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Il camaleonte: Igor Stravinskij
Igor Stravinskij, nato il 17 giugno 1882 a San Pietroburgo, è riconosciuto universalmente come il piú grande compositore vivente del mondo. Cominciò, si può dire, dalla vetta. Non ci furono dubbi sulla sua statura dopo i tre balletti che scrisse per Sergej Diaghilev tra il 1910 e il 1913 a Parigi. Il primo fu L'Uccello di fuoco, eseguito per la prima volta il 25 luglio 1910, che rese famoso da un giorno all'altro il compositore allora ventottenne, come Diaghilev aveva predetto alla vigilia della prima. Era una brillante esercitazione in chiave di nazionalismo russo, derivata da Rimskij-Korsakov in generale e dal suo Coq d'or in particolare. Ma era molto piú audace e originale di qualsiasi cosa avesse scritto Rimskij-Korsakov e tutti capirono che era arrivato un compositore eccezionale. L'orecchio acuto di Debussy colse subito la qualità essenziale dell'Uccello di fuoco: « Non è perfetto, ma sotto certi aspetti è molto bello, perché qui la musica non è la docile ancella della danza. E a volte si colgono combinazioni di ritmi del tutto insoliti ». Il 13 giugno 1911 venne Petruška, che consolidò la posizione di Stravinskij, uomo nuovo della musica europea. Come L'Uccello di fuoco, Petruška era un balletto di argomento russo, ma piú sicuro e magistrale, e conteneva idee che avrebbero influito sul corso della musica europea, specialmente con la sua politonalità. C'era una parte in cui due armonie senza rapporto tra loro, una in do maggiore e una in fa diesis maggiore, univano le forze: ne venne fuori qualcosa che fu come una rivelazione per i giovani compositori europei. Per vent'anni si senti tutta una serie di esperimenti politonali suggeriti da Petruška. Per il pubblico del 1911 il balletto di Stravinskij aveva qualcosa di barbarico che eclissava tutto quanto era venuto fino allora dalla Russia, e il piccolo compositore apparve come un gigante. Neppure Diaghilev si era aspettato che Petruška facesse tanto scalpore. Il suo grande successo arrivò di sorpresa.
Ma tutta quell'eccitazione non era niente al confronto dell'effetto che fece Le Sacre du Printernps, rappresentata per la prima volta il 29 maggio 1913. Stravinskij aveva avuto l'idea mentre lavorava all'Uccello di fuoco. « Sognai una scena di rito pagano in cui una vergine scelta per il sacrificio ballava fino alla morte. » Tralasciò di lavorare a Le Sacre per Petruška, ma poi lo riprese subito. (Come titolo, spiegò, sarebbe più aderente al significato originario L'incoronazione di spine, anziché La Sagra della Primavera.) Vaslav Nijinskij era il coreografo e la prima fu lo scandalo piú famoso della storia della musica. Nessuno, si può dire, degli spettatori, era preparato a una composizione cosí piena di dissonanze e feroce, di una tale complessità e stranezza ritmica. Nessuno di quanti avevano lavorato alla realizzazione dello spettacolo si era minimamente immaginato che avrebbe provocato la reazione viscerale che provocò. Appena il fagotto fini la sua frase nel registro alto, proprio all'inizio, scoppiò una gran risata. Cominciarono i fischi e le beccate. Nessuno riusciva a sentire la musica. Diaghilev fece accendere e spegnere le luci in platea, nella speranza di riportare l'ordine. Nijinskij, tra le quinte, urlava i ritmi ai ballerini. La contessa di Pourtalès si alzò nel suo palco, brandendo il ventaglio, e gridò: « È la prima volta, in sessant'anni, che qualcuno osa farsi beffe di me! ». Volarono gli insulti. Gli Apaches, con alla testa Ravel, applaudivano e gridavano bravo. Lo stesso Stravinskij in Esposizioni e sviluppi ha descritto la famosa serata al Théàtre des Champs-Elysées:
Che la prima esecuzione del Sacre du Printemps avrebbe fatto scandalo dovevano saperlo tutti. Ma per quanto strano sembri, io non ero preparato a una tale esplosione. Le reazioni dei musicisti venuti alle prove dell'orchestra non avevano fatto sospettare niente del genere e non pareva che lo spettacolo dovesse provocare addirittura disordini. I ballerini provavano da mesi e sapevano quel che facevano, anche se quello che facevano spesso non aveva niente a che fare con la musica ... Blande proteste si poterono sentire sin dall'inizio. Poi, quando il sipario si alzò sul gruppo di Lolite con le gambe a X e la lunga treccia che saltellavano su e giú (Danse des adolescents), scoppiò la tempesta. Sentii gridare « Ta gueule » dietro di me. Poi sentii Florent Schmitt urlare: « Taisez-vous garces du seizième »; le « garces » del sedicesimo arrondissement erano, ovviamente, le signore piú eleganti di Parigi. Il tumulto continuò e qualche minuto dopo uscii dalla sala, furibondo; ero seduto sulla destra, vicino all'orchestra, e ricordo che me ne andai sbattendo la porta. Non mi sono mai piú arrabbiato tanto, in vita mia. Quella musica mi era diventata cara; l'amavo e non riuscivo a capire perché mai della gente che non l'aveva ancora sentita cominciasse a protestare in anticipo, Arrivai sul palcoscenico, di furia, e ci trovai Diaghilev che faceva lampeggiare le luci, in un ultimo tentativo di placare il tumulto. Per il resto della rappresentazione restai dietro le quinte alle spalle di Nijinskij, tenendolo per la coda del frac, mentre in piedi su una sedia urlava numeri alle ballerine, come un timoniere.
