La moda e il Made in Italy

La moda e il Made in Italy

 

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

 

 

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

 

 

 

La moda e il Made in Italy

Il cosiddetto Made in Italy è un fenomeno complesso che  tocca diversi settori ed attività economiche del sistema Italia, spaziando dai beni industriali sino ai prodotti tipici dell’agricoltura e del turismo. Il Made in Italy non rappresenta solo un marchio di qualità, ma un modello di organizzazione industriale in cui un’impresa, nata con un forte legame con il territorio e con una spiccata vocazione artigianale, si  trasforma in un nucleo di servizi avanzati in grado di gestire sia le fasi di produzione che quelle di creazione, di distribuzione e commercializzazione (Fortis, 1998; Quadrio Curzio e Fortis, 2000). Il Made in Italy negli ultimi 25-30 anni ha rivestito un ruolo crescente nel commercio estero: in particolare, l’aggregato sistema moda-arredo-casa- alimentazione mediterranea e la meccanica collegata hanno, nel loro insieme, costantemente presentato un saldo commerciale con l’estero attivo nel secondo dopoguerra (ICE, 2003)
Il sistema tessile-abbigliamento-moda, nonostante la pesante crisi congiunturale che sta investendo il settore e    l’economia


 

italiana in genere, rimane all’avanguardia a livello mondiale, soprattutto grazie ai fattori della creatività, dell’originalità, del design, delle technicalities e delle tecnologie, confermandosi uno dei settori trainanti per quanto riguarda il Made in Italy1.
L’industria della moda italiana nel mondo, con un fatturato di
48 miliardi di euro, 70.000 aziende e 700.000 persone impiegate, rende il nostro Paese il più attivo al mondo, in termini quantitativi, secondo soltanto dopo la Cina, e detiene la leadership nel prêt-a-porter, sebbene l’Italia non sia favorita né dalla ricchezza di materie prime né dal costo del lavoro
L’elevata dinamicità registrata negli ultimi anni sia sul fronte dei flussi in entrata che su quello delle esportazioni testimonia il continuo processo d’internazionalizzazione dell’industria italiana: negli ultimi quattro anni il grado di apertura al commercio internazionale è aumentato di undici punti, oltre il 56% della produzione nazionale viene esportata, mentre poco meno di 1/3 della domanda interna è soddisfatta da prodotti d’importazione  (Eurostat  2002).  A  livello  europeo,  il  peso

  1. Cfr www.sistemamodaitalia.it.
  2. Intervista a Mario Boselli, Presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana.

della produzione italiana, in termini di valore, è circa il 35%  di quella dell’intera Unione e, nel caso dell’abbigliamento (escludendo il tessile e il calzaturiero) la quota è ancora superiore arrivando al 37,3% (Eurostat 2002).
Nonostante questo, il settore ha fortemente risentito della crisi generale, le cui principali ragioni si possono ricondurre ad aspetti congiunturali, legati all’apprezzamento dell’euro e alla debolezza della domanda, e ad un insieme di aspetti  strutturali, legati all’indebolimento della posizione  competitiva mondiale e alla variazione del comportamento del consumatore.
Il sistema moda, infatti, ha accusato particolarmente la rivalutazione dell’euro rispetto al dollaro: la svalutazione della moneta statunitense ha bloccato la dinamica annua del settore al -4,3%, frenando la ripresa moderata che si era registrata negli ultimi mesi dell’anno passato. Le esportazioni delle industrie del tessile e dell’abbigliamento hanno mantenuto un andamento crescente nel tempo, sebbene con una diminuzione tendenziale del tasso di crescita, soprattutto nel caso dell’abbigliamento, fino al rallentamento avvenuto nel corso del 2002. Nell’ultimo anno il settore nel suo complesso ha


 

perso il 4% a causa, in particolare, della diminuzione delle esportazioni di prodotti tessili che ha sfiorato il 6%. Nella media del 2003 il fatturato dell’industria della moda si è così ridotto del 4,3%, un calo superiore a quello già subito nel 2002, anno in cui, però, la congiuntura negativa aveva colpito solo i settori a monte (Eurostat 2002).
Fra i principali mercati di sbocco delle nostre produzioni, nel corso degli ultimi cinque anni, gli scambi con l’Europa dell’Est hanno assunto un ruolo di rilievo, sia per la progressiva diffusione dei prodotti Made in Italy in questi mercati emergenti sia, in particolare nel caso della Romania, come conseguenza dei maggiori interscambi commerciali derivanti dal traffico di perfezionamento passivo3.

