I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
1. INTRODUZIONE.
Le malattie infettive sono patologie riconducibili all’azione diretta o indiretta di microrganismi in grado di infettare l’uomo, di replicarsi nei tessuti umani e di determinare un danno biologico. Si tratta di organismi pluricellulari visibili ad occhio nudo (ELMINTI), unicellulari al microscopio ottico (PROTOZOI, MICETI, BATTERI) o subcellulari soltanto al microscopio elettronico, come i VIRUS o i PRIONI, questi ultimi in grado di replicarsi ancor che privi di acido nucleico.
Malattia infettiva non è sinonimo di malattia contagiosa: vi sono infatti malattie infettive a contagio interumano diretto assente (per es. infezioni a trasmissione vettoriale obbligata) o comunque limitato a condizioni eccezionali (per es. via transplacentare o allattamento per la brucellosi).
Un microrganismo può comportarsi da:
L’evento di gran lunga più frequente è la contaminazione transitoria: il microrganismo che è entrato in contatto con la cute, con una mucosa o anche con il sangue non trova condizioni idonee alla moltiplicazione.
Se invece la carica microbica raggiunge livelli significativi si ha l’infezione la quale, tranne poche eccezioni, comporta una risposta immune (formazione di anticorpi sierici (per es. tifo, brucellosi) o attivazione dell’immunità cellulo-mediata (per es. TB), che nella maggior parte dei casi è in grado di eliminare il microrganismo prima che questi determini la malattia.
In altri casi, pur in assenza di malattia, si determina una condizione più o meno duratura di portatore sano (sinonimo: cronico), ma contagioso in quanto il microrganismo è presente in un liquido biologico (feci, sangue, saliva, etc..).
In altri casi ancora la risposta immune non impedisce che l’infezione evolva in malattia. Quest’ultima presuppone un danno biologico, in alcune condizioni in assenza di sintomi (malattia sub-clinica), ma documentabile con indagini strumentali o di laboratorio (per es. iper- transaminasemia o alterazioni elettrocardiografiche, rispettivamente nelle epatiti o nelle miocarditi asintomatiche), in altre in presenza di sintomi soggettivi (che riferisce cioè il paziente) o obiettivi (rilevati all’esame obiettivo) (malattia clinicamente espressa).
La risposta immune è comunque seguita da un certo grado di resistenza alle reinfezioni, la cui completezza e la cui durata(da qualche mese a tutta la vita) sono in funzione di varianti relative all’agente eziologico, al paziente e alla frequenza di booster naturali. Tendenzialmente più limitata è la resistenza conferita dalle vaccinazioni.
Sempre più ampio è il capitolo delle patologie post-infettive, che comprende tutte quelle patologie (immunomediate, degenerative o tumorali) che, pur in assenza di riscontrabili agenti di infezione, sono state da uno di questi “innescate”: per es. glomerulonefriti post-infettive, malattia reumatica, una parte delle cirrosi e dei K epatici così come delle ulcere e dei K gastrici.
La risposta immune nei confronti di una infezione si pone due obiettivi:
Per tale motivo in alcune patologie (per es. sifilide o brucellosi), subito dopo l’inizio della terapia si può avere un transitorio peggioramento dei sintomi, quale conseguenza della disgregazione dei batteri con liberazione massiva delle endotossine.
Per molte infezioni la patogenesi del danno è tuttavia multifattoriale. In alcuni casi d’altra parte una infezione subclinica o oligosintomatica in un paziente gravemente immunodepresso (per es. un HIV+ con <100 CD4/mm3), può diventare clinicamente evidente dopo il miglioramento dell’immunodeficit (IRIS= Sindrome da Immunoricostituzione).
È probabile inoltre che, così come da tempo noto per neoplasie e malattie disreattive, anche nel campo della patologia infettiva l’evento morboso sia molto spesso la risultante dell’interazione tra un elemento esogeno (l’agente infettante) e una predisposizione geneticamente determinata (teoria del doppio colpo).
Si articola in 5 fasi: raccolta mirata dei dati epidemiologici, anamnesi ed esame obiettivo, indagini di laboratorio e di imaging routinarie, diagnosi microbiologica diretta e diagnosi microbiologica indiretta.
La raccolta di alcuni dati epidemiologici è spesso di importanza fondamentale in infettivologia. Di volta in volta, secondo la patologia infettiva, può essere utile conoscere la località di residenza abituale, le nazioni visitate negli ultimi mesi, il possesso di animali da compagnia, le abitudini alimentari, oltre ovviamente lo stato di salute dei familiari e del partner.
I dati epidemiologici permettono in genere di escludere talune patologie: p.es. la rickettsiosi in chi non è stato in campagna negli ultimi 10 gg o la malaria in chi non ha viaggiato in zone endemiche negli ultimi 12 mesi; più raramente consentono di porre diagnosi, come nel caso del pz con orchite che può essere con ogni probabilità attribuita al virus della parotite se un familiare è stato recentemente affetto da tale patologia.
In molti casi l’indagine diagnostica si può fermare a queste due prime fasi: per es. una enterite lieve e per la quale non è necessaria una definizione eziologica o un quadro clinico compatibile con influenza in periodo epidemico. In altri casi si passa alla terza fase.
I dati di esame emocromocitometrico,indici di flogosi (VES,PCR), transaminasi ed esame delle urine e, in taluni casi, la diagnostica per imaging basale (Rx Torace, ecografia) permettono in numerosi casi l’esclusione della patologia infettiva sospettata o viceversa il rafforzamento dell’orientamento diagnostico scaturito dagli elementi epidemiologici e clinici, con il passaggio alla tappa successiva, cioè quella dell’indagine microbiologica: per es. una radiografia del torace negativa esclude la polmonite, così come una pancitopenia rafforza il sospetto di leishamniosi.
Consiste nella ricerca dei segni indiretti dell’infezione, cioè degli anticorpi contro il microbo responsabile o, nel caso di infezioni che non determinano la formazione di anticorpi rilevabili con le comuni metodiche, dei segni di attivazione dell’immunità cellulomediata (per es. nel caso della TB, a livello cutaneo con l’intradermoreazione di Mantoux o su siero con il Quantiferon).
Le metodiche più impiegate per la ricerca degli anticorpi (nel siero o altrove) sono: agglutinazione, immunofluorescenza indiretta (IFI), test immunoenzimatici (ELISA).
Mentre IFI ed ELISA rilevano separatamente le IgM (espressione di infezione in atto) e le IgG (che, in assenza di IgM, indicano una pregressa infezione o vaccinazione), le metodiche di agglutinazione non permettono di distinguere le IgM dalle IgG e pertanto la diagnosi di infezione in atto si basa sull’entità del titolo anticorpale (per es. nel caso della S. Wright deve essere di almeno 1:80).
Per quanto la presenza/assenza di anticorpi IgM indichi/escluda una infezione in atto o molto recente, la variabilità della durata delle IgM sieriche dosabili dopo una infezione (di 1-3 mesi nella gran parte della popolazione ma molto più breve o molto più lunga in due minoranze), per quelle patologie per le quali sia particolarmente importante datare l’insorgenza (p.es. rosolia, toxoplasmosi o citomegalovirosi in gravidanza), impone di integrare la ricerca delle IgM e delle IgG specifiche con altre metodiche. Un rapporto IgG Avidity / IgG non Avidity patologicamente sbilanciato in favore delle seconde (anticorpi IgG “giovani”, fisiologicamente non più del 20%) testimonia un recente inizio dell’infezione e impone misure consequenziali.
Consiste nella ricerca dell’agente eziologico o di frazioni di questo.
L’indagine più semplice è l’osservazione al microscopio ottico del materiale biologico (secrezioni uretrali, congiuntivali, sangue, urina, etc..) dove potrebbe trovarsi il microrganismo. Quest’esame tuttavia raramente risulta utile: la colorazione di Gram per es. permette di distinguere batteri Gram+ da Gram -, cocchi da bacilli, ma non una specie batterica da un’altra. D’altra parte i virus richiedono il microscopio elettronico, alla portata di pochi laboratori.
Più utile è l’esame colturale del materiale biologico, l’unico che consenta l’eventuale esecuzione dell’antibiogramma. La coltura non è tuttavia possibile per i protozoi, mentre per i virus è piuttosto complessa perché il laboratorio dovrebbe disporre di terreni cellulari. D’altra parte, nel caso di infezione ad opera di batteri, se il soggetto ha già assunto degli antibiotici, questi spesso ne riducono la carica in misura tale da impedire lo sviluppo in coltura.
Non bisogna dimenticare di indicare al laboratorista il quesito diagnostico (per es. coprocoltura con ricerca anche del Campylobacter) perché alcuni microrganismi richiedono terreni particolari o tempi di osservazione più prolungati (per es. rispettivamente almeno 1 mese e almeno 2 mesi per brucelle e micobatteri!).
Nel corso degli ultimi due decenni si sono sviluppate altre due metodiche: la ricerca di antigenimicrobici e il rilevamento degli acidi nucleici mediante amplificazione genica (PCR). Ambedue le metodiche (e particolarmente la seconda) sono molto sensibili e pertanto non
risentono in misura significativa di un eventuale pretrattamento antibiotico. La PCR presenta tuttavia il limite della possibile positività post-clearance (rileva anche “cadaveri” microbici) e della fluttuante specificità in ambiti diversi da quelli (ben standardizzati) delle infezioni da HIV, HBV e HCV per le quali con tale metodica è possibile, contestualmente al rilevamento dell’acido nucleico, misurare la carica virale.
In infettivologia la diagnosi scaturisce da un insieme di valutazioni epidemiologiche, cliniche, laboratoristiche e in qualche caso di imaging. Tale enunciato vale perfino per quei casi nei quali si giunga all’identificazione del microrganismo mediante metodiche di diagnosi microbiologica diretta. Talvolta infatti non vi è rapporto eziologico tra microrganismo identificato e patologia indagata: è il caso dell’isolamento di saprofiti o di microrganismi latenti (come per es. gli herpesviridae) che si riattivano, senza esserne la causa, in presenza di lesioni d’organo.
La TERAPIA EZIOLOGICA è rivolta nei confronti dell’agente microbico responsabile, impiegando:
Gli ANTIBIOTICI in commercio sono ormai molte decine raggruppati in famiglie. La distinzione in antibiotici battericidi, in grado di uccidere i batteri (betalattamici, chinoloni), e batteriostatici (macrolidi, tetracicline, aminoglicosidi), in grado soltanto di arrestarne la moltiplicazione, lasciando al sistema immune il compito di completare l’opera (non utili quindi nell’immuno- depresso!) è in parte superata dalla scoperta che alcune molecole si comportano di volta in volta da battericide o da batteriostatiche secondo la concentrazione e la specie batterica.
SPETTRO D’AZIONE di un antibiotico è l’insieme di specie batteriche naturalmente sensibili a quell’antibiotico. RESISTENZA ad un antibiotico è invece la insensibilità acquisita da una specie o un ceppo batterico naturalmente sensibile a quell’antibiotico, in seguito a mutazione selettiva.
Alcuni batteri o loro stipiti hanno ormai acquisito resistenza a molti degli antibiotici verso i quali erano originariamente sensibili (multiresistenza) con problemi terapeutici molto seri.
La TERAPIA ANTIBIOTICA può essere MIRATA (l’antibiotico viene scelto in base al battere identificato e possibilmente sulla scorta dell’antibiogramma) o EMPIRICA.
Malgrado i progressi in campo diagnostico, nella gran parte dei casi l’antibiotico viene prescritto senza conoscere il battere responsabile del quadro clinico in quanto:
Si ricorre pertanto alla terapia empirica (letteralmente: basata sull’esperienza), scegliendo uno o più antibiotici (spesso ma non necessariamente ad ampio spettro!) sulla scorta di una valutazione probabilistica del/dei possibili agenti eziologici basata su dati che derivano dall’epidemiologia, dalla clinica o dagli esami ematochimici di routine.
Per una polmonite severa acquisita in comunità da un giovane adulto immunocompetente con marcata leucocitosi neutrofila sarà sufficiente utilizzare un antibiotico che agisca bene sullo pneumococco. D’altra parte una polmonite in un anziano allettato in ospedale richiede una associazione di antibiotici che agiscano sia sui Gram + che sui Gram -, inclusi nei limiti del possibile anche gli stipiti resistenti.
La TERAPIA EZIOLOGICA ANTIVIRALE viene praticata soltanto nei confronti delle infezioni da HIV, HCV, HBV e da virus erpetici, con l’eccezione dell’EBV. Per gli altri agenti virali non si dispone ad oggi di molecole efficaci.
Come tutti i farmaci anche gli antimicrobici possono presentare EFFETTI INDESIDERATI:
su base individuale (anamnesi!), anche a dosi molto basse (tuttavia il rischio è maggiore con dosi elevate e somministrazione parenterale)
in base all’eventuale tossicità intrinseca del farmaco sui vari organi, alla dose giornaliera ed alla durata della terapia (tuttavia il rischio è maggiore in base alla suscettibilità individuale (p.es. preesistente gastrite)
in presenza di fattori geneticamente determinati (p.es. chinino e deficit di G6FD)
Con la TERAPIA DI SUPPORTO ci ripromettiamo di agire sui sintomi clinici e sulle conseguenze metaboliche dell’infezione con l’impiego di farmaci antipiretici e antinfiammatori, come gli steroidi (che per brevi periodi ed a basse dosi NON deprimono le difese immunitarie) o gli antinfiammatori non steroidei (FANS), di dieta e probiotici, reidratazione, correzione degli squilibri elettrolitici e dell’equilibrio acido-base, fino ad arrivare nei casi più gravi a trasfusioni, plasmaferesi, emodialisi, ventilazione assistita.
Per isolamento si intende che il pz può avere contatti soltanto con il personale di assistenza, costituito per l’isolamento domiciliare da un familiare (no all’ingresso di visitatori, almeno per le patologie a trasmissione aerogena o utilizzo di mascherine).
I vaccini possono presentare effetti indesiderati di natura allergica (quelli elencati per gli antibiotici) o anche dovuti ad una virulentazione del microbo per i vaccini viventi, pertanto generalmente controindicati per gli immunodepressi e i loro familiari.
Per epatite si intende un processo infiammatorio a carico del fegato.
Il riscontro di un incremento delle transaminasi sieriche è il dato di laboratorio dal quale nella gran parte dei casi trae origine il sospetto di epatite infettiva. L’incremento di tali enzimi è tuttavia comune a molte e proteiformi patologie. Le transaminasi sono infatti enzimi prodotti dalla citolisi (indipendentemente dalla causa della stessa) degli epatociti e, seppur in minor misura, delle cellule del miocardio e dei muscoli scheletrici. L’ipertransaminasemia riguarda quasi sempre tanto le GOT (o AST) che le GPT (o ALT), ma in linea di massima il fisiologico rapporto GOT/GPT in favore della prima è conservato nelle ipertransaminasemie da causa extraepatica o epatica non infiammatoria mentre si inverte nelle forme epatiche infiammatorie (anche non infettive), con la possibile eccezione di fasi precocissime dell’epatite virale acuta.
PATOLOGIE CHE CAUSANO AUMENTO DELLE TRANSAMINASI
PATOLOGIE EXTRAEPATICHE : Infarto del miocardio – Distrofia muscolare
A - Malattie da accumulo
-Steatosi epatica(è la causa più frequente nei paesi sviluppati� accumulo di grassi nel fegato� fattori di rischio: incremento di peso, trigliceridi, colesterolo, glicemia, pressione arteriosa; alcolismo, infezione da HBV o HCV)
-Rare malattie metaboliche congenite (glicogenosi, mucopolisaccaridosi,etc..)
B -Ostacoli al deflusso biliare (reflusso di bile nel fegato 7 danno epatico)
- Atresia congenita, infezioni, calcoli e neoplasie delle vie biliari
C - Epatite non infettiva
D -Epatite infettiva
da virus epatotropi maggiori (A,B,C,D,E),dal particolare tropismo per gli epatociti, le cui patologie sono caratterizzate da sintomi e segni, esclusivamente o quasi, riferibili al danno epatico.
EPATITI VIRALI
Con tale termine si indicano comunemente le epatiti provocate dai virus epatotropi maggiori, le quali vengono didatticamente distinte in due gruppi, che presentano caratteristiche diverse non solo per modalità di trasmissione ma anche per durata dell’ incubazione e prognosi.
Il virus dell’epatite A (HAV, un eparnavirus) è ancora endemico nell’Italia Meridionale, particolarmente in città costiere ad elevato consumo di frutti di mare (Palermo!).