Le Sacre du Printemps colpi l'Europa con una violenza senza precedenti. Fu per la prima metà del ventesimo secolo ciò che la Nona di Beethoven e il Tristano erano stati per il diciannovesimo. Per decine e decine d'anni se ne sentirono le ripercussioni, mentre i compositori di tutto il mondo imitavano i nuovi ritmi e le nuove sonorità di Stravinskij. Nella Suite scita di Prokof'ev, nel Mandarino meraviglioso di Bartók, nelle « opere in un minuto » di Milhaud, in tutta la musica di ogni paese si potevano cogliere ritmi del Sacre. Entravano nell'inconscio musicale di ogni giovane compositore. Le Sacre du Printemps, con i suoi mutamenti metrici e la sua forza sconvolgente, la dissonanza quasi totale e la rottura con tutti i sacri canoni dell'armonia e della melodia fu una esplosione genuina.
Stravinskij diventò il nuovo apostolo del modernismo, prendendo il posto di Richard Strauss, ormai in declino. Di Stravinskij si discuteva ancor piú che di Debussy. Il francese era geloso e scrisse di Stravinskij con un'acredine che sarebbe stata superata solo quando lo stesso Stravinskij, nell'ultima parte della sua vita, cominciò a scrivere una serie di libri sui musicisti in collaborazione con Robert Craft. Debussy e Stravinskij si conobbero e si frequentarono, e fu per Debussy che Stravinskij preparò una versione completa a quattro mani del Sacre. La suonarono insieme (Debussy era un favoloso lettore di spartiti a prima vista, e Debussy andò a tutte le prove del Sacre. Ovviamente rispettava Stravinskij. Può anche darsi che notasse qualcosa di suo nel Sacre, "come lo stesso Stravinskij fece notare nelle Esposizioni e sviluppi del 1962: « ... Le Sacre deve a Debussy piú che a chiunque altro, eccettuato me stesso: la musica migliore (il Preludio) come la piú debole (la musica della seconda parte tra la prima entrata dei due assolo di tromba e la Glorification de l'Élue) ». L'apertura, il famoso assolo di fagotto, non è molto lontano dal tema che apre L'après-midi d'une faune. Eppure c'era della tensione tra Debussy e Stravinskij, come rivela la curiosa lettera, nella quale sono mescolate meschinità e lodi a denti stretti, che Debussy scrisse a Robert Godet nel 1916:
Ho visto di recente Stravinskij. Dice « il mio » Oiseau de feu, « il mio » Sacre come un bambino direbbe « il mio giocattolo », « il mio cerchio ». Ed è proprio questo: un bambino viziato che certe volte fa marameo alla musica. È anche un giovane barbaro che porta cravatte appariscenti e pesta i piedi alle signore mentre fa il baciamano. Da vecchio diventerà insopportabile, cioè non ammetterà la musica di nessun altro; ma per il momento è un tipo incredibile. Professa amicizia per me perché l'ho aiutato a montare un piuolo della scala dalla quale lancia i suoi petardi, che non sempre esplodono. Ma, ripeto, è incredibile. Voi l'avete capito veramente e anche meglio di me; siete riuscito a intendere l'instancabile lavorio della sua mente.
