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Bagolón del lüster. I mercati, dai più antichi ai più recenti che svolgono questo prezioso, antico e caratteristico lavoro attrezzati di tutto punto, dove è possibile acquistare di tutto, dal cibo già pronto come i polli arrostiti allo spiedo, al gran fritto misto di mare, al pane, all’abbigliamento, ai prodotti per la casa e via discorrendo; in epoca lontana questi ambulanti scendevano nei giorni di mercato in città e paesi esibendo le loro merci nella maniera più semplice possibile, erano prodotti non certamente sofisticati, ad uso popolare. Sopra un tavolino, una cassetta di legno, accatastavano ciò che dovevano vendere, addirittura con un panno steso per terra ove ponevano queste merci. Questi poveri ambulanti nostrani, di tanto e tanto tempo orsono erano anche imbonitori, spiegavano le grandi virtù dei loro prodotti, uno fra i più popolari di questi mercanti era quello che offriva il lucido da scarpe, un articolo meraviglioso per le scarpe da uomo e da donna, sugli eleganti stivaletti per signora; questo mercante illustrava la sua merce in modo tale facendola brillare come un diamante, e l’arguzia ambrosiana, colpì nuovamente; quando un tizio esagera nel suo dire, rasentando magari anche qualche fandonia (bagol) ecco scattare il detto che abbiamo menzionato, che tradotto diventa: «Lucidatore di frottole».
Balabiott. Questo è un adagio dai due risvolti: uno sociale e politico, il secondo è comico. Naturalmente la “verve” ambrosiana l’ha reso celebre in tutta Milano e non solo, direi anche una buona parte di Lombardia. Partiamo dal secondo. La parola “balabiott” è abbastanza di chiara interpretazione; ballare nudi e spesso si può sentire: “Ohe, bauscia, fa no el balabiott”. Un grande comico, milanese per adozione, Walter Chiari, diede questa definizione in italiano della frase sopracitata: “salivario (la “bauscia” in dialetto è la saliva) di un danzatore nudo”. Vediamo ora l’interpretazione diciamo più seriosa. Bisogna rifarsi addirittura all’epoca della Rivoluzione francese. Quando l’eco di quegli avvenimenti giunse anche nella città ambrosiana, e con il concorso anche di gente francese che era giunta a Milano, si piantarono i famosi alberi della libertà, attorno ai quali la gente, su copia di ciò che succedeva a Parigi, si scatenava in gioiosi balli e divertimenti per festeggiare la liberazione da antichi servaggi a cui la gente più umile era obbligata. Questa gente francese era talmente povera da non avere neanche le mutande, si chiamavano “sans culottes” (italianizzato in “sanculotti”, che non aveva nulla a che fare con una eventuale santificazione del deretano). Il meneghino a fronte di tutto questo gioioso fervore e vedendo questi scamiciati francesi e non, ballare continuamente iniziò a chiamarli “balabiott” .
Barabitt. Questa parola nasce dall’evento della liberazione di Barabba, quando Ponzio Pilato, chiese ai giudei chi volessero libero, il citato Barabba oppure Gesù? Sappiamo come andò a finire, il Figlio di Dio fatto uomo fu crocefisso, mentre colui che fu liberato divenne col passare dei tempi anche sinonimo di briccone, birbante matricolato. A Milano indica i ragazzi alquanto discoli, magari anche con famiglie in condizioni precarie. Allora nel 1841 per volontà di Padre Somasco Marchiondi, già appartenente alla Congregazione creata da San Gerolamo Emiliani nel paese di Somasca vicino a Lecco fu fondato un istituto per accogliere questi ragazzi, istruirli e cercare di far capire loro che la strada che stavano percorrendo era quella sbagliata.. Tra i suoi allievi dell'epoca ci fu Giovanni Segantini.
Batt i pàgn, compar la stria. Le tradizioni popolari di qualsiasi nazione conservano la credenza dell’esistenza di streghe, maghi, fate, gnomi, magici castelli, che poi queste persone da leggenda fossero buone o cattive, è tutto da vedere. In terra lombarda il detto citato vuole essere un rimedio contro la cattiva sorte o sortilegi fatti da streghe, infatti, dice la credenza popolare, che in caso di maleficio bisognasse battere vigorosamente i panni di quelle persone che si credevano vittime di malefici; quindi, a furia battere anche con attrezzi questi vestiti, la strega e le sue cattive magie erano costretti a scappare.
