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La cute è un organo di confine e di relazione con l’ambiente esterno, senza il quale è impossibile la vita.
Le sue caratteristiche generali sono:
La cute origina da:
Lo sviluppo è cranio-caudale con comparsa di gettoni di accrescimento (linea di Blascko).
La cute è costituita da quattro strati:
Strato corneo
È costituito da corneociti (circa 15 strati), cellule con forma lamellare, anucleate (per picnosi nucleare), prive di organuli: rappresentano lo stadio finale di differenziazione dei cheratinociti, e sono costituiti da filamenti di cheratine insolubili, circondati da un involucro proteico (involucrina), che ha un legame covalente con i lipidi interlamellari presenti tra un corneocita e l’altro.
Lo strato corneo ha una struttura “a mattoni (corneociti) e cemento (lipidi interlamellari)”.
Epidermide
È costituita da epitelio pavimentoso stratificato cheratinizzante, costituito da quattro stipiti cellulari:
È formata da quattro strati (più lo strato corneo):
I melanociti sono di derivazione neuroectodermica e hanno forma dendritica (grazie ad essa possono entrare in contatto con molte cellule distanti tra loro); producono melanina, che viene accumulata nei melanosomi. I melanosomi vengono rilasciati e fagocitati dai cheratinociti negli strati basale e spinoso.
Le cellule di Langerhans sono elementi di origine midollare di forma dendritica, e rappresentano il 2% delle cellule dell’epidermide. Sono cellule mobili e in grado di presentare gli antigeni ai linfociti T (APC): catturano gli antigeni e migrano nella regione para-corticale (T-dipendente) dei linfonodi locoregionali.
Le cellule di Merkel sono di derivazione neuroectodermicca, hanno un ruolo nella sensibilità tattile e sono in contatto sinaptico con le fibre nervose.
Derma
È costituito da:
Ipoderma
È lo strato più profondo, posto tra il derma e i piani fasciali, ma non è presente ovunque.
È costituito da raccolte di adipociti separate da tralci connettivali (retinacula cutis).
FUNZIONI DELLA CUTE
Funzione di termoregolazione
La pelle ha un ruolo primario nel mantenere la temperatura corporea interna attorno al valore di 37 °C. La temperatura corporea dipende dall'equilibrio fra la produzione di calore, che avviene principalmente nel fegato e nei muscoli scheletrici, e la dispersione del calore stesso, che si verifica con la respirazione ma principalmente proprio attraverso la cute.
Il calore prodotto dall’organismo raggiunge la cute mediante:
Ci sono due tipi di regolazione della temperatura, involontaria e volontaria (comportamentale).
La cute disperde calore per:
In presenza di elevate temperature ambientali interviene principalmente la sudorazione. Le ghiandole sudoripare eccrine divengono funzionanti su tutta la superficie corporea quando la temperatura supera i 29 °C e Ia loro attività è massima a 45°C. L'efficienza della perdita di calore con questo meccanismo risente dell'umidità dell'aria e della ventilazione ed è pertanto più elevata nei climi caldi e secchi rispetto a quelli caldi e umidi. Un ruolo minore, ma non trascurabile in certe situazioni ambientali e in particolare nelle razze di colore, ha nel bilancio energetico dell'organismo anche il calore assunto dall'esterno che la cute è in grado di trattenere e di cedere ai tessuti profondi.
Funzione immunologica
La cute è un organo immunologicamente attivo, in grado di iniziare e mantenere le risposte infiammatorie e immunitarie verso sostanze potenzialmente nocive che provengono dall’esterno (allergeni, irritanti, microrganismi) o dall’interno (farmaci, tossine).
Numerosi stipiti cellulari (residenti o no, come linfociti e monociti) possono iniziare e regolare reazioni infiammatorie e immunitarie; le cellule che hanno un ruolo immunologico sono:
L’insieme di queste cellule costituisce il sistema immunitario cutaneo (SALT), che ha analogie con IL GALT (gastrico) e il BALT (polmone), ma non contiene linfociti B IgA-secernenti.
I cheratinociti hanno un ruolo immunologico e secernono un ampio numero di citochine (rilasciate soprattutto in seguito a danno dell’epidermide), modulando i fenomeni infiammatori e proliferativi della cute.
Le principali citochine sono:
Le sostanze chimiche e i fattori ambientali irritanti compromettono la funzione di barriera, favorendo la sintesi e la liberazione di citochine. L’amplificazione e la persistenza della flogosi cutanea intervengono in un secondo momento, con coinvolgimento delle APC e dei linfociti T.
Le cellule endoteliali hanno un ruolo importante perché esprimono molecole di adesione (ICAM-1, VCAM-1, E-selectina) importanti per l’adesione e la chemiotassi; inoltre producono fattori di crescita tissutale.
I linfociti, nella cute normale, sono pochi, prevalentemente T CD8+. Gli antigeni possono essere esogeni o endogeni: i linfociti T li riconoscono solo se sono presentati da APC, grazie all’interazione tra TCR e MHC.
Qualsiasi cellula della cute con MHC può funzionare da APC; le principali sono i macrofagi, le cellule di Langerhans, i linfociti B e le cellule dendritiche.
LESIONI ELEMENTARI DELLA CUTE
Un quadro clinico (le manifestazioni) di una malattia dermatologica è composto da lesioni elementari che possono avere un aspetto unico (monomorfe) o diverso (polimorfe) sin dall'esordio o durante l'evoluzione. Esse si dividono in primitive, secondarie e primitivo-secondarie. Le lesioni primitive sono Ia diretta espressione del processo patologico cutaneo: quelle secondarie rappresentano Ia fase evolutiva o l'esito delle prime; le lesioni primitivo-secondarie esprimono entrambe queste condizioni.
LESIONI ELEMENTARI PRIMITIVE
Macule
Sono modificazioni circoscritte del colorito cutaneo, visibili e non palpabili.
Papule
Sono lesioni elementari rilevate, causate da un aumentato spessore dell'epidermide (papula epidermica) o da un infiltrato dermico (papula dermica) o da entrambe le cause (papula dermo-epidermica). Di dimensioni inferiori al centimetro, di forma, colorito e numero variabile, le papule rappresentano Ie lesioni elementari di numerose malattie dermatologiche, come le verruche (papula epidermica), il lichen (papula dermo-epidermica), la sifilide secondaria papulosa (papula dermica) ecc. La consistenza è parenchimatosa. Possono assumere un aspetto digitato o verrucoso, estendersi alla periferia, con regressione centrale e aspetto ad anello
Le papule guariscono senza esiti nella maggior parte dei casi; durante la fase ìnvolutiva possono accompagnarsi a una desquamazione, o lasciare postumi pigmentari anche di lunga durata (lichen ruber planus).
Placche
Si tratta di lesioni cutanee rilevate, che occupano una superficie relativamente ampia rispetto alla loro altezza, a limiti ben definiti. Spesso derivano dalla confluenza di papule, come accade nella psoriasi.
Pomfi
Sono rilevatezze della cute di colorito bianco-porcellana o rosa o rosso, di forma e dimensioni variabili, spesso con prolungamenti periferici, chiamati pseudopodi, di consistenza duro-elastica, caratterizzate da estrema fugacità (da una decina di minuti a qualche ora). Sono causate dalla vasodilatazione capillare o da un edema del derma papillare e; medio. Sono le lesioni elementari dell’orticaria.
Noduli
Lesioni elementari circoscritte, in sede dermica o dermo-ipodermica, di consistenza duro-elastica, sono causate da un infiltrato infiammatorio o tumorale o metabolico. Hanno dimensioni nettamente maggiori di una papula, forma rotondeggiante o ovalare, consistenza e colore vario. Possono confluire a formare una placca. I noduli infiammatori hanno una evoluzione acuta o cronica, guariscono senza postumi o evolvono verso una sclerosi cjcatriziale.
Vescicole
Lesioni elementari caratterizzate dalla raccolta di liquido sieroso intraepidermico, hanno grandezza inferiore al mezzo centimetro, forma rotondeggiante, talora risultano ombelicale al centro o raggruppate in modo particolare (vescicole erpetiche). Possono evolvere verso l’erosione, con una essudazione e formazione di croste, oppure possono trasformarsi in pustole per la presenza di, leucociti polimorfonucleati in fase degenerativa, o riassorbirsi attraverso desquamazione.
Le vescicole sono causate da un essudato di provenienza dermica che induce una rottura dei desmosomi con formazione delle cosiddette vescicole spongiotiche, tipiche dell’eczema, oppure derivano da un danno diretto cellulare cheratinocitario, con un afflusso secondario di essudato, tipico delle infezioni erpetiche.
Bolle
Lesioni elementari caratterizzate dalla raccolta di liquido sieroso o siero-ematico, a sede lntraepidermica o dermoepidermica, hanno dimensioni superiori a quelle delle vescicole da 0,5 a 1 centimetro, Si definiscono flittene se di dimensioni maggiori. Le bolle intraepidermiche si formano per una particolare alterazione dei desmosomi causata da una flogosi immunitaria (acantolisi, come nel caso del pemfigo), oppure per un afflusso primitivo di essudato dal derma, come nella vescicola spongiotica, ma in quantità maggiore rispetto a quest’ultima (alcuni casi di dermatite allergica da contatto), oppure per un danno diretto cheratinocitario (alcuni casi di dermatite irritativa da contatto). La bolla dermoepidermica si può formare per alterazioni delle cellule basali, della lamina lucida e delle strutture subliminali, come nel caso di varie forme di epidermolisi bollose. Le bolle evolvono verso erosioni e croste; più raramente verso il riassorbimento con desquamazione.
Pustole
Sono lesioni elementari caratterizzate da raccolte circoscritte di essudato purulento intraepidermico, talora a livello dell’ostio follicolare o del follicolo pilo-sebaceo. Possono essere primitive o secondarie alla evoluzione delle vescicole, microbiche o amicrobiche. La loro rottura porta alla formazione di una crosta, sotto la quale è presente una esulcerazione o una erosione. La guarigione avviene senza esiti, talora con postumi iper- o ipopigmentari.
LESIONI ELEMENTARI SECONDARIE
Croste
Sono lesioni secondarie alla rottura di vescicole, bolle o pustole, e alla evoluzione di lesioni di continuo della cute (erosioni, escoriazioni, ulcere e ragadi). Si presentano di colore giallastro, bruno, o rosso-bruno, a seconda del tipo di essudato da cui derivano (siero, pus, sangue). Sono composte da un conglomerato di liquido organico e di detriti cellulari presenti sulla superficie cutanea.
Escoriazioni
Sono soluzioni di continuo dell’epidermide e degli strati più superficiali del derma, spesso lineari, di natura traumatica (spesso grattamento), che non lasciano esiti cicatriziali. Quando sono provocate da un processo patologico si parla di esulcerazione.
Erosioni
Sono successive alla rottura di lesioni vescicolari, pustolose o bollose, e interessano solamente l’epidermide, guarendo senza esiti.
Ragadi
Sono soluzioni di continuo a bordi netti che interessano l’epidermide, e a volte anche il derma. In quest’ultimo caso sono dolorose. Guariscono con cicatrici e si riscontrano nelle zone di piega (commessure labiali, pieghe anali, regioni palmoplantari, capezzoli).
Ulcere
Sono perdite di sostanza che interessano epidermide, derma e talvolta ipoderma, con scarsa tendenza alla cicatrizzazione (se è in fase di guarigione si chiama piaga). Sono successive a traumi, processi infiammatori o neoplasie, e lasciano cicatrici.
Cicatrici
Sono neoformazioni di collagene, inizialmente di colorito roseo, rilevate sul piano cutaneo, che tendono ad appiattirsi e a diventare biancastre e dure. Il cheloide è una lesione rilevata ovalare, con ramificazioni , a limiti netti, di consistenza dura e superficie liscia, spesso dolente e pruriginoso.
LESIONI ELEMENTARI PRIMITIVO-SECONDARIE
Squame
Sono agglomerati di lamelle cornee deposte sulla superficie cutanea, che variano per dimensioni, aderenza e colore. Possono essere primitive o rappresentare la fase evolutiva di lesioni primitive come papule e vescicole.
Sclerosi
Sono indurimenti circoscritti o diffusi del derma e talora del sottocutaneo, con aspetto della cute porcellanaceo, secco e alopecico. Sono causate dal deposito di collagene e dalla scomparsa degli annessi piliferi e riduzione di quelli sudorali. Possono essere apparentemente primitive, o successive a processi infiammatori.
Atrofie
Sono riduzioni di spessore della cute, circoscritte o diffuse.
SEMEIOLOGIA
Diascopia
Consiste nell’appoggiare con una modica pressione un vetrino porta-oggetti sulla cute, per controllare alcune caratteristiche delle lesioni come il colore e i bordi. Si rileva utile per distinguere i vari tipi di macule eritematose.
Luce di Wood (o luce nera)
È una luce ultravioletta, prodotta da lampade fluorescenti, che eccita la fluorescenza di alcuni tessuti parassitari da dermatofiti o da lieviti.
Dermografismo
Consiste nello strofinare con un oggetto smusso la cute per evidenziare la reazione vascolare. Il dermografismo rosso particolarmente intenso è presente nella sindrome orticarioide; quello bianco, da vasocostrizione paradossa, nella dermatite atopica.
Gli artropodi sono organismi invertebrati con esoscheletro duro e articolato; possono causare danni agli ospiti attraverso:
Scabbia
È causata dalla femmina di un acaro (sarcoptes scabiei), che scava cunicoli nello strato corneo e nello strato superficiale dell’epidermide per ospitare il maschio (che è più piccolo) e deporre le uova (e le feci) dopo la fecondazione (4 - 6 settimane). Dopo 3 - 4 giorni le uova si schiudono, le larve escono dal cunicolo e ne scavano altri a loro volta (più corti e stretti), nei quali si trasformano in ninfe e maturano fino a raggiungere la forma adulta.
La scabbia ha un’incidenza maggiore nelle zone belliche e povere, colpisce tutte le età, ma soprattutto bambini e giovani adulti, e si trasmette per contagio diretto, ma anche indiretto (più raro, tramite vestiti o lenzuola).
Il paziente lamenta prurito dove c’è l’acaro, che si localizza dove la cute è più tenera (addome, glutei, capezzoli, genitali) e non a livello di testa, mani e piedi (tranne nel caso dei bambini che hanno la cute tenera dappertutto); il prurito viene avvertito soprattutto di notte, quando la cute si riscalda di più e l’acaro scava.
La lesione patognomonica è il cunicolo, che appare lievemente rilevato, di color bruno chiaro, a decorso tortuoso, largo circa 1 mm e lungo 5-10 mm. Soprattutto all’inizio, i cunicoli possono essere poco evidenti (in particolare se il soggetto è propenso all’igiene personale), e la diagnosi può essere suggerita solo dal prurito particolare e dalla storia del paziente (vacanze in paesi come la Thailandia, militare, contatti famigliari,…); a volte, in seguito al grattamento, sono visibili le feci. Quando la scabbia è presente da molte settimane, fenomeni di ipersensibilità agli acari e ai loro prodotti portano alla formazione di papule e noduli pruriginosi (ben visibili sui genitali maschili). La diagnosi viene confermata dal ritrovamento dei cunicoli ed eventualmente dall’esame microscopico del parassita. Una diagnosi corretta è importante per evitare il propagarsi di epidemie.
La terapia consiste nell’applicazione di benzil-benzoato in emulsione al 33% per almeno 24 ore, che va ripetuta dopo 48 ore e dopo una settimana. Può essere causa di dermatite da contatto in quanto è un forte irritante.
Una forma particolare è la scabbia norvegese, che invade tutto il corpo ed è caratterizzata dalla presenza di migliaia di femmine contemporaneamente (normalmente sono una decina), che si ha soprattutto negli immunodepressi e in soggetti con neuropatie sensitive che non avvertono il prurito (il grattamento distrugge la maggior parte dei cunicoli).
L’uomo può essere colpito anche dalla scabbia animale, in quanto alcuni acari non hanno una specificità assoluta per l’ospite; in questo caso l’infezione si autorisolve sempre e mancano i cunicoli.
pediculosi
Le pediculosi sono causate da pidocchi: sono insetti ematofagi visibili ad occhio nudo. L’uomo può essere parassitato da due specie.
Pediculus humanus
Esistono due varianti, capitis e corporis. La seconda variante parassita i vestiti e nelle nostre zone si trova solo in persone dedite al vagabondaggio che si cambiano molto raramente; può essere vettore del tifo esantematico. Per eliminarlo basta lavare i vestiti con acqua calda.
La variante capitis colonizza il cuoio capelluto, colpisce soprattutto i bambini all’inizio della scuola, e non sopravvive al di fuori dell’ospite. Non c’è relazione con l’igiene; anzi, il pidocchio preferisce i capelli puliti! La femmina depone le uova (lendini) cementandole alle radici dei capelli: nel corso della sua vita (40 giorni) ne può deporre fino a 300, che si schiudono dopo 8 giorni.
Il sintomo caratteristico è il prurito a livello del cuoio capelluto che si può estendere al collo; ci può essere un’infezione piogenica secondaria al grattamento.
La terapia consiste nell’applicazione di un insetticida (malathion, permetrina), che va lasciato in sede per 15 minuti. Il trattamento si ripete dopo otto giorni.
Phtirus pubis
Il pidocchio del pube, o piattola, è più corto e tozzo del P. humanus, e aderisce ai peli del pube e, negli uomini pelosi, dell’addome e delle ascelle, e sulle ciglia (soprattutto nei bambini). Non colonizza barba e capelli.
Anche in questo caso il sintomo caratteristico è il prurito, soprattutto alla sera o di notte, e la terapia consiste nell’applicazione di permetrina. Raramente possono comparire macchie bluastre sull’addome o sul tronco, probabilmente a causa dell’azione del secreto salivare del parassita sul sangue.
MALATTIE DA MICETI
Le infezioni da parte dei funghi possono colpire la cute glabra, gli annessi, le mucose e, a volte, anche i visceri. Possono essere divisi in:
La terapia può essere topica o generale. Quest'ultima è d'obbligo nelle forme profonde e sistemiche e nelle dermatofitosi dei peli e delle unghie, preferibile nelle dermatofitosi in genere e opzionale in quelle da lieviti.
DERMATOFITI
Secondo l’ambiente in cui vivono si distinguono specie geofile, antropofile e zoofile (animali da allevamento o domestici, soprattutto il gatto, che viene colpito da microsporum canis ed è in genere asintomatico). La trasmissione può avvenire per via interumana, da animale ad uomo e dal terreno all’uomo.
Dermatofitosi della cute glabra
Sulla cute glabra tendono a estendersi a cerchio, formando una chiazza piana, eritematosa (per infiammazione) e desquamativa (per la disgregazione della cheratina); sugli arti e sul tronco hanno un margine ben delineato, perfettamente circolare. I dermatofiti si insediano dove la cute è più umida (come gli spazi interdigitali); in particolare, tinea pedis e cruris sono frequenti nel mondo occidentale per l’eccesso di lavaggio.
L’immunosoppressione parziale, indotta da corticosteroidi topici somministrati per errore, può, specialmente al volto, mascherare a lungo una tinea (tinea incognita), attenuandone la componente infiammatoria e specialmente quella vescicolosa. È resistente al cortisone e in genere molto estesa.
Si distinguono a seconda della localizzazione.
Tutti i dermatofiti possono causarla: il contagio è interumano, o più spesso, per contatto con animali infetti (soprattutto gatti randagi). La lesione tipica è una chiazza piana, rotondeggiante, eritematosa e desquamativa, pruriginosa, con risoluzione centrale e margini netti vescicolosi. La chiazza tende ad aumentare di diametro e a confluire con quelle vicine.
