Tchajkovskij

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Tchajkovskij

Intensa emotività: Pëtr Il'ic Tchajkovskij
I Cinque non seppero mai esattamente come inquadrare Pétr Il' ic Tchajkovskij. Diplomato al conservatorio, componeva sinfonie in uno stile piú o meno classico e con sviluppi ortodossi. Questo già bastava a renderlo sospetto. D'altra parte, citava generosamente i canti popolari, e la sua musica era innegabilmente russa. E questo andava bene Ma allora, da che parte stava? In un primo tempo ci fu dell'ostilità tra Tchajkovskij e i Cinque. Poi Balakirev cominciò a interessarsi alla sua musica e fece conoscere alcune cose sue al pubblico della Libera Scuola. Si instaurò una tregua. Ma Tchajkovskij non ebbe mai un'alta opinione di Balakirev e del suo gruppo. Fondamentalmente era un conservatore e non condivideva i principi della « verità » di Musorgskij o la incerta struttura di gran parte della musica composta dai membri del gruppo.
Non che fosse del tutto padrone della forma. Ma apparteneva molto di piú alla tradizione europea. E aveva ciò che mancava a molti dei Cinque: una riserva inesauribile, dolce, supersensuale di melodia. Sarebbe stata questa a renderlo famoso prima in Russia e poi nelle altre nazioni. Era una melodia tipicamente russa, lamentosa, introspettiva, spesso vagamente modale, non senza tocchi nevrotici, emotiva come un grido in una notte buia. Rifletteva l'uomo. Tchajkovskij era nervoso, ipocondriaco, infelice: infelice in patria, infelice lontano, innervosito dalla gente, terrorizzato dalla paura che la sua omosessualità diventasse di dominio pubblico. Generalmente riusciva a nascondere sentimenti, timori e nevrosi; ma a pochi intimi e al diario confidava tutto. Sapeva chiacchierare urbanamente, e gli altri non avvertivano quanto profondamente gli ripugnassero. Cosí, nel diario notava che era capace di « condurre una conversazione incredibilmente amabile e incredibilmente animata ... Ma nell'anima mia c'erano la disperazione e il desiderio di fuggire in capo al mondo ». Quando andò a New York, nel 1891, si precipitò appena arrivato in albergo. « Mi misi a mio agio. Per prima cosa piansi a lungo. » Poi fece il bagno, cenò, passeggiò per Broadway e se ne tornò in albergo, nella sua camera, dove ricominciò « diverse volte a piagnucolare ». A Parigi evitò il piú possibile i colleghi. « Ogni nuovo contatto, ogni nuovo incontro con persone sconosciute mi faceva soffrire ... La sofferenza derivava forse da una timidezza che era aumentata fino a diventare mania, forse da una mancanza assoluta del bisogno di compagnia umana, forse anche dall'incapacità di parlare e di dire, senza sforzo, cose di me che non penso (il che è inevitabile nei rapporti sociali). In breve, non so che cosa sia. »
Questa intensa emotività, implicita, si può dire, in ogni nota che scrisse, agiva sul pubblico in diversi modi. Dapprincipio gli spettatori si godevano il bagno sentimentale in cui il compositore li immergeva. Altri, piú inibiti, o respingevano il suo messaggio o si disprezzavano per averlo raccolto. Il compositore dev'essere piú « virile ». C'è qualcosa di imbarazzante, addirittura di immorale, in tanto isterismo musicale. Per un pezzo Tchajkovskij, cosí amato dal pubblico, fu tenuto in poco conto da intenditori e musicisti che lo consideravano semplicemente una macchina strappalacrime. Di recente c'è stata una rivalutazione, e i musicisti tendono piú che in passato a trovare nella sua musica elementi degni di ammirazione. Ammirata è l'orchestrazione, spesso di tinte fosche eppure brillante nel suono e perfettamente calcolata. La struttura delle ultime tre sinfonie è studiata come riuscito compromesso tra le esigenze della sinfonia classica e le nuove forme imposte dall'età post-romantica. In ogni caso, Tchajkovskij era indifferente all'approvazione dei musicisti colti. Dei tardo-romantici il solo Brahms è entrato altrettanto saldamente a far parte del repertorio; oggi si eseguono dappertutto le ultime tre Sinfonie di Tchajkovskij, i tre balletti (Il lago dei cigni, La bella addormentata, Lo schiaccianoci), il Concerto per piano in si bemolle minore e il Concerto per violino in re, l'Ouverture del Romeo e Giulietta e due opere, Eugenio Oneghin e La Dama di Picche. Quasi altrettanto popolari sono la Sinfonia Man f redo (composizione descrittiva basata sul dramma di Byron che non rientra fra le sei sinfonie), la Francesca da Rimini, il Capriccio italiano, l'Ouverture-fantasia Amleto e la serenata per archi. Tutti e tre i Quartetti per archi e il Trio per pianoforte in la hanno delle belle cose. Le sue liriche sono sempre presenti nei programmi. E ci sono anche la Marcia slava e 1' Ouverture 1812 ...
