Hugo Wolf

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Hugo Wolf

Un maestro del lied: Hugo Wolf
L'anno della morte di Brahms vide anche uscire di scena il bizzarro Hugo Wolf. Il piú grande compositore di lieder del tempo - e secondo molti, di tutti i tempi - fu messo in casa di salute, espressione eufemistica per non dire manicomio. Wolf si era bruciato e anche se il suo sistema nervoso non fosse stato compromesso dalla sifilide contratta a diciassette anni, era un maniaco-depressivo che in ogni caso non avrebbe resistito a lungo. Ci restano molte fotografie sue, e in tutte appare piú o meno allo stesso modo: fissa il fotografo con quegli occhi ardenti e ipnotici di cui parlano tanti contemporanei, quasi sempre in giacca di velluto e cravattone a fiocco: esile, bello, dall'aspetto aristocratico, sempre serio, logorato. Sembrava, ed era, uomo fuori dal comune. In pochi anni questa creatura torturata lasciò al mondo un'eredità che portò la canzone d'arte tedesca alla massima espressione.
Scrisse anche altre cose: un'opera interessante, Der Corregidor, quasi mai rappresentata; alcune opere vocali, un lungo quartetto per archi e la Serenata italiana per quartetto d'archi (poi allargato in orchestra d'archi), un gruppetto di composizioni per piano e un lungo poema sinfonico, Penthesilea, che pochissimi conoscono ma che alcuni studiosi definiscono un capolavoro (non lo è). Ma fu come compositore di liriche che raggiunse quel tanto di fama di cui godette ai suoi tempi, ed è come compositore di liriche che sopravvive ancora oggi.
Non esistono lieder piú grandi dei suoi. Wolf, il ribelle dalla vita tempestosa, il bohémien e lo scontento, il genio che mori pazzo a quarantatré anni, seppe dirigere sulla poesia un fascio musicale potente come quello di un laser. Nei suoi 242 lieder c'è spesso una serenità che contrasta nettamente con la vita che visse quotidianamente. E nessun compositore ebbe altrettanta sensibilità poetica. È stato già osservato da molti che se alcuni grandi autori di lieder - Schubert, Schumann, Brahms - furono musicisti che ebbero il senso della poesia, Wolf fu un poeta che pensò in termini musicali. Non è necessario ricordare l'estrema bellezza dei grandi lieder da Schubert a Brahms compreso. Ma quelli di Wolf non sono soltanto piú originali e più avanzati dal punto di vista armonico: hanno anche un'altra qualità, una lancinante, intensa correlazione tra parole e musica. Wolf realizzò l'ideale di un autore di lieder dell'epoca elisabettiana, Thomas Campion: accoppiare amorosamente le parole e le note.
Wolf lo fece e in maniera cosí magistrale che per definire la sua musica si è ricorso al termine « lied psicologico ». Qualcosa di questo straordinario incontro di parole e musica - di questa capacità di cogliere il culmine di una poesia attraverso una modulazione imprevista o un accompagnamento che intensifichi al massimo il significato verbale o una melodia bruciante nella sua purezza e giustezza - qualcosa di tutto questo veniva da Wagner, che Wolf idolatrava. Qualche altra cosa veniva da Liszt, i cui lieder anticipatori sono stati cosí inspiegabilmente trascurati dai concertisti. Per molti aspetti i lieder li Liszt preannunciano quelli di Wolf.
Può darsi che in Wolf l'ammirazione per Liszt e Wagner e l'antipatia per Brahms scaturissero da motivazioni personali. Nacque a Windischgraz, in Stiria (oggi Slovenjgrade, Jugoslavia), il 13 marzo 1860. Vincendo le obiezioni del padre lasciò la famiglia nel 1875 per andare a studiare al Conservatorio di Vienna. Era in quella città quando ci arrivò Wagner. Wolf, che aveva allora quindici anni, gli gironzolò intorno finché trovò il coraggio di avvicinarlo e di mostrare al grand'uomo qualcosa di suo. Wagner fu divertito dalla venerazione del ragazzo. Ma non lo liquidò bruscamente come pare facesse Brahms, che quando fu avvicinato da Wolf gli consigliò di studiare contrappunto con Nottebohm. Wolf andò su tutte le furie. « È solo la sua pedanteria da settentrionale che lo spinge a impormi Nottebohm. » Da quel momento Brahms diventò suo nemico. Wolf lo ripagò ampiamente nei tre anni in cui fu critico musicale del " Wiener Salonblatt ".