È contagiosa (contagio è interumano), ed è forse la forma più comune (quasi esclusiva dei maschi). Può dare luogo a vere epidemie, specialmente fra gli atleti. La chiazza è analoga a quella di tinea corporis, e la zona elettiva è l’inguine sinistro e la zona vicino alla coscia (si estende poi all’altro inguine e progressivamente verso i glutei). Lo scroto è sempre risparmiato.
È la forma più comune, ma rara prima della pubertà. È anch’essa molto diffusa tra gli atleti (piede d’atleta), nei soggetti che usano scarpe di gomma e in quelli con iperidrosi plantare. Spesso sono colpiti solo una mano (più raro) o un piede, a livello degli spazi intertriginosi (penultimo e ultimo), causando macerazione del tessuto; ai piedi si ha spesso la sovrapposizione di batteri Gram-negativi, che dà un quadro più infiammatorio e più grave, spesso maleodorante. Il dorso non è mai colpito.
Dermatofitizie degli annessi
È causata da microsporum canis e colpisce i bambini prepuberi, mai gli adulti (perché i loro capelli hanno sebo; dato che gli anziani ne hanno meno possono a volte essere colpiti), e guarisce spontaneamente alla pubertà. Il contagio è interumano o attraverso animali infetti (soprattutto gatti randagi). Si manifesta con una (o più, se è data da Trichophyton) chiazza di alopecia di discrete dimensioni al cuoio capelluto: la superficie è lievemente desquamante e i segni infiammatori sono scarsi.
La diagnosi si fa attraverso l’esame diretto o microscopico (ife o spore) o la coltura di un prelievo delle squame (richiede 10-15 giorni). È utile ai fini epidemiologici, ma non pratici.
Esistono numerosi farmaci: il più usato la griseofulvina (500 mg/die, antibiotico che rende indigeste le cheratine, ma ha una certa epatotossicità ed è fotosensibile: occorre attenzione d’estate) e gli imidazoli (hanno azione sia fungistatica che fungicida, ma sono frequenti le reazioni allergiche).
Colpisce le unghie del piede, soprattutto l’alluce: l’unghia è ispessita, cambia colore e non è compatta (onicomicosi). L’onicomicosi può aggiungersi a un’onicodistrofia preesistente (unghia non compatta, malformata, opaca, non per un fungo, ma, ad esempio, per problemi di circolazione o invecchiamento), che persiste anche dopo aver curato l’onicomicosi.
Sono necessari sei mesi di trattamento antimicotico, con terapie sia locali che sistemiche.
LIEVITI
Pityriasis versicolor
Malassezia furfur è un saprofita lipofilo della cute normale; è molto comune nei climi caldo-umidi (è chiamato fungo di mare), non ha preferenze di sesso e di gruppo etnico, ma colpisce elettivamente dopo la pubertà.
È probabile che la popolazione cutanea del fungo, che in normali condizioni è ridotta e si trova all’interno dei follicoli, aumenti di numero per effetto di vari fattori tra i quali l'idratazione e l'aumento della temperatura cutanea, esca e colonizzi la cute.
L'esposizione ai raggi solari distrugge il fungo, che, dotato di endotossine melanocitotossiche, ha nel frattempo inibito la sintesi di melanina. L’abbronzatura, di conseguenza, non interessa la chiazza che appare più chiara della cute circostante. Il sole quindi guarisce da questa affezione: per ripigmentare le macchie occorre prenderlo ancora successivamente.
Si distinguono quattro forme.
Malassezia furfur non è un fungo infettivo né contagioso: per la terapia si può utilizzare imidazolo (uso locale). Guarisce bene, ma può ripresentarsi ricorrentemente.
Candidosi superficiali
Candida albicans è un saprofita del canale gastroenterico. La sua permanenza sulla cute e nelle mucose é effimera, a meno che particolari condizioni di idratazione del corneo o di ricchezza di glucosio nel sebo e nel sudore non ne facilitino la sopravvivenza. Produce tossine ematogene, che danno un eritema rosso laccato.
Applicata su cute eccessivamente idratata, C. albicans vi prolifera, producendo un'endotossina, capace entro 24 ore di produrre una dermatite eritemato-pustolosa con pustole subcornee sterili. Entro 24 ore, la zona viene a sua volta colonizzata da batteri Gram-negativi che soppiantano C. albicans e perpetuano la dermatite.
Tutte le età sono colpite, ma i bambini e i vecchi sono più suscettibili, fenomeno che probabilmente riflette l'immaturità o Ia senescenza della risposta immune.
C. albicans dà luogo in soggetti immunocompetenti, ma obesi e spesso diabetici, a intertrigine, un'affezione pruriginosa delle pieghe che appaiono interessate nella parte centrale da macerazione e ragadi, in quella immediatamente periferica da eritema e desquamazione e in un'altra più esterna da piccole pustole sparse.
Le pieghe che possono essere interessate sono l'angolo della bocca (più frequente nell’anziano), le pieghe interdigitali (soprattutto nel terzo spazio, tipico di lavandaie e panettieri), le pieghe ungueali, le pieghe ascellari, e, nel lattante, Ie convessità glutee (dermatite da pannolino).
La vaginite da C. albicans è un reperto comune nelle donne gravide e in quelle in terapia estro-progestinica. Il sintomo principale è il prurito, accompagnato da una secrezione bianca "a ricotta". Non si tratta necessariamente di una malattia a trasmissione sessuale, in quanto l'arrivo del lievito dal retto è un’evenienza facilissima nel sesso femminile.
Nei soggetti immunodepressi C. albicans invade l'organismo colonizzando le mucose orali (mughetto) e i visceri (reni, polmoni).
MALATTIE DA BATTERI
La cute è molto resistente alla colonizzazione da parte di batteri patogeni. L’equilibrio è rotto dall’aumento del tenore idrico, che porta in soluzione o sospensione nuovo materiale nutritizio, dall’abolizione della flora residente (tra cui stafilococco, escherichia coli e propionibacterium acnes, che vive nella profondità del follicolo) da parte di interventi sterilizzanti più o meno selettivi, o da alterazioni metaboliche come il diabete o ipertrigliceridemia che variano quantitativamente e/o qualitativamente il materiale nutritizio.
Tra le infezioni batteriche cutanee vengono individuate le infezioni da batteri piogeni (streptococco e stafilococco): sono un gruppo di affezioni cutanee genericamente definite come piodermiti, anche se la formazione di pus non è comune a tutte. Esse si distinguono tra loro per il livello di profondità della cute in cui si realizza il processo infettivo.
IMPETIGINE VOLGARE
È una frequente malattia infantile, altamente contagiosa, di cui si distinguono due forme.
La forma non bollosa, epidemica, più frequente, a eziologia mista (ma più frequentemente streptococcica, del gruppo A nefritogeno), è di comune riscontro in estate. La lesione primitiva è una vescicola subcornea molto fragile con alone eritematoso. Alla sua rottura segue un’essudazione che si rapprende in croste giallo-brunastre. La lesione si estende perifericamente, senza risoluzione centrale. Istologicamente, Ia bolla è costituita da un distacco subcomeo e contiene un tappeto di neutrofili e gruppi di batteri. Si diffonde molto rapidamente fino a coprire ampie aree, ed è accompagnata da febbricola e malessere. Le sedi più colpite sono il volto (particolarmente il naso, a volte con rinite) e gli arti, nelle sedi di traumi o di punture di insetto, o affette da dermatite atopica. Le regioni palmoplantari e le mucose sono risparmiate. Eccezionalmente può dare come complicanza la glomerulonefrite acuta post-streptococcica.
La forma bollosa, sporadica, a eziologia stafilococcica, ha un esordio caratterizzato da una bolla subcornea di qualche centimetro di diametro, relativamente più resistente. Tutto il corpo può essere interessato, inclusi palmo, piante e mucose.
ERISIPELA
È un processo infettivo acuto che interessa l’epidermide e il derma, causato principalmente dallo streptococco b-emolitico di gruppo A. Generalmente colpisce giovani in buona salute. La stasi linfatica e Ie procedure chirurgiche (safenectomia) sono fattori favorevoli nelle localizzazioni agli arti inferiori; il diabete in quelle al volto. Una causa frequente è il piede d’atleta: può essere colonizzato dallo streptococco, che risale attraverso i linfatici.
Ha esordio improvviso, febbrile, con brividi e malessere generale. Nel bambino possono aversi convulsioni e nell’anziano stato stuporoso. Compare quindi una chiazza intensamente eritematosa, rilevata (a scalino), a bordi netti con digitazioni periferiche. La superficie è liscia e lucida, ma, soprattutto agli arti inferiori, può presentare bolle, petecchie e zone purpuriche o necrotiche. Talvolta il processo guarisce in un punto per riapparire poco distante (erisipela migrante). Le sedi elettive sono il volto (a mascherina) e la gamba, dove peraltro il bordo è meno netto che altrove.
L’erisipela va distinta dalia tromboflebite, in cui l’eritema e l’edema sono lineari e chiaramente localizzati sopra una struttura vascolare facilmente palpabile. È importante distinguerle, perché, mentre nella tromboflebite è opportuno dare anticoagulanti, la somministrazione di tali farmaci in corso di erisipela permette la diffusione del battere per via dei suoi enzimi.
Siccome l’erisipela distrugge i linfatici della zona colpita (la gamba rimane linfoadenomatosa, fino ad una vera e propria elefantiasi), che non si riformano, è necessaria una diagnosi immediata con inizio di una terapia sistemica con penicillina, cefalosporine o macrolidi, che risulta rapidamente efficace.
FLEMMONE
Detto anche “cellulite”, è un processo infettivo che interessa il derma profondo, ma soprattutto l’ipoderma. Gli arti inferiori sono la sede più comune e i soggetti diabetici sono ad alto rischio: può comunque colpire qualsiasi sede, di solito in seguito a un trauma che ha permesso l’entrata dei batteri. Compare una placca eritematosa e infiltrata, calda e dolente, a margini meno netti che nell’erisipela, talora ma non necessariamente febbrile. Bolle e porpora possono essere presenti. Coesiste spesso linfangite e linfadenite satellite dolorosa. Il decorso è acuto o subacuto e termina in genere nell’ascessualizzazione della placca e nello svuotamento, spontaneo o chirurgico, della sacca. Staphilococcus aureus è in genere il microrganismo responsabile. Per fare la diagnosi ci si può aiutare con l’ecografia. La terapia è antibiotica, soprattutto in fase iniziale. Più avanti è indispensabile l’incisione chirurgica.
IDROSADENITE
Si tratta di un fenomeno infiammatorio cronico, con noduli infiammatori che si ascessualizzano (iI pus è sempre sterile o presenta germi residenti); la colliquazione e l’ulcerazione esitano in cicatrici retraenti. Colpisce elettivamente Ie aree ricche di ghiandole apocrine (cavo ascellare, lungo la linea mammaria) in ambo i sessi. È frequente alle ascelle a causa della depilazione.
MALATTIE DA VIRUS
HERPESVIRUS
Gli herpesvirus sono virus a DNA, caratterizzati dalla persistenza nella cellula infettata (infezione persistente) e al cui interno rimangono latenti, per poi riattivarsi dando luogo a manifestazioni cliniche.
Herpes simplex
Esistono due tipi antigenici: HSV1, per lo più responsabile dell'herpes simplex labiale e di lesioni localizzate alla parte superiore del corpo, e HSV2, agente eziologico dell'herpes simplex genitale e di lesioni cutanee alla parte inferiore del corpo, oltre che dell'herpes del neonato, che si infetta nel canale del parto. Sono virus citopatici, che distruggono la cellula (degenerazione balloniforme) e formano vescicole.
L'infezione si trasmette attraverso il contatto diretto interumano. L'infezione primitiva da HSVI avviene di solito in età infantile, in ambito familiare, ed è di lieve entità o subclinica (gengivostomatite). L'infezione primitiva da HSV2 avviene di solito dopo la pubertà ed è a trasmissione sessuale. In seguito all’infezione primaria, si ha una risposta immunitaria; segue remissione delle lesioni cutaneo-mucose, ma l'HSV persiste nei gangli dei nervi sensitivi (infezione latente). In seguito a una temporanea diminuzione dell'immunità locale o sistemica, l’infezione virale può riattivarsi.
Circa il 10% della popolazione adulta presenta episodi recidivanti di infezione erpetica. Una sensazione di bruciore o prurito è seguita dalla comparsa di vescicole di piccole dimensioni, su base eritematosa, raggruppate a grappolo, eventualmente confluenti in bolla, che infine si erodono dando Iuogo a una crosta che cade in 7-10 giorni senza esiti cicatriziali. Le localizzazioni più frequenti sono nella cute periorale e genitale. La stessa sede anatomica tende a essere colpita nelle recidive. La sintomatologia generale è assente o minima.
Virus varicella-zoster
La varicella e I'herpes zoster sono causati dallo stesso virus: la varicella è l’infezione primaria, mentre lo zoster è la riattivazione sporadica del virus, per lo più in età adulta, in seguito ad alterazioni dell'immunità cellulare o del potere patogeno virale. Esso induce sempre lesioni infiammatorie-degenerative dei neuroni, responsabili della sintomatologia dolorosa, spesso persistente.
Varicella
L'incubazione é di 14 giorni. Dopo un paio di giorni di febbre e malessere, si assiste all’eruzione di papule rapidamente sormontate da vescicole a contenuto sieroso, limpido, descritte come "a goccia di rugiada"; Ie vescicole assumono quindi aspetto ombelicato e contenuto torbido. Entro qualche giorno si ha l'evoluzione in croste, che si distaccano senza esiti cicatriziali, se non vi è sovrinfezione batterica. Le lesioni, in numero variabile, compaiono in gittate successive per qualche giorno e sono localizzate al tronco, quindi al capo e agli arti; coesistono lesioni in diverso stadio evolutivo (immagine a cielo stellato).
Sono presenti anche lesioni alle mucose. Possono esservi febbre e malessere. Si può associare una sintomatologia pruriginosa. La terapia è sintomatica: si possono fare bagni con permanganato di potassio.
Zoster
Vi è una fase prodromica di pochi giorni, caratterizzata da febbre, malessere, dolore urente e puntorio in corrispondenza del metamero interessato, e Iinfadenopatie locoregionali. Si ha quindi la rapida comparsa di papule a evoluzione vescico-pustolosa, raggruppate a grappolo su base eritemato-edematosa e localizzate nella zona di uno o più metameri. Talora le vescicole confluiscono in ampie bolle policliche. Si assiste a gittate successive per diversi giorni. L'evoluzione è crostosa, con guarigione dopo 2-4 settimane. La localizzazione più comune è quella toracica seguita da quella cervicale, trigeminale e lombosacrale. Nei soggetti anziani si può avere nevrite postzosteriana, dovuta a demielinizzazione, resistente agli analgesici.
'La terapia con acyclovir riduce (se instaurata precocemente) l’estensione e la gravità dello zoster.
PAPILLOMAVIRUS
Sono virus a DNA di piccole dimensioni, con tropismo per gli epiteli, di cui inducono proliferazione (hanno capacità oncogenica a livello della cervice uterina). Le lesioni provocate da HPV si chiamano papillomi e possono essere di diversi tipi.
Poiché la lesione è solo epidermica (non coinvolge il derma) è sufficiente togliere le verruche o i condilomi, senza ricorrere a terapie aggressive. Il laser e l’azoto liquido non sono idonei, in quanto sono mezzi troppo aggressivi. In particolare, l’azoto liquido fa scoppiare le terminazioni della zona, con conseguente dolore.
Mollusco contagioso (poxvirus)
È una comune patologia a trasmissione interumana: il contagio avviene per contatto diretto o attraverso oggetti contaminati (uso di piscine nei bambini): l’incidenza è alta nei bambini di 2-10 anni; negli adulti vi è un secondo picco dovuto a trasmissione sessuale (è molto frequente nei soggetti HIV +).
Dopo un periodo di incubazione di 1-6 mesi, si sviluppano le lesioni cutanee sotto forma di papule perlate, lucide, emisferiche e ombelicate, localizzate alle sedi esposte come volto, collo e arti, oppure in sede genitale nel caso di trasmissione sessuale.
Non esiste terapia: le papule devono essere tolte una ad una.
In queste malattie, antigeni della cute vengono scambiati per antigeni estranei, con conseguente produzione di anticorpi (anti-epidermide, anti-giunzione dermo-epidermica, anti-connettivo).
LUPUS ERITEMATOSO (o eritematode)
Il nome “lupus” venne dato a malattie in cui le lesioni cutanee sembravano morsi di lupo; l’aggettivo “eritematoso” si riferisce all’eritema che è il costituente principale della lesione.
Si distinguono due tipi di lupus:
Lupus cutaneo
È una malattia piuttosto frequente, ad esordio giovanile (in media 30-35 anni, ma può insorgere anche a 19-20 anni), che colpisce ambo i sessi nelle zone fotoesposte (volto, mani, avambracci).
Clinicamente esordisce con piccole macule o papule, che si ampliano, formando una lesione anulare, atrofica centralmente e eritematosa (rosso-violacea) in periferia. Le lesioni possono essere multiple, e confluire. È caratterizzato da ipercheratosi, a squame stratificate, secche, bianco-grigiastre e aderenti per la presenza di fittoni cornei che penetrano negli osti follicolari. La cheratina eccessiva presente nel follicolo viene in seguito riassorbita, dando luogo a zone di alopecia (anche a livello di barba e capelli). Durante il processo di guarigione (spontaneo o indotto da farmaci) compaiono macchie color seppia, lisce e non cheratosiche, anche in zone apparentemente non interessate dall’eritema.
Esistono sia forme fotosensibili (che migliorano d’inverno), sia forme non fotosensibili.
Istologicamente si vede una modesta degenerazione vacuolare dello strato basale, ipercheratosi follicolare, dilatazione dei vasi del derma e infiltrazione linfocitaria perivasale, che si estende ai follicoli e allo strato basale dell’epidermide. Nel 50% dei casi l’immunofluorescenza diretta (DIF) mostra una banda lupica (deposito di IgG e complemento lungo la giunzione dermo-epidermica).
La diagnosi è clinica e istologica, basandosi anche sulla DIF.
La terapia topica si avvale di filtri e schermi solari, ed eventualmente corticosteroidi topici (in genere sconsigliabili perché possono mascherare l’evoluzione del quadro). Per quanto riguarda la terapia sistemica, si utilizza la clorochina, che è efficace in alcune forme, ma è tossica per fegato e occhio.
LUPUS SISTEMICO
L’esordio (spesso subdolo) è in età giovanile (in media 20 anni); colpisce prevalentemente il sesso femminile (10:1) e peggiora con l’aumento degli estroprogestinici (gravidanza e assunzione della pillola). La risposta cellulo-mediata è depressa, mentre quella anticorpale è esaltata: i pazienti presentano anticorpi anti-nucleo e anti-DNA e anticorpi contro antigeni nucleo-estraibili (ENA), come anti-Sm (prognosi sfavorevole) e anti-SSB. È sempre fotosensibile: la fotosensibilità è rivolta al 90% verso gli UV. Gli UVB sono detti “raggi eritematogeni”, in quanto hanno elevata energia, ma bassa penetranza cutanea; decarburano il DNA delle cellule, favorendo un’ulteriore produzione di anticorpi.