Si può dire senz'altro che a San Pietroburgo nessuno avrebbe mai immaginato che Stravinskij sarebbe diventato l'enfant terrible della musica. Da bambino dette prova di un certo talento ma non spettacoloso: e le sue prime composizioni non facevano presagire la rivoluzione musicale che sarebbe venuta dopo. Ma sin da piccolo ebbe a che fare con la musica. Il padre, che mori nel 1902, era un basso e cantava all'Opera di San Pietroburgo, e in casa sua c'era un eterno viavai di musicisti, russi e stranieri. Perciò Igor senti molta musica e ricevette lezioni di piano, ma fino a ventitré anni studiò legge all'università. Verso il 1900, ancora studente, fu presentato a Rimskij-Korsakov, che dopo aver visto alcuni suoi saggi di composizione accettò di dargli lezioni private nel 1903. Le lezioni continuarono fino al 1908, l'anno della morte di Rimskij-Korsakov. Tra l'altro, fruttarono la grande Sinfonia in mi bemolle completata nel 1907, opera tradizionale dalla ricca orchestrazione, che avrebbe potuto essere scritta da qualsiasi diligente studente. Non ha niente che faccia pensare al suono e allo stile particolari di Stravinskij. Nel complesso è un saggio di sterile accademismo alla Aleksandr Glazunov.
Nel 1908 Stravinskij compose un pezzo orchestrale che si chiamava Fuochi d'artifizio e che attirò su di lui l'attenzione di Diaghilev: il grande coreografo aveva un'abilità tutta sua per scoprire i giovani talenti. La storia della musica nel primo quarto del ventesimo secolo sarebbe stata notevolmente più povera, se non fosse mai esistito. Intellettuale, uomo dalle grandiose aspirazioni, impresario disposto a rischiare, pieno di interesse per tutte le arti, Diaghilev fu attivo a Parigi, dove nel 1906 organizzò una mostra di arte russa. L'anno dopo presentò cinque concerti di musica russa all'Opéra e nel 1908 mise in scena Boris Godunov con Feodor Chaliapin nel ruolo di protagonista. Nel 1909 fece conoscere il balletto russo a Parigi e il successo fu tale che i Ballets russes diventarono un'organizzazione permanente. Da questa compagnia vennero alcune delle opere più grandi del secolo. Diaghilev ne fece un centro dell'avanguardia; Debussy, de Falla, Stravinskij, Prokof'ev, Ravel: tutti i piú grandi e più avanzati compositori del tempo scrissero per i Balletti russi. I suoi ballerini, con alla testa Nijinskij e la Karsavina, diventarono leggendari. Era una compagnia ricca di stile, di fascino, buon gusto e immaginazione: e tutto ruotava intorno alla figura del saturnino, potente e aristocratico Sergej Diaghilev.
Per la stagione del 1910 Diaghilev voleva un balletto di carattere russo su una sceneggiatura della leggenda dell'uccello di fuoco con la coreografia di Michel Fokine. Anatol Liadov accettò l'incarico di comporre la musica, ma continuava a rimandare la consegna. Disperato Diaghilev, ricordando l'impressione che gli aveva fatto Fuochi d'artificio di Stravinskij si rivolse al giovane compositore. Stravinskij in breve tempo preparò lo spartito e andò a Parigi per assistere alle prove. L'Uccello di fuoco. con eterna disapprovazione di Stravinskij, si rivelò l'opera sua piú popolare. Ne creò di ben piú grandi, ma come suite orchestrale (il balletto completo viene eseguito di rado) L'Uccello di fuoco è ancora alla testa di tutte le altre sue composizioni per numero di esecuzioni annuali.