Come compositore Tchajkovskij maturò lentamente. Nato a Kamsko-Votkinsk il 7 maggio 1840 da genitori benestanti, fu un bambino precoce: la precocità, tuttavia, non si manifestò nella musica ma in altri campi. A sei anni leggeva il francese e il tedesco; a sette scriveva poesie in francese. Era molto sensibile, e la governante lo chiamava « bambino di porcellana ». Se i genitori gli avessero imposto un intenso programma di studio sarebbe diventato un fanciullo prodigio, perché era ultrasensibile alla musica e aveva orecchio delicato. Quando sentiva un pezzo - prendeva lezioni di piano a sette anni - ne era ossessionato. « Quella musica! Quella musica! Fatela cessare! È qui, in testa, e non mi fa dormire! »
La famiglia si trasferí a San Pietroburgo nel 1850 e Pétr cominciò ad andare a scuola. Aveva un certo interesse per la musica; e pur essendo relativamente impreparato, a quattordici anni tentava di comporre. Ma a scuola non studiò per niente la musica. Dopo essersi diplomato alla scuola di giurisprudenza, nel 1859 fu assunto dal Ministero della giustizia come impiegato di prima classe. Nel 1861 fece un viaggio all'estero, spendendo molto piú di quanto potesse permettersi. A quel tempo non c'erano molti soldi in famiglia; il padre aveva perduto quasi tutto il suo avere in una serie di investimenti sbagliati. « Se mai mi sono imbarcato in una pazzia colossale » scrisse alla sorella « è stato questo viaggio... Sai, io ho una debolezza. Appena ho del denaro, lo butto via. È una cosa volgare e stupida, lo so, ma fa parte della mia natura. » (Non fu mai capace di risparmiare. Guadagnò parecchio nella sua vita, ma molto ne buttò e spese il resto. Una volta qualcuno gli chiese come investiva il suo denaro. Si mise a ridere: « Nell'albergo Kokorev, quando sono a Mosca ». Nel 1891 ebbe da New York un anticipo per il viaggio negli Stati Uniti; allora scrisse ad amici e creditori: « Ho appena ricevuto un bel po' di denaro. Venite a prendere la vostra parte, finché ce n'è ».)
Solo a ventun anni cominciò a studiare seriamente musica. Lavorò con Nikolaj Zaremba fino al 1862, l'anno in cui fu aperto il Conservatorio di San Pietroburgo. Zaremba si iscrisse e Tchajkovskij lo segui. Scherzava, a proposito di questi suoi studi, ma dentro di sé sognava di diventare un altro Glinka, e nel 1863 si dimise dall'impiego al Ministero per consacrare tutta la sua vita alla musica. Anton Rubinstein, direttore del Conservatorio, si accorse che aveva talento e si interessò personalmente a lui. Tchajkovskij segui regolarmente il programma e studiò addirittura direzione. Ma davanti a un'orchestra era invaso dal terrore; e fu cosí per tutta la vita, quando lo pregavano di dirigere le sue composizioni. Si era fissato che la testa gli si sarebbe staccata dal collo e teneva il pugno sinistro sotto il mento per sostenerla. Non sorprende che non fosse esattamente il direttore capace di ispirare gli esecutori. Ma a parte questa paura, fu uno dei migliori studenti del Conservatorio e nel 1866 Anton Rubinstein lo raccomandò al fratello Nikolaj che aveva bisogno di un insegnante di armonia per il Conservatorio di Mosca. Lo stipendio era basso ma non c'era da scegliere. Si trasferí a Mosca e per sei anni visse con Nikolaj, che copri di cortesie il povero giovanotto, sempre triste e pieno di nostalgia.
La vita di Tchajkovskij scorreva tranquilla. Insegnava, componeva, aveva amici. In tre anni aveva completato una Sinfonia in sol minore (Sogni d'inverno, 1866), qualche altro pezzo sinfonico e un'opera, Il Voivoda (1868). Durante un soggiorno a Pietroburgo nel 1868 frequentò un poco i Cinque; questi apprezzarono la sinfonia, che suonò dal manoscritto. Nella composizione c'era abbastanza nazionalismo perché riuscisse accetta al gruppo. Rimskij-Korsakov scrisse: « L'opinione che avevamo di lui cambiò e diventò piú favorevole, benché l'educazione che aveva ricevuto al Conservatorio costituisse ancora una considerevole barriera tra noi ». Intanto Tchajkovskij, tra amici, chiamava i Cinque « il club dei giacobini ». Tornato a Mosca piú tardi in quello stesso anno ebbe un flirt con il soprano belga Désirée Artót. Ma Désirée sposò un baritono spagnolo troncando cosí le sue eventuali speranze di una relazione meno effimera. Rimasero buoni amici e Tchajkovskij andò a trovarla sempre quando, durante i suoi viaggi, capitava vicino alla città nella quale Désirée si era trasferita.
Continuava intanto a comporre assiduamente. Nel 1869 fini Romeo e Giulietta e la mandò a Balakirev, che si stropicciò le mani e si mise tutto contento a demolirla. Nel 1875 erano state completate la Seconda Sinfonia (Piccola Russia) su temi ucraini, il poema sinfonico Il Destino, tre opere, la Terza Sinfonia (Polacca) e il Concerto per piano in si bemolle minore. Avrebbe voluto dedicarlo a Nikolaj Rubinstein, ma il degno uomo lo criticò in maniera cosí radicale che Tchajkovskij gli preferí Hans von Bülow (che non aveva mai conosciuto); Bülow la dette in prima mondiale, a Boston, il 25 ottobre 1875. John Dwight, il critico più illustre di Boston, ne rimase, com'era prevedibile, inorridito. Non capiva quel « concerto estremamente difficile, strano, selvaggio, ultrarusso ». Riconosceva che era brillante ed esaltante, ma concludeva la recensione con una domanda retorica: « Potremmo mai imparare ad amare una musica del genere? ». Evidentemente lui non poteva: ma altri ci riuscirono, e la musica di Tchajkovskij cominciò a diffondersi in Europa. Nonostante la presenza di alcune sacche di opposizione, specialmente a Vienna con Hanslick, la fama di Tchajkovskij continuò a crescere.
Nel 1877 ci furono due avvenimenti cardinali nella vita di Tchajkovskij: si sposò, e intrecciò una bizzarra relazione con Nadejda von Meck. La moglie era una bella ragazza, Antonina Ivanova Miliukova. Si erano conosciuti al Conservatorio di Mosca. Lei aveva preso una cotta per lui, venerandolo come un eroe, e presumibilmente lui la sposò pensando di garantirsi cosí una certa rispettabilità. E poi gli faceva pena. Evidentemente era convinto di poter arrivare a un rapporto capace, in qualche modo, di funzionare. Ma non fu cosí, e il matrimonio fu un disastro. Antonina era piuttosto sciocca e per di piú, sembra, ninfomane: non era proprio la compagna adatta a un omosessuale sensibile e terrorizzato di esserlo. Tchajkovskij non ci mise molto a capire di aver fatto uno sbaglio colossale. « Pochi giorni ancora e sarei impazzito. » Tentò di uccidersi immergendosi in un fiume, con l'intenzione di prendere la polmonite. Invece prese un colossale raffreddore. Il fratello Modest, anche lui omosessuale, lo salvò e insieme fuggirono a San Pietroburgo, dove Tchajkovskij ebbe un grave collasso nervoso. Il matrimonio durò nove settimane: o meglio, fu sciolto dopo nove settimane. Lui la mantenne e lei si prese una serie di amanti. Nel 1896 fu ricoverata in manicomio, e li mori, nel 1917.
Nadejda von Meck, all'epoca in cui intrecciò la relazione epistolare con Tchajkovskij, era una vedova di quarantasei anni con sette figli, innamorata della musica e favolosamente ricca. Amava la musica di Tchajkovskij e si offri di sovvenzionarlo, a condizione che non si incontrassero mai. Pètr accettò e per quattordici anni ricevette un generoso sussidio. Si scambiarono lettere frequenti e voluminose: quelle di Tchajkovskij ci forniscono un ritratto di compositore e di uomo che non ha eguali nella storia della musica, se si escludono le lettere di Mozart. Perché Nadejda aveva paura di incontrarlo? Temeva di restarne delusa? In una delle prime lettere gli scrisse: « C'è stato un tempo in cui ho desiderato moltissimo fare la vostra conoscenza, ma adesso, quanto piú mi affascinate, tanto piú temo di incontrarvi. Preferisco pensarvi da lontano, sentirvi parlare nella vostra musica e dividere per suo mezzo i vostri sentimenti ». Inutile dire che Tchajkovskij ne era contentissimo. Nella risposta le parlò della sua misantropia e dei suoi problemi: « Un tempo ero talmente posseduto da questa paura dell'umanità da diventare quasi pazzo ». Disse che capiva perfettamente la posizione di lei. « Non mi sorprende affatto che, nonostante il vostro amore per la mia musica, non vogliate fare la mia conoscenza. Temete di non trovare nella mia persona tutte le qualità di cui la vostra immaginazione idealizzatrice mi ha fornito. E in questo avete perfettamente ragione. » Mantennero fede all'impegno e non si incontrarono mai pur andando agli stessi concerti, dove continuavano a sbirciarsi di sottecchi. Una volta si trovarono faccia a faccia. Arrossirono tutti e due, imbarazzati. Tchajkovskij salutò togliendosi il cappello, e lei si agitò, nervosamente, senza sapere che fare. E fuggirono, tutti e due.
Gli psichiatri potranno meglio di chiunque altro analizzare questa relazione. Fatto è che essa assicurò quattordici anni di indipendenza finanziaria a Tchajkovskij, il quale ebbe la possibilità di concedersi molte cose e anche, quando cominciò a guadagnare con le commissioni e le esecuzioni della sua musica, di dimettersi dal Conservatorio nel 1878 e comprarsi una villa a Maidanovo. Fisicamente, Tchajkovskij era uomo che non passava inosservato: di altezza superiore alla media, bello, precocemente brizzolato, occhi azzurri e barba curata. Vestiva con eleganza e aveva modi squisiti. Ma la sicurezza finanziaria non risolveva i suoi problemi intimi. Soffriva di continue emicranie, aveva la lacrima facile, dubitava sempre di sé e della sua musica e beveva troppo. L'alcool gli assicurava un'evasione. « Dicono » scrisse nel diario « che l'abuso di alcool fa male. Non ho difficoltà ad ammetterlo. Ma io, che sono malato e pieno di nevrosi, non posso assolutamente fare a meno di questo veleno. » Amava anche il gioco e le carte, e tutte le sere doveva fare la sua partita di whist; altrimenti ripiegava sui solitari.
Nel diario e nelle lettere ci informa delle sue simpatie e antipatie in fatto di musica. Wagner lo annoiava, detestava Brahms. « Mi irrita che quella presuntuosa mediocrità sia riconosciuta come genio. In realtà, al suo confronto Raff è un gigante, per non parlare di Rubinstein che è ancora una grossa e vitale personalità. » Aveva delle riserve su Beethoven: « Mi inchino davanti alla grandezza di certe sue opere, ma non lo amo ». Il compositore che idolatrava sopra ogni altro - e questo era raro non soltanto nella Russia di quel tempo ma anche in Europa - era Mozart. Lo chiamava « un Cristo della musica ». Il periodo barocco lo lasciava freddo. « Suono con piacere Bach... ma non riconosco in lui, come alcuni, un grande genio. Händel per me ha un'importanza di quart'ordine e non è neppure divertente. » E di altri due grandi compositori prima di Beethoven: « Gluck, nonostante la relativa povertà della sua creazione, mi piace. Mi piacciono anche certe cose di Haydn ».
In quanto studioso di Mozart e dei compositori classici e in quanto creatore che cercava di rivestire la sua musica delle forme appropriate, Tchajkovskij lottò per tutta la vita con i problemi della struttura formale. A differenza dei Cinque, si interessava moltissimo della forma. Ma non aveva il tipo di logica e di immaginazione capaci di riunire i vari elementi in un tutto organico. Nelle prime sinfonie gli sviluppi sono incerti, pieni di verbosità risapute nello sforzo disperato di non bloccarsi. Solo nella Quarta mise a punto un tipo di forma che si adattava alla natura della sua musica frenetica, percorsa da ritmi di danza, essenzialmente spontanea e lirica. Era perfettamente consapevole del problema, e nel 1878 lo illustrò a Nadejda:
... Ciò che è stato scritto con passione non dev'essere giudicato criticamente, corretto, allungato e, quel che piú importa, condensato in modo da adattarlo alle esigenze della forma. Qualche volta bisogna andare contro l'inclinazione, essere spietati e distruggere cose scritte con amore e ispirazione. Anche se non posso lamentarmi di avere scarse capacità d'invenzione o scarsa immaginazione, ho sempre sofferto di poca abilità nel trattare gli aspetti formali. Solo un assido lavoro mi ha permesso alla fine di giungere a una forma corrispondente in qualche misura al contenuto. In passato sono stato avventato. Non mi sono reso conto dell'estrema importanza di un esame critico dell'abbozzo preliminare. Per questo o quel motivo i vari episodi erano mal collegati tra loro e si vedevano sempre le cuciture. Era un grave difetto e ci ho messo anni a correggermene. Eppure le mie composizioni non saranno mai buoni esempi di forma perché posso solo emendare quel che non va della mia natura musicale: non posso cambiarla nell'intimo.
I critici che si rifanno al criterio della forma sinfonica tedesca definita da Mozart e Beethoven hanno notato i « difetti » delle sinfonie di Tchajkovskij sin da quando incominciò a scriverle. Ma non è il caso di rifarsi a una rigorosa applicazione di criteri formalistici. Le sinfonie di Tchajkovskij, anche le prime tre, hanno una personalità e un fascino melodico che le fanno sembrare eternamente nuove. Nonostante le loro frequenti ingenuità opere come la Sinfonia Polacca o la Piccola Russia sono piene di colore, originali e propongono un discorso personalissimo. Le ultime tre violano tutte le regole dei manuali, ma Tajkovskij vi realizza una sorta di sintesi che le rende strutturalmente convincenti quanto le sinfonie di Brahms, nonostante i valzer, le marce e le forme libere. Hanno infatti linea emotiva coerente e compattezza tecnica, e le idee si sviluppano con sicurezza e naturalezza. Arrovellandosi sulle forme sinfoniche Tchajkovskij scrisse altre tre sinfonie e poi aggirò il problema definendole « suites ». (La Suite n. 4, Mozartiana, è semplicemente un'orchestrazione di alcuni pezzi per piano di Mozart.) Le prime tre sono generalmente trascurate ma hanno delle cose splendide e sono permeate dallo spirito della danza, e piú precisamente del balletto.
Il balletto è sottinteso in moltissime composizioni, anche se Lajkovskij scrisse soltanto tre balletti veri e propri. Prima di lui la musica per balletto era stata generalmente dozzinale. Un deciso passo avanti glielo fece fare Léo Delibes, dimostrando che cosa può ottenere un compositore veramente abile. Tchajkovskij ammirava moltissimo la musica di Delibes, e in certe parti del Lago dei cigni il debito risulta evidente. I tre balletti sono abbastanza vicini all'opera: solo che le parti « vocali » sono orchestrate per i ballerini invece che per i cantanti. Ogni partitura, ha l'equivalente di arie, duetti e pezzi d'assieme. (Jajkovskij collaborò strettamente con il coreografo Marius Petipa. Nelle prove della Bella addormentata, Petipa scriveva istruzioni di questo tipo: « Improvvisamente Aurora nota la vecchia che batte con i ferri da lavoro una misura di due quarti. A poco a poco la cambia in un valzer melodiosissimo di tre quarti ma poi, improvvisamente, una pausa. Aurora si punge il dito. Grido di dolore. Scorre il sangue. Dare otto misure in quattro quarti, ampie ». Per Lo schiaccianoci, che è del 1891, le istruzioni di Petipa furono ancor piú dettagliate. Tchajkovskij fini lo spartito e lo giudicò con il solito pessimismo. « No » scrisse. « Il vecchio » - intendendo se stesso - « sta andando a pezzi. Non solo i capelli cadono o diventano bianchi come la neve, non solo perde i denti, che rifiutano di fare il loro servizio; non solo gli occhi si indeboliscono e si stancano facilmente; non solo i piedi camminano male o si trascinano appena; ma egli perde a poco a poco la capacità di fare qualcosa. Il balletto è infinitamente peggio della Bella addormentata, questo è certo. »
Il balletto classico è una forma idealizzata di danza nella quale la ballerina, en pointe, si sforza di sollevarsi da terra e di sfuggire alla forza di gravità. La ballerina stessa è idealizzata; galleggia nell'aria; è venerata dal cavaliere; è giovane, raggiante e bella. Non ci sono ballerine vecchie, brutte e corpulente. Tchajkovskij si identificava con le qualità idealistiche del balletto. C'è un tipo di omosessuale che deride le donne; ce n'è un altro, piú femmineo, che le ama (ma non fisicamente) e la pensa come loro. Tchajkovskij era tra questi: anche cosí si spiega il senso di identificazione espresso dalle melodie sinuose, magnifiche e sensuali riservate alla ballerina, l'Adagio della rosa della Bella addormentata o il grande pas de deux dello Schiaccianoci. Tchajkovskij e la ballerina erano tutt'uno. Il mondo del balletto - un mondo romantico e fiabesco, con il suo ambiente elegante e dorato, le sue belle donne, la grazia, gli omosessuali, l'impressione di fasto e di ricchezza, gli intrighi, i rapporti con l'aristocrazia, i pettegolezzi, i ritmi molli - torna ogni tanto a far capolino nella musica di Tchajkovskij.
Tchajkovskij dedicò buona parte della sua carriera alla composizione di opere. Quando trovava un libretto con una protagonista con la quale potesse identificarsi, ne veniva fuori una musica di una bellezza straziante. Nell'Eugenio Oneghin trovò un personaggio del genere e ne fece un capolavoro. Alcuni preferiscono La Dama di picche, che ha in effetti una maggiore intensità, un piú grande impeto, un senso sempre crescente di orrore e di inevitabilità. Ma i materiali melodici sono inferiori a quelli che si trovano nell'eternamente lirico ed elegiaco Oneghin e questo dipende dal fatto che Tchajkovskij era profondamente attirato da Tatiana. Eugenio Oneghin è un'opera tranquilla, con un finale che si potrebbe definire quotidiano: un finale che avrebbe profondamente turbato l'istinto teatrale di Verdi o dei veristi. L'innamorato infatti, che prima ha respinto Tatiana, si allontana, semplicemente, e il sipario cala su quieti ricordi e serena nostalgia e non su un coro che grida vendetta o su un massacro generale.
L'atteggiamento di Tchajkovskij nei confronti dell'opera era in un certo senso simile a quello dei vittoriani nei confronti del sesso. L'amava, ma nello stesso tempo provava un senso di colpa, convinto che avesse qualcosa di peccaminoso. Le riflessioni sull'opera occupano molto spazio nelle sue lettere. Gli capitava di definirla « un falso tipo di arte » e contemporaneamente di riconoscere che c'era in quella forma « qualcosa di insopprimibile che attira tutti i compositori ». Tchajkovskij, che non fu un rivoluzionario, si accontentò di accettare le convenzioni correnti. « Lo stile della musica da teatro deve corrispondere allo stile della scenografia: semplicità, chiarezza, colore. » Ma a differenza di molti compositori suoi contemporanei, si interessava prima di tutto al personaggio, e non all'effetto vocale o agli effetti in generale. Voleva libretti dai forti sentimenti, che gli suggerissero una musica illustrativa. « Non soscrivere con amore ed entusiasmo, per quanto efficace sia il soggetto, se i personaggi non mi ispirano una viva simpatia: se non li amo, se non provo pietà per loro, come amano e provano pietà le persone vere ... » L'amore e la pietà pervadono Oneghin che non ha, si può dire, una sola nota insignificante, che esprime una malinconia e una dolcezza struggenti e che è molto piú « cantabile » della Dama di picche.
Può darsi che siano state questa serena malinconia, questa assenza di contorni netti a impedire un successo incondizionato dell'Oneghin. Tchajkovskij sapeva scrivere con molta efficacia per la voce, ma non dava mai ai cantanti pezzi di bravura. Il canto doveva servire per esprimere un carattere e uno stato d'animo, non per sfruttare le corde vocali. Verdi sapeva far impazzire d'entusiasmo il pubblico, mentre Tchajkovskij era per l'understatement. Verdi e Wagner furono musicalmente intransigenti; Tchajkovskij, nelle opere, fu uniformemente dolce e arrendevole. Naturalmente le sue opere fanno meno impressione. Ma Tchajkovskij non è secondo a nessuno per ricchezza melodica e conoscenza dell'orchestra; e, alla sua maniera tranquilla, Eugenio Oneghin può fare un effetto straordinario. Ha una coloritura melodica continua e un'idea segue l'altra: lo squisito duetto d'apertura (che poi diventa un quartetto); l'estatico duetto di Lensky e Olga, seguito da quella che è una delle piú grandi arie d'amore di tutta l'opera, il « Ya lyublu vas, Olga », « Io ti amo, Olga di Lensky. La scena della lettera di Tatiana è la piú nota (escluse le danze) e piú uno la studia piú rispetta la forza di Tchajkovskij come tecnico. Con quanta sicurezza sa arrivare al climax, a quell'esplosione di Tatiana « Adesso sono sola! », mentre l'orchestra zampilla in una indimenticabile ispirazione ciaikovskiana. Poi vengono le sequenze della contesa, specialmente quelle del duello, con la grande aria di Lensky alla propria giovinezza. Alla fine dell'opera c'è un muto ma disperato confronto tra Tatiana e Oneghin. Tutto questo è espresso in uno stile che deve ben poco agli altri compositori. Tchajkovskij, che aveva studiato le opere di Wagner, usò qualche leitmotiv, ma in maniera elementare. Non c'è niente di wagneriano nell'Eugenio Oneghin e certo neppure di verdiano. L'opera, che si basa sul poema di Puskin, disegna un quadro assolutamente realistico di un certo strato della società russa. L'Eugenio Oneghin è per l'opera quello che Il giardino dei ciliegi è per il teatro drammatico.
Mentre la sua musica si diffondeva in Europa, Tchajkovskij dovette viaggiare sempre di piú. Nel 1890 ebbe un brutto colpo: gli venne meno la sovvenzione di Nadejda von Meck. La donna era convinta di essere sull'orlo del fallimento, cosa che non era vera. In ogni modo sospese di colpo la pensione e non rispose alle sue lettere. Tchajkovskij ne fu sconvolto. Non per il denaro, ma perché si sentiva umiliato: balocco di una donna capricciosa che poteva mettere bruscamente fine a un'intimità sentimentale di tanti anni. Ne rimase amareggiato per il resto dei suoi anni. « Tutte le idee che mi ero fatte dell'umanità, della sua parte migliore, sono state smentite. » Poi il fratello Modest scrisse: « Né il trionfo della Dama di picche né il profondo dolore per la morte dell'adorata sorella, nell'aprile del 1891, né il trionfo americano mitigarono il dolore di quella ferita ». Ma Tchajkovskij non sapeva che Nadejda attraversava un periodo di instabilità mentale. Erano cambiati tutti i suoi rapporti con il prossimo. Secondo alcuni autori, ruppe ogni rapporto con Tchajkovskij perché aveva saputo che era omosessuale. Ma non ci sono prove a sostegno di questa ipotesi.
Tchajkovskij fuggi in Occidente. Nel 1891 fu invitato a New York a partecipare alle cerimonie per l'inaugurazione della Music Hall (ribattezzata Carnegie Hall qualche anno dopo). Il compenso, 2500 dollari, era allettante, e Tchajkovskij ci andò verso la fine d'aprile. Aveva nostalgia della patria, ma gli americani lo affascinarono. Soprattutto fu colpito dalla loro franchezza e generosità:
Gente incredibile, questi americani! Al confronto di Parigi, dove dietro ogni contatto, dietro ogni cortesia di uno sconosciuto si avverte il tentativo di sfruttarti, la spontaneità, la franchezza, la generosità di questa città, la sua ospitalità che non nasconde secondi fini e lo zelo con cui si desidera avere l'approvazione altrui sono semplicemente incredibili, e, nello stesso tempo, commoventi. Questo, e anzi i costumi e i modi degli americani in generale, mi piacciono moltissimo: ma godo tutto ciò come una persona seduta a una tavola carica di meraviglie gastronomiche e che non abbia appetito. Solo la prospettiva di un ritorno in Russia riesce a risvegliare il mio appetito.
Ammirò i grattacieli, anche se non capiva come si potesse vivere alla vertiginosa altezza di un tredicesimo piano. Descrisse una cena in suo onore, offerta da Morris Reno, presidente della Music Hall. Lo colpi che ai posti di tutte le signore presenti fosse stato messo un suo ritratto graziosamente incorniciato; poi, verso la metà della cena, che durò dalle sette e mezzo alle undici, fu « servito un gelato in una specie di piccola scatola accompagnata da una lavagnetta, sulla quale erano stati copiati dei brani di mie composizioni. Poi dovetti firmare le lavagne ». Visitò le cascate del Niagara e Washington, diresse concerti a Filadelfia e Baltimora, oltre a esibirsi alla Music Hall, e tornò in Russia.
L'ultima grande composizione fu la Sesta Sinfonia in si minore, la Patetica. Ne avrebbe fatto un mistero. « Questa volta è una sinfonia a programma, ma un programma che rimarrà un enigma per tutti. Che ci si rompano la testa. Si chiamerà semplicemente Sinfonia a programma (n. 6). Il programma è completamente soggettivo, e durante il viaggio ho pianto spesso e amaramente, componendolo nella mia testa. » (Almeno una persona non dubitò di aver capito il programma segreto della Sesta Sinfonia. Havelock Ellis la definí « una tragedia omosessuale ».) Tchajkovskij era contento della rapidità e della sicurezza con la quale procedeva la composizione. « Non si può immaginare quale gioia io provi accorgendomi che il mio tempo non è ancora finito. » Dichiarò che aveva messo « l'anima » in quella sinfonia, che fu data in prima esecuzione a Pietroburgo il 28 ottobre 1893. Dopo la prima, che ebbe un'accoglienza gelida, rinunciò a chiamarla Sinfonia a programma. Il fratello Modest gli suggerí di chiamarla Tragica e poi Patetica, e Tchajkovskij accettò quest'ultimo nome. Il giorno dopo cambiò idea di nuovo, ma era troppo tardi. Rimase Patetica. È la piú grande delle sue sinfonie e l'ultimo movimento, che inizia con un grido e finisce con un gemito, è il piú insolito e pessimista di quanti ne abbia scritti. Meno di una settimana dopo mori. Aveva bevuto un bicchiere d'acqua non bollita e aveva preso il colera. Spirò dopo un'agonia durata qualche giorno, il 6 novembre 1893.
Sia stato o no il piú grande dei compositori russi, Tchajkovskij è stato e rimane senz'altro il piú popolare. Nessuna etichetta gli si adatta. Passò dalla musica nazionalistica a quella di tipo piú cosmopolita; eppure solo un russo poteva scrivere quella musica. Molte storie della musica lo presentano come un compositore che non ebbe niente di nazionalistico. È vero solo a metà. Stravinskij ha scritto: « La musica di Tchajkovskij, che non appare a tutti specificamente russa, lo è spesso in maniera piú profonda di tanta altra musica alla quale è stata appiccicata la facile etichetta del pittoresco moscovita. Questa musica è russa come il verso di Puàkin o il canto di Glinka. Pur non coltivando specificamente nella sua arte « l'anima del contadino russo », Tchajkovskij, inconsciamente, attinge alle vere scaturigini popolari della nostra razza ». Tchajkovskij era fortemente consapevole del retaggio popolare e se ne serviva di continuo. In una lettera a Nadejda del 1878 definí il suo atteggiamento:
Per quanto riguarda l'elemento russo presente nella mia opera, posso dirvi che non di rado comincio una composizione senza avere l'intenzione di introdurvi delle melodie popolari. Certe volte esse intervengono spontaneamente (come nel finale della nostra sinfonia [la n. 4]). Quanto a questo elemento nazionale del mio lavoro, l'affinità con i canti popolari che si nota in certe mie melodie e armonie deriva dall'avere io trascorso l'infanzia in campagna e dall'essere stato impregnato sin dai primi anni della caratteristica bellezza della nostra musica popolare. Amo appassionatamente l'elemento nazionale in tutte le sue diverse manifestazioni. In una parola, sono russo nel senso piú pieno della parola.
In un secondo tempo non fu altrettanto consapevolmente nazionalistico. Sin dall'inizio, come si sa, la sua musica si orientò piú verso l'Occidente che verso la musica dei Cinque. Ma si sbaglierebbe a eliminarlo completamente dalla scuola dei compositori nazionali russi, per quanto differisse nell'impostazione da Musorgskij e Rimskij-Korsakov. Se Rimskij-Korsakov spalancò le braccia alla Russia antica e popolare, se Musorgskij le spalancò a tutto il popolo russo, Tchajkovskij le spalancò per abbracciare soltanto se stesso.
Harold C. Schonberg (da I GRANDI MUSICISTI, traduzione di Vittorio Di Giuro, ed. Mondadori, 1972)

 

Fonte: http://www.resmusica.it/doc/Intensa%20emotivit%C3%A0.doc

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