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Trasfigurazione del barocco: Johann Sebastian Bach
La tradizione, a Lipsia, voleva che Johann Sebastian Bach fosse stato seppellito vicino alla porta della Chiesa di San Giovanni, a circa sei passi dalla parete sud. Nel 1894 San Giovanni doveva subire certe modifiche che avrebbero distrutto la collocazione tradizionale della tomba di Bach. Allora un gruppo di studiosi capeggiato da un anatomista, un certo Wilhelm His, si mise alla ricerca della tomba. I ricercatori avevano una notizia sulla quale lavorare: nel 1750, l'anno della morte di Bach, solo dodici persone erano state interrate in bare di quercia. Bach era tra loro.
Tre bare vennero alla luce vicino alla parete sud. Due erano di pino. Una era di quercia e conteneva uno scheletro di uomo, in buone condizioni. Si fecero tutte le prove possibili, e lo scultore Karl Seffner preparò una maschera con cui coprire il cranio, fedelissima ai ritratti noti di Bach. Nel rapporto pubblicato nel 1895 il dottor His riassunse tutte le prove e concluse, insieme con gli scienziati che avevano collaborato con lui, che lo scheletro era senz'altro di Bach. Poi i resti furono traslati in una tomba collocata sotto l'altare di San Giovanni.
Se lo scheletro era veramente quello di Bach, e non c'è motivo di dubitarne, il compositore era alto un metro e sessantotto, aveva una testa piuttosto massiccia, un fisico forte e una corporatura robusta, tutte caratteristiche confermate dai pochi di lui ritratti dal vero di cui disponiamo. Gli iconografi di Bach si sono lamentati del numero esiguo delle testimonianze pittoriche, e secondo alcuni non ci sarebbe modo di dire quale fosse in realtà il suo aspetto. Ma tutti i ritratti che abbiamo, nei quali Bach indossa sempre la parrucca secondo l'uso dell'epoca (ma qualche studioso si è chiesto se non copriva una calvizie), rivelano molti punti in comune: naso prominente, guance carnose, mento pronunciato, bocca severa. È un volto forte, molto virile, il volto di un uomo che non esita a far valere i propri diritti, che non è disposto a scendere a compromessi: lo sguardo non è quello di un fanatico, ma senz'altro lo sguardo di chi è deciso a fare di testa propria.
Tutto ciò coincide con quanto si sa di Bach uomo. Era testardo, andava subito in collera e aveva fama di essere un tipo con cui era difficile andare d'accordo. I discepoli, e molto probabilmente anche i figli, dovettero temere la sua severità. Era religioso, luterano praticante con un numero straordinariamente alto (per quel tempo) di opere ecclesiastiche nella sua biblioteca. Sembra che fosse ossessionato dall'idea della morte, e che ne fosse preoccupato in una misura sconosciuta ai contemporanei, anche se allora il paradiso e l'inferno non erano idee astratte ma terribili verità. Haendel, per esempio, era uomo profondamente religioso, ma sapeva che sarebbe andato in paradiso. E cosí si ha motivo di pensare che fosse per Haydn. Questi due uomini si sentivano nelle grazie del Signore. Non cosí Bach, nel quale la divinità suscitava piuttosto un profondo timore reverenziale. Egli disse una volta che scopo e ragione ultimi della musica dovevano essere « solo la gloria del Signore e la ricreazione dello spirito ». Che avesse una forte sessualità, lo dimostra la famiglia numerosa: ebbe venti figli, di cui gliene sopravvissero nove. Fu di gran lunga la famiglia piú numerosa mai prodotta da un grande compositore: anche per i tempi di Bach, quando le famiglie numerose non erano un fatto insolito. E poi c'è il rimprovero che ricevette dalle autorità di Arnstadt nel 1706: « Gli si chieda inoltre con quale diritto ha di recente fatto invitare sul palco dell'organo una ragazza forestiera permettendole di fare della musica ». I biografi vittoriani di Bach furono costernati dall'insinuazione che il loro santo eroe, il compositore della Messa in si minore, avesse potuto interessarsi alle ragazze forestiere. E si precipitarono a concludere che la ragazza non poteva essere che la cugina Maria Barbara, che Bach sposò l'anno dopo. Ma non c'è nessuna prova né in un senso né nell'altro.
Bach fu un solido borghese, sposato due volte e parsimonioso come un contadino. Non si trovò mai in bisogno. Di tutti i Bach del tempo egli fu il piú agiato e il piú rispettato, ma non si peritò di lesinare il centesime, e di accigliarsi per ogni piccola spesa. Certe sue lettere al cugino Johann Elias sono piuttosto divertenti, sotto questo aspetto. Anzi, è questo, praticamente, il solo aspetto divertente di una vita assolutamente aliena dall'umorismo. Sorrise mai, quell'uomo? C'è da chiederselo. Certo, la sua musica ha meno umorismo che quella di ogni altro compositore. Perfino Wagner compose un'opera come Meistersinger (I Maestri Cantori). L'umorismo musicale di Bach - la Cantata del caffè, il Capriccio sopra la lontananza del suo fratello dilettissimo, un altro paio di composizioni - sono piccolissima cosa nella sua produzione.
In ogni modo, ritornando a Johann Elias, Bach gli scrive circa un certo vino che il cugino gli ha regalato. Una parte si è persa nel. viaggio e Bach deplora fortemente « che anche una goccia di questo nobile dono di Dio » sia andata sprecata. Poi si affretta a precisare che non è in grado « di ricambiare come si conviene » il dono. E infine c'è un poscritto: « Benché il mio onorevole cugino si offra gentilmente di favorirmi facendomi avere ancora di questo liqueur, devo declinare l'offerta a causa delle spese eccessive. Infatti il trasporto costa 16 groschen, l'uomo della consegna 2 groschen, l'ispettore delle dogane 2 groschen, il dazio interno 5 groschen e 3 pfennig, e l'imposta generale 3 groschen: perciò il mio onorevole cugino può vedere da sé che ogni litro mi costa quasi 5 groschen, somma che per un dono è veramente troppo forte ».
Bach nacque a Eisenach, in Germania, il 21 marzo 1685, ultimo di otto figli di Johann Ambrosius Bach, figlio di Christoph Bach, figlio a sua volta di Johannes Bach e questi di Veit Bach, di cui non si conosce la data di nascita ma che mori nel 1619. Johann Sebastian che, come tutti i Bach, andava fiero di quanto aveva fatto la sua famiglia, iniziò una volta una genealogia intitolata « Origini della famiglia musicale dei Bach ». Le fece risalire a Veit, « panettiere ungherese » che « nel sedicesimo secolo fu costretto a fuggire dall'Ungheria a causa della sua fede luterana ». In quella genealogia Bach fece una descrizione affascinante del vecchio Veit, il quale « trovava grandissimo diletto in una piccola cetra che portava con sé perfino al mulino e che continuava a suonare anche quando si macinava. (Dev'essere stato proprio un bel concerto! Pure, in questo modo, acquistò il senso del ritmo.) E questo fu, per cosí dire, l'inizio di una inclinazione musicale nei suoi discendenti ». Bach fu sempre convinto di essere di discendenza ungherese, ma la maggior parte degli studiosi ritengono oggi che Veit fosse nato in Germania, si fosse trasferito in Ungheria e poi ne fosse tornato.