Fu un amico a procurargli quell'occupazione. `X1olf, sempre tesissimo e nervoso, fino allora non era mai riuscito a conservare un lavoro. Del resto non era neppure ca¬pace di fermarsi a lungo nello stesso posto. A scuola, a Windischgraz, si annoiava subito e riusciva bene solo nella materia che lo interessava, la musica. Lasciò il Con¬ervatorio di Vienna dopo due anni soltanto, dicendo al direttore Joseph Hellmesberger che erano piú le cose che dimenticava di quelle che imparava. Hellmesberger lo espulse immediatamente. Wolf sostenne sempre di non avere aspettato l'espulsione per andarsene, ma per un po' di tempo pensò seriamente di intentare azione legale contro il Conservatorio. Non era abbastanza paziente per insegnare, e quando si decideva a farlo non era particolarmente bravo. Per quasi tutta la vità passò da un alloggio da pochi soldi all'altro, mantenendosi con i pacchi di viveri che gli mandavano i familiari. Copista del direttore Karl Muck a Salisburgo e poi assistente del maestro del coro di quella stessa città si fece dei nemici, si cacciò nei pasticci e poi se ne andò da quel « porcile », come lo chiamava lui. Probabilmente non era adatto a quel lavoro. Sembra invece che il mestiere di critico gli piacesse, e si fece un nome con la violenza dei suoi attacchi a Brahms e a tutto l'establishment musicale viennese. Scriveva con violenza e veleno: « In questa composizione » (il Concerto in re minore di Brahms) « spira un'aria cosí gelida, cosí umida e nebbiosa che ci si sente gelare il cuore e mancare il respiro. Ci si potrebbe anche prendere un raffreddore. Roba malsana! ». Oppure, a proposito della Quarta Sinfonia di Brahms: « Non è mai riuscito, è vero, a sollevarsi al di sopra della mediocrità, ma il nulla, il vuoto e l'ipocrisia che abbondano in questa Sinfonia in mi minore non si erano mai rivelati in nessun'altra sua opera.
L'arte di comporre senza idee ha decisamente trovato il suo più degno rappresentante in Brahms ». Può ben darsi che le recensioni di Wolf fossero un opportuno correttivo in una Vienna musicale dominata dalle opinioni conservatrici dell'amico di Brahms, Hanslick. È anche un fatto, però, che le opinioni espresse da lui con tanta intemperanza e la sfacciata propaganda a favore di Liszt e Wagner gli furono d'ostacolo nella carriera.
Il fatto di essere un compositore-critico lo metteva in una posizione difficoltosa. Da una parte attaccava i programmi dell'Orchestra Filarmonica di Vienna, troppo posati (per lui) e privi di interesse. Dall'altra andava col cappello in mano da certi importanti esponenti di quell'orchestra come il famoso maestro concertatore Arnold Rosé e il violinista-violista Sigismund Bachrich, che aveva maltrattati nelle sue recensioni. Voleva che lo aiutassero a far eseguire la sua musica; voleva che il Quartetto Rosé suonasse il suo quartetto e che la Filarmonica eseguisse la Penthesilea. Rosé, giubilante, lasciò che gli ronzasse intorno per un po' e poi se lo tolse di torno con una lettera insultante: « Abbiamo attentamente esaminato il suo Quartetto in re minore per archi e deciso unanimemente di lasciarlo a sua disposizione dal portiere del Teatro dell'Opera. Avrà la cortesia di mandarlo a ritirare al piú presto possibile? C'è il pericolo che ne faccia un uso sbagliato. Con i migliori saluti ». Finalmente, sotto la direzione di Hans Richter, la Penthesilea fu messa in prova dalla Filarmonica. Secondo Wolf, il maestro la diresse personalmente dal principio alla fine perché, spiegò agli orchestrali, voleva vedere con i suoi occhi com'era il lavoro dell'uomo che aveva « osato scrivere a quel modo di Meister Brahms ». Poi Richter negò di aver detto una cosa del genere, ma l'episodio sembra attendibile. In ogni caso Wolf fu molto ingenuo a credere che un critico potesse essere bene accolto dalle persone che erano state attaccate da lui. Si esponeva inutilmente. A volte, non molto correttamente, si serviva dello spazio di cui disponeva sulla rivista per maltrattare i suoi nemici personali. Dopo il fiasco della Penthesilea giurò vendetta. « Pubblicherò un articolo su Richter che farà impallidire il diavolo in persona. » E lo fece davvero.