Clinicamente, a livello cutaneo si ha una forma infiammatoria-eritematosa, con chiazze eritematose piane, senza ipercheratosi né atrofia, localizzate nella maggior parte dei casi al volto (aspetto a farfalla). Spesso è associato a fenomeno di Raynaud. Si vedono spesso teleangectasie su tutto il corpo, soprattutto nelle cripte ungueali. Può esserci vasculite da immunocomplessi (che si manifesta con porpora palpabile agli arti inferiori) o alopecia improvvisa.
C’è sempre un coinvolgimento sistemico, a carico di diversi organi: cuore (pericardite), albero respiratorio (sierositi polmonari), rene (glomerulonefrite lupica), SNC (attacchi epilettici, attacchi schizoidi) e articolazioni (sinoviti).
L’istologia è simile a quella del LED: la degenerazione vacuolare dello strato basale è più marcata, e la banda lupica (presente nel 100% dei casi) è presente anche nelle zone sane fotoesposte.
Per la diagnosi, ci deve essere un numero di globuli bianchi inferiori a 2000/mm3, dato che gli anticorpi colpiscono prevalentemente le cellule fagocitarie (si ha quindi un aumento del rischio di infezioni). Gli esami di laboratorio mostrano anche ipergammaglobulinemia e diminuzione del complemento (soprattutto C3 e C4), perché ci sono tanti anticorpi.
La terapia è monofarmaco: si usa il cortisone ad alto dosaggio per abbassare la formazione di autoanticorpi: si diminuisce solo se si presentano problemi. Bisogna stare attenti perché spesso si hanno reazioni contro i farmaci. Non guarisce, e spesso è mortale per glomerulonefrite, insufficienza renale, danno cardiaco o nervoso.
LUPUS CUTANEO SUBACUTO
È una via di mezzo tra LES e LED: il coinvolgimento sistemico è minimo o può mancare, mentre quello cutaneo è molto grave e invalidante. In genere si tratta di lesioni a esordio acuto (a volte acutissimo), dopo un’esposizione solare, con sede di regola sul tronco, soprattutto sul dorso, ma anche al volto e alle regioni deltoidee. I pazienti risultano quindi intensamente fotosensibili.
SCLERODERMIE
È un gruppo eterogeneo di malattie che hanno in comune la risposta riparativa in senso sclerotico e sclero-atrofico della cute e, talora, anche degli organi interni, a un fenomeno infiammatorio cronico, probabilmente per un fenomeno autoimmune cellulo-mediato. Se ne distinguono due tipi: cutanea e sistemica (con interessamento viscerale).
SCLERODERMIA CUTANEA (morfea)
La forma classica è caratterizzata da una chiazza inizialmente arrossata e asintomatica, che rapidamente diventa sclerodermica, biancastra e madreperlacea, dura, non sollevabile in pliche, che può essere localizzata in qualsiasi parte del corpo, ma soprattutto al tronco; continua a espandersi alla periferia con un anello eritematoso (di colore lilla). Di solito è asintomatica, ma può dare fastidio durante i movimenti (se interessa zone articolari), o un lieve prurito.
La forma generalizzata è caratterizzata da chiazze numerose e confluenti, fino a provocare talora sindromi compressive toraciche.
La forma a colpo di sciabola colpisce il volto. Si forma una banda sclerotica paramediana di 1-3 cm di larghezza, di colore bianco avorio, a volte iperpigmentata ai margini, a decorso lineare, spesso depressa. Inizia al cuoio capelluto, dove provoca un’alopecia cicatriziale, e termina all’arcata sopraccigliare, ma talora anche alle labbra, coinvolgendo nell’atrofia muscoli e ossa.
Borrelia afelii (trasmessa dalle zecche) potrebbe essere una causa, dato che è stata isolata dalle chiazze.
Non c’è interessamento sistemico, per cui al massimo si hanno cicatrici, e non è mortale. Le lesioni a chiazze tendono a migliorare nel tempo, lasciando una zona di pigmentazione brunastra che dura a lungo.
Istologicamente si ha edema e appiattimento delle pieghe, ma non c’è nessun reperto particolare. Anche gli esami del sangue e l’immunofluorescenza non danno risultati particolari.
La terapia consiste in un ciclo di penicilline ritardate ad alto dosaggio, che a volte sono efficaci.
SCLERODERMIA SISTEMICA PROGRESSIVA
Esordisce in genere in soggetti giovani (soprattutto donne, 10:1) con il fenomeno di Raynaud, un fenomeno vasomotorio scatenato dal freddo, che inizia con una fase ischemica che interessa l’estremità delle dita delle mani e, meno frequentemente, dei piedi. Talora l’ischemia coinvolge tutte le dita e anche la mano. Dopo qualche minuto, segue la fase asfittica nella quale le dita diventano cianotiche e dolenti. Dopo un tempo variabile, le crisi ischemiche ripetute si accompagnano ad alterazioni trofiche dell’estremità delle dita. Le dita diventano più sottili (sembrano temperate), il pallore della cute diventa stabile e i peli cadono: si formano ulcerazioni dolorose con scarsissima tendenza alla guarigione, onicodistrofia e teleangectasie. Le dita tendono aII’anchilosi in semiflessione completando il quadro della sclerodattilia. Il processo progredisce in senso centripeto, investendo l’avambraccio e, più di rado, braccio e tronco.
La pelle si tende, diventa come cuoio, la facies è amimica (per la distensione delle pieghe), le labbra si ritirano, la rima buccale e gli occhi si restringono, si ha perdita di peli e capelli. Se interessa il torace c’è una riduzione dell’espansione della gabbia toracica durante l’inspirazione.
Il decorso è variabile, potendo restare limitata solo alla sclerodattilia, o diventare generalizzata.
I visceri più coinvolti sono:
L’istologia non è significativa. Dimostra edema dermico, atrofia epidermica, compattamento sclerotico a tutto spessore delle fibre collagene, riassorbimento degli annessi e scomparsa delle ghiandole sudoripare.
Anche gli esami del sangue non danno risultati particolari: non esistono anticorpi caratteristici; a volte ci sono gli ENA, e, nel 10-15% dei casi, anticorpi anti-Scl70.
La terapia è solo sintomatica (per aritmie e problemi di respirazione); il cortisone è sconsigliato perché dà problemi e anticipa la morte: inizialmente si può avere un’apparente sospensione e miglioramento, ma in realtà la malattia progredisce. Il paziente deve essere il più attivo possibile per rallentare la progressione della malattia.
DERMATOPOLIMIOSITE
E un’affezione infiammatorio-degenerativa dei muscoli striati relativamente rara nella quale la cute è frequentemente compromessa. L’alterazione cutanea è diagnostica.
Esistono quattro tipi.
Non ci sono differenze di frequenza tra maschi e femmine. Esordisce tra i 40 e i 60 anni, con edema della palpebra e della zona periorbitale, che hanno colore violaceo (per eritema). L’eritema può esserci anche sul dorso delle mani, a striscia (in corrispondenza delle articolazioni metacarpofalangee), con teleangectasie e eritema periungueali e ippocratismo digitale. Le patognomoniche papule di Gottron consistono in papule eritemato-violacee che a volte si raggruppano in piccole placche e sono localizzate al dorso delle mani e degli avambracci (zone fotoesposte). Al cuoio capelluto, l’atrofia epidermica è talora così spiccata da esitare in erosioni e in aree di alopecia cicatriziale (8%).
Col tempo compare la miosite, che si manifesta con stanchezza e esauribilità muscolare (già al secondo colpo di pettine). All’anamnesi si chiede al paziente se è in grado di pettinarsi, di stendere i panni, ecc.
I muscoli più frequentemente colpiti sono quelli prossimali, specialmente quelli dei cingoli, iniziando di solito da quello scapolare, e in modo simmetrico.
L’istologia non è particolarmente diagnostica: mostra atrofia dell’epidermide, vasodilatazione, edema del derma e infiltrato linfocitario perivascolare. La DIF è spesso negativa. A livello muscolare si ha distruzione delle miocellule con liberazione di enzimi, aumento delle fosfochinasi e della creatina urinaria, e infiltrazione linfocitaria interstiziale con fibrosi.
La terapia consiste nella somministrazione di cortisone ad alte dosi (non efficace nella forma paraneoplastica). Il decorso è capriccioso, e può essere fatale.
DERMATITI BOLLOSE
Si tratta di affezioni caratterizzate clinicamente da bolle o vescicobolle che istologicamente corrispondono a cavità situate nel contesto dell’epidermide o della giunzione dermoepidermica. Sono malattie gravi, spesso con compromissione dello stato generale, talora letali.
GRUPPO DEL PEMFIGO
Si tratta di malattie nelle quali la cavità è scavata nel contesto dell’epidermide per effetto della lisi primitiva del desmosoma (acantolisi) a opera di autoanticorpi in genere della classe IgG, più di rado IgA. Gli autoantigeni hanno peso molecolare diverso, condizionando la diversa altezza nell’epidermide della cavità.
Esistono quindi pemfighi con bolle superficiali (pemfigo superficiale) e pemfighi con bolle a tutto spessore (pemfigo volgare e vegetante).
Le IgG si legano a un antigene della superficie dei cheratinociti, attivando il plasminogeno e liberando plasmina e altre proteasi responsabili dell’acantolisi. Gli antigeni sono membri della famiglia delle caderine, componenti normali della superficie dei cheratinociti.
La cellula, una volta persi i legami con le altre, diventa acantolitica e va incontro a morte: è un cheratinocita più grande, con nucleo picnotico e un alone perinucleare più chiaro; sono visibili uno o più nucleoli.
La bolla del pemfigo è una bolla fredda, senza infiammazione (può subentrare in un secondo tempo per infezione).
Pemfigo volgare
Insorge subdolamente a 40-50 anni, in soggetti in buona salute (lievemente più frequente negli uomini), con bolle nel cavo orale, che si rompono subito perché non c’è lo strato corneo, e dà stomatite e aftosi. All’inizio le bolle possono essere confuse per erosioni: è importante distinguerlo, perché se preso subito guarisce bene, in caso contrario può diventare resistente. Le bolle, flaccide, compaiono poi sulla cute, soprattutto in zona periombelicale e sull’addome. Le bolle si rompono facilmente, perché lo strato corneo sovrastante è molto fragile, danno bruciore, dolore e fastidio notevoli. Premendo la bolla con un dito si ha un distacco, che si può avere stirando forte con un dito anche un’area di cute priva di bolle (segno di Nikolski).
Per la diagnosi sono necessari:
La terapia è tanto più efficace quanto prima è cominciata: si avvale della somministrazione di cortisone ad alti dosaggi, per circa cinque anni per evitare le recidive.
Ci sono diverse varianti:
Pemfigo superficiale
Le bolle sono molto superficiali e di solito non sono visibili come tali, ma come un'esfoliazione a larghi lembi.
L'istopatologia mostra una cavità subcornea, mentre 1'immunofluorescenza diretta rivela il classico deposito di IgG nella parte superficiale dello strato spinoso.
Le lesioni, eritemato-desquamative, si localizzano nelle sedi della dermatite seborroica. Le lesioni mucose sono quasi sempre assenti.
La terapia di questa forma è analoga a quella del pemfigo volgare.
GRUPPO DEI PEMFIGOIDI
Viene interessata la giunzione dermoepidermica (gli autoanticorpi sono diretti contro gli emidesmosomi della membrana basale): le bolle hanno sopra l’epidermide e sotto il derma, e possono contenere liquido o sangue; sono ben evidenti e persistenti. Le bolle sono bolle calde, perché sono infiammatorie con infiltrato di eosinofili e neutrofili; non sono mai singole, ma a grappolo.
La DIF mostra un deposito giunzionale di immunoglobuline e/o complemento alla giunzione dermoepidermica
Pemfigoide bolloso di Lever
È una malattia a bolle sottoepidermiche, legata a un deposito di lgG e complemento nella lamina Iucida. È la forma più frequente tra tutte le malattie bollose autoimmuni. Anticorpi IgG attivano e degranulano i mastociti, che producono citochine chemiotattiche per gli eosinofili (IL-5), con successivo rilascio di proteasi capaci di indurre il danno tissutale. Contemporaneamente si liberano frazioni del complemento capaci anch'esse di attività chemiotattica.
I soggetti colpiti sono anziani (ultrasessantenni, ma può venire anche dopo i 90 anni). Inizialmente insorgono grosse bolle, spesso emorragiche, precedute da prurito e talora da un'eruzione orticarioide-eczematosa, soprattutto alle radici degli arti (inguine, ascelle), per poi diffondersi ovunque (anche sulle mucose); danno intenso bruciore, ma lo stato generale è poco compromesso. Il segno di Nikolski è assente.
Il decorso è cronico, con morte nel 15% dei casi, ma la terapia è di solito risolutiva.
L'istopatologia rivela una bolla sottoepidermica senza cellule acantolitiche, ricca di eosinofili e neutrofili, con qualche plasmacellula e mastocita (citologia a cielo stellato); non c’è acantolisi.
La diagnosi clinica è spesso rivelatrice. Nel 70% dei casi l’immunofluorescenza indiretta rivela IgG o IgA anti-membrana basale, che si depositano sul tetto della bolla (a volte anche sul pavimento).
La terapia è cortisonica: il pemfigoide risponde meglio del pemfigo, e necessita di un trattamento più breve (un anno).
Può essere paraneoplastico (probabilità inversamente proporzionale all’età del paziente).
Herpes gestationis
Si tratta di un quadro di pemfigoide bolloso che compare quasi sempre dopo Ia prima gravidanza (21° settimana in media) o in pazienti con tumori trofoblastici. È dovuto ad anticorpi contro antigeni self per cross reacting con gli antigeni paterni. È molto fastidioso e doloroso.
La recidiva post-partum e in occasione di altre gravidanze (solo però se il padre è il medesimo) è la regola. Il parto è di solito prematuro e il neonato è comunque facilmente sottopeso. La terapia è la stessa del pemfigoide bolloso.
DERMATITE ERPETIFORME DI DURHING
È una malattia a bolle sottoepidermiche, da deposito di IgA all'apice delle papille dermiche; è caratterizzata da vescicole raggruppate (ecco perché l’aggettivo “erpetiforme”).
Colpisce i giovani (anche i bambini), più spesso maschi (1,5: 1), in buona salute, senza famigliarità.
Il quadro clinico è subdolo, in genere confuso con un eczema. Si tratta di vescico-papule molto pruriginose. spesso Iocalizzate alla faccia estensoria dei gomiti, agli avambracci, alle ginocchia e alla regione scapolare, tipicamente in maniera simmetrica. Le bolle sono rare e molto piccole (3-4 mm di diametro) e si raggruppano spesso alla periferia di chiazze orticarioidi.
L'associazione con la simil-celiachia (quasi sempre asintomatica) è costante (l’atrofia è macchia di leopardo, mentre nella celiachia è continua).
Il decorso è cronico con riacutizzazioni in corrispondenza di errori alimentari. La comparsa di linfomi in sede digerente è relativamente frequente.
L'istopatologia è tipica: raccolta di neutrofili all'apice della papilla con piccolo distacco dermo-epidermico. AlI'immunofluorescenza diretta si osserva un deposito granulare di IgA all'apice della papilla. Nelle forme croniche, tuttavia, le IgA si distribuiscono lungo la giunzione dermoepidermica. Non ci sono anticorpi contro gli antigeni epidermici, ma si possono trovare numerosi anticorpi circolanti, tra cui anticorpi antigliadina e antiendomisio.
La terapia si fonda sulla dieta priva di glutine. Se il paziente non riesce a seguire Ia dieta, o come terapia di attacco, la somministrazione di dapsone (che diminuisce l’attività neutrofila, che causa il danno cutaneo e il prurito) dà effetti spettacolari, anche se limitati nel tempo, tanto che il farmaco può essere usato per una diagnosi ex juvantibus.
Iperplasia significa aumento assoluto del numero di cellule normali con disposizione piuttosto regolare, generalmente conseguente a uno stimolo particolare: di regola regredisce quando Io stimolo induttore cessa.
Neoplasia significa formazione di neoplasma, ossia proliferazione cellulare nel contesto di un tessuto normale generalmente eccessiva, autonoma rispetto alla crescita del soggetto portatore, non sempre coordinata e finalizzata, che tende a persistere anche quando lo stimolo induttore viene meno.
Le neoplasie e iperplasie epiteliali sono proliferazioni dell’epidermide, degli annessi dell’epitelio, delle aree di passaggio cute-mucosa o dell’epitelio delle mucose adiacenti alla cute.
FOTOMEDICINA
Studia gli effetti cutanei delle radiazioni. Il sole irradia sulla terra radiazioni elettromagnetiche: raggi ultravioletti, raggi nella banda del visibile e raggi infrarossi.
I raggi ultravioletti sono divisi in UVA (maggior lunghezza d’onda), UVB e UVC (minor lunghezza d’onda). Minore è la lunghezza d’onda maggiore è l’energia.
Gli UV sono in grado di causare danno a tutte le strutture della cellula (strutture esposte all’esterno, membrana cellulare, citoplasma, organuli, nucleo e DNA, con formazione di dimeri di timina e perossidazione dei lipidi). La penetranza cutanea è minore per gli UVC e maggiore per gli UVA.
Gli UVC non arrivano sulla Terra; sono utilizzati come sterilizzanti in medicina, però, avendo bassa penetranza, non si spingono oltre lo strato corneo. Solo l’occhio può essere fortemente danneggiato dagli UVC, in quanto non ha lo strato corneo.
Gli UVB hanno penetranza per tutta la cute, e non si spingono oltre la membrana basale. In soggetti a fototipo chiaro causano eritema (raggi eritematogeni) per la liberazione, da parte dei cheratinociti (fotoreazione), di citochine proinfiammatorie; si può arrivare fino all’ustione solare. La melanina conferisce protezione, in quanto forma un cappello sopra la cellula, che però non evita del tutto i danni (assorbe notevolmente UVA e UVB, e in parte anche gli infrarossi). La melanina viene prodotta dai melanociti (cellule dendritiche) e immagazzinata in granuli, sotto lo stimolo del sole (i cheratinociti dei follicoli piliferi non sono protetti da melanina!). La melanina è un componente fondamentale del fototipo (determinato geneticamente): a seconda del colore di pelle, occhi e capelli ci sono individui che si abbronzano di più o di meno. Se ne distinguono sei tipi: il tipo I è caratteristico di persone che non si abbronzano mai (si scottano sempre), mentre il tipo VI è proprio della razza nera; comunque anche il fototipo alto, se esagera, può andare incontro a carcinogenesi. In Italia i fototipi sono quasi tutti di tipo II e III (raro il IV).
Gli UVA hanno una minor carica energetica, ma una maggior penetranza (si spingono fino al derma medio, dove incontrano vasi, fibroblasti, mastociti. Sono detti raggi non eritematogeni in quanto richiedono un tempo molto più lungo di esposizione (rispetto agli UVB) per dare eritema: il soggetto non se ne accorge e quindi ne prende di più perché resta di più al sole. Non esistono ancora filtri per gli UVA. Sono dannosi in quanto:
I raggi infrarossi attivano le cellule, oltre a provocare ustioni.
Ad ogni esposizione al sole, muoiono per apoptosi milioni di cellule (morte cellulare da UV); può però capitare che alcune di queste cellule, danneggiate, non muoiano, e portino allo sviluppo di neoplasie. Tutte le radiazioni elettromagnetiche hanno un effetto cumulativo! I danni si stratificano!
A 40-50 anni si hanno i primi carcinomi epiteliali, che si formano sempre nelle zone fotoesposte, e sono rari in corrispondenza dei nevi. Alle radiazioni si associano gli idrocarburi inquinanti, che reagiscono con la luce, accelerando e favorendo il processo.
