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Libertà e linguaggio nuovo: Weber e i primi romantici
All'epoca della morte di Beethoven (1827) e di Schubert (1828), le forze messe in moto dalla rivoluzione francese e dalla rivoluzione industriale avevano trasformato l'Europa. In ogni campo vi era un processo di trasformazione. Le reti stradali cominciavano a consentire agli uomini e alle merci di spostarsi con una velocità prima inconcepibile. Una nuova classe di cittadini, la borghesia industriale, si preparava ad ammassare enormi ricchezze. La scienza e la medicina facevano rapidi progressi. I poeti abbandonavano distici, alessandrini ed esametri e scrivevano in un tipo di verso nuovo, intensamente personale e lirico. C'erano nell'aria atteggiamenti nuovi nei confronti della vita, della religione, dell'economia e della politica. Nell'arte tutti parlavano del romanticismo. Stava nascendo l'uomo moderno.
Anche la musica, naturalmente, rifletteva la nuova età. Beethoven aveva allargato l'organico dell'orchestra in misura senza precedenti, e i nuovi compositori lo incrementarono ulteriormente. In Francia, Hector Berlioz sognava un'orchestra di 467 elementi integrata da un coro di 360 persone. La tecnica migliorò gli strumenti a fiato del diciottesimo secolo, cosí scarsamente attendibili, aggiungendo chiavi e valvole, e per la prima volta corni e fagotti riuscirono a suonare notevolmente intonati. Mentre l'orchestra si faceva piú numerosa e la musica diventava piú complicata si avvertiva sempre piú la necessità di una forza capace di controllarle, di un uomo che si assumesse tutta la responsabilità dell'interpretazione, per esempio, di una sinfonia di Beethoven. Un concerto grosso di Vivaldi poteva anche essere suonato dalla sola orchestra con l'assistenza del primo violinista e del clavicembalista; non cosí le complesse sinfonie di Beethoven e dei successori. Intorno al 1820 arrivò il direttore virtuoso, l'uomo capace di armonizzare le personalità individuali degli orchestrali e di farne un tutto unico. Ludwig (Louis) Spohr (1784-1859), Karl Maria von Weber (1786-1826) e Gaspare Spontini (1774-1851) furono tra i pionieri della bacchetta insieme con Frangois-Antoine Habeneck (1781-1849) che fondò l'orchestra del conservatorio di Parigi nel 1828 e la diresse con un archetto di violino invece che con una bacchetta.
Come la tecnica perfezionava gli strumenti dell'orchestra, cosí migliorava anche il pianoforte. Il delicato strumento viennese dei tempi di Mozart e il più robusto strumento della casa Broadwood che piaceva tanto a Beethoven furono sostituiti da un massiccio congegno con la struttura d'acciaio, e uno stuolo di virtuosi si precipitò ad approfittarne. Volevano fare con il piano quello che Nicolò Paganini faceva con il violino. Paganini, compositore amabile ma non importante, ha un posto di insolito rilievo nella storia della musica in quanto ispiratore di tutto lo strumentalismo e la scrittura strumentale del movimento romantico. Fu il primo dei supervirtuosi e forse è stato il piú grande violinista mai vissuto. Un po' genio un po' ciarlatano, Paganini (1782-1840) creava un clima di indicibile eccitazione dovunque si recasse. C'era un che di satanico in questo italiano alto, nero di capelli e di carnagione, emaciato, che faceva cose incredibili con il suo Guarneri. I musicisti accorrevano in frotta ai suoi concerti cercando di capire la meccanica dei suoi effetti. E accorreva anche il pubblico e molti ascoltatori, i piú superstiziosi, erano convinti che avesse stretto un patto col diavolo. Dotato di un gran senso dello spettacolo, giocava su quel certo non so elle di demoniaco e mancava poco che si presentasse sul palcoscenico avvolto in fiamme azzurrognole. I suoi erano piú saturnali che concerti. Tra gli altri trucchi, usava spezzare una corda nel bel mezzo di un'esecuzione di un brano e suonare fino alla fine con tre corde soltanto. Oppure tirava fuori le forbici, tagliava tre corde e faceva miracoli con la sola corda di sol. Allargò al massimo la tecnica del violino, con nuove arcate, posizioni, armonici, nuove tecniche di virtuosismo incredibile. Non c'era violinista che non cercasse a suo modo di affascinare il pubblico come faceva Paganini. Liszt e Schumann scrissero variazioni sui famosi Ventiquattro Capricci del violinista italiano, cercando di arrivare a risultati tecnici uguali a quelli suoi, trascendentali. Poi, Brahms, Rachmaninov e altri si basarono sugli stessi Ventiquattro Capricci per lunghe composizioni pianistiche.