Tra questi particolarmente a rischio sono le cozze che, filtrando l’acqua dove sono allevate, concentrano i microbi e che (a differenza di quanto accade nelle esili vongole) vengono protette dal calore dell’eventuale cottura dalle robuste valve calcaree. Pertanto l’abituale consumo di cozze “scoppiate”, cioè sottratte alla fonte di calore subito dopo l’apertura delle valve, non è di alcuna garanzia se l’allevatore dei mitili non abbia ottemperato alle norme di legge. A rischio anche il consumo di ostriche e frutti di mare crudi in genere, mentre non sono a rischio i ricci, in quanto non filtrano l’acqua in cui vivono. Possibile è anche la trasmissione fecale-orale interumana (il virus viene eliminato per circa 3 settimane a cavallo dell’inizio dell’ittero), così come ad elevato rischio sono i soggiorni in paesi in via di sviluppo ove l’ancora amplissima fecalizzazione ambientale estende il rischio al consumo di latte, bevande, frutta, verdura e in genere di tutto ciò che non sia ben cotto.
Il virus dell’epatite E (HEV, un calicivirus), diffuso in vaste aree tropicali con trasmissione fecale- orale, è sporadicamente presente in Italia con una sottospecie a probabile trasmissione suini7 uomo.
Si trasmettono attraverso la:
Premesso che l’HDV è un v.difettivo satellite dell’HBV, con il quale, oggi molto raramente, può coinfettare il fegato o sovrainfettare un HBsAg+, le infezioni da HBV (hepadnavirus) e da HCV (flavivirus) presentano in Italia una spiccata dicotomia tra prevalenza (alta) ed incidenza (bassa).
Per prevalenza di una infezione si intende il numero di soggetti con infezione in atto presenti nella popolazione, per
incidenza il numero di nuovi casi di infezione rilevabili in un certo periodo (in genere in un anno).
Quasi l’1,5% degli italiani (immigrati 4 volte di più) è infatti HBsAg+ ,ben il 3-4% (immigrati 4 volte di più) HCV RNA+ (prevalenza), con un gradiente che si innalza andando da nord a sud e dai più giovani ai più anziani, mentre il numero di nuovi casi/anno (incidenza) è molto basso (2/100.000 ab. per HBV, 0,5 per HCV), quasi esclusivamente tra i tossicodipendenti per e.v. ed i gruppi con comportamento sessuale ad alto rischio. L’elevata prevalenza si spiega con l’ampia circolazione di tali virus in passato, soprattutto attraverso l’utilizzo promiscuo di siringhe di vetro e con la lunga sopravvivenza della gran parte dei soggetti con infezione cronica, infetti da alcuni decenni.
Nella gran parte dei casi l’infezione da virus epatotropi maggiori decorre in forma del tutto asintomatica e l’iter diagnostico parte in genere da una ipertransaminasemia riscontrata nel corso di indagini effettuate per altri sospetti o in seguito ad un caso di epatite virale in ambito familiare. Quando invece l’epatite virale acuta si presenta in forma sintomatica, il sintomo caratterizzante è il sub-ittero (colore giallo delle sclere che si osserva alla luce naturale invitando il paziente a guardare verso l’alto, conseguenza di una bilirubinemia totale tra 1 e 3 mg%) o l’ ittero (colorito giallastro che assume anche la cute quando la bilirubina totale è oltre 3 mg%), accompagnantesi a urine scure, feci chiare ed epatomegalia, spesso evidente soltanto ecograficamente.
L’iperbilirubinemia (di tipo misto ma con prevalenza della forma diretta) e l’ittero sono spesso preceduti da un periodo pre-itterico della durata di una settimana, con turbe dispeptiche (nausea, vomito, diarrea), più raramente similinfluenzali (dolori mio articolari), in apiressia o con modesto rialzo termico.
I sintomi dell’epatite virale acuta si attenuano gradualmente per quindi scomparire in qualche settimana mentre è più lenta la normalizzazione delle transaminasi.
In alcuni sfortunati casi, soprattutto in bambini grandicelli o in giovani adulti, sulla base probabilmente di una iperattività dei linfociti T citotossici e delle cellule Natural Killer, fin dall’esordio o progressivamente l’epatite virale acuta determina una condizione di insufficienza epatica (7 iperammoniemia, deficit dei fattori della coagulazione, ipoalbuminemia) che esordisce con agitazione psicomotoria e flapping (tremori delle estremità) ed evolve quasi invariabilmente verso il coma epatico e l’ exitus per emorragie viscerali.
Una terza forma è quella colestatica, con bilirubinemia >15 mg%, quasi tutta diretta, ittero verdinico e prurito intenso. Piuttosto lenta la risoluzione dell’ittero.
Nelle epatiti da HAV e HEV l’eliminazione del virus con le feci cessa dopo 1-2 settimane e la normalizzazione delle transaminasi si ha generalmente entro tre mesi. Ricadute con un secondo picco di transaminasi si possono avere tra i tre ed i sei mesi.
Diversa è la prognosi per i pazienti con epatiti a trasmissione parenterale, i quali cronicizzano nella misura del 10% per l’epatite da HBV (media tra valori molto più elevati in caso di infezione connatale e valori irrisori quando l’infezione è acquisita dopo i 40 anni), dell’80% in caso di coinfezione HBV-HDV, dei 2/3 per l’infezione da HCV.
Premesso che nelle epatiti virali la patogenesi del danno epatico è da ricondurre all’aggressione degli epatociti infetti da parte delle cellule effettrici dell’immunità (in particolare i linfociti T citotossici), diverse sono le cause alla base della cronicizzazione. Infatti nell’infezione da HBV si tratta fondamentalmente di una insufficienza della risposta immunitaria con mancata clearance virale, condizione tanto più frequente quanto più precocemente viene contratta l’infezione. Nell’infezione da HCV è invece l’elevata frequenza di mutazioni che rende inefficace l’azione degli anticorpi sierici e degli altri meccanismi effettori dell’immunità. Tale condizione ha reso d’altra parte finora impossibile la formulazione di un vaccino, che invece è da tempo utilizzato per l’epatite B (vaccinazione universale dal terzo mese di vita) e più recentemente per l’epatite A (consigliato ai gruppi di popolazione più esposti e agli epatopazienti).
Per INFEZIONE CRONICA si intende la presenza del virus > sei mesi, routinariamente documentata per l’epatite B dalla presenza dell’HBsAg, per l’epatite C dalla presenza dell’HCV-RNA.
La maggior parte di tali soggetti tuttavia presentano transaminasi persistentemente normali e biopsia epatica normale (PORTATORI SANI). Di questi, una parte rimarranno tali per tutta la vita, in altri l’infezione cesserà (con conseguente scomparsa dell’HBsAg o dell’HCV-RNA), altri ancora vireranno verso una condizione di epatite cronica.
Una parte delle infezioni croniche presentano (fin dall’inizio o come evoluzione di una condizione iniziale di semplice portatore cronico) segni istologici (biopsia epatica) o bioumorali (iper- transaminasemia spesso saltuaria e modesta) di danno epatico (EPATOPATIA CRONICA).
Una parte dei pazienti con epatite cronica (metà?), salvo qualche turba dispeptica, godranno di buona salute per tutta la vita. Altri evolveranno, spesso molto tardivamente, verso la CIRROSI EPATICA, che può rimanere a lungo compensata o evolvere verso lo scompenso e il DECESSO (insufficienza epatica cronica, emorragie imponenti da rottura delle varici esofagee). L’exitus può d’altra parte intervenire per l’insorgenza di CARCINOMA EPATICO, conseguenza dello stimolo oncogenico da parte della flogosi cronica o anche, nel caso dell’HBV, dell’integrazione del virus nei cromosomi epatocitari.
INFEZIONE DA HAV – Ricerca anticorpi della classe IgM anti HAV (le IgG sono invece espressione di infezione pregressa o vaccinazione).
INFEZIONE DA HEV – Ricerca anticorpi anti-HEV totali (come anche per gli anti-HCV ad oggi non è possibile distinguere le IgM dalle IgG) 7 sui positivi, HEV-RNA con PCR
INFEZIONE DA HBV – Con metodiche routinarie è possibile rilevare due Ag prodotti in eccesso e riversati nel siero dall’HBV che infetta gli epatociti: HBsAg, presente in tutti i soggetti infetti (quindi, in maggiore o minore misura contagiosi) e HBeAg, correlato all’attività replicativa (elevata contagiosità), non che di tre anticorpi (anti-HBc IgM/IgG, anti-HBs, anti-HBe).
Esiste comunque una variante (oggi prevalente) HBV-minus che ha perso la capacità di produrre l’HBeAg, la cui attività replicativa può quindi rilevarsi soltanto con la determinazione della carica virale (HBVDNA) con PCR real-time.
INTERPRETAZIONE DEI MARKERS DI INFEZIONE DA HBV
HBsAg |
HBeAg |
Anti HBc IgM IgG |
Anti HBe |
Anti HBs |
ALT >60 U.I |
Diagnosi |
|
+ |
+ |
+ |
- |
- |
- |
+ |
Epatite acuta |
+ >6m. |
+/- |
+ |
- |
-/+ |
- |
+ saltuaria |
Epatite cronica |
+ |
- |
- |
+ |
+ |
- |
- - - - - |
Portatore cronico |
- |
- |
- |
+ |
- |
+ |
- - - - - |
Pregressa* infezione |
- |
- |
- |
- |
- |
+ |
- - - - - |
Pregressa vaccinazione** |
** gli anti-HBe sono presenti soltanto nei casi di pregressa infezione negli ultimi due anni
*** il vaccino è costituito dal solo HBsAg, quindi si formano soltanto gli anti-HBs (ritenuti protettivi se >10mU/mL) NB: nella diagnosi delle cause di ipertransaminasemia, l’assenza dell’HBsAg esclude una infezione in atto da HBV:
è quindi uno spreco di risorse rilevare anche gli altri markers di infezione
INFEZIONE DA HDV– La diagnosi può essere posta se in un HBsAg+ è possibile rilevare HDAg e/o anticorpi anti-HDV IgM o IgG.
INFEZIONE DA HCV – Ricerca in ELISA degli anticorpi anti-HCV totali e, in caso di positività, conferma attraverso la ricerca dell’HCV-RNA, con possibilità di monitorizzare la carica virale (PCR real-time).Il 20% degli anti-HCV+ sono HCVRNA- per pregressa infezione non cronicizzata.
Nel nato da madre anti-HCV+ la presenza degli anticorpi in assenza dell’HCV-RNA testimonia invece della mancata trasmissione verticale dell’infezione.
È possibile infine determinare il genotipo dell’HCV: l’1b, prevalente in Sicilia, presenta una più bassa responsività alla terapia.
Fino alla normalizzazione delle transaminasi evitare sforzi fisici prolungati (7 sovraccarico del circolo epatico) e il consumo di alcoolici. La steatosi (alcoolica o dislipidemica) è d’altra parte un fattore di rischio di epatopatia cronica (secondo alcuni perfino in soggetti senza infezione cronica da HBV o HCV).
Nelle forme con insufficienza epatica, oltre alle misure dietetiche e farmacologiche atte a ridurre il carico azotato e all’eventuale trasfusione di sangue ed emoderivati, si può ricorrere ad antivirali (tenofovir), plasmaferesi o al trapianto ortotopico di fegato.
Terapia standard dell’ infezione cronica da HCV è l’interferone peghilato associato alla ribavirina per 6-12 mesi, con buoni risultati:dal 50 al 90%(secondo il genotipo) di risposta terapeutica sostenuta, cioè HCVRNA- a 6 mesi dal termine della terapia.
Nell’ epatite cronica da HCV ancora insoddisfacenti nel lungo termine sono i risultati della terapia con varie combinazioni di interferone peghilato e antivirali.
3.ENTERITI INFETTIVE
Con questo termine si indicano genericamente tutte le patologie entericheche conseguono alla colonizzazione microbica dell’intestino. Quando invece manifestazioni morbose a carico dell’apparato digerente (e/o del sistema nervoso) sono conseguenza dell’ingestione di tossine batteriche già presenti negli alimenti al momento del loro consumo, si utilizza il termine di tossinfezioni alimentari.
Le infezioni intestinali sono la seconda causa di consulto medico nei paesi sviluppati (la prima sono le infezioni delle prime vie aeree) e la prima causa di mortalià infantile nel Terzo Mondo, dove milioni di bambini muoiono ogni anno, soprattutto per la difficoltà di accedere alla reidratazione per via endovenosa.
Numerosissimi sono gli AGENTI MICROBICI DI ENTERITI INFETTIVE. Prevalgono le forme virali (rotavirus seguiti da norovirus e da adenovirus), seguite dalle batteriche (Salmonella enteritidis e Salmonella typhimurium prevalenti al sud, campylobacter al centro-nord), rare le forme protozoarie (giardia e cryptosporidium). Non ben valutabile il peso epidemiologico dei ceppi enteritogeni di Escherichia coli, saprofita comunque presente nelle feci e il cui eventuale ruolo patogeno può essere dimostrato soltanto con sofisticate indagini (sulla capacità invasiva, di produrre tossine, etc..) e seguite in genere soltanto in occasione di indagini epidemiologiche. Da ricordare infine Clostridium difficile, quasi sempre in soggetti trattati con antibiotici (7sovvertimento della flora saprofita intestinale).
Manifestazioni diarroiche a patogenesi non chiara si hanno spesso in corso di infezioni sistemiche per lo più di origine virale (p.es. influenza).
L’AGENTE EZIOLOGICO della più diffusa TOSSINFEZIONE ALIMENTARE è l’enterotossina stafilococcica (dolci con panna o crema o insaccati di carne). Da ricordare invece per la sua gravità è la molto rara tossinfezione da neurotossina botulinica (conserve vegetali sott’olio di preparazione domestica).
La TRASMISSIONE DELLE ENTERITI INFETTIVE nella gran parte dei casi avviene con l’ingestione di
alimenti contaminati da feci animali o umane. Particolarmente a rischio sono:
Fattore di rischio per l’enterite da agenti microbici così come per la tossinfezione alimentare è l’alimentazione di tipo comunitario, ove è mediamente più scarsa la qualità dei nutrienti, maggiore il numero dei soggetti che manipolano le pietanze e soprattutto per un più ampio intervallo tra preparazione e consumo, durante il quale nel cibo conservato a temperatura ambiente si ha moltiplicazione microbica e produzione di tossine, mentre a casa dopo la preparazione il cibo viene consumato o conservato in frigo.
Da ricordare come la COTTURA (purchè uniforme) uccide i germi, ma non inattiva le tossine già prodotte e d’altra parte sia la REFRIGERAZIONE che il CONGELAMENTO si limitano soltanto a bloccare la moltiplicazione dei germi e la produzione di tossine.
Più raramente la trasmissione delle enteriti microbiche è quella interumana diretta o mediata da oggetti (WC!), eccezionalmente per trasmissione fecale orale animale7uomo o per via aerogena, come dimostrato per i norovirus, responsabili di epidemie esplosive in ambienti confinati (virus delle crociere).
Benchè l’ingestione con gli alimenti di quantità anche notevoli di germi enteritogeni sia da considerarsi evento frequentissimo, l’intervento di alcuni FATTORI ASPECIFICI DI DIFESA evita nella gran parte dei casi l’infezione o la malattia.
Il più importante tra tali fattori di difesa è costituito dal SUCCO GASTRICO, a causa del bassissimo pH. Le enteriti sono infatti molto più frequenti nei mesi caldi, non soltanto per la più attiva replicazione dei germi nei cibi ma anche per la diluizione del succo gastrico ad opera delle abbondanti bevute con cui accompagniamo i pasti.
Ruolo protettivo hanno anche la PERISTALSI INTESTINALE, per cui è errato assumere sostanze come la loperamide che, bloccando la peristalsi, prolungano il contatto dei germi e delle tossine con la parete intestinale e la FLORA SAPROFITA INTESTINALE che compete con gli enteritogeni per i nutrienti ed i recettori cellulari e sembra sia anche in grado di produrre molecole ad attività antibatterica.
Importante è ovviamente anche il ruolo di barriera svolto dall’integrità della PARETE INTESTINALE, con i connessi fattori di difesa immunitaria mucosale (MALT ed IgAs).
Il periodo di incubazione è variabile da alcune ore (in caso di ingestione di tossine o di una elevata carica microbica) a qualche giorno.
Nella gran parte dei casi vengono colpiti da enterite infettiva bambini, immunodepressi e viaggiatori internazionali di ogni età. L’adulto immunocompetente possiede infatti un grado notevole di resistenza nei confronti dei microrganismi enteritogeni abitualmente circolanti nella propria regione, derivante da pregressi contatti con gli stessi o con microrganismi anche saprofiti antigenicamente correlati. Tale resistenza è insufficiente soltanto di fronte ad una carica infettante molto elevata o all’ingestione di tossine preformate (le tossinfezioni alimentari possono quindi colpire a tutte le età).
Dolori addominali e diarrea sono i sintomi fondamentali delle enteriti infettive.