Un altro danno da esposizione agli UV è il fotoinvecchiamento: non è legato all’invecchiamento cronologico, e consiste nell’elastosi cutanea. I raggi UV danneggiano l’elastina che dà elasticità alla cute: la cute diventa secca, fragile, cade secondo la gravità e si formano le rughe. Sono danneggiati anche i vasi sanguigni, con conseguente diminuzione di flusso sanguigno e nutrimento.
La cosa importante è la prevenzione. La fotoprotezione consiste innanzitutto nello stare all’ombra (riduce del 40% i raggi; i raggi non sono filtrati da nuvole e acqua), nell’evitare le fasce orarie in cui gli UV sono più forti (11 - 14) e nell’applicazione di creme (che vengono assorbite, soprattutto dai bambini!), che possono essere:
Gli schermi proteggono di più, ma i filtri sono più cosmetici (perché sono più leggeri, ben assorbibili e non si vedono), ma hanno una durata limitata.
Da alcuni studi è però emerso che i filtri possono essere in realtà induttori di carcinogenesi, e non ritardatori, in quanto permettono una maggior esposizione al sole, con conseguente maggior assorbimento di UVA. Si allunga quindi il periodo di immunodepressione a livello cutaneo e si ha liberazione di citochine immunodepressive in circolo. Attualmente le creme solari non contengono più filtri, ma schermanti. In pediatria si usano creme con schermi fisici.
PRECANCEROSI
Sono lesioni di per sé benigne, che hanno la potenzialità di evolvere col passare del tempo in carcinomi.
CHERATOSI ATTINICA (o solare)
È la più comune delle precancerosi cutanee. È un’alterazione circoscritta della cute fotoesposta (per disordini maturativi dell’epidermide, che, danneggiata dai raggi, non riesce a riformarsi bene) caratterizzata da un’ipercheratosi aderente, risultato di alterazioni epidermiche che tardivamente possono progredire verso il carcinoma spinocellulare.
Le lesioni sono dovute aII’effetto cumulativo delle radiazioni solari sulla cute e sono più comuni in soggetti con pelle chiara in media o tarda età; inoltre, il colore azzurro degli occhi e la presenza di efelidi sembrano aumentare il rischio. Si sviluppano soprattutto su volto, dorso delle mani e superficie estensoria degli avambracci.
Il primo aspetto è un’area teleangectasica di 1-2 mm di diametro; progressivamente la lesione diventa ipercheratosica e ben apprezzabile alla palpazione (sensazione di “granello di sabbia”). La squama è caratteristicamente ben adesa e il suo distacco determina un Iieve sanguinamento. Molto frequentemente gli elementi sono multipli. Il diametro delle lesioni varia da qualche millimetro a qualche centimetro. Talvolta l’ipercheratosi è tale da realizzare un aspetto simile a un corno (corno cutaneo).
Quando Ia lesione tende a rilevarsi sulla superficie cutanea con comparsa di un alone eritematoso periferico o un’erosione superficiale, si deve sospettare l’evoluzione verso un carcinoma spinocellulare.
La terapia consiste nell’asportazione di tutti gli elementi possibili (curettage), nella fotoprotezione ed eventualmente nella somministrazione dell’acido retinoico (vitamina A) che fa ridifferenziare i cheratinociti.
CHEILITE SOLARE
È una forma di cheratosi solare a localizzazione labiale, soprattutto inferiore. Inizialmente compaiono eritema ed edema, poi secchezza e desquamazione e più tardi papule o placche grigiastre, ragadi, vescicole, erosioni e croste. È possibile l’evoluzione verso un carcinoma spinocellulare, con rischio di metastasi relativamente alto.
Quando possibile, si ricorre all’asportazione chirurgica.
NEOPLASIE
CARCINOMA BASOCELLULARE
È una neoplasia epiteliale maligna, composta da cellule simili a quelle dello strato basale dell'epidermide e delle strutture epiteliali degli annessi, strettamente connessa a uno stroma dermico, raramente metastatizzante. È la più comune neoplasia cutanea nei soggetti di razza bianca; può comparire dall'infanzia (raro) in poi, soprattutto dopo i 35 anni. Il rischio è proporzionale all’età (perché è maggiore l’esposizione), ed è in rapporto con il fototipo (raro nella razza nera, poco frequente in quella gialla) e la latitudine.
Oltre a molti fattori predisponenti (razza bianca, sesso maschile, età senile, familiarità, prolungata e cronica fotoesposizione, fototipo chiaro, traumi locali, ustioni solari in età infantile, radiazioni ionizzanti), il carcinoma basocellulare può insorgere in soggetti sottoposti a terapia immunosoppressiva, su ulcere distrofiche croniche o su cicatrici.
La maggior parte delle lesioni insorge al capo e al collo, ma è comune l'interessamento del tronco, mentre le regioni palmoplantari sono raramente coinvolte; Ie mucose sono indenni.
La neoplasia può essere solitaria, ma spesso è multifocale. Caratteristicamente è una zona di instabilità cronica: si ha desquamazione della cute, seguita da distaccamento e sanguinamento, che continua periodicamente. Ci sono tre tipi.
II tipo nodulare (più frequente) in fase iniziale compare come papula traslucida che in fase avanzata diventa una placca o un nodulo di colore rosa-rosso o bruno, irregolare, con superficie liscia, squamosa o ulcerata, con caratteristica presenza di teleangectasie. Sul viso è possibile che la neoplasia sia rapidamente ulcerativa e infiltrante sin dai primi stadi (ulcus rodens): è una forma molto aggressiva che non risponde alle terapie.
Il tipo superficiale è prevalente sul tronco ed è piuttosto comune. Si presenta come una placca eritematosa, limitata da un bordo irregolare leggermente rilevato, non sempre su tutto il perimetro, con parte centrale spesso desquamante e atrofica.
II tipo morfeiforme compare quasi esclusivamente sul viso come placca lievemente rilevata o depressa, di colorito giallo avorio, con margini indefiniti, molto raramente ulcerata. È insidiosa perché la diagnosi è tardiva.
Il carcinoma basocellulare ha un decorso lento e progressivo e il tipo clinico superficiale ha un decorso praticamente benigno, mentre i tipi ulcerativi e invasivi possono dare gravi problemi con distruzione di altri organi o apparati oltre Ia cute (occhio, ossa, cervello ecc.). Eccezionalmente la neoplasia dà metastasi (0,1%), prima ai linfonodi, poi agli organi.
Istologicamente, le cellule sono indifferenziate, e originano da quelle del follicolo pilifero (iI carcinoma basocellulare insorge da cellule immature pluripotenziali delle strutture epiteliali degli annessi, che non sono protette dalla melanina). Ogni nodulo è circondato da una membrana, e quasi mai da cellule infiammatorie. L'accertamento istologico è necessario prima di ogni decisione terapeutica.
L'escissione chirurgica è il tipo di terapia più corretta, indicata anche in età avanzata. Eventualmente si può ricorrere alla crioterapia o alla dermocoagulazione. Si può utilizzare anche la fototerapia dinamica: si somministra una sostanza (captata dalle cellule tumorali) che, una volta irradiata, causa la morte della cellula.
CARCINOMA SPINOCELLULARE
È una neoplasia maligna derivante dai cheratinociti dell’epidermide (generalmente danneggiati da vecchie ustioni), variamente cheratinizzante e in grado di metastatizzare. È circa 4 volte meno frequente del carcinoma basocellulare. Si presenta come un nodulo, rapidamente ulcerativo. Ci possono essere forme vegetanti, verrucose e erosive (soprattutto a carico delle mucose).
Esistono fattori predisponenti ambientali (sole, petrolio, fuliggine, raggi UV artificiali, radiazioni ionizzanti), e fattori individuali (albinismo, età, sesso, fototipo, uso di tabacco, terapie immunodepressive). Inoltre, cicatrici pregresse, malattie ulcerative croniche e esposizioni tossiche possono entrare in gioco nella genesi del carcinoma.
Le sedi più frequentemente colpite sono la testa (nei soggetti calvi), il labbro inferiore, il padiglione auricolare, il naso e le mani.
Sulla cute il carcinoma spinocellulare è più comune nelle aree di fotoesposizione, è preceduto spesso da una cheratosi attinica, ma può insorgere anche de novo e frequentemente è multiplo. In fase iniziale si presenta come lesione papulosa o nodulare di colore rosa-rosso, irregolare, a margini sfumati con superficie cheratosica, anche ulcerata; in fase avanzata è una placca o un grosso nodulo di diametro vario, sempre irregolare con superficie cheratosica o crostosa o ulcerata.
Sulle mucose e nelle regioni di passaggio cute-mucosa (bocca, ano, pene, vulva) la neoplasia è unica, rapidamente invasiva e metastatizzante. In fase iniziale è una lesione papulosa o nodulare di colore biancastro, ma anche rosa-rosso, con margini sfumati e superficie rapidamente ulcerata e tardivamente diventa placca o nodulo che, alla palpazione, presenta una consistenza duro-cartilaginea.
Il carcinoma spinocellulare delle labbra e della mucosa orale è più comune nei fumatori e nei bevitori di alcol: nell’esordio può avere l’aspetto di una leucoplasia (papula o placca persistente biancastra delle mucose) o di una eritroplasia (papula o placca persistente rossastra delle mucose), più tardi assume aspetto vegetante.
L’incidenza delle metastasi varia a seconda della sede della neoplasia: se insorge sulla cute, infatti, raramente dà metastasi, mentre se si sviluppa sulle mucose e nelle aree di passaggio cute-mucosa metastatizza con alta frequenza (soprattutto quella delle labbra e dei genitali).
Istologicamente, la neoplasia, quasi sempre endofitica, spesso ulcerata, appare costituita da masse irregolari (corone e nidi) di cheratinociti che proliferano nel derma e talvolta nell’ipoderma con tendenza più o meno evidente alla cheratinizzazione (“perle cornee”; tanto più è cheratinizzato, tanto più è differenziato, tanto meno metastatizza). Se supera il livello della porzione secretoria delle ghiandole eccrine, la neoplasia è considerata aggressiva.
La terapia è chirurgica, con asportazione ampia, perché i limiti non sono mai definiti; si usa la “moss surgery”: il chirurgo prosegue l’operazione basandosi sul referto anatomo-patologico. La radioterapia è indicata solo per gli anziani (perché possono esserci recidive).
CHERATOACANTOMA
È un tumore benigno, spesso confuso con l’epitelioma e il carcinoma spinocellulare, a rapida crescita, in zone fotoesposte. Si ha la proliferazione dei cheratinociti che formano un ammasso cellulare, il cui centro è costituito dalla cheratina, che involve rapidamente. È considerata una malattia infettiva da causa virale.
Lo si asporta comunque (anche se autorisolve).
MORBO DI BOWEN
È un carcinoma in situ di difficile riconoscimento. Si presenta come una chiazza eritematosa e desquamanti, a limiti netti, ed è strettamente legato allo stato di immunosorveglianza (è frequente in pazienti sotto cortisone).
Probabilmente è a eziologia virale, ma può essere dovuto anche a cicatrici, ustioni e tatuaggi.
L’istologia mostra un disordine maturativo con paracheratosi e infiammazione sottostante.
La terapia è chirurgica.
LEUCOPLACHIA O LEUCOPLASIA
È un carcinoma in situ delle mucose (soprattutto bocca, a volte genitali): il paziente presenta chiazze biancastre in bocca, che si ritrovano anche nel lichen planus, nel mughetto e nella leucoplachia villosa in corso di AIDS; per questo la diagnosi è spesso tardiva. Le chiazze si trovano soprattutto a livello delle gengive, e non vengono rimosse dal grattamento, al contrario di quello che avviene nel mughetto.
La mucosa non cheratinizzata è lucida; se a causa del tumore cheratinizza, diventa biancastra (la cheratinizzazione può essere dovuta anche a traumi). La terapia è chirurgica quando possibile.
ERITROPLACHIA O ERITROPLASIA
È la controparte della leucoplachia a livello dei genitali (sia maschili che femminili), ma si trova anche nel cavo orale. È un carcinoma in situ in soggetti medio-anziani, con precedenti problemi ai genitali, o scarsa igiene.
La lesione inizia con una macula o papula rossastra, persistente, a margini non netti, per lo più asintomatica, che in tempi variabili diventa placca irregolare, anche ulcerata e sanguinante. L’evoluzione verso il carcinoma spinocellulare invasivo è praticamente sicura e piuttosto rapida per le localizzazioni al cavo orale.
Ci sono ance forme eritreo-leucoplasiche (sia al cavo orale che ai genitali).
Il retinoide è un farmaco molto importante per il trattamento del carcinoma in situ: è un derivato dell’acido retinoico, che agisce direttamente sui nuclei delle cellule, ridando la capacità differenziativa alle cellule che l’hanno persa (uso topico).
CHERATOSI SEBORROICA
Esordisce con una papula o un nodulo, in un soggetto non più giovane. Ha andamento benigno (si autolimita e non è invasivo), è molto frequente nella razza bianca, e si localizza soprattutto a volto, testa, dorso e tronco. Se sulla cute cresce qualcosa di anomalo, vuol dire che l’omeostasi cellulare è andata persa e c’è permissività tumorale, non solo a livello cutaneo, ma anche sistemico (segno di Leser: quando crescono in eccesso c’è un tumore in un’altra sede, per esempio l’intestino).
Istologicamente si ha acantosi e proliferazione epidermica (non dermica).
LINFOMI CUTANEI
I linfomi costituiscono un gruppo di neoplasie che origina dalle cellule linfoidi durante le varie fasi di maturazione e differenziazione negli organi linfatici e nei tessuti che sono ricchi di tessuto linfatico (canale gastroenterico: malt), oppure che sono sede frequente (“cronica”) di infiltrati linfocitari (cute: salt).
Si riconoscono due gruppi principali di linfomi.
I linfomi si presentano come placche o noduli infiammatori, in qualsiasi area del corpo.
I linfomi primitivi cutanei si classificano in base alla malignità (basso grado, grado intermedio, alto grado), all’immunofenotipo (a cellule B, a cellule T, a cellule né B né T), o alla presenza dell’antigene CD30 (ulteriormente divisi in alto e basso grado di malignità).
MICOSI FUNGOIDE
È un linfoma T (CD4+) primitivo della cute, a decorso poco aggressivo. È la forma più frequente (0,3/100.000 abitanti per anno). A seconda dell’età può avere manifestazioni diverse:
Probabilmente è causata da uno stimolo antigenico cutaneo di tipo continuo, che stimola i linfociti T CD4+, fino ad arrivare allo sviluppo maligno di un clone. Presenta una Ienta evoluzione con iniziale estensione cutanea e successivo coinvolgimento specifico dei linfonodi superficiali, del sangue periferico e degli organi interni; può anche evolvere in linfomi meno differenziati (ma comunque ha una lenta malignità). La sopravvivenza media a 5 anni dall’esordio è delI’87%.
Si distinguono tre fasi evolutive:
Istologicamente, già negli stadi iniziali, è visibile un infiltrato linfocitario nell’epidermide e nella giunzione dermo-epidermica, con formazione di microascessi.
Non c’è una cura per la micosi fungoide, soprattutto perché negli stadi iniziali le cellule sono molto ben differenziate, e non rispondono alla terapia ad alte dosi (e risentono poco della radioterapia). Risponde abbastanza bene ai retinoidi, che possono essere associati agli interferoni a e g.
Per anni è stata usata la PUVA terapia (raggi UVA in associazione a psoraleni per os), che causa la regressione della chiazza, che però compare nuovamente dopo qualche tempo. Oggi è usata molto meno.
Siccome non c’è certezza che esista la progressione chiazza à placca à nodulo, è inutile accanirsi terapeuticamente, dato che i risultati non sono comunque certi.
Esistono due varianti:
NEVI
I nevi sono considerati dalla maggior parte dei medici come neoplasie benigne, in cui sono coinvolti i melanociti (cellule di derivazione neuroectodermica).
Un nevo può essere definito segmentario se ha una distribuzione dermatomerica, e sistematizzato se si sviluppa su un'area cutanea correlata a uno o più nervi cranici, spinali o periferici.
Possono essere suddivisi in:
Le cause dei nevi possono essere genetiche o ambientali (infezioni intrauterine, radiazioni ionizzanti, farmaci assunti in gravidanza, alcol in eccesso durante la gravidanza, deficienze o eccessi di oligominerali durante la gravidanza, malattie materne) o combinazioni delle due.
NEVI MELANOCITICI
Derivano dalla proliferazione dei melanociti (come il melanoma).
Nascono nella prima infanzia (tranne quelli congeniti, già presenti alla nascita) e, dopo una fase di crescita (prime tre decadi di vita), hanno una fase di stabilità e infine una fase di parziale o totale regressione (dopo i 60-70 anni).
Lentiggine
È una piccola macula pigmentata piana (visibile, ma non palpabile), bruna, rotondeggiante, acquisita o congenita, caratterizzata istologicamente da un aumentato numero di melanociti nello strato basale dell'epidermide in singole unità. Può comparire come elemento isolato in numero variabile, oppure far parte di un quadro di lentigginosi (sindromi complesse a trasmissione prevalentemente autosomica dominante, caratterizzate da lentiggini diffuse, anomalie multiple e anche neoplasie).
Possono comparire in ogni area cutanea, essere presenti alla nascita, comparire nel primo anno di vita o più frequentemente nell'infanzia o neII'adolescenza, e aumentare di numero nell'età adulta.
Va distinta dalle efelidi (accumuli di pigmento diffusi al viso, al dorso e in altre sedi fotoesposte, che si scuriscono e aumentano di numero con l'esposizione al sole), e dalle lentiggini solari (hanno solitamente dimensioni maggiori, forma irregolare, colore più chiaro, superficie spesso lievemente desquamante e sono presenti prevalentemente sulle sedi fotoesposte di soggetti anziani).
Nevo melanocitico acquisito piano
È la lesione pigmentata più comune nei soggetti di razza caucasica, frequente sul tronco e sulla radice degli arti, caratterizzata generalmente da un profilo piano.
Quando il diametro è piccolo, ossia inferiore ai 6 mm, la lesione è più spesso simmetrica (nevo melanocitico acquisito piano comune); quando invece il diametro è maggiore, la lesione frequentemente è rilevata, ha forma asimmetrica, bordi irregolari e pigmentazione disomogenea (nevo melanocitico acquisito piano atipico di Clark). Istologicamente è caratterizzato da una proliferazione di melanociti di forma varia in nidi, a livello epidermico e dermico, e talvolta anche solo dermico.
La maggioranza dei caucasici in età adulta ne ha da 15 a 30 elementi. II diametro varia da pochi mm a 1cm, il colore è bruno nelle varie tonalità, spesso più scuro al centro e sfumato alla periferia. La forma è rotondeggiante, ovalare o angolata, prevalentemente simmetrica, con bordi definiti. È una lesione benigna.
È una lesione cutanea acquisita, cupoliforme, di colore variabile dal bruno chiaro fino a quello della cute normale, isolata o in poche unità, situata quasi esclusivamente sul viso. Può albergare follicoli (nevo peloso) o ghiandole: sono piuttosto frequenti gli episodi di follicolite batterica nel contesto del nevo, con conseguente aumento di volume e arrossamento della lesione, dolore ed eventuale fuoriuscita di materiale purulento. L’uomo può tagliarlo facendo la barba, ma non è preoccupante.
Istologicamente è caratterizzato da melanociti disposti in nidi o cordoni nel derma.
Nevo di Unna
È una lesione cutanea acquisita, peduncolata o sessile, spesso papillomatosa, di consistenza molle (carnosa), di colorito variabile dal bruno a quello della cute normale, presente in poche unità isolate sul tronco e sul collo; è più comune in soggetti di sesso femminile. È benigno.