Paganini fu l'archetipo del virtuoso-eroe, anche se, ovviamente, c'erano stati altri famosi virtuosi prima di lui. Ogni volta che uno strumentista o un cantante fa una cosa meglio di un altro, può essere certo di raggiungere fama e fortuna. Nel diciottesimo secolo l'Italia ebbe alcuni violinisti straordinari, e uno di loro, Giuseppe Tartini (1682-1770), anticipò in un certo senso Paganini, scrivendo un'opera di diabolica difficoltà intitolata Il trillo del diavolo. I grandi castrati furono anch'essi gli idoli delle matindes. Verso la fine del diciottesimo secolo apparve un gruppo di pianisti capeggiato da Johann Baptist Cramer, Ignaz Moscheles, Jan Ladislav Dussek e John Field, anello di congiunzione tra la scuola classica e la scuola romantica imminente Ma nessuno strumentista della storia ha acceso i folli entusiasmi di un Paganini, né ha portato nella propria opera un elemento di spettacolarità cosí brillante e ben calcolato. Liszt raccolse la tradizione di Paganini e quei due possenti concertisti fecero insieme del diciannovesimo secolo l'era trionfale del virtuoso. Il pubblico esigeva il virtuosismo: l'eroico virtuosismo di Liszt come quello tintinnante, tutto in punta di tasto di Henri Herz, il popolare pianista che affascinò i pubblici per diversi decenni. Liszt, che sotto tanti aspetti può essere considerato un antesignano, fu il primo pianista della storia a dare concerti da solo, senza altri che occupassero il programma mentre il Grand'Uomo riposava.
Per corrispondere alle richieste del pubblico, si costruirono sale da concerto in tutta l'Europa. Si crearono associazioni musicali, si formarono orchestre stabili. Nei teatri dell'opera Rossini, Bellini e Donizetti, a partire dai primi anni del secolo, scrissero musica che valorizzava la voce, il bel canto. Anche questo modo di cantare aveva avuto dei precedenti, ma il termine bel canto si applica specificamente alle opere di quei tre compositori. È uno stile che sottolinea la duttilità della voce, la purezza della linea, la facilità della tecnica nei passaggi di coloritura e l'attenta conformazione dei suoni e delle vocali. Via via che ci si inoltrò nel secolo l'accento passò su un tipo di canto piú drammatico, con gran dolore di Rossini e degli altri amanti del bel canto. Per loro Meyerbeer, Verdi e Wagner avevano ucciso il puro vocalismo. I grandi cantanti, come Giovanni Rubini, Luigi Lablache, Maria Malibran, Wilhelmine Schröder-Devrient, Pauline Viardot-Garcia, Gilbert-Louis Duprez ed Enrico Tamberlik furono popolari non meno dei pianisti e dei violinisti. Duprez fu il primo tenore capace sempre di prendere un do di petto. Rossini, con gran disgusto, disse che quella nota gli sembrava « il grido di un cappone scannato ».
Nella prima metà del diciannovesimo secolo, come precedentemente, i ,grandi strumentisti furono anche grandi compostiori. Weber, Mendelssohn, Chopin e Liszt furono i quattro piú grandi pianisti del tempo. Berlioz, Mendelssohn, Weber e Wagner furono i quattro massimi direttori. Verso la metà del secolo si vide qualcosa di nuovo: degli esecutori che non erano anche compositori. Pianisti come Hans von Biilow e Karl Tausig fecero arrangiamenti di musica altrui, ma si può dire che non componessero personalmente. Furono puri virtuosi. Oggi, la parola « virtuosismo » suona quasi denigratoria. Implica qualcosa di volgare, di eccessivo, come lo sfruttamento del compositore ai fini meschini dell'esecutore. Ma il diciannovesimo secolo considerò in maniera ben diversa il virtuosismo, sotto questo aspetto. Nessuno ha mai scritto una storia definitiva del virtuosismo musicale e delle sue implicazioni, ma non v'è dubbio che i grandi esecutori di quel secolo ebbero considerevole influenza sul pensiero dei compositori. La musica non serve a niente sulla pagina stampata. Deve risuonare, e questo può avvenire solo per mezzo delle dita, delle voci e dei cervelli degli interpreti. Nel diciottesimo secolo e prima, compositore ed esecutore di musica strumentale furono quasi sempre tutt'uno. Nel diciannovesimo secolo, con l'avvento del virtuoso specialista, la musica del compositore cominciò a essere rifratta nel prisma di un'altra mente. Questo poteva creare dei problemi, e infatti ne creò. Ci sono sempre stati virtuosi disposti a sommergere la bella musica con un guazzabuglio di effetti a buon mercato. Ma i compositori del diciannovesimo secolo, in genere, non esitarono a stringere alleanza con i virtuosi, magari brontolando, di tanto in tanto. Tutto sommato i compositori sono disposti alle concessioni piú di quanto suppongono molti musicisti moderni - certamente questo vale per i compositori romantici - e soprattutto si rendono conto che la notazione è un mezzo impreciso.