  1. Il traffico di perfezionamento (TP) è un regime doganale particolare dell’Unione Europea, il quale consente di rilevare separatamente dai flussi di scambio definitivi i movimenti di merci al di fuori del territorio economico della UE e  destinate ad essere perfezionate al di fuori del territorio economico della   UE (esportazioni temporanee) e quelli relativi alle importazioni  nel  territorio della UE di merci a scarico di esportazioni temporanee (reimportazioni). Parallelamente, vengono rilevati in questo regime tariffario i movimenti  in  entrata di merci destinate a subire il perfezionamento nel territorio economico della UE (importazioni temporanee) e quelli di esportazione a scarico di precedente importazione temporanea (riesportazioni). I primi due flussi misurano dunque il Traffico di Perfezionamento Passivo (TPP), gli altri due il Traffico di Perfezionamento Attivo (TPA). Cfr. S. Baldone, F. Sdogati, L. Tajoli, “Frammentazione internazionale della produzione e crescita”, in M. Cucculelli    e

 

Le importazioni di prodotti tessili e di abbigliamento, al contrario delle esportazioni, stanno aumentando nel tempo (Eurostat 2002). Questa tendenza può essere la conseguenza  di due dinamiche: da un lato, la concorrenzialità di prezzo di merci interamente prodotte all’estero, soprattutto in paesi dell’Estremo Oriente, progressivamente avvicinatesi ai gusti e alle mode occidentali, ed entrate con gran forza sui nostri mercati grazie alla leadership di costo; e dall’altro la crescita della delocalizzazione produttiva come modalità di internazionalizzazione (Acocella e Schiattarella, 1989), che comporta un aumento di scambi commerciali senza un corrispondente ingresso sul mercato italiano di prodotti stranieri.

Una quota rilevante di importazioni proviene da Cina e India (paesi a basso costo del lavoro e con grandi  volumi produttivi), da Romania, Tunisia e Turchia (mete di TPP) e  dai principali paesi europei tradizionalmente concorrenti dell’Italia per i prodotti tessili e di abbigliamento. Inoltre, le importazioni  di  prodotti  tessili  e  di  abbigliamento  da paesi
R. Mazzoni (a cura di), Risorse e competitività, , Franco Angeli (2002), pagg. 256-257.


 

extra-UE, sono soggette a dazi in ingresso in Italia molto inferiori rispetto a quelli che le merci italiane subiscono all’ingresso negli stessi paesi. Ciò avviene, in particolare per alcune categorie merceologiche, anche nei confronti di economie forti (USA) e di paesi con elevati tassi di crescita (Cina, India) e provoca una forte penalizzazione nei confronti delle imprese italiane.
Al fine di far fronte ad una concorrenza internazionale che ha visto l’emergere di nuovi competitori, le imprese italiane hanno consolidato un ruolo di leadership in alcune importanti nicchie di mercato: rispetto ai principali concorrenti internazionali, infatti, il sistema moda italiano ha spostato la propria specializzazione verso i segmenti a più alto valore aggiunto del comparto. Le imprese italiane tendono sempre  più a posizionarsi, sia sul mercato domestico che sul quello estero, su fasce di mercato medio-alte, basando gran parte della propria forza su strategie brand-specific, competendo direttamente con i paesi sviluppati come Francia, Belgio, Spagna e U.S.A. Contemporaneamente, le fasce di mercato a minor valore aggiunto risultano sempre più appannaggio dei paesi emergenti, grazie a forti vantaggi nei costi dei fattori   di produzione, primi fra tutti la Cina: il valore medio unitario delle importazioni cinesi è inferiore del 60% rispetto alla media, segnale sia di una strategia di prezzo molto aggressiva, sia di standard qualitativi medio-bassi. (ACCI, 2002; Pittiglio, 2003).



I nostri competitors, quindi, sono i paesi emergenti per quanto riguarda le fasce di mercato più basse, e i paesi sviluppati per quanto riguarda le fasce di mercato medio alte, considerando inoltre, che la produzione in paesi emergenti è spesso una  mera delocalizzazione di imprese appartenenti a paesi sviluppati4. A questo proposito è utile sottolineare che la dinamica internazionale del sistema moda contiene in se una potenziale criticità: il modello competitivo globale si basa su un crescente investimento in Ricerca e Sviluppo da un lato (esigenze innovative continue, design, nuovi materiali) e in marketing dall’altro (branding, comunicazione, pubblicità, controllo sulla catena distributiva); ciò richiede alle maggiori aziende capacità organizzative e finanziarie elevate, mentre  le aziende subfornitrici rischiano un crescente spiazzamento in seguito alla formazione di value chains globali.

  1. Questa situazione è incentivata dalla prossima scadenza dell’Accordo Multifibre (2005), che sebbene con effetti progressivamente minori limita ancora oggi le esportazioni di paesi emergenti sui paesi terzi. Cfr. G. De  Felice,  F. Guelpa, Sistema moda e prospettive sui mercati internazionali, Intesa  BCI,  Milano 2001.