I primi tre balletti di Stravinskij sono esempi di nazionalismo russo. In seguito il compositore si rivolse a un tipo di musica completamente diverso, passando dalle super-partiture per super-orchestra alle partiture per piccoli gruppi di strumenti e a una scrittura essenziale, precisa. Nacquero cosí le composizioni neoclassiche. Opere di transizione tra il periodo nazionalista e quello neoclassicista furono L'Histoire du Soldat (1918), il balletto Renard (1922), l'opera in un atto Mavra (1922), le Sinfonie per strumenti a fiato (1921) e la cantata Les Noces (1923). Hanno ancora tutte qualche elemento nazionalistico ma impiegano forze ridotte e la tecnica è chiaramente rivolta in nuove direzioni. Per L'Histoire du Soldat Stravinskij si servi di una piccola orchestra che ha analogie con una formazione jazz; per Les Noces, la cantata-balletto su un matrimonio russo, di un'orchestra di percussioni e quattro pianoforti. Les Noces ha qualcosa del primitivo, terrestre sentimento russo del Sacre e anche qualcosa della sua violenza ritmica; ma L'Histoire, una pantomina danzata su un'antica fiaba russa che racconta di un soldato e del diavolo, tende a qualcosa di completamente nuovo: un trattamento stilizzato di varie forme musicali con una organizzazione ritmica e strutturale completamente diversa. Tutto è in miniatura: un valzer e un tango in miniatura, un corale in miniatura, una marcia in miniatura. Anche il jazz vi ha parte. « La mia conoscenza del jazz », scrisse Stravinskij nel 1962 « derivava esclusivamente dagli spartiti, poiché non avevo mai sentito suonare nulla. Ne presi a prestito lo stile ritmico, non com'era suonato ma com'era scritto. Riuscivo però a immaginare il suono del jazz, o almeno cosí ritenevo. In ogni caso, jazz significava un tipo di suono nuovo nella mia musica, e L'Histoire segna la mia definitiva rottura con la scuola orchestrale russa, quella scuola alla quale ero stato educato».
Coloro che disapprovavano la complessità del Sacre du Printemps non potevano trovare gran che da ridire sull'Histoire, con la sua limpidezza di suono e la sua modestia di mezzi. Quest'opera e le Sinfonie per strumenti a fiato portarono all'Ottetto del 1923, in cui Stravinskij lavorò in forma sonata, per la prima volta dal tempo della Sinfonia in mi bemolle. Era ormai lanciato sulla via del neoclassicismo: uno stile storico espresso in linguaggio contemporaneo. Le chiare forme della musica barocca e classica piacevano alla sua mentalità logica e gli anni seguenti videro tutta una serie di lavori in cui le vecchie forme furono rivitalizzate e trasformate nell'alchimia del laboratorio di Stravinskij: Il Concerto per piano (1924), Oedipus rex (1927), il Capriccio per piano e orchestra (1929), la Sinfonia di salmi (1930), il Concerto per violino (1931), il Duo concertante (1932), la Sinfonia in do (1940), la Sinfonia in tre movimenti (1945). Le forme erano antiche; ma erano trattate e modificate in maniera ultramoderna. Ci furono anche opere in cui Stravinskij arrangiò musica di altri compositori: Pergolesi nel balletto Pulcinella (1919) e Cajkovskij in un altro balletto, Le Baiser de la Fée (1928). Quale che sia la fonte della musica, essa aveva il tipico suono essenziale, le caratteristiche ampiezze orchestrali, le dissonanze aguzze e i ritmi asimmetrici che rappresentavano Igor Stravinskij.
Già nel 1921 con le Sinfonie per strumenti a fiato (il termine « sinfonia » è qui usato nel senso di strumenti che suonano insieme e non ha niente a vedere con la forma sonata) Stravinskij prevedeva che il tipo di musica al quale si era dedicato non avrebbe raggiunto la stessa popolarità dei balletti giovanili. Nell'autobiografia (1935) scrisse, a proposito delle Sinfonie: « Mancano di tutti quegli elementi che attirano infallibilmente l'ascoltatore ordinario, o ai quali egli è abituato. È inutile cercarvi impulso passionale o brillantezza dinamica ... La musica non è intesa a « compiacere » il pubblico né a risvegliarne le passioni. Nondimeno avevo sperato che piacesse a quelle persone nelle quali una ricettività puramente musicale è piú forte del desiderio di soddisfare gli appetiti sentimentali ».
