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Si definisce farmaco una qualsiasi molecola dotata di attività biologica: quindi non soltanto sostanze dotate di attività terapeutica, quindi farmaci in senso stretto, ma anche sostanze endogene quali ormoni e neurotrasmettitori. Per generare il loro effetto biologico, la maggior parte dei farmaci deve interagire con macromolecole specifiche, per lo più di natura proteica, presenti sulla superficie o all’interno delle cellule, definite recettori. Un farmaco quindi non crea un effetto, ma modula una funzione preesistente alterando lo stato funzionale del suo recettore.
Per recettore si intende in senso esteso il bersaglio molecolare dei farmaci, cioè le macromolecole a cui si legano e dei quali modifica la funzione. Per esempio il bersaglio molecolare della diossina (un glucoside cardioattivo usato nello scompenso cardiaco) è un enzima che trasporta ioni attraverso la membrana cellulare, la pompa Na+/K+ ATPasi. L’aspirina ha come bersaglio un enzima, e deve la sua azione antinfiammatoria alla sua capacità di acetilare, e quindi inibire, la cicloossigenasi, enzima che produce le prostaglandine. Molti antibiotici ed antimitotici hanno come recettore uno degli acidi nucleici. La colchicina, farmaco usato nella terapia della gotta, è capace di interferire col processo della polimerizzazione della tubulina. Farmaci di categoria diversa possono interagire con recettori diversi presenti sulla stessa macromolecola: è il caso del GABA, delle benzodiazepine e dei barbiturici che si legano a tre siti diversi dello stesso recettore GABAa.
In alcuni casi la scoperta del recettore per sostanze esogene ha preceduto la scoperta del ligando naturale endogeno: è il caso dei recettori per gli oppioidi; la scoperta dei recettori per la morfina (esogena) stimolò la ricerca di sostanze endogene che si legassero a tale recettore (encefalite ed endorfine).
Non tutti i farmaci necessitano del legame con il recettore per esplicare la loro funzione: è il caso dell’acqua ossigenata, che sfrutta le sue caratteristiche ossidanti, o del bicarbonato (contro l’acidità gastrica) che sfrutta le sue caratteristiche acido-base. In generale si può affermare che i farmaci che agiscono senza il bisogno dell’interazione con un recettore esplicano il loro effetto a concentrazioni più alte di quelli la cui azione è invece mediata da un recettore.
Possiamo schematizzare l’interazione farmaco recettore nel modo seguente:
R + X <=> RX
Questa interazione scatena poi una serie di eventi che portano alla risposta finale R + X => (RX*)=> evento biochimico => effetto finale.
Secondo questa ipotesi classica, il complesso farmaco recettore (che può essere soggetto ad un cambiamento conformazionale RX*) è l’unica entità in grado di iniziare la serie di eventi che porta all’effetto finale, mentre R o X da soli sono inattivi.
Metodi di studio dei recettori
a) Modelli farmacologici classici: studio delle curve di concentrazione-risposta (in vitro) o dose-effetto (in vivo). Si cerca di ottenere informazioni sull’evento iniziale (formazione di RX) a partire dall’analisi qualitativa e quantitativa di un evento successivo (risposta biologica). La scelta del fenomeno da studiare tra quelli che intercorrono fra la formazione di RX e l’effetto finale, è arbitraria e può essere l’attività di un enzima, l’apertura di un canale, la formazione di un secondo messaggero. I vantaggi di questa metodologia sono:
Gli svantaggi sono:
b) Studio dell’interazione diretta farmaco-recettore (studi di binding): valutazione quantitativa dell’interazione tra un ligando marcato radioattivamente (I125) ed una preparazione contenente il recettore, o il recettore isolato e purificato). Durante il periodo di incubazione una porzione di ligando X forma con il recettore il complesso RX; al termine dell’incubazione, si separa con opportuni metodi X rimasto libero da RX, che è radioattivo, e si misura la radioattività associata al complesso farmaco-recettore. I vantaggi sono:
Gli svantaggi invece sono l’impossibilità di distinguere tra agonisti ed antagonisti e la difficoltà a distinguere fra recettori funzionali e siti di legame di altra natura.
c) Biologia molecolare: isolamento, purificazione o clonazione del recettore. I vantaggi sono:
Gli svantaggi risiedono nella complessità e nell’elevato costo di queste tecniche.
L’interazione farmaco recettore è mediata da legami a bassa energia: legami ionici, ponti idrogeno, attrazioni di van der Waals, interazioni idrofobiche. Affinché il contatto tra il farmaco ed il suo recettore persista per un tempo sufficiente a generare una risposta biologica, occorre che il numero di legami a bassa energia sia elevato, e che la superficie della molecola di farmaco e quella di recettore siano chimicamente complementari l’una all’altra. Inoltre l’interazione farmaco recettore può essere reversibile o irreversibile (spesso di tipo tossico).
L’interazione farmaco-recettore segue la legge di azione di massa. Data l’equazione R + X <=> RX, si definisce la Ka = [RX] , la costante di associazione o di affinità, indica quanto la reazione è
[R] + [X]
spostata verso la formazione del complesso ed è pertanto correlata alla forza del legame chimico fra il farmaco ed il recettore. Per tradizione però negli studi di binding si usa più frequentemente la costante di equilibrio della reazione inversa, cioè di dissociazione del complesso, Kd (correlata inversamente all’affinità del ligando per il recettore). Questa, essendo l’inverso di Ka (che tende all’infinito), è sempre compresa tra 0 ed 1.
Kd = [R] + [X] = 1
[RX] Ka
La relazione tra concentrazione del farmaco e complesso farmaco-recettore segue la legge di Michaelis-Menten. Partendo dalla definizione di Kd, e definendo [Rt] la concentrazione totale dei recettori, ne consegue che:
[Rt] = [R] + [RX]
Poiché
[R] = Kd [RX], sostituendo otteniamo [Rt] = [RX] + Kd [RX].
[X] [X]
Riarrangiando quest’ultima equazione, si ottiene l’equazione fondamentale che correla la concentrazione di farmaco alla concentrazione del complesso farmaco recettore, l’isoterma di Langmuir:
[RX] = [X] [Rt]
Kd + [X]
Graficamente questa equazione è rappresentata da un’iperbole rettangolare (in caso di scala aritmetica), oppure da una curva sigmoide (in caso di scala semi-logaritmica). Sull’ascisse sono riportati i valori di concentrazione del farmaco X, mentre sulle ordinate i valori di concentrazione del complesso RX. Nel grafico, Rt corrisponde all’asintoto a cui la curva tende (plateau superiore alla curva), mentre Kd corrisponde alla concentrazione del farmaco X necessaria per saturare il 50% di tutti i siti presenti.
L’equazione può essere trasformata linearmente in vari modi per ottenere grafici rettilinei; la più usata di queste trasformazioni è quella secondo Scatchard:
RX = - 1 x [RX] + [Rt]
[X] Kd Kd
Sull’asse delle ascisse vengono riportati i valori di concentrazione del complesso RX, mentre sull’asse delle ordinate il rapporto fra la concentrazione di RX e la concentrazione di X. Si ottiene una retta con pendenza = - 1
Kd , la cui intercetta con l’asse delle ascisse corrisponde a Rt, mentre l’intercetta con l’asse delle ordinate corrisponde a [Rt] .
Kd
La relazione fra concentrazione di un farmaco ed il grado di risposta ottenuto prende il nome di curva dose-risposta. L’analisi delle curve dose-risposta in base alla teoria dell’interazione farmaco-recettore è uno dei modi per ottenere informazioni su tale interazione iniziale. Le risposte farmacologiche possono essere classificate come:
La posizione di una curva, in un grafico dose-risposta, sull’asse delle ascisse rispecchia la potenza di un farmaco: più una curva è situata a sinistra sull’asse delle ascisse, più potente è il farmaco a cui la curva si riferisce. La potenza ha un significato in senso clinico: influenza la dose necessaria per raggiungere un determinato effetto. Si assume come valore di paragone della potenza quella concentrazione di farmaco che genera un effetto pari al 50% dell’effetto massimo: tale concentrazione viene definita EC50, o ED50. Si usa anche esprimere la potenza di un farmaco con il parametro pD2, dove pD2 = - log ED50.
Un altro parametro importante è l’efficacia di un farmaco, cioè l’entità massima dell’effetto che può indurre. E’ indice dell’attività intrinseca del farmaco, non dipende dalla dose. L’altezza della curva rispecchia l’efficacia di un farmaco.
La parte centrale della curva sigmoide è approssimabile ad una retta, e quindi permette di ricavare la EC50 più facilmente; farmaci che agiscono sullo stesso recettore generano curve dose-risposta parallele; in quest’ultimo caso, la separazione costante fra le curve parallele è una misura del rapporto di potenza tra farmaci diversi.