Cominciò a comporre lieder intorno al 1875, ma arrivò alla maturità tredici anni dopo. Dal 1888 al 1891 compose oltre 200 lieder su poesie di Mörike, Eichendorff, Goethe, Geibel, Hevse e Keller. Dal 1895 al 1897 ne scrisse un'altra trentina. Nel 1897 ebbe il collasso psichico che gli fece passare gli ultimi quattro anni di vita in manicomio. La sua carriera di compositore di lieder durò cosí, si può dire, sette anni in tutto. Le raccolte principali sono i cinquantatré lieder su poesie di Mörike (pubblicati nel 1889), i Gedichte von Eichendorf (1889), lo Spanisches Liederbuch, nach Heyse und Geibel (1891), Alte Weisen: sechs Gedichte von Keller (1891), l'Italienisches Liederbatch, nach Pani Heyse (2 volumi, 1892 e 1896) e Drei Gedichte von Michelangelo (1898). A queste si deve aggiungere un altro centinaio di melodie su testi di Heine, Lenau, Chamisso e altri. Il periodo dei capolavori comincia con i lieder composti su testi di Mörike del 1888. Li scrisse in uno stato di esaltante ispirazione, due, talvolta tre al giorno. In tre mesi ne compose quarantatré. Poi, in quello stesso anno, si indirizzò verso Goethe e in tre mesi e mezzo ne compose altri cinquanta. Pareva che una forza estranea afferrasse la sua penna e la guidasse. Sapeva che le sue melodie erano belle. « Le cose che scrivo adesso, le scrivo anche per la posterità. Sono capolavori. » Si ubriacava dei suoi lieder e li descriveva come inebriato: « Erstes Liebeslied eines Mädchen è di gran lunga la cosa piú bella che io abbia scritto finora... La musica ha un carattere cosí straordinario ed è cosí intensa che lacererebbe il sistema nervoso di un blocco di marmo ». Ma il giorno dopo: « Ritiro il mio giudizio. Erstes Liebeslied eines Mädchen non è la mia cosa migliore, perché quello che ho scritto stamattina, Fussreise, è un milione di volte meglio. Quando si sente questa melodia si ha un desiderio soltanto: morire ».
Un gruppo di persone perspicaci si accorse immediatamente che quei lieder erano dei capolavori. Rosa Papier e Ferdinand Jäger cominciarono a cantarli in pubblico. Generalmente Wolf, bravo pianista, li accompagnava. Perfino i nemici ammisero che aveva qualcosa da dire. La musica rappresentava una novità nel campo del lied. Ovviamente, alcuni lieder di Wolf si assimilano con la stessa facilità di quelli di Schubert, Schumann e Brahms. Ma ce ne sono alcuni difficili, che non rivelano il proprio segreto al primo ascolto. Appaiono severi, privi di melodia, troppo declamatori. Ci sono lieder che è necessario sentire molte volte prima che diventino chiari gli squisiti passaggi e il sottile contenuto espressivo.
Wolf elaborò la teoria secondo cui la forma della poesia deve imporre la forma della musica. Riassunse le proprie idee in una lettera a Rosa Mayreder, la librettista del Corregidor:
C'è qualcosa di macabro nella fusione intima di poesia e musica in cui, in realtà, la parte macabra
appartiene soltanto alla seconda. La musica ha senz'altro qualcosa di vampiresco. Reclama spietatamente la vittima e ne succhia l'ultima goccia di sangue. Si potrebbe anche paragonarla a un poppante famelico che reclama instancabilmente alimento e diventa sempre piú roseo e grasso mentre la bellezza della madre avvizzisce. Ma il paragone è valido solo per quanto riguarda l'effetto che la musica, in lega con la poesia, ha sul, pubblico ... Niente mi ha turbato di piú di questa infondata ingiustizia nella preferenza di un'arte sull'altra ...