Queste parole riassumono tutto ciò che la musica post-Sacre di Stravinskij rappresenta. Il compositore aveva ragione quando sentiva che il pubblico avrebbe avuto difficoltà a identificarsi con quella scrittura anti-romantica e anti-sentimentale. Molti che pure erano suoi ammiratori rimasero sconcertati. Il suo neoclassicismo fu seguito da alcuni mentre elementi del suo linguaggio entrarono a far parte del pensiero di tutti i musicisti; ma le composizioni apparse dopo il 1920 non suscitarono mai il chiasso dei balletti russi. Le nuove opere furono cosmopolite e generalmente astratte, cosí com'era cosmopolita lo stesso Stravinskij che, espatriato dalla Russia, visse in Svizzera dal 1914 al 1920, in Francia dal 1920 al 1939 (nel 1934 diventò cittadino francese) e negli Stati Uniti dopo il 1939 (diventò cittadino americano nel 1945). Certo, il pubblico non amò in modo particolare le opere neoclassiche di Stravinskij, ed egli se ne rese perfettamente conto. Nell'autobiografia osservava:
All'inizio della mia carriera di compositore fui non poco viziato dal pubblico ... Ma ho la netta sensazione che nel corso degli ultimi quindici anni ciò che ho scritto mi abbia estraniato dalla gran maggioranza del pubblico ... Amando la musica dell'Uccello di fuoco, di Petruška, del Sacre du Printemps e delle Noces, si stupiscono di sentirmi parlare un altro linguaggio. Non possono e non vogliono seguirmi nel progresso del mio pensiero musicale. Ciò che commuove e delizia me lascia indifferenti loro, e ciò che continua a interessarli non ha piú alcuna attrazione per me.
Tra le molte altre cose, Stravinskij rappresentò una completa rottura con il romanticismo. Tutto, nell'uomo e nella sua musica, era antiromantico. Negli anni trenta ci fu molta agitazione quando Stravinskij dichiarò che non era compito della musica « esprimere » qualcosa. Per anni questi suoi giudizi gli furono rinfacciati dai tradizionalisti. Ma egli aveva inteso dire che la musica, per sua stessa natura, non può esprimere altro che la musica. « I compositori mettono insieme delle note. Tutto qui. » Era un concetto neo-hanslickiano. Hanslick, nel sagigo Vom Musikalisch-Schönen (Il bello in musica), aveva basato tutta la sua argomentazione sulla teoria che la musica era un'arte completamente astratta, incapace di disegnare immagini o di trasmettere qualcosa che non fossero sentimenti abbastanza generici. Le sue osservazioni, e quelle di Stravinskij, sono probabilmente giuste, benché i filosofi abbiano dedicato molto studio al significato del significato nella musica senza mai arrivare a una risposta soddisfacente. Stravinskij non ebbe reticenze nell'affermare la sua convinzione che la musica fosse prima di tutto forma e logica. Il suo antiromanticismo lo portava ad attaccare con violenza esecutori e direttori che davano un'interpretazione eccessivamente sentimentale alle sue composizioni. Era una cosa che lo irritava non meno della musica romantica stessa. Il suo interesse continuò a essere rivolto principalmente alla struttura, alla tessitura, all'equilibrio, al ritmo. La sua musica è l'opera di un altissimo logico.
Tutto lo portava alla limpidezza intellettuale, comprese le abitudini di lavoro, puntuali al limite della coazione. Nel 1916 lo scrittore svizzero C.F. Ramuz, che lavorava con lui a L'Histoire du Soldat, lo vide al tavolo da lavoro e stupí:
Le partiture di Stravinskij sono magnifiche. Egli è soprattutto (in ogni cosa e in ogni senso della parola) un calligrafo ... Il suo scrittoio sembra il tavolino di un chirurgo. Le bottiglie di inchiostri di vari colori hanno nella loro ordinata gerarchia ciascuna una funzione ben precisa nella sua arte.
A portata di mano tiene gomme per cancellare di vari tipi e forme, e ogni sorta di scintillanti strumenti d'acciaio: righelli, raschietti, temperini e un aggeggio di sua invenzione che serve a tracciare il pentagramma. Viene in mente la definizione di San Tommaso: la bellezza è lo splendore dell'ordine. Tutte le grandi pagine dello spartito sono riempite da scrittura in inchiostri di colore diverso: azzurro, verde, rosso, due tipi di nero (uno comune e uno di china), ciascuno dei quali ha uno scopo, un significato, una particolare utilizzazione: uno per le note, un altro per il testo, un terzo per la traduzione; uno per i titoli, un altro per le istruzioni musicali. Intanto venivano tracciate le righe e gli errori cancellati non cura.