 


La crescente competizione con i paesi emergenti (la Cina che, assieme a Romania e Tunisia, i due tradizionali partner produttivi dell’industria italiana, è fra i principali fornitori del nostro paese), trova inoltre la sua ragione d’essere nel mutamento del comportamento dei consumatori italiani (Istat 2002). Se negli anni ’90, infatti si poteva contare ancora, nei confronti dei produttori di nuova industrializzazione a basso costo, sull'eccellenza qualitativa del prodotto italiano, per cui  il consumatore finale percepiva una differenza in termini di tessuti utilizzati e di manualità manifatturiera tale da sostenere la produzione italiana, oggi invece il consumatore finale ha mutato la propria propensione al consumo ed ha mutato la propria scelta nel paniere dei consumi (Cozzi 1996; Calvi, 1996).
Questo è dovuto non solo a ragioni economiche, ma anche legate all’evoluzione dei comportamenti sociali: le differenze ridotte in termini di qualità, creatività, design, utilizzo di tessuti e di tecniche di ‘nobilitazione’ tessile (tintura del tessuto,  tenuta,  solidità)  vengono difficilmente percepite  dal consumatore, che tende a preferire il prodotto proveniente dai paesi emergenti, potendo contare su un prodotto affidabile, piacevole e a basso prezzo. La competizione non può quindi basarsi esclusivamente sul perseguimento della qualità, ma nasce l’esigenza di reinterpretare creativamente un mercato sempre più complesso ed attento ai significati ed alle meta- caratteristiche del prodotto.
Da questa impostazione derivano forme innovative di micro segmentazione del mercato internazionale (Valdani, 1984, 1986; Cesarin, 1990), dove le nicchie che ne derivano sono il risultato di un processo creativo di rappresentazione delle opportunità di mercato. Il presente contributo intende dedicare particolare attenzione agli scenari di quest’ultimo tipo, attraverso un percorso di analisi qualitativa e di ricerca azione.


Le fonti di vantaggio competitivo nel mercato dell’abbigliamento

Secondo gli esperti di settore, si delinea chiaramente un assunto di base: la platea di piccole e medie imprese operanti nel settore possono sopravvivere solo nella misura in cui si orientino ad una nicchia di mercato di riferimento, sia nei comparti a monte (produttori di filati e tessuti) che in quelli a valle (imprese industriali che producono abiti confezionati). Il posizionamento su un mercato di massa appare non sostenibile, sia per ragioni strutturali che per ragioni congiunturali, ed il posizionamento su nicchie “mature”, quali la produzione di lusso, comporterebbe scontrarsi, con poche possibilità di successo, con elevate barriere d’ingresso e competere con aziende affermate, forti di brand globali.
Non è, infatti, più possibile pensare di poter essere competitivi in un mercato in cui sono cadute molte barriere all’ingresso, caratterizzato da un’arena competitiva mondiale per quanto riguarda l’offerta (Zucchella e Maccarini, 1999), e da una domanda fortemente volubile, per cui la fidelizzazione del cliente ha perso importanza. La propensione al consumo è mutata  e  il  paniere  di  riferimento  dei  beni  accessori, quali l’abbigliamento, è composto da beni fra loro sostituti, la disponibilità di denaro si è ridotta ed esiste una domanda di prodotti non standardizzati ma comunque a basso costo (“value for money”), rispetto alla quale le imprese industriali si stanno attrezzando sia per rispondere alla concorrenza asiatica, sia per competere con i laboratori artigianali che si sono inseriti in questo comparto.


Di conseguenza, il primo imperativo per un’azienda che intenda entrar in questo settore consiste nell’individuare una strategia competitiva di tipo innovativo, basata sulla focalizzazione su una nicchia di nuova generazione all’interno del mercato, in cui si coniughino alta qualità, creatività, innovazione e tendenze socio-culturali.
Lo step immediatamente successivo consiste nell’implementazione di strategie funzionali, non più caratterizzate da una visione per funzioni separate, ma basate su una gestione imprenditoriale e per progetti, dove R&D e marketing rappresentano le aree critiche, a maggior impatto sulla catena del valore (Brognara e Codeluppi, 1992). La produzione, rimane sempre un’area critica nella gestione aziendale,   nonostante   la   relativa   riduzione   del   suo peso


 

all’interno della value creation del settore: outsourcing e produzione interna rappresentano le due possibili alternative strategiche il cui impatto dipenderà dalle specificità aziendali. All’interno della nicchia individuata, la competitività può essere garantita solo se l’azienda realizza un prodotto che racchiude caratteristiche e valori che identificano un prodotto con personalità propria e non semplicemente un capo di abbigliamento. E’ necessario che si identifichi nel quadro  delle offerte esistenti e acquisisca una “identità” distintiva in cui il consumatore possa ritrovarsi e tramite cui possa esprimere il proprio gusto, il “life style” proprio o a cui aderisce anche solo idealmente. Per questo, il capo d’abbigliamento non è solo un indumento, ma un insieme di caratteristiche che il consumatore ricerca all’interno di un unico prodotto (Fig. 1.1), una scelta di consumo tramite cui i consumatori trasmettono informazioni su se stessi (Holman, 1981).


