Proverbi toscani

Proverbi toscani

 

 

 

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Proverbi toscani

A usanza nuova non correre.

Prudenza conservativa che risiede massimamente nel popolo, quando egli segue suo proprio istinto e sua ragione.

Cavallo vecchio, tardi muta ambiatura.

Ambiatura, vale andatura di cavallo, asino o mulo, a passi corti e veloci, mossi in contrattempo.

Chi ha portata la tonaca puzza sempre di frate.

Chi non è uso a portar le brache, le costure gli danno noja.

Ciò che s'usa non fa scusa.

Non tutte le cose sono scusabili per dire: così fanno gli altri. (SERDONATI)

Consuetudine è una seconda natura.

È difficile condurre il can vecchio a mano.

Mutare, cioè, gli abiti lunghi ed invecchiati.

E meglio ammazzare uno (o E meglio ardere una città) che mettere una cattiva usanza.
E meglio errar con molti ch'esser savio solo— e
Meglio errar con molti che da sé stesso.
E meglio volta che stravolta.

// Veneziano dice: Xe megio na volta che na stravolta, e lo spiega così. Cioè, è meglio prender la vecchia strada, più lunga ma
sicura, che non una che non sai dove riesca, e può condurti a rovina. —Stravolta: slogatura d'un piede facile in terreno
disuguale.

E un cattivo andare contro la corrente io contro il vento).
Il bue mangia il fieno perché si ricorda che è stato erba.

Vuol dire che s'ama spesso anche di memoria: amore buono, amore di gratitudine.

Il magnano tanto salta con le bolge quanto senza.

Abituato a portarle sempre è come se non le avesse.

Il vino di casa (o il vino che si pasteggia) non imbriaca.

Perché si usa temperatamente. Ma pure abbiamo:

Il pan di casa stufa.

Proverbio fatto dagli stemperati..

La catena non teme il fumo.

Perché ci sta sempre: ab assuetis nonfìt passio.
La moda va e viene-e
Alla moda vagli dietro.

/ due veramente fanno ai cozzi, ma la gente non se ne avvede, perché quando a molti si vede fare una cosa, pare che tutti
l'abbiano fatta sempre, e che sia la cosa più naturale del mondo quando anche sia la più bestiale.

Le cose rare son le più care-ovvero
Cosa rara, cosa cara.

A uno che si faccia vedere di rado siamo soliti dire: ti sei reso prezioso.

Le buone usanze van tutte a perdersi.

Però:

Le buone usanze vanno rispettate.

Le novità duran tre dì, e quando van di trotto, le non duran più d'otto.

Cioè quando sono strepitose e in gran voga.
L'uso doventa natura.
L'uso fa legge.

L'uso serve di tetto ai molti abusi.
L'uso vince natura.

Nessuna maraviglia dura più di tre giorni.
Rana di palude sempre si salva— e

La rana avvezza nel pantano, se ell'è al monte torna al piano.

Né per caldo o per freddo o poco o assai Si può la rana trar dal fango mai (Orlando Innamorato.)

 

Adulazioni, Lodi, Lusinghe

Ad ogni santo la sua candela.

Ad ogni potente la scappellata, dice l'ambizioso; a ogni donna gli occhi dolci, dice il libertino.

Adulatori e parassiti son come i pidocchi-e

 

 

Can che molto lecca succhia sangue.

Campano sulla pelle altrui.

Anco il cane col dimenar la coda si guadagna le spese —e

Non dar del pane al cane ogni volta che dimena la coda.

Bacio di bocca spesso cuor non tocca— e

Tal ti ride in bocca che dietro te l'accocca — e

V'è chi bacia tal mano che vorrebbe veder mozza — e

Tal ti fa il bellin bellino che ti mangerebbe il core.

Chi ci loda si dee fuggire, e chi c'ingiuria si dee soffrire.

Chi loda per interesse, vorrebbe esser fratello del lodato.

Chi t'accarezza più di quel che suole, o t'ha ingannato o ingannar ti vuole.

Chi ti loda in presenza, ti biasima in assenza— e

Dio ti guardi da quella gatta che davanti ti lecca e di dietro ti graffia.

Chi ti vuol male ti liscia il pelo.

Da chi ti dona, guardati.

Gola degli adulatori, sepolcro aperto.

In casa dell'amico ricco sempre ammonito; in quella dell'amico povero, sempre lodato.
I panioni fermano, ma le civette chiamano.
La carne della lodola piace ad ognuno-e
Da Lodi (paese) passan tutti volentieri.

Lodi e lodola per lode, giochetti di parole.

La lingua unge e il dente punge.

La lode giova al savio e nuoce al matto.

La vita dell'adulatore poco tempo sta in fiore.

Vuoi tu un cuore smascherare? sappilo ben lodare.

L'ubriacato dalla lode s'apre a dire quello che non vorrebbe.

 

Affetti, Passioni, Gusti, Voglie

A chi piace il bere, parla sempre di vino— e

L'orso sogna pere — e

Il porco sogna ghiande — e

Scrofa magra, ghiande s'insogna.

Acqua passata non macina più.

Si dice delle impressioni o degli affetti dimenticati.

Affezione accieca ragione.