Relazioni tra interazione farmaco-recettore e risposta
La teoria dell’occupazione sviluppata da Clark nel 1933 ipotizza che l’effetto Δ di un farmaco sia direttamente proporzionale al grado di occupazione del recettore, e quindi alla concentrazione di RX; Δ = k [RX]
L’effetto massimo si otterrà quando tutti i recettori presenti sono occupati, quindi Δmax = k [Rt].
La relazione che lega l’effetto alla concentrazione del farmaco è espressa dalla
Δ = [X] x Δmax
Kd + [X]
Per [X] = 0 non si osservano effetti;
per [X] = Kd, l’effetto ha intensità semi-massima (metà recettori occupati);
per [X] → ∞ l’effetto tende asintomaticamente all’effetto massimo al crescere della concentrazione di farmaco).
I due tipi di approccio (classico e studi di binding) sono complementari: gli esperimenti di binding offrono una misura diretta dei paramentri (valutazione dell’affinità recettoriale del ligando e del numero dei siti di legame coinvolti nell’interazione); gli esperimenti farmacologici classici offrono una misura indiretta dei paramentri (valutazione della funzionalità biologica del farmaco).
L’ipotesi dell’occupazione non spiega tutti i fenomeni farmacologici:
Si verifica spesso che la curva dose-risposta si trova a sinistra della curva di interazione farmaco-recettore (quando si raggiunge la risposta massima avendo occupato solo una frazione dei recettori presenti; i restanti recettori vengono definiti recettori di riserva); meno frequentemente la curva dose-risposta si trova alla destra della curva interazione farmaco-recettore (alcuni farmaci devono occupare una frazione di recettori presenti prima che si verifichi un effetto, quindi è necessario raggiungere una soglia di occupazione).
Nelle modificazioni alla teoria dell’occupazione bisogna comunque considerare la presenza di sottotipi recettoriali e l’amplificazione a cascata del segnale, che coinvolge la formazione di secondi messaggeri.
I RECETTORI
I recettori per i ligandi endogeni sono molecole capaci di legare con proprie caratteristiche di specificità ed affinità uno o più mediatori endogeni e da questo legame subisce una modificazione conformazionale da cui scaturisce l’effetto biologico. Esistono due classi di recettori: di membrana e intracellulari. I primi traducono il segnale portato da mediatori idrofilici che difficilmente passano la membrana cellulare (neurotrasmettitori, citochine, fattori di crescita); i secondi trasducono il segnale portato da ormoni e altri mediatori lipofilici che diffondono attraverso la membrana cellulare (ormoni tiroidei, steroidei, vitamina D). Le due classi di recettori differiscono anche per il meccanismo di traduzione del segnale: i recettori di membrana generano modificazioni delle concentrazioni ioniche intracellulari o attraverso la produzione di un secondo messaggero o attraverso modificazioni biofisiche (es. recettori canale); i recettori intracellulari sono fattori di trascrizione che interagiscono con sequenze specifiche di DNA ed inducono modificazioni nell’espressione genica (e quindi nella composizione proteica della cellula).
Per quanto riguarda i recettori di membrana, distinguiamo:
Recettori canale attivati da ligando
I recettori canale sono canali ionici la cui apertura è modulata dall’interazione con specifici trasmettitori endogeni. A seguito del legame, il recettore cambia transitoriamente di conformazione aprendo in tal modo un canale transmembranario intrinseco nella sua struttura. Gli ioni, spinti dal gradiente elettrochimico, passano attraverso il canale e determinano una variazione del potenziale elettrico di membrana: ha così inizio la risposta cellulare all’attivazione del recettore.
I recettori canale sono oligomeri formati da 3, 4, 5 subunità, con eliche transmembrana disposte attorno ad un canale acquoso centrale, presenti in maggiore quantità nelle cellule nervose. Presentano specificità per un singolo neurotrasmettitore, rilasciato dalla terminazione presinaptica. Li possiamo distinguere in 4 classi:
Sulla base della carica ionica che passa attraverso il canale aperto dall’interazione col neurotrasmettitore, i recettori canale possono indurre depolarizzazione o iperpolarizzazione e mediare rispettivamente eventi eccitatori (cationi) o inibitori (anioni).
Recettori appartenenti alla famiglia dei recettori nicotinici (AchR muscolare)
Il recettore nicotinico per l’acetilcolina è stato il primo recettore canale clonato e caratterizzato. È un pentamero costituito da 4 subunità diverse presenti in un preciso rapporto stechiometrico (2α, β, γ e δ, oppure ε in alternativa a quest’ultimo) che si associano a formare il canale. Le subunità α costituiscono i due siti per il legame dell’Ach.
Ogni subunità è costituita da un filamento di aminoacidi caratterizzato da un dominio terminale amminico idrofilico di circa 200 aa, al quale seguono 4 segmenti transmembrana idrofobici M1, M2, M3 e M4 connessi tra loro da brevi anse. Tra i segmenti M3 e M4 è presente un lungo tratto di sequenza intracellulare e dopo M4 vi è una coda extracellulare conclusa dal terminale carbossilico. I segmenti M2 (α-eliche anfipatiche) di ciascuna subunità formano la parete del canale; i segmenti M3 ed M4 contengono sequenze aminoacidiche che sono il substrato di proteinchinasi (PKA e PKC). Aminoacidi carichi negativamente, presenti ai bordi dei segmenti M2, formano tre anelli di cariche negative attorno al poro: gli anelli 1 e 3 concentrano gli ioni da far passare, mentre l’anello 2 ha la funzione di filtro selettivo.
In seguito al legame di due molecole di Ach alle subunità α, il canale subisce un cambio conformazionale che permette l’ingresso di Na+. Studi al microscopio elettronico hanno dimostrato che, nel recettore allo stato chiuso, la regione M2 è costituita da 2 emicilindri: uno superiore (5 aa idrofobici, leucine) ed uno inferiore (aa idrofilici, treonine).
I recettori-canale non posseggono un’elevata capacità di selezionare tra le varie specie ioniche aventi la stessa carica: attraverso il canale dell’AchR possono infatti fluire sia ioni monovalenti che ioni bivalenti. La selettività, anche se parziale, nei confronti di una specie ionica può dipende dalla composizione aminoacidica del segmento M2: infatti nel recettore nicotinico neuronale la neutralizzazione dell’acido glutammico presente nell’anello intermedio con l’alanina, determina una completa perdita della permeabilità al Ca2+ senza modificazione della permeabilità al Na+ ed al K+.
L’entità della risposta cellulare indotta dai recettori-canale a seguito dell’interazione con l’agonista dipende da due variabili:
Modulazione farmacologia
Farmaci capaci di competere con il neurotrasmettitore per il legame al suo sito di interazione possono fungere da agonisti o antagonisti seconda della loro capacità di indurre o meno la modificazione conformazionale necessaria per l’apertura del canale ionico intrinseco alla molecola recettoriale.
L’attività del recettore può essere modulata anche da farmaci che si legano in siti diversi da quelli del neurotrasmettitore, chiamati siti allosterici. Alcuni dei farmaci attivi su questi siti possono essere importanti in terapia proprio in virtù del loro meccanismo d’azione. Per esempio molti ormoni corticosteroidei inibiscono il recettore nicotinico muscolare in modo rilevante. Questo ha un risvolto anche nella prassi terapeutica: basti pensare alla terapia immunosoppressiva con corticosteroidi in pazienti affetti da Miastenia Grave, una malattia autoimmune diretta contro l’AchR, caratterizzata da una diminuzione dei recettori post-sinaptici. È necessario porre molta attenzione però, per non indurre episodi di paralisi dei muscoli respiratori dovuti al blocco da parte dei farmaci steroidei dei pochi recettori nicotinici rimasti.
Recettori accoppiati a proteine G
Costituiscono la famiglia più ampia dei recettori di superficie, diffusa in tutti gli eucarioti. Rappresentano i mediatori della risposta cellulare per numerosi ligandi endogeni, come ormoni glicoproteici (LH, FSH, TSH), e amine biogene (noradrenalina, serotonina, dopamina). Questa famiglia di recettori ha un’enorme importanza farmacologia: più del 0% dei farmaci attualmente in uso ha come bersaglio questo tipo di molecole recettoriali.
Il recettore accoppiato a proteina G è costituito da un unico filamento proteico che attraversa la membrana 7 volte con l’estremità aminoterminale extracellulare e quella carbossiterminale intracellulare. Il numero più alto di residui aminoacidici conservati nei vari recettori si riscontra nei segmenti transmembrana, soprattutto nei tratti più vicini al citoplasma. L’interazione con l’agonista con il suo sito di legame induce un cambiamento conformazionale nella porzione intracellulare del recettore, soprattutto nelle regioni del terzo territorio citoplasmatico e si trasmette alla proteina G (che si lega al recettore in questo punto e a livello della coda C-terminale). A livello della coda carbossiterminale sono presenti anche molti siti di fosforilazione che sono importanti da un punto di vista funzionale in quanto coinvolti nel disaccoppiamento del recettore dalla proteina G e quindi nel fenomeno di desensitizzazione.