(Trent'anni dopo non era cambiato niente. Nicolas Nabokov andò a trovare il compositore a Los Angeles. « Credo », osservò « che Stravinskij abbia nel suo studio tutti gli strumenti necessari per scrivere, copiare, disegnare, legare, tagliare, fermare, ordinare, aguzzare, incollare, e tutti gli articoli che si possono trovare in una cartoleria e in un negozio di ferramenta. » La vita, in quel laboratorio, continuava a girare intorno al pianoforte. « Il piano è al centro delle mie scoperte musicali scrisse Stravinskij. « Ogni nota che scrivo è stata provata sul piano e ogni rapporto di note è stato considerato isolatamente e sentito piú e piú volte. »)
Dopo i primi successi parigini Stravinskij fu in continuo movimento. Fino allo scoppio della prima guerra mondiale abitò in Russia, Francia e Svizzera. Trascorse gli anni della guerra in Svizzera e ci rimase fino al 1920. La rivoluzione russa, del 1917, non lo fece tornare in patria (vi rimise piede solo nel 1962). Dal 1920 al 1939 visse in Francia, facendo tournées di concerti in Europa e negli Stati Uniti. La seconda guerra mondiale lo portò definitivamente negli Stati Uniti, dove si stabili a Hollywood.
Negli Stati Uniti, Stravinskij allacciò una feconda relazione con il coreografo George Balanchine, nato in Russia, con cui aveva già lavorato in Europa. Nacquero cosí i balletti Jeu de Cartes (1936; in origine lo stesso compositore ne aveva preparato la coreografia in collaborazione con Malaiev), Danses concertantes (1942), Orpheus (1948), Agon (1957), Mouvements (1958) e altri ancora. Varie composizioni, tra cui le Danses concertantes e Mouvements, non erano state concepite per il palcoscenico, ma nelle realizzazioni coreografiche di Balanchine raggiunsero una popolarità che era stata loro negata nelle sale da concerto. Ci fu anche, nel 1942, una bizzarra collaborazione tra Stravinskij e Balanchine per il Circo Barnum e il Circo Bailey. I ballerini della Circus Polka di Stravinskij erano elefanti, e l'avvenimento fu definito dalla pubblicità « un tour de force coreografico », definizione che non si può contestare. Dalla collaborazione con W. H. Auden e Cester Kallman nacque un'opera di ampio respiro, The Rake's Progress (Carriera di un libertino). L'amicizia con il giovane direttore americano Robert Craft portò a un passaggio alla composizione seriale, e fruttò inoltre una serie di libri nei quali Stravinskij disse la sua su ogni cosa, dalla genesi delle sue composizioni al lavoro di altri compositori e alla vita in generale. Stravinskij e Craft non facevano complimenti: i musicisti si avvicinavano ai libri freschi di stampa come se sotto la copertina fossero nascoste delle bombe. Certi eminenti critici musicali avevano particolare motivo di tremare. Sono libri che danno al lettore un'idea nuova della mentalità di un grande compositore.
Fino alla fine della seconda guerra mondiale Stravinskij fu il simbolo del progressismo musicale. Prokof'ev, Bartók, Schönberg e Webern erano ancora attivi, ma per il pubblico era lui a rappresentare il modernismo in musica. Grosso modo, i musicisti non avevano niente in contrario ad accettarlo come leader dell'avanguardia. Ma con l'avvento del movimento seriale e l'affermarsi di un gruppo che aveva sposato le idee di Schönberg e della musica seriale, Stravinskij si trovò per la prima volta attaccato dai compositori e critici della nuova generazione. Fu contestato tutto il suo lavoro post-Noces, specialmente dalla scuola di Parigi. L'attacco fu capeggiato da André Hodeir e Pierre Boulez: affermarono che l'estetica di Stravinskij non aveva alcuna validità, che le sue composizioni, caso di « esaurimento accelerato », rappresentavano « una sclerosi di tutti i settori: armonico e melodico, nei quali si arriva a un accademismo fasulllo, e perfino ritmico, in cui si nota una penosa atrofia ». Sono parole di Boulez, il quale ribadiva che il neoclassicismo di Stravinskij era regressivo e non avanguardista. « Incapace personalmente di arrivare alla coerenza di un linguaggio che non sia quello tonale, ha rinunciato alla lotta avventatamente ingaggiata e si è messo a sfruttare i suoi espedienti, che sono diventati gesti arbitrari e gratuiti intesi a compiacere l'orecchio già pervertito. » Boulez accusò Stravinskij - Stravinskij! - di « pigrizia intellettuale, di piacere inteso come fine a se stesso ».