Ai tempi di Veit c'erano anche un Hans Bach e un Caspar Bach. Veit ebbe due figli, Johannes e Lips. Da Johannes nacquero Johanna, Christoph e Heinrich. Da Lips discesero i Bach di Meiningen. La famiglia fu particolarmente feconda, e per oltre due secoli dette autentici purosangue, producendo un illustre musicista dopo l'altro. Ci furono Bach musicisti a Arnstadt e Eisenach, a Ohrdruf, Amburgo e Lúneburg, a Berlino, Schweinfurt e Halie, a Dresda, Gotha, Weimar, Jena, Múhlhausen, Minden e Lipsia. Erano tutti molto legati tra di loro; amavano farsi visita, suonare insieme, scambiarsi pettegolezzi, brigare per sistemare i membri della famiglia quando si rendeva vacante qualche importante incarico musicale. Ogni volta che si delineava una possibilità del genere in una qualsiasi città della Germania, la notizia correva lungo i gangli nervosi della grande famiglia Bach provocando contrazioni e reazioni, e, molto piú spesso, i Bach riuscivano ad allogare uno dei loro nel posto desiderato.
Il padre di Johann Sebastian, Johann Ambrosius, fu organista di chiesa a Eisenach e godette grande considerazione. Quando mori, Sebastian aveva dieci anni (la madre era morta l'anno prima). Sebastian e il fratello Jakob andarono a vivere con il fratello maggiore Johann Christoph, organista a Ohrdruf. Non si sa molto dei cinque anni che Sebastian trascorse in quella città. Da bambino dovette essere già molto dotato. A quattordici anni frequentava l'ultimo anno di una scuola che equivarrebbe piú o meno al nostro liceo, e anche allora l'età media degli alunni dell'ultima classe liceale si aggirava sui diciotto anni. Era anche un buon organista e suonatore di cembalo (cembalo è termine generico per indicare gli strumenti a corda con tastiera: clavicordo, clavicembalo, spinetta), cantante, buon violinista, presumibilmente già compositore. Ma qui non si sta parlando di un giovane musicista di talento, bensí di Johann Sebastian Bach, forse la figura piú stupendamente dotata della storia della musica, e ci sono tante altre cose che vorremmo sapere della sua infanzia e adolescenza. Quando si rivelò per la prima volta quel suo talento straordinario? Ebbe l'orecchio assoluto? (Bisogna pensare di sí.) Essendo la famiglia Bach ciò che era, si può pensare a un fattore genetico. Che cosa succedeva nella testa di quel bambino, che tipo di riflesso musicale e fisico operava, quale tipo di preparazione, esattamente, gli dettero il padre e il fratello maggiore? Non lo sappiamo.
Conosciamo invece i principali avvenimenti esteriori della sua vita. Sappiamo che a quindici anni andò alla scuola di San Michele a Lúneburg; che visitò Amburgo; che già da giovanetto fu di spiriti bollenti; che la sua vita fu una serie di incarichi al servizio della corte o della chiesa: Arnstadt, Miihlhausen, la corte ducale di Anhalt Cóthen, il posto definitivo che tenne per ventisette anni di Kantor (insegnante) della chiesa di San Tommaso a Lipsia. Sappiamo che godette di grandissimo prestigio, ai suoi tempi, ma piú come organista e tecnico dell'organo che come compositore. Bach, che portò al culmine il movimento barocco, visse in un'epoca in cui concezioni radicalmente nuove stavano minando l'edificio costruito in misura cosí rilevante sulla polifonia. Anzi, visse abbastanza per sentirsi considerare un compositore superato, un pedante, per vedere la sua musica messa da parte a favore della piú leggera musica melodica, omofonica dello stile galante. Quella musica cosí elegante, graziosa e superficiale che dette grande popolarità al figlio Johann Christian a Londra.
È molto probabile che tutto ciò non lo affliggesse poi tanto. Visse in un'epoca in cui non esisteva ancora la concezione romantica dell'arte fine a se stessa, della musica composta per l'eternità. Bach è stato il compositore piú dotato di spirito pratico e piú equilibrato che sia mai vissuto. Come tutti i compositori del tempo si considerò un professionista, uno che scriveva generalmente per sopperire a un bisogno specifico: una cantata per la domenica, un libro di esercizi per i bambini, un pezzo per organo per illustrare un particolare registro. Pubblicò composizioni di cui andava particolarmente fiero, ma in generale non dubitò che la maggior parte della sua musica sarebbe scomparsa con lui. Quando diventò Kantor a Lipsia tolse di mezzo tutta la musica del suo predecessore, e sapeva che il successore avrebbe riservato lo stesso, trattamento sommario a tutti i manoscritti suoi che gli fossero capitati per le mani. Il Kantor era pagato per presentare la propria musica, non la musica di un altro.
Certo, Bach era consapevole del proprio valore. Ne dovette avere coscienza fin dal primo momento, e se c'era qualcosa che lo faceva uscire dai gangheri era la musica eseguita cialtronescamente, la musica che non era all'altezza dei suoi principi. E questi principi erano ... bachiani. Tutta la sua vita è costellata di episodi che attestano come fosse sempre ben deciso a far musica degna di lui. Già nel 1705, a Arnstadt, ebbe a disputare con uno studente, un certo Geyersbach. Andò a finire che prese il pugnale e andò in circa di costui; ed ecco il futuro compositore della Passione secondo San Matteo rotolarsi per terra avvinghiato all'avversario, tentando di ferirlo. Al¬l'interrogatorio risultò che Bach aveva una volta chiamato con disprezzo il collega Zippelfaggotist, suonatore di cornamusa. Fu rimproverato, specialmente perché «aveva già fama di non andare d'accordo con gli studenti ».
Ma Bach era incorreggibile. Era cosciente dei suoi mezzi ed era deciso a fare a modo suo. Niente poteva interferire con la sua visione della musica e il bisogno, meglio, la coazione a saturarsi della propria arte, a migliorare, a studiare, ad assorbire tutto l'assorbibile. Se qualcuno tentava di interferire, tanto peggio! Nel 1706 fu censurato perché aveva trascurato i suoi doveri (era andato a piedi a Lubecca per sentire. Butehude suonare l'organo). È censurato per le strane armonie che cava dall'organo durante le funzioni. È censurato perché suona troppo e lui, per tutta risposta, cade « nell'estremo opposto e suona troppo poco ». È censurato perché è un « solitario »,
perché mantiene un atteggiamento di sdegnosa superiorità. « Visto che non ritiene vergognoso avere a che fare con la Chiesa e accettare uno stipendio, non deve vergognarsi di fare musica con altri studenti cui è assegnato allo stesso compito.»