Proteine G
Sono eterotrimeri costituiti da tre subunità denominate, in ordine decrescente di PM, α, β e γ. Le subunità β e γ rimangono sempre strettamente associate tra loro. Si conoscono 20 isoforme della subunità α, 6 isoforme della subunità β e 10 isoforme della subunità γ. La subunità α ha la capacità di legare il GTP, e di idrolizzarlo successivamente a GDP grazie alla sua attività GTPasica intrinseca. Le subunità α delle proteine G sono suddivise in tre classi:
1) αs, stimolano l’adenilato ciclasi e provocano aumento del cAMP;
2) αi1, αi2, αi3, α0, inibiscono l’adenilato ciclasi, quindi diminuiscono le concentrazioni di cAMP e aumentano la concentrazione di K+.
3) αq, media la stimolazione della fosfolipasi C, con conseguente aumento di IP3 e DAG e CA2+.
Le proteine G accoppiano i recettori ad effettori che possono essere enzimi, canali ionici o altre molecole, attraverso un ciclo di attivazione-deattivazione governato dal legame e dall’idrolisi di GTP. Quando il recettore non è attivato dal legame con l’agonista, il sito di legame per i nucleotidi guanilici della subunità α è occupato dal GDP e α rimane strettamente associata al complesso βγ; in seguito al legame con l’ormone o al neurotrasmettitore, il recettore interagisce con la proteina G e promuove a livello della subunità α la dissociazione del GDP, che viene sostituito da GTP. Questo determina un cambiamento conformazionale nella subunità α, che provoca la separazione della proteina G dal recettore e la dissociazione della stessa subunità α dal complesso βγ. Entrambi interagiscono con diversi effettori. Il segnale viene spento quando l’attività GTPasica di α idrolizza il GTP a GDP e la subunità α-GDP si riassocia al complesso βγ formando di nuovo l’eterotrimero inattivo.
Le tossine prodotte dai batteri del colera e della pertosse agiscono alterando il normale funzionamento delle subunità α di alcune proteine G. Entrambe possiedono attività ADP-ribosil-transferasica. La tossina colerica è in grado di ADP-ribosilare αs, la cui conseguenza è l’inibizione dell’attività GTP-asica della proteina che rimane così bloccata nel suo stato attivo, inducendo una stimolazione persistente dell’adenilato ciclasi e una continua produzione di cAMP. Questo causa un’abnorme perdita di elettroliti ed acqua da parte delle cellule intestinali.
La tossina della pertosse invece ADP-ribosila le proteine G con subunità αi, bloccandone il ciclo di attivazione, e contribuendo così al quadro clinico della malattia.
Le subunità βγ sono in grado di regolare diversi enzimi come alcune forme di fosfolipasi C, attivano specifici canali per il K+ ed inibiscono i canali per il Ca2+, inoltre sono coinvolti nel processo di desensitizzazione dei recettori in quanto sono capaci di controllare la fosforilazione della molecola recettorial da parte di specifiche chinasi.
Gli effettori enzimatici delle proteine G regolano in genere la concentrazione intracellulare di sostanze biologicamente attive che agiscono come secondi messaggeri. Gli enzimi regolati sono l’adenilato ciclasi, che produce cAMP, e la fosfolipasi C che genere inositolo 1,4,5 trifosfato (IP3) e diacilglicerolo DAG. Ci sono anche effettori con funzione di canale ionico, come alcuni canali al Ca2+ e diversi canali al K+, tra cui quello presente nelle cellule pace-maker del cuore.
Adenilato ciclasi
Enzima ubiquitario che converte ATP in cAMP, regolato da Gs e Gi. Per quanto riguarda la sua struttura, essa è costituita da due segmenti altamente idrofobici , ciascuna delle quali attraversa 6 volte la membrana plasmatici, collegate da una regione citoplasmatica. Anche la pozione amino-terminale e carbossi-terminale sono citoplasmatiche.
Il cAMP regola diverse proteine cellulari, ed in particolare un gruppo di proteinchinasi dette PKA. Questa chinasi è formata da due subunità, quella regolatoria e quella catalitica. In assenza di ligando, le due subunità formano un complesso inattivo; all’aumentare di cAMP, questo si lega alla subunità regolatoria e ne causa il distacco dalla subunità catalitica che è così libera di fosforilare in serina o treonina altre proteine specifiche, regolandone così l’attività.
Il cAMP controlla molti processi cellulari, come reazioni metaboliche (durante la glicolisi la PKA fosforila ed attiva la fosforilasi B chinasi, la quale a sua volta attiva la fosforilasi A, che a sua volta trasforma il glicogeno ed un gruppo fosfato in glucosio-1-fosfato), secrezione, rilasciamento muscolare, attività di canali ionici, trascrizione di geni specifici (cAMP attiva la PKA che trasloca nel nucleo, dove fosforila il fattore di trascrizione CREB, il quale una volta fosforilato si lega al coattivatore CBP che attiva la trascrizione).
Diverse malattie umane sono associate a mutazioni dei recettori accoppiati a proteine G. mutazioni a carico del terzo territorio citoplasmatico rendono questi recettori costitutivamente attivati. Tali mutazioni sono state riscontrate nel recettore per il TSH in alcuni casi di adenomi tiroidei e nel recettore per l’LH in bambini affetti da pubertà precoce familiare. Normalmente questi due recettori stimolano l’adenilato ciclasi ed il cAMP innesca una serie di eventi intracellulari che portano a crescita e differenziamento cellulare nel caso della tiroide e a iperplasia e produzione di testosterone nel caso delle cellule testicolari di Leydig. Mutazioni che inattivano la molecola recettoriale sono state riportate ad esempio a carico del recettore per la vasopressina nel diabete insipido congenito. Queste mutazioni interessano una zona diversa dal terzo territorio citoplasmatico e portano a perdita della funzionalità recettoriale, quindi incapacità del rene di rispondere alla vasopressina.
Fosfolipasi C
Particolare fosfodiesterasi che idrolizza il fosfatidilinositolo-4,5-bisfosfato (PIP2), un fosfolipide di membrana, dando origine a due secondi messaggeri, il DAG e IP3, che regolano processi di metabolismo, secrezione, contrazione, attività neuronale e proliferazione. In genere la fosfolipasi C è localizzata nel citoplasma, ma in seguito alla sua attivazione trasloca in membrana.
Tutte le fosfolipasi C-β (una delle isoforme dell’enzima) sono attivate dalle subunità α delle proteine G di tipo Gq; esse danno origine all’IP3 e al DAG.
IP3: idrofilo, diffonde nel citoplasma dove si lega a specifici recettori posti su strutture vescicolari associate al reticolo endoplasmatico. Il recettore per l’IP3 è un canale che una volta attivato lascia fluire nel citoplasma il Ca2+ contenuto negli organuli intracellulari di deposito. Lo svuotamento degli organuli contenenti il calcio promuove a sua volta un influsso di calcio dall’ambiente esterno attraverso specifici canali della membrana plasmatica.
DAG: rimane confinato alla membrana e lega la PKC, inducendone la traslocazione dal citoplasma alla membrana e l’attivazione. La PKC a sua volta è in grado di fosforilare in serina e treonina numerosi substrati.
Recettori con attività guanilato ciclasica
La guanilato ciclasi è un enzima che è presente nella cellulain due forme: particolata (associata alla faccia interna della membrana cellulare) e solubile (localizzata nel citosol). È un eterodimero costituito da due subinità, α e β, e da un gruppo prostetico eme. Questo enzima converte il GTP in cGMP, il quale porta all’attivazione di diverse proteine cGMP-dipendenti quali canali di membrana, fosfodiesterasi e alcune chinasi (G chinasi). Queste ultime sono importanti nel controllo dell’omeostasi del calcio: infatti esse inibiscono l’attività delle fosfolipasi, fosforilano e quindi inattivano il recettore per l’IP3, inibendo quindi l’ingresso di calcio dai canali VOCC e stimolando l’estrusione del catione dal citosol attivando lo scambiatore Na+-Ca2+.
Recettore con guanilato ciclasi particolata: porzione N-terminale extracellulare, regione idrofobia transmembrana, dominio citoplasmatico, sede dell’attività catalitica. Il ligando è il Peptide Natriuretico Striale ANP, un ormone peptidico di origine plasmatici. Stimola il recettore legandosi al dominio extrcellulare, e di conseguenza attiva la guanilato ciclasi presente a livello del dominio intracellulare.
