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L’abito, nell’Atene arcaica e classica non meno che nel mondo moderno, rappresenta un “segnale” di facile comprensione lanciato dal singolo ai membri della comunità di appartenenza. L’abito consente di distinguere agilmente sesso e funzione, ruolo del singolo nell’ambito della propria comunità. Per una donna greca il sesso esprime univocamente la fuzione di madre e di sposa, di amministratrice della casa. Per l’uomo sono previste
una molteplicità di funzioni e di contesti sullo sfondo dei quali le singole funzioni specificamente si svolgo- no, onde diversi e molteplici sono i segnali che l’uomo greco, attraverso specifiche fogge e abbiglia- menti lancia ai membri della propria comunità. L’uo- mo, innanzitutto, a differenza della donna (sostan- zialmente prigioniera della propria dimora), si sposta (v. C4-7), combatte (v. C4-4), fa sport (v. C4-2), l’uomo lavora e, in ogni specifico contesto, una foggia particolare si “sposa” alla funzione.
La donna greca indossa un abito pesante, di lana, solitamente chiamato peplo (ben documentato soprattutto nella ceramografia attica della prima metà del VI sec. a.C.) oppure un abito più leggero, di lino, detto chitone (ben documentato soprattutto a partire dalla fine del VI sec. a.C.). Solitamente un mantello (himàtion) s’accompagna al chitone a proteggere le spalle e il dorso o ad avvolgere la testa.
Il peplo consta sostanzialmente di un rettango- lo di stoffa pesante (lana) avvolto intorno alla vita e appuntato sulla spalla destra e sulla spalla sinistra mediante spilloni. La parte superiore del tessuto, ripiegata per il verso della lunghezza, formava una sorta di riporto di stoffa detto apòptygma che proteg- geva ulteriormente il seno e il ventre. Il rettangolo di stoffa cosí ripiegato veniva fatto passare sotto l’ascel- la sinistra, onde il vestito rimaneva aperto sul lato destro. Si tratta del più diffuso peplo aperto (fig. 1). Nel peplo chiuso (fig. 2) il lato aperto risulta cucito, onde il rettangolo di stoffa assume una forma tubolare. Una volta indossato, il peplo poteva essere stretto alla vita per mezzo di una cintura. Sul lato B del cratere
François (Piano II, Sala I, Vetrina 4) (Dia 50), fra gli dèi che in processione muovono verso la dimora di Pèleo e Tèti, sono raffigurate le quattro Mòire (fig. 3). Quest’ultime indossano tipici pepli chiusi (stretti in vita da una cintura) ornati di ricami. In particolare il peplo della seconda Mòira a partire da sinistra, reso in vernice nera, si articola in bande orizzontali decorate fittamente da minute incisioni che imitano ricami (vi sono raffigurati i mostruosi esseri animaleschi tipici del repertorio orientalizzante). Kleitìas, il ceramografo, ha inoltre raffigurato con precisione lo spillone che ferma sulla spalla destra il peplo della prima Mòira (sempre a partire da sinistra).
Il chitone consta invece di due teli rettangolari in lino (detti ptèryges) sovrapposti e cuciti per il verso della lunghezza. Il “tubo” venutosi così a formare era cucito superiormente (=lato stretto) in due punti sopra le spalle, in modo da formare tre aperture per la testa e le braccia. Si tratta del chitone cosiddetto ampio (fig. 4). Nel chitone cosiddetto stretto l’aper- tura per le braccia era praticata sui lati lunghi mentre il lato corto (superiore) cucito alle estremità destra e sinistra ma non al centro manteneva l’apertura per la testa (fig. 5). Il chitome manicato era invece, sostan- zialmente, un chitone stretto munito di maniche tubolari cucite in corrispondenza delle aperture per le braccia. Il mantello (himàtion), indossato regolar- mente in combinazione col chitone (ma talvolta an- che col peplo), poteva coprire la testa e le spalle, essere simmetricamente indossato sulle spalle e pro- teggere il dorso oppure passare sotto l’ascella sinistra ed essere allacciato o affibbiato sulla spalla destra in modo da attraversare obliquamente il petto e da lasciare scoperta la spalla sinistra. Sul tondo interno della kylix a figure rosse n. inv. 3921, del Pittore di Brygos, databile al 490-480 a.C. circa (Piano II, Sala VI, Vetrina 2, ripiano superiore al centro) (Dia 51), la suonatrice di doppio aulòs indossa un chitone ampio fittamente pieghettato e allacciato alla spalla nonché un mantello (himàtion) avvolto intorno alla vita e che lascia scoperta la spalla destra.