È una lesione pigmentata molto polimorfa, di colorito quasi sempre bruno, presente alla nascita: a volte può comparire dopo settimane o mesi dalla nascita (nevo melanocitico congenito tardivo).
Possono essere suddivisi in base al loro diametro:
Il colore è preferibilmente bruno nelle sue varie tonalità, ma ci possono essere sfumature bluastre o nerastre.
Istologicamente, i nevi melanocitici congeniti sono caratterizzati da proliferazioni di melanociti di forma variabile, soprattutto in nidi, entro l’epidermide, il derma e l’ipoderma (in quelli profondi), interessamento di parte dei vasi e delle strutture annessiali epiteliali e non (soprattutto in quelli superficiali), melanociti disposti a banda nella parte superiore del derma (in quelli superficiali), aumento dei peli terminali. Le forme classificabili istologicamente superficiali corrispondono per Io più al tipo clinico piccolo, e quelle istologicamente profonde al tipo clinico medio e grande.
Nel contesto dei nevi melanocitici congeniti, con maggiore frequenza che in altri nevi, si può sviluppare un melanoma: il rischio di tale evento è più alto nelle forme grandi. Tutti i nevi congeniti sono instabili e possono degenerare o diventare verrucoidi e pelosi, e vanno tolti entro la pubertà.
I nevi grandi vanno asportati entro quindici giorni dalla nascita, in quanto in tale periodo sono solo intraepidermici (mentre in seguito passano la giunzione dermo-epidermica): in questo modo è possibile toglierlo tutto (solo in questo caso la prevenzione è efficace) mediante escoriazione, senza lasciare cicatrici.
Sono lesioni melanocitarie quasi sempre acquisite, a rapida crescita, caratterizzate sul piano istologico dalla proliferazione di melanociti di forma epitelioidea e fusata disposti in nidi.
È una lesione pigmentata di colorito grigio-bluastro, presente alla nascita o entro il primo anno di vita in più del 90% del soggetti di razza asiatica e nei nativi d'America, meno frequentemente nei neri e in circa 1'1-2% dei soggetti di razza bianca; è localizzata soprattutto nella regione lombosacrale. I melanociti sono localizzati nel derma profondo, a volte nell’ipoderma. Regredisce spontaneamente entro la pubertà.
Nevo blu
È una lesione pigmentata di colore blu-nero, acquisita o talvolta congenita, caratterizzata istologicamente da melanociti dendritici, fusati o ovali, localizzati nel derma profondo (ecco perché il colore è blu). È spesso piano, ma può essere anche cupuliforme.
La metà circa dei nevi blu si trova sul dorso delle mani e dei piedi, le altre sedi comprendono labbra, volto e superficie estensoria degli arti.
Il nevo blu maligno rappresenta un melanoma insorto nel contesto di un nevo blu. Un cambiamento di forma del nevo necessita di verifica istologica.
Nevo di Sutton (o nevo con alone)
Rappresenta un nevo melanocitico acquisito o congenito, circondato da un'area ipocromica o acromica, concentrica e uniforme. È molto frequente nei soggetti giovani (13-18 anni). È dovuto allo sviluppo di autoaggressione nei confronti del nevo, che viene attaccato dai linfociti B. Il nevo scompare, e dopo qualche anno sparisce anche la macchia bianca.
Si può associare ad altre patologie, in particolare alla vitiligine, all’anemia perniciosa e al melanoma. La lesione è assolutamente benigna, tuttavia vanno escluse le possibili patologie associate.
È un nevo melanocitico acquisito o congenito, circondato da un'area di dermatite vescicolosa, concentrica. L’alone di dermatite risolve spontaneamente in tempi variabili. Nell’infiltrato sono presenti eosinofili.
È un qualsiasi nevo melanocitico acquisito o congenito con evidenza di aree ipocromiche o acromiche e/o aree di atrofizzazione, non secondarie a traumi locali e senza storia di alone periferico ipocromico.
NEVI EPIDERMICI
Sono lesioni complesse derivanti dalle cellule ectodermiche embrionali (non interessano più i melanociti).
Talvolta, soprattutto in casi di lesioni multiple, i nevi epidermici sono associati ad altri difetti di sviluppo, specialmente a carico dell’apparato scheletrico, del sistema nervoso centrale e degli occhi.
Il nevo di Becker è una lesione pigmentata, quasi sempre acquisita, costituita da una chiazza bruna a contorni irregolari con numerosi peli, generalmente monolaterale.
MELANOMA CUTANEO
Il melanoma cutaneo è un tumore maligno, poco curabile, che origina dai melanociti della cute e delle mucose, dai melanociti che costituiscono i nevi e, molto più raramente, da melanociti posti in sedi extracutanee (occhio, orecchio interno, meningi).
Colpisce prevalentemente soggetti di razza bianca, con uguale distribuzione nei due sessi. Rarissimo prima della pubertà, colpisce prevalentemente intorno ai 40-50 anni.
Fattori di rischio sono:
Il melanoma può svilupparsi sulla cute sana de novo, oppure insorgere in associazione con un nevo melanocitico preesistente congenito o acquisito (20% dei casi). In questo caso i possibili segni di allarme sono:
Si distinguono due forme di melanoma: piano (palpabile e non) e cupuliforme.
MELANOMA PIANO
La crescita avviene su piani orizzontali, si estende poco in profondità e si ha quindi una minor incidenza metastatica. È la variante più frequente (80% dei casi) e può insorgere in qualsiasi sede cutanea o mucosa. Si presenta come una macula pigmentata (che in seguito diventerà una placca) che cresce in modo frastagliato, diventando asimmetrica. All’inizio può essere scambiata per un nevo di Clark.
Le caratteristiche semeiologiche che ne indicano la malignità sono riassunte nella forma ABCDE:
Asimmetria tracciando una linea immaginaria che sezioni la lesione nel centro, le metà non sono sovrapponibili; una lesione benigna è sempre simmetrica.
Bordi irregolari, frastagliati; una lesione benigna ha bordi regolari.
Colore nerastro, disomogeneo, può cambiare.
Dimensioni maggiori di 6 mm.
Evoluzione la lesione progredisce, cambiando la sua morfologia.
Età di regola superiore ai 15 anni.
Elevazione comparsa di una papula o di un nodulo nel contesto della lesione pigmentata.
MELANOMA CUPULIFORME
È meno frequente (18% dei casi), e si sviluppa su piani verticali, soprattutto verso l’esterno. Si presenta come una papula o un nodulo, di forma regolare emisferica, a superficie liscia, di colorito bruno-nerastro o nero-bluastro, di consistenza carnosa, spesso eroso e sanguinante, ricoperto da squamo-croste ematiche. I confini con la cute sana circostante sono sempre netti. Il pigmento può essere distribuito in modo irregolare fino a mancare del tutto (melanoma acromico o amelanotico): in questo caso, a un esame clinico attento, è talvolta individuabile alla base della lesione una sfumatura nerastra (fuga del pigmento) di grande importanza diagnostica. è frequente a livello sottoungheale e periungheale, ed è molto grave, perché è indifferenziato.
La formula ABCDE è, in questa forma, di scarsa utilità.
L’insorgenza di un elemento papuloso o nodulare nel contesto di un melanoma piano, palpabile o no, costituisce un evento molto frequente, che si realizza spesso anche dopo anni dalla comparsa della lesione primitiva; rappresenta quindi un aspetto evolutivo della neoplasia.
Un melanoma lasciato alla sua evoluzione naturale tende a crescere irregolarmente, a ulcerarsi, a regredire spontaneamente e, soprattutto, a metastatizzare.
L’ulcerazione è legata a uno squilibrio tra la massa neoplastica e la sua vascolarizzazione con conseguente carente irrorazione e nutrizione cellulare.
La regressione può essere parziale o totale, e quando quest’ultimo evento accade, la neoplasia spesso è già metastatizzata. Clinicamente la regressione è evidenziata dalla comparsa nel contesto della Iesione di aree ipocromiche o del colore della cute sana oppure bluastre, talvolta con segni di atrofia superficiale.
Le metastasi, che si producono per via ematica o linfatica, possono essere suddivise in:
Non ha passato la giunzione dermo-epidermica. L’asportazione chirurgica permette la guarigione nel 100% dei casi.
Se però viene lasciato per troppo tempo tende ad invadere.
Se ne distinguono quattro tipi.
DIAGNOSI
Si può ricorrere alla dermoscopia: si mette il microscopio a contatto con la cute (dopo aver reso trasparente lo strato corneo mediante applicazione di olio sulla superficie cutanea) e si estraggono delle immagini (ciascuna ha un punteggio; se la somma di tutte è maggiore di un certo valore si ha melanoma): le più importanti sono velo blu, globuli pigmentari e strie alla periferia. Dà l’idea della profondità e dell’estensione, e indica quanto deve essere ampia l’escissione e se è necessario rimuovere il linfonodo sentinella (lo si fa quando è più profondo di 1 mm).
Non si fa mai la biopsia! L’unica eccezione è quando è in sede acrale o sottoungueale. Generalmente si fa l’escissione (a 1 cm dal margine visibile con la dermoscopia, fino alla fascia muscolare, che viene generalmente risparmiata) e poi si esegue l’esame anatomopatologico, per vedere l’entità dello spessore, il numero di mitosi per campo, e il grado di infiltrazione linfocitaria (se c’è è un segno positivo, perché indica il controllo da parte del sistema immunitario).
PROGNOSI
Tre fattori sono fondamentali per la prognosi.
TERAPIA
Negli stadi iniziali la terapia chirurgica è il trattamento di scelta. La terapia medica è deludente perché è un tumore non radiosensibile.
Nei casi di melanoma con metastasi a distanza il trattamento è sistemico, con significato palliativo. Si usa la chemioterapia (dacarbazina) e/o l’immunoterapia (con interferone, è promettente, ma ha elevata tossicità sistemica). Può valer la pena sottoporre le metastasi a terapia chirurgica, in quanto si è visto che l’eliminazione di una fa regredire le altre, o perlomeno impedisce l’insorgenza di altre, probabilmente per un fenomeno di autoimmunizzazione.
Sembra promettente la vaccinazione.
DA DISORDINE IMMUNOLOGICO
SINDROME ORTICARIA-ANGIOEDEMA
L'orticaria è una delle dermatosi più comuni ed è caratterizzata dalla comparsa di pomfi cutanei di colore variabile dal rosso al bianco, circondati da un alone iperemico di forma, sede ed estensione variabili. I pomfi scompaiono senza lasciare traccia e si accompagnano a prurito. Possono essere fugaci o migranti (compaiono in sedi diverse), e quando regrediscono la cute resta integra. Essi insorgono per una risposta vascolare a stimoli diversi con aumento della permeabilità dovuto alla liberazione di mediatori chimici vasoattivi (istamina e simili) dai mastociti e dai basofili. Quando l'effetto edemigeno interessa lo strato profondo del derma e del sottocute, si realizza il quadro deII'angioedema che è scarsamente o per nulla pruriginoso poiché negli strati cutanei profondi sono scarsamente rappresentati i mastociti e le terminazioni nervose sensitive. L'orticaria e l'angioedema, a causa della loro frequente associazione, vengono accomunati in un'unica entità clinica: Ia sindrome orticaria-angioedema (SOA). La SOA può essere classificata in:
Il 15-20% della popolazione nel corso della vita può presentare almeno un episodio di orticaria.
II pomfo è la lesione elementare primitiva che caratterizza l'orticaria. I pomfi si sviluppano in breve tempo, da alcuni secondi a pochi minuti, e scompaiono di regola in poche ore. L'eruzione orticariosa è quasi sempre pruriginosa, accompagnata da altre sensazioni come bruciore, dolore, formicolio. Nella SOA cronica l'eruzione pomfoide è sovente notturna e il prurito è in questo caso molto avvertito; questo fenomeno sembra dovuto ai bassi livelli notturni di cortisolo. Alla sintomatologia cutanea si associano talvolta sintomi e segni di carattere sistemico a carico delle prime vie aeree e digestive o delle articolazioni.
Le cause principali (in ordine di frequenza) sono farmaci, alimenti e infezioni.
I meccanismi patogenetici vengono classificati in immunologici e extraimmunologici.
SOA da meccanismi immunologici
La SOA IgE-mediata è la classica orticaria allergica e il pomfo rappresenta l’espressione della reazione immunologica che avviene sulla superficie del mastocita o del basofilo tra due molecole contigue di IgE fissate sulla membrana cellulare e l'allergene specifico. II contatto con l'antigene stimola i mastociti sensibilizzati che riversano all'esterno i propri mediatori. Gli allergeni possono essere: pollini, inalanti, alimenti, lieviti e farmaci quali la penicillina, alcuni ormoni (insulina), enzimi, sieri eterologhi e il veleno di alcuni insetti (imenotteri).
La SOA da immunocomplessi circolanti si manifesta quando questi, superato il vallo endoteliale, si depositano nel derma o nella sottomucosa vasale e attivano la cascata complementare oppure interagiscono con le membrane dei fagociti mononucleati o delle piastrine. Possono indurre una SOA da IC alcuni virus (mononucleosi infettiva, epatite B e C, coxackievirus), batteri (stafilococchi e streptococchi, micobatteri), miceti e clamidie, antigeni nucleari in corso di LES o altre connettivopatie, antigeni di derivazione neoplastica o da altre malattie linfoproliferative (anche se di difficile documentazione), immunoglobuline modificate tipo le crioglobuline.
SOA da meccanismi extraimmunologici
La maggior parte dei casi è sostenuta dall'attivazione diretta dei mastociti cutanei; esistono infatti numerose sostanze in grado di svolgere attività mastocitolitica diretta.
L'attivazione non immunologica della cascata del complemento è un ulteriore meccanismo, promosso da alcuni farmaci, mezzi di contrasto, alcuni antigeni di origine batterica, endotossine e il veleno di alcuni serpenti. La SOA da attivazione del "sistema delle chinine" è sostenuta dall’attività vasodilatante, permeabilizzante e stimolante delle terminazioni nervose esercitata dalle chinine.
Un’altra causa è l’alterato metabolismo dell’acido arachidonico, dovuto a FANS e acido acetilsalicilico. È spesso accompagnato da asma, e sembra dovuta all’eccessiva produzione di leucotrieni.
Orticaria cronica idiopatica
È Ia forma più frequente tra tutte le orticarie e ha una incidenza del 70-80%
È un’eruzione pomfoide accompagnata o meno da angioedema, a comparsa giornaliera, che persiste oltre le 6 settimane e nella quale l'agente eziologico fondamentale resta sconosciuto.
Si può osservare in entrambi i sessi, con una leggera prevalenza nelle donne adulte. Il decorso della malattia è imprevedibile. Dal punto di vista clinico le lesioni pomfoidi hanno forma e grandezza variabili. Durante gli episodi acuti è frequente osservare l'angioedema localizzato in particolar modo alle palpebre e alle labbra.
Concause e/o aggravanti sono:
Orticarie fisiche
Sono indotte, in maniera riproducibile, da fattori ambientali. Rappresentano il 20% di tutte le orticarie croniche; prevalgono nei giovani adulti e sono più frequenti nelle donne.
Orticaria vasculitica
È una sindrome caratterizzata da pomfi che, all’esame istologico, rivelano una vasculite leucocitoclasica (o necrotizzante). Prevale nel sesso femminile ed è riscontrabile nel 5% dei pazienti con orticaria cronica. I pomfi sono prevalentemente di piccole-medie dimensioni, durano 2-3 giorni, possono essere dolorosi e regrediscono lasciando talvolta esiti purpurici; il prurito è assente o di modesta entità. La lesione cutanea può essere accompagnata talvolta da sintomi di carattere generale come febbre, artralgie, dolori addominali o toracici, glomerulonefrite e uveite.
Orticaria da contatto
Rappresenta una risposta della cute sana al semplice contatto con alcune sostanze rapidamente assorbibili (come ortica, lattice, sostanze chimiche, farmaci). La reazione cutanea è immediata (20-30 minuti) e persiste per 12-24 ore; è possibile tuttavia osservare anche una insorgenza ritardata (3-5 ore), dovuta probabilmente a un riassorbimento cutaneo più lento. Si verifica senza un precedente stato di sensibilizzazione, ed è più frequentemente dovuta a meccanismi extraimmunologici. Dal punto vista clinico si possono osservare quadri sia localizzati sia generalizzati.
Angioedema ereditario
È una malattia autosomica dominante dovuta a deficit dell’inibitore della prima frazione del complemento (C1-INH), caratterizzata dalla comparsa di crisi edematose che possono interessare ogni parte del corpo, con una durata da 36 ore a 5 giorni. Generalmente non è associato a orticaria.
Angioedema acquisito
Compare dopo i 40 anni di vita, in pazienti con malattie linfoproliferative e neoplastiche, senza storia familiare di angioedema. Esiste anche una forma autoimmune. Clinicamente è uguale alla forma ereditaria.
C’è una massiva attivazione della via classica del complemento, che spiega i bassi livelli plasmatici di C1 (elemento caratteristico che manca nella forma ereditaria); inoltre il profilo del complemento è caratterizzato da deficit di C1-INH, di C4 e di C2.
Terapia
Nella SOA la terapia ideale è l’eliminazione e l’allontanamento della causa e/o la prevenzione; la terapia farmacologia, infatti, è soltanto un intervento sintomatico. I pazienti con orticaria cronica devono, per quanto possibile, eliminare tutti i fattori e Ie sostanze che notoriamente sono in grado di scatenare o aggravare un’eruzione orticariana, quali acido acetilsalicilico e altri farmaci antinfiammatori non steroidei, codeina, ACE-inibitori, alcune bevande colorate, alcol, crostacei, e stress fisici ed emozionali.
La terapia sintomatica è basata essenzialmente sull’uso di farmaci in grado di contrastare l’istamina e gli altri mediatori coinvolti, in particolare gli antistaminici (per via sistemica), di prima e seconda generazione, che bloccano i recettori H1 e H2. Si possono utilizzare anche farmaci stabilizzanti la membrana (come l’oxatomide) che agiscono sia sui recettori che sui mastociti, impedendone la degranulazione. Tra di essi c’è la nifedipina, che inibisce la pompa per il calcio.
Il cortisone non va mai dato! Infatti, blocca tutti i meccanismi che entrano in gioco nella SOA, compresi quelli che la limitano. Sembra addirittura che le orticarie divengano croniche per effetto del cortisone. In ogni caso, l’orticaria o si risolve da sola, o diventa cronica: è quindi sconsigliabile instaurare una terapia cortisonica cronica, in quanto ha sì un effetto immediato, ma la sintomatologia riprende dopo la sua metabolizzazione.
DERMATITE ATOPICA
È la forma cutanea dell’atopia: l’individuo risponde in modo esagerato a stimoli comuni. È una sindrome multifattoriale, familiare, con trasmissione autosomica recessiva, caratterizzata sul piano clinico da una dermatite pruriginosa a evoluzione cronico-recidivante, e sul piano biologico da un’iperreattività cutanea. Il sintomo fondamentale è il prurito, che risulta insopportabile.
Essa si associa in un’elevata percentuale di casi a malattie atopiche extra-cutanee (soprattutto asma e rinite allergica) e si caratterizza in oltre il 60% dei casi per Ia presenza anticorpi IgE diretti contro allergeni ubiquitari (che però non possono essere la causa, altrimenti ci sarebbero in tutti i pazienti), per la presenza di un infiltrato linfocitario di tipo helper, prevalentemente Th2, e per il fenotipo particolare delle cellule di Langerhans che esprimono recettori ad alta e bassa affinità per le IgE.