 

Una vastissima letteratura di taglio sociologico e semantico ha affrontato questo argomento, indagando il rapporto tra abbigliamento, identità sociale (Argyle, 1992; Hogg e  Abrams,   1988;   Simmell,  1998),   personalità (Squicciarino,
1986; Davis, 1992; Caterina, 1995) e comunicazione    (Davis,
1992; Caterina, 1995; Bonaiuto, 1995).
Il contesto della moda è caratterizzato dalla sistematicità con cui vengono sviluppati nuovi design, che tendono a sostituire  e rendere rapidamente obsoleti quelli precedenti: la moda è la logica   dell’obsolescenza   pianificata   (Farshou,   1987).  La


 

tendenza è addirittura verso un aumento continuo del numero delle collezioni annue da presentare e consegnare al punto vendita, fino ad arrivare al superamento del concetto di stagione (Saviolo, 2002). Appare allora evidente che in tale processo la generazione di nuove mode o design rappresenta, da un lato, la condizione necessaria a soddisfare la richiesta del mercato, dall’altro, a garantire la sopravvivenza nel tempo delle imprese che operano in tale contesto.
L’innovazione rappresenta l’unica modalità attraverso cui è possibile assecondare i gusti di un consumatore sempre più esigente, educato al cambiamento continuo. La difficoltà più rilevante che si pone a questo proposito è legata al fatto che il medesimo consumatore richiede contestualmente un’offerta all’interno della quale sia possibile una selezione idonea a consentire una possibilità di distinzione rispetto agli altri consumatori. Allo stesso tempo l’abito nasce come strumento segnaletico attraverso cui il medesimo individuo che ricerca distinzione possa, di fatto, mostrare la propria appartenenza ad un gruppo o a una comunità di persone unite da una visione condivisa e da valori (Mason 1981, 1992; Bearden e Etzel, 1982;   Simmel   1998),   piuttosto   che   da   caratteri    socio-


 

economici (Veblen 1899; Leibenstein, 1950; Quelch, 1987; Wong e Ahuvia, 1998).
Dal punto di vista della domanda, invece, il fenomeno del consumo della moda può essere studiato secondo diversi approcci ma, indipendentemente dalle interpretazioni teoriche, è evidente che vige una notevole soggettività nella produzione e interpretazione dei segnali sociali, che permette la coesistenza di gusti, scelte e comportamenti molto differenziati tra gruppi e dalla necessità che i consumatori hanno di utilizzare i prodotti e i servizi per  sperimentare il  loro valore segnaletico.
Dal punto di vista dell’offerta, quindi, l’interazione dinamica che si viene a creare tra la crescente domanda di nuovi design e l’obsolescenza pianificata da parte delle imprese genera una sostanziale complessità gestionale per gli attori che operano in tale contesto, dovuta al fatto di dover comunque raggiungere gli obiettivi economici-finanziari necessari a mantenere il sistema-impresa (Golinelli, 2000) in equilibrio. D’altro canto  è necessario per le imprese mantenere nel tempo  una continuità nei loro processi di cambiamento, continuità che viene espressa nella brand identity costruita e consolidata   nel


 

tempo, sedimentata nella personalità dell’azienda stessa (Brondoni, 1998; Bucci, 1998).
Il consumatore di moda, utilizzando il prodotto per il suo potere segnaletico, definisce le proprie scelte in relazione alla proiezione della propria immagine verso uno specifico  marchio che possa rappresentarla: una moda è tale quando diviene il punto di riferimento per una comunità di produttori  e una comunità di utilizzatori (Abrahamson e Fairchld, 1999). Di conseguenza l’innovazione nel settore della moda trova manifestazioni poliformi, che si estendono a differenti aree di applicazione, dai prodotti, alla comunicazione, alla distribuzione ma quella relativa allo stile rappresenta sicuramente quella dominante le strategie sviluppate dalle imprese che operano in tale contesto.
Definendo lo stile come una scelta estetica che riguarda i singoli capi di abbigliamento della collezione, le loro caratteristiche e la loro combinazione, si può affermare che l’innovazione nel settore della moda si realizza attraverso la generazione di uno stile radicalmente nuovo, attraverso dei mutamenti  di  carattere  incrementale  che  interessano singoli


 

elementi dello stile o le modalità attraverso cui tali elementi vengono combinati tra di loro.
La moda come stile contraddice il concetto stesso di moda come novità, contro la sua essenza parente che è il cambiamento, la sostituzione, l’obsolescenza sociologica, proponendo invece un numero limitato di stili diversi che evolvono nella sostanza e più lentamente nel tempo (Bucci 1998).
All’interno di questo paradosso strutturale, la prima e indispensabile chiave di successo sul mercato è quindi lo stile di ogni singolo capo prodotto, che automaticamente, diviene  lo stile della casa e l’identità di ogni  collezione. L’innovazione sul piano stilistico è il tassello su cui si fonda  la creazione di una realtà aziendale e fondamentale, quindi, è la figura dello stilista: un professionista che, unendo il patrimonio culturale e formativo accumulato al gusto e alla creatività personale, crea un prodotto con personalità propria, in grado di dialogare con il consumatore, che crea personalità e la trasferisce alla linea di prodotti.
Il prodotto moda, infatti, non rientra nella sfera dei bisogni sociali:  la  moda  è  il  risultato di un bisogno postmoderno  di