La consistenza delle feci diarroiche (moderatamente ridotta – semiliquida – liquida), la eventuale presenza nelle feci di muco, sangue, residui indigeriti e di sintomi come febbre moderata, vomito (se presente quest’ultimo si utilizza il termine di gastroenterite) e tenesmo dipendono dalla localizzazione del microrganismo e dal meccanismo patogenetico prevalente della diarrea stessa:
abbondanti muco e sangue vivo (talvolta spruzzi di muco e sangue) – rialzo termico – tenesmo – disidratazione assente o moderata (E.coli enteroinvasivo – E.coli enteroemorragico – Clostridium difficile).
Non è tuttavia possibile, contrariamente a quanto ritenuto in passato, un orientamento eziologico sulla scorta dei soli elementi clinici. L’abbinamento sopra riportato specie microbica- meccanismo patogenetico e quindi espressione clinica non è infatti obbligato. Ciascun microrganismo sembra infatti possedere potenzialità di enteropatogenicità molto diversificate (cassetta di virulenza) e che, nel singolo caso o perfino in tempi diversi del medesimo episodio enteritico, l’espressione fenotipica di questo o quel fattore di patogenicità si renda responsabile di quadri clinici qualitativamente anche molto diversi fra loro, pur essendo in causa lo stesso agente eziologico.
LA DIARREA E LE SUE CAUSE
Si considera fisiologico svuotare l’alvo da una volta a giorni alterni (al di sotto si ha la stipsi) a due volte al giorno. Per diarrea si intende quindi un numero di almeno 3 scariche alvine al giorno, purchè accompagnate da un aumento delcontenuto idrico delle feci, con l’eccezione del lattante, per il quale rientra nella normalità (a causa di un forte riflesso gastro-colico) un massimo di una evacuazione per ogni pasto (quindi anche 7 nel primo mese di vita).
Contrariamente all’opinione comune, non sono gli agenti microbici e le tossine batteriche le cause più frequenti di diarrea, bensì l’alimentazione incongrua (prima causa nel bambino e nell’anziano), cioè l’assunzione anche occasionale di alimenti che quantitativamente o qualitativamente eccedano le capacità digestive del soggetto (p.es. quantità eccessive di anguria, alimento ricco di fibre non assorbibili o, nel bambino piccolo, di latte) e i disturbi funzionali della motilità del colon (sindrome del colon irritabile), prima causa nell’adulto. Soltanto dopo, in ordine di frequenza, gli agenti infettivi.
Cause meno frequenti di diarrea sono allergie ed intolleranze alimentaried i malassorbimenti, seguite dalle malattie infiammatorie croniche intestinali (morbo di Crohne colite ulcerosa). Cause piuttosto rare:
L’indagine eziologica viene riservata ad una minoranza di casi di sospetta enterite infettiva: forme clinicamente impegnative o comunque protratte, clusters epidemici. In tali casi si ricorre in primo luogo alla coprocoltura, che permette con le metodiche di coltivazione routinarie di isolare soltanto salmonella, shigella e coli (di quest’ultimo senza indicazioni sulla patogenicità), mentre l’isolamento di altri batteri enteritogeni presuppone l’esplicita richiesta al laboratorista (per es.
coprocoltura per ricerca di Campylobacter) e la disponibilità da parte di quest’ultimo delle relative metodiche colturali.
La ricerca di antigeni fecali (IF o ELISA) viene utilizzata per la definizione eziologica delle forme virali e di quelle protozoarie, per le quali si può eseguire anche l’esame parassitologico delle feci. Quest’ultimo deve essere richiesto in prima battuta, contestualmente alla coprocoltura, soltanto in condizioni di alto rischio di eziologia parassitaria (immunodeficit cellulomediato o soggiorno ai tropici negli ultimi tre mesi). In altre tipologie di pazienti si richiede in un secondo tempo, in presenza di una enterite protratta (oltre i 15 giorni) o recidivante.
Poichè gli antibiotici distruggono la flora intestinale saprofita e quindi gli svantaggi potrebbero ampiamente compensare i vantaggi, il loro utilizzo nelle enteriti batteriche o presunte tali è limitato ai casi a rischio elevato di setticemia (lattanti, anziani, immunodepressi, soggetti con anemie emolitiche o comunque pazienti con febbre elevata e diarrea con muco e/o sangue. Da evitare la via orale (minore assorbimento per la diarrea, maggiore inibizione della flora).
I farmaci più utili per un breve ciclo (5 gg) di terapia empirica per via parenterale: nei bambini il
ceftriaxone (25 mg/kg/die), negli adulti la levofloxacina (500 mg/die).
Quando le caratteristiche della diarrea orientano per una patogenesi di tipo secretivo, risulta utile un inibitore della pompa secretoria intestinale, il racecadotril (A: 100 mg x 3 – B: 2mg/kg x 3).
Largamente impiegati sono i probiotici, anche se la loro efficacia nel rafforzare significativamente la flora saprofita al dosaggio d’uso è lungi dall’essere stata dimostrata.
Un blando regime dietetico è comunque utile ad accellerare la guarigione e ad evitare le recidive, in quanto in molti casi i germi enteritogeni determinano delle lesioni dell’epitelio assorbente villare con transitoria riduzione della capacità di assimilazione del lattosio e di altre molecole.
Saranno consentiti thé poco zuccherato e fette biscottate, modiche quantità di scorza di pane e di pasta o riso con un pizzico di olio e parmigiano, carne o pesce magro, patate bollite, mele, banane.
Nei lattanti, latte a basso contenuto di lattosio e crema di riso.
Nei casi con significativa perdita di liquidi, è necessaria la reidratazione.
Nei casi non gravi e non accompagnati da vomito, si utilizzano le soluzioni glucosaline standard in tetrapack (servirle fredde per una migliore palatabilità!) somministrabili senza limite in quanto l’assorbimento intestinale si autoregola.
Nelle disidratazioni più gravi con segni clinici quali intensa sete (manca nell’anziano!) e cute e mucose aride bisogna ricorrere all’infusione venosa, previa monitorizzazione degli elettroliti sierici e, nei casi particolarmente gravi, dell’equilibrio acido-base (si può avere acidosi o, nelle forme con vomito, alcalosi metabolica) .
Non vanno utilizzati (se non per poche ore in situazioni particolari, come trasferimenti in auto o dover sostenere un esame!) farmaci ad azioneantiperistaltica (loperamide), che inibendo un meccanismo di difesa quale è la diarrea, prolungano il contatto dei microrganismi e delle tossine con la parete intestinale.
IL TIFO
Ormai molto raro in Italia e quasi sempre da importazione, è una salmonellosi sistemica da Salmonella typhia trasmissione interumana fecale-orale diretta o più frequentemente da contaminazione di cibi o acqua (non rare in passato le epidemie idriche).Salmonella paratyphi A, B e C sono invece responsabili del PARATIFO, infezione con caratteristiche intermedie tra enterite da salmonella e tifo e che da caso a caso presenta una prevalenza di sintomi intestinali o sistemici.
Dopo una incubazione di 10-20 giorni il tifo esordisce con febbre continuo-remittente, astenia marcata, cute e mucose secche, dolore alla fossa iliaca destra. Dopo alcuni giorni in molti casi è possibile osservare alcune roseole all’addome e modesta splenomegalia molle. Rara è invece la diarrea. Un rapido miglioramento si osserva già qualche giorno dopo l’inizio di idonea terapia antibiotica, in assenza della quale è possibile osservare il lungo decorso e le complicanze intestinali (emorragie, peritonite) così frequenti in era pre-antibiotica.
L’ITER DIAGNOSTICO inizia con le indagini routinarie che evidenziano leucopenia con linfocitosi e modesta ipertransaminasemia. La conferma del sospetto clinico si ha con una sierodiagnosi di Widal positiva a titolo di almeno 1:80 per anticorpi anti-antigene O (infezione pregressa in caso di positività isolata degli anti-H). In soggetti non pretrattati con antibiotici è possibile isolare Salmonella typhi dal sangue o, in fase tardiva, dalle feci.
E’ ormai talmente raro il tifo autoctono che di fronte ad una positività significativa della sierodiagnosi di Widal (particolarmente se accompagnata da una prevalenza di sintomi intestinali) bisogna prendere seriamente in considerazione la possibilità di una reattività crociata con una salmonella agente di enterite (S.enteritidis), appartenente allo stesso sierogruppo di Salmonella typhi. Discriminante l’eventuale isolamento da feci o sangue dell’una o dell’altra.
La TERAPIA si avvale negli adulti della CIPROFLOXACINA x os (mg.500x2) o x ev (mg.400x2) x 14gg
mentre nei bambini si utilizza il CEFTRIAXONE x im (25 mg/kg) x 10gg.
Malgrado idonea terapia si ha talvolta una prolungata escrezione fecale, poco responsiva alla terapia antibiotica, favorita dalla sopravvivenza del germe in colecisti spesso litiasiche.
Un VACCINO vivente x os (Vivotif) è indicato per soggiorni in aree ad alta endemia.
Negli ultimi decenni si è avuta in Italia una netta riduzione dei soggetti infestati da elminti e da parassiti in genere ma contestualmente un incremento dei problemi diagnostici, da attribuire alla maggiore varietà delle infestazioni (→ immigrati e turisti, immunodepressi, animali da compagnia) e alla forte carenza di competenze specifiche, soprattutto in ambito laboratoristico. Pertanto infezioni parassitarie vengono a lungo misdiagnosticate, mentre ancora più frequentemente giungono all’osservazione del parassitologo pazienti con diagnosi di laboratorio di “parassitosi resistente alla terapia”, ma che in realtà non avevano mai sofferto di tali patologie e i cui sintomi (prurito perianale, turbe dispeptiche, esantemi, etc.) pertanto non potevano risentire favorevolmente della terapia antiparassitaria.
Nella TABELLA sono riportate le infestazioni da elminti a trasmissione locale (cioè non da importazione) che si osservano in Italia (in maiuscolo le forme ad ampia diffusione).
E’ la sola elmintiasi ancora ampiamente diffusa in Italia, possibile anche nell’adulto ma particolarmente diffusa tra i 3 ed i 14 anni, con prevalenza anche del 20% in alcune comunità infantili, probabilmente per la scarsa ottemperanza alle misure di profilassi. Agente eziologico è Enterobius vermicularis, che a un mese abbondante dall’ingestione delle uova matura in piccolissimi vermi cilindrici (nematodi) biancastri di appena 0,5 x 3-10 mm che si impiantano sulla mucosa dell’appendice, del cieco e del tratto iniziale del colon. Mentre i maschi muoiono dopo la copula, le femmine gravide si lasciano trascinare dalla corrente fecale e, raggiunta l’ampolla rettale, fuoriescono con le feci ma anche forzando l’ano durante la notte e depositando sulle pliche le uova, le quali sono rivestite di una pellicola albuminoidea che permette loro di aderire tenacemente alle unghia ed a qualsiasi superficie, innescando il “ciclo perverso”
SINTOMATOLOGIA – L’infestazione è spesso asintomatica e del tutto casuale ed inatteso è quindi in molti casi il riscontro di ossiuri tra le feci (aspetto di pan grattato) o sulla biancheria intima. In molti altri pazienti l’azione irritativa esercitata dagli ossiuri si rende responsabile di intenso prurito perianale soprattutto notturno, nelle femmine talvolta esteso alla regione vulvare, spesso causa nei bambini di insonnia, nervosismo, disappetenza, oltre che di lesioni da grattamento. Molto rari sintomi di tipo allergico, enterico o urologico.
DIAGNOSI – Poiché le uova vengono di regola deposte in sede perianale, gli EPF refertati come positivi per uova di ossiuri sono quasi sempre espressione di errori interpretativi. Assente o molto modesta l’eosinofilia (elmintiasi confinata al tratto intestinale).
La diagnosi si basa su:
- riscontro ad occhio nudo su feci, pliche perianali o biancheria intima di vermi biancastri della lunghezza di alcuni mm, molto sottili, talvolta ancora mobili
- scotch-test: la mattina (senza lavaggio mattutino della regione perineale!), utilizzando un abbassalingua si tiene pressato per alcuni secondi sulla regione perianale una striscia di cellophan adesivo trasparente e quindi si appiccica lo stesso su un vetrino da microscopio (Figura 3). A basso ingrandimento (40x) ed a fresco si potranno eventualmente osservare le caratteristiche uova semiovalari embrionale.
TERAPIA E PROFILASSI - L’antielmintico di prima scelta è il pirantel pamoato x os (A: 750 mg – B: 11 mg/kg) in dose unica da ripetere dopo 21gg con una dose anche ai commoranti.
Nelle RECIDIVE dell’infestazione, piuttosto frequenti, il farmaco deve essere somministrato ogni 15 gg x 2 mesi e vanno ottemperate con diligenza le misure di profilassi: non grattarsi l’ano, igiene delle unghia (ove si annidano le uova), cambio giornaliero e lavaggio a caldo della biancheria intima (le uova sopravvivono per circa un mese!).
Per placare un intenso prurito perianale efficace l’applicazione di pomate emorroidarie a base di anestetici.
Anche se le tenie comprendono molte specie di vermi piatti ermafroditi segmentati in proglottidi, tale termine è comunemente impiegato per indicare nell’uomo le infestazioni intestinali da Taenia saginata e Taenia solium (quest’ultima ormai rara in Italia).
L’uomo,ospite definitivo di T.saginata/solium, si infesta mangiando carne cruda o poco cotta (in Sicilia molto spesso salsiccia!) di rispettivamente bovino o suino, ospiti intermedi che ospitano nei muscoli i cisticerchi, forme larvali incistate non facilmente identificabili in quanto simili a lobuli di grasso. Le tenie intestinali vengono chiamate vermi solitari in quanto per un enigma biologico (liberazione di citochine che inibiscono successivi impianti?)soltanto un cisticerco riesce ad impiantarsi nel tenue. Si forma così la tenia adulta costituita da centinaia di proglottidi, per una lunghezza nella maggior parte dei casi di 1-2 metri, ma che può raggiungere anche diversi metri (Figura in copertina).. Dopo almeno 3 mesi dal pasto infettante le ultime proglottidi (gravide) iniziano a staccarsi e raggiungono l’esterno con le feci o, come gli ossiuri, forzando l’ano.
SINTOMATOLOGIA generalmente assente o limitata a vaghe turbe dispeptiche ed eventualmente a prurito perianale (priva di riscontri la correlazione cara alla medicina popolare “verme solitario- bulimia senza incremento di peso).
DIAGNOSI: riscontro nelle feci o più raramente in sede perianale o sulla biancheria intima di singole proglottidi biancastre rettangolari(cm.0,5x1 circa), spesso mobili, simili a frammenti di tagliatelle cotte. È invece eccezionale, in assenza di terapia, l’eliminazione del verme intero o anche di lunghi tratti di esso. Le uova si riscontrano nelle feci e talvolta anche in sede perianale con lo scotch-test. E’ possibile differenziare le due tenie sul verme intero a occhio nudo in base alla disposizione dei pori uterini o sulla singola proglottide al microscopio ottico secondo il numero delle ramificazioni uterine. Indistinguibili sono invece le uova. Assente o modesta l’eosinofilia.
TERAPIA: La Niclosamide x os (A: 1g + 1g dopo 1h – B: 25 + 25mg/kg) consente nella gran parte dei casi l’eliminazione dell’intera tenia (successo terapeutico se non vengono osservate proglottidi per tre mesi dopo la terapia) purché il farmaco non si adsorba a materiale fecale (la terapia deve essere preceduta da un giorno di dieta semi-idrica e da clistere o purgante).
PROFILASSI: Attenta ispezione veterinaria dei capi macellati – Consumare carne bovina o suina, specie se tritato o interiora, solo ben cotta o dopo congelamento di almeno 7 giorni – Evitare insaccati di preparazione artigianale a breve o media stagionatura.
Responsabile dell’echinococcosi cistica, principale forma di echinococcosi umana e la sola presente in Italia (Sardegna soprattutto, seguita dalle regioni meridionali e dalla Sicilia) è una tenia, Echinococcus granulosus, eliminata con le feci del cane, suo ospite definitivo, spesso misconosciuta per le piccole dimensioni (0,5-1 cm). Pecore ed altri erbivori sono gli ospiti intermedi naturali e presentano nei visceri formazioni cistiche (idatidi) a contenuto liquido incolore alle cui pareti sono adese numerosissime forme larvali (protoscolici). Il cane si infetta mangiando visceri di erbivori o alimenti contenenti comunque materiale idatideo (dare ai cani carne ben cotta!).
L’uomo è un ospite intermedio accidentale che si infetta prevalentemente sbaciucchiando un cane che ha sul pelame proglottidi gravide e uova, quale conseguenza della poco igienica abitudine di questo animale di strofinare il muso sulla regione perianale. Possibile anche la trasmissione con ortaggi contaminati da feci canine.