Il meccanismo patogenetico è cellulo-mediato e anticorpo-mediato (IgE). La dermatite atopica è caratterizzata da una diminuzione delle funzioni di barriera cutanee, sostanzialmente per una diminuzione dei ceramidi epidermici, comprovata da un aumento della perdita d’acqua transepidermica. Il danno di barriera facilita la penetrazione di molecole irritanti e/o sensibilizzanti (allergeni e apteni), capaci di attivare i cheratinociti (e le cellule di Langerhans), con secrezione di citochine e con conseguente facilitazione del reclutamento delle cellule circolanti e della loro infiltrazione cutanea.
È una patologia tipica dell’età pediatrica; la maggior parte dei casi insorgono entro il primo anno.Nel 5% dei casi le prime manifestazioni della malattia si possono osservare nell’adolescenza e nella giovinezza.
La xerosi o secchezza cutanea si riscontra in oltre l’80% dei casi.
La cheilite atopica si manifesta con lesioni eritematose, in genere secche e desquamanti che colpiscono le labbra e regione periorale. Il risparmio del triangolo naso-mentoniero si associa spesso al pallore facciale, come segno di una vasocostrizione che è alla base del dermografismo bianco.
La dermatite cronica delle mani si presenta ora con macule eritematose, desquamanti, con tendenza alla formazione di ragadi, ora con vescicole e squame “disidrosiche” della superficie laterale delle dita e del palmo, ora con eritema, edema, desquamazione persistente e ragadi dei polpastrelli. È più frequente nelle donne con sensibilizzazione da contatto, in genere aI nichel.
La dermatite atopica può essere complicata da infezioni batteriche (St. aureus), virali (herpesvirus) e fungine (Trichophyton rubrum).
La diagnosi è clinica. Gli esami bioumorali più significativi sono rappresentati dal dosaggio delle IgE sieriche (in genere elevato) e dalla determinazione degli anticorpi lgE verso i più comuni allergeni inalanti e alimentari. Gli allergeni possono essere ricercati con test in vivo sulla cute o in vitro sul siero. Il test in vivo utilizzato oggi si chiama Prick test e consiste in una puntura nella cute con un ago imbevuto della soluzione allergenica. La lettura del test è immediata dopo 5-30 minuti: il test è positivo se compare un pomfo orticarioide con pseudopodi; è indotto dalla degranulazione dei mastociti sensibilizzati al contatto con l’allergene. II grado di positività si esprime secondo una scala da 1+ a 3+++ a seconda deII’ampiezza del pomfo (non è comunque molto importante, e anzi, l’esposizione a certe sostanze può essere peggiorativa). I test in vitro più usati sono radioimmunologici (RAST) o immunoenzimatici (ELISA).
È importante la prevenzione, consistente nell’evitare quei fattori che la peggiorano.
Per quanto riguarda la terapia, si può trattare con catrame minerale, che ha potere riducente (il catrame dà carcinoma nel topo, ma non nell’uomo!). D’estate è utile andare in vacanza al mare (elioterapia), perché il sole deprime la risposta immunitaria.
DERMATITE ALLERGICA DA CONTATTO
È molto frequente sia nell’ambiente lavorativo che extraprofessionale. La dermatite da contatto professionale rappresenta la seconda malattia professionale, e il 50% di queste dermatiti è di natura allergica. Gli apteni che inducono più DAC sono il nichel (30%), il cromo (7%), il cobalto (7%), i profumi (6%) e il mercurio (4%).
Gli agenti eziologici sono allergeni incompleti o apteni, che penetrano nell’epidermide e interagiscono con molecole proteiche diventando antigeni completi, immunogeni. L’antigene viene presentato dalle cellule di Langerhans e delle cellule dendritiche dermiche ai linfociti T vergini nella zona paracorticale dei linfonodi regionali, che proliferano, diventano cellule con memoria immunologica specifica ed esprimono un recettore specifico (CLA) che ne condiziona la ricircolazione preferenziale nella cute, completando così la fase di sensibilizzazione che si svolge in circa 5-7 giorni. La reintroduzione dell’antigene nell’organismo sensibilizzato induce la fase di elicitazione, che si manifesta in 24-72 ore, e che impegna i linfociti T antigene-specifici Th1 a spingersi nella zona di riapplicazione dell’antigene, a liberare citochine capaci di indurre il danno tissutale congiuntamente alle citochine liberate dai polimorfonucleati e monociti richiamati nella cute.
Nella polisensibilizzazione si tratta di allergie da contatto a due o più apteni; nel caso della sensibilizzazione crociata l’allergia si manifesta verso sostanze con stretta affinità di composizione chimica, o che diviene tale per processi metabolici. Se sono fondamentali i fattori esogeni di rischio legati all’esposizione all’aptene, una notevole importanza rivestono anche i fattori di predisposizione come l’atopia.
Le lesioni obiettive si manifestano sempre nella sede, o sedi, di contatto (lesioni primitive); nella maggior parte dei casi esse si estendono oltre l’area di applicazione diretta della sostanza allergizzante; in alcuni casi si osservano manifestazioni a distanza apparentemente senza legame con il contatto con l’aptene (lesioni secondarie].
Le lesioni di più frequente riscontro sono macule eritematose, edematose, seguite da vescicole spongiotiche di piccola taglia (a “capocchia di spillo”), raggruppate, che evolvono in una fase essudativa sierosa, con successiva formazione di croste e squame. Quasi sempre accompagnate da prurito, le lesioni possono rimanere localizzate nella sede iniziale per mesi, oppure regredire in giorni o settimane, oppure ancora estendersi a zone vicine o diffondersi a distanza. La DAC tende a recidivare in seguito a nuovi contatti con l’allergene originale o altri allergeni per reazioni crociate.
La DAC complica spesso Ie ulcere vascolari degliarti inferiori, particolarmente quelle da insufficienza venosa cronica, conferendo un aspetto vescico-essudativo; Ia causa prevalente è costituita dai medicamenti topici, che rappresentano la causa più frequente della sensibilizzazione da contatto negli anziani.
La diagnosi si basa sull’anamnesi, sulla clinica e sulla positività dei test epicutanei o patch test. I test epicutanei consistono neII’applicazione, su una zona di cute indenne, degli apteni sospetti, in genere veicolati in sostanze a diversa solubilità, in concentrazioni predeterminate, inferiori alla soglia media di irritazione. II materiale viene deposto su opportuni supporti e applicato sulla cute per mezzo di dispositivi capaci di garantire una perfetta adesione alla cute; viene poi rimosso dopo 48-72 ore. La positività del test si basa sulla comparsa di una reattività cutanea che può esprimersi con la presenza di un eritema (+) oppure di eritema e vescicole (++) oppure di eritema molto intenso, con numerose vescico-bolle (+++). Se si sospetta una fotoallergia, si esegue il fotopatch test, che consiste nell’applicazione di una doppia serie di apteni, nell’irradiazione di una sola serie dopo 24 ore, e nella lettura del test dopo altre 48 ore; in caso di positività solo la zona irradiata mostrerà la reattività cutanea.
La terapia consiste, oltre all’evitare gli allergeni se possibile, nell’applicazione di corticosteroidi topici, e, nelle fasi avanzate, di emollienti e idratanti, per proteggere in modo sufficiente la barriera cutanea alterata.
15/11/00
DA DIFETTO DI CHERATINIZZAZIONE
È un disordine maturativo, non degenerativo né infettivo, che si presenta come una dermatite eritemato-squamosa a decorso cronico, che prevede fasi di miglioramento, di remissione spontanea e di esacerbazione. Si associa spesso a una artropatia. Ha una genesi multifattoriale, a cui concorrono fattori genetici e ambientali. È caratterizzata da una iperproliferazione dei cheratinociti e dall'infiltrazione di Iinfociti T attivati, prevalentemente Th1.
Non c'è differenza tra i sessi, anche se le donne tendono ad ammalarsi più precocemente; la maggior paste dei casi si sviluppa entro la terza decade di vita. Nei bambini la psoriasi compare tra i 5 e i 12 anni di vita, spesso in modo eruttivo dopo una tonsillite streptococcica o una vaccinazione. La familiarità è dimostrata in più di un terzo dei casi (autosomica dominante a ridotta penetranza). La spondilite psoriasica si associa a HLA-B27: è una poliartrite molto invalidante, che non permette l’assunzione di FANS e retinoidi.
II passaggio tra la forma latente, genomica, e la forma clinicamente evidente, fenotipica, della psoriasi si realizza per l'intervento di una sene fattori scatenanti endogeni ed esogeni.
Ha un andamento cronico, con numerose riacutizzazioni, miglioramenti e talora persistenti remissioni (nel 17-55% dei casi, con durata da 1 a 50 anni).
In genere l'esordio precoce è predittivo di una maggiore gravita della psoriasi. Inoltre i farmaci impiegati per la terapia condizionano la prognosi, anche per gli effetti collaterali che possono provocare trattamenti prolungati. È importante evitare un eccesso terapeutico e introdurre pause tra i cicli di cura, modulando la terapia non sulla cura della singola lesione, ma sull'espressività clinica complessiva della malattia.
Le alterazioni più evidenti nella cute psoriasica sono l’iperplasia epidermica (acantosi) e la flogosi dermoepidermica con ispessimento (papillomatosi); responsabili sono le citochine sintetizzate da cheratinociti, linfociti T, fibroblasti, endoteliociti, cellule di Langerhans e dendrociti.
L'iperplasia epidermica si accompagna a un aumento del ritmo mitotico di circa 8 volte, per cui un cheratinocita basale raggiunge lo strato corneo in 4 giorni circa invece dei 28 soliti. Si ha quindi un difetto di maturazione (il cheratinocita cresce troppo in fretta e non matura completamente), con formazione di uno strato paracheratosico, in cui i cheratinociti hanno ancora il nucleo (nelle zone vicine alla lesione le cellule crescono normalmente). Il secondo evento biologico rilevante nella psoriasi è la presenza di linfociti T attivati infiltrati nelle giunzioni, con formazione di microascessi.
La lesione elementare è una maculo-papula eritemato-squamosa, generalmente arrotondata, dai bordi netti. Le squame sono biancastre, secche, in genere piuttosto grandi e spesse. L'asportazione avviene facilmente; il grattamento metodico delle squame le "sfarina", come gocce di cera (segno della goccia), lasciando una ultima pellicola piuttosto aderente (pellicola di Duncan) che, asportata, fa intravedere un fine stillicidio ematico (segno della rugiada).
L’eritema è ben evidente alla periferia della lesione, scompare alla vitropressione e può essere circondato da un alone chiaro. Nella maggior parte dei casi la lesione è asintomatica. Le dimensioni variano da pochi mm (forma guttata), a qualche cm (forma nummulare), a una decina di cm e oltre (forma in placche).
Psoriasi volgare
È localizzata alle superfici estensorie dei gomiti e delle ginocchia, alla regione lombosacrale, al cuoio capelluto e alle mani. Le lesioni sono costituite da placche di forma rotondeggiante o ovalare, a bordi netti, infiltrate, spesso simmetriche. II decorso è cronico. Al cuoio capelluto le placche possono essere isolate o confluire fino a coprire larga parte del cuoio capelluto, con una linea precisa di demarcazione all’attaccatura dei capelli, il cui aspetto e la cui crescita non vengono compromessi. Alla superficie palmoplantare la psoriasi può assumere un aspetto ipercheratosico, con fissurazioni ragadiformi, o può presentarsi con lesioni ipercheratosiche circoscritte, a forma di cono (chiodi psoriasici).
Psoriasi eruttiva
La psoriasi guttata e Ia psoriasi nummulare rappresentano le forme più frequenti di psoriasi eruttiva.
Nella forma guttata gli elementi papulosi sono di piccola taglia (1 cm) con localizzazione preferenziale.al tronco; in quella nummulare la taglia è Iievemente più grande (4 cm), l'aspetto anulare, il colore rosso intenso e le lesioni interessano il tronco e gli arti.
Nelle zone delle grandi pieghe soprattutto nei soggetti obesi e/o diabetici, le lesioni psoriasiche si manifestano come macule eritematose, lisce, lucenti, spesso macerate, prive di squame.
Può estendersi a quasi tutto l'ambito cutaneo; la desquamazione é particolarmente abbondante, mentre 1'eritema è modesto.
In genere questa grave condizione morbosa si osserva per errori terapeutici (più frequentemente per la sospensione improvvisa della terapia steroidea sistemica), molto raramente rappresenta la modalità di esordio. La cute è intensamente eritematosa, subedematosa, finemente desquamante: è presente una linfoadenite superficiale generalizzata; spesso si riscontrano febbre con brividi, astenia, malessere generale. Se l'eritrodermia permane per alcuni giorni, può subentrare uno scompenso cardiocircolatorio.
Le alterazioni più frequenti sono: le depressioni cupoliformi, le chiazze a macchia d'olio, l’onicolisi (distacco della lamina dal letto ungueali), l’ipercheratosi subungueale, anomalie di superficie della lamina ungueale, emorragie "a scheggia". Sono dovute al fatto che l’unghia cresce tropo velocemente e non riesce a saldarsi (diventa opaca e si stacca dal letto ungueale).
È una forma violenta, caratterizzata dalla presenza di molte micropustole amicrobiche.
La psoriasi volgare si avvale soprattutto di emollienti (per esempio vaselina alba) e cheratolitici (come acido salicilico al 5%), in genere associati, per ottenere l'allontanamento delle squame, necessario per il successo di ogni terapia locale. Allontanate le squame, si usano topici a base di ditranolo (o metotrexate), applicati per 30 minuti per cicli di 30 giorni circa. L’effetto collaterale, in questo caso, può essere un'irritazione cutanea. Allo stesso modo si possono utilizzare anche prodotti topici a base di analoghi della vitamina D3 (calcitriolo) o di derivati degli acidi retinoidi. Questi ultimi sono derivati della vitamina A (i cheratinociti non hanno recettori per questa vitamina, ma per l’acido retinoico sì), che, una volta entrati nella cellula, si legano al nucleo e stimolano la proliferazione e la differenziazione delle cellule normali (mentre nelle cellule tumorali rallentano la replicazione). Possono essere dati per via topica (tazarotene) o per via orale (acitretin) Effetti collaterali possibili di un loro uso corretto sono le irritazioni. È ottimo anche il catrame.
I topici cortisonici vengono impiegati per localizzazioni particolari, come il viso, i genitali, le regioni di piega, specialmente se le lesioni sono particolarmente infiammate; sono utili, uniti all'acido salicilico, nelle localizzazioni al cuoio capelluto; è comunque sempre meglio evitarli.
Di fronte a psoriasi in placca estese a oltre il 50% della superficie cutanea, o resistenti alle terapie topiche, si impiegano (spesso si associano) terapie fisiche con UVA o UVB.
Molto efficace si è rivelata la fotochemioterapia, che prevede l'associazione di sostanze fotoattive, psoraleni e UVA (PUVA). Gli psoraleni, attivati dagli UVA, si legano essenzialmente a due catene del DNA, formando un legame crociato intercatenario, e provocando un effetto antimitotico sui cheratinociti, impedendo così l'iperplasia epidermica. La PUVA terapia può essere effettuata anche localmente. Gli effetti collaterali principali sono i potenziali rischi cancerogeni cutanei nei soggetti trattati per lunghi periodi.
Casi resistenti alla PUVA-terapia possono essere trattati con retinoidi aromatici (isotretinoina) da soli o associati alla PUVA-terapia. Effetti collaterali importanti sono la teratogenicità oltre che alterazioni metaboliche a carico dei trigliceridi, del colesterolo e della funzione epatica, riscontrabili in oltre il 20% dei casi.
Di grande efficacia si è rilevata la ciclosporina A, probabilmente per la sua capacità di agire sull'attivazione dei linfociti T helper, impedendone l'espansione, e quindi controllando l'immunoflogosi. I maggiori effetti collaterali sono l'ipertensione e la glomerulonefropatia. Viene usata nella psoriasi grave e incontrollabile.
Di grande utilità è la eliobalneoterapia, capace di indurre notevoli miglioramenti e la regressione in oltre l'80% dei casi.
DERMATITE SEBORROICA
La dermatite seborroica è un’affezione eczematiforme delle regioni ad alta secrezione sebacea. È una delle più frequenti affezioni cutanee. Rara prima della pubertà, la dermatite seborroica raggiunge la sua massima incidenza verso il quarto e quinto decennio, con una decisa preferenza per il sesso maschile e per taluni gruppi dì soggetti che hanno in comune la vita alla luce artificiale (allettati, carcerati, lavoratori ai videoterminali ecc.).
Si manifesta con una chiazza eritematosa a sfumatura giallastra, ricoperta da squame larghe, untuose e facilmente distaccabili. Nelle fasi più acute, sotto la squama si evidenzia una superficie lievemente essudante. Il prurito è di solito limitato (ma socialmente imbarazzante) alle lesioni del cuoio capelluto e a quelle auricolari, dove il grattamento può portare a superinfezioni batteriche.
Le lesioni si localizzano soprattutto alle zone seborroiche: cuoio capelluto (95%), volto (in particolare alle pieghe nasali), glabella e zone retroauricolari (72%) e alle aree mediotoraciche e interscapolari (30%) . Più di rado sono colpite le pieghe interglutee e i genitali esterni. Al volto la lesione può estendersi “a farfalla” , oppure, nei soggetti con baffi e barba, alle zone coperte da peli. Blefarite e congiuntivite possono associarsi o essere anche isolate. La conca auricolare e il condotto acustico esterno sono facilmente interessati.
Il decorso è cronico, con episodi acuti e tipiche remissioni estive. La dermatite seborroica può comportarsi da stimolo di Koebner e trapassare insensibilmente in psoriasi nel soggetto geneticamente predisposto.
Nel bambino inizia tra la seconda settimana e il terzo mese, con lesioni desquamative del cuoio capelluto che ricoprono come un casco (crosta lattea) e della parte centrale del volto. Molti casi guariscono spontaneamente dopo il terzo mese, per riprendere in età adulta, talora, generalmente nelle forme estese, con caratteri francamente psoriasici. Certe forme si riveleranno essere in seguito dermatiti atopiche.
Il 31% dei soggetti HIV-positivi asintomatici e l’83% di quelli affetti da AIDS sviluppano una dermatite seborroica grave ed estesa con lesioni papulose e infiammatorie che possono risparmiare il cuoio capelluto, talora assumendo aspetti psoriasiformi.
È dovuta a un disturbo metabolico della crescita (forse dovuto a miceti come malasezzia furfur), che risulta accelerata, con formazione di paracheratosi (non è maligna né contagiosa). Lo stress è un fattore scatenante gli episodi acuti, seguito da abusi alimentari e eccesso di alcool.
Si cura con riducenti seborroici e antimicotici. È meglio non utilizzare i corticosteroidi, in quanto possono indurre gonfiore e eritrosi persistente.
DA ALTRE CAUSE
È una dermatite papulosa cronica con possibili episodi acuti, talvolta a carattere eruttivo. Insorge tra i 30 e i 70 anni, in entrambi i sessi.
È una malattia autoimmune, nella quale un processo citotossico, mediato da linfociti T, attacca e distrugge i cheratinociti in replicazione nell'epidermide e/o del pelo e delle unghie. I cheratinociti aggrediti possono esprimere sulla loro superficie un antigene sicuramente eterogeneo o condividere epitopi comuni con altri epiteliociti danneggiati. Gli antigeni eterogenei possono essere di natura tossica (farmaci), virale (HBV e HCV) o aptenica (da contatto). Gli epiteliociti aggrediti primitivamente possono essere quelli epatocitari, dei duttuli biliari, della mucosa intestinale, della vescica. Istologicamente è visibile un infiltrato linfocitario alla giunzione dermoepidermica, con ipergranulosi e acantosi. Talora il danno è tale che si osserva un distacco dermoepidermico.
