Musica classica indiana

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Musica classica indiana

1. La musica classica indiana

Le origini della musica classica indiana sono tracciate a partire dal più antico libro di sacre scritture della tradizione indù, i Veda. Il Samaveda, uno dei quattro Veda, tratta a lungo di questo tema.
I due sistemi principali della musica classica indiana sono:

  • la musica indostana del nord dell'India;
  • la musica carnatica dell'India meridionale.

Il tema primario della musica indostana è la Lila. La musica carnatica è basata sempre sul concetto di raga, come la musica del nord, ma differisce poiché le due sono evolute diversamente. Enfatizza le qualità vocali, piuttosto che quelle degli strumenti. La musica classica indiana è di tipo monofonico ed è quindi basata su di una singola linea melodica. Lo spettacolo di una composizione comincia con gli interpreti che escono in un ordine prestabilito: prima lo strumento solista, poi il cantante e quindi i musicisti ed i percussionisti. I musicisti cominciano l'accordatura dei loro strumenti e questo processo spesso si mescola impercettibilmente all'inizio della musica.
Gli strumenti musicali indiani usati nell'esecuzione della musica classica sono: veena (strumento a corde pizzicate, India del Nord); mridangam (percussione, India del Sud); tabla (percussione, India del Nord); pakhawaj (percussione, India del Nord); kanjira (percussione, India del Sud); tampura (India del Nord); flauto bansuri (India del Nord); sitar (India del Nord); sarod (India del Nord); gottuvadyam (tipo di veena dell'India del Sud); violino (usato nel Sud); sarangi (strumento ad arco, India del Nord); santur (simile a un cymbalom, India del Nord); chitarra indiana (modifica della chitarra occidentale suonata nello stile della chitarra slide).
Suonatori di tabla cominciano a colpire i bordi con un mazzuolo per assicurarsi che lo strumento sia accordato con il solista. Fondamentale è il tampura che tiene il bordone. Questo compito è solitamente affidato ad un allievo del solista. Il raga comincia con la melodia che si sviluppa gradualmente e l'esecuzione di un singolo raga può durare da una quindicina di minuti a tre ore, limite teorico dettato dal cambiamento di fase del giorno: in India le 24 ore sono suddivise in otto "spicchi" di tre ore, ognuno dei quali caratterizzato da un diverso sentimento dominante e da diversi raga che possono essere suonati in esso. Spesso i concerti di musica indostana durano interi giorni e notti, in cui numerosi musicisti e cantanti si susseguono con continuità in un flusso di musica quasi ininterrotto. L'introduzione del raga è detta alap nella musica indostana e alapana nella musica carnatica.
Nella musica indostana, una volta che l'esecuzione è iniziata, inizia a sentirsi l'articolarsi del canto in ornamenti e melismi, mentre il ritmo si velocizza gradualmente. Questa sezione è chiamata jod. Dopo il jod avviene una pausa; tutto si ferma ed il pubblico applaude. Finalmente, il percussionista comincia a suonare interagendo con il solista, eventualmente improvvisando in competizione con il solista.

Le esecuzioni di un raga nella musica carnatica sono generalmente molto più brevi. Il pezzo di apertura è chiamato varnam, ed è quasi un “riscaldamento” per i musicisti. Segue la richiesta di benedizione e quindi una serie di interscambi tra il ragam (melodia) e il thaalam (l'ornamentazione, equivalente al jod). Questo viene miscelato con l'inno chiamato krithi. Quindi segue il pallavi o tema del raga. I pezzi di musica carnatica possono anche essere elaborati; essi sono composizioni famose che sono gradite soprattutto a coloro che prediligono il canto, piuttosto che la musica.

2. Musica indiana in Occidente

La musica indiana ha iniziato il suo viaggio verso l'Occidente all'inizio del '900, quando i primi maestri indiani hanno iniziato a tenere concerti in Europa e Stati Uniti, grazie all'intelligenza e lungimiranza di appassionati di musica che ne capivano il valore. Infatti, un atteggiamento comune da parte soprattutto degli Inglesi che colonizzavano l'India, era quello di disprezzo verso la musica locale, considerata rozza e poco evoluta, quasi insignificante di fronte a quella europea.
Fortunatamente non tutti la pensavano così , e venne creato un ponte tra India e Occidente, che permise dapprima ad alcuni maestri di portarci la loro arte tramite concerti dal vivo. Poi, con la crescita dell'industria discografica e della possibilità tecnologica di distribuire la musica tramite i dischi, altri grandi musicisti poterono "rompere il ghiaccio" per una diffusione più ampia.
Ricordiamo ad esempio il disco "Call of the Valley" del 1968, in cui Hariprasad Chaurasia (flauto bansuri), Shivkumar Sharma (santur) e Brijbushan Kabra (chitarra indiana) registrarono brevi esecuzioni di sei raga diversi; ed i dischi ed i concerti di Ravi Shankar, che anche attraverso la collaborazione con George Harrison diede una forte spinta alla musica indiana in Occidente.
Al giorno d'oggi è semplice reperire musica indiana in CD, e sono numerosi i siti web in cui è possibile acquistare registrazioni ad alta fedeltà di raga eseguiti da autentici maestri. Inoltre sono stati fondati numerosi istituti per l'insegnamento della musica classica indiana in Europa e USA ed anche in Italia; ricordiamo il centro aperto da Gianni Ricchizzi (sitar, vina e surbahar), che ha studiato in India fino ad ottenere grandi riconoscimenti dagli Indiani stessi. Gianni Ricchizzi tiene un corso di musica indiana anche presso il Conservatorio di Vicenza, dove insegna anche Amelia Cuni, che ha studiato in India il canto Dhrupad, fino ad essere riconosciuta maestra in questa difficile arte.