La guanilato ciclasi solubile rappresenta il recettore per il NO. L’interazione del ligando con il ferro del gruppo eme del recettore induce un cambiamento conformazionale che attiva l’enzima e provoca un aumento della concentrazione citosolica di cGMP. Questo defosforila le catene leggere della miosina e impedisce l’interazione actina-miosina, con conseguente rilasciamento della muscolatura liscia. L’Ach esplica la sua funzione di rilassatore della muscolatura liscia interagendo con il proprio recettore accoppiato a proteina Gq: si ha un aumento della concentrazione citosolica del calcio (dovuto al turnover dei fosfatidinosidi), che attiva le eNOS (monossido di azoto sintetasi endoteliali); queste producono NO a partire da L-arginina, e l’NO formato attiva la guanilato ciclasi solubile (recettore NO) innescando la serie di eventi sopra descritti.
L’NO è un radicale libero di azoto presente in condizioni normali come inquinante atmosferico e nel fumo di sigaretta (i radicali liberi sono delle specie chimiche in cui gli elettroni del livello energetico esterno sono spaiati; essi tendono a reagire nei tessuti biologici determinando variazioni dello stato chimico – fisico delle molecole con cui vengono a contatto). L’NO è una molecola chiave nella regolazione dell’apparato cardiovascolare, sistema immune e nervoso.
Scoperta
Nel 1977 Murad scoprì che nitrovasodilatatori ed NO attivavano la guanilato ciclasi solubile (SGC); nel 1980 Furchgott trovò un EDRF (Endothelium-Derived Relaxing Factor) che veniva liberao dalle cellule endoteliali a seguito della stimolazione con Ach e che rappresentava il mediatore dell’azione rilasciante sulle cellule muscolari lisce vasali; questo EDRF aveva emivita di pochi secondi e la sua azione biologica era bloccata dall’anione superossido (radicale libero dell’ossigeno). La superossido dismutasi (enzima che elimina l’anione superossido) potenziava l’azione dell’EDRF.
Nel 1987 Ignarro e lo stesso Furchgott notarono che l’NO e l’EDRF avevano azioni simili e solo un anno dopo Moncada dimostrò che questi erano la stessa sostanza.
Biosintesi
La biosintesi dell’NO nelle cellule endoteliali ed in altri distretti dell’organismo avviene attraverso la trasformazione della L-arginina in NO ed L-citrullina operata da enzimi detti NO sintasi (NOS). L’NO può essere generato anche attraverso vie non enzimatiche (riduzione dei nitriti, in condizioni di pH acido quindi in condizioni di danno tissutale in cui il pH si abbassa). Il primo passaggio della biosintesi enzimatica di NO consiste nella trasformazione della L-arginina in idrossiarginina (intermedio); questa interagirebbe con l’H2O2 sviluppata per opera dell’attività catalasica della NOS, trasformandosi in NO ed L-citrullina. I cofattori di questo processo sono NADPH, FADH2 e BH4.
Le NOS sono flavoproteine che contengono nei due domini (ossigenasico e reduttasico) il gruppo eme ed i cofattori; sono state trovate tre isoforme dell’enzima NOS: neuronale (NOS I), inducibile (NOS II) ed endoteliale (NOS III).
Originariamente le NOS venivano catalogate in funzione del tessuto/organo di identificazione, si parlava quindi di nNOS (scoperta nei neuroni), iNOS (scoperta dopo infiammazione, nelle cellule attivabili da citochine e prodotti di derivazione batterica) ed eNOS (scoperta nell’endotelio). Successivamente fu notato che una forma identificata in un tessuto può essere espressa anche da altri, quindi si è preferito la nomenclatura coi numeri romani. Una importante caratteristica che differenzia le NOS I e III dalla II è la dipendenza dal Ca2+: infatti i primi due sono regolati dalle variazioni di concentrazione di calcio citosolico, mentre la NOS II genera NO indipendentemente dal valore dalla concentrazione di calcio; inoltre le NOS I e III sono espresse a livelli basali nelle cellule, mentre la NOS II è assente e la sua espressione viene indotta da stimoli specifici, come citochine che agiscono in presenza di prodotti di degradazione batterica (LPS).
La disponibilità di L-arginina è uno dei fattori che regolano la generazione di NO sia in senso positivo che negativo: le NOS I e III sono relativamente insensibili a questa regolazione, perché generano NO a basse concentrazioni e dopo stimolo con secondi messaggeri; al contrario, la NOS II (che produce in modo prolungato elevate concentrazioni di NO) è sensibile alla regolazione da parte della L-arginina.
Per quanto riguarda i principali bersagli dell’NO, essi sono enzimi contenenti eme, quali guanilato ciclasi (attivazione) e citocromo c ossidasi (inibizione); provoca nitrosilazione dei tioli delle proteine, può provocare deaminazione del DNA (in condizioni estreme), può deprivare di ferro enzimi con gruppi ferro-zolfo.
Il danno che ne consegue deriva proprio dall’inattivazione di determinati enzimi fondamentali, oppure anche dalla per ossidazione lipidica; ma può anche essere utile nelle reazioni immunitarie, per uccidere agenti patogeni e cellule tumorali.
Per quanto riguarda gli effetti biologici, distinguiamo distretto per distretto.
Farmaci che coinvolgono l’NO
NO in forma gassosa, per via inalatoria, è usato in ipertensione polmonare in quanto dilata le arterie polmonari ed ha quindi attività broncodilatatoria.
Altri farmaci sono usati come donatori di NO, tra questi il sodio nitroprussiato (usato nell’emergenza ipertensiva) ed i nitrati organici (nitroglicerina, nitrato di amile, utilizzati nella terapia dello scompenso cardiaco e nell’angina pectoris.
Vi sono poi farmaci attivi sulla via cGMP-dipendente, quali inibitori delle fosfodiesterasi 5, che prevengono la degradazione del cGMP in 5’-GMP, lasciandone elevati i livelli nella cellula. Un esempio di questo tipo di farmaci è il sildenafil (viagra), usato nella disfunzione erettile: l’aumento del cGMP rilascia la muscolatura liscia, dilata i vasi post-capillari, aumenta il flusso sanguigno nei corpi cavernosi, inducendo erezione.
Ancora non è stata mostrata una notevole validità terapeutica dei farmaci che inibiscono le NOS, che sarebbero potenzialmente importanti nella terapia dello shock endotossico. Vengono usati analoghi della L-arginina (agiscono da falsi substrati): N-monometil-L-arginina (L-NMMA) e N-nitro-L-arginina metil estere (L-NAME). Entrambi sono non selettivi, che è il problema principale della ancora non dimostrata validità terapeutica di questo tipo di farmaci. Inibitori selettivi per le diverse isoforme della NOS (soprattutto iNOS) sono ancora in via sperimentale, e potrebbero essere utili nella terapia dello shock endotossico e nelle patologie infiammatorie croniche.
Shock endotossico
Stato di grave ipotensione determinato dalla liberazione in circolo di endotossine batteriche che producono vasodilatazione resistente alla somministrazione di sostanze vasocostrittrici, e che sono in grado di indurre sintesi di NO da parte di NOS II nelle cellule muscolari lisce. Gli inibitori delle NOS contribuiscono al ripristino di una discreta reattività dei vasi sanguigni alle sostanze vasocostrittrici. Ma non si ha un netto miglioramento, in quanto l’effetto positivo dell’inibizione della NOS II è controbilanciato da quello negativo risultante dall’inibizione di NOS III (che inibisce l’aggregazione piastrinica). Per ovviare a tale problema, sarebbero necessari inibitori selettivi della NOS.
Recettori per i fattori di crescita
I fattori di crescita sono distinti in fattori di competenza e fattori di progressione: i primi reclutano le cellule quiescenti nel ciclo cellulare, i secondi sono indispensabili per la transizione dalla fase G a S. l’attività biologica dei fattori di crescita è mediata da recettori proteici localizzati nella membrana plasmatici. La maggioranza di questi recettori esplica una attività enzimatica tirosin-chinasica, catalizza cioè il trasferimento di gruppi fosfato dall’ATP a substrati proteici, fosforilando residui di tirosina. In condizioni di riposo l’attività enzimatica è inibita, mentre il legame del fattore alla parte extracellulare del recettore rimuove questa inibizione; a sua volta l’attività chinasica innesca una cascata di reazioni all’interno della cellula che si traducono in risposte funzionali immediate e transitorie.
Sono dotati di una porzione N-terminale extracellulare molto estesa per l’interazione col ligando, di una singola regione idrofobica ad α-elica (circa 25 aminoacidi) che attraversa la membrana plasmatica e di un dominio citoplasmatico (elevata omologia tra tutti i recettor), sede dell’attività catalitica tirosino-chinasica e del legame ai trasduttori (coda C-terminale). La maggior parte dei recettori costituita da una singola catena polipeptidica.