Tra gli accessori del vestiario femminile non mancano infine cuffie per raccogliere i capelli.
Anche gli uomini indossano chitone e himàtion. Il chitone lungo e senza cintura (=podères, “lungo sino ai piedi”) è, senz’altro, una veste prestigiosa indossata da dèi, uomini anziani e membri di spicco della comunità. Sul lato A del cratere François (Piano II, Sala I, Vetrina 4) (Dia 52; fig. 6) il re di Troia Priamo siede su di uno sgabello nei pressi delle porte della città: il nobile e anziano personaggio indossa regolarmente chitone podères senza cintura e himàtion a protezione delle spalle. Il chitone corto (fino alle ginocchia), a differenza del chitone podères, è il vestito di tutti i giorni indossato da quanti (cacciatori, soldati, eroi impegnati nelle loro quotidiane fatiche, servi, artigiani), costretti a far
movimento, abbisognano di una veste che non ostacoli la loro attività. Sul lato A della pelìke a figure rosse n. inv. 3985, del Pittore di Belino, databile al 500-490 a.C. circa (Piano II, Sala V, Vetrina 1, ripiano superiore al centro) (Dia
53) il giovane eroe attico Tèseo alle prese col mostruoso Minotauro indossa, come di norma, il corto chitone che sco- pre e libera nell’azione le gam- be vigorose. Si tratta di un cor- to chitone amphimàschalos (=allacciato su entrambe le spalle), mentre il chitone eteromàschalos risulta allaccia- to su di una spalla sola. Del genere dell’eteromàschalos fa- ceva invece parte l’exomìs: in questo caso la parte non allac- ciata del vestito poteva ricade- re giù ed eventualmente, in caso di necessità, essere nuovamen- te allacciata alla spalla. Arti- giani e servi, personaggi so- cialmente ai margini della sca- la sociale, indossano regolar- mente chitone eteromàschalos ed exomìs.
Il himàtion, di solito, ri- cade simmetricamente sulle spalle (Dia 52) oppure, spesso,
avvolge interamente il corpo di un uomo. Sul lato A della pelìke a figure rosse n. inv. 3985, del Pittore di Berlino, databile al 500-490 a.C. circa (Piano II, Sala V, Vetrina 1, ripiano superiore al centro) (Dia
53) tre figure incorniciano il “gruppo” centrale di Tèseo in lotta col Minotauro: mentre a destra due fanciulle impaurite indossano chitone e himàtion (disposto simmetricamente sulle spalle), a sinistra un giovane è avvolto quasi interamente in un lungo mantello che lascia scoperta la spalla destra e libera il braccio destro in un gesto di stupore. Sul tondo interno della kylix a figure rosse n. inv. 3920, del Pittore di Antiphòn, databile al 490-480 a.C. circa (Piano II, Sala VI, Vetrina 1, ripiano superiore a destra n.
1) (Dia 54) un giovane comasta indossa, invece, un corto mantello che fa da sfondo alla nudità completa del suo agile corpo. La chlamys è un corto mantello fissato con una fibbia o con uno spillone alla spalla sinistra: il braccio destro rimaneva così libero. Se fissata al petto, entrambe le braccia rimanevano libere mentre il mantello ricadeva giù simmetricamente formando due “ali” (pterà). La chlamys era un mantello da equitazione (e da viaggio) e come tale era comunemente indossato dai ragazzi nell’età
dell’efebìa (un periodo di formazione militare della durata di tre anni, collocabile dai diciotto ai vent’anni). La chlamys compare spesso in combinazione col pètasos, un cappello a larghe tese frequentemente calzato dai viaggiatori, attributo, tra l’altro, del messaggero degli dèi Hermés. Sulla hydrìa a figure rosse n. inv. 4014, del Gruppo di Polygnotos, databile al 450-440 a.C. circa (Piano II, Sala IX, Vetrina 1, ripiano inferiore a sinistra n. 1) (Dia 55) un giovane con chlamys affibbiata alla spalla destra e pètasos muove contro una fanciulla in chitone e himàtion con i capelli racchiusi in una cuffia (sàkkos). A sinistra si nota una donna in chitone e himàtion che fugge, coi capelli al vento, verso un vecchio avvolto interamente nel mantello e che s’appoggia a uno “scettro” e verso una donna in chitone e himàtion e dai capelli raccolti in un sàkkos; quest’ultima tende le braccia verso la fuggente.