La lesione elementare è una papula poligonale di piccole dimensioni, violacea, molto pruriginosa, capace di confluire con papule vicine a formare placche più estese. Nella forma classica, che si può osservare sulla faccia volare del polso, le papule sono di colore rosso violaceo con diametro di 1-2 mm, percorse da esili strie biancastre (strie di Wickham), meglio visibili quando viene unta la superficie della papula con olio di vaselina. Le papule possono interessare altre aree e perfino tutto l'ambito corporeo. Di regola, il prurito è intenso, ma può anche essere modesto o mancare del tutto.
II lichen assume aspetti diversi a seconda della sede. Alla zona pretibiale il lichen assume caratteri ipertrofici verrucosi ed è particolarmente pruriginoso (lichen verrucosus), mentre nei genitali maschili le papule si raggruppano in forma anulare. Forme meno comuni sono:
Le mucose sono frequentemente colpite. Nella forma classica la faccia interna e posteriore delle guance presenta striature biancastre, lucide, talvolta reticolate, talaltra confluenti in placche. Anche le labbra e la lingua, quest'ultima nella sua porzione centrale, possono presentare lesioni analoghe. Nella forma erosiva (lichen erosivo), invece, labbra e lingua sono colpite preferenzialmente con erosioni superficiali.
Il lichen orale è considerato una lesione precancerosa, anche se il rischio relativo è solo doppio rispetto a quello della popolazione generale. È probabile che altri fattori, come il fumo di sigaretta, debbano coagire.
Le unghie, colpite nel 10% dei casi, appaiono ruvide, solcate longitudinalmente, assottigliate e talora distrutte.
II Iichen può associarsi a malattie viscerali della stessa natura, come colite ulcerosa, epatite cronica attiva postvirale da HBV o HCV, cirrosi biliare primitiva.
Le lesioni cutanee non meritano di solito terapia generale (sparisce da solo entro sei mesi, ma può tornare), ma solo medicazioni con un corticosteroide topico. Quando è necessario (lichen erosivo e forme acute), la terapia è generale e immunosoppressiva.
È una comune malattia acquisita, caratterizzata da macule o chiazze ben circoscritte, ameIanotiche o ipomelanotiche, nelle quali istologicamente i melanociti sono assenti o ridotti di numero.
È probabilmente dovuta ad alterazioni intrinseche o neurogeniche dei melanociti, che inducono la formazione di neoantigeni, con conseguente risposta autoimmune, che causa a sua volta un danno citotossico, responsabile di alterazioni metaboliche, in primis la formazione di radicali liberi dell'ossigeno, non eliminati efficacemente per un difetto dei sistemi scavengers. Si ha un movimento anticorpale poco specifico.
La vitiligine può comparire a qualsiasi età, ma più spesso prima dei 20 anni, e lentamente progredisce (la forma famigliare inizia intorno ai 40 anni). Le macule ipomelanotiche o amelanotiche frequentemente esordiscono in maniera simmetrica su aree fotoesposte (viso e dorso delle mani): sono rotonde od ovali, tendono ad allargarsi e a confluire in chiazze dal contorno irregolarmente frastagliato, che sono abbastanza spesso ipermelanocitiche alla periferia.
Talvolta si possono osservare contemporaneamente gradualità di pigmentazione melanica (vitiligine tricromica) ossia aree normalmente melanotiche di cute apparentemente sana, aree di colore più chiaro e aree amelanotiche. Si distinguono tre forme.
I peli, presenti nelle macule o nelle chiazze, restano frequentemente pigmentati, ma nelle lesioni di lunga durata diventano grigi o bianchi. Le mucose sono raramente interessate.
Le anomalie cutanee più frequentemente associate sono i nevi di Sutton, che generalmente precedono Ia vitiligine. Può associarsi a malattie autoimmuni, come la tiroidite autoimmune.
II decorso è cronico con lenta progressione, anche se talvolta ci può essere un rapido peggioramento in qualche mese, seguito poi da quiescenza per anni: la repigmentazione spontanea avviene nel 10-20% dei soggetti affetti, soprattutto giovani, e in aree fotoesposte.
Nella stagione estiva è necessario l'uso topico di sostanze fotoprotettrici. La terapia elettiva è ritenuta la fototerapia con UVB.
Nelle forme circoscritte croniche si utilizzano con successo gli autoinnesti di cute sana o di lamine di cheratinociti e melanociti autologhi espansi in laboratorio.
Nell'eventualità di una vitiligine universale si può attuare la depigmentazione delle aree di cute normale.
Per acne si intende un processo infiammatorio delle unità follicolo-sebacee caratterizzato da papule, pustole e talvolta noduli ed esiti cicatriziali, la cui lesione elementare è il comedone. Il comedone è una dilatazione dell'infundibolo del pelo contenente soprattutto cheratina, ma anche lipidi, pigmenti melanici, batteri microaerobi (specialmente Propionibacteriun acnes) e peli. Si distinguono comedoni aperti, con orifizio dilatato, di colore scuro per l’ossidazione (punti neri), oppure bianchi (contenenti solo cheratina), e comedoni chiusi, con orifizio molto piccolo (punti sottopelle), vere microcisti follicolari.
Esordisce alla pubertà; è rara l'insorgenza in età più precoce e la durata oltre i 30 anni.
L'elemento patogenetico fondamentale sono le alterazioni della cheratinizzazione della parte inferiore deII'infundibolo, struttura che, a differenza della parte superiore o esterna, di norma non cheratinizza. Questo fenomeno, probabilmente indotto dagli ormoni, accompagnato da un'aumentata adesività dei cheratinociti, è responsabile dell'ostruzione dell'infundibolo e quindi della formazione del comedone.
La secrezione sebacea è aumentata, quale effetto ulteriore dagli androgeni, ma la ghiandola sebacea annessa al comedone è atrofica.
AII'interno del comedone, la quota lipidica viene idrolizzata dalle lipasi di P. acnes, con conseguente liberazione di acidi grassi liberi. Attraverso la parete del comedone, in parte lisata dalle proteasi batteriche, gli acidi grassi filtrano nel derma richiamando neutrofili. Questi aggravano il danno epiteliale e producono un focolaio infiammatorio il cui essudato, ricco di neutrofili, forma la pustola follicolare. La rottura traumatica (da schiacciamento) del comedone chiuso aggrava il fenomeno, facendo passare quantità massicce dì acidi grassi nel derma circostante
La dieta non è importante. È comune che l'acne si aggravi nell'immediato periodo che precede le mestruazioni, forse come conseguenza della ritenzione idrica e deII'aumento dell'idratazione dell'unità follicolo-sebacea. È anche comune osservare un miglioramento in estate, probabilmente come effetto dell’azione immunosoppressiva dei raggi ultravioletti e del mascheramento esercitato dall'abbronzatura.
Nella donna, l'acne costituisce, insieme aII'ipertricosi e aII'alopecia, uno dei sintomi dell’ovaio policistico.
Le sedi elettive sono il viso, il dorso, le spalle e la regione pettorale; le lesioni, in genere polimorfe, si presentano in successione cronologica: prima di tipo non infiammatorio poi francamente infiammatorie, con fasi di remissione e fasi di peggioramento variabili per anni, spesso con attenuazione dopo i 20 anni di età.
Dal punto di vista morfologico, si distinguono acni comedoniche dominate dai comedoni aperti e chiusi.
Dopo tempi variabili, compaiono papule eritematose sparse e papulo-pustole, che configurano lo stadio dell'acne papulo-pustolosa molto comune prima dei 20 anni. In casi più gravi possono insorgere lesioni nodulari e cistiche con tendenza all'ascessualizzazione (acne nodulo-cistica). Gli esiti sono variabili, e possono consistere in discromie transitorie oppure in cicatrici, spesso depresse, raramente ipertrofiche o addirittura cheloidi (acne cheloidea).
Nelle forme lievi è preferibile usare soltanto prodotti locali in grado di normalizzare il processo di cheratinizzazione a livello dell’ostio follicolare come l'acido retinoico (l’uso topico non ha controindicazioni, nemmeno in gravidanza), oppure sostanze ad azione antibiotica-antisettica.
Nelle forme più impegnative si ricorre all'uso sistemico, combinato spesso alla terapia locale, di antibiotici (no tetracicline!), antiandrogeni e estrogeni.
L'isotretinoina o acido 13-cis-retinoico per via sistemica va riservata alle forme gravi di acne (acne nodulo-cistica), resistenti alle altre terapie, in quanto è sicuramente teratogena e può comportare numerosi effetti collaterali: elevazione dei livelli di colesterolo e trigliceridi, metaplasia calcificante dei tendini, ipertensione endocranica e depressione.
Gii antiandrogeni, usati in associazione con un estrogeno e impiegati soltanto in pazienti di sesso femmine, hanno un'azione inibente Ia produzione del sebo.
Si tratta di una forma cronica grave di acne, caratterizzata da lesioni nodulari e cistiche, isolate e confluenti, con frequente pseudo ascessualizzazione (il pus è sterile o contiene di norma batteri residenti). Colpisce prevalentemente i maschi.
Non rara, inizia aIla pubertà e dura anche dopo i 40 anni. Il viso è classicamente risparmiato, mentre il dorso e la regione prestemale sono le sedi tipiche.
Il decorso è estremamente cronico e l'amiloidosi renale è una possibile e temibile conseguenza. È probabile che sia in gioco una particolare reattività immunitaria.
La terapia si fonda sull'isotretinoina.
Possono avere diverse cause.
In Italia, le malattie a trasmissione sessuale più frequenti sono i condilomi acuminati, le uretriti e le cervicovaginiti non gonococciche, l’herpes genitale, le uretriti gonococciche, la lue latente e la lue primitiva-secondaria.
SIFILIDE
È un’infezione cronica causata da treponema pallidum, abitualmente caratterizzata da manifestazioni cliniche della cute e delle mucose, occasionalmente di altri organi e apparati. Treponema pallidum è una spirocheta a cavatappi, in grado di penetrare attraverso minuscole abrasioni delle mucose, molto mobile e delicato, che muore rapidamente al di fuori dell’organismo e si colora poco. La trasmissione della malattia avviene abitualmente per contagio diretto per via sessuale o per via transplacentare (madre-bambino); eccezionalmente per contatti non sessuali o tramite oggetti.
In Italia l’incidenza è diminuita enormemente negli ultimi anni; è più frequente tra giovani militari, tossicodipendenti e prostitute.
SIFILIDE PRIMARIA
Dopo un periodo di incubazione di circa 3 settimane si manifestano i due segni del periodo primario: il sifiloma e l’adenite satellite. Il sifiloma compare nella sede di contatto con il Treponema; di solito è unico. Si presenta come un nodulo rosso-scuro, eroso, rotondeggiante, con fondo di colorito rosso vivo, sieroso, a margini netti, delle dimensioni di qualche mm, con bordi duri, indolente. Si possono osservare sifilomi atipici per dimensioni, aspetto (ulcerosi, gangrenosi, difteroidi) e per numero (sifilomi multipli). La sede è normalmente genitale; ci possono comunque essere localizzazioni extra-genitali (ano, labbro inferiore, tonsille, capezzolo, pube, collo dell’utero). Il sifiloma guarisce senza esiti, raramente con una atrofia, entro 4-6 settimane circa. Quasi contemporaneamente al sifiloma compare una linfadenite satellite: i linfonodi sono duri, mobili, indolenti, multipli, grandi da una nocciola a una noce. La diagnosi clinica viene confermata dalla positività della ricerca di Treponema dal materiale sieroso del fondo del sifiloma con l’esame diretto al microscopio in campo oscuro (paraboloide). Gli esami sierologici si positivizzano a distanza di pochi giorni dal sifiloma.
SIFILIDE SECONDARIA
Due mesi dopo il contagio, e quindi dopo circa 30 giorni dalla comparsa del sifiloma, in un quarto dei casi non trattati, in seguito alla diffusione ematica di Treponema, compaiono le lesioni polimorfe del periodo secondario, che si può prolungare per 2-3 anni.
La roseola rappresenta la prima manifestazione esantematica a distanza di 60-70 giorni dal contagio. L’eruzione è composta da un gran numero di macule di colorito roseo, di alcuni millimetri, piane, rotondeggianti o ovali, a limiti sfumati, non desquamanti; esse sono localizzate soprattutto al tronco e alle superfici flessorie degli arti superiori; persistono per pochi giorni e scompaiono senza esiti. L’eruzione è asintomatica, ma il paziente lamenta spesso cefalea, dolori ossei notturni, artromialgie, gastralgie e deperimento generale come segno della compromissione generale dell’organismo.
II sifiloderma papuloso lenticolare si manifesta dopo 3-4 mesi dal contagio. Si presenta con eruzioni subentranti di papule lenticolari di colore rosso rameico, con bordi netti, indolenti, che possono presentare alla periferia un orletto di desquamazione (orletto di Biett), e si risolvono con una macula pigmentaria. Sono disseminate sulla superficie cutanea o si raggruppano soprattutto a livello palmoplantare e in regione genitale e perianale, dove confluiscono in placche grigiastre, erosive, maleodoranti (condilomi piani).
Le manifestazioni della lue secondaria regrediscono in 1-2 mesi, ma in un quarto dei casi non trattati recidivano una o più volte, con lesioni più grandi e a più lenta risoluzione.
SIFILIDE TERZIARIA
Dopo il periodo secondario inizia una fase asintomatica, chiamata di latenza tardiva, destinata a rimanere tale nella maggior parte del casi. Le lesioni del periodo terziario, oggi rarissime, presentano un decorso cronico e degenerativo, sono poco numerose e in genere monomorfe. Possono interessare solo la cute e/o le mucose oppure compromettere altri tessuti.
A livello cutaneo Ie manifestazioni sono rappresentate da noduli, di colore rossastro, di piccole dimensioni, raggruppati in figurazioni anulari, con tendenza necrotico-ulcerativa, evoluzione cicatriziale al centro ed estensione periferica, localizzate prevalentemente al viso e agli arti inferiori. Le manifestazioni più caratteristi-che del periodo terziario sono Ie gomme cutaneo-mucose. Inizialmente si presentano come noduli duri, tondeggianti, a limiti netti, di colorito rosso cupo, che aumentano di volume, aderiscono ai piani profondi e si fistolizzano con fuoriuscita di materiale vischioso, gommoso. La gromma si ulcera ed esita lentamente in una cicatrice biancastra, liscia, retratta e deturpante. I noduli possono essere presenti anche a livello osseo.
Il treponema può passare la barriera ematoencefalica, e si può manifestare come demenza precoce o tabe dorsale (colpendo i vasi o i nervi). Possono crearsi anche reazioni autoimmuni che proseguono indipendentemente dall’eliminazione del microrganismo.
DIAGNOSI
La ricerca diretta, a fresco, del treponema si effettua nelle lesioni primitivo-secondarie abitate, usando un microscopio a campo oscuro.
La diagnosi seriologica è fondamentale. Si utilizzano due metodiche, in genere associate:
L’istologia non è specifica: si può rilevare la presenza di plasmacellule.
TERAPIA
È molto sensibile alla penicillina; se ne somministrano 7-10 milioni di unità per intramuscolo (meglio le preparazioni ritardo). In caso di neurosifilide si dà penicillina per infusione continua (ev) per quindici giorni.
GONORREA
Causata da Neisseria gonorrhoeae, I'Infezione determina a livello della mucosa urogenitale (e congiuntivale) una flogosi acuta purulenta.
È un diplococco Gram-negativo con sede prevalentemente intracellulare, che aggredisce i polimorfonucleati e gli epiteliociti. Una volta fagocitato dai fagociti, attrae migliaia di neutrofili, con produzione di pus.
In condizioni favorevoli di temperatura (37°C) e di umidità, vive e si moltiplica anche al di fuori dell'organismo umano, permettendo la trasmissione anche attraverso biancheria infetta. L'incubazione dura da 2 a 10 giorni.
L’uretrite anteriore acuta è tipica del maschio eterosessuale; la malattia si caratterizza per la essudazione uretrale di materiale, inizialmente sieroso e scarso, che, nel giro di 1-2 giorni, diviene abbondante, giallo-verdastro. Si accompagna senso di bruciore, dolore, disuria e nicturia. Può essere presente un’infiammazione acuta del glande e del prepuzio (balanopostite), con erosioni ed edema più o meno rilevante, sino ad una condizione di fimosi prepuziale. L'infezione può estendersi per via canalicolare ascendente alla prostata, alle vescicole seminali e all'epididimo, causando processi infiammatori.
Nel maschio omosessuale l'infezione gonococcica può interessare anche la regione ano-rettale (proctite) e Ia faringe (faringite).
Nel sesso femminile, la manifestazione più frequente è l’endocervicite, raramente acuta, quasi sempre di modesta entità (bruciore e lievi perdite), con scarso essudato sieroso. Può risalire dando endometrite, salpingite e peritonite, causando infertilità. Può manifestarsi anche con proctite, faringite e uretrite (rara). Nei Paesi in via di sviluppo si osserva ancora la congiuntivite gonococcica per contagio del neonato durante il passaggio nel canale del parto (da noi si fa profilassi con un collirio alla nascita). È una flogosi acuta, purulenta, che può complicarsi con una panoftalmite e conseguente cecità.
Gli accertamenti diagnostici si basano sul reperimento del gonococco nelle secrezioni: nell’uomo si ricerca nella secrezione uretrale, mentre nella donna è più difficile, e bisogna ricorrere all’esame microbiologico colturale del sangue.
Si cura con tetraciclina cloridrato, o, in caso di resistenza, con doxiciclina (dato che molti ceppi sono resistenti alla penicillina). È opportuno controllare il paziente a distanza, nel tempi opportuni. per escludere un'infezione luetica o da HIV.
INFEZIONI DA CHLAMYDIA
Le clamidie sono batteri di piccolissime dimensioni, parassiti intracellulari obbligati (formano prima corpi reticolari, e poi corpi elementari), Gram-negativi, che si riproducono solo in colture cellulari. Diversi sierotipi possono dare manifestazioni diverse. È un’infezione frequente in Italia, soprattutto nei giovani di 20-25 anni.
Linfogranuloma venereo
È causato dal ceppo L, ed è raro dalle nostre parti.
La lesione iniziale, quasi sempre presente, è un'erosione di circa 5 mm, rosso-rosea, non infiltrata, indolente, che scompare in pochi giorni senza esiti (ulcera adenogena). La sede è quella dell'inoculo. A distanza di pochi giorni o alcune settimane insorge la linfadenopatia inguinale, inizialmente monolaterale, spesso associata a linfangite. Possono essere presenti febbre, cefalea, artralgie, e può comparire un eritema polimorfo o nodoso. Si cura con tetracicline o eritromicina nei casi resistenti.
Infezioni genitali
È causato dai ceppi D e K, ed è frequente nel nostro paese.
Vengono soprattutto nei giovani adulti intorno ai 20 anni, celibi. La metà dei bambini nati da madri con infezioni da Chlamydia sviluppa la congiuntivite. Il periodo di incubazione varia da 7 a 14 giorni.
II 40-80% dei soggetti infetti va incontro soltanto a una sintomatologia assai lieve e transitoria e neII'arco di pochi mesi sembra verificarsi una guarigione spontanea.