Non molto dopo aver subito questi attacchi Stravinskij attinse al serialismo e poi si decise al gran passo. Nessun episodio della sua carriera provocò piú pettegolezzi negli ambienti musicali che questa adesione al serialismo, al mondo di Schönberg e Webern. Stravinskij e Schönberg non erano mai stati vicini, e Schönberg non ebbe mai molta simpatia per la musica di Stravinskij. Perlomeno scrisse una satira contro Stravinskij e il suo neoclassicismo, nel 1926, e la mise addirittura in musica:
Ja, wer trommelt denn da?
Das ist ja der kleine Modernsky!
Hat sich ein Bubikopf schneiden lassen;
sieht ganz gut aus!
Vie echt falsches Haar!
Wie eine Perücke!
Ganz (wie sich ihn der kleine Modernsky vorstellt),
ganz der Papa Bach!
(Chi è che suona il tamburo? / È il piccolo Modernsky / Si è fatto acconciare i capelli con la coda; / com'è bello! / Come se avesse i capelli finti! / Come se avesse la parrucca! / Proprio come (almeno cosi crede il piccolo Modernskv), / proprio come papà Bach!)
In Europa Stravinskij e Schönberg si incontrarono solo poche volte, e mai dopo il 1912. Stravinskij senti il Pierrot lunaire e ammise che era più avanti di lui, piú avanti di tutti i musicisti del tempo. Per molti anni non senti neppure una nota della musica di Schönberg. Vivevano entrambi a Los Angeles ma non si vedevano mai. Prima, Stravinskij non aveva mai dato un giudizio positivo sulla musica seriale. Ma dopo essere stato introdotto da Craft alla musica dodecafonica, e specialmente alla musica di Webern, rivide il suo giudizio. In una intervista del 1952 disse che se comporre musica seriale non lo interessava, « i compositori seriali erano i soli che avessero una disciplina » che lui « rispettasse ». Studiò intensamente la musica di Webern. Poi sperimentò elementi seriali in varie composizioni, soprattutto nel Canticum sacrum (1955) e in Agon (1957). Finalmente vennero Threni (1958?, i Movimenti per piano e orchestra (1959), Un sermone, un racconto e una preghiera (1961), le Variazioni in memoria di Aldous Huxlev (1964) e i Cantici da Requiem (1966), tutte opere seriali.
Naturalmente ci fu grande scandalo e si disse che Stravinskij era passato al « nemico ». Il compositore fu accusato di aver puntato sul cavallo vincente, di aver rinunciato alle sue posizioni, di avere la vergognosa ambizione di non perdere la leadership dell'avanguardia Ma in tutto quel chiasso si dimenticò che, seriali o no, Threni e le altre opere avevano sempre il vecchio suono stravinskiano e che le partiture seriali non erano weberniane, come Le Baiser non era ciaikovskiano né il Concerto per violino bachiano. Stravinskij faceva col serialismo ciò che aveva fatto con ogni altro stile al quale si era rivolto: lo aveva passato attraverso il suo filtro. Nessun compositore dotato di una personalità schiacciante come la sua poteva mettersi tutt'a un tratto a scrivere musica che riflettesse uno spirito diverso dal suo. In ogni caso, poi, le composizioni seriali rappresentano soltanto una piccola parte delle sue opere.
La posizione nella quale Stravinskij venne a trovarsi nel corso degli anni fu per certi aspetti curiosa. Dal 1911 alla fine della seconda guerra mondiale, fu il capo riconosciuto dell'avanguardia musicale e tutti convenivano nel considerarlo il piú grande compositore vivente. Per il pubblico rimaneva l'apostolo del modernismo. Per i colleghi, era il piú preciso e rifinito tecnico del tempo. Certamente, fino al 1945 fu lui a esercitare la maggiore influenza sulla scena musicale contemporanea. Basterebbe questo ad assicurargli un posto nella storia. I compositori minori possono raggiungere una grande popolarità in vita, ma non influiscono mai sul corso della musica. Stravinskij invece rappresentò una grossa influenza. Fu sempre a un capo della corda, trascinando tutti con sé. (In questo la sua carriera rassomigliò moltissimo a quella del suo buon amico Pablo Picasso. Tra i due ci sono molte analogie: il loro ingresso quasi simultaneo nei vari periodi stilistici, l'uso della distorsione a scopi espressivi, la tecnica brillante, l'influenza sull'avanguardia.)