A Weimar finisce addirittura in prigione, nel 1717, per avere « troppo testardamente insistito per ottenere un congedo ». Voleva andare a Còthen. A Lipsia non fa che lamentarsi con l'Elettore per questioni di denaro e 'per le sue prerogative, e subito viene preso in antipatia dal consiglio municipale, che lo accusa di trascurare i suoi doveri. E questi doveri erano molti. Nella domanda presentata a Lipsia nel 1723 aveva scritto che còsa si impegnava a fare:
1. Sarò per i giovani fulgido esempio di vita onesta e riservata, servirò con zelo la Scuola e istruirò con coscienza i miei allievi;
2. Porterò a buona condizione, in entrambe le principali Chiese di questa città, la musica, impegnandomi al meglio delle mie capacità;
3. Avrò per l'Onorevole e Prudentissimo Consiglio l'obbedienza e il rispetto dovuti, e ne difenderò e accrescerò dovunque, come meglio posso, l'onore e la reputazione. Analogamente, se un gentiluomo del Consiglio desidera la presenza dei giovani per una occasione musicale, provvederò senza esitazione a assicurarla; per altro, non permetterò mai ai giovani di uscire dalla città per andare a funerali o nozze senza renderne prima edotti il Borgomastro e gli Onorevoli Direttori della Scuola attualmente in carica e averne ottenuto il consenso;
4. Mi atterrò con la dovuta obbedienza a tutte le istruzioni che gli Onorevoli Ispettori e Direttori della Scuola vorranno darmi in nome dell'Onorevole e Prudentissimo Consiglio;
5. Non. ammetterò nella Scuola giovinetti che non abbiano già una base di conoscenza musicale, o non siano almeno adatti ad esservi istruiti; e in ogni caso non senza cognizione e consenso degli Onorevoli Ispettori e Direttori;
6. Affinché le Chiese non siano costrette a una spesa inutile, istruirò fedelmente i giovinetti non solo nella musica vocale ma anche in quella strumentale;
7. Allo scopo di preservare l'ordine nelle Chiese provvederò affinché la musica sia di natura tale da non dare impressione operistica, ma inciti gli ascoltatori alla devozione;
8. Provvederò la Chiesa Nuova di buoni scolari;
9. Tratterò i giovani con cordialità e prudenza, ma, ove mai non volessero obbedire, li castigherò con moderazione o li deferirò a chi di dovere;
10. Attenderò fedelmente all'istruzione nella scuola e a tutto quanto mi compete;
11. E se non potessi provvedere a ciò da solo, farò in modo che vi provveda altra persona capace, senza spesa per l'Onorevole e Prudentissimo Consiglio o per la Scuola;
12. Non uscirò dalla città senza il permesso dell'Onorevole Borgomastro in carica;
13. Sempre che sia possibile seguirò con i fanciulli i funerali, com'è costume;
14. E non accetterò o desidererò accettare alcun incarico nell'Università senza il consenso dell'Onorevole e Dotto Consiglio.
Come se tutto questo non bastasse, Bach era responsabile dei programmi musicali - della musica vera e propria e della sua esecuzione - in tutt'e quattro le chiese cittadine. Doveva comporre una cantata per la funzione settimanale e dirigerne l'esecuzione, e fornire la musica per la Passione del Venerdí Santo. Tutto questo era il normale lavoro del Kantor. Poi c'erano le attività extra: per esempio provvedere mot¬tetti per nozze e funerali, e composizioni per le feste cittadine. Da questi lavori extra derivavano i guadagni di Bach il quale una volta fece notare con tutta serietà che « quando i funerali sono piú del solito, i guadagni aumentano in proporzione; ma quando spira vento di salute, diminuiscono, come l'anno scorso, quando perdetti oltre cento talleri dei compensi che me ne sarebbero dovuti venire ».
A Lipsia, Bach non trovò né la collaborazione, né i guadagni, né la stima che aveva sperato, e subito si trovò, come al solito, in contrasto con i funzionari. Il Consigliere municipale Steger fu costretto a dire che non solo il Kantor non faceva niente, ma non era « neppure disposto a dare una spiegazione di questo fatto. » Questo probabilmente confermava i sospetti che il Consiglio nutriva in segreto su Bach, perché egli era venuto a Lipsia non essendo disponibili altri candidati graditi al consiglio. Come aveva detto il Consigliere Platz, « poiché non era possibile ottenere l'uomo migliore, bisognava accettarne uno mediocre ». Cosí il consigliere Platz si assicurò un posto nella storia. L'« uomo migliore » al quale si riferiva era Georg Philipp Telemann (1681-1767), un compositore incredibilmente prolifico che alla sua morte aveva all'attivo circa tremila opere. Telemann, buon musicista e mirabile compositore, era popolarissimo in Germania, molto piú di quanto non lo fosse Bach, meno alla moda. Poi, nel 1736, venne la grande battaglia tra Bach e Johann August Ernesti, rettore della Scuola di San Tommaso. Fu una faccenda che fece tremare la scuola, mise in frenetica agitazione il Consiglio e permise a Bach di sfoggiare tutte le sue capacità, notevolissime, di testardaggine e bellicosità. Ernesti aveva scelto un certo Johann Gottlieb Krause come prefetto della Scuola di San Tommaso. Ma Krause era musicista mediocre e Bach andò su tutte le furie. Protestò con il Consiglio. Ernesti gli rispose per le rime. Ci furono accuse e controaccuse. Bach non mollò. Portò la battaglia davanti al Concistoro e poi, non essendo riuscito a ottenere soddisfazione, davanti a « Sua Altezza Serenissima, il Potente Principe e Signore Federico Augusto, re di Polonia, Granduca di Lituania, Reuss, Prussia, Mazovia, Samogizia, Kovno, Volinia, Podolia, Liefland, Smolensk, Severia e Czernienhovia, Duca di Sassonia, Júlich, Kleves, Berg, Engern e Westfalia, Archimaresciallo e Elettore del Sacro Rimano Impero, Langravio di Turingia, Margravio di Meissen e della Lusazia Superiore e Inferiore, Burgravio di Magdeburgo, Principe e Conte di Henneberg, Conte di Mark, Ravensberg e Barby, Signore di Ravenstein, Mio Graziosissimo Re, Elettore e Padrone ». Nessuno sa come sia andata a finire la questione. Si pensa, che l'abbia vinta Bach.