Nell'intestino le uova si schiudono,fuoriescono le larve esacante che, attraverso la circolazione portale, giungono al fegato, sede di formazione della cisti idatidea in circa i 2/3 dei casi. Se il filtro epatico viene superato è probabile che il parassita si impianti nel polmone (20%) o ancor più raramente, attraverso il circolo arterioso in qualsiasi altro organo. Sono d’altra parte possibili localizzazioni secondarie per diffusione ematica o per contiguità. La cisti si accresce molto lentamente (0,5-1 cm/anno), ma può raggiungere anche i 30 cm di diametro.
La DIAGNOSI di idatidosi nella maggior parte dei casi avviene occasionalmente, in seguito ad un Rx Torace o una eco-addome effettuata per monitorizzare altre patologie. In altri casi invece l’iter diagnostico trae lo spunto da:
Eccezionalmente l’iter diagnostico viene avviato in seguito alla comparsa di sintomi di complicanze, come manifestazioni allergiche gravi (fino allo shock anafilattico) da rottura della cisti o sovrainfezioni batteriche.
Alla diagnostica per immagini la cisti presenta un contenuto liquido che si riduce progressivamente con l’invecchiamento (per involuzione biologica o a seguito della terapia medica) così da diventare progressivamente più solida fino all’aspetto a palla di neve o a guscio calcifico. Non semplice la diagnosi differenziale con cisti displastiche congenite a contenuto liquido, le quali tuttavia non presentano nel tempo modifiche significative
Nei casi dubbi possono aiutare gli esami di laboratorio: anticorpi sierici (ELISA o altre metodiche) ed eosinofilia sono comunque incostanti, probabilmente perché presuppongono fissurazioni della parete cistica e quindi interazione antigeni parassitari-sistema immune: pertanto l’assenza di tali elementi non esclude la diagnosi di idatidosi, mentre la loro presenza rafforza notevolmente l’ipotesi diagnostica.
Mentre per le cisti a contenuto solido o calcifiche (biologicamente spente?) viene riservato un monitoraggio semestrale (imaging e sierologia), per quelle giovani la TERAPIA di elezione è chirurgica. Si può tuttavia effettuare un tentativo di terapia con un ciclo trimestrale di albendazolo x os (A: mg.400 x 2 – B: 8 mg/kg x 2), ripetibile in caso di miglioramento all’imaging. Albendazolo viene altresì impiegato nei casi inoperabili e a cavallo dell’intervento chirurgico (da 7gg prima a 90 dopo) per prevenire l’impianto delle larve che spesso fuoriescono durante la resezione.
Le polmoniti (p.) sono infezioni acute del polmone classificabili sulla base di un criterio:
Quest’ultima classificazione è la più utilizzata per le correlazioni con:
Nelle P. ALVEOLARI la presenza di essudato all’interno degli alveoli è responsabile di una più marcata compromissione degli scambi gassosi e quindi di quadri clinici mediamente molto più gravi. Gli infiltrati infiammatori possono essere multipli (broncopolmonite a focolai disseminati) oppure unico. In questo caso l’abituale precoce inizio della terapia antibiotica ne limita l’estensione (p. segmentaria), mentre è oggi molto raro il coinvolgimento di un intero lobo (p.lobare→ Figura 4). Agente eziologico di gran lunga predominante è lo Pneumococco, molto più rari Klebsiella pneumoniae, Haemophilus influenzae, Staphilococcus aureus e Legionella pneumophila.
Nelle P. INTERSTIZIALI la flogosi riguarda i setti interalveolari con compromissione molto più modesta degli scambi respiratori per microatelectasie da compromissione di gruppi di bronchioli ed enfisema compensatorio viciniore, lesioni alla base delle peculiari immagini radiografiche (Figura 7). L’eziologia può essere (prevalentemente virus influenzali, parainfluenzali e VRS, ma anche adenovirus, morbillivirus, VZV) che da batteri atipici (predominante il ruolo di Mycoplasma pneumoniae, frequente anche Clamidia pneumoniae e nel lattante anche trachomatis) o in pz immunodepressi da miceti (Pneumocystis jiroveci, Criptococcus neoformans, Aspergillus spp, Candida spp).
Nelle P. OSPEDALIERE lo spettro eziologico è più ampio, particolarmente nei confronti dei Gram -, e comunque prevalgono batteri e miceti con profili di resistenza multipla agli antimicrobici.
|
POLMONITI ALVEOLARI |
POLMONITI INTERSTIZIALI |
Incubazione |
2-5 giorni |
5-10 giorni |
Esordio |
Brusco con febbre elevata |
Più subdolo, preceduto da sintomi alle vie aeree superiori, febbre di media entità |
Tosse |
Produttiva (mucopurulenta o rugginosa) |
Secca o con espettorato fluido |
Dolore pleurico |
Frequente (dolore puntorio in corrispondenza dell’angolo scapolare). |
Raro, ma non sono infrequenti i segni di pleurite all’Rx Torace |
Esame obiettivo del torace |
Rantoli crepitanti all’auscoltazione +/- smorzamento plessico alla percussione (ottusità al posto del suono chiaro polmonare) |
Nella norma o rantoli crepitanti: si definisce dissociazione clinico- radiografica (obiettività scarsa in presenza di importanti segni radiografici). |
Forme gravi |
Relativamente frequenti |
Solo in lattanti, immunodepressi o nelle forme sostenute da virus influenzale H1N1 |
Diagnostica per immagini |
|
Rx-torace: bilateralmente infiltrati tenui a margini sfumati con aspetto a vetro smerigliato o a nido d’ape, talvolta ili ingranditi. |
Emocromo |
Leucocitosi neutrofila |
Linfocitosi con leucopenia (virus) GB normali o aumentati (batteri atipici) |
VES e PCR |
+++ |
+ |
Ancor oggi gravate da una significativa mortalità, specie alle età estreme della vita e negli immunodepressi, le polmoniti sono responsabili dell’extramortalità che si registra nella popolazione nei mesi freddi (influenza ed altre infezioni respiratorie 7 polmonite 7 exitus).
Accanto alla trasmissione classica per inalazione, si pensa oggi che abbia un ruolo forse ancora più importante la microaspirazione con la saliva (evento molto frequente durante il sonno) di microbi presenti nel cavo orofaringeo. Più raramente l’agente infettivo raggiunge il polmone per via ematica, per contiguità o per contaminazione del canale da parto.
Perché si abbia la p. è tuttavia necessario, almeno nel pz immunocompetente, la presenza di una compromissione anche transitoria dei meccanismi deputati all’espulsione degli agenti infettanti (sistema muco-ciliare e riflesso della tosse), condizione che si verifica a causa di brusche perfrigerazioni, fumo, smog, infezioni prime vie aeree (influenza!), allettamento, perdita della coscienza e più raramente in corso di mucoviscidosi o di compromissione dei muscoli respiratori.
Il sospetto clinico di p. può essere posto in presenza di febbre – tosse – rantoli crepitanti
all’ascoltazione del torace. La conferma sarà fornita dalla Radiografia del Torace.
Nei casi gravi è opportuna valutare la saturazione di ossigeno (anche con saturimetro portatile) ed eventualmente documentare con l’emogasanalisi una acidosi respiratoria o mista.
Gli elementi riportati in tabella insieme a valutazioni di ordine epidemiologico (p.es. la rarità della
A: LEVOFLOXACINA os/ev (500-750 mg x 7 giorni) B: CEFTRIAXONE im/ev (25mg/kg/die x 7 giorni)
È una grave malattia infettiva (agenti eziologici il Mycobacterium tubercolosis hominis e in misura marginale altre specie del Mycobacterium tubercolosis complex), che rappresenta un vero flagello per le nazioni sottosviluppate (PVS) e un serio problema emergente anche per le aree “ricche” del mondo (PS).
Le caratteristiche della parete dei micobatteri e in particolare l’abbondanza di acidi micolici sono responsabili della loro lenta moltiplicazione e della risposta immune di tipo granulomatosa, dell’ insensibilità a gran parte degli antibiotici di uso comune e alle caratteristiche tintoriali quali la mancata colorazione col Gram e l’acido-alcool resistenza (colorazione di Ziehl-Neelsen), caratteristica per inciso condivisa dai micobatteri TB con i micobatteri atipici, le Nocardie e alcuni protozoi (Cryptosporidium, Isospora, Cyclospora).
Si stima che nel mondo annualmente si verifichino 9 milioni di nuovi casi di TB con 2 milioni di morti mentre sarebbero 2 miliardi i cutipositivi, cioè le persone che sono entrate in contatto con i bacilli tubercolari. Oltre il 90% dei casi si verificano nei paesi sottosviluppati.
Nelle aree sviluppate la TBC è oggi molto meno diffusa rispetto a 50 anni fa ma da circa un decennio mostra segni di ripresa (6000 nuovi casi/anno in Italia), soprattutto per la notevole diffusione tra gli immigrati (i quali, pur essendo poco più del 6% della popolazione italiana, sono in causa in circa la metà dei casi)* e gli immunodepressi, (particolarmente i pz con AIDS) e per la diffusione di stipiti resistenti ai più comuni antitubercolari (MDR o XDR).
La TBC può essere polmonare (80% dei casi e alla quale limiterò l’esposizione) o extrapolmonare (linfatica, meningea, renale, ossea, genitale, etc.). Soltanto la forma polmonare cavitaria è contagiosa. La trasmissione è per via aerogena. Perché il contagio si trasformi in infezione è richiesta tuttavia una carica infettante elevata con contatti ripetuti. Anche la stessa TB cavitaria è dunque infezione poco contagiosa e l’”untore” è da ricercarsi nei familiari o comunque tra i frequentatori abituali.
Dei soggetti che dopo 1-2 mesi dal contagio diventano cutipositivi alla Mantoux:
Il rischio di TB malattia è più elevato nei bambini e negli immunodepressi. Contestualmente alla cutipositivizzazione si forma il complesso primario polmonare costituito da una piccola area di polmonite (più spesso ai lobi inferiori e quasi sempre invisibile all’Rx del Torace) ed un più ampio
processo infiammatorio dei linfonodi regionali (linfoadenopatia dell’ilo polmonare). Talvolta è possibile osservare tra i due elementi l’espressione radiografica di strie linfangitiche (Figura 8).
I pz col complesso primario possono:
La TBC primaria (anche senza sintomi/segni di compromissione polmonare) presenta spesso manifestazioni cliniche di “iperergia” vs gli Ag micobatterici (condizione testimoniata dall’intensa cutipositività alla tubercolina!), quali versamenti pleurici/pericardici ed eritema nodoso.
L’eritema nodoso (che oggi ha prevalentemente eziologia streptococcica o incognita) è costituito dalla transitoria comparsa in sede pretibiale di grossi elementi papulonodulari dolenti rossoviolacei.
L’evoluzione del complesso primario, anche in assenza di diagnosi e di terapia, è quasi sempre verso l’autorisoluzione, talvolta residuando piccole calcificazioni visibili per tutta la vita all’Rx Torace. Molto rare in questo stadio evoluzione cavitaria o disseminazione miliarica clinicamente evidente, anche se in questo stadio “miliari discrete” sono alla base della formazione dei focolai apicali di Simon da dove eventualmente ripartirà la TB nel periodo post-primario.
Il soggetto cutipositivo alla tubercolina, abbia presentato o meno i sintomi del complesso primario, presenta una resistenza ai micobatteri TB maggiore rispetto a chi è cutinegativo ma non assoluta (come accade invece nei confronti di molte malattie batteriche o virali per chi ha una significativa quantità di anticorpi specifici nel siero). Pertanto seppur raramente il cutipositivo può reinfettarsi attraverso l’inalazione di una carica massiva di micobatteri (superinfezione esogena) oppure più frequentemente, in presenza di una carenza anche transitoria delle difese immunitarie, può presentare una riattivazione dell’infezione (mai estintasi in quanto generalmente un piccolo numero di micobatteri rimane vitale nei linfonodi per tutta la vita), cioè una reinfezione endogena.
Lesioni TB in soggetti già cutipositivi costituiscono la TB polmonare post-primaria: si tratta di infiltrati infiammatori nella gran parte dei casi agli apici polmonari o alle regioni sottoclaveari, di dimensioni modeste e a limiti sfumati (infiltrati precoci di Assmann e Redeker) o ad estensione
lobare (lobite), caratterizzati da una spiccata tendenza all’escavazione in seguito all’eliminazione del materiale necrotico caseoso attraverso i bronchi, con conseguente:
Diversamente dal complesso primario, la sintomatologia è generalmente evidente (febbre, tosse purulenta protratta, talvolta striata di sangue), ma spesso viene attribuita a riacutizzazione di processi bronchitici cronici.
Dopo 1-2 mesi di terapia il pz non è più contagioso ma, diversamente dal complesso primario che generalmente guarisce anche spontaneamente, la TB post-primaria non tende ad una definitiva guarigione spesso neppure dopo corretta terapia cosicché in questi pz sintomi di tipo bronchitico debbono essere sempre valutati con attenzione (Rx/TAC torace, esame batteriologico dell’espettorato).
Sia nel periodo primario che post-primario, a seguito della disseminazione linfoematogena di micobatteri, può insorgere la TB miliare (così chiamata perché le numerose piccole lesioni che la caratterizzano somigliano a grani di miglio) (Figure 11-12), limitata all’ambito polmonare (miliare polmonare) o a distanza, con colonizzazione di altri organi: TB renale, ossea, meningoencefalite TB, etc... quest’ultima ormai molto rara nei PS, ma particolarmente grave per mortalità ed esiti neuropsichici.
Frequente nella TB polmonare (primaria o post-primaria) è la pleurite (secca o con versamento) con rialzo termico, dolore al dorso, difficoltà respiratorie nelle forme più gravi, talvolta associata a versamento pericardico.
Poiché nella TB non si formano anticorpi sierici in misura apprezzabile e costante, la diagnosi di infezione si avvale del rilevamento dell’attivazione dell’ICM vs Ag TB, routinariamente mediante inoculazione intradermica con siringa da insulina nella regione anteriore dell’avambraccio di 5
U.I. di tubercolina (se correttamente eseguita si forma una piccola cupola emisferica→ Test di Mantoux) con lettura dopo 48-72h: positività se il diametro maggiore dell’eventuale pomfo rossastro (non dell’eritema!) è di almeno 6 mm (Figure 13 e 14).
Falsi positivi si possono avere nei vaccinati con BCG, come quasi tutti gli immigrati nati in PVS (7piccola cicatrice rotondeggiante al deltoide quale reliquato della vaccinazione) e in caso di infezione da micobatteri atipici.
Falsi negativi dipendono spesso da scarsa manualità dell’operatore (inoculazione sottocutanea invece che intradermica), meno frequentemente da altre condizioni, quali infezione recente (< 60gg), anergia secondaria dovuta a depressione dell’ICM, infezioni/vaccinazioni virali, meningoencefalite TB, ma anche anergia criptica (5% circa dei casi).
Nei soggetti vaccinati e comunque in caso di dubbia interpretazione dell’intradermoreazione di Mantoux, si può ricorrere al ben più costoso Quantiferon TB gold che valuta quantitativamente su un campione ematico (provetta da emocromo!) la produzione di gamma-interferon da parte dei TL del pz cimentati con Ag del Bacillo di Koch (7 assenza di reazione crociata con il BCG del vaccino). Nei PS (a bassa endemia TB) il TEST DI MANTOUX non viene più utilizzato nello screening della popolazione scolastica, ma limitato ai GRUPPI A RISCHIO:
La positività a tali test (Mantoux e Quantiferon) testimonia l’avvenuta infezione senza tuttavia indicazioni sull’epoca del contagio né possibilità di discriminare tra TB latente e TB malattia.
I cutipositivi e gli incerti dovranno sottoporsi alla Radiografia del Torace (in duplice proiezione) e, in presenza di lesioni sospette, alla TAC polmonare. Tutti gli Rx/TAC positivi verranno sottoposti a terapia per 6 mesi con 4 antibiotici.
I cutipositivi con RxTorace negativo verranno rassicurati (7infezione TB senza malattia, sinonimo TB latente) anche se è opportuno lo screening dei familiari/commoranti alla ricerca della fonte del contagio (soggetto con TB cavitaria spesso nascosta o incognita!). Una terapia con isoniazide e rifampicina per 3mesisarà consigliata soltanto in presenza di condizioni che rendano più probabile il passaggio alla malattia conclamata e cioè una infezione verosimilmente recente (contatti con tubercolotici contagiosi, intradermo negativa negli ultimi 2 anni), o gruppi a rischio (bambini, immunodepressi, terapia inadeguata o non documentata di una pregressa malattia TB).
I commoranti del tubercolotico contagioso, ancor che negativi ad una prima intradermoreazione, poiché l’infezione potrebbe ancora essere in incubazione, debbono essere prudentemente sottoposti a profilassi con INH, da sospendere se una seconda intradermoreazione dopo tre mesi dovesse confermarsi negativa.