Succhiando la poesia, la musica si riempie e prende forma. I compositori di lieder si sono sempre interessati alla melodia in sé, soprattutto. Wolf invece si interessava alla melodia solo come elemento necessario per sottolineare il significato di una poesia. Si può dire che ogni suo lied sia un quadretto fatto con le parole. Sono composizioni tutte diverse, tutte sottili, tutte piene di idee impreviste. In Dass doch gemalt c'è una conclusione serena e commovente, in cui un compositore meno dotato di fantasia avrebbe arpeggiato accordi sul piano dopo la dichiarazione d'amore che conclude la poesia. C'è Wer rief dich denn, in cui la persona che conta dice una cosa e l'accompagnamento fa capire che sta dicendo il falso. C'è la parte vocale mormorata, quasi monotona, di Nun wandre, Maria, in cui l'accompagnamento suggerisce - con grande delicatezza eppure con molta insistenza - una sorta di vagabondaggio senza scopo. C'è Gesegnet sei, in cui alle parole Erschuf die Schönheit si coglie come un riverbero di gloria. Ci sono gli ultimi tre lieder composti da Wolf, i Michelangelo Lieder, in cui il cerchio si conclude: in Wohl denk'ich oft, appare, alla fine, un tema dei Maestri Cantori, e in Sag mir, wie ich's erwerbe risuona un tema del Tristano.
Negli ultimi lieder Wolf rievocò la grande influenza musicale della sua vita e le rese omaggio.
Non ebbe mai fortuna con l'opera. Nel 1895 cominciò a lavorare a Der Corregidor, aiutato da amici che gli dettero del denaro. Doveva essere sovvenzionato, perché in tutta la sua vita non ebbe mai un centesimo. Non ebbe mai neppure una casa. Nel tentativo di cambiare stato di cose era capace di avere le idee meno pratiche del mondo. Tra l'altro pensò di emigrare negli Stati Uniti, un paese in cui, come sapeva benissimo ogni europeo, tutti erano milionari. Wolf disse che si sarebbe stabilito nella « terra dell'oro, per gettarvi le basi di una esistenza decente, sulle fondamenta sicure dei dollari ». Naturalmente non ne fece niente. Per anni passò da un amico all'altro, e solo nel 1896 ebbe un appartamento suo. Lo godette un anno. Si fece mantenere dagli amici e non esitò ad accettare il loro denaro per sopravvivere mentre lavorava alla sua opera. « Tempi duri! La verità è che dovrebbe essere obbligo e responsabilità dello stato mantenere musicisti e poeti. » Schubert - la sua vita e quella di Wolf si rassomigliarono sotto molti aspetti - aveva detto la stessa cosa. Wolf lavorò rapidamente a Der Corregidor e praticamente lo fini in quattordici settimane. Lo considerò con la gioia e l'ottimismo che erano caratteristici in lui. « La gente non parlerà d'altro. Tutti, Mascagni, Humperdinck e tutti quanti, incapaci di competere, scopariranno. »
Alla prima rappresentazione, a Mannheim, nel 1896, il successo fu modesto. L'opera ben presto fu dimenticata, e non entrò mai in repertorio. L'anno dopo Wolf impazzì. Farneticò che era stato nominato direttore dell'Opera di Vienna e andò a dire in giro che Mahler era stato licenziato e che lui, Wolf, avrebbe immediatamente riorganizzato l'ente. Fece irruzione in casa del cantante Hermann Winkelmann, spiegò che era il nuovo direttore e ordinò al cantante di mettersi a sua disposizione quel pomeriggio stesso. Winkelmann finse di essere chiamato al telefono, usci e non si fece più vedere e Wolf andò su tutte le furie. « Se ne pentirà! Disobbedire alla prima richiesta del suo direttore! » Gli amici gli si raccolsero intorno non sapendo che cosa fare e Wolf si arrabbiò perché erano tristi. « Begli amici che siete! Una volta tanto ottengo qualcosa e voi non siete contenti. » Quando arrivò l'ambulanza la prese per la carrozza che lo avrebbe portato dal principe di Liechenstein, intendente dell'Opera di Corte, e volle a tutti i costi mettere l'abito migliore. Dal manicomio scrisse illustrando dettagliatamente i suoi progetti e le opere che intendeva comporre. Stava lavorando appunto a un'opera, Manuel Venegas, quando usci di senno. Ne resta appena un frammento. Dimesso nel 1898, vagò da un posto all'altro, tentò di annegarsi e fu ricoverato di nuovo. Mori in manicomio il 22 febbraio 1903. Gli fu presa la maschera. Il volto, fanatico e bello, scavato, con la barbetta a punta, gli alti zigomi e gli occhi incavati, ricorda quello del Don Chisciotte di Doré.
Harold C. Schonberg (da I GRANDI MUSICISTI, traduzione di Vittorio Di Giuro, ed. Mondadori, 1972)

 

Fonte: http://www.resmusica.it/doc/Un%20maestro%20del%20lied.doc

Sito web da visitare: http://www.resmusica.it

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