Particolarmente disposti alle concessioni furono i prima romantici. Con il romanticismo fiori l'ego, l'artista si sforzò di esprimersi con maggiore intensità e si affermò l'ideale dell'arte fine a se stessa. Si può dire forse che sia stato Beethoven il primo compositore a lavorare su queste basi. Jean-Jacques Rousseau aveva stimolato la propria epoca con la sua teoria dell'uomo naturale e con il concetto del valore individuale dell'uomo. I sentimenti, aveva detto, sono piú attendibili della ragione. Esprimi te stesso e i tuoi sentimenti. I romantici, che lo presero molto sul serio, fecero appunto questo. Johann Paul Friedrich Richter, il grande scrittore tedesco universalmente noto con lo pseudonimo di Jean Paul, aveva definito taluni principi fondamentali del romanticismo già nel 1804, con la Vorschule der Aesthetik. L'elemento fondamentale del romanticismo, disse, è l'estensione. « Il romanticismo è bellezza senza limiti, il bello infinito. » Oppure: « Se la poesia è profezia, allora romanticismo è consapevolezza di un piú grande futuro di quello per il quale c'è spazio, adesso, quaggiú ».
Si è scritto molto sul romanticismo, e c'è una certa confusione in proposito, ma nelle sue linee principali si tratta di un fenomeno abbastanza chiaro: la maggiore importanza del contenuto rispetto alla forma classica; l'alleanza tra letteratura e altre arti; un orizzonte sconfinato; l'interesse per il sovrannaturale; la costante sperimentazione di forme nuove, colori nuovi, strutture nuove. In un decennio, piú o meno dal 1830 al 1840, tutto il linguaggio armonico della musica cambiò. Senza che si sapesse bene da dove tutto questo venisse, i compositori cominciarono a usare accordi di settima, nona e perfino undicesima, accordi alterati e un'armonia cromatica contrapposta all'armonia diatonica classica. Generalmente parlando - ma ovviamente si possono sempre indicare delle eccezioni - i compositori da Bach a Schubert scrissero in armonia diatonica, facendo uso irregolare di alterazioni. Potevano spingersi molto lontano con le strutture delle tonalità, ma la tonalità di base era sempre chiara e la reale struttura dell'accordo superava di rado l'ottava. Né si utilizzavano gran che intervalli aumentati o diminuiti.
Ma i romantici si compiacquero di insolite combinazioni tonali, accordi sofisticati e dissonanze che alle orecchie più convenzionali di allora risultavano addirittura atroci. Chopin non esitò a servirsi di none minori e i musicisti della vecchia generazione ne furono scandalizzati. Ignaz Moscheles (1794-1870) fu un bel compositore e pianista tra i migliori d'Europa; fu anche uno dei piú nobili e devoti all'arte che siano mai vissuti. Quando ebbe il primo incontro con la musica di Chopin rimase sconcertato.
Tuttavia i miei pensieri, e per essi le mie dita, restavano paralizzati di fronte a certe modulazioni dure, niente affatto artistiche e per me inconcepibili. » I musicisti educati come era stato educato Moscheles al culto della chiarezza, della purezza, della giusta scrittura vocale e dell'uso parsimonioso del pedale, non potevano capire la musica romantica perché non ne capivano le premesse estetiche e acustiche. Il puro suono. il suono in quanto tale, fu molto importante per i romantici, ed essi formularono nuove concezioni di tecnica e di composizione per esprimere le nuove idee. Moscheles capi il proprio errore solo quando senti suonare personalmente Chopin e generosamente lo riconobbe. Il nuovo tipo di tecnica di Chopin, il suo modo di suonare legato, sostenuto da sfumature del pedale, gli permetteva infatti di ammorbidire e mitigare quelle dissonanze.
La musica romantica ebbe cosí un suo suono - un suono ricco, sensuale, pittoresco - e questo è forse, considerato singolarmente, l'aspetto piú importante del periodo. Ovviamente ce n'erano molti altri a distinguere il romanticismo dai periodi precedenti. La musica romantica è in misura sorprendente musica non-astratta. Poteva darsi che il compositore seguisse uno specifico programma con la sua musica, come fecero spessissimo Berlioz e Liszt. Oppure, cosa che succedeva più spesso, il programma c'era, ma non era specificato. Nell'età idealistica della musica romantica, con la sua intima alleanza con la letteratura e la piú ampia cultura generale dei compositori, uno dei giochi preferiti fu leggere i programmi impliciti nella musica. Nessuna composizione ne andava esente, e i piú ingegnosi riuscivano a leggere cose incredibili in uno spartito. La musica si pensava, esprimeva precisi stati d'animo. Schumann vi leggeva sempre qualcosa, e piú lungo era il brano piú cose vi leggeva. « Piú un lavoro è individuale, piú alto sarà il numero dei singoli quadri che metterà sotto gli occhi dell'ascoltatore, e piú durerà eterno. Questi tratti particolari sono comuni soprattutto a Beethoven e a Franz Schubert. » Anche Wagner leggeva continuamente qualcosa nella musica, e in maniera prodigiosa. E altrettanto facevano, quasi tutti, gli artisti esecutori. Dando uno degli esempi piú deliranti di questo tipo di esegesi, Hans von Búlow vide nel Preludio in mi maggiore di Chopin il compositore che si dava martellate sul cranio. « La sedicesima e la trentaduesima nota devono essere suonate perfettamente a tempo, in quanto indicano una doppia martellata. » E Wagner interpretò l'Eroica come un dialogo tra l'Uomo e la Donna, concluso dalla vittoria dell'Amore che tutto supera. « Ancora una volta fremono le corde del cuore e scorrono lacrime di pura umanità; ma proprio dal punto culminante della tristezza erompe il grido giubilante della forza - quella forza che poi portò all'Amore - e col suo aiuto l'Uomo completo, totale, canta ora per noi in una affermazione della propria divinità. » Ricostruzioni del genere furono molto comuni in tutto il diciannovesimo secolo, e solo coll'affermarsi di una visione piú oggettiva di una età posteriore le cose cambiarono. Ecco come avrebbe commentato Arturo Toscanini l'Eroica, liquidando con un giudizio sprezzante l'impostazione romantica: « Chi dice che là dentro c'è un po' di Napoleone, chi un po' di Hitler, chi un po' di Mussolini. Bah! Per me è soltanto un Allegro con brio ». Oggi tutti sottoscriverebbero questa opinione.