Ma lo strano è che Stravinskij, dopo le opere post-Sacre, fu ammirato più dai colleghi musicisti e da un gruppetto di rumorosi discepoli che dal pubblico. Non che lo si eseguisse poco. Aveva una statura e una fama troppo grandi. Tutto ciò che componeva era subito presentato al pubblico e poi venivano, automaticamente, le registrazioni. È uno dei pochi compositori contemporanei presente in dischi praticamente con l'opera omnia, e con registrazioni eseguite nella gran maggioranza con la sua supervisione. Eppure la sua musica è stata piú rispettata che amata. Buona parte delle sue composizioni dopo Le Sacre sembra restare ai margini del repertorio invece che costituirne una parte centrale. Se si togliessero i tre balletti russi e le altre due opere piú popolari, l'Oedipus rex e la Sinfonia di salmi, Stravinskij passerebbe immediatamente agli ultimi posti della graduatoria annuale dei programmi delle orchestre sinfoniche americane, pubblicata dall'American Symphony Orchestra League and Broadcast Music, Inc. Stravinskij ha finito con l'essere un musicista per addetti ai lavori invece che restare un beniamino del pubblico. Se si vuole, la sua musica sarà anche troppo essenziale, riservata, equilibrata, intellettuale. Non è adatta a tutti i gusti. « Sono arrivato alla conclusione che Stravinskij è lo Henry James dei compositori » scrisse Aaron Copland nel 1943. « La stessa mentalità da " esule ", la stessa squisita perfezione, la stessa presa su certi temperamenti artistici, la stessa mancanza di immediato contatto con il mondo circostante. »
Né la musica di Stravinskij ha il tipo di melodia capace di attirare la massa, anche se sbaglia chi dice che non ne ha affatto. Un'aria come il lamento di Giocasta nell'Oedipus rex, o il motivo che apre il lento della Sinfonia in tre movimenti o la scena dell'Orpheus in cui il protagonista fa una serenata all'Aldilà, o il Sur le lit elle repose da Perséphone (non per caso vi risuona un'inconsapevole eco della Barcarola di giugno di Tchajkovskij): tutte queste sono melodie non meno esplicite di Casta Diva. Quando voleva, Stravinskij sapeva essere melodico come qualsiasi altro compositore. Ma non sempre lo voleva. Non fu mai un compositore « cuore-in-mano » e spesso scartò, a sangue freddo, una melodia ovvia a favore di altri elementi musicali. Perciò i suoi spartiti sono stati definiti « intellettuali » nel senso dispregiativo della parola. Niente accendeva di píú la sua ira che l'accusa di intellettualismo. Che cosa c'è di riprovevole nell'intelletto? chiedeva. Condannare la sua musica perché è « intellettuale » significa condannarla per la cosa per la quale invece dovrebbe essere lodata. Certo è intellettuale, nel senso migliore della parola. È una musica in cui gli elementi formali sono accortamente equilibrati, in cui i modelli sono trasformati dal virtuosismo, in cui un forte talento, deciso a evitare le concezioni del diciannovesimo secolo, si prefigge di sfruttare certe idee musicali con brevità e obiettività, e in base a principi non-romantici. C'è mai stato compositore nella storia, Bach e Webern inclusi, che abbia dato prova di altrettanta logica pura? C'è da dubitarne. Gran parte del piacere che dà l'ascolto della sua musica deriva dal partecipare dei processi mentali di una mente superbamente organizzata: una mente che ha senza dubbio parecchia impertinenza, una mente affascinante, spiritosa e aforistica; ma soprattutto, una mente organizzata. Nella sua musica non ci sono imbottiture, non ci sono « sviluppi » gonfi o difficili. Essa può riuscire fortemente comunicativa, ma solo per certi tipi di intelligenza, equivalenti alla sua: il che vuol dire capaci di rispondere alla forma, alla tecnica, al ritmo, alla stilizzazione. Se Beethoven, Schubert e perfino Bach sembrano esercitare il loro richiamo su ascoltatori di tutti i livelli, Stravinskij non ha altrettanto universalismo. Può ipnotizzare l'amatore della musica che abbia un notevole grado di sofisticazione; ma i sofisticati costituiscono, dopotutto, una minoranza del pubblico musicale. Può darsi che Stravinskij, « il piú grande compositore vivente del mondo » finisca col vivere piú per ciò che ha fatto alla musica che per ciò che la sua musica ha fatto alla maggioranza degli ascoltatori.
Harold C. Schonberg (da I GRANDI MUSICISTI, traduzione di Vittorio Di Giuro, ed. Mondadori, 1972)
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