NeII'uomo si manifesta con uretrite di modesta entità, siero-mucosa, purulenta, mentre nelle donne la manifestazione più frequente è l’endocervicite che decorre asintomatica nell'80% dei casi.
Le complicanze possono essere gravi, rappresentate da infezioni delle vie genitali superiori, con possibili esiti di sterilità. La diagnosi si fa con l’immunofluorescenza.
Si cura con macrolidi e tetracicline, somministrate per una settimana a dose piena.
La terapia topica (o locale) è in grado di risolvere una patologia cutanea spesso da sola, oppure può essere impiegata come integrazione di una terapia sistemica.
La penetrazione nella cute del farmaco scelto è condizionata dal veicolo in cui è posto (crema, unguento, soluzione ecc.), dal tipo di medicazione che si intende effettuare (aperta, occlusiva, con bendaggio), dalla sede di applicazione, dalla patologia cutanea e daII'estensione dell'area trattata. La concentrazione di un farmaco usato topicamente diminuisce generalmente dalla superficie cutanea al tessuto sottocutaneo.
II farmaco scelto può avere talvolta effetti irritanti primari: la maggior parte delle sostanze ha potenziale sensibilizzante, ma alcune sono indubbiamente più a rischio, e altre possono avere capacità di fotosensibilizzazione. Certe dermatosi sono caratterizzate da scarsa tolleranza generale alla terapia topica (come alcune forme d’eczema e la psoriasi in fase d’attivazione); in tali casi bisogna iniziare la terapia con prodotti semplici a bassa attività per procedere poi con farmaci più potenti .
A seconda della penetrazione che si vuole ottenere, si sceglie il tipo più opportuno di preparazlone dermatologica, caratterizzata dal veicolo o eccipiente. Il veicolo, semplice o composto, costituisce la struttura fondamentale delle preparazioni dermatologiche esterne, e, sebbene generalmente sia farmacologicamente inerte, talvolta può compartecipare come medicamento vero e proprio.
La scelta del preparato dermatologico deriva anche dal tipo di lesione cutanea, dalla sua estensione e dalla sede corporea interessata. Le dermatosi essudanti, per esempio, richiedono impacchi o toccature o bagni con soluzioni, e solo in fase successiva possono essere trattate con paste magre.
Per patologie molto estese si può ricorrere all'uso di bagni generali: in tali casi Ia concentrazione del farmaco attivo deve essere molto bassa per ridurre il rischio dell'assorbimento. Nelle zone pilifere è opportuno prescrivere prevalentemente soluzioni. In caso di patologie caratterizzate da superficie molto secca è preferibile l'uso di paste grasse o di unguenti.
PREPARATI FARMACOLOGICI
I farmaci possono dare reazioni tossiche sia quando sono applicati sulla cute, sia quando sono somministrati per os. Nel primo caso, si può avere una reazione sia topica che sistemica. In entrambi i casi si può avere fotoreazione: circa il 50% dei farmaci è fotoreattivo (tra cui antibiotici e pillola).
REAZIONI DA FARMACO PER VIA SISTEMICA
ESANTEMA TOSSICO-ALLERGICO
È difficile distinguerlo da quello infettivo, ma è importante farlo perché se il farmaco non viene sospeso, la situazione continua a peggiorare. Purtroppo non ci sono criteri precisi per la diagnosi differenziale; in genere non sono presenti esantema (esantema delle mucose) e linfoadenopatie. Non è comunque facile, perché i bambini che prendono antibiotici non stavano già bene prima, e quindi possono avere i linfonodi ingrossati per altre cause.
Può essere di diversi tipi (maculoso, maculo-papuloso, morbilliforme), e in genere insorge entro due settimane dalla somministrazione (dopo pochi giorni se c’è già stata sensibilizzazione). Può interessare le regioni palmoplantari, e svanisce prima nelle regioni interessate inizialmente. Tutti i farmaci possono causarlo, in particolare l’ampicillina, i FANS e sulfamidici.
ERITEMA FISSO DA MEDICAMENTO
Compare nella sede della medicazione; sono presenti chiazze, anche bollose. A una seconda applicazione compare la stessa manifestazione.
Nel 60% dei casi viene sul corpo, nel restante 40% sui genitali, e può far pensare a malattie veneree.
SINDROME DI STEVEN-JOHNSON
Si manifesta intorno alle zone di passaggio cute-mucosa (labbra, genitali, occhi), ossia le strutture periorifiziali. Si ha comparsa di bolle, eruzioni, bruciori e disepitelizzazione. La localizzazione al cavo orale può impedire l’alimentazione.
I maggiori responsabili sono FANS e psicofarmaci (carbamazepina e barbiturici). È una reazione tossico-allergica, legata all’individuo e dose-indipendente. Può succedere già alla prima assunzione, ed è un fenomeno molto grave.
SINDROME DI LYELL (o necrolisi epidermica tossica)
È rara, ma gravissima, insorge entro ventiquattro ore e colpisce le mucose e tutta la cute. È mortale nella maggior parte dei casi, perché non esiste ancora una terapia.
Queste sono le reazioni più gravi, che hanno assunto importanza dopo la nascita delle terapie antiretrovirali e oncosoppressive: ultimamente stanno aumentando.
La reazione da farmaco deve essere diagnosticata subito! Bisogna avvalersi dell’anamnesi e osservare attentamente. Importante è la sequenza temporale: per essere imputabili a farmaci, i sintomi devono insorgere entro ventiquattro ore.
REAZIONI DA FARMACO PER VIA TOPICA
I corticosteroidi alogenati, se usati a lungo nella stessa sede, possono causare atrofia della cute con comparsa di angectasie, di ecchimosi e di striae distensae per frammentazione del tessuto elastico. Ciò si verifica con maggior frequenza al volto e alle grandi pieghe, dove la cute è più sottile e l'assorbimento maggiore. Nel neonato possono comparire a livello deII'area del pannolino anche lesioni nodulari rossastre denominate “granuloma gluteale infantum”. I corticosteroidi topici facilitano inoltre infezioni secondarie batteriche e micotiche e peggiorano quelle virali.
Infezioni piogeniche sono pure frequenti per applicazione di preparati a base di catrami e in particolare del catrame minerale o coaltar.
Effetti indesiderati sistemici sono invece possibili con preparazioni contenenti acido salicilico, acido borico, crisarobina o pirogallolo quando utilizzate su aree molto estese e particolarmente nei bambini in cui lo strato corneo è più sottile e il rapporto fra superficie cutanea e massa corporea è circa tre volte maggiore che nell'adulto. Si possono verificare danni neurologici, epatici e renali.
Un assorbimento con effetti sistemici è infine frequente per uso protratto su ampie superfici di cortisonici topici a elevata attività, specie se questi prodotti vengono applicati con tecnica occlusiva, ossia ricoprendo la zona trattata con un foglio di guttaperca o di plastica allo scopo di potenziarne Ia penetrazione.
FOTODERMATITE
Molti farmaci sono in grado di causarla (tra cui tiazidici, tetracicline, FANS, sulfamidici). La dermatite ha le caratteristiche dell’eritema solare (ustione di primo grado; nei casi gravi sono presenti bolle e compromissione dello stato generale), e la sua gravità dipende dalla dose del farmaco e dall’intensità dell’esposizione solare. Compare rapidamente e può diventare vescico-bollosa entro ventiquattro ore.
L'ustione è una lesione causata dall'azione del calore sulla cute, ed è provocata dal fuoco o dal contatto con liquidi o solidi surriscaldati. Ustioni particolari sono quelle provocate dal passaggio di corrente elettrica o dal contatto con caustici.
L'entità del danno cutaneo è influenzata da quattro principali fattori:
USTIONI TERMICHE
II calore provoca una coagulazione delle proteine con inattivazione degli enzimi cellulari e necrosi tissutale. Ai bordi dell'area necrotica si realizza un processo di reattività vascolare, che può progredire dalla stasi alla trombosi e alla necrosi ulteriore, oppure evolvere favorevolmente verso un'iperemia attiva seguita da riassorbimento dell'edema e guarigione.
L'azione dell'agente ustionante sui tessuti provoca inizialmente liberazione d'istamina e quindi vasodilatazione venosa e liberazione di bradichinina, cui consegue vasocostrizione arteriolare. Seguono poi aumento della permeabilità vasale con edema distrettuale e ulteriore liberazione di chinine, che attivano Ia diapedesi e l'adesione dei polimorfonucleati alle pareti dei piccoli vasi con facili eventi trombotici. Tale processo si completa nel giro di 2-3 giorni, il tempo di solito necessario per valutare adeguatamente la profondità del danno da ustione.
Successivamente, con la lisi dei leucociti accumulati nei focolai di ustione, si liberano radicali dell'ossigeno, che aggrediscono le pareti cellulari, provocando Ia liberazione di lipoperossidi e di prostanoidi edemigeni.
Alfine, le proteasi liberate dai leucociti e dai cheratinociti e la presenza di batteri contaminanti ritardano la guarigione delle ustioni e ne condizionano un andamento sfavorevole rispetto a quello delle altre ferite.
USTIONI CHIMICHE
il danno è prodotto non dal calore, ma dall'azione caustica di acidi o alcali che, a contatto con la cute, provocano una denaturazione proteica cellulare e una necrosi coagulativa tissutale, che inizia sulla cute, ma che si approfondisce nei giorni successivi per estensione verso i tessuti sottostanti.
Natura, concentrazione e durata dell'esposizione all'agente chimico causale sono i fattori che determinano profondità ed estensione del danno.
USTIONI ELETTRICHE
Il calore che si sprigiona per effetto Joule è proporzionale alla resistenza dei tessuti organici al passaggio della corrente. Il danno può cosi essere limitato sulla cute (poco resistente), e più esteso a livello di ossa e adipe.
Il punto d'ingresso della corrente è spesso riconoscibile come un'area depressa di necrosi circoscritta profonda, mentre il punto d'uscita è di solito situato nelle superfici distali del corpo ed è più ampio e irregolare.
Tutti gli organi che si trovano lungo il tragitto della corrente possono riportare gravi danni con rischio per la vita del paziente.
ESTENSIONE E PROFONDITÀ DELLE USTIONI
L’estensione e la profondità delle ustioni condizionano la gravità.
Le ustioni superficiali, che comprendono Ie ustioni di 1° grado e quelle di 2° grado superficiali, guariscono spontaneamente con buon esito; le ustioni profonde, che comprendono le ustioni di 2° grado profondo e quelle di 3° grado, non tendono alla guarigione o riparano con gravi sequele cicatriziali, per cui si impone il loro trattamento chirurgico, tendenzialmente precoce, con escarectomia e con innesti cutanei.
USTIONI DI 1° GRADO
Sono caratterizzate istologicamente da un danno epidermico superficiale senza alterazione della giunzione dermoepidermica e con congestione e dilatazione del plesso vasale superficiale e edema del derma.
Clinicamente sono presenti eritema, edema e bruciore che si attenuano in 2-3 giorni fino alla regressione completa nel giro di una settimana, spesso con ampie esfoliazioni squamose superficiali. Nella maggioranza dei casi, sono provocate da una eccessiva esposizione al sole o dal contatto con liquidi caldi.
USTIONI DI 2° GRADO
Nelle ustioni di 2° grado superficiali, il quadro istologico è caratterizzato da un danno epidermico quasi completo, con coinvolgimento della giunzione dennoepidermica e del derma papillare, e da un'alterazione della funzione di barriera e del plesso vasale dermico con fuoriuscita di siero, che si accumula nelle flittene o che esce dalle superfici dermiche disepitelizzate.
Clinicamente, si osservano eritema, edema e flittene a contenuto sieroso spesso ampie e lacerate. II dolore è intenso e prolungato. La guarigione è spontanea, ma avviene nell'arco di due-tre settimane, con riepitelizzazione a partenza dai residui epidermici presenti ai bordi delle lesioni o sul fondo delle stesse, in conrisponza degli annessi ancora vitali.
Anche nelle ustioni di 2° grado profonde si osservano eritema molto intenso, edema e flittene, ma il danno epidermico è totale con estensione al derma papillare e medio e coinvolgimento delle strutture nervose superficiali. Dolore e bruciore possono così risultare meno intensi che nelle ustioni superficiali. I tempi di guarigione superano spesso le quattro settimane e, se non vengono anticipati dal ricorso a innesti dermoepidermici, sono seguiti da esiti cicatriziali.
USTIONI DI 3° GRADO
Le ustioni di 3° grado, o ustioni a tutto spessore, sono rappresentate da escare di colorito pallido, grigiastro o bruno. Il danno dermoepidermico è completo e talora si estende a sottocute, fasce e strutture muscolari e scheletriche. Nel contesto dei focolai di ustione sono diffusamente presenti trombosi vasali e necrosi delle strutture nervose, per cui la superficie ustionata risulta fredda e insensibile.
Le aree di cute necrotica corrispondenti alle escare da ustione, per l'assenza di residui cutanei vitali superstiti, non mostrano alcuna tendenza alla riparazione. Il distacco spontaneo delle escare si realizza molto lentamente per lisi colliquativa lungo il piano sottocutaneo o fasciale, favorita dall'inquinamento batterico e dagli enzimi leucocitari.
L'unica riparazione possibile è chirurgica, con escarectomia tendenzialmente precoce e con autoinnesti dermoepidermici.
ESTENSIONE
Un altro fattore che concorre a determinare la gravità di un'ustione è la sua estensione percentuale sull'intera superficie corporea, calcolabile attraverso la “regola del nove" (testa 9%, arti superiori 18%, tronco e addome 36%, arti inferiori 36%).
Ogni ustione estesa a oltre il 30% della superficie corporea, non adeguatamente trattata, va inevitabilmente incontro a shock da ustione (ipovolemico), che si caratterizza per la perdita selettiva di acqua, sali e proteine, con concentrazione nel sangue degli elementi corpuscolati.
Fino al 75% dei grandi ustionati che supera la fase di shock decede poi per sepsi, nonostante assistenza intensiva e terapie antibiotiche. Questo perché, per difetto della protezione cutanea, le aree ustionate sono facilmente invase da batteri esogeni e endogeni, che, sviluppandosi negli essudati fibrinosi e nei tessuti necrotici, aggravano la profondità delle ustioni e promuovono la sepsi. L’inquinamento batterico (con approfondimento dell’ustione) si verifica anche nelle piccole ustioni, con comparsa di uno stato settico febbrile.
A seguito dello shock e della sepsi possono verificarsi complicanze a carico dei vari organi (broncopolmoniti, insufficienza renale, emorragie, encefalopatie ischemiche o infettive, DIC).
TERAPIA
In caso di ustioni estese, si deve innanzitutto provvedere alla ventilazione polmonare (maschera o intubazione) e al controllo del sistema cardiocircolatorio, avviando la somministrazione di fluidi per via parenterale (nelle prime otto ore si dà la metà del liquido previsto per la giornata; la restante parte viene suddivisa nelle sei ore successive). Vanno inseriti un catetere uretrale a permanenza e un sondino nasogastrico (per evitare polmoniti ab ingestis). Si procede poi alla sedazione del dolore e alla prima medicazione, con soluzioni antisettiche blande, vuotando le flittene più ampie.
Per prevenire e trattare lo shock, ci sono due scuole di pensiero: infondere solo acqua e sali, e non proteine, che verrebbero perse negli spazi extracellulari (come avviene a Niguarda), oppure infondere anche proteine.
Per evitare l’inquinamento batterico, l’ustionato deve essere alloggiato in una struttura specializzata, ed essere sottoposto a regolare prelievo di tamponi batteriologici sui focalai di ustione; in caso di infezione vengono usati antibiotici o immunoglobuline.
Ogni focolaio, indipendentemente dall’estensione, necessita di una terapia topica, effettuata mediante farmaci antisettici: la soluzione più usata è la sulfadiazina d’argento in crema all’1%, che agisce sia aderendo alla superficie della parete batterica, sia legandosi al DNA dei germi sensibili (compresi streptococchi e stafilococchi).
In caso di ustioni circoscritte e non essudanti si possono usare pomate antibiotiche a base di gentamicina o eritromicina; bisogna però tener presente che possono ritardare la riepitelizzazione (che viene frenata anche dai corticosteroidi topici). Si usano anche garze grasse, medicate con acido jaluronico e sulfadiazina d’argento, che mantengono la superficie umida, e possono essere rinnovate con sanguinamento e dolore minimo.
Le ustioni profonde, che non tendono alla guarigione, necessitano di trattamento chirurgico, che consiste fon-damentalmente nell’escarectomia e negli innesti dermoepidermici.
L’escarectomia può essere tangenziale (con un dermatomo a mano si allontanano strati successivi di tessuto necrotico fino al raggiungimento di una superficie sanguinante) o alla fascia (più rara, per ustioni molto profonde; con bisturi e forbici si sezionano i tessuti fino alla fascia muscolare). Deve essere compiuta il prima possibile, in genere in terza o quarta giornata, quando lo shock è già superato e la profondità è definita. In questo modo si riduce anche il rischio di sepsi e si migliora la possibilità di attecchimento di innesti dermoepidermici, prelevati da aree di cute sana del paziente (più sono sottili migliore è l’attecchimento, ma il risultato estetico è proporzionale allo spessore). I lembi vengono tagliati in reti per espanderli e permettere un miglior drenaggio del sangue, e poi vengono fissati con punti metallici.
Segue una medicazione con tulle grasso già medicato o ricoperto da impacco di soluzioni debolmente antisettiche, che favoriscano il processo di riepitelizzazione.
Se l’area è molto estesa, e la cute del paziente non basta, si può ricorrere a innesti allo genici (cute di cadavere), xenogenici (cute di maiale) o compositi: questa metodica prevede una escarectomia precoce e l’applicazione di cute di cadavere, che viene lasciata in sede per due settimane. Trascorso tale periodo, utile per allestire colture di cheratinociti del paziente, si procede all’allontanamento con dermatomo dell’epidermide dagli innesti di cute di cadavere e all’applicazione, sull’alloderma residuo ormai stabilmente attecchito, dei cheratinociti coltivati autologhi.
La chirurgia plastica si occupa di:
ALTERAZIONI CONGENITE
RICOSTRUZIONI
La chirurgia maxillofacciale costituisce una parte della chirurgia plastica.
Se necessita parecchia pelle, si può ricorrere all’ingegneria tissutale (coltivazione della cute) o all’espansione, mediante un palloncino posto nel sottocute che viene gonfiato, producendo in questo modo un incremento di mitosi e un aumento della deposizione di fibre collagene (non è solo distensione! È neogenesi tissutale in seguito a uno stress positivo, che induce anche genesi dei vasi). L’espansore è in silicone: può essere un sacchettino o un tubo vuoto (il migliore è curvilineo), in cui si inserisce soluzione fisiologica in maniera progressiva, fino ad ottenere volume e forma desiderata. Gli espansori vanno distribuiti intorno alla lesione, in modo che, una volta tolti, si possa cucire la cute espansa. È una tecnica adatta per patologie malformative dei tegumenti, come angiomi (veri, fistole A-V, fibroangiomi e angiolipomi), esiti cicatriziali (traumatici o da ustione), nei. È eseguita in un arco di tre mesi (un’espansione alla settimana), e va fatta non prima di un anno.
Le cicatrici più belle sono quelle dell’anziano; quelle dei bambini sono in genere ipertrofiche, perché hanno un metabolismo tumultuoso
Fonte: http://s9d402aad80a10255.jimcontent.com/download/version/1448395122/module/5868435363/name/der.doc
Sito web da visitare: http://s9d402aad80a10255.jimcontent.com/
Autore del testo: luca bossi http://www.futurimedici.com/index.php
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