Con indagini da effettuare sull’espettorato (spontaneo o indotto con lavaggio broncoalveolare) o nei bambini (che tendono a deglutire l’espettorato) anche sull’aspirato gastrico:
La terapia standard si avvale della somministrazione giornaliera per os di:
Schemi e farmaci alternativi sono necessari in caso di antibioticoresistenza (all’antibiogramma o desumibile dalla mancata risposta dopo 2 mesi di terapia) così come nella confezione TB-HIV (7 potenziamento reciproco - problemi di interazione farmacologica - rischio di TB malattia quale espressione di sindrome da immunoricostituzione – spesso espettorato positivo pur in assenza di imaging suggestiva per cavitazione ).
La vaccinazione con BCG presenta i limiti di una responsività insoddisfacente (particolarmente se, come accade nei PS, i booster naturali non sono frequenti) e della positivizzazione dell’indagine diagnostica routinaria (Mantoux). In Italia in passato obbligatoria per studenti e personale sanitario, è oggi limitata ai bambini <5 anni commoranti con tubercolotici contagiosi e agli operatori sanitari di reparti ad alto rischio di contagio con bacilli tubercolari multi resistenti i quali presentino controindicazioni ad una eventuale terapia antitubercolare (patologie epatiche, renali,etc..).
Per esantemi si intendono tutte le alterazioni del colore della cute che vanno dal rosa pallido al rosso purpureo. Gli elementi costitutivi differiscono per ampiezza, aspetto, colore.
Gli esantemi vengono classificati in maculopapulari,vescicolari ed emorragici.
L’eziologia è in genere infettiva o allergica, molto più raramente tossica o da connettivite.
Quelle malattie nelle quali l’esantema è l’espressione clinica fondamentale prendono il nome di
malattie esantematiche (quasi tutte di natura infettiva).
Le principali malattia esantematiche infettive possono essere così classificate:
Negli esantemi di entrambi i gruppi può essere presente una componente emorragica più o meno evidente.
Con l’eccezione delle infezioni erpetiche, della febbre bottonosa e della piodermite, si trasmettono per via aerogena con contagiosità particolarmente elevata nella seconda metà del periodo di incubazione e nei primi giorni di esantema (7 inutile l’isolamento dopo tale periodo).
Fino alla prima metà del novecento, durante le epidemie del morbillo, i bambini che iniziavano a star male venivano vestiti di rosso “per fare uscire la russania” (morbillo in dialetto siciliano). Pur non conoscendone ovviamente la motivazione scientifica (pz immunodepressi in quanto malnutriti o comunque defedati) la medicina popolare aveva infatti notato che la mortalità era molto più alta in chi non sviluppava l’esantema (ma più di frequente decedeva per morbillo emorragico, polmonite virale o da sovrainfezione batterica in epoca preantibiotica).
Frequenti negli adulti fastidiose artralgie, soprattutto alle mani.
Dopo alcuni giorni l’esantema impallidisce e quindi regredisce con desquamazione furfuracea al tronco e lamellare agli arti. In fase di convalescenza si ha desquamazione furfuracea al tronco, a squame agli arti.
Sono un gruppo di patologie da infezione quasi tutte di tipo esantematico causate dalle Rickettsie, piccoli coccobacilli non colorabili col Gram, parassiti intracellulari obbligati e pertanto non coltivabili nei terreni di coltura per batteri.
L’unica forma di Rickettsiosi presente in Italia (quasi esclusivamente nelle regioni meridionali ed insulari) è la Febbre bottonosa del Mediterraneo, trasmessa con il morso dalla zecca bruna del cane (Riphicephalus sanguineus) ed in minor misura da numerose altre specie di zecche.
L’agente eziologico è Rickettsia conori o più raramente altre rickettsie (R.israelensis, R.afrika e R.indica, quest’ultima per la prima volta identificata dalla nostra Scuola).
Poiché le zecche proliferano nei mesi caldi e d’altra parte il periodo di incubazione è breve (5-10 gg) i casi di febbre bottonosa si concentrano in Sicilia da fine giugno alla prima metà di settembre (diverse centinaia/anno) per ridursi progressivamente e divenire eccezionali nei mesi freddi, quando le zecche vanno in letargo.
ZECCHE: COME DIFENDERSI
Di colore scuro, distinguibili da altri insetti per le 4 (e non 3) paia di zampe, di dimensioni variabili dal mm della larva “a digiuno” al cm abbondante dell’adulto pieno di sangue, le zecche (z) parassitano l’uomo, il cane e altri animali domestici e selvatici (Figura 15) A differenza di altri vettori di infezione che hanno necessità di un serbatoio animale (l’uomo per la zanzara anofelina della malaria, il cane per il flebotomo della leishmaniosi), sono allo stesso tempo vettore e serbatoio di R.conori , in quanto spesso nascono già infette per trasmissione transovarica da parte della z. madre.
L’ectoparassitismo delle z. è molto insidioso: numerose non solo nei boschi ma anche nelle aree urbane invase dalle sterpaglie, sono leste a spostarsi sull’uomo, sulla cui cute si muovono velocemente senza provocare alcun vellichio, fermandosi spesso in parti umide e nascoste (cuoio capelluto, regione inguinoscrotale, solco retroauricolare, etc..) ove secernono sostanze cementanti (il getto d’acqua della doccia non è sufficiente a far staccare la z.!) ed anestetiche che rendono indolore il morso e l’emofagia, la cui durata può essere anche di diversi giorni.
Soltanto un ectoparassitismo di almeno 12h è a rischio-trasmissione. La z. infatti inizialmente si limita a suggere il sangue, quindi, ormai repleta, rigurgita nel sangue umano il plasma (ha infatti bisogno dei soli GR) e con esso le rickettsie che eventualmente ospita.
Le z. vanno rimosse bruscamente e meccanicamente (forbicine!), senza mezzi chimici che in punto mortis potrebbero provocare il rigurgito del contenuto della cavità celomatica (7 trasmissione della Rickettsia). Utile la disinfezione con alcool e l’applicazione di una pomata al cloramfenicolo (cortisonchemicetina).
La profilassi antibiotica (claritromicina o doxiciclina x 5 gg) è indicata solo quando vi sono elementi che indichino un prolungato ectoparassitismo (esposizione risalente ad almeno 12h prima della rimozione o zecca gonfia di sangue). Negli altri casi ricordare al pz di ricorrere al medico in caso di febbre tra 4 e 15 gg dalla rimozione. Un breve rialzo termico nelle prime 48h è frequente (inoculazione di germi comuni o di sostanze ad azione allergica) e non correlato con l’infezione da rickettsia.
Le norme comportamentali in occasione di gite in campagna nei mesi caldi prevedono pantaloni lunghi e calzettoni non che una accurata ispezione al ritorno.
Nel punto di inoculazione delle rickettsie, in almeno i 2/3 dei casi, è visibile già al termine del periodo di incubazione una piccola escara nerastra (tache-noire→ Figura 16) che si accompagna a una spesso molto più evidente linfoadenite satellite.
Con tache-noire si intende l’espressione clinica di una vasculite da rickettsia nel punto di puntura della z.. Tuttavia lesioni necrotiche similari conseguono spesso all’inoculazione di sostanze ad azione tossico-allergica da parte di z. non portatrici di rickettsie. L’escara necrotica è pertanto un utile elemento per la diagnosi di rickettsiosi ma nell’ambito di un quadro clinico compatibile o comunque confortato dal riscontro sierologico.
Tuttavia, quasi sempre nell’adulto (spesso probabilmente per una meiopragia d’organo aggravata dalla vasculite cutanea ma anche sistemica alla base della Febbre Bottonosa), si possono verificare complicanze d’organo che interessano meningi, fegato, cuore, rene o anche innescarsi una MOFF e/o una CID con possibile exitus.
La DIAGNOSI nelle forme tipiche è possibile sulla scorta dei soli elementi clinici: esantema bottonoso preceduto da febbre +/- tache noire e adenite satellite. Leucopenia con linfocitosi, piastrinopenia e ipertransaminasemia rafforzano il sospetto clinico. D’altra parte per il breve periodo di incubazione la ricerca di IgM anti-R.conori con IFI può risultare negativa all’inizio del periodo esantematico e pertanto nei casi dubbi tale supporto diagnostico dovrà essere richiesto in 2a settimana di malattia.
L’ampiamente impiegata in passato sieroagglutinazione di Weil-Felix, basata su frazioni antigeniche comuni tra Rickettsie e alcuni ceppi di Proteus, in considerazione dell’ormai documentata bassa sensibilità e specificità, non deve essere più utilizzata neppure in assenza di alternative siero diagnostiche.
Per la TERAPIA, non essendo più disponibile il cloramfenicolo x os, farmaci di prima scelta sono nell’adulto la Doxiciclina x os (100mg x 2 x 7 gg) e nel bambino la Claritromicina x os (8mg/kg x 2 x 7gg). Nei casi più gravi si utilizza il cloramfenicolo x ev (A: 500mg x 4 – B: 50mg/kg x 4)
Si tratta di infezioni setticemiche a focolaio sepsigeno endocardico posto su:
Nell’80% dei casi si sviluppa a carico del cuore sx (l’aterosclerosi colpisce la valvola aortica, la cardiopatia reumatica anche la mitrale). Il 20% a carico del cuore dx è spesso da ricondurre a tossicodipendenza per e. v. che comporta l’inoculazione di germi direttamente in circolo; inoltre alcune sostanze di taglio sono probabilmente lesive per l’endotelio.
Fattore di rischio emergente sono i piercing, specie se effettuati in zone molto vascolarizzate come la lingua, la vulva e l’ombelico.
Negli ultimi decenni si è assistito ad un aumento dell’età media dei pazienti con endocardite: ciò è legato da un lato ad una riduzione della tossicodipendenza per via endovenosa, dall’altro al più largo ricorso a manovre sanitarie invasive negli anziani.
Gli agenti eziologici più spesso responsabili di endocardite sono:
insufficienza cardiaca, che è la causa di morte più frequente.
Il sospetto clinico di endocardite si ha dunque in presenza di:
Se c’è il sospetto di eziologia brucellare, considerati i lunghi tempi di sviluppo delle brucelle in coltura,bisogna ricorrere alla diagnostica sierologica.
Una volta evidenziata una condizione di setticemia, è necessario confermare che il focolaio sepsigeno è posto a livello endocardico; si ricorre dunque all’ ecocardiogramma transtoracico o transesofageo, che evidenzia la presenza di vegetazioni cardiache oscillanti.
L’ecografia transesofagea fornisce immagini più chiare, ma è un esame invasivo: per questo si ricorre più spesso alla semplice ecografia transtoracica.
Per valutare la risposta alla terapia: ecografie seriate, valutando le vegetazioni, che dovrebbero ridursi di volume e quindi scomparire. Ciò può non valere per il tossicodipendente a causa della persistenza di vegetazioni sterili.
I batteri vengono protetti dalle vegetazioni nei confronti di anticorpi e antibiotici: ciò rende la terapia eziologica delle endocarditi lunga (1-2 mesi) e complessa, ma quasi sempre guidata dall’antibiogramma dal momento che l’isolamento colturale è praticamente costante.
In attesa dei risultati dell’esame colturale si inizia in genere con una terapia empirica ad ampio spettro con daptomicina + gentamicina.
Spesso la sola terapia medica non è sufficiente alla sterilizzazione delle vegetazioni e deve quindi essere integrata dall’ intervento chirurgico di sostituzione valvolare.
Viene effettuata nei pz con fattori di rischio in occasione di interventi chirurgici inclusi quelli odontoiatrici, rimozione di tartaro, diagnostiche invasive:
Sono processi infiammatori dell’aracnoide e della pia madre (leptomeningi), provocate dalla localizzazione diretta di un agente infettivo. Spesso il parenchima cerebrale iuxtameningeo è interessato dal processo infiammatorio (meningo-encefaliti).
Il termine di meningismo indica invece la presenza di segni clinici di meningite in assenza di flogosi meningea (si verifica per lo più nei bambini per febbre elevata, acetone, disidratazione). In caso di sospetto meningismo pertanto si instaura tempestivamente una terapia antibiotica empirica, differendo eventualmente la puntura lombare a quando sarà stato verificato il permanere dei segni meningei, malgrado la correzione degli squilibri termici o metabolici.
Le meningiti sono ancor oggi relativamente frequenti, soprattutto in età pediatrica, nel giovane adulto e nell’anziano. Particolarmente a rischio per le forme batteriche gli splenectomizzati e i soggetti con deficit del complemento, i quali debbono sottoporsi a un programma sistematico di copertura vaccinale.
Gli agenti eziologici sono quasi sempre batteri o virus, assai di rado miceti (immunodepressi) o parassiti (regioni tropicali). I microrganismi raggiungono le meningi per via ematogena o per contiguità, eccezionalmente per soluzioni di continuo.
Tra i batteri ruolo preponderante riveste nel bambino e nel giovane adulto il meningococco (dal nasofaringe per via ematogena), nell’anziano lo pneumococco (da focolaio otomastoideo per contiguità), nei neonati enterobatteri e streptococco B da colonizzazione del canale del parto.
Per quanto molto raramente si giunga ad una definizione eziologica, sembra che i virus più frequentemente in causa siano gli enterovirus e l’herpes simplex 1.
Il processo infiammatorio meningeo è responsabile di febbre e di iperproduzione di liquor cefalo- rachidiano da parte dei plessi coroidei che supera la capacità di riassorbimento delle granulazioni del Pacchioni con conseguente ipertensione endocranica (condizione che nelle forme batteriche è spesso particolarmente pronunciata per la formazione di coaguli di fibrina che ostacolano la circolazione liquorale), che si accompagna a cefalea intensa e vomito cerebrale (improvviso ed indipendente dai pasti, come il vomito gravidico). La flogosi in corrispondenza delle radici spinali è invece alla base di elementi semeiologicamente rilevanti (Figura 17).
Se la flogosi meningea è particolarmente intensa il paziente giace in opistotono (iperestensione del capo→ Figura 18) o perfino a cane di fucile (capo e tronco in iperestensione, arti in flessione). In alcuni casi ai sintomi della meningite si possono aggiungere quelli espressione della diffusione settica del microrganismo (vedi prossimo capitolo→ Figura 19).
In un paziente con febbre l’evocazione dei segni irritativi delle radici spinali (non della sola rigidità nucale, spesso associata a semplice cervicoalgia!) consente di porre diagnosi di meningite.
Nei neonati, nei soggetti molto anziani e negli immunodepressi possono tuttavia mancare tanto la febbre che i segni di irritazione meningea. Questi ultimi possono essere scarsamente evocabili anche nel lattante (che “scarica” la pressione liquorale sulla non ancora ossificata fontanella bregmatica, “a bombè”, tesa e pulsante→ Figura 21) e, senza apparenti motivazioni, anche nel 10% circa di adulti non immunodepressi.
In presenza di meningite clinicamente evidente o sospetta, senza indugio si inizia terapia empirica e (previa TC encefalo che escluda neoplasie o altre patologie intracraniche che possano determinare una erniazione del cervello a seguito della decompressione liquorale) si procede alla puntura lombare (Figura 20), effettuata tra il 4° ed il 5° spazio interverbro-lombare e che, in caso di meningite, comporta la fuoruscita di liquor cefalorachidiano più o meno abbondante, a pressione aumentata e il cui aspetto è, come si dirà, in rapporto al contenuto in leucociti, distinguendosi:
|
MENINGITI A LIQUOR LIMPIDO |
MENINGITI A LIQUOR TORBIDO |
AGENTI EZIOLOGICI |
Herpes simplex)
|
|
SINTOMATOLOGIA |
Di rado severa (forma Tb esclusa) |
Mediamente piuttosto severa |
LIQUOR |
Iperproteinorrachia - GB/mm3: da |
Iperproteinorrachia – ipoglicorrachia - GB/mm3: da qualche centinaio a qualche migliaio |
EMOCROMO |
GB normali o leucopenia con linfocitosi |
GB aumentati con neutrofilia |
MICROBIOLOGIA |
|
sierogruppi meningococco
|
Nelle more di definizione eziologica e terapia mirata è necessaria una terapia antibiotica empirica (la presomministrazione di steroide facilita la penetrazione dell’antibiotico nelle meningi):
La durata della terapia è in funzione dell’agente eziologico e della risposta clinica e bioumorale
La profilassi vaccinica è possibile per le forme da emofilo b (quasi scomparsa dopo l’introduzione della vaccinazione di massa), meningococco (sierogruppo B escluso) e pneumococco. I relativi vaccini sono offerti gratuitamente dal SSN.
Per la labilità degli agenti eziologici inutili chiusura e disinfezione di scuole o altre strutture comunitarie, mentre la profilassi dei contatti è utile soltanto per l’unica meningite a contagiosità significativa,quella da meningococco (vedi riquadro “ sepsi e meningite meningococcica“).