L'osservazione del grande direttore fu fatta negli anni venti ed esprimeva un punto di vista che si andò affermando sempre di piú, tanto che verso la metà del secolo i principi del romanticismo erano del tutto dimenticati, cosí come tra il 1840 e il 1850 furono dimenticati i principi allora correnti delle esecuzioni mozartiane. Vale la pena di soffermarsi sull'argomento, perché il rapporto tra romanticismo e avanzato ventesimo secolo e complesso. Gran parte del repertorio di oggi è romantico o tardo-romantico, e si dà per scontato che i musicisti capiscono questo tipo di musica mentre sono meno attrezzati per il repertorio classico e barocco. In realtà, è vero il contrario. Grazie a una generazione di ricerca musicologica concentrata da Mozart su su fino al Rinascimento, i giovani musicisti di oggi conoscono meglio la musica preromantica di quella che va dal 1830 al 1900, il che è come dire il grosso del repertorio.
È un fatto paradossale ma vero. Oggi, ogni musicista preparato conosce molte cose sul tipo di esecuzione praticato dai romantici, poiché la ricerca musicologica si accentra sui problemi (e soprattutto sui problemi documentari) della musica antica. E i musicisti del trentennio di mezzo del ventesimo secolo sono stati educati in un'epoca antiromantica, nella quale le tradizioni del romanticismo apparivano sospette. Molti giovani musicisti non sanno neppure, oggi, come realizzare le note di una composizione romantica. Un compositore come Schumann, per esempio, si preoccupò di indicare le relazioni tra le voci interne, segnando attentamente le frasi, scrivendo le aste delle singole note in modo che si vedessero con chiarezza, mettendo i segni del legato sulle parti del basso o del tenore. Schumann non fece queste cose inutilmente. C'è, in questo, un significato armonico e polifonico. Ma quasi nessun musicista avverte questi segni quando esegue il Carnaval o Kinderszenen, cosí come non introduce note nell'ottava bassa, convenzione generalmente seguita dai pianisti romantici e calcolata dai compositori romantici. I romantici prevedevano un rallentamento fra il primo e il secondo tema; si aspettavano che venisse attentamente messo in risalto il contrasto tra le sezioni; prevedevano molto tempo rubato e molti contrasti dinamici; prevedevano una continua oscillazione del tempo. Soprattutto non trovavano niente da ridire su una discreta alterazione del testo, che non consideravano né sacrosanto né intangibile. I musicisti migliori, da quanto è dato capire, non furono mai anarchici per quanto riguarda le loro modifiche; tuttavia non ce ne fu uno che esitasse a cambiare o rafforzare un passaggio per avere l'effetto migliore o per un gesto grandioso. Lo facevano perché credevano onestamente che fosse nello spirito del significato della musica. Insomma, i romantici si accostarono alla musica con una libertà inconcepibile cento anni dopo.
Visto l'atteggiamento cosí disinvolto e letterario dei romantici nei confronti della musica, e dato il tipo di libertà che il diciannovesimo secolo concedeva con piacere ai virtuosi, strumentisti o cantanti, non c'è da stupirsi che la musica preromantica venisse presentata con scarsa fedeltà nel diciannovesimo secolo e specialmente nel primo periodo del romanticismo. I primi romantici avevano tendenza a vedere tutto a loro immagine. Non c'erano preoccupazioni erudite, e la musicologia non esisteva. Quando Mendelssohn resuscitò la Passione secondo San Matteo nel 1829, essa fu abbreviata, rivista, riorchestrata e, in sezioni, ricomposta. Mozart patí fortemente di questa consuetudine, e cosí Beethoven. I romantici idolatrarono Beethoven, ma cosí come se lo immaginarono loro. Lo considerarono il piú grande dei rivoluzionari e attribuirono un ideale etico alla sua musica; ma questo non impedí loro di modificarne le partiture per « aggiornarlo ». Wagner riorchestrò Gluck, e Liszt « migliorò » la musica per pianoforte di Schubert. Erano onestamente convinti, in questo modo, di rendere omaggio ai grandi compositori. Come disse Wagner, nelle sue revisioni di Beethoven, « non ho mai portato il mio devoto rispetto al punto di prendere assolutamente alla lettera le sue indicazioni ». Una mente musicalmente sensibile come quella di Wagner non poteva storpiare le sinfonie di Beethoven, e certo non come piú tardi Mahler storpiò le sinfonie di Schumann; ma tanto Wagner che Mahler si prefissero di « migliorare » quella musica. Il modo di dirigere dell'uno e dell'altro ci stupirebbe, oggi.