 

 

 

3. Teoria della musica indiana

La tradizione musicale dell’India è antica di secoli; il primo trattato che ci è rimasto risale almeno al quinto secolo dopo Cristo, se non a un’epoca precedente. Gli invasori mussulmani, che si erano stabiliti nell’India settentrionale durante il dodicesimo secolo dopo Cristo, parlavano con ammirazione e rispetto della musica indiana, come di una delle glorie della cultura di quel Paese.
Durante l’apice della cultura sufi, spesso accadeva che i mussulmani cantavano i bhajans o viceversa. Essi stessi esercitarono un’enorme influenza sulla tradizione musicale locale e di conseguenza negli ultimi quattrocento anni ci sono stati due tipi distinti di musica in India, quello del Nord (Hindustano) e quello del Sud (Karnatak). Ma i due i tipi hanno molto in comune: gli elementi di base sono la melodia e il ritmo, perché armonia, progressione di accordi e contrappunto non hanno mai attirato l’orecchio indiano. Per cui gli elementi fondamentali sono raga, tala e alap.
Raga. Non si può fare una descrizione breve e contemporaneamente accurata del raga: esso è costituito da una serie di note che compiono un movimento ascendente e discendente, con l’inclusione di microtoni e di accenti su note particolari. Si possono avere cinque, sei, sette o più note, ma non necessariamente lo stesso numero nella fase ascendente e discendente. Questo movimento ascendente e discendente è ulteriormente complicato dall’uso di note accidentali e di un moto sinuoso. Le note nella musica classica indiana vengono chiamate differentemente e precisamente: Sa = Do, Re = Re, Ga = Mi, Ma = Fa, Pa = Sol, Dha = La, Ni = Si.
Tala. Se il raga fornisce il linguaggio o la struttura che organizza e governa la melodia, il tala fa la stessa cosa per il ritmo, spesso suonato con le tabla. Un tala può essere descritto come un gruppo di colpi ritmati. Le strutture ritmiche dei tala sono molto complesse e vengono trasmesse ed insegnate con una sillabazione ad imitazione, chiamata bol, dei vari suoni ottenuti con le tabla.I tala indostani sono costituiti da sei, sette, otto, dieci, dodici, quattordici o sedici colpi ritmati, e quest’ultimo tipo è il più comune e viene chiamato tintal. I colpi in un tintal sono raggruppati e accentati in modo caratteristico ma l’enfasi maggiore è sempre sul primo, che viene chiamato sam e che è anche l’ultimo del tala. Il tintal è diviso in gruppi di quattro battute.  Il primo, il secondo e il quarto gruppo si possono dire accentati, il terzo relativamente senza accento. Benché il sam sia quello a cui si dà più enfasi, non è necessariamente suonato con un accento eccessivo tutte le volte: può anzi essere proprio la sua assenza di accentazione a caratterizzare il pezzo.

 

Alap. Nella tipica esecuzione di musica classica indostana, per prima cosa il raga viene sviluppato da un assolo dello strumento melodico solista (sitar, sarod o sarangi) e ciò può durare anche metà esecuzione. Dopo ci sarà una sequenza invariabile di tre parti, con un tempo che passerà da molto lento a piuttosto veloce: alap, jod e jhala. L’alap è la parte più lunga e più importante, una lenta, seria ed estesa esposizione del raga senza accompagnamento e senza una precisa cadenza ritmica che riflette di fatto lo stile vocale, di solito seguendo uno schema ascendente che parte dalla nota più bassa del raga.La parte seguente dell’alap, jod, è caratterizzata da un ritmo regolare, lento all’inizio, ma che diventa più veloce via via che ci si sposta impercettibilmente verso la parte più energica, jhala, che non ha tanto a che fare con l’esposizione della melodia, quanto con l’intento di creare un clima di eccitazione. Ci può essere poi una pausa nell’esecuzione, per accordare gli strumenti, o si può continuare con il passaggio improvviso a una melodia limpida da parte del solista che invita il suonatore di tabla a seguirlo. La tabla da quel momento in poi mantiene il particolare tala, cioè la particolare figura ritmica ciclica spiegata precedentemente, come accompagnamento alle melodie precomposte conosciute con il nome di gat.Dopo l’esecuzione iniziale di una melodia gat (che in genere è lunga come un ciclo di tala) i suonatori passano velocemente all’improvvisazione. Spesso solista e accompagnatore giocano fra di loro scambiandosi i ruoli: il suonatore di tamburo esegue il tala mentre il solista improvvisa, oppure il solista espone un gat senza abbellimenti mentre l’accompagnatore si esibisce come improvvisatore. I musicisti si possono anche impegnare in uno scambio che è una sfida all’imitazione: il solista suonerà una serie di frasi melodiche, sfidando l’accompagnatore a riprodurle ritmicamente. Il gat viene suonato con crescente complessità diventando un jhala e finisce con un tehai, una frase ripetuta tre volte che termina sul primo bit del ciclo ritmico, chiamato Sam.Contemporaneamente la melodia farà ritorno alla matrice eterna del SA, la prima nota del raga, da cui è emersa. La melodia e l’accompagnamento si fondono in un unico suono e le corde del tampura che hanno fornito un incessante sottofondo per tutto il pezzo, sono le ultime a fare udire la loro vibrazione.

 

Fonte: http://cmapspublic3.ihmc.us/rid=1JKG2GPDP-GKYR0K-QX7/Musica_indiana.docx

Sito web da visitare: http://cmapspublic3.ihmc.us

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