 

consumare prima che oggetti, significati (Giancola, 1999), e di soddisfare l’esigenza di “non necessario” (Horiuchi, 1984). Il consumo di prodotti-moda non è tanto il frutto di un bisogno, quanto dei continui processi interpersonali di stimolo e creazione dei bisogni (Marris, 1964), e, conseguentemente, gli attori del sistema non devono puntare ad identificare bisogni, ma a soddisfare desideri inespressi, sfruttando la possibilità di non massificare e di rispondere alle esigenze dei consumatori, puntando sulla strategia di differenziazione piuttosto che su quella di leadership di costo.
Il vantaggio concorrenziale, infatti, non risiede più esclusivamente nella capacità di offrire un insieme di valori, ma nella capacità di interrelazione delle componenti della domanda con le componenti dell’offerta (Fiocca, 1990). Ciò che costituisce il fattore vincente non è il prodotto: è la capacità di catturare l’intenzione di acquisto del consumatore come ricerca, come scelta personale e possibile scoperta (Bucci, 1992). Il valore aggiunto apportato dal creatore costituisce la base di tale strategia di differenziazione


8 La creatività è tema oggetto di molti studi di natura psico-sociologica centrati soprattutto sulle caratteristiche delle persone considerate creative. Alcuni     hanno


 

La qualità e la ricerca sui materiali, in funzione della realizzazione di un prodotto che abbia caratteristiche  estetiche, di funzionalità e di comfort, divengono vantaggio competitivo solo se abbinati ad un preciso modello, ad una collezione, ad uno stile proprio. Questi fattori contribuiscono  a rafforzare lo stile e l’immagine di un determinato prodotto agli occhi del consumatore, ma non lo determinano.

come punto di partenza la mente umana, sistema modellizzante che crea modelli    a partire da informazioni ambientali, li riconosce, li immagazzina e li utilizza. Poiché la sequenza di arrivo determina il modo in cui queste devono essere elaborate in un modello, detti modelli sono sempre inferiori rispetto alla migliore elaborazione possibile dell’informazione. Allo scopo di aggiornare i modelli occorre un meccanismo di ristrutturazione intuitiva che non può  essere  il  pensiero logico, il quale opera per mettere in relazione concetti, ma non per ristrutturarli. Si è parlato allora di pensiero laterale, il procedimento attraverso il quale la mente combina le informazioni in modi nuovi al fine di produrre nuove idee. Mentre il pensiero verticale si occupa di provare o sviluppare modelli concettuali, il pensiero laterale riguarda i vecchi modelli (intuizione) e la stimolazione di pensieri nuovi (creatività). Può dunque essere definito pensiero creativo. Negli anni la ricerca scientifica ha indagato sui legami tra pensiero creativo e aspetti della personalità individuale quali  intelligenza,  età,  competenze, avversione al rischio. Il rapporto tra intelligenza e creatività non è, come si potrebbe ritenere, direttamente correlato: le ricerche hanno evidenziato che, al di sopra di un certo livello di intelligenza necessario per compiere una determinata mansione, il livello di creatività non risulta correlato a quello dell’intelligenza razionale. Il rapporto tra età e creatività  sembra  invece dimostrare una correlazione inversa, anche se in certi campi in misura maggiore che in altri. Per esempio, rispetto alle scienze, nelle arti l’esperienza che si raggiunge con l’età sembra più importante, ai fini della creatività. (Isaksen, 1987; Simon, 1988).


 

Se è vero che stile, creatività, innovazione e ricerca nei materiali, sono elementi fondamentali per creare un prodotto competitivo e per permettere ad un’impresa di inserirsi sul mercato della moda, è vero anche che essi sono sterili se non supportati, coordinati e gestiti da abilità imprenditoriali9:  questi fattori, pur necessari, non sono sufficienti a garantire competitività sul mercato, a maggior ragione in un mercato segmentato e in crisi concorrenziale come quello della moda (Saviolo e Testa, 2000).
Diviene quindi fondamentale la dimensione imprenditoriale, che si occupi, oltre che della funzione produttiva anche di quella gestionale-organizzativa, finanziaria e di marketing: che gestisca, quindi, l’intera catena del valore (Porter, 1987).

Il sistema del tessile e abbigliamento si configura come una filiera produttiva fortemente integrata e con un elevato grado di complementarietà, che comprende diversi settori produttivi, composti da attività manifatturiere di base - quali il  trattamento delle materie prime tessili - da attività di trasformazione industriale, fino alla distribuzione e ad altri servizi    avanzati:    la    filiera    produttiva    del    tessile     e
9  Estratto dalle interviste effettuate a M. Zamagni e  M.Boselli.


 

abbigliamento si compone di oltre 80 mila imprese che rappresentano più del 20% delle imprese operanti in settori del Made in Italy e il 14% delle imprese manifatturiere (IPI,  2000). Ogni filiera è composta da più fasi che costituiscono veri e propri settori, ulteriormente segmentabili al proprio interno secondo criteri merceologici e di fascia di prezzo: per questo, analizzando il mercato del tessile-abbigliamento in un ottica di market-driven business planning, è necessario tenere in considerazione anche quei settori che non sono disposti lungo il ciclo produttivo, ma che svolgono una funzione di supporto avanzato (editoria specializzata, fiere, agenzie di pubblicità e comunicazione, attività di design, ecc.).
Il prodotto che arriva al consumatore è quindi il risultato dell’efficienza complessiva sia dei diversi segmenti della catena del valore, sia delle relazioni che si sviluppano tra le imprese che partecipano al processo produttivo. Data la particolarità delle caratteristiche e della struttura del sistema moda, le strategie interaziendali di filiera possono costituire una fonte di vantaggi competitivi difendibili sia per le singole imprese sia per l’intero sistema produttivo e distributivo. Per questo motivo, per la moda, come per gli altri grandi comparti


 

di specializzazione del sistema produttivo italiano, è opportuno ragionare in termini di efficienza della filiera produttiva piuttosto che dei singoli segmenti del processo (Demattè, 1994).
All’interno del settore moda, quindi, è fondamentale l’esistenza di un imprenditoria forte e di un gruppo di management che sia in grado di gestire tutti i legami di filiera, e che, date le dinamiche concorrenziali all’interno del settore, attribuisca fondamentale importanza al Research & Development e alla funzione di marketing, che analizzi i bisogni dei clienti e crei un brand aziendale (Brognara e Codeluppi, 1992).
Per poter sopravvivere ed essere competitiva, un’azienda deve investire nella ricerca di ispirazioni creative e tecnologie produttive per quanto riguarda il prodotto, e contemporaneamente sviluppare una funzione di marketing che permetta di individuare il marketing mix che meglio si adatta alle caratteristiche del segmento di riferimento e alle esigenze competitive: occorre pianificare e coordinare le  scelte di prodotto, di prezzo, di distribuzione e di vendita.


 

All’interno del marketing mix assumono rilievo fondamentale gli investimenti nell’area comunicazione e commerciale (Boggia, 1995; Abruzzese e Barile, 2001): la crescente complessità e la pressione competitiva sempre più intensa rendono particolarmente importante per le aziende del settore saper comunicare la propria offerta (Brioschi, 2000). In questo senso, le azioni pubblicitarie più dirette e, forse, più semplici da intraprendere sono la stampa e le fiere di settore. La pubblicità su stampa è la più costosa, a fronte del fatto che ha il vantaggio di rivolgersi ad un pubblico ampio. Per quanto riguarda il secondo canale, è necessario in primo luogo verificare le possibilità di accesso ai diversi eventi di settore, rispetto ai quali la selezione è molto significativa (Golfetto, 1991).

BIBLIOGRAFIA

AA.VV., L’Italia nell’economia internazionale. Sintesi del rapporto ICE 2002- 2003.
AA.VV., Economia e tecnica della comunicazione aziendale, Egea, Milano, 2004.
IASEVOLI G. (a cura di), Consumi e consumatori: nuovi scenari per il marketing, 1996.AAVV, Industria del tessile e dell’abbigliamento, IPI (Istituto per la Promozione Industriale), 2003.
ABELL D.F., Defining the business: the starting point of strategic planning,
Englewood Cliffs, 1980.
ABELL D.F., Business e scelte aziendali, Ipsoa, 1986.
ABRAHAMSON E., FAIRCHLD G., “Management Fashion: Lifecycles, Triggers, and Collective Learning Processes”, in Administrative Science Quarterly, 44, 4, 1999, pp. 708-740.
ABRUZZESE A., BARILE N. (a cura di), Communifashion, Sassella, Roma, 2001.
ACCI, Associazione Camere di Commercio Italiane all’estero, Cina e Hong Kong, 2002.
ACOCELLA N., SCHIATTARELLA R., Teorie dell’internazionalizzazione e realtà italiana, Liguori, 1989.
ANDREWS K.R., “Il concetto di strategia d’impresa”, Gestione strategica d’impresa, Unicopli, Verona, 1987.
ANSOFF H. I., Organizzazione innovativa, IPSOA, Milano, 1987. ARGYLE M., Il corpo e il suo linguaggio, Zanichelli, Bologna, 1992.
BALDONE S., SDOGATI F., TAJOLI L., “Frammentazione internazionale della produzione e crescita”, in Risorse e competitività, Franco Angeli, pagg. 256-257, 2002.
BEARDEN W.O., ETZEL M.J., “The Journal of Consumer Research”, Journal of Consumer Research Inc, vol. 9, n 2, 1982.
BOGGIA R., Comunicare l’eccellenza, Etas, Milano, 1995.

 


BONAIUTO M., Il ruolo dell’abbigliamento nella percezione interpersonale e nelle relazioni sociali, in RICCI BITTI P.E., CATERINA R. (a cura di), Moda e relazioni sociali e comunicazione, Zanichelli, Bologna, 1995.
BRIOSCHI A., Comunicare il lusso, Università di Ca Foscari Venezia, 2000.
BROGNARA R., CODELUPPI V., Imageneering. Costruzione dell’immagine e comunicazione, Guerini e Associati, Milano, 1992.
BRONDONI S., “Brand equity e gestione aziendale”, in Manager & Impresa, Il Sole 24 Ore del Lunedì, 6/04, 1998, pag. 29.
BRONDONI S., “Brand equity, concorrenza e cultura d’impresa”, in Manager & Impresa, Il Sole 24 Ore del Lunedì, 6/07, 1998, pag. 27.
BRUNDTLAND COMMISSION, Our Common Future, Ginevra, 1987.
BUCCI A., L’impresa guidata dalle idee. Management dell’estetica e della moda, Edizioni Domus Academy, Milano, 1992.
CALVI G., Il profilo psico-sociologico del consumatore, in Consumi e consumatori: nuovi scenari per il marketing, Guerini e Associati, Milano, 1996.
CAMERA  NAZIONALE  DELLA  MODA  ITALIANA,  Fashion   economic
trends. Segnali sul futuro nell’economia della moda, 2004.
CAPETTA R., PERRONE V., PONTI A., “La competizione nel fashion system”, Economia e Management, n. 2, 2002.
CATERINA R., “L’abbigliamento e il Sé”, in RICCI BITTI P.E.,  CATERINA
R. (a cura di), Moda e relazioni sociali e comunicazione, Zanichelli, Bologna, 1995.
CESARIN F., La segmentazione del mercato dei beni di consumo, Cedam, 1990.
CODA SPUETTA M., “La marca nel sistema moda. Una variabile fondamentale per un marketing di successo”, Economia & Management, n.4, 1994.
CODELUPPI V., Che cos' è la moda, Carocci, Roma, 2000.
COGHLAND E., BRANNICK T., Doing action research: in your own organisation, SAGE, London, 2001.
CORBELLINI E., SAVIOLO S., La scommessa del Made in Italy e il futuro della moda italiana, Etas, Milano, 2004.
COZZI G., “Consumi e consumatori nell’Italia che cambia”, in Consumi e consumatori, nuovi scenari per il marketing, Guerini e Associati, Milano, 1996.

DAVIS F., Fashion, culture and identity, Chicago University Press, Chicago, 1992.
DE FELICE G., GUELPA F., Sistema moda e prospettive sui mercati internazionali, Intesa BCI, Milano, 2001.
DE MARTINO V., “I prodotti di lusso: il caso Bulgari”, in Micro & Macro Marketing, n.2, agosto 2001, pp. 337-357.
DEMATTÈ C., “Alla ricerca della competitività di filiera”, in Economia & Management, n.4, 1994.
DUBOIS B., PATERNAULT C., “Does Luxury have a Home Country? An Investigation of Country Images in Europe”, in Marketing and Research Today, 25 (May) 1997, pp.79-85.
EISENHARDT K.M., “Building theories from case study research”, in Academy of management review, vol.14, n.4, 1989, pp.532-550.
FABRIS G., “Prodotti di lusso, in Marketing & Marketing, Gotham, Milano, 1998.
FAURSHOU G., “Fashion and the Cultural Logic of Postmodernity”, in A. KROKER, M. KROKER, Body Invaders, New World Perspectives, Montreal, 1987.
FILSER M., I canali della distribuzione: organizzazione, analisi delle formule di vendita, metodi di gestione, ETAS, Milano, 1992.
FIOCCA R., Evoluzione dei consumi e politiche di marketing, Egea, Milano, 1990.
FORTIS M., Il made in Italy, Il Mulino, 1998.
MILLER D., FRIESEN, P.H., MINTZBERG H., Organizations: A quantum view, Englewood Cliffs, N.J.: Prentice-Hall, 1984.
GIANICOLA L.A., La moda nel consumo giovanile, Franco Angeli, Milano, 1999.
GOLINELLI G., L’approccio sistemico al governo dell’impresa, Cedam, 2000.
GOLFETTO F., L’impatto economico delle manifestazioni fieristiche, Egea, Milano, 1991.
GRANDI R. (a cura di), Semiotica al marketing, Franco Angeli, Milano, 1994.
HOGG M.A., ABRAMS D., Social identifications: a social psycology of intergropu relations an group processes, Routledge, London, 1988.


HORIUCHI Y., “A Systems Anomaly: Consumer Decision-Making Process for Luxury Goods”, Unpublished Doctoral Dissertation, University of Pennsylvania, 1984.
ICE, L'industria italiana nella competizione internazionale, vol. 3 e 4, Roma, 1988.
ISAKSEN S.G., Frontiers of creativity research, Bearly Press, 1987. ISAKSEN S.G., Frontiers of creativity research, Bearly Press, 1987. ITAMI H., Le risorse invisibili, GEA Isedi, Torino, 1988.
JALLAIS J., ORSONI J., FADY A., Marketing della distribuzione : mercato, strumenti e sussidi tecnici, ETAS Libri, Milano, 1992.
KÖNIG R., Il potere della moda; Liguori, 1992.
LEIBENSTEIN H., “Bandwagon, Snob, and Veblen Effects in the Theory of Consumers Demand”, in Quarterly Journal of Economics, 64 (May) 1950, pp. 183-207.
LEWIN K., “Action Research and Minority Problems”, in Journal of Social Issues, Vol.2, 1946.
MARRIS R., The economic theory of Managerial Capitalism, Macmillan, Londra, 1964.
MASON R.S., Conspicuous Consumption, St. Martin's Press, New York, 1981.
MASON R.S., “Modelling the Demand for Status Goods”, Department of Business and Management Studies, Working Paper, University of Salford, UK, 1992.
MCDOWELL C., Fashion today, Phaidon London, 2000.
McNiff J., Action Research: Principles and Practice, Routledge, 1988.
MERLO F., CHESSA PIETROBONI P., Al di là della moda: oggetti, storie, significati, Franco Angeli, Milano, 2001.
MODINA S., Il business della moda, Franco Angeli, Milano,.2004.
MOLTENI L., L’analisi multivariata nelle ricerche di marketing: applicazione alla segmentazione della domanda e al mapping multidimensionale, Egea, 1993.
NENCINI C., Moda e innovazione tecnologica. Nuove strategie di marketing : dall'idea allo sviluppo di prodotti innovativi attraverso cinque case history di successo; Franco Angeli, Milano, 2002.


OSTILLIO M.C., Il direct marketing : comunicare in modo efficace con i clienti, ETAS Libri, Milano, 1992.
PITTIGLIO R., PITTIGLIO L., “La Cina nell’economia globale”, in Economia italiana, n.2, maggio-agosto 2003, pp. 435-457.
POIANI M., Alti consumatori. Il marketing dei beni ad alto valore simbolico, Lupetti, Milano,1994.
PORTER M., Competitive advantages. Creating and sustaining superior performance, 1987.
PRAHALAD H., Competing for the future, Harvard Business School Press, Harvard, 1994.
QUADRIO CURZIO A., FORTIS M, Il made in Italy oltre il 2000: innovazione e comunità locali, Il Mulino, 2000.
QUELCH J.A., “Marketing the Premium Product”, in Business Horizons, 1987, pp. 38-45.
RUSSELL I.H., Segmentazione per vantaggi: principi, metodi e casi del nuovo approccio alla comunicazione pubblicitaria e di marketing, Franco Angeli, 1991.
SAVIOLO S., Il Licesing del sistema moda, Etas, 2002.
SAVIOLO S., TESTA S., Le imprese del sistema moda, il management a servizio della creatività, Etas Libri, 2000.
SAVIOLO S., ZARA C, Il caso Pierre Cardin-Jin Tak in Cina, Etas Libri, 1997. SIMMEL G., La moda; Mondatori, Milano, 1998.
SIMON H.A., “Understanding creativity and creativity management”, in KUHN R.L., Handbook for creative and innovative managers, McGraw-Hill, 1998.
SISTEMA MODA ITALIA, Andamento dell’Economia e del Settore Industriale Tessile Abbigliamento Moda Italiano nel 2002, Milano, 2003.
SOLOMON M.R., RALBOT N.J., Consumer behavior in fashion, Prentice Hall, London, 2004.
SQUICCIARINO N., Il vestito parla, Armando, Roma, 1986.
VALDANI E., Marketing strategico: gestire il mercato per affermare il vantaggio competitivo, Etas Libri, 1986.
VALDANI E., Definizione e segmentazione di mercato: per i beni industriali e di largo consumo, Giuffrè, 1984.


VEBLEN T., La teoria della classe agiata, Einaudi, Torino, 1971.
VOLONTÉ P. (a cura di), La creatività diffusa. Culture e mestieri della moda oggi, Franco Angeli, Milano, 2003.
WILLS G., MIDGLEY D., Fashion marketing, Allen and Unwin, London, 1973.
WONG N.Y., AHUVIA C.A., “Personal Taste and Family Face: Luxury Consumption in Confucian and Western Societies”, Psychology and Marketing, 15 (August) 1998, pp. 423-441.
YIN R.K., “Case study research: design and methods”, Applied social research methods, Serico, vol.5, SAGE, USA, 1989.
ZUCCHELLA A., MACCARINI M.E., I nuovi percorsi di internazionalizzazione. Le strategie delle piccole e medie imprese italiane. Giuffrè Editore, 1999.


 

www.aeconsum.it www.angelo.it www.cameramoda.it www.corriere.it www.dellamoda.it www.eurostat.com


Siti internet consultati


www.frankliandmarshall.com www.guccigroup.com www.ice.it
www.ilsole24ore.com Manager & Impresa www.istat.it
www.moda.it www.modaitalia.net www.patagonia.it www.sartoriaschiavi.com www.sistemamodaitalia.it www.vintageevent.it

 

Fonte: http://eco.unipv.it/ric-az/Quaderno%204%202005.pdf

Sito web da visitare: http://eco.unipv.it

Autore del testo: Patrizia La Marca, Giada Palamara

Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.

 

La moda e il Made in Italy

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

La moda e il Made in Italy

 

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco

www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve

 

Argomenti

Termini d' uso, cookies e privacy

Contatti

Cerca nel sito

 

 

La moda e il Made in Italy