10. LE SEPSI
>12.000/mm3 con neutrofilia e notevole incremento degli altri indici di flogosi (VES, PCR, etc..).Tuttavia negli immunodepressi e alle età estreme della vita la ridotta capacità di sintesi delle citochine proinfiammatorie può comportare una sepsi con ipotermia e leucopenia. Manifestazioni esantematiche si possono avere soprattutto nella sepsi meningococcica (petecchie) e nelle forme da stafilo/streptococchi produttori di esotossine (eritema diffuso).
Le forme gravi di sepsi, ancor oggi ad elevata mortalità, possono essere responsabili di danni d’organo fino alla MOFF (Multiple organ fatal failure), di shock settico e di CID (coagulazione intravascolare disseminata).
Nei Paesi Sviluppati l’incremento progressivo della sopravvivenza di pazienti in condizioni critiche e del ricorso a procedure invasive e a terapie intensive sono la causa del drammatico aumento dei casi di sepsi ( 6000/anno in Italia), spesso ad opera di batteri multi resistenti.
Nella PATOGENESI un ruolo fondamentale rivestono endotossine della parete dei Gram- (lipopolisaccaride) e dei Gram+ (peptidoglicano) non che una particolare esotossina (SST) prodotta da alcuni stipiti di stafilococchi e più raramente streptococchi. Queste molecole innescano la produzione di citochine pro infiammatorie (TNF-alfa, IL-1 ed altre) che sono responsabili del quadro clinico e bioumorale della sepsi. In caso di una produzione eccessiva, non modulata da una adeguata risposta in citochine antinfiammatorie, si ha lo shock settico, inizialmente poco evidente per la riduzione delle resistenze vascolari periferiche (shock caldo con cute calda e arrossata), quindi l’insorgenza di un deficit contrattile miocardico e la riduzione delle resistenze vascolari periferiche determina il quadro clinico dello shock freddo, con cute pallida e fredda, polso piccolo e frequente, ipotensione, oliguria. L’innesco della CID è invece costituito da lesioni endoteliali che attivano la cascata emocoagulativa con conseguente coagulopatia da consumo (riduzione di piastrine e fattori della coagulazione, aumento dei prodotti di degradazione della fibrina) e manifestazioni emorragiche.
Il FOCOLAIO SEPSIGENO è generalmente costituito da processi infettivi polmonari, urogenitali, endocardici e dell’apparato digerente, non che da infezioni di cateteri vascolari o di altri strumenti invasivi; molto raramente da infezioni faringotonsillari (meningococco),cutanee (ustionati)o delle mucose genitali (sindrome dello shock tossico da stafilococchi o streptococchi produttori di SST).
Gli AGENTI EZIOLOGICI più frequentemente in causa variano secondo la sede del focolaio e l’eventuale forma di immunodepressione: cocchi Gram+, enterobatteri, pseudomonas, meningococco. I 2/3 circa dei casi vengono contratti in ambito ospedaliero. Particolarmente gravi per i profili di multi resistenza le forme quasi sempre nosocomiali e/o iatrogene da stafilococchi meticillino-resistenti (MRSA), Klebsiella pneumoniae ed E.coli produttori di betalattamasi a spettro esteso, Acinetobacter baumani.
La DIAGNOSI di setticemia viene posta con la ricerca del battere nel sangue attraverso emocoltura
e, da qualche anno, utilizzando kit commerciali che in poche ore sono in grado di rilevare acidi
nucleici dei principali microrganismi responsabili di processi settici (septifast). Bisogna effettuare più prelievi ematici, possibilmente in corrispondenza dei picchi febbrili.
Ulteriori indagini microbiologiche vanno ovviamente effettuate in relazione ai possibili focolai sepsigeni.
La TERAPIA antibiotica di una sospetta sepsi, nelle more dell’identificazione dell’agente eziologico e dell’antibiogramma, deve assicurare un’ampia copertura. Tra gli schemi proposti:
Fondamentale è inoltre l’individuazione e la rimozione del focolaio sepsigeno, la terapia antinfiammatoria con steroidi e nelle forme gravi l’eventuale ripristino del circolo (che si avvale anche dell’utilizzo di amine simpaticomimetiche come la dopamina) e l’infusione di piastrine e fattori della coagulazione.
SEPSI E MENINGITE MENINGOCOCCICA
La malattia meningococcica, seppur molto meno frequente del passato, è ancora presente in Italia (150-200 casi/anno), con segnalazioni più numerose nei mesi freddi. L’agente eziologico è Neisseria meningitidis, coccobacillo Gram- che si dispone spesso in diplococchi “a chicco di caffè” all’interno dei monociti del sedimento del liquor, suddivisa in numerosi sierogruppi. Quelli più diffusi al mondo sono A,B,C,Y e W135, tutti passibili di profilassi vaccinica tranne il B che è proprio quello prevalente nel nostro Paese, seguito dallo C.
La trasmissione è per via aerogena, quasi sempre da un semplice portatore faringeo.
7 La FARINGOTONSILLITE, in genere oligosintomatica è infatti la prima e quasi sempre unica espressione dell’infezione. In pochi casi (sulla scorta di condizioni predisponenti come splenectomia, deficit per lo più misconosciuti del sistema complementare, particolari istotipi HLA, etc..) si ha il passaggio in circolo e forme cliniche molto più impegnative:
7SEPSI EMORRAGICA : Setticemia che si caratterizza per la presenza di lesioni cutanee conseguenza dell’azione tromboembolica del microrganismo con petecchie e soffusioni emorragiche che consentono una diagnosi eziologica quasi certa. Nei casi particolarmente gravi tali lesioni presentano una evoluzione gangrenosa con esiti in perdita di tessuto sottocutaneo o perfino in amputazione delle estremità.
7SEPSI IPERACUTA : Shock settico che evolve spesso in poche ore verso la formazione di chiazze ipostatiche cadaveriche e l’exitus, senza che vi sia il tempo per la formazione delle lesioni cutanee.
7MENINGITE: Flogosi meningea a liquor torbido che si associa in qualche caso ai segni clinici della sepsi (7sepsi emorragica + meningite meningococcica).
Quasi sempre la segnalazione di un caso di sepsi o meningite meningococcica in una scuola ne comporta la temporanea chiusura e disinfezione, misure del tutto inutili in quanto N. meningitidis è molto labile nell’ambiente e comunque nei 2-5 giorni di incubazione del caso indice i possibili contagi hanno avuto la possibilità di verificarsi. D’altra parte quasi mai è dato osservare casi secondari, per l’assenza di contagiati con le condizioni predisponenti sopra accennate. È tuttavia prudenziale che i contatti familiari o scolastici (soltanto i compagni di classe!) si sottopongano a PROFILASSI con rifampicina x os (A: 600 mg. x 2 – B: 10 mg/kg x 2) per 2 gg.
11.MONONUCLEOSI INFETTIVA
E SINDROMI SIMILMONONUCLEOSICHE INFETTIVE
Tra le malattie da infezione di una certa serietà, la MONONUCLEOSI INFETTIVA è la più frequente e colpisce soprattutto il bambino grandicello, l’adolescente e il giovane adulto. Nei bambini piccoli la stessa infezione comporta invece una semplice faringotonsillite o una sindrome simil- influenzale (febbre elevata, cefalea, dolori mioarticolari).
Agente eziologico è il virus di Epstein-Barr (EBV), un herpesvirus che ha come target cellulare i linfociti B e le cellule epiteliali del nasofaringe e della cervice uterina. Come gli altri virus erpetici ha la caratteristica di andare in latenza dopo l’infezione primaria, con possibile riattiavazione o induzione della trasformazione tumorale della cellula infettata (per cofattori genetici: ca nasofaringeo in Estremo Oriente, Linfoma di Burkitt in Africa Nera, mentre incerta è in Europa la correlazione con altri linfomi a cellule B). La replicazione nei linfociti B comporta:
Quasi costante l’ipertransaminasemia (diffidare delle diagnosi di mononucleosi infettiva con transaminasi normali!) e spesso i valori configurano una epatite acuta anitterica. Frequente è anche la pneumopatia interstiziale. Rara la piastrinopenia (autoimmune).
La mononucleosi infettiva si può considerare una malattia linfoproliferativa autolimitantesi. In qualche caso invece si verifica una linfoproliferazione incontrollata ad evoluzione molto spesso letale, prevalentemente in pazienti con depressione dell’immunità cellulomediata o con una anomalia X-linked chiamata sindrome di Duncan ma anche, sotto forma di sindrome emofagocitica, in soggetti apparentemente privi di fattori di rischio.
In presenza di febbre prolungata e linfoadenopatia sistemica, il sospetto di mononucleosi infettiva o di sindrome similmononucleosica viene rafforzato da un quadro emocromocitometrico di leucocitosi con linfocitosi e monocitosi non che aumento dei mononucleati atipici.
Nella mononucleosi infettiva queste ultime cellule sono >20%se lo striscio di sangue viene letto dal laboratorista (che spesso li referta come linfomonociti), >10% se il campione ematico viene “letto” attraverso un programma informatico, in quanto vengono da questi individuate (e refertate come LUC) soltanto le cellule ad elevata atipia. Altri programmi non distinguono tali elementi che, in larga misura, vengono interpretati come monociti. Nelle sindromi mononucleosiche infettive la percentuale dei mononucleati atipici è circa della metà.
In una parte degli adulti tuttavia il midollo è meno reattivo e le modifiche leucocitarie possono essere meno marcate.
Per la conferma sierologica della diagnosi di mononucleosi infettiva nell’adulto ci si può limitare alla ricerca delle agglutinine contro gli eritrociti di cavallo (monotest). Nel bambino la sensibilità di tale metodica è soltanto del 50% e pertanto, in caso di negatività, bisogna ricorrere alla ricerca di anticorpi anti EBV-VCA IgM. La ricerca degli anticorpi anti-EBNA, che compaiono tardivamente (probabilmente in relazione con la fine del ciclo litico del virus), può essere utile soltanto, in caso di positività, per escludere l’origine mononucleosica di determinati segni o sintomi (p.es. una persistente ipertransaminasemia).
Vengono denominate SINDROMI SIMILMONONUCLEOSICHE INFETTIVE quei quadri clinici simili ad una mononucleosi infettiva ma riconducibili a diversa eziologia microbica(in buona parte dei casi infezione da CMV o anche infezione da HIV in fase acuta o nello stadio pre-AIDS, altre infezioni virali sistemiche, sifilide secondaria, toxoplasmosi acquisita ed altre ancora). Rispetto alla mononucleosi infettiva manca la faringotonsillite e più moderati sono gli altri sintomi, così come le modifiche del quadro leucocitario (vedi sopra) e, se si eccettua la forma da CMV, molto meno elevati sono mediamente i valori delle transaminasi.
L’iter diagnostico, una volta esclusa l’infezione da EBV e in assenza di elementi che orientino verso una causa rara (per es.una malattia esantematica virale), prevede la ricerca di:
Da ricordare comunque non soltanto che come accennato altri agenti microbici possono essere responsabili di sindromi similmononucleosiche, ma che quadri clinici caratterizzati da linfo- adenomegalia sistemica, talvolta con rialzo termico, possono avere una eziologia non infettiva (autoimmune, allergica, oncologica).
ALTRI QUADRI CLINICI DELL’INFEZIONE DA TOXOPLASMA GONDI
Il Toxoplasma gondi è un protozoo coccidio il cui ciclo biologico comprende una fase sessuata nell’intestino del gatto
e una fase asessuata nei tessuti di un gran numero di specie animali tra cui l’uomo, per il quale distinguiamo una:
7 INFEZIONE ACQUISITA, attraverso l’ingestione di vegetali crudi contaminati da oocisti eliminate con le feci di gatto o di carni poco cotte di bovino, suino o soprattutto agnello contenenti le pseudocisti del parassita, eccezionalmente attraverso trasfusioni o organi trapiantati.
Nell’ospite immunocompetente decorre generalmente in forma asintomatica. Nei casi sintomatici, la forma più frequente è la linfadenite subacuta distrettuale, con aumento di volume in apiressia di uno o più linfonodi della stessa regione linfatica, spesso quella cervicale posteriore. Meno frequente la già ricordata sindrome similmononucleosica, eccezionale la corioretinite. Trattasi di patologie autolimitantesi, anche se un ciclo di 10gg di cotrimoxazolo (A: 960 mg – B: 25 mg/kg x 2) potrebbe abbreviarne la durata. Così come nelle infezioni asintomatiche, il toxoplasma rimane in latenza nei tessuti, così che nel PAZIENTE CON DEPRESSIONE DELL’IMMUNITA’ CELLULARE (soprattutto nella malattia da HIV con <200 CD4/mm3) spesso si riattiva con una sintomatologia proteiforme di tipo neuropsichica (NEUROTOXOPLASMOSI).
7 INFEZIONE CONGENITA, per trasmissione diaplacentare in corso di infezione acuta della gravida. Il 60% delle donne in età fertile sono a rischio in quanto prive di anticorpi antitoxoplasma (evitare di mangiare ortaggi crudi o carne poco cotta; non tenere gatti a casa; effettuare controlli sierologici mensili).
L’infezione del prodotto del concepimento può essere priva di conseguenze oppure comportare, secondo l’epoca di gestazione, aborto, neonato con tetrade di Sabin (corioretinite bilaterale, idrocefalo o microcefalia, calcificazioni endocraniche, disturbi neurologici) completa o parziale (infezione tra il 2° e il 5° mese) o con poliviscerite.Talvolta il danno oculare o neurologico può evidenziarsi dopo mesi o anni.
Necessario un attento monitoraggio sierologico della gravida a rischio (IgM, IgG, eventualmente IgG Avidity anti- Toxoplasma); sierologico e strumentale del neonato con infezione sospetta.
Possibile per entrambi, seppur con incerti risultati, la terapia con cicli di spiramicina e sulfamidici.
È una malattia piuttosto seria, di difficile gestione a causa delle difficoltà diagnostiche, della necessità di una terapia lunga e spesso non ben tollerata e soprattutto per l’elevata incidenza di complicanze, ricadute e cronicizzazione, dovute alla tendenza da parte delle brucelle a “nascondersi” all’interno delle cellule istiocitarie del sistema reticolo-endoteliale a parziale riparo dall’azione degli antibiotici e della risposta immune.
Il mancato risanamento degli allevamenti ovicaprini e in minor misura bovini è la causa della perdurante diffusione di questa infezione in Sicilia, con una stima di 1500 casi umani/anno, con agente eziologico prevalente Br. melitensis (ovicaprini), seguita da Br. abortus (bovini).
In questi animali le brucelle si localizzano negli organi genitali (7 aborti) e nella mammella (7contaminazione di latte e formaggi). La trasmissione all’uomo avviene attraverso le piccole soluzioni di continuo della cute eventualmente presenti nelle mani di veterinari o pastori che assistono l’animale che partorisce, così come dei laboratoristi (contagio professionale) o molto più frequentemente con il latte fresco (la bollitura domestica non è sufficiente!) o con i formaggi a stagionatura <90 giorni (contagio extraprofessionale). L’unica modalità di contagio interumano possibile è quello verticale, durante la gravidanza o con l'allattamento.
Poiché la diffusione della brucellosi negli allevamenti bovini è minore rispetto a quelli ovicaprini, il CACIOCAVALLO FRESCO (prodotto con latte di mucca) è meno rischioso rispetto ai formaggi freschi di pecora, quali la TUMA, il PRIMOSALE ed il PECORINO FRESCO mentre il rischio correlato al consumo della RICOTTA (indipendentemente se di latte di pecora o mucca) è molto basso, a causa della temperatura raggiunta durante il processo di produzione, ed ascrivibile esclusivamente a contaminazione secondaria (p.es. della “fascella”).Non a rischio la MOZZARELLA, in quanto generalmente prodotta da aziende medio-grandi, ottemperanti le norme di legge.
In pratica si può considerare sicuro il formaggio la cui consistenza è tale da poter, anche se con difficoltà, essere grattugiato, in quanto i diversi mesi o perfino anni (grana, parmigiano) di stagionatura che tale qualità denota determinano un livello di disidratazione e di abbassamento del pH incompatibile con la sopravvivenza delle brucelle.
Praticamente assente il consumo di latte bovino fresco, Il trattamento termico subito rende ovviamente non a rischio sia il LATTE PASTORIZZATO (quello con scadenza di 15 giorni) che il LATTE UHT (scadenza di 3 mesi).Rischiosissimo il LATTE FRESCO DI CAPRA infetta, per l’elevatissima concentrazione di brucelle (7microepidemie familiari).
La CARNE DEGLI ANIMALI INFETTI può essere lecitamente commercializzata in quanto, ancor che consumata poco cotta, i processi di acidosi post-mortem (il consumo avviene infatti dopo almeno alcuni giorni dalla macellazione) creano infatti un habitat incompatibile per la sopravvivenza delle (poche) brucelle eventualmente presenti.