Il legame del recettore con il fattore di crescita induce l’attivazione della tirosin-chinasi citoplasmatica attraverso un meccanismo basato sulla dimerizzazione. Va ricordato che le molecole recettoriali, in prevalenza monocatenarie, sono libere di muoversi nel doppio strato lipidico fluido della membrana plasmatici, e quindi possono formare dimeri reversibili. Questo processo avviene spontaneamente anche in assenza di fattori di crescita (esempio, il recettore per l’insulina). La dimerizzazione stabilizza lo stato attivo della chinasi e porta in sua prossimità il suo substrato preferito: il dominio intracellulare di un altro recettore. In questo modo si ha la transfosforilazione dei recettori a livello dei residui di tirosina.
Il meccanismo di dimerizzazione ed attivazione recettoriale può essere alterato in numerose patologie (soprattutto neoplasie): la presenza di un numero eccessivo di molecole recettoriali, dovuto ad un aumento dell’espressione genica, incrementa la probabilità di interazioni casuali e quindi la formazione di dimeri anche in assenza di ligando. Un’altra alterazione responsabile dell’attivazione costitutiva delle chinasi recettoriali è la delezione parziale o totale del dominio extracellulare, come il recettore tronco dell’EGF codificato da un oncogene virale, veicolato dal virus dell’eritroblastosi aviaria).
La traduzione del segnale dalle molecole associate al recettore agli effettori finali coinvolge cascate enzimatiche e produzione di secondi messaggeri.
I trasduttori del segnale si legano con alta affinità ai recettori fosforilati per mezzo di domini specifici contenuti nella loro sequenza. Il più comune è il dominio SH2, che riconosce e lega corte sequenze aminoacidiche contenenti una tirosina fosforilata.
Una via porta all’attivazione di ras, che gioca un ruolo fondamentale nel mediare segnali di proliferazione e di trasformazione neoplastica. Ras è una piccola proteina di 21 kDa ubiquitariamente espressa; funziona come interruttore cellulare, alternando uno stato attivo, in cui è legato al GTP, ad uno stato inattivo, in cui è legato al GDP. Poiché l’affinitià di Ras per il GDP è molto più alta di quella per il GTP, il complesso inattivo Ras-GDP si accumula nella cellula. A seguito dell’attivazione recettoriale, il complesso Ras-GTP aumenta rapidamente. La conversione tra la forma legata al GDP e quella legata al GTP è stimolata da scambiatori GDP/GTP come SoS, che contiene sequenze ricche di prolina capaci di associare con alta affinità i domini SH3 di Grb2. si pensa che Grb2 e SoS siano preassociati nel citoplasma, e che a seguito della fosforilazione in tirosina questo complesso è reclutato al recettore, dove SoS può interagire con Ras. La via di traduzione a valle di Ras più studiata è quella mediata da Raf, una cascata di attivazione di serina/treonina chinasi. Raf attivato fosforila ed attiva MEK, il cui substrato più importante è la serina/treonina chinasi ERK/MAPK; il risultato finale è la stimolazione di geni responsabili del superamento del punto di restrizione tra la fase G1 e la fase S del ciclo cellulare, che porta alla duplicazione del DNA.
Un’altra via porta alla stimolazione diretta della trascrizione genica. Questa via è mediata da molecole dette STAT, proteine citoplasmatiche che sono dotate di una regione legante il DNA all’estremità N-terminale, seguita da un dominio SH3, un dominio SH2 e di una sequenza contenente un residuo di tirosina al C-terminale. A seguito della fosforilazione in tirosina, la sequenza C-terminale lega il dominio SH2 di un’altra molecola STAT formando dimeri, che traslocano al nucleo e stimolano la trascrizione di geni coinvolti nel controllo del ciclo cellulare e nel differenziamento.
A seguito dell’attivazione dei recettori delle citochine, la fosforilazione di STAT è mediata da chinasi citoplasmatiche dette JAK.
Mutazioni dei recettori per i fattori di crescita sono alla base di neoplasie e difetti metabolici e possono determinare la trasduzione del segnale in modo deregolato. Si può avere un’aumento dell’attività tirosino-chinasica (attivazione costitutiva, es neoplasie), ed una sua diminuzione (difetto metabolico, diabete insulino-resistente).
I recettori per i fattori di crescita ed i loro trasduttori sono bersagli molecolari per lo sviluppo di nuovi farmaci ad attività anti-neoplastica.
L’attività dei recettori per i fattori di crescita può essere modulata da:
Numerosi elementi rendono le tirosin-chinasi un arduo bersaglio farmacologico: la difficoltà per gli inibitori del sito catalitico, a raggiungere concentrazioni intracellulari capaci di competere con quelle dell’ATP; il meccanismo catalitico comune a molte chinasi che impedisce di trovare inibitori selettivi; il coinvolgimento di chinasi in processi comuni a cellule sane e cancerose.
Nel caso della Leucemia Mieloide Cronica l’oncogene riarrangiato BCR-ABL codifica per una proteina tirosin-chinasi “chimerica” che causa la trasformazione neoplastica, stimolando la proliferazione, una ridotta morte apoptotica ed instabilità genomica. L’imatinib (Glivec), un inibitore della tirosin-chinasi codificata dall’oncogene riarrangiato BCR-ABL, si è dimostrato efficace nell’eradicare la leucemia mieloide cronica. Il farmaco ha avuto un grande successo anche grazie alla sua specificità d’azione, al fatto che provoca minimi effetti collaterali ed al fatto che è facilmente somministrabile (per via orale).
Recettori intracellulari
I recettori intracellulari giocano un ruolo fondamentale nella regolazione della crescita, del differenziamento e della omeostasi cellulare. Due caratteristiche distinguono i recettori intracellulari da quelli di membrana: il meccanismo di attivazione, che non sempre richiede un ligando specifico, e l’attività intracellulare, che non è mediata da secondi messaggeri; infatti i recettori intracellulari hanno la capacità di legare direttamente il DNA per regolare la trascrizione di geni specifici. Esistono 6 sottofamiglie, e fra queste solo le prime tre sono di interesse farmacologico: la classe 1 comprende i recettori per l’acido retinico RAR, per gli ormoni tiroidei TR, per la vitamina D VDR; la classe 2 comprende il recettore per l’acido 9-cis retinico RXR; tutti i recettori per gli ormoni steroidei sono compresi nella classe 3, e sono quelli per i mineralcorticoidi MR, glucocorticoidi GR, androgeni AR, estrogeni ER e progesterone PR.
Tutti i recettori intracellulari, di cui si sospetta un’origine comune, hanno struttura molto simile, cioè un’unica catena polipeptidica che contiene 5 domini funzionali denominati A/B, C, D, E ed F.
A/B: regione variabile ammino-terminale (variabilità che conferisce la specificità d’azione di ciascun recettore), che contiene il dominio di attivazione di AF-1 (sito di interazione con fattori di trascrizione). Regione di transattivazione;
C: dominio di legame con il DNA (DBD), è formato da circa 70 aminoacidi e contiene 9 cisteine che stabilizzano il legame con il DNA per mezzo di legami di coordinazione con due molecole di zinco (4 molecole di cisteina per un atomo di zinco), conferendo alla molecola recettoriale la caratteristica conformazione detta a dita di zinco. Questa permette l’inserimento all’interno del solco maggiore del DNA e la formazione di ponti idrogeno con le cariche negative del DNA.
D: regione di collegamento.
E: sito di legame per il ligando (LBD), dominio di dimerizzazione, sequenza segnale per la traslocazione nucleare (NLS), sito di legame per proteine inibitorie hsp90, hsp56 e hsp 70 (HSP), dominio di attivazione di AF-2, che interagisce con i co-attivatori della trascrizione in modo ligando-dipendente.
F: presente in tutti i recettori, estremità C-terminale a funzione ancora sconosciuta.
Per quanto riguarda la localizzazione dei recettori intracellulari, essi possono risiedere nel citoplasma (come per i recettori GR, MR, PR ed AR, che attraversano la membrana nucleare solo dopo il legame col proprio ligando), oppure nel nucleo (come ER, RAR, TR, sono veicolati nel nucleo una volta terminata la propria sintesi a livello del reticolo endoplasmico). I recettori in assenza di ligando non possono attivare la trascrizione genica poiché sono associati a proteine inibitorie hsp 70,90 e 56, che legano i domini deputati alla dimerizzazione (E) e di legame al DNA (DBD). Quando l’ormone lega il recettore, si hanno delle alterazioni che portano al rilascio delle proteine inibitorie: il recettore è libero quindi di dimerizzare con molecole recettoriali identiche o diverse (formando quindi omodimeri o eterodimeri), e di trasferirsi nel nucleo dove interagisce col DNA riconoscendo sequenze specifiche per ogni recettore, le sequenze di risposta all’ormone HRE. Queste sequenze (diverse per ogni recettore) sono localizzate nel promotore di geni bersaglio, e sono generalmente sequenze palindromiche.