Il detto è poi rimasto nel lessico popolare quando si sta parlando di una persona, speriamo sempre bene, costei eccola comparire quasi per magia.
Beata quella sposa che per prim’ la g’ha ona tôsa. C’è ancora in coloro che divengono padri per la prima volta, la speranza che il frutto del loro matrimonio sia poi coronato dalla nascita di un figlio, così questo primogenito potrà proseguire nella continuità della progenie con l‘atavico nome. Eppure la saggezza popolare ribalta tutta la faccenda. I motivi quali sono? Uno di questi afferma che partorire per la prima volta una bambina sia meglio perché essa pesa di meno e renderà più agevole la “strada” per il prossimo parto, che magari sarà proprio un maschietto, un'altra spiegazione sarebbe che la bambina anche pur in giovane età, sarà un buon aiuto per la madre, aiutandola nelle faccende domestiche, accudendo eventuali fratellini più piccoli; altri sostengono che il parto di una bambina sia foriero di serenità per il futuro; queste cose e altre hanno dato origine la proverbio.
Beleràtt. In dialetto meneghino il belèe indica un giocattolo, un balocco, anche delle cose carine, piacevoli, simpatiche, infatti rivolgendosi alla propria amica, fidanzata o moglie che sia, spesso capita di dirle “te set on gran belèe” (sei un gran bella cosa, sei una meraviglia, sei il mio giocattolo preferito….. ) Il beleràtt, in realtà era il venditore di giocattoli.
Biscêla. Su questa parola è stata composta una canzone dialettale che riallacciandosi a Edorado Ferravilla, il più grande attore dialettale milanese, racconta chi era questo “Biscêla de Porta Cines, cont la camisa color di scires, cont la marsina color del zafran, el par el sindech de San Colomban) (Porta Cines = Porta Ticinese / San Clomban = San Colombano al Lambro). La parola in oggetto si riferisce ai capelli ondulati con quel ciuffo riccioluto “el Bisc” che scende sulla fronte. La tradizione popolare riconosce questa particolarità ai ragazzotti un po’ bulletti, spavaldi, anzi, lo ricorda tipico dei bravi, come lo stesso Manzoni lo ricorda nei suoi “Promessi Sposi”, nell’incontro di Don Abbondio con i due bravi: “Avevano entrambi intorno al capo una reticella verde, che cadeva sull’omero sinistro, terminata in una gran nappa, e dalla quale usciva sulla fronte un enorme ciuffo….. )
Bott de legnamée. E poi normalmente si aggiungeva “e pugn de paisan”. Il significato è molto chiaro, probabilmente si richiamano i falegnami (legnamée) e i paesani (paisan) perché i primi per il loro mestiere in caso di litigio utilizzavano anche il bastone, mentre i secondi vivendo in campagna, lavorando la terra, utilizzando vanghe e rastrelli dovevano avere grosse e pesanti.
Brutt in fassa, bel in piazza. Normalmente i neonati sono tutti bellissimi, almeno per i genitori; chi scrive ha un ricordo personale, mia madre mi raccontava che quando la levatrice, allora si partoriva in casa, e per di più i mariti per la maggior parte erano impegnate a far fucilate con gli inglesi e con i russi, mio padre con questi ultimi; ebbene quando fra un bombardamento aereo e l’altro nacqui e la levatrice, dopo le varie incombenze derivanti dalla nascita, taglio del cordone ombelicale, sberle sul sederino perché piangessi e quindi dimostrare che ero vivo, alla fine di tutto questo e altro ancora mi si pose fra le braccia di mia madre, la quale esclamò tutta inorridita: “Ma cosa l’è ch’el rob chì?)(ma cosa è ‘sta roba, alludendo al neonato che aveva fra le braccia, cioè, io). Ecco la spiegazione del detto; in fasce sarà anche brutto, ma vedrete da adulto, infatti sempre mia madre soleva ricordarmi che al mondo vi sono tre categorie di belli: “I bèi bèi; i bèi moster e i bèi brutt”; indovinate a quale categoria appartenevo. Però piacevo alla donne …..
Fonte: http://www.circolomorbegnese.it/000anno2014/proverbimilano_b.pdf
Sito web da visitare: http://www.circolomorbegnese.it
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