Il fatto è che non era uomo disposto a subire, e portò questa sua intransigenza nel suo modo di fare musica. Come lo irritava la mediocrità che lo circondava! Questo musicista completo, questo esecutore incomparabile, questo compositore la cui visione abbracciava tutto l'universo musicale allora conosciuto, questo titano, doveva lavorare a Lipsia con studenti men che mediocri e con un organico di gran lunga inferiore al bisogno. Nel 1730 prospettò le sue esigenze minime per l'esecuzione di musica chiesastica. Ogni coro, spiegò al consiglio municipale, doveva contare almeno dodici cantori, ma sarebbe stato meglio averne sedici. Per l'orchestra ci volevano diciotto elementi, meglio ancora venti. E invece, si lamentava, che cosa aveva? In tutto otto suonatori: quattro suonatori ambulanti, tre violinisti professionisti e un apprendista; e « la modestia mi proibisce di parlare in tutta sincerità delle loro qualità e delle loro conoscenze musicali ». Era una situazione intollerabile, e a coronare il tutto c'era il fatto che la maggior parte dei suoi studenti erano privi di talento.. Ecco come si spiegava, disse, il declinante livello delle esecuzioni a Lipsia. E finiva riassumendo la qualità degli studenti: diciassette erano « inutilizzabili », venti « non ancora utilizzabili » e diciassette « inadatti ». Questi ventiquattro ragazzi costituivano i cori delle quattro chiese di Lipsia. La povera chiesa di San Pietro aveva avuto i peggiori, « e precisamente quelli che non capiscono la musica e che a malapena riescono a cantare in una corale ».
(Si noti il riferimento ai suonatori ambulanti. Questi signori potevano essere ottimi musicisti, e nel 1745 Bach ne esaminò uno, un rispettabile signor Karl Friedrich Pfaffe. « Lo si è visto » scrisse, « suonare abbastanza bene, e tra gli applausi dei pre¬senti, tutti gli strumenti ordinariamente usati dagli ambulanti di città, e precisamente: violino, oboe, flauto traverso, tromba, corno e gli altri ottoni, e lo si è giudicato senz'altro adatto al posto di assistente al quale aspirava. »)
Ecco, dunque, in quali condizioni doveva lavorare Bach. Una volta ogni tanto, nelle occasioni speciali, poteva avere qualche cosa di piú. Per la Passione secondo San Matteo riuscí a mettere assieme piú di quaranta esecutori. Però egli, evidentemente, desiderava ardentemente forze piú numerose, e oggi è un errore, in nome dell'«autenticità », presentare certe opere di grande respiro, come la Messa in si minore e le due grandi Passioni, con un numero ridotto di esecutori, secondo un appunto di Bach del 1730. Certo, le strutture bachiane vanno rispettate, quali che siano le forze impiegate, e la musica va presentata con assoluta chiarezza. Ma questo non esclude la corposità del suono.
Bach fece meglio con la materia prima di cui disponeva. Probabilmente seppe suonare quasi tutti gli strumenti dell'orchestra, e si incaricò della preparazione dei suoi orchestrali piú o meno come fa il maestro direttore dei nostri tempi. Generalmente diresse suonando il violino o il clavicembalo. La storia dei primordi della direzione orchestrale non è stata ancora esplorata come si dovrebbe dagli studiosi; in generale si ritiene che solo nel diciannovesimo secolo il maestro cominciasse a battere effettfvamente il tempo. Pure, molte testimonianze dei tempi di Bach consentono di affermare che la persona incaricata di dirigere un'orchestra batteva senz'altro il tempo. Anzi, quando Bach esaminò il disgraziato Krause osservò specificamente che lo studente non sapeva battere bene il tempo, che « non era capace di dare accuratamente la battuta nei due principali tipi di tempo, e precisamente quello pari, o quattro quarti, e quello dispari, o tre quarti
In base a tutte le testimonianze oculari, Bach dirigeva l'orchestra da dominatore. Era un brillante lettore di partiture. « Aveva un orecchio cosí fine che sapeva cogliere il minimo errore anche nelle orchestre piú numerose. » Mentre dirigeva, cantava, suonava la sua parte, manteneva regolare il ritmo, e dava l'entrata a tutti, « all'uno con un cenno del capo, all'altro battendo il piede, a un terzo levando un dito ammonitore, dando la nota giusta a uno con la voce alta, a un altro con la voce grave e a un terzo con una voce media: tutto da solo, in mezzo al grandissimo baccano di tutti i partecipanti e, benché eseguisse lui stesso le parti piú difficili, cogliendo immediatamente, sempre e dovunque, ogni errore, mantenendo tutti uniti, prendendo dappertutto precauzioni e riparando a ogni irregolarità, pieno di ritmo in ogni parte del corpo. » Cosí Johann Matthias Gesner, il Rettore che precedette quell'Ernesti fonte di tante seccature, descrisse il grand'uomo all'opera: Il figlio Carl Philipp Emanuel osserva che Bach era particolarmente pignolo per l'accordatura. Ci metteva la massima cura, nell'orchestra come con i suoi strumenti, a casa. «Nessuno riusciva a accordare lo strumento come piaceva a lui. Faceva tutto da solo ... Sentiva la minima nota sbagliata anche nell'insieme piú numeroso. » Il concetto del direttore nel senso moderno della parola non era ancora stato inventato; ma è interessante notare che Bach fu un direttore moderno in tutto tranne che nel nome: e probabilmente, considerato il suo carattere infiammabile, un direttore terribile.
Come, esattamente, dirigesse non sappiamo. Quali erano i suoi tempi? Le idee sul ritmo? Le scelte espressive? Oggi molti degli aspetti piú sottili della sua pratica direttoriale sono andati perduti. Possiamo solo immaginare quali dovessero essere la, tonalità, gli strumenti, i coloriti, gli abbellimenti, la concertazione, perfino i ritmi e il tempo. Si veda per esempio la faccenda della tonalità. Gli studiosi hanno stabilito che spesso ai tempi di Bach essa era di un buon tono piú bassa che ai nostri giorni. Ma ci sono anche degli organi di quei tempi, ancora funzionanti, in cui la tonalità è piú alta. Non sappiamo come Bach intonasse i suoi strumenti. Quanto agli abbellimenti, ci sono interi volumi sull'argomento della trascrizione, di quelli che si trovano nella musica di Bach, e spesso c'è disaccordo tra gli autori. E la cosa non sorprende, perché non erano d'accordo neanche gli autori dei tempi di Bach. Inoltre, sembra che ci fossero molte convenzioni non scritte; che, per esempio, si usasse tenere le note piú a lungo di quanto non fosse scritto. Nel migliore dei casi il musicista coscienzioso può, dopo molto studio specialistico, avanzare qualche erudita congettura.
Ma se la prassi direttoriale è transitoria, e cambia da una generazione all'altra, la musica di Bach resta piú forte che mai. Piú forte, perché possiamo collocarla in una prospettiva storica e confrontarla con quella di tanti suoi grandi contemporanei: Haendel, Vivaldi, Couperin, Alessandro Scarlatti, i quali sono tutti eclissati da Bach, da ogni punto di vista. La visione di Bach era piú ampia, la sua tecnica non aveva confronti, il suo senso armonico era di una potenza, di una espressività e di una ingegnosità impressionanti. E se non è considerato un grande melodista, egli seppe nondimeno comporre motivi di un'estasi ineffabile, come l'aria Bist du bei mir, o il lento della Sonata a tre in mi minore, che procede per frasi calme, ampie, nobili.