Al complesso recettore-ligando si associano proteine dette co-regolatori, la cui funzione consiste nel facilitare (co-attivatori) o nel bloccare (co-repressori) il legame con il complesso di inizio della trascrizione. I co-attivatori (CBP, SRC-1) hanno attività di acetil-trasferasi istoniche (o si associano con questi enzimi) che è fondamentale in quanto l’acetilazione degli istoni determina il loro distacco dal DNA, facilitando l’attività dei fattori di trascrizione e della RNA polimerasi II.
Negli ultimi anni è stato dimostrato che i recettori per il progesterone, estrogeni ed ormoni tiroidei possono essere attivati anche in assenza del ligando endogeno, in seguito all’attivazione di alcuni recettori di membrana (per il fattore di crescita epidermico EGF, il recettore insulino simile IGF-1, oppure per la dopamina). Le proteine chinasi A e C sono indubbiamente coinvolte nel fenomeno: queste fosforilando il recettore (o fattori di trascrizione ad esso associato e che in seguito a questa fosforilazione favoriscono il legame recettore/DNA) ne modificano la conformazione, in modo simile a quanto avviene in seguito all’interazione con l’ormone, queste fosforilazione favoriscono la dimerizzazione ed il legame ad alta affinità col DNA.
Ormoni steroidei
Corticosurrenali: cortisone ed aldosterone
Sessuali: androgeni ed estrogeni
Derivano dal colesterolo, sono liposolubili, e richiedono proteine plasmatiche di trasporto, hanno una lunga emivita (ore-giorni)
Uso dei glucocorticoidi
● terapia sostitutiva (per esempio in pazienti surrenectomizzati)
● in associazione nelle terapie antineoplastiche
I glucocorticoidi inibiscono la fosfolipasi A2 mediante l’induzione dell’espressione di proteine regolatrici, la lipocortina 1 (o annessina 1): questa inibisce la produzione di prostaglandine legando la fosfatidilcolina (sottrae quindi substrato alla fosfolipasi A2, inibendola); inoltre inibisce la migrazione leucocitaria.
Inoltre i glucocorticoidi inibiscono la trascrizione di geni e le funzioni delle cellule coinvolte nei processi infiammatori attraverso NF-kB.
NF-kB regola un elevato numero di geni, tra i quali quelli codificanti per citochine, chemochine, molecole di adesione ed enzimi inducibili quali iNOS e COX-2. Appartiene alla famiglia di proteine REL, che possiedono una regione di omologia nota come RHD, che contiene il dominio di legame al DNA, il dominio di dimerizzazione ed il segnale di localizzazione nucleare (NLS), con cui interagisce e con il DNA e con altre proteine. Nelle cellule immunocompetenti a riposo è localizzato nel citoplasma, ancorato all’inibitore IkB che maschera NLS e quindi impedisce la migrazione di NF-kB nel nucleo. L’attivazione di NF-kB, soprattutto nella sua forma comune composta da p50/p65, dipende dalla fosforilazione e successiva poli-ubiquitinazione di IkB, che viene rapidamente degradato dal proteasoma 26S, liberando NF-kB che può migrare nel nucleo. La fosforilazione dell’inibitore avviene ad opera di una specifica chinasi (attivata da stimoli infiammatori) nota come IKK, che è un complesso composto da tre subunità: IKK-α e IKK-β, catalitiche, ed IKK-γ, regolatoria. L’attività enzimatica di queste chinasi è indotta da cascate di eventi che iniziano con la stimolazione di recettori di membrana per IL-1, TNF.
I glucocorticoidi sono farmaci diffusamente utilizzati in clinica in tutte quelle condizioni patologiche in cui vi sia un’abnorme attività del sistema immunitario come nelle malattie autoimmuni e nel rigetto dei trapianti. Essi svolgono le loro azioni anti-infiammatorie inibendo l’espressione di citochine e molecole di adesione. Possono interferire con l’attività di NF-kB mediante diversi meccanismi. Un primo meccanismo (limitato ad un numero limitato di tipi cellulari) riguarda l’attivazione della trascrizione di IkB con conseguente inibizione della traslocazione nucleare di NF-kB. Un meccanismo più generale sembra essere quello che sfrutta l’interazione proteina-proteina tra il recettore per i glucocorticoidi ed NF-kB, di cui sono stati proposti due modelli: un modello semplice (il recettore dei glucocorticoidi attivato forma un complesso con NF-kB rendendolo incapace di legarsi al suo sito sul DNA), ed un modello composito (il recettore dei glucocorticoidi si associa ad NF-kB legato al suo sito, e direttamente o mediante il reclutamento di un co-repressore, inibisce la trascrizione di geni bersaglio di NF-kB).
In generale possiamo dire che i glucocorticoidi esplicano la loro funzione antinfiammatoria ed immunosoppressiva mediante due meccanismi:
Estrogeni
Gli estrogeni coordinano lo sviluppo e le funzioni del tratto riproduttivo, favoriscono il mantenimento della massa ossea, regolano funzioni cerebrali di controllo della memoria e dell’apprendimento, mantengono una temperatura corporea costnte, regolano la produzione di colesterolo, evitando aterosclerosi e cardiopatie, intervengono nella produzione del latte.
Gli agonisti dei recettori per gli estrogeni (estradiolo, estrose, etinilestradiolo) possono essere utilizzati nella terapia sostitutiva in caso di insufficienza ovarica e nella menopausa. Inoltre gli estrogeni, insieme al progesterone, sono utilizzati insieme nella contraccezione, in quanto bloccano la sintesi di gonadotropine a livello dell’ipotalamo-ipofisi, bloccando l’ovulazione.
Serm (Selective Estrogen Receptor Modulators)
Composti di sintesi non steroidei ad attività antiestrogenica (tamoxifene, raloxifene). Impediscono all’estrogeno di legarsi al proprio recettore; i co-attivatori non possono legarsi al complesso recettore-serm, quindi viene bloccata la trascrizione.
Tamoxifene: SERM di I generazione. Si comporta da antagonista dei ER nelle cellule della ghiandola mammaria e viene utilizzato nella prevenzione dei tumori alla mammella; inoltre ha effetti benefici sulla densità ossea e riduce il colesterolo LDL “cattivo”; si comporta però da agonista di ER nelle cellule dell’endometrio, portando ad iperproliferazione: nelle pazienti trattate con tamoxifene l’incidenza di tumori al seno è del 45% inferiore rispetto a quelle che ricevono il placebo.
Raloxifene: II generazione di SERM. Si comporta come l’estrogeno (agonista ER) nell’osso, viene utilizzato nella terapia dell’osteoporosi; si comporta come antagonista nelle cellule dell’endometrio e della mammella, con diminuito rischio di insorgenza di tumori in questi distretti.
Regolazione dei recettori
Il trattamento cronico con farmaci può determinare un’alterazione della sensibilità dei recettori: il trattamento con agonisti può portare ad una riduzione delle risposte recettoriali, fenomeno detto desensitizzazione, che è alla base del meccanismo di tolleranza verso i farmaci; il trattamento con antagonisti può invece indurre un aumento delle risposte recettoriali, fenomeno definito Up-regulation. Nel caso della desensitizzazione, se si ha interruzione del trattamento con l’agonista, si ha un recupero della normale risposta recettoriale.
Desensitizzazione
In linea teorica, la desensitizzazione può avvenire a qualunque livello: si può avere una riduzione dell’affinità del ligando per il recettore, un’incapacità di trasdurre il segnale, o una riduzione del numero di molecole recettoriali o DOWN REGULATION.
La desensitizzazione può essere omologa ed eterologa. Si parla di desensitizzazione omologa se si ha riduzione della capacità di rispondere all’agonista solo nello specifico recettore attivato; si parla invece di desensitizzazione eterologa quando l’attivazione prolungata di un sistema recettoriale induce desensitizzazione anche degli altri recettori che utilizzano la stessa via di trasduzione del segnale o gli stessi effettori.
Ciascun recettore può andare incontro a desensitizzazione con modalità proprie, spesso diverse da quelle utilizzate da altri recettori anche nella stessa cellula; inoltre l’entità delle desensitizzazione può differire, per uno stesso recettore, tra tessuti diversi. È possibile però riconoscere meccanismi comuni di desensitizzazione all’interno di ciascuna superfamiglia recettoriale.
Desensitizzazione dei recettori canale
Le informazioni più dettagliate si hanno per quel che riguarda il recettore nicotinico per l’Ach. La desensitizzazione equivale ad una ridotta capacità di andare incontro al cambio conformazionale necessario per produrre l’apertura del canale ionico transmembranario.
Il recettore nicotinico può esistere in 4 stati: R (riposo), A (attivo), D (desensitizzato, fase lenta), I (desensitizzato, fase rapida). L’Ach sposta l’equilibrio tra i 4 stati dallo stato prevalente a riposo R verso gli altri tre stati, stabilizzando la forma D in cui il canale ionico è chiuso. I fattori che spostano l’equilibrio verso lo stato D sono:
gli anestetici locali possono accelerar la velocità di desensitizzazione del recettore legandosi a siti allosterici specifici.
Desensitizzazione di recettori accoppiati a proteine G
Per questo tipo di recettori, la desensitizzazione si può attuare per perdita di affinità per l’agonista, riduzione della capacità di attivare la proteina G e down-regulation, tutti meccanismi dipendenti da fosforilazione del recettore. Le chinasi coinvolte nel processo (per esempio nel caso del recettore β adrenergico) sono le βARK, che sono in grado di fosforilare il recettore solo se occupato dall’agonista. In condizioni di non stimolazione l’enzima è prevalentemente localizzato nel citoplasma e viene traslocato alla membrana plasmatici in seguito all’attivazione del recettore. La fosforilazione avviene a livello dei gruppi ossidrilici di treonine e serine presenti nei territori coinvolti nell’interazione con la proteina G; il recettore fosforilato è legato dalla proteina β-arrestina, che prende il posto di Gs (che quindi non può più legarsi al recettore). Se si interrompe il trattamento con l’agonista, la β-arrestina va via ed una fosfatasi rimuove i gruppi –P dalla cosa, ed il recettore si risensitizza recuperando la risposta iniziale e la capacità di legare la proteina Gs.
Il complesso β-arrestina/recettore fosforilato può essere internalizzato per endocitosi (mediato da latrina) e confinato nell’endosoma (l’eliminazione dalla superficie del recettore viene detta down-regulation rapida); se il recettore viene defosforilato da fosfatasi, ritorna alla membrana e si ha una sorta di riciclo; se la fosforilazione invece persiste, il complesso viene degradato nei lisosomi (down-regulation tardiva, consiste in un aumento della velocità di degradazione dei recettori), con conseguente riduzione del numero dei recettori e riduzione dell’espressione dell’mRNA che codifica per il recettore.
Il recettore può anche essere fosforilato da PKA attivata da aumento di cAMP, ma gli effetti sono cineticamente più lenti rispetto a quelli che si hanno dopo l’attivazione di βARK.
Oppiacei
Nel SNA i recettori della morfina (μ e δ) sono accoppiati a proteine Gi che inibiscono l’adenilato ciclasi e quindi riducono i livelli di cAMP. La somministrazione cronica dell’agonista determina una ridotta sensibilità dei recettori, con conseguente aumento dell’attività dell’adenilato ciclasi e quindi della concentrazione di cAMP (necessità di aumentare la dose).
Desensitizzazione dei recettori per i fattori di crescita
Per la maggioranza dei recettori la cui attivazione richiede una fosforilazione in tirosina, tale modificazione funge da segnale per l’internalizzazione del complesso ligando-recettore. Questo evento è fondamentale per l’interazione tra il complesso ed il macchinario di trasduzione, però d’altro canto ciò riduce il numero di molecole recettoriale espresse in superficie. Questa riduzione è generalmente transitoria perché i recettori possono essere defosforilati e quindi riciclati; se la fosforilazione è persistente e/o se il recettore viene ubiquitinato, esso viene riconosciuto da proteine che lo trasportano ai lisosomi per essere distrutto: si ha così una vera e propria down-regulation a cui si può ovviare solo sintetizzando nuove molecole recettoriali. Nel caso del recettore per l’insulina, la desensitizzazione si ha per fosforilazione su residui di serina e treonina della subunità β da parte di PKC; nel caso del recettore per EGF, la fosforilazione persistente determina inibizione dell’attività tirosin-chinasica, riduzione dell’affinità per il ligando, internalizzazione e down-regulation.
Desensitizzazione dei recettori intracellulari
Riguardo a questa classe di recettori, le informazioni sono poche e fanno riferimento ai recettori per gli estrogeni. Questi vanno incontro a down-regulation, seguita da una riduzione della trascrizione dell’mRNA codificante, seguita ancora da un aumento della degradazione dell’mRNA.
Tolleranza
Consiste in uno stato di diminuita risposta all’effetto farmacologici come conseguenza della somministrazione continuata di una sostanza. Può essere di due tipi:
Un esempio di farmaci che possono dare entrambi i tipi di tolleranza sono i barbiturici ed il diazepam.
Pompe e trasportatori
Esistono due tipi di trasporto attraverso la membrana cellulare, passivo ed attivo. Nel trasporto passivo la sostanza che attraversa la membrana si muove secondo il suo gradiente di concentrazione e, se la specie è carica, secondo il suo gradiente elettrochimico: i passaggi degli ioni attraverso la membrana sono controllati da canali ionici, mentre nel caso del glucosio il passaggio viene facilitato dalla presenza di una proteina trasportatrice (si parla di diffusione facilitata). Molti dei movimenti dei soluti però avvengono contro il gradiente chimico e/o elettrochimico. Per permettere quindi il passaggio attraverso la membrana c’è bisogno del consumo di energia: si parla quindi di trasporto attivo. Si può sfruttare l’energia derivante dall’idrolisi dell’ATP, oppure l’energia elettrochimica fornita da un contro-ione. Il movimento di soluti può coinvolgere una o più sostanze: si parla rispettivamente di uniporto (trasporto di una singola molecola di soluto in ingresso o in uscita) e di cotrasporto; quest’ultimo si divide in simporto (due o più soluti sono trasportati nella stessa direzione) ed in antiporto (due o più soluti sono trasportati in direzioni opposte).
Le pompe ed i trasportatori sono proteine che attraversano da parte a parte la membrana plasmatica.
Pompa sodio/potassio
È un’antiporto che accoppia l’idrolisi di una molecola di ATP al trasporto di 3 ioni Na+ verso l’esterno e 2 ioni K+ verso l’interno della cellula; la sua importanza è sottolineata dal fatto che essa consuma in media il 30% dell’ATP generato dalla cellula (fino al 70% nelle cellule nervose). Mantiene bassa la concentrazione di Na+ all’interno della cellula ed alta quella di K+; nelle cellule eccitabili la pompa crea una variazione del potenziale di membrana che è alla base delle proprietà elettriche del tessuto. Quindi in definitiva è coinvolta nella trasmissione nervosa e nel mantenimento della pressione osmotica cellulare. Per quanto riguarda la struttura, la pompa sodio potassio è costituita da 4 subunità, due α e due β: la subunità alfa è interamente responsabile dell’attività di trasporto ionico, dell’attività ATP-asica e della sensibilità ai glucosidi cardioattivi; la subunità beta non ha funzione di pompa ma sembra essere necessaria per il trasferimento ed il mantenimento in membrana della subunità alfa.
L’attività della pompa deve essere in grado di adattarsi ai cambiamenti indotti da stimoli fisiologici e cellulari. Essa è modulata dalla concentrazione intracellulare di Na+ ed extracellulare di K+; la cinetica di attivazione è naturalmente diversa nei vari organi, dove la pompa è esposta a differenti variazioni della concentrazione intracellulare di sodio. Inoltre la pompa è regolata a breve e a lungo termine da ormoni; la regolazione a breve termine comprende sia effetti sulla cinetica enzimatica, sia effetti sulla traslocazione dell’enzima dalla membrana plasmatica ai compartimenti cellulari. I meccanismi a lungo termine influiscono invece sulla sintesi o sulla degradazione dell’enzima. L’aldosterone per esempio deve parte delle sua capacità antidiuretiche alla capacità di aumentare la trascrizione del gene che codifica per questa pompa a livello renale. L’attività della pompa può essere inibita da Ouabaina.
Di importante interesse farmacologici è il fatto che questa pompa è il bersaglio dei glucosidi cardioattivi, una classe di farmaci importanti nella terapia per la cura dell’insufficienza cardiaca e di alcune aritmie.
Glicosidi cardioattivi
L’insufficienza cardiaca è caratterizzata da una riduzione della contrattilità cardiaca (inotropismo), da tachicardia (aumento numero dei battiti), cardiomegalia (ingrossamento del cuore), diminuzione della gittata cardiaca, aumento del tono venoso, edema periferico e polmonare. Il percorso è questo: l’insufficienza cardiaca determina una diminuzione della gittata cardiaca, con conseguente diminuzione della pressione sanguigna; questo provoca un abbassamento del flusso renale, con conseguente attivazione del sistema renina/angiotensina II (che aumenta le resistenze periferiche, aumento della pressione); inoltre si ha produzione di aldosterone, che favorisce la ritenzione di sodio ed acqua (6 molecole di acqua per ogni molecola di sodio): questo provoca edema diffuso.
I digitatici sono estratti dalle foglie della digitalis purpurea, ed i più importanti sono la digitossina e la diossina. La loro struttura chimica è costituita da 3 elementi:
A livello dei miociti si legano alla subunità ala della pompa sodio/potassio, di conseguenza il sodio rimane all’interno della cellula ed il potassio all’esterno. L’aumento del sodio intracellulare rallenta la funzione dello scambiatore Ca2+/Na+, che normalmente provvede all’estrusione del calcio dalla cellula, determinando un transitorio aumento della concentrazione di questo ione; l’aumento del calcio, che interagisce col sistema actina/miosina, induce la contrazione sistolica.
In definitiva possiamo dire che i digitatici hanno effetti inotropo positivo (perché aumentano la forza di contrazione, basta bloccare il 30% delle pompe), cronotropo negativo, e di riduzione della contrazione AV.
Concentrazioni tossiche di digitatici inducono inibizione più elevata (60%) della pompa sodio-potassio, che provocando un aumento sostenuto della concentrazione del sodio e quindi del calcio, sono responsabili degli effetti tossici dei digitalici. (aritmie, nausea, vomito, diarrea, confusione mentale ed allucinazioni). Questa tossicità può essere contrastata utilizzando anticorpi contro i digitalici.
Pompa protonica gastrica o H+/K+-ATPasi
La secrezione acida dello stomaco è dovuta all’attività dell’enzima H+/K+ - ATPasi o pompa protonica gastrica. Nelle cellule a riposo, questo enzima è localizzato in strutture tubulo-vescicolari intracellulari delle cellule parietali. A seguito di stimolazione secretagoga (acetilcolina, gastrina ed istamina), questi organuli si fondono tra loro e con la membrana plasmatica a formare i canalicoli secretori il cui lume è in diretta continuità con il lume gastrico. Questa traslocazione è modulata da variazioni dei livelli ci cAMP, IP3, DAG e calcio all’interno della cellula. In condizioni di riposo la pompa protonica gastrica è inattiva perché nel lume della vescicola manca il potassio che è necessario per stimolare l’attività ATPasica dell’enzima. Quando le vescicole si fondono a formare i canalicoli in continuità con lo spazio extracellulare, viene attivato un sistema di efflusso di KCl: il K+ a contatto con la superficie extracellulare della pompa, viene riportato all’interno della cellula dalla pompa, mentre l’H+ viene estruso. I protoni che sono secreti derivano dall’idratazione della CO2 ad opera dell’anidrasi carbonica (con formazione di HCO3-). A livello della membrana basolaterale l’ingresso del Cl- è regolata dal gradiente di Na+ (mantenuto dalla pompa Na+/K+-ATPasi) ed è attuato dallo scambiatore Cl-/HCO3-. A livello della membrana apicale è presente un canale per il cloro che viene estruso secondo il suo gradiente elettrico. Il prodotto finale dell’azione della pompa è la produzione di HCl.
La pompa è costituita da due subunità, α e β: la prima presenta 10 regioni transmembrana e contiene i siti catalitici di legame per l’ATP e di legame e trasporto degli ioni; la seconda è altamente glicosilata, presenta un’unica regione transmembrana e non sembra avere alcuna proprietà catalitica o di trasporto.
La pompa rappresenta un bersaglio importante di farmaci anti-ulcera ed anti-reflusso gastroesofageo in grado di antagonizzare la secrezione acida a livello gastrico: uno di questi è l’omeprazolo. Esso è una base debole con un discreto grado di idrofobicità, quindi capace di attraversare le membrane; viene somministrato in capsule resistenti all’acidità gastrica, è assorbito a livello intestinale e, attraverso la circolazione sistemica, giunge nella cellula gastrica. Appena diffonde nel canalicolo, dato il bassissimo pH dell’ambiente, si trasforma in un composto protonato non più in grado di attraversare la membrana cellulare; subisce un’ulteriore conversione acida in sulfenamide in grado di interagire con i residui cisteinici della subunità α della pompa, impedendo l’influsso di K+. Poiché il legame è irreversibile, l’attività della pompa riprende solo dopo che nuove molecole di enzima vengono sintetizzate e inserite in membrana.
Trasportatori
Cotrasporto Na+/K+/Cl- : svolge un ruolo importante nel controllo del volume cellulare, secrezione di liquidi e Sali in ghiandole esocrine il bilancio idrosalino. È un simporto elettroneutro con una stechiometria di 1K+:1Na+/2Cl-: il gradiente elettrochimico per il sodio creato dalla pompa sodio potassio ATPasi viene sfruttato per far entrare nella cellula K+ e Cl- contro i rispettivi gradienti chimico ed elettrico. Ne esistono due varietà: con funzione di assorbimento (espressa nel rene), e con funzione secretoria (ubiquitaria).
Antiporto Na+/H+ : è importante per rimuovere l’eccesso di protoni prodotti dal metabolismo della cellula. Il metabolismo anaerobico del glucosio produce acido lattico, mentre quello aerobico produce CO2 che si trasforma in H2CO3. Questi acidi deboli si dissociano producendo protoni che vengono espulsi dalla cellula mediante sistemi antiporto come lo scambiatore Na+/H+ e quello Cl-/HCO3-. La stechiometria ionica dell’antporto è di 1:1, quindi la sua attività non è elettrogenica, ma è dipendente dal gradiente chimico del sodio, generato dalla pompa sodio-potassio, e dalla concentrazione intracellulari di protoni. A livello del cuore questo scambiatore pare essere coinvolto nel determinare il danno associato all’ischemia. Infatti, durante l’ischemia si ha aumento della glicolisi e quindi di acido lattico, con conseguente acidosi intracellulari. I bassi livelli di pH attivano lo scambiatore, che induce un aumento del sodio; questo inibisce l’estrusione del calcio e ne favorisce anche l’ingresso attraverso lo scambiatore Naà/Ca2+, e l’aumento dei valori del calcio provoca la morte cellulare attraverso l’attivazione di proteasi ed altri enzimi degradativi.
I diuretici
Sono farmaci che agiscono sul neurone e che inducono una perdita netta di sodio ed acqua dall’organismo agendo con vari meccanismi sul processo di riassorbimento del sodio a livello renale. L’effetto principale è una riduzione del riassorbimento del sodio e del cloro dall’ultrafiltrato renale e l’aumento dell’eliminazione dell’acqua è una conseguenza dell’eliminazione di NaCl.
Contribuiscono quindi anche a ridurre il volume ematico. Si dividono in 5 classi.
P-glicoproteina o ATPasi trasportatore di farmaci
Membro della famiglia dei trasportatori ABC (ATP-binding cassette), ATPasi responsabili del trasporto di varie sostanze attraverso la membrana plasmatica. È in grado sia di ridurre l’influsso dei farmaci nel citoplasma, sia di aumentarne l’efflusso con un meccanismo dipendente dallATP. La resistenza multifarmacologica è dovuta all’espressione di geni (o a mutazioni) che codificano per la P(permeabilità)-glicoproteina.
Scambiatore Na+/Ca2+
Catalizza il controtrasporto bidirezionale di sodio e calcio, ed è presente in tutti i tessuti eccitabili e in alcuni epiteli. Poiché lo scambio avviene con una stechiometria di 3Na+:1Ca2+, il sistema è elettrogenico. Svolge un ruolo importante nella regolazione della concentrazione di calcio intracellulari nelle cellule eccitabili (quindi nella modulazione di processi vitali quali rilascio di neurotrasmettitori e contrazione cardiaca) e nelle cellule muscolari lisce della parete dei vasi (e quindi nel controllo del tono e della contrattilità dei vasi).
Antiporto Cl-/HCO3-
Denominato anche BAND3, è il principale proteina integrale degli eritrociti; catalizza lo scambio 1:1 di anioni Cl- ed HCO3-. È essenziale per la funzione degli eritrociti che è quella di trasportare CO2 prodotta dai tessuti periferici ai polmoni per la sua eliminazione. A livello dei tessuti periferici, la CO2 entra nell’eritrocita, per opera dell’anidrasi carbonica viene convertita in HCO3-, che viene poi estrusa per opera dell’antiporto in cambio di uno ione cloro. Questo evita che la CO2 si accumuli nell’eritrocita causando un’eccessiva alcalinizzazione del citoplasma. La direzione del processo si inverte nei polmoni, dove l’HCO3- diffonde nel globulo rosso in cambio di Cl- che esce; l’HCO3- si combina con un H+ formando H2O e CO2, che viene poi eliminata con la respirazione.
Fonte: http://www.area-c54.it/public/farmacodinamica.doc
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