Dopo 2-4 settimane di incubazione la BRUCELLOSI ACUTA nella sua forma classica si presenta con febbre continuo-remittente, artralgie migranti, sudorazione profusa (nella mia esperienza quasi mai maleodorante) e splenomegalia con modesto aumento di consistenza, più evidente nei bambini. Tale sintomatologia regredisce dopo 5-10 giorni anche in assenza di terapia o, come più spesso accade, in seguito a terapia antibiotica empirica per ripresentarsi a distanza di settimane o di mesi (RICADUTE), mentre quadri clinici di infezione brucellare ad almeno sei mesi dai primi sintomi configurano la condizione di BRUCELLOSI CRONICA, con sintomi che molto spesso replicano quelli sofferti dallo stesso paziente in fase acuta, anche se la forma “storica” di brucellosi cronica è quella neurastenica: febbricola, artralgie, sindrome depressivo-ansiosa.
Deve essere sospettata in presenza di sintomi quali febbre continuo-remittente o serotina >5gg o di episodi febbrili ricorrenti con artralgie in paziente professionalmente esposto o con comportamento alimentare a rischio (formaggi freschi specie se acquistati al di fuori dei circuiti commerciale autorizzati). Per misdiagnosi dei primi episodi febbrili (spesso confusi con sindrome influenzale) spesso si giunge alla diagnosi già in fase cronica, quando anche un corretto approccio terapeutico non garantisce la clearance del microrganismo.
La routine ematochimica evidenzia leucociti normali o ridotti con linfocitosi relativa e talvolta ipertransaminasemia.
La conferma del sospetto clinico si basa su un test al Rosa-Bengala positivo (agglutinazione su vetrino con risposta in pochi minuti) o su una classica agglutinazione in provetta, cioè la siero- agglutinazione di Wright ≥ 1:80 (Figure 22 e 23). Questa seconda metodica ha il vantaggio di una risposta quantitativa, ma non raramente presenta falsi dovuti alla mancata attenzione al fenomeno di prozona. È prudente pertanto che la Wright venga eseguita in laboratori ospedalieri o in grossi laboratori privati.
La ricerca di anticorpi con ELISA, pur presentando vs le metodiche di agglutinazione il vantaggio della distinzione tra IgM ed IgG, non deve essere routinariamente impiegata in quanto gravata da frequenti falsi+. E’ utile invece laddove la positività alle metodiche di agglutinazione venga riscontrata in soggetti con ripetuta esposizione di tipo professionale in quanto è in grado di distinguere l’infezione in atto (7 IgM+) dall’infezione pregressa (7IgM- e IgG+).
Lo sviluppo in coltura della Brucella richiede 15-30 gg e in almeno la metà dei casi di brucellosi non si ottiene: per l’azione inibente esercitata da terapia antibiotica anche non mirata, per l’imperizia del laboratorista a processare per così lungo tempo la coltura o semplicemente perché lo stesso non è stato informato del dubbio diagnostico ed ha eliminato la coltura dopo una settimana di mancata crescita (solo brucelle e micobatteri crescono infatti dopo tale periodo).
È opportuno che chi è solito mangiare gli stessi cibi del caso indice, anche se asintomatico, si sottoponga al TRB o alla SW per poter individuare l’infezione brucellare in fase presintomatica (7trattamento).
Quasi tutti gli antibiotici di comune impiego inibiscono in maggiore o minore misura le brucelle così che il breve ciclo di terapia empirica che il medico di famiglia spesso instaura in assenza di diagnosi determina in pochi giorni la remissione dei sintomi, in quanto cessa la batteriemia, ma un certo numero di brucelle sopravvive nel reticolo-endotelio per tornare in circolo dopo settimane o mesi di benessere.
La terapia standard (in assenza di localizzazioni d’organo o comunque con transaminasi <200 UI, valore al di sopra del quale non può essere utilizzata la rifampicina) si avvale dell’associazione di due molecole ad alto gradiente di concentrazione intracellulare:
|
A: mg.450 x 2 |
B: mg.10/kg x 2 |
|
A: mg.100 x 2 |
B: mg.2,5/kg x 2 |
per 3 settimane nei bambini (a rischio più basso di complicanze e cronicizzazione), mentre negli adulti è prudente proseguire per ulteriori 3 settimane con ambedue i farmaci per os.
Le ricadute si verificano quasi sempre nei primi sei mesi e comunque non oltre i due anni dalla fine della terapia, periodo durante il quale il pz deve essere seguito con controlli clinici ed ematosierologici a cadenza trimestrale.
Le Leishmaniosi sono un insieme di patologie provocate dalle Leishmanie, protozoi dimorfi con uno stadio aflagellato (amastigote) negli ospite vertebrati ed uno flagellato (promastigote) negli insetti vettori e nei terreni di coltura. Nel Vecchio Mondo la trasmissione avviene attraverso la puntura dei flebotomi, insetti alati più piccoli delle zanzare e che, a differenza di queste, hanno un volo silenzioso e molto breve (quasi dei salti), quindi privo di manovre di avvicinamento, con puntura immediatamente dolorosa (quella della zanzara si avverte soltanto se e quando si forma il pomfo). Il serbatoio può essere animale o umano. In Italia è costituito essenzialmente dal cane.
Nel mondo le leishmaniosi sono presenti in 5 grandi aree: bacino del Mediterraneo, America Centromeridionale, Sub-continente indiano, Africa Orientale sub-sahariana, Cina, con forme cliniche che possono distinguersi in:
Delle numerose (e di tassonomia ancora incerta) specie di leishmanie, in Italia è presente la sola L. infantum, con ceppi dermotropi (a bassa invasività in quanto sensibili al killing dei macrofagi della cute) responsabili della forma cutanea chiamata Bottone d’Oriente (BO) e ceppi viscerotropi più invasivi, soprattutto in pz con una prevalente risposta di tipo Th2, responsabili della forma viscerale chiamata Leishmaniosi Viscerale del Mediterraneo (LVM).
Il nome di L. infantum deriva dal fatto che, quando venne isolata, la LVM colpiva prevalentemente soggetti in età pre-scolare. Attualmente invece è molto meno diffusa rispetto agli anni ’50, ma interessa soggetti di tutte le fasce di età (paradosso epidemiologico).
Storicamente presente nelle regioni italiane meridionali ed insulari (40-50 casi l’anno in Sicilia), nell’ultimo decennio casi autoctoni sono stati segnalati nel Nord-Italia, parallelamente a quanto osservato in altre regioni europee in passato indenni (mutazioni climatiche7 flebotomismo + immigrazione di cani infetti ?).
La trasmissione sia della LVM che del BO si ha nei mesi caldi (7 proliferazione dei flebotomi)ma il periodo di incubazione molto lungo e variabile (da 10 settimane a 10 mesi) permette di osservare nuovi casi tutto l’anno.
La sintomatologia della LVM è caratterizzata da febbre del tutto irregolare con episodi inizialmente di alcuni giorni separati da settimane di apiressia, quindi sempre più ravvicinati fino ad una febbre quotidiana di tipo intermittente. A questo punto è riscontrabile anche una cospicuasplenomegalia con consistenza fibrosa dell’organo e pallore. Lento ma progressivo il miglioramento, che inizia già dopo alcuni giorni di terapia.
In regioni endemiche come la Sicilia non è infrequente la COINFEZIONE LEISHMANIA-HIV (se CD4 <200/mm3), quale espressione per lo più di slatentizzazione di infezioni remote da ceppi viscerotropi ma anche dermotropi o perfino saprofiti di L.infantum. ll sospetto clinico non è agevole in quanto i sintomi della LVM possono essere attribuiti all’infezione da HIV, ad altri patogeni opportunisti o ad effetti indesiderati degli antiretrovirali.
Presso che invariabilmente letale nel suo decorso naturale, la prognosi della LV è stata stravolta nel 1915 dalla scuola pediatrica palermitana (Di Cristina e Caronia) con la terapia con Sali di antimonio. Da oltre un decennio il Glucantim (n-metilglucamina, sale pentavalente di antimonio) è stato sostituito dalla meno tossica Anfotericina B liposomiale, alla dose di 3 mg/kg/die ev ai gg.1-
2-3-4-5-10. Negli immunodepressi 10 gg consecutivi e quindi dose di mantenimento mensile fino ad immunoricostituzione (CD4 > 200/mm3).
Si presenta nella sua espressione tipica come una lesione unica, più raramente duplice, generalmente sulle parti scoperte del corpo, costituita inizialmente da una papula rossastra ricoperta da fini squame biancastre, simile al comune granuloma da puntura di insetto (stadio papulo-squamoso). Dopo qualche settimana si forma un’ulcera sormontata da una crosta, al distacco della quale non segue la cicatrizzazione (stadio ulcero-crostoso). La lesione (a carattere granulomatoso, sul sito della puntura del flebotomo) è indolente, circondata da piccolo cercine eritematoso, talvolta con piccole lesioni satellite (diffusione per via linfatica delle leishmanie). Il decorso naturale prevede dopo circa un anno il riassorbimento della lesione (stadio cicatriziale) con esiti più o meno vistosi.
Possibili forme atipiche sotto forma di bottoni multipli (più punture infettanti), bottone con ampia flogosi circostante, lesione piana (zone con scarso sottocute), lesione impetiginizzata (sovra infezione piogenica), forma lupoide (chiazza estesa di tipo essudativo-crostosa).
Si basa sull’ osservazione del parassitain forma aflagellata negli strisci del materiale scarificato alla periferia della lesione (non al centro!) o nelle sezioni bioptiche (colorazione di Giemsa).
Diverse terapie (agenti fisici, antimicotici, altri antiprotozoari…) sono state proposte con l’obiettivo di accelerare i tempi di guarigione spontanea e di evitare cicatrici deturpanti. La nostra scuola ha sempre utilizzato con ottimi risultati l’antimoniato di n-metilglucamina (Glucantim) per via perilesionale: con siringa da insulina piccole quantità del farmaco vengono inettate a livello sottocutaneo superficiale attorno alla lesione.
L’operazione deve essere eseguita da mani esperte: la quantità di antimonio da iniettare non è infatti standardizzabile, ma varia in base alle capacità di assorbimento del tessuto. Se si inietta poco farmaco viene meno l’effetto terapeutico; ma se al contrario se ne inietta troppo si rischia di comprimere i capillari tissutali incrementando su base ischemica la componente necrotica del bottone.In genere sono sufficienti una decina di sedute con cadenza settimanale. Opportuno l’utilizzo anche di una polvere antimicrobica per ridurre il rischio di sovrainfezione da piogeni.
La prevenzione della Leishmaniosi nelle sue diverse forme, oltre che sui repellenti cutanei, si basa sulla lotta al vettore, piuttosto complicata in quanto il flebotomo non depone le uova nelle acque stagnanti come le zanzare, ma un po’ovunque. In sperimentazione vaccini ad uso canino.
Gli agenti eziologici della malaria sono protozoi del genere Plasmodium trasmessi da uomo ad uomo (non esistono ospiti animali) con la puntura di zanzare Anopheles. Perché la zanzara possa infettarsi deve pungere un paziente malarico con microgametociti di plasmodio nel sangue periferico e quindi trovare le condizioni di calore ed umidità favorevoli al compimento del ciclo sporogonico con la formazione dopo 15-30 degli sporozoiti che, inoculati con la puntura dell’insetto, possono provocare l’infezione umana (cicli schizogonico ed esoeritrocitario→ Figura 24) .
La malaria è ampiamente diffusa in Africa sub-sahariana, America centromeridionale, sub- continente indiano, Sud-est asiatico e in alcune regioni del Medio Oriente (oltre 200 milioni di casi con quasi 700 mila morti/anno), mentre per le altre aree, inclusa l’Italia, si configura essenzialmente come PATOLOGIA INFETTIVA DI IMPORTAZIONE, cioè una malattia infettiva che viene contratta all’estero ma presenta i primi sintomi dopo il ritorno sul territorio nazionale. Tuttavia casi isolati (Grosseto, 1997) o focolai limitati di malaria a trasmissione locale (Grecia, 1911) si possono verificare in aree in cui siano presenti condizioni favorevoli quali clima caldo, anofelismo e pazienti con malaria di importazione oppure per “importazione” di zanzare infette con aerei (malaria aeroportuale), navi o perfino bagagli.
Possibili anche le trasmissioni verticale e trasfusionale (7 astensione dalla donazione di sangue per 6 mesi dal ritorno da regione malarica).
In Italia dei 700-800 casi/anno di malaria di importazione (alcuni dei quali mortali), circa 1/3 riguardano turisti o lavoratori, i 2/3 immigrati che, dopo aver ininterrottamente soggiornato in Europa per qualche anno (perdendo così l’immunità), avevano per periodi anche brevi soggiornato nei paesi di origine.
Il soggetto che vive infatti in regioni malariche, nel volgere di alcuni anni (durante i quali ha avuto diversi episodi di febbre malarica da specie/sottotipi diversi) consegue nei confronti di ulteriori reinfezioni un notevole grado di resistenza, che deve essere tuttavia mantenuto dai continui booster naturali (immunità da premunizione).
Agenti eziologici della malaria sono protozoi appartenenti al genere Plasmodium:
Il periodo di incubazione (corrispondente alla moltiplicazione dei plasmodi nel fegato) è nella gran parte dei casi di 1-2 settimane per P. falciparum, 2-3 settimane per P. vivax e P. ovale, 3-6 settimane per P. malariae. In alcuni casi tuttavia in pazienti che hanno effettuato chemioprofilassi o per il risveglio degli ipnozoiti, la febbre può esordire molto più tardivamente, entro 3 mesi per Pl.falciparum, entro un anno per gli altri plasmodi.
-+ La sintomatologia di esordio è caratterizzata da febbre medio-elevata continuo remittente o intermittente, cefalea e artralgie, un quadro clinico quindi che induce molti medici a porre inizialmente diagnosi di influenza, con conseguenze che possono essere nefaste nei casi da Pl.falciparum ad evoluzione perniciosa. D’altra parte anche i valori degli esami ematochimici routinari sono compatibili con una virosi impegnativa: modiche piastrinopenia, leucopenia e ipertransaminasemia (l’anemia compare più tardivamente) e spesso è anche in corso una epidemia influenzale, in quanto i casi di malaria sono più numerosi nei mesi freddi, che coincidono con un più elevato rischio di trasmissione nel sud del mondo (estate boreale).
-+ Soltanto dopo 7-15 giorni, in assenza di terapia, in seguito alla sincronizzazione della lisi eritrocitaria, la febbre diventa periodica con accessi febbrili della durata di qualche ora con punte anche di 41°C, ogni 48h nelle forme da Pl.vivax e Pl.ovale (malaria terzana benigna), ogni 72h nella forma da Pl.malariae (malaria quartana), mentre l’iperpiressia non acquista quasi mai carattere periodico nella forma da Pl.falciparum, che prende il nome di malaria terzana maligna in quanto mediamente più grave delle altre forme. Spesso modesta splenomegalia.
Il decorso spontaneo si caratterizza per accessi periodici che si ripetono per 2-4 settimane, accompagnati da anemia ed epatosplenomegalia. Tali cicli di accessi, intervallati da settimane o mesi di benessere, si ripetono per un massimo di 3 mesi per le infezioni da Pl.falciparum (che non presenta protozoi dormienti) o anche per diversi anni per le infezioni da altri plasmodi, in occasione del risveglio di ipnozoiti epatici (Pl.vivax ed ovale) o ematici (Pl.malariae). Con il ripetersi degli accessi la febbre è sempre meno evidente, anche se anemia, epatosplenomegalia e compromissione delle condizioni generali possono, particolarmente nei bambini, divenire piuttosto pronunciate.
-+ La malaria perniciosa è una forma particolarmente grave di terzana maligna ed è responsabile di quasi tutti i casi letali di malaria. Per ovvi motivi di background immunitario, il rischio nei residenti in regioni malariche è limitato alla fascia 6 mesi-6 anni mentre per chi proviene da aree indenni è esteso a tutte le fasce di età, con decorso tendenzialmente ancor più severo nelle gravide e nei bambini, ai quali deve essere caldamente raccomandato di non recarsi in zone malariche, considerata anche l’aleatorietà della protezione conferita dalla profilassi.
La sintomatologia è caratterizzata da febbre elevata, convulsioni e stato soporoso, distress respiratorio, segni di insufficienza epatica e renale.
La gravità della malaria perniciosa consegue fondamentalmente ad una parassitemia molto elevata (fino al 50% dei GR parassitati contro lo 0,1-5% nelle altre forme) con intensa moltiplicazione a livello viscerale con compromissione multifattoriale degli organi (alterazioni del microcircolo da impilamento di GR, produzione di citochine, ipoglicemia, etc..→ Figura 25) Ad esito infausto nei non o tardivamente trattati, la letalità è significativa anche nei correttamente trattati, così come possibili sono sequele neuropsichiche.
Una diagnosi precoce di malaria può salvare una vita. I casi letali sono infatti attribuibili a diagnosi tardive di forme perniciose con danni d’organo ormai irreversibili.