Bach fu un compositore del periodo barocco. In musica, il periodo barocco va dal 1600 al 1750 circa. La musica barocca ha introdotto di volta in volta, nei suoi massimi esponenti, alcune caratteristiche di stile: il misticismo, l'esuberanza, la complessità, la decorazione, l'allegoria, la distorsione, lo sfruttamento del soprannaturale o del grandioso. Dove il rinascimento (e poi il classicismo) amò l'ordine e la chiarezza il barocco (e poi il romanticismo) amò il movimento, il turbamento, il dubbio. Il barocco musicale nacque in Italia con musicisti della levatura di un Claudio Monteverdi (1567-1643), e con il. gruppo fiorentino che « inventò » l'opera, per diffondersi quindi rapidamente per tutta l'Europa. Col barocco nacque l'armonia a quattro parti e il basso figurato, in cui dei numeri indicano le armonie da usare. Il basso figurato si chiama anche basso continuo, e Bach lo considerò alla stregua di un dono del cielo. Il basso continuo, avrebbe detto, secondo un discepolo, « è la piú perfetta fondazione della musica, essendo suonata con tutt'e due le mani in maniera che la sinistra esegue le note scritte nel basso mentre la destra aggiunge consonanze e dissonanze, allo scopo di costruire un'armonia gradevole per la gloria di Dio e il lecito diletto dello spirito; e lo scopo e la ragione finale di tutta la musica, come del basso continuo, non dovrebbero essere che la gloria di Dio e la ricreazione della mente ».
Il barocco vide anche la scomparsa degli antichi modi della musica sacra e il consolidamento della scala e delle tonalità ad essa associate, rimaste in uso fino ad oggi. Vide anche lo sviluppo di idee ritmiche che spezzarono la musica negli accenti di battuta; nonché l'avvento delle forme che avrebbero portato direttamente alla sonata, alla sinfonia, al concerto, all'ouverture e alla variazione. Ma il barocco ebbe anche le sue forme libere: toccata, fantasia, preludio, ricercare.
Il periodo barocco vide l'ascesa di una borghesia colta. La musica cominciò a uscire dalla corte e dalla chiesa e a diffondersi nella città, dove molti cominciavano a essere i cittadini borghesi che chiedevano trattenimenti musicali che furono i precursori dei concerti pubblici di oggi. I musicisti cominciarono a soddisfare questa richiesta, in qualche caso, come in quello di Haendel, su una base finanziaria che ebbe un successo spettacoloso. Si formarono accademie musicali e perfino i caffé prepararono programmi musicali per accontentare i clienti. Bach fu coinvolto in una iniziativa del genere e per molti anni diresse i concerti del caffé Zimmermann di Lipsia, che si tenevano ogni settimana, la sera del venerdí dalle otto alle dieci. Gli esecutori (cosí avverte un annuncio del 1736) « sono soprattutto studenti di qui, e tra loro, ci sono sempre buoni musicisti che a volte diventano, come è ben risaputo, famosi virtuosi».
Con Bach, il barocco musicale ebbe la sua massima espressione. Bach fu tutto ciò che c'era stato prima e anticipò gran parte di ciò che sarebbe venuto dopo. Non fu soltanto un musicista colto nella sua musica, ma in tutta la musica. Fu certamente uno dei piú colti musicisti del tempo, con un'incredibile conoscenza di ciò che accadeva sulla scena europea. Era avido di conoscere e assimilare tutta la musica allora disponibile, antica e contemporanea. Non che fosse interessato alla storia della musica. Niente fa ritenere che si sforzasse di conoscere la musica profana del medioevo, per esempio. Probabilmente, questa non l'avrebbe interessato. Lo interessava invece enormemente, addirittura coattivamente, la tecnica musicale. Come facevano i compositori a mettere insieme i vari elementi? Qual era la qualità delle loro idee? In queste cose si direbbe che Bach avesse un'insaziabile curiosità professionale. Dipendeva forse dal fatto che voleva, coscientemente o no,,misurarsi con gli altri compositori? Voleva sentire la nuova musica, dovunque gli fosse possibile, e leggeva sempre ciò che non era in grado di ascoltare personalmente. Inutile dire che sapeva leggere una partitura con la stessa facilità con cui un contabile legge un libro mastro o un pendolare il giornale della sera. Da giovane trascurava i suoi doveri per ascoltare i grandi organisti - Vincent Lúbeck e Buxtehude, tra gli altri - e uno dei piú grandi rimpianti della sua vita fu di non aver potuto sentire il famoso Haendel. Conosceva la vecchia musica di Palestrina, Frescobaldi e Legrenzi; la musica nuova di Vivaldi, Telemann e Albinoni. Conosceva bene anche la musica della scuola francese da Lully a D'Anglebert e Couperin. (Non c'è invece alcuna testimonianza che faccia pensare che conoscesse la musica della scuola inglese.) Dei compositori tedeschi stimava Froberger, Kerll, Fux, Schiitz, Theile, Pachelbel, Fischer. Conosceva le sonate di Domenico Scarlatti e le opere corali di Alessandro Scarlatti. Era cresciuto sin da bambino con un inestinguibile appetito musicale, e non riuscí mai a saziarlo.
In buona misura, probabilmente, Bach fu autodidatta. Musicisti geniali della statura di un Bach, di un Mozart o di uno Schubert non hanno bisogno di molta istruzione. Hanno cervelli che sono come spugne, che immediatamente si impregnano e assimilano ogni stimolo musicale. Basta metterli nella direzione giusta e dare loro una piccola spinta. Cosí fu con Bach. Sin dall'inizio attinse a tutte le fonti, appropriandosi di ogni forma musicale nota,. con la sola eccezione dell'opera. La sua musica è infinitamente varia. Nelle composizioni meno felici - comunque, poteva scrivere musica monotona e opaca, mai però della cattiva musica - ci sono segni di fretta e di impazienza: sono evidentemente pezzi di repertorio buttati giú secondo formule intese a soddisfare le esigenze di una specifica occasione. Ma la sua media è altissima, e nelle espressioni migliori la sua musica tocca le vette piú alte dell'arte. Bach era in grado di utilizzare le formule correnti e di farle sembrare fresche e originali, perché erano le sue formule. I quarantotto Preludi e Fughe del Clavicembalo ben temperato differiscono tra loro quanto gli Studi di Chopin. Die Kunst der Fuge (L'arte della fuga) salutata unanimemente come uno dei piú grandi tours de force culturali dell'Occidente, è un'opera colossale, una serie interminata di variazioni contrappuntistiche, di una varietà e di una immaginazione inesauribili.
Nessuno sa come Bach volesse che L'arte della fuga venisse suonata: come opera per organo o per orchestra, oppure una via di mezzo tra le due cose, La strumentazione non è specificata e uno studioso tedesco, Friedrich Blume, suggerisce addirittura l'ipotesi che a Bach non interessasse poi molto che opere come L'arte della fuga venissero eseguite, o che fossero eseguibili. « In loro » scrive il Blume, «egli voleva continuare una tradizione di consumata abilità contrappuntistica ereditata dalla scuola romana del Palestrina attraverso Berardi, Sweelinch, Scacchi, Theile, Werckmeister e G. B. Vitali. Era ... un'attività "esoterica", questa disinteressata applicazione di una teoria esclusivamente astratta. » Può darsi: ma c'è mai stato compositore che abbia scritto musica astratta non destinata all'esecuzione? C'è da dubitarne. In ogni caso L'arte della fuga porta alla massima espressione il contrappunto puro. Cerchiamo di dare un'idea della complessità dell'opera: essa comincia con quattro fughe, due delle quali presentano un tema, mentre le altre presentano il tema a moto contrario (una sorta di dietrofront). Ci sono poi le controfughe, in cui il tema originale è rovesciato e combinato con quello originale. Ci sono fughe doppie e triple, diversi canoni, tre paia di fughe a specchio. Dice Karl Geiringer: « Bach presenta tutte le voci prima nella loro forma originale e poi, come un'immagine riflessa, in una inversione totale. Per rendere doppiamente realistico il riflesso dello specchio, il soprano della prima fuga diventa il basso della seconda fuga, il contralto si cambia in un tenore, il tenore in contralto, e il basso in soprano, col risultato che il numero 12:2 appare come il 12: 1 capovolto ».
Per oltre duecento anni i musicisti si sono sentiti pieni di reverente ammirazione per la tecnica e l'ingegnosità incredibili con cui Bach, nell'Arte della fuga, riassunse tutto ciò che si sapeva del contrappunto che tenne arricchito dall'apporto del suo genio possente, il quale creò una partitura unica nella sua maestà e nella sua poesia. È l'ultima sua grande opera, incompiuta. Lavorando a un'enorme fuga tripla, egli decise di aggiungere come contrappunto le lettere del suo nome (B = si bemolle e H = si naturale nella nomenclatura tedesca). Appena appare il suo nome l'autografo si interrompe. Alcuni musicisti - Tovey, Riemann e altri - hanno cercato di completarlo, ma queste composizioni, non sono mai state suonate in concerto e non dovrebbero esserlo mai. Il profondo turbamento che si prova quando si sente il tema B-A-C-H seguito da un silenzio improvviso proprio quando la fuga sta per cominciare, è un'esperienza sconvolgente.
La polifonia è soltanto un aspetto di Bach. Egli era capace di scrivere serie di movimenti di danza col titolo di Suite o di Partita; cantate devote; musica che aveva il vigore atletico tonificante dei Concerti Brandeburghesi; musica titanica come la Messa in si minore e la Passione secondo San Matteo; brani francamente virtuosistici per organo, dall'ampio disegno, dalla sonorità imponente, dal gioco liberissimo delle dita e del piede (queste opere per organo dovrebbero essere suonate sempre su un organo barocco, mai su un organo romantico); o complesse composizioni per violino o violoncello; o una lunga serie di variazioni per cembalo dette le Variazioni Goldberg, che nell'intensità cromatica (quella venticinquesima variazione!) non hanno uguali fino a Chopin e Wagner.
È l'intensità armonica, soprattutto, a distinguere nettamente la musica di Bach da quella dei contemporanei. Bach ebbe una mente musicale tutt'altro che convenzionale. La sua opera è sempre piena di sorprese: qualcosa di imprevisto, qualcosa che si discosta dalla norma, qualcosa che solo Bach poteva sognare. Un concerto grosso di Vivaldi, per esempio, si sviluppa soprattutto lungo armonie appartenenti alla tonalità principale, a quella di dominante e sottodominante, e ogni modulazione segue rotte sicure, già note. Nella musica di Bach viene forgiato un linguaggio armonico completamente nuovo. Un senso armonico superiore caratterizza quasi tutti i grandi compositori distinguendoli dai contemporanei piú timidi, meno inventivi. Mentre la maggior parte dei compositori contemporanei si sarebbero attenuti alle regole, Bach fa le regole. Già da giovane si preoccupava di investigare il potenziale armonico della musica. Era di questo che lo si rimproverava, non essendo gli ascoltatori abituati a tali audacie. A Arnstadt, quand'era ventunenne, fu rimproverato « per avere fatto molte curiose variazioni del corale, mescolandovi molti toni curiosi, e perché la congregazione ne è stata confusa ». Nell'età adulta e nella maturità, la sua avventurosità armonica si accentuò sempre di piú.
Prendendo le formule che gli erano state trasmesse le ampliò, le rifiní, le migliorò continuamente. Sviluppò il concerto per cembalo. Le sue composizioni per strumenti ad arco senza accompagnamento sono rimaste insuperate per ingegnosità, complessità e difficoltà. Ci si chiede quanto fosse bravo Bach come violinista. Certo solo un maestro di questo strumento poteva concepire simili figurazioni. Ci si chiede anche quanti fossero a quel tempo, in tutto il mondo, i musicisti capaci di suonare, con una certa precisione, composizioni cosí fenomenalmente difficoltose. L'insuperabile ciaccona della Partita in re minore per violino solo è il piú noto di questi, brani, ma la fuga della Sonata in do maggiore è di una concezione altrettanto potente e magnifica. I movimenti di fuga delle Suites per violoncello solo sono anch'essi di enorme complessità e difficoltà. Essendo uno dei piú eminenti esecutori del tempo, Bach si compiaceva chiaramente di una difficile esercitazione ogni tanto. Ci sono esplosioni di esaltante virtuosismo nella sua musica, come nella cadenza per cembalo del Concerto Brandeburghese in re maggiore. Molte sue opere per organo sembrano fatte apposta per storcere le dita e confondere i piedi. « Ecco! » sembra quasi di sentirgli dire alla fine del Preludio e fuga in re maggiore per organo « Superatemi, se potete! »
Bach fu il solo che definí una volta per tutte la scala ben temperata che si usa ancora oggi. Altri compositori avevano lavorato in quella direzione ma toccò a lui dimostrare la praticità e anzi l'inevitabilità del sistema. Fino a quel momento si era usato generalmente il temperamento naturale, il che significa semitoni di dimensioni differenti. Il problema era come arrangiare i toni all'interno dell'ottava in modo che la scala, avesse rapporti armonici costanti da un tono all'altro. Nel temperamento. naturale era possibile trovare i rapporti della scala in una tonalità data, ma quello che andava bene, mettiamo, per il do maggiore non andava bene per il fa minore. Il musicologo tedesco Friedrich Wilhelm Marpurg (che visse ai tempi di Bach) disse: « Si facevano tre brutte scale per ottenerne una bella ». Oppure, per dirla con il musicologo inglese Percy A. Scholes « non è possibile intonare perfettamente uno strumento a tastiera per piú di una tonalità; se lo si intona bene per la tonalità di do, appena si suona in un'altra tonalità alcune note risultano stonate. Sul temperamento naturale era perfetta solo una tonalità ma, grazie a un compromesso, si portavano diverse tonalità abbastanza vicine alla perfezione perché l'orecchio le tollerasse, mentre il resto era fuori riga ». Il compromesso cui accenna lo Scholes comportava di abbassare o alzare le singole altezze della scala in modo che potessero adattarvisi diverse tonalità.
Ma, come fa osservare lo Scholes, certe tonalità erano cosí fuori dai moduli della scala naturale che non era possibile usarli. Nella musica antica si trovano di rado certe tonalità comuni come il si maggiore o il do diesis minore: ma non in Bach. Seguendo l'indicazione suggerita nel Temperamento musicale di Andreas Werckmeister (1691), Bach divise l'ottava in dodici toni approssimativamente uguali. Nessuna tonalità era perfetta in questa sorta di compromesso, e in tutte c'erano leggere imperfezioni, ma erano abbastanza lievi per risultare tollerabili all'orecchio. Il sistema di Bach permise di modularle in ogni altra tonalità, e tutte le dodici tonalità potevano servire da tonica. Bach compose il Clavicembalo ben temperato per dimostrare che cosa si potesse fare con quel tipo di accordatura. I due libri del Clavicembalo ben temperato contengono quarantotto preludi e fughe, due per ogni tonalità maggiore e minore.
Negli ultimi anni si è scritto molto sull'uso del simbolismo musicale da parte di Bach. Albert Schweitzer fu tra i primi a avanzare l'idea, affermando che Bach fu non solo essenzialmente un pittore in toni, ma che spesso egli incorporò nella sua musica specifici motivi di terrore, dolore, speranza, stanchezza e cosí via. Schweitzer sottolinea che è impossibile interpretare un'opera di Bach se non se ne conosce la motivazione. Gran parte delle idee di Schweitzer in materia sono oggi superate, anche se è diventato quasi un gioco da salotto, in seno a un gruppetto di specialisti di Bach, leggere un simbolismo ecclesiastico e perfino numerico nella sua musica. Sembra che ai tempi di Bach si usasse di tanto in tanto sostituire i numeri alle lettere dell'alfabeto. Cosí, come dice Karl Geiringer in una biografia di Bach pubblicata nel 1966, « il 14, per esempio, è il numero che simboleggia Bach (B = 2, A = 1, C = 3, H = 8); invertito diventa 41, che sta a significare J.S. Bach, in quanto J è la nona lettera, S la diciottesima e 9 piú 18 piú 14 fa 41. Nell'ultimo arrangiamento corale di Bach di questo metodo simbolico si fa un uso significativo».
Si è fortemente tentati di dire che se fosse stato cosí, veramente, Bach ne sarebbe sminuito. Per fortuna, si può godere la sua musica senza questi artificiosi puntelli, per quanto certe esercitazioni possano risultare stimolanti per un certo tipo di mente. Non c'è musica, nella letteratura, che si caratterizzi per la giustezza, la inevitabilità, l'intelligenza, la sequenza di note logicamente organizzate come la musica di Bach. E non c'è, si può dire, musica di compositore altrettanto importante che sia così legata alla religione, e specificamente al luteranesimo. Bach credette sinceramente che la musica fosse un'espressione della divinità. Cominciava, le sue partiture di musica sacra con un JJ (Jesu Juva, «Gesú aiuta») e le finiva con un SDG (Soli Deo Gloria, « A sola gloria di Dio »). Sono stati fatti, da un paio di studiosi, dei tentativi niente affatto convincenti di dimostrare che in realtà Bach non fu un compositore religioso. È difficile condividere tale opinione. Bach compose molta musica sacra (e molta ne è andata perduta), e nei mottetti e nelle cantate, nelle messe e nelle passioni c'è un sentimento cosí profondamente religioso che la musica sua non può essere capita a fondo se non da uno che abbia radici, formazione e sentimenti religiosi assai vicini a quelli di Bach. Sempre, quando si tratta di capire una manifestazione d'arte, l'identificazione di colui che la recepisce con i processi mentali dell'artista ha importanza critica: quanto piú intima essa è, tanto piú si apprezza l'opera d'arte. Ognuno di noi è in grado di cogliere l'ovvio messaggio di Christ lag in Todesbanden o della Messa in si minore. Ma le finezze e le sottigliezze della musica in rapporto al messaggio spirituale e alla funzione religiosa vera e propria che essa rappresenta sono pienamente accessibili solo a coloro che riescono a identificarsi con la vita spirituale e con la chiesa dei tempi di Bach. Né queste osservazioni si limitano necessariamente alla sua musica sacra. Certo, un'opera come l'Arte della Fuga ha un piú ricco significato per chi abbia dovuto lottare a sua volta con il contrappunto ,e sia perciò in grado di rendersi conto del diabolico talento con cui Bach risolse quei problemi, che per un ascoltatore incapace di leggere la musica. Ma la musica profana, se non altro, presenta meno difficoltà. È astratta, e seguire le linee del pensiero di Bach, dividerne i processi mentali, è uno dei tratti intellettuali e emotivi che la musica ha da offrire.
Uno dei grandi problemi che la musica bachiana pone nel ventesimo secolo riguarda certe questioni pratiche dell'esecuzione. Ovviamente, è impossibile ricreare un'esecuzione che ricalchi fedelmente quella dei suoi tempi. Troppi elementi sono cambiati. E ogni età ha un suo stile d'esecuzione. I romantici, come facevano del resto in tutto, assunsero un atteggiamento molto libero nei confronti di Bach e lo suonarono a loro immagine. Il tipo d'esecuzione romantica si è prolungato fino ai nostri giorni, ed è stato solo negli ultimissimi decenni che si è fatto qualche serio tentativo per affrontare il problema. I musicisti, grazie a una intensa ricerca musicologica, sanno adesso molto piú di quanto non sapessero le generazioni precedenti circa i punti salienti dello stile dell'esecuzione bachiana. Tuttavia non se ne sa ancora abbastanza. Come correttivo al tipo d'esecuzione romantica, una generazione di giovani artisti suonò, cantò e diresse Bach con meccanica rigidità, utilizzando edizioni filologicamente accurate e orchestre relativamente piccole nel tentativo di risultare « autentici ». Purtroppo, ne risultò una musica arida; un Bach spogliato della sua umanità, senza piú grazia, stile, linea, mentre sappiamo che Bach fu un passionale, come uomo e come esecutore. Indubbiamente egli suonò e diresse la propria musica con un impeto, una libertà e una spontaneità infinitamente maggiori di quelle che consentirebbe un'esecuzione moderna. Lo stesso Bach disse, a un discepolo, un certo Johann Gotthilf Ziegler, che un organista non dovrebbe limitarsi a suonare le note. Dovrebbe anche esprimere l'« affetto », il significato, il contenuto emotivo del brano. Per una curiosa ironia, potrebbe alla fine risultare che i romantici tanto derisi, pur mancando dell'erudizione di oggi, furono istintivamente piú vicini allo stile essenziale di Bach dei musicisti di oggi, cosí severi e attenti alla lettera delle note.
Morto Bach, molta della sua musica rimase negli scaffali, anche se né lui né le sue partiture furono dimenticate. Tra i biografi di Bach sembra articolo di fede affermare che fu trascurato per circa settantacinque anni. Non è vero. Prima di tutto i figli, che tenevano un atteggiamento alquanto ambivalente nei confronti del padre (e anche nei confronti della sua seconda moglie; lasciarono quasi morire di fame Anna Magdalena, che fini seppellita nella fossa dei poveri), nondimeno fecero qualcosa per diffonderne la musica. Può anche darsi che Johann Christian parlando del padre, una volta, lo chiamasse «quel vecchio parruccone»; ma fu lui che ne fece conoscere la musica a molti esecutori contemporanei. Karl Philipp Emanuel, che era, sembra, un po' imbarazzato da quel tanto di vecchio stile che aveva la musica del padre e che si disfece dei fogli dell'Arte della fuga, assicurò tuttavia prezioso materiale a Johann Nicolaus Forkel, il primo biografo di Bach (1802).
In realtà, tutti i figli di Bach contribuirono a diffondere il nome e la fama. Tutti continuarono la sua musica, come previsto. «Tutti musicisti nati» aveva detto, con orgoglio Bach dei suoi ragazzi. Ma diversi morirono giovani e un altro era debole di mente. Quattro però ebbero una carriera di primo piano.
Wilhelm Friedemann (1710-1784) si trasferí a Halle, poi cominciò una vita di vagabondaggio e infine si sistemò a Berlino. Era un tipo eccentrico e disadattato e, si diceva, anche ubriacone. Aveva un grande talento e L'orgoglio del padre, ma non si realizzò. Karl Philipp Emanuel (1714-1788) rimase alla corte di Federico il Grande per ventotto anni, assicurandosi grande fama - anche piú di quanta non ne avesse avuto il padre - come clavicembalista, compositore e insegnante. Nel 1768 prese il posto di Telemann a Amburgo. Come compositore, Kart Philipp Emanuel rappresentò il nuovo stile che stava conquistando l'Europa: lo stile galante, elegante, non contrappuntistico, che fu sviluppato dal compositore Dimannheim e portò a Haydn e Mozart. Un particolare curioso su K. P. E. Bach: non poteva suonare il violino perché era mancino. Johann Christoph Bach (1732-1795), detto il Bach di Biickenburg, operò in quella città dall'età di diciotto anni fino alla morte, continuando la tradizione del padre. Infine, ci fu Johann Christian (1735-1782), il Bach di Londra, uno dei pochi viaggiatori della famiglia. Si recò in Italia dove si fece chiamare Giovanni Bach e si fece cattolico. Al padre questo non sarebbe piaciuto. Poi, nel 1762, si trasferí in Inghilterra, dove fu noto come John Bach. Ebbe gran successo mondano e artistico; compose opere, dette concerti di piano e diresse orchestre, insegnò, fu mentore del giovane Mozart, quando costui visitò Londra, fece bancarotta e mori lasciando molti debiti. Anche lui rappresentò lo stile galante.
Questi quattro figli di Bach, due dei quali noti in tutta Europa, contribuirono a tenere viva la memoria del padre. Bisogna ricordare varie cose quando si parla della reputazione di cui Bach godette dopo la morte. L'istituto del concerto pubblico era allora nella sua infanzia. Quando si davano concerti, quale che fosse l'auditorio (salotto aristocratico, sala da ballo o teatro dell'opera, perché non c'erano, praticamente, sale da concerto), lo si doveva generalmente agli sforzi di un compositore che voleva presentare la propria musica. L'idea di un concertista che suonasse musica altrui era ancora di là da venire. La musica, fino al periodo romantico, fu soprattutto un'arte contemporanea, interessata principalmente a ciò che era e non a ciò che era stato. Si badava poco alla musica del passato. In ogni caso era estremamente difficile ascoltarla o studiarla. Non si trovavano spartiti, le esecuzioni erano pressoché inesistenti.
Eppure, cosí grande era la forza della musica di Bach che essa rimase nota a molti musicisti professionisti. Successe addirittura che, rompendo con la tradizione, restasse nel repertorio a Lipsia. Johann Friedrich Doles, discepolo e successore di Bach come cantore della chiesa di San Tommaso dal 1756 al 1789 continuò a suonare alle funzioni la musica del maestro. Egli fece anche conoscere alcune partiture di Bach a Mozart, che ne fu estasiato. Le studiò, ne arrangiò qualcuna e rimase fortemente influenzato dal contrappunto bachiano. Il barone Gottfried van Swieten, a Vienna, fu alla testa di una sorta di culto di Bach. Mostrò i suoi spartiti a Mozart e a Haydn, e organizzò trattenimenti musicali ai quali suonò musica di Bach. Haydn conobbe perfettamente il Clavicembalo ben temperato e la Messa in si minore, e ne possedette gli spartiti a stampa. Beethoven studiò sul Clavicembalo ben temperato. L'organista e compositore inglese Samuel Wesley (1766-1837), molto prima che Mendelssohn riesumasse la Passione secondo San Matteo, studiava, suonava e diffondeva Bach: glielo aveva fatto conoscere un gruppo Ai dilettanti e professionisti devoti del maestro. Johann Baptist Cramer (1771-1858), compositore e pianista, suonava Bach in pubblico prima del 1800 e fu imitato da altri pianisti come Alexander Boély, Joseph Lipavsky e John Field. Chiunque si dia pena di. sfogliare i periodici e i libri di musica europei della fine del diciottesimo secolo e del principio del diciannovesimo può trovare innumerevoli, riferimenti al « famoso Bach ». Molte storie della musica affermano che dopo la morte il maestro fu dimenticato e riscoperto solo quando Mendelssohn resuscitò la Passione secondo San Matteo nel 1829. Ma questa affermazione non risponde alla realtà. Bach non fu affatto dimenticato. Anzi la sua fama restò grande. Non grande, forse, come quella di Haendel o di Johann Adolf Hasse (1699-1783), il popolare compositore di opere adesso, dimenticate, ma ugualmente grande; e il mito comunque, del «totale oblio » dev'essere accantonato.
Comunque, la grande corrente si esaurì con i figli di Bach. L'ultimo discendente diretto di Johann Sebastian fu Wilhelm Friedrich Ernst (1759-184.5), un suo o nipote per parte dei Bach di Biickenburg. Ma la stirpe dei Bach esiste ancora, con i Bach dei rami di Meiningen e di Ohrdruf: e ancora nel 1937 fu fondata una Bach'ser Familienverband für Thüringen, L'Associazione di famiglia dei Bach per la Turingia. Ma nessuno dei Bach del ventesimo secolo è musicista di professione.
Harold C. Schonberg (da I GRANDI MUSICISTI, traduzione di Vittorio Di Giuro, ed. Mondadori, 1972)
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