Alcuni capi d’abbigliamento, come in parte abbiamo visto (chitone podères, exomìs) caratteriz- zano socialmente il personaggio che li indossa e la “funzione” da lui svolta nell’ambito della comunità di appartenenza. Non è il caso di ritornare, in questa sede, sull’“abbigliamento” dell’oplita (v. C4-4). Gli aurighi indossano comunemente lunghi chitoni bianchi stretti in vita: si veda sul lato A del cratere François (Piano II, Sala I, Vetrina 4) (Dia 56) la figura di Hippothòon alla guida di una quadriga. Normalmente aulèti e citarèdi si esibiscono indossando splendide vesti ricamate. Sul lato A dello stàmnos a figure rosse n. inv. 4006, del Gruppo di Polygnotos, databile al 440 a.C. circa (Piano II, Sala IX, Vetrina 1, ripiano inferiore a sinistra n. 3) (Dia 57), è raffigurato un citarèdo sul bèma a tre gradini
(sorta di palco da cui il citaredo si esibisce) fra due Nìkai alate e vestite di peplo (una Nìke lo incorona da dietro mentre sul davanti una Nìke avanza in volo recando una phiàle). Il citarèdo indossa una lunga veste manicata elegantemente ricamata. Gli artigiani indossano solitamente, come si è visto, l’exomìs e calzano il pìlos (una sorta di berretto conico). Anche i marinai calzano solitamente il pìlos. Sul lato B del cratere François (Piano II, Sala I, Vetrina 4) i marinai della nave di Tèseo, da poco sbarcati sull’isola di Dèlos, recano il pìlos e indossano corti mantelletti, disposti simmetricamente sulle spalle, e corti chitoni.
Entrando in contatto con popoli stranieri i Greci, e fra essi gli Ateniesi, finiscono per mutuarne pratiche e usanze e, non da ultimo, ne vengono influenzati nella confezione di vesti e di capi d’abbigliamento, come documenta chiaramente tutta una serie di immagini vascolari.
La presenza in Atene di Sciti e di Traci non mancò d’imporre in Attica una moda “scitica” e “tracia”, soprattutto verso la fine del VI sec. a.C. Sciti vengono regolarmente arruolati ad Atene nei corpi di guardia: non è sempre chiaro, tuttavia, se gli arcieri scitici raffigurati sui vasi attici nelle loro esotiche, caratteristiche fogge (“casacche”, “tute” e “calzoni” in pelle, alti copricapi conici) siano effettivamente Sciti oppure Ateniesi in abbigliamento “militare” scitico. I Traci si caratterizzano, solitamente, per un rozzo copricapo in pelle di volpe (la cosiddetta alopekìs), degli stivaletti in pelle (i cosidetti embàdes) e un lungo mantello ornato di ricami e allacciato al petto (la cosiddetta zeirà) che molti giovani ateniesi non mancano d’indossare. Sul frammento di kylix a figure rosse n. inv. 151306, del Pittore di Brygos, databile al 490-480 a.C. circa (Piano II,
Sala VI, Vetrina 2, ripiano inferiore a sinistra n. 3) è raffigurato un guerriero in costume tracio (alopekìs, zeirà, embàdes) con il proprio cavallo.
Anche i Lidî non mancano d’in- fluenzare la moda attica: l’abbigliamen- to lidio, caratterizzato da turbante (mìtra), morbidi stivali di pelle (kòthornoi) e bàrbiton (strumento mu- sicale simile a una lyra ma dotato di bracci più lunghi e curvati alle estremità verso l’interno) e qualche volta paraso- le, doveva sembrare agli Ateniesi quasi degno di una donna, tanto che il termine di lydopathés (=colui che segue “mode” lidie) appariva sinonimo di effemminato. Sul lato A della pelìke a figure rosse n. inv. 3984, non attribuita, databile al 510-500 a.C. circa (Piano II, Sala IV, Vetrina 4, ripiano inferiore a destra n. 2) è raffigurato il prototipo di un lydopathés che indossa un lungo chitone e l’himàtion, in maniera non dissimile da
una donna, suona il bàrbiton e reca i capelli raccolti in una cuffia ricamata.
Sul lato A della kylix a figure rosse n. inv. 3922, di Dòuris, databile al 490-480 a.C. circa (Piano II, Sala VI, Vetrina 3, ripiano superiore al centro), sono invece raffigurati tre uomini distesi a banchetto su tre klìnai. Il simposiasta di sinistra si distingue per un caratteristico copricapo orientale: per il resto il personaggio indossa, non diversamente da un “ateniese”, un lungo mantello che gli fascia completa- mente la gambe e gli lascia scoperta la spalla destra.
Tra gli elementi, per così dire, accessori dell’abbigliamento non possiamo dimenticare le calzature. Conosciamo molti nomi antichi di calzature ma, come frequentemente capita nello studio delle antichità classiche, non è sempre facile ricollegare i nomi attestati nelle fonti letterarie a immagini determinate. In linea generale possiamo distinguere due tipi di calzature: “stivaletti” in pelle di diversa altezza che, comunque, fasciano e chiudono interamente il piede (embàdes, endromìdes, kòthornoi) e sandali (krepìdai e blàutai).
Per quanto riguarda gli embàdes, termine generico che “descrive” una calzatura nella quale il piede letteralmente “entra” (embàino=entrare), si tratta di stivaletti in pelle, talvolta raffigurati senza lacci, caratterizzati, in alto, da un risvolto (ptèryx): quest’ultimo manca nell’endromìs la quale, per il resto simile a un embàs, poteva fasciare il polpaccio (endromìs bassa) o sfiorare il ginocchio (endromìs alta). I kòthornoi sono invece calzari di origine orientale larghi e comodi (fasciano interamente il piede e risalgono talvolta la gamba fino al polpaccio). Calzari femminili per eccellenza, adatti a camminare in ambienti chiusi, domestici, anche gli uomini, per ciò stesso tacciati di effemminatezza, non mancano di calzare kòthornoi. La krepìs è invece un sandalo che lascia trasparire il piede dietro un reticolo spesso molto semplice di legacci che non supera mai le caviglie. Le dita del piede sono generalmente mantenute ferme da una correggia che passa fra il pollice e l’indice. Il tallone è protetto da una serie di legacci in pelle che si staccano dalla suola. Talvolta, invece, le krepìdai sono chiuse da un reticolo di legacci (polyschidés) che avvolge tutto quanto il piede. Le blàutai sono invece sandali maschili di lusso, come i sandàlia delle donne, caratterizzati, come i krepìdes, da un sistema di cinghie.
Sul tondo interno della kylix a figure rosse n. inv. 3949, del Pittore di Brygos, databile al 490-480
a.C. circa (Piano II, Sala VI, Vetrina 2, ripiano superiore a sinistra n. 3) è raffigurato un giovane, disteso su di una klìne, in atto di cantare. Il giovane, prima di sdraiarsi a banchetto, si è tolto le scarpe: il ceramografo le raffigura effettivamente sotto la klìne. Non si tratta di sandali bensì di calzari privi di allacciatura e di risvolto, simili a endromìdes. Si noti, inoltre, il bastone da passeggio, nodoso e con l’estremità superiore ricurva, che il banchettante ha appoggiato dietro la klìne. Sui vasi compaiono bastoni di ogni tipo, muniti di impugnature ricurve o a testa di stampella: di lunghezze variabili, sono spesso alti fino alle spalle e oltre (in questo caso i personaggi vi si appoggiano con le ascelle e il bastone viene raffigurato obliquo). Il bastone da passeggio era considerato un segno di benessere sociale. Si trattava di un accessorio quasi indispensabile nella tenuta di un Ateniese alla moda.
GLOSSARIO
Achille - Figlio di Pèleo e di Tèti, massimo eroe acheo. Muore sotto le mura di Troia per mano di Pàride.
Aulèta - Suonatore di aulòs.
Aulòs-Strumento a fiato assimilabile all’oboe.
Auriga - Colui che, affiancando sul carro il guerriero, ha il compito di guidare il cocchio. Citarèdo - Suonatore di cetra (accompagna col canto il suono dello strumento a corde). Comasta - Prende parte alla baldoria (=kòmos) dionisiaca.
Dèlos - Minuscola isola al centro dell’arcipelago egeo delle Cìcladi, sacra ad Apollo e ad Artemide.
Hermés - Figlio di Maia, messaggero degli dèi. Attributi del dio sono: calzari alati, pètasos alato e caduceo, una sorta di bacchetta magica.
Klìne - Letto sul quale i Greci si distendono a banchetto.