La malaria deve essere sospettata in presenza di febbre (anche senza accessi periodici) in un soggetto che ha soggiornato in aree endemiche negli ultimi dodici mesi.
Pur essendo i plasmodi dei parassiti eritrocitari, l’esame emocromocitometrico, affidato come è ormai la regola ad un lettore computerizzato, non consente di porre diagnosi di malaria.
È invece necessario ricorrere allo striscio sottile e alla goccia spessa da sangue periferico, da eseguire preferibilmente durante i periodi febbrili.
7Lo striscio sottile consente la diagnosi di malaria ma anche di identificare la specie responsabile, le forme plasmodiali in circolo e la carica parassitaria (Figure 26- 27- 28).
7La goccia spessa permette di porre diagnosi generica di malaria anche in presenza di bassa parassitemia ma non fornisce ulteriori elementi.
7Negli ultimi anni si è diffuso l’impiego di test rapidi immunocromatografici su sangue per la ricerca di antigeni plasmodiali (genere o anche specie specifici, secondo i kit), utilizzati per emergenze (per es. sbarco di migranti febbrili) ma talvolta utili in presenza di dati emoscopici che, in funzione anche dell’inesperienza dei laboratoristi, risultino di incerta interpretazione.
Si avvale di misure che riducono il rischio di trasmissione non che della somministrazione di farmaci atti ad impedire il passaggio dall’infezione alla malattia.
Premessa all’eventuale scelta dei presidi idonei alla profilassi nel viaggiatore internazionale, è la conoscenza del rischio effettivo di contrarre l’infezione e le caratteristiche dei plasmodi prevalenti nell’area che ci si accinge a visitare. Una opportuna rivisitazione della vecchia suddivisione delle regioni malariche in tre zone può essere ancora utile ad un pratico approccio, non soltanto alla profilassi, ma anche alla terapia (Figura 29):
7PROFILASSI ANTIVETTORIALE – Da consigliare in ogni caso (anche nelle ore diurne per estendere la protezione anche nei confronti di zanzare Aedes).
All’esterno vestire con indumenti di colore chiaro, applicando ogni 3h sulle parti scoperte repellenti cutanei (dietiltoluamide o altri). All’interno zanzariere ad imposte e letto, insetticidi (piretroidi o altri), se possibile aria condizionata.
7 CHEMIOPROFILASSI – Non conferisce protezione assoluta (talvolta prolunga soltanto il periodo di incubazione), può conferire un senso di sicurezza che porta a trascurare la profilassi antivettoriale, comportare effetti indesiderati significativi, favorire la chemioresistenza plasmodiale. Pertanto è da evitare non soltanto quando i luoghi da visitare e le caratteristiche del soggiorno comportano un rischio di infezione modesto ma anche in caso di soggiorni in regioni malariche troppo lunghi o comunque frequenti (tossicità da accumulo) o al contrario se la permanenza non supera i 7 giorni. In questo caso infatti la malaria, infezione generalmente facilmente curabile se diagnosticata precocemente, esordirebbe eventualmente dopo il ritorno.
Nei casi per i quali si ravvisi indicazione alla profilassi farmacologica, schemi di prima scelta sono:
La scelta degli antiprotozoari è in funzione del farmaco eventualmente utilizzato (senza successo) in profilassi, del Plasmodio responsabile e per Pl.falciparum anche dalla Zona nella quale è stata contratta l’infezione non che, nella gran parte dei casi di malaria perniciosa, dell’impossibilità di ricorrere alla terapia orale. In quest’ultima forma di malaria la sopravvivenza dipende anche dal mantenimento delle funzioni vitali e dell’equilibrio metabolico, dalla “copertura” antibiotica che riduce il rischio di sovra infezioni polmonari e dall’eventuale necessità di rimuovere dal circolo con la plasmaferesi citochine e altre sostanze tossiche (Tabella 2).
A 48h dall’inizio della terapia sfebbramento e azzeramento o almeno riduzione nella misura del 75% dei trofozoiti rilevabili allo striscio sono espressione dell’efficacia della terapia che sarà ulteriormente validata dall’assenza di trofozoiti ad una ed a 4 settimane dalla fine della stessa. È importante ricordare come l’eventuale presenza di gametociti non sia espressione di inefficacia, bensì di (transitoria) infettività del paziente per le zanzare anofeline, presso che assenti in Italia.
|
MALARIA DA PL.VIVAX,OVALE,MALARIAE,KNOWLESI – DA PL.FALCIPARUM contratta in ZONA A |
|
CLOROCHINA x os A: mg.600 + 300 a 6h + 300 a 24h + 300 a 48h – B: mg.10/kg + 5 + 5 + 5
MALARIA DA PL.FALCIPARUM contratta in ZONA B o ZONA C
MALARIA PERNICIOSA |
Costituisce, ancor più della TBC (con la quale è spesso associata) un vero flagello per il Terzo Mondo e specie per l’Africa Nera, che ospita 24 dei 34.000.000 di sieropositivi e 1,7 dei 2.700.000 di nuovi casi stimati nel mondo nel 2010. Nei paesi sviluppati tale patologia, della quale l’AIDS è soltanto lo stadio finale, ha negli ultimi 25 anni modificato profondamente caratteristiche epidemiologiche, approccio terapeutico e prognosi trasformandosi in patologia a decorso cronico che nei pazienti a buona compliance consente, seppure a costi che il welfare ha sempre maggiori difficoltà a sostenere, una aspettativa di vita paragonabile a quella del diabetico insulino- dipendente.
Agente eziologico è un retrovirus, provvisto di una trascrittasi inversa in grado di sintetizzare un DNA complementare all’RNA virale che si integra nel nucleo delle cellule bersaglio, costituite essenzialmente dai linfociti T helper CD4+ e in minor misura da altre cellule con lo stesso recettore. Dei due sierotipi, HIV-1 e HIV-2, il secondo ha diffusione limitata all’Africa sub-sahariana Occidentale, minore trasmissibilità e virulenza.
Nella lunga storia naturale dell’infezione si osserva:
Quale conseguenza (essenzialmente) della deplezione dei LTh si sviluppa il deficit della risposta immune, per molto tempo limitata alla cellulomediata. L’immunità anticorpo mediata invece mostra per molti anni segni di iperreattività (7 ipergammaglobulinemia policlonale), diventando inefficiente soltanto in fase terminale.
L’HIV è presente, oltre che nel sangue (e quindi in tutti i fluidi corporei contenenti sangue) anche nelle secrezioni sessuali (vaginali e spermatiche). La trasmissione può quindi essere per via sessuale o per via parenterale. Quest’ultima può aver luogo mediante:
rischio insito in questo rituale insieme alla riduzione del consumo di droghe x ev ha determinato un vero e proprio crollo nella diffusione dell’HIV tra i tossicodipendenti.
Il rischio del RAPPORTO SESSUALE NON PROTETTO in una coppia discordante è più elevato se:
<20/mm3).
Non è invece a rischio il bacio, a meno che il partner HIV+ non abbia sanguinamenti in sede orofaringea.
I casi notificati di AIDS conclamato sono circa 1.000/anno (vs il picco di 5700 del 1995), dei quali il 40% immigrati, con persistente prevalenza maschile ed età media di 40 anni vs i 25 dell’inizio dell’epidemia.
A causa della lunga sopravvivenza sono invece in aumento i sieropositivi (per i quali non vi è obbligo di notifica), stimati in 180.000 (0,3%). Da almeno un decennio si assiste a un notevole aumento (oggi sono circa 1/2) dei late-presenter cioè di pazienti che apprendono di essere HIV+ quando sono già in stadio AIDS, spesso con poche decine di CD4 e gravi patologie da opportunisti (prevalenza di varianti veloci dell’HIV? Minore consapevolezza dei comportamenti a rischio?).
Per quanto riguarda i gruppi a rischio, per i motivi sopra accennati si è notato rispetto al passato un sostanziale azzeramento dei casi tra politrasfusi e nati da madre HIV+ non che una netta riduzione tra i tossicodipendenti. È pertanto egemone la modalità sessuale di trasmissione, con una strana dicotomia tra i dati ufficiali (nazionali ma anche siciliani) che rilevano una netta prevalenza tra gli eterosessuali e quelli del nostro centro, il più frequentato della Sicilia, ove quasi tutti i nuovi HIV+ sono omosessuali o bisessuali dichiarati.
Al di là dell’incertezza sulle percentuali, se consideriamo che i men who have sex with men costituiscono pur sempre una netta minoranza della popolazione, risulta chiaro come il rischio relativo dell’omosessuale maschio sia molto più elevato rispetto all’eterosessuale. Questo d’altra parte si spiega con la più alta contagiosità del rapporto anale e anche (o soprattutto) per il mediamente molto più elevato numero di partner. D’altra parte la netta prevalenza percentuale che si osserva oggi nella modalità di acquisizione sessuale (omo+etero) dell’infezione è conseguenza del crollo del numero assoluto dei casi tra tossicodipendenti, politrasfusi e nati da madre HIV+. Quindi il rapporto sessuale non protetto con partner occasionale, pur sempre da evitare, non è oggi più rischioso del passato.
Nella storia naturale dell’infezione da HIV, dal contagio all’inizio dei primi sintomi (LATENZA CLINICA) trascorrono 5-15 anni, più tempo se si interviene in fase asintomatica con la terapia.
Tuttavia in una parte (25-50%) dei soggetti recentemente infettati e ancora in fase di latenza sierologica compaiono le manifestazioni cliniche dell’INFEZIONE ACUTA (attiva moltiplicazione virale in assenza di significativa risposta immune). Trattasi in genere di una sindrome simil- mononucleosica, autolimitantesi in 7-14 giorni, quasi sempre misdiagnosticata nel paziente non consapevole del recente comportamento a rischio.
Nel soggetto sessualmente attivo, la ricerca degli anticorpi anti-HIV deve quindi far parte del panel diagnostico delle sindromi similmononucleosiche che si possono osservare in fase precoce di infezione ma anche più tardivamente nello stadio pre-AIDS. Nel sospetto di infezione acuta (recente comportamento a rischio!) deve contestualmente essere cercata la p24, marker precoce la cui comparsa nel siero precede seppur di poco quella degli anticorpi.
Dopo il lungo periodo della latenza clinica, i sintomi dell’infezione cronica possono esordire nell’ambito di uno stadio che didatticamente preferisco ancora definire PRE-AIDS, con linfoadenomegalia diffusa e rialzi termici ricorrenti o persistenti (sindrome simil- mononucleosica), frequenti infezioni da germi comuni, talvolta con diarrea cronica e perdita di peso, dermatite seborroica o infezioni opportunistiche minori (p.es. herpes zoster o candidosi orale). Da questo stadio intermedio, espressione in genere di 200-500 CD4/mm3 e che può comunque mancare, dopo un periodo di tempo variabile si passa alla condizione un tempo definita di AIDS CONCLAMATO caratterizzata da:
· CD4/mm3 <200
Tra le infezioni da opportunisti maggiori, alcune si possono presentare anche con 200 CD4/mm3 (polmonite da Pneumocystis Jiroveci, enterite cronica da Criptosporidium, neurotoxoplasmosi), altre soltanto nell’HIV+ con poche decine di CD4/mm3 (infezioni disseminate da micobatteri atipici, esofagite o retinite (7 cecità) da CMV, encefalite criptococcica, leucoencefalopatia multifocale progressiva da Polyomavirus humanus 2, candidosi invasive).
La neoplasia HIV correlata di gran lunga più frequente è il sarcoma di Kaposi (“innescato” dall’HHV8), seguito dai
linfomi cerebrali primitivi e dai ca invasivi della cervice uterina.
L’AIDS dementia complex (disturbi cognitivi, comportamentali e motori ad evoluzione progressiva) è invece la più nota tra le patologie d’organo da azione diretta dell’HIV.
La diagnosi di INFEZIONE DA HIV si avvale in prima battuta della ricerca degli anticorpi (totali) anti HIV1 e HIV2 con metodica ELISA. In considerazione del periodo di latenza sierologica, la ricerca deve essere effettuata dopo almeno un mese dal comportamento a rischio e, in caso di negatività, ripetuta a 6 mesi.
La sensibilità del test in ELISA si avvicina al 100% ma la specificità è del 95%. Pertanto nei positivi si ricorre ad un test di conferma, con la ricerca con metodica Western-Blot degli anticorpi nei confronti di alcuni Ag virali (p24, gp41, gp120-160).
La condizione di sieropositività deve essere comunicata all’interessato (e soltanto all’interessato!)
solo dopo la conferma in Western-Blot.
Nel nato da madre HIV+ (comunque sieropositivo per l’acquisizione di anticorpi materni) si ricorre alla ricerca del DNA provirale con PCR.
Nel soggetto con contaminazione di cute lesa o mucose con sangue di HIV+, entro 24h dall’incidente, deve essere iniziata la terapia antiretrovirale salvo sospenderla ove risulti negativa la ricerca del DNA provirale effettuata ad un mese dalla contaminazione.
La determinazione della carica virale (rilevabile a partire da 20 copie/mm3), del valore assoluto dei
CD4 e dei CD8 e del loro rapporto deve essere effettuata ogni 3-6 mesi.
Sono attualmente disponibili circa 30 molecole, suddivise in famiglie che agiscono su punti diversi della replicazione dell’HIV: agli inibitori (nucleosidici e non nucleosidici) della trascrittasi inversa e a quelli delle proteasi, si sono negli ultimi anni aggiunti gli inibitori dell’ingresso e della fusione.
Frequentemente rimodulati sono stati i criteri per l’inizio della terapia: si tratta infatti di stabilire un punto di equilibrio tra l’esigenza di intervenire prima che il sistema immune subisca danni irreversibili e quella di non impiegare troppo precocemente farmaci dai pesanti effetti indesiderati (con ripercussioni negative sull’aderenza alla terapia di pazienti spesso ancora asintomatici), che col tempo selezionano mutanti virali resistenti e dal costo piuttosto elevato. D’altra parte è ormai orientamento condiviso che la terapia, una volta iniziata, debba essere proseguita per tutta la vita. Secondo le linee guida italiane del 2012 la terapia deve essere iniziata negli HIV+ con <500 CD4/mm3 (e consigliata anche al di sopra di tale valore in caso di partner sessuale HIV-), utilizzando quale schema base l’associazione di due inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa con un inibitore non nucleosidico o con un inibitore delle proteasi, scegliendo le molecole dopo aver effettuato il test genotipico di resistenza.
Obiettivi della terapia sono la non determinabilità della viremia entro sei mesi e un progressivo aumento dei CD4, che in molti pazienti raggiungono i valori normali di 700-1000/mm3. Una inversione dei trend nei controlli trimestrali può dipendere dall’insorgenza di resistenza oppure di non aderenza alla terapia, motivata dal rifiuto della malattia o dagli EFFETTI INDESIDERATI. Disturbi gastrointestinali o neuropsichici, frequenti nelle prime settimane, si attenuano o cessano del tutto con il prosieguo della terapia. Molto più preoccupante è la tossicità d’organo “da accumulo”, che tende ad accentuarsi nel tempo con compromissione epatica, renale, cardiovascolare, pancreatica, midollare, neurologica costringendo spesso a ripetute volture terapeutiche e che costituisce, insieme alle coinfezioni (cirrosi da HCV o HBV, TB,etc..) e alle patologie da opportunisti, una delle cause o delle concause dell’exitus del paziente AIDS.
La terapia antiretrovirale di lunga durata è inoltre molto spesso accompagnata da dislipidemia e in molti casi anche da una singolare lipodistrofia, con adipe sottocutaneo che si riduce notevolmente al volto e agli arti e aumenta alla radice del collo, all’addome e al seno, con effetti estetici in qualche caso devastanti (7 chirurgia plastica).
Il rapido ripristino dell’immunità cellulomediata può rendersi responsabile di quadri clinici di tipo infiammatorio talvolta piuttosto gravi, soprattutto in pazienti con infezione Tb, da CMV o da altri opportunisti, paradossalmente a decorso a/paucisintomatico prima dell’inizio della terapia antiretrovirale (SINDROME DA IMMUNORICOSTITUZIONE). Tale sindrome dimostra ancora una volta come le lesioni tissutali provocate da meccanismi effettori della risposta immune provochino spesso danni maggiori degli agenti microbici nei confronti dei quali vengono attivati.
Necessaria con <200 CD4/mm3 la chemioprofilassi della neurotoxoplasmosi e della pneumocistosi con cotrimoxazolo; con <50 anche quella delle infezioni da micobatteri atipici con claritromicina.
Bibliografia essenziale
Fonte: http://www.auletta99.net/uploads/D-Lezioni_di_Malattie_Infettive.pdf
Sito web da visitare: http://www.auletta99.net
Autore del testo: Francesco Scarlata con la collaborazione di Riccardo Carlino e Ignazio Cusmano
Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.
I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve