  di capitale  e che  non  so- no stati distribuiti dividendi,  la  differenza  tra tutti  i  ricavi  conseguiti  e  tutti  i  costi  sostenuti  dall’impresa durante l’intero arco della sua vita  coincide  con  la  differenza  tra  tutte  le  entrate  di  de- naro e tutte  le uscite  di denaro  e con la differenza  tra il valore  del capitale  finale  e il valore  del capi-   tale  investito  inizialmente.  Ciascuna  di  queste  tre  differenze  esprime  il  reddito  totale  d’impresa,  os- sia la ricchezza che l’impresa ha complessivamente prodotto, se  positivo,  o  distrutto,  se  negativo,  durante la sua esistenza.


 

Esempio: Calcolo del reddito totale

10/2/01
Si costituisce l’azienda commerciale Alfa, mediante versamento in contanti di 2.000.
L’equazione patrimoniale (2) è:
(2.000) – (0) = (2.000)

15/2/01
La prima operazione consiste nell’acquisto in contanti di merci per un costo di 500.
La (2) diventa:
(500 + 1.500) – (0) = (2.000)

20/3/01
Alfa prende in prestito 500.
La (2) diventa:
(500 + 2.000) – (500) = (2.000)

17/7/01
Alfa vende tutte le merci, ottenendo un ricavo di 800, interamente incassato in contanti
La (2) può scriversi:
(2.800) – (500) = (2.000 + 300)

22/11/01
La società Alfa viene posta in liquidazione. Si restituisce la somma di 500 presa in prestito.
La (2) diviene:
(2.300) – (0) = (2.000 + 300)

Il reddito totale è dato da:


Rt   
Rt   


r     c = 800 – 500 = 300
E     U = (500 + 800) – (500 + 500) = 300


Rt  


N f  


Ni = 2.300 – 2.000 = 300


 

Il reddito di esercizio

Le riflessioni fin qui elaborate sono partite da alcune ipotesi lontane dalla realtà.
Le imprese  tendono  a  durare  nel  tempo  e  hanno  nella  longevità  uno  degli  obiettivi  di  riferimen- to della dinamica gestionale: non sono rari i casi di  realtà  aziendali  che  durano  addirittura  alcune  centinaia di anni! Ed è ragionevole supporre che nell’intero arco temporale della vita dell’impresa si effettuino  variazioni  dei  mezzi  propri  e  distribuzioni  di  utili.  Il  potere  d’acquisto  della  moneta,  infi-  ne,  è  tutt’altro  che  stabile:  solo  in  anni  recenti  i  Paesi  più  ricchi  stanno  sperimentando  tassi  di infla-


 

zione bassi; nei Paesi meno sviluppati si hanno tassi di inflazione  elevati  e  talora,  in  casi  limite,  su-  periori al 100% annuo.

I bisogni conoscitivi espressi da tutti i gruppi di soggetti che gravitano  intorno  all’economia dell’azienda  riguardano  orizzonti  temporali  limitati  e  necessitano  di  essere   soddisfatti   con   riferi- mento a periodi assai più brevi della vita dell’azienda.
Gli azionisti attendono una remunerazione per il capitale investito e necessitano di informazioni aggiornate  sulla  situazione  aziendale  per  rimodulare  le  proprie  scelte  di  investimento  e  per  verifica-  re  l’operato  del management;  i  finanziatori  hanno  l’esigenza  di  avere  informazioni   aggiornate   per poter  valutare  l’affidabilità  dell’azienda;  l’erario  esige  informazioni  sul  reddito   e  sul   capitale   per poter applicare l’imposizione fiscale. Questi  sono  solo  alcuni  degli  interessi  conoscitivi  che  conver- gono sull’azienda e che devono essere assecondati in modo adeguato e tempestivo.
Non potendosi, quindi, attendere che  l’impresa  abbia  termine  per  elaborare  delle  rappresenta-  zioni che siano in grado di descrivere gli andamenti aziendali, il bilancio viene costruito dividendo convenzionalmente la vita dell’impresa in  periodi  amministrativi,  o  “esercizi”,  in  genere  pari  ad  un anno solare. Il bilancio riferito a tali periodi prende il nome di bilancio di  esercizio e rappresenta il reddito di esercizio ed il connesso capitale di funzionamento.
Il frazionamento del continuo  e  complesso  fluire  sistemico  della  gestione,  si  è  detto,  è  artificio- so e implica che  l’individuazione  del  reddito  relativo  ad  un  singolo  periodo  amministrativo  si  pre-  senta come un processo difficoltoso e necessariamente condizionato da approssimazioni.
E’  evidente  che in  qualsiasi  data  di   riferimento   individuata   per   il   termine   dell’esercizio l’impresa è nel  pieno  della  sua  attività  di  funzionamento,  con  processi  produttivi  in  corso,  macchi-  nari in funzione, prodotti  in  via  di  completamento  e  prodotti  completati  in  attesa  di  essere  collocati  sui mercati di sbocco, materie prime in magazzino e materie prime  già  ordinate  e non  ancora  conse- gnate.
A ben vedere, nessuno dei tre differenti  procedimenti  di  calcolo  del  reddito  totale  d’impresa  sembra idoneo ad essere applicato con immediatezza e semplicità per la soluzione  del  problema  del reddito di periodo.
Utilizzando la (4) si ottiene il  reddito  come  differenza  tra  due  stati  del  capitale,  all’inizio  e  alla fine del periodo.
L’applicazione di questa metodologia di calcolo all’intera vita aziendale non si presenta parti- colarmente  difficile:  all’inizio  dell’esistenza   dell’impresa,   infatti,   il   capitale   è  interamente   composto da  denaro  o dai  conferimenti  dei  soci,  il  cui  valore  è certo  e confermato  da  perizie  di  stima;  al  ter-


 

mine  della  vita  dell’impresa,  con  la  liquidazione  il  capitale  viene  interamente   convertito   in  denaro   da distribuire ai soci. Pertanto, il reddito  totale  può  essere  valutato  come  differenza  tra  due  espres- sioni monetarie del capitale che possiamo considerare certe e di agevole calcolo.
Per applicare la stessa metodologia alla soluzione  del  problema  del  reddito  di  esercizio  è neces- sario pervenire al valore del capitale nei due suoi stati relativi all’inizio e al termine del periodo amministrativo  individuato.  In  qualsiasi  momento  il  capitale  è  soggetto  alle  continue  modificazioni dovute alle operazioni della  gestione  che  con  assiduità  intervengono  sulla  sua  composizione;  è composto da valori in corso di formazione, valori solo stimati e  la  sua  valutazione  complessiva  si  presenta come operazione assai complessa e delicata.
L’applicazione della (4) con riferimento al reddito di esercizio discende essenzialmente  dalla  sistematica patrimoniale del Besta e non risulta coerente con l’impostazione concettuale che si sta sviluppando in queste lezioni.

Secondo  la (5) il reddito  totale  si calcola  mediante  la differenza  tra la totalità  dei ricavi  conse-  guiti e la totalità dei costi sostenuti dall’impresa.
Frazionando l’intera esistenza  dell’impresa  in  esercizi,  l’operazione  si  rivela  tutt’altro  che  age-  vole.
Se, infatti, i  costi  sono  gli  oneri  che  si  sostengono  per  ottenere  la  disponibilità  di  beni  e servizi da impiegare nel processo produttivo, è dalla scansione temporale di tale impiego che dipende  la  pertinenza dei costi ad  un  certo  esercizio.  L’acquisto  di  un  bene  è  un  evento  istantaneo,  che  trova una precisa collocazione  nel  tempo,  mentre  la  fruizione  dello  stesso  avviene  per  periodi  estesi,  talo- ra  compresi  in  più  periodi  amministrativi.  Un  macchinario  industriale,  ad  esempio,  viene  acquistato   in un  momento  specifico  di  un  certo  esercizio,  ma  contribuisce  alla  produzione  per  un  certo  numero di esercizi, fino a quando avrà esaurito la sua utilità economica.
Un discorso analogo  può  essere  condotto  con  riferimento  ai  ricavi.  Possono  darsi,  infatti,  i  casi di ricavi ottenuti dalla vendita di prodotti che sono stati  completati  negli  esercizi  precedenti,  ricavi  percepiti anticipatamente per prodotti che devono ancora essere completati. Anche per i  ricavi  il  momento del conseguimento non coincide necessariamente con il periodo amministrativo a cui ap- partengono sulla base di corrette considerazioni economiche.
Perché il reddito di esercizio sia  espressione  della  ricchezza  prodotta  in  un  definito  lasso  di  tempo, dunque, l’istante del conseguimento dei ricavi e del sostenimento dei costi non può essere considerato un indice preciso e chiaro che consente di collocare costi e ricavi nel corretto periodo amministrativo.


 

E’ necessario individuare un criterio, o un fascio  di  criteri,  che  consenta  di  ripartire  i  costi  e  i ricavi tra gli  esercizi  sulla  base  di  idonee  considerazioni  di  carattere  economico.  Individuati  tutti  i  costi  e tutti  i ricavi,  si dà luogo  ad un processo  di stima  che, sulla  base di alcuni  principi-guida, por-      ta a valutare la competenza economica dei costi e dei ricavi.

Per affrontare il problema del reddito di competenza  economica  dell’esercizio  è  necessario  sta-  bilire alcune ipotesi di partenza:

  • la  scindibilità  in  periodi  amministrativi  della  gestione  (per  sua  natura  unitaria)  in  rapporto   a costi e ricavi comuni ad operazioni che interessano più esercizi;
  • varie  e  numerose  ipotesi  previsionali   sul  futuro  della  gestione,  sottostanti  alle  “valutazio-  ni  economiche”  delle  operazioni  in  corso  all’epoca  di  riferimento  del  calcolo  del  reddito  di esercizio.

Il principio della  competenza  economica  prescrive  che  l’effetto  dei  fatti  e degli  atti  di gestio- ne deve  essere  attribuito  all’esercizio  a cui  tali  fatti  e atti  si  riferiscono,  a prescindere  dall’epoca  del- la loro manifestazione numeraria.
La competenza economica dei ricavi è identificata  dall’applicazione  del  principio  di  realizza-  zione. I ricavi si ritengono realizzati se:

  • i relativi processi produttivi sono stati completati;
  • sono conseguiti finanziariamente, ossia se lo scambio è realmente avvenuto. Convenzio- nalmente tale momento si fa coincidere con la spedizione o con l’emissione della fattura.

 

Fonte: http://rohan80.altervista.org/_eBook_-_Altro__-_ragioneria.pdf

Sito web da visitare: http://rohan80.altervista.org

Autore del testo: a cura di L.F.Mariniello

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