Kòmos - Letteralmente “baldoria”, danza orgiastica che talora conclude la celebrazione del rito collettivo del simposio. Lidî - Abitanti della Lidia, una regione dell’Anatolia (con capitale Sàrdi) che vide fiorire una splendida civiltà nella prima metà del VI sec. a.C. fino a che l’ultimo legittimo re lidio Creso non fu detronizzato dalle armate del re persiano Ciro (verso la metà del VI sec. a.C.).
Lyra - Strumento musicale a sette corde: si distingue da una cetra per la cassa armonica non lignea bensì ricavata dal carapace di una tartaruga.
Minotauro - Mostruoso figlio di Pasìfae (la consorte del re di Cnosso Minosse) e di un toro: viene generalmente raffigurato dai ceramografi attici con la testa taurina e il corpo umano. Tèseo era riuscito a uccidere il mostro, che annualmente divorava sette fanciulli e sette fanciulle ateniesi, avvalendosi dell’aiuto della figlia di Minosse Arianna.
Mòire - Il termine greco mòira indica la “parte” di destino assegnata a ciascun uomo sin dalla nascita. Le Mòire, divinità del destino dal numero non ben definito, almeno nei poemi omerici, secondo Esìodo sarebbero tre: Clòto, la filatrice del filo della vita, Làchesi, che dà a ciascuno quel che gli spetta, e Atropo, l’inflessibile, dèa dell’immutabilità del fato e dell’inevitabilità della morte.
Nìke - Divinità alata, personificazione della vittoria.
Oplita - Fante armato di elmo, corazza, schinieri, scudo rotondo, lancia e spada.
Orientalizzante - Periodo della storia artistica greca. Coincide, essenzialmente, con il VII sec. a.C., età nella quale il mondo greco riallaccia i contatti con le civiltà del Vicino Oriente venendone decisamente influenzato.
Pàtroclo - Amico e scudiero di Achille. Muore, vestito delle armi di Achille, per mano di Ettore.
Pèleo - Figlio di Eaco e padre di Achille.
Phiàle - Sorta di coppa apoda e priva di anse, solitamente impiegata per libare.
Sciti - Nomadi delle steppe eurasiatiche, con i quali i Greci vennero a contatto dopo la colonizzazione delle rive settentrionali del Mar Nero.
Simposiasta - Partecipante al simposio. Quest’ultimo rappresenta il momento conclusivo del banchetto: sparecchiate le tavole, gli invitati bevono insieme (simposio etimologicamente significa “bevuta comune”).
Tèseo - Principale eroe attico, figlio del re di Atene Egeo.
Tèti - Divinità delle profondità marine, sposa di Pèleo e madre di Achille.
Traci - Abitanti della regione che s’affaccia sulle coste settentrionali del Mar Egeo, subito a est della Macedonia (fortemente ellenizzati, a partire soprattutto dalla seconda metà del V sec. a.C.).
Tròilo - Figlio del re di Troia Priamo, una profezia ancorava la caduta di Troia alla morte violenta del giovinetto onde Achille tese un agguato a T. mentre quest’ultimo si recava, con la sorella Polissèna, ad attingere acqua a una fontana posta fuori dalle mura della città.
BIBLIOGRAFIA
M. BIEBER, Entwicklungsgeschichte der griechischen Tracht, Berlin 19672
P. COLAFRANCESCHI CECCHETTI, “Decorazione dei costumi nei vasi attici a figure nere” in Studi Miscellanei, 19, 1972
J. BOARDMAN, Greek Sculpture. The Archaic Period, London 1978, pg. 67 s.
D.J. SIMONS, Costume of Ancient Greece, London 1987
G. LOSFELD, Essai sur le costume grec, Paris 1991
A. PEKRIDOU-GORECKI, Come vestivano i Greci, Milano 1993 Sui Lydopathòi si veda:
J. BOARDMAN, I Greci sui mari. Traffici e colonie, Firenze 1986, pg. 104 Su calzari e bastoni da passeggio si veda:
Ch. DAREMBERG-M. SAGLIO, Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, V, 2, Paris 1919, pg. 21 s.
Ciclostilato a cura della Sezione Didattica della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Toscana, via della Pergola, 65 - Firenze
Fonte: http://www.archeologicatoscana.it/wp-content/uploads/2009/11/Grecia-Labbigliamento.pdf
Sito web da visitare: http://www.archeologicatoscana.it
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