Molte cose entrarono nella musica con i romantici. Apparve il sentimentalismo. Si affermò saldamente il nazionalismo, prima con le mazurche e le polacche di Chopin, poi con Liszt e le sue rapsodie ungheresi, e ancora piú tardi con i nazionalisti boemi e russi. L'opera cambiò e la formula che si basava sul bel canto fu sostituita dai grandi spettacoli di Meyerbeer, dal vigoroso melodramma di Verdi e dal teatro musicale di Wagner. Con questi si affermò anche un nuovo e drammatico stile del canto e della recitazione. Tutto questo avvenne nello spazio di venticinque anni, a cominciare dal primo gruppo di romantici nati a un lustro di distanza l'uno dall'altro: Mendelssohn nel 1809, Chopin e Schumann nel 1810, Liszt nel 1811, Wagner e Verdi nel 1813. Ma nella musica come nella vita niente nasce bell'e pronto. Ogni cosa ha dei precedenti, e il periodo romantico ebbe alcuni precursori interessanti e importanti.
Uno dei personaggi piú significativi fu Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, artista leggendario per i romantici tedeschi, specialmente per Schumann. Hoffmann (1776-1822) fu tutto: poeta, pittore, romanziere, impresario teatrale, cantante, compositore, direttore, critico, funzionario e sembra che in tutte queste attività si distinguesse, Fu uno di quelli sempre interessati all'avanguardia, sorta di Cocteau dei tempi suoi. Molto prima che i romantici apparissero sulla scena della musica, scriveva di romanticismo, sottolineando che «la musica si trova a suo agio solo nel regno del romanticismo», definendola «la piú romantica delle arti: anzi, si potrebbe dire, la sola arte genuinamente romantica ...». Questo scriveva nel 1813 in un saggio sulla musica strumentale di Beethoven. «Ogni passione,» continuava «amore, odio, collera, disperazione e cosí via, come ce le dà l'opera, è rivestita dalla musica con la purpurea lucentezza del romanticismo.» Negli scritti di Hoffmann si parla molto del «lontano regno spirituale del suono», di «regno sconosciuto», di «mondo spirituale dell'infinito», di «enorme e incommensurabile», di «danze eterne delle sfere», di « nostalgia infinita», «canto di giubilo», «essere intimo». Ai romantici tutto questo piaceva. Gli scritti musicali di Hoffmann sono ampollosi, sentimentali e, a giudicarli con criteri moderni, sbagliati da cima a fondo; ma fu l'alfiere dell'avanguardia, e i romantici si fecero entusiasticamente guidare dalle sue idee. Predicò la rottura con il passato, esortò a guardare avanti verso un tipo di musica idealistico, personale. Nel 1815 compose Undine, un'opera che per l'argomento soprannaturale si collega al Freischütz (Franco cacciatore) di Weber. Weber la lodò, definendola «una delle opere piú ardenti che il periodo piú recente ci abbia dato».
Un altro precursore fu Muzio Clementi (1752-1832), pianista-compositore che pose le basi della moderna musica pianistica. Era specializzato nei virtuosismi specialmente nei passaggi per terze e ottave, allora nuovi, e i pianisti seguirono il suo indirizzo piú che lo stile classico di Mozart, artista infinitamente piú grande ma esecutore non altrettanto eccitante. John Field (1782-1837 ), discepolo di Clementi, fu anch'egli importante pianista, rappresentante di un romanticismo incipiente. La sua serie di graziosi notturni fu direttamente imitata da Chopin. Altra affascinante figura di transizione fu Johann Nepomuk Hummel (1778-1837), che ebbe radici nel diciottesimo secolo (fu allievo di Mozart), ma autore di una musica che è proprio al limitare di quella romantica. A Vienna, fu considerato il solo vero rivale di Beethoven, e per la prima metà del diciannovesimo secolo non si dubitò della sua immortalità. Il suo Settimino per piano e fiati introdusse un vocabolario armonico molto piú « moderno » e sofisticato di quello di Schubert, e uno stile di composizione pianistica che portava direttamente a Chopin. Hummel compose diversi concerti per pianoforte: particolarmente degno di nota è quello in la minore; e il Concerto per piano in mi minore di Chopin gli deve molto. Oggi, il repertorio del ventesimo secolo non ha, si può dire, musica di Hummel: ma fu compositore ricco di inventiva e la sua opera meriterebbe di essere riesumata.
La musica di Ludwig (Louis) Spohr (1784-1859) merita anch'essa di essere presa in considerazione. Oggi questo compositore vive soltanto per un Concerto per violino, il Gesangszene, ma ai tempi suoi si cimentò con la scrittura cromatica e scrisse musica considerata estremamente audace. Nella carriera di Spohr si ebbe una curiosa dicotomia. Fu il piú grande violinista classico dei tempi suoi, appartenne alla scuola di Mozart e non fu grande amico dei compositori romantici (anche se verso la fine della sua carriera, quando era direttore di corte a Kassel, sposò la causa di Wagner). Eppure gran parte della sua musica guarda avanti e non indietro, e in una sua. opera, Kreuzfahrer (1845), anticipò Wagner abolendo le forme chiuse « un po' come dramma musicale, senza ripetizioni testuali e ornamenti superflui e con azione sempre crescente ». In precedenza aveva composto un'opera, Jessonda (1823 ), accolta quasi con lo stesso entusiasmo con cui fu accolto il Franco cacciatore di Weber, e aveva anche composto un'opera popolare sulla leggenda di Faust. Spohr fu uno dei piú ammirati e rispettati compositori dei tempi suoi.
La storia è portata a giudicare un periodo solo dai suoi personaggi piú grandi, ma in ogni tempo la gente è generalmente a disagio in presenza della grandezza e accorre a rendere omaggio ai personaggi minori, quelli capaci di soddisfare le esigenze piú semplici del pubblico. Tra il 1830 e il 1840, per esempio, il medio amatore di musica avrebbe detto che i tre compositori piú grandi erano Beethoven, Mozart e Hummel; ma nello stesso tempo egli si sentiva molto piú a suo agio con la musica di compositori come George Onslow (1784-1853), Ferdinand Ries (1784-1838), Henri Herz (1803-1888), Franz Hünten (1793-1878) e Friedrich Kalkbrenner (1785-1849). Erano quevti i compositori piú spesso eseguiti, gli artisti commerciali del periodo. Fornivano musica che non presentava problemi. Confezionavano ouvertures, pot-pourri e parafrasi di gusto, e davano alle giovani signore d'Europa la musica adatta per i loro pianoforti. Scrivevano i pezzi di battaglia e le canzoni sentimentali e gli arrangiamenti per flauto, arpa e pianoforte che nobilitavano i salotti della borghesia e arricchivano gli editori.
Kalkbrenner può essere considerato rappresentativo della categoria. Fu pianista elegante, impeccabile, la cui alta fama fu superata soltanto dall'ottima opinione che ebbe di se stesso. A lui si rivolse il giovane Chopin quando arrivò a Parigi. Cosi si suonava il piano! esultò Chopin. La musica di Kalkbrenner godette di grande popolarità, e il compositore sfornò un pezzo dopo l'altro. Probst, il suo editore, non poteva perdere tempo con Schubert perché la sua casa editrice era tutta occupata nella pubblicazione delle opere complete di Kalkbrenner. Il poeta Heinrich Heine, critico brillante e corrosivo, ci ha lasciato una divertente descrizione di un suo concerto: « Sulle sue labbra brillava ancora il sorriso imbalsamato che abbiamo notato recentemente sulle labbra di un faraone egiziano, quando la mummia è stata liberata dalle bende, al museo di qui. » E Clara Schumann ha lasciato una descrizione ancor più penetrante di Kalkbrenner che « sorride dolcemente e altamente soddisfatto di sé e della sua creazione. Sembra sempre che dica " Signore, io e l'umanità dobbiamo ringraziarti perché hai creato una mente come la mia » . I1 fatto è che Kalkbrenner era ricco, famoso e non poteva passare inosservato. Compositori come lui ce ne sono in ogni epoca, dimenticati una generazione dopo la morte, ma fino a quel momento popolarissimi. Sono loro a fare il grosso del repertorio attivo dei tempi loro, e non i quattro o cinque geni che per caso appaiono in quello stesso periodo.
Per i primi romantici il grand'uomo - sempre con l'eccezione di Beethoven - era Karl Maria von Weber, e si può con validi motivi sostenere che fu lui il primo dei veri romantici. Ne ebbe quasi tutti i requisiti. Fu importante pianista e virtuoso itinerante; la sua musica fu in anticipo sui tempi; scrisse opere su soggetti sovrannaturali; si dilettò di letteratura; ebbe la malattia di moda, la tisi. Oggi, in repertorio, resta ben poco di lui: solo il Franco cacciatore, le ouvertures di tre opere e ogni tanto i Konzertstück per piano e orchestra e una delle sonate. C'è anche l'Invito alla danza, che però non si sente quasi mai nella forma originaria per pianoforte solo. Perciò è difficile rendersi conto dell'enorme influenza che ebbe sui romantici, su Mendelssohn, Berlioz, Liszt, Marschner e, soprattutto, Wagner. Heinrich Marschner (1795-1861) fu un compositore di opere una volta popolare - ma due o tre opere sue si continuano a rappresentare in Germania - che in composizioni come Dei, Vampyr (Il vampiro) prese l'imbeccata dal Franco cacciatore e tra il 1830 e il 1850 fece drizzare i capelli agli spettatori con i suoi fantasmi e i suoi demoni.
Resta ancora da stabilire in tutta la sua portata l'influenza che Weber ebbe su Wagner, anche se tutti possono cogliere nelle curiose armonie che risuonano nell'ouverture dell'Eurvanthe di Weber preannunci del ciclo del Nibelungo. A un certo momento, nel 1813, Weber si preparò a scrivere un'opera sulla leggenda di Tannhàuser. Se lo avesse fatto avrebbe anticipato Wagner anche sotto un altro aspetto. Come direttore fu tra i primi a esigere il controllo assoluto di tutti gli aspetti della rappresentazione di un'opera, tra i primi a istituire prove di sezioni dell'orchestra, tra i primi a esercitare un'autorità assoluta. Wagner adottò molte sue idee. Anche Weber, come Wagner. aveva manifestato idee pangermanistiche sull'opera. Cercava, come spiegò nel 1817 « un'opera d'arte a tutto tondo e autosufficiente in cui tutti gli ingredienti forniti dalle arti che vi contribuiscono scompaiano nel processo di fusione, e così scomparendo aiutino a formare un universo completamente nuovo ». È piú o meno il concetto wagneriano di Gesamikunstwerk - opera d'arte totale - enunciato quarant'anni prima che Wagner esponesse le sue teorie.
Per i romantici, fu Weber a scatenare la tempesta. Se c'è una singola composizione di cui si possa dire che abbia dato inizio all'età romantica in musica, questa fu Der Freischütz (Franco cacciatore). La scena nella Gola del Lupo, con il suo mistero e il suo incanto, l'evocazione del potere del male, la raffigurazione della natura e la purezza dei colori, la forza dell'immaginazione, tutto questo colpi l'Europa con impatto tremendo e contribuí a lanciare il nuovo movimento.
Weber nacque il 18 novembre 1786 e mori, quarantenne, il 5 giugno 1826. Scomparve un anno prima di Beethoven e due anni prima di Schubert. Aveva composto il Franco cacciatore nel 1820, ed era un'opera diversa da ogni altra opera mai scritta. Oberon e Euryanthe, che vennero dopo, furono danneggiate da libretti impossibili e oggi vengono rappresentate molto di rado; ma anche queste due opere parteciparono di elementi sovrannaturali ed esotici, e aprirono un mondo nuovo ai romantici. Intorno al 1840 il critico inglese Henry Fothergill Chorley dette un giudizio di Weber esemplare della reazione (e bisogna sottolineare che Chorley era un reazionario che quando sentiva nominare Schumann e Wagner andava subito su tutte le furie). La musica di Weber scrisse Chorley « è istinto con lo spirito del tempo antico, quando le foreste bisbigliavano presagi e le battaglie erano preannunciate da fantasmi insanguinati che brandivano armi e agitavano bandiere. La sua fantasia non è esente da sfumature di superstizione: il suo colore è quello perlaceo della terra dei sogni o quella tinta sgargiante che penetra attraverso certe finestre blasonate, guarnite “CON MOLTI EMBLEMI” ». Chorley si credeva uno stilista. Ma il suo giudizio è genuino. Weber fu tutto ciò per i romantici. La sua musica per pianoforte fu popolare quanto le opere. Quando Wilhel von Lenz, quel giovanotto indiscreto che collezionava nomi e insegnanti di pianoforte e poi scriveva dei libri su di loro, fece conoscere a Liszt l'Invito alla danza e la Sonata in la minore, nel terzo decennio del secolo scorso, il grande pianista levò al cielo grida di ammirazione. Liszt e altri pianisti romantici non facevano che suonare Weber. Weber era fragile, malaticcio, tubercolotico, afflitto da una malformazione congenita dell'anca che lo fece zoppicare per tutta la sua breve vita. Fu anche l'eccesso di lavoro a portarlo alla tomba. Ma in quarant'anni di vita dette un grande contributo alla musica. Aveva un talento multiforme e la struttura di base della sua musica per pianoforte è molto al di là di tutto quanto possono aver concepito un Beethoven e uno Schubert. In gran parte si tratta di composizioni francamente virtuosistiche, con qualche passaggio difficilissimo tecnicamente. Weber, che non era molto alto, aveva mani enormi e scrisse intervalli di una estensione interdetta a una persona normale. In quanto concertista conosceva bene il pubblico. Forse si rese colpevole di qualche effetto ruffianesco, e gran parte della sua musica per pianoforte ha piú apparenza che sostanza. Ma quando in una composizione confluiscono tutte le sue qualità, come nei Konzertstück siamo ai limiti del sublime. Oggi le sue quattro sonate per pianoforte, le sue variazioni e certi pezzi virtuosistici come la Polacca brillante non si eseguono quasi piú, ma per tutto il diciannovesimo secolo ebbero una popolarità enorme.
Non solo come pianista e compositore Weber arrivò alla fama. Essendo il piú importante direttore dell'epoca sua apri la strada a un gruppo di discepoli, e non passò molto tempo che i direttori diventarono le forze piú importanti nel campo della musica, in tutto il mondo. Già nel 1804, quando aveva appena diciotto anni, Weber diventò principale direttore del teatro dell'opera di Breslavia, dove si scontrò con una tremenda opposizione, sia per la giovane età sia per le sue inaudite idee in fatto di direzione musicale. ll primo violinista, una sorta di gran dignitario che si chiamava Joseph Schnabel preferí lasciare l'orchestra anziché subire l'oltraggio di essere diretto da un « bambino ». Weber se ne andò da Breslavia nel 1806; nel 1812, dopo vari incarichi minori e qualche concerto, diventò direttore dell'opera di Praga. Di lí passò a Dresda, chiamatovi dal re di Sassonia verso la fine del 1817 allo scopo preciso di fondare un teatro dell'opera tedesca che facesse da contraltare all'opera italiana. Rossini aveva avuto un successo travolgente in Germania e nel 1820, a Berlino, il terribile Spontini aveva addirittura instaurato una dittatura come direttore e compositore di opere popolari quali La Vestale (tanto amata da Berlioz) e il Fernando Cortez. Weber, brillante organizzatore, rivoluzionò il teatro dell'opera di Dresda e lo ricostruí a sua immagine, facendo addirittura tradurre in tedesco i libretti italiani e francesi. Fu il dominatore del teatro. Wagner, non molti anni dopo, diresse a Dresda e fece sue molte idee di Weber. A Dresda, Weber si rivelò un fanatico della disciplina, sempre preoccupato che tutto filasse alla perfezione. Rivedeva tutte le partiture correggendo gli errori; le sue pretese, durante le varie prove, diventarono leggendarie; si occupava di tutti gli aspetti della rappresentazione, dalla scenografia alla distribuzione delle parti, alle prove e alla direzione. Quando poi dirigeva la rappresentazione, si trattava veramente di uno spettacolo rifinito in tutti i suoi aspetti.
Poi, nel 1821, venne il Franco cacciatore, che fece di Weber il fondatore dell'opera romantica tedesca. Prima di lui, si può dire, l'opera tedesca non esisteva: almeno, erano pochissime quelle rimaste in repertorio. Tre delle quattro grandi opere di Mozart erano in italiano, e Die Zauberflöte (Il flauto magico) non iniziò una scuola operistica tedesca, come non la iniziò il Fidelio di Beethoven. Le opere di Schubert giacevano dimenticate, a raccogliere polvere negli scaffali, e li restano ancora oggi. Ma il Franco cacciatore portò direttamente alle opere popolarissime, anche se nella maggior parte dimenticate, di Marschner, Spohr e Lortzing, e di lí a Wagner.
Weber ebbe quello spirito inquieto che fu tipico dei romantici. Si dilettò di litografia, fu uno dei primi virtuosi di chitarra e fu un cantante discreto, anche se nel 1806 si rovinò definitivamente la voce bevendo per distrazione un bicchiere di acido nitrico. Per un po' si disperò di salvarlo. Trovò tempo per intrecciare qualche amore tempestoso e dare qualche saggio di esaltata dissipazione. Si diede alla letteratura e dal 1809 al 1818 scrisse critiche letterarie, poesie, un romanzo incompiuto e parecchi articoli giornalistici, compresa un po' di critica musicale. Weber aveva fama di critico rigoroso e alieno dai compromessi, e trovò da ridire perfino su Beethoven. Si dedicò alla critica con l'energia e l'entusiasmo che metteva in tutte le cose, e fu tra i fondatori di un'associazione chiamata Harmonischer Verein, che si proponeva di far conoscere e divulgare i principi del romanticismo. Tutti i membri della Verein (che vuol dire associazione, club) dovevano essere compositori e letterati, e il motto era « L'elevazione della critica musicale ad opera degli stessi musicisti ». I membri usavano uno pseudonimo; quello di Weber era Melos. Scrisse firmandosi anche « Simon Knaster » e « B.f.z.Z. » che stava per « Beharrlichkeit führt zum Ziel » ossia « La perseveranza porta alla meta », che era il suo motto. Non molti anni dopo Schumann avrebbe diretto la sua rivista di musica piú o meno secondo gli stessi principi, pseudonimo incluso. Chiamò il suo gruppo Davidsbündler. Quest'uomo aristocratico, intelligente, energico fu un personaggio affascinante: un autentico genio la cui piú grande disgrazia fu di essere nato con una trentina d'anni di anticipo.
Harold C. Schonberg (da I GRANDI MUSICISTI, traduzione di Vittorio Di Giuro, ed. Mondadori, 1972)
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