A gusto guasto non è buono alcun pasto-e

Gusto guasto è come vin da fiasco.

Gli stomachi, gli umori, gli affetti guasti, per non confessare il puzzo che hanno dentro, lo accusano fuori. —Un Contadino
dava il tabacco al Padrone, che avendone preso un poco, e accostato al naso poi lo gettò via dicendo: «E' sa di briccone;»
e il Contadino: « Lustrissimo, l'enno le dita.»

Allo svogliato il mèle pare amaro.

Amor non ha sapienza, e l'ira non ha consiglio.

A molti puzza l'ambra.

Animo appassionato non serba pazienza.

Aspetta il porco alla quercia.

Se vuoi cogliere l'uomo sul fatto, aspettalo dove egli suole capitare, dove ha il ripesco, dove lo tirano qualche sua necessità o
voglia.

A vecchia che mangia pollastrelli, gli vien voglia di carne salata.

Dicesi quando alcuno lascia il meglio per attenersi a cosa men buona.

Chi ha bocca vuol mangiare.

Chi ha buona cantina in casa non va pel vino all'osteria —e

Chi ha vitella in tavola non mangia cipolla.

Chi maneggia il mèle si lecca le dita— e

Chi ha fatto il saggio del mèle non può dimenticare il lecco.

 

Chi lecca i piatti, deve leccare in terra.
Chi non arde, non incende.

Cioè chi non s'infiamma nel bene operare, non induce gli altri a benfare. (SERDONATI.) Ma vale per tutti gli affetti: Si vis me
fiere, dolendum est Primum ipsi tibi. (ORAZIO.)
Chi non può, sempre vuole.
Chi più arde più splende.

«Les grandes pensés viennent du coeur,» dicono bene i Francesi: e così pure i grandi fatti.

Chi più vuole, meno adopera.

Le voglie troppo intense riescono talvolta inerti s'intricano in sé medesime, come l'acqua non sa uscire da Un fiasco voltato
all'ingiù, perché il vaso è troppo grande e la bocca troppo stretta.
L'impetuosa doglia entro rimase,

Che volea tutta uscir con troppa fretta, ecc. (ARIOSTO.)

Chi sempre beve non ha mai troppa sete— e

Colombo pasciuto, ciliegia amara — e

Chi non mangia ha del mangiato — e

Chi non mangia a desco, ha mangiato di fresco — e

Gallinetta che va per cà, o la becca o l'ha beccà: se la non becca a desco, l'ha mangiato di fresco.

Come saturo augel che non si cali

Ove il cibo mostrando altri lo invita. (TASSO.)

Chi troppo frena gli occhi, vuol dire che gli sono scappati.

Così faceva il frate Cristoforo: e queste cose bisogna lasciarle dire al Manzoni.

Con la voglia, cresce la doglia— e

Chi assai desidera, assidera.

Dagli effetti si conoscono gli affetti.

Dei gusti non se ne disputa.

Dove la voglia è pronta, le gambe son leggiere.

E al contrario:

Chi va in gogna, non fa il servizio volentieri.
E' si può fare il male a forza ma non il bene— e
Per forza si fa l'aceto — e
Cosa per forza non vale scorza.

«V.E. può farmi piangere ma non cantare»
Diceva il musico Marchesi al generale Miollis.
Gatto che non è goloso non piglia mai sorcio— e
Se il tuo gatto è ladro, non lo cacciar di casa.

Ma quello del gatto è brutto mestiere.

Il cuore ha le sue ragioni e non intende ragione— e
Cuore malato non sente ragione.
Il cuore non sbaglia.

Lo dicono particolarmente le madri nei presentimenti lieti e tristi del loro cuore:
Nelle sue visioni quasi divino.

Il lupo sogna le pecore, e la volpe le galline.
Il diavolo può tentare, ma non precipitare.

Ognuno ha colpa de' suoi errori; le tentazioni, le passioni, sono scuse povere.

Il potestà nuovo manda via il vecchio-e

I santi nuovi metton da parte i vecchi — e

I santi vecchi non fanno più miracoli — e

Ai santi vecchi non gli si dà più incenso.

Gli amori nuovi fanno dimenticare i vecchi.

Le nuove cose fanno scordare le antiche; gli affetti si consumano .

L'abbondanza genera fastidio.

La lingua batte dove il dente duole.

Le belle cose piacciono a tutti fino a' minchioni— e

Tutte le bocche son sorelle: ed aggiungesi da quella del lupo in fuori, che vuole tutto per sé.
Le cose vanno fatte quando se ne sente il bisogno.
Mal si balla bene se dal cor non viene.

// ballo è cosa da innamorati. Ma vale poi anche che nessun divertimento ti fa prò, se non vi hai l'animo disposto. Nota qui
male, che sta per difficilmente.

 

Non è bello quel ch'è bello, ma è bello quel che piace.
Non manchi la volontà, che luogo e tempo non mancherà— e
Quando c'è la volontà, c'è tutto — ovvero
La volontà è tutto (o tutto fa) — e
A buona volontà non manca facoltà.
Ogni granchio ha la sua luna.

Quando la luna è tonda i granchi son pieni. (SERDONATI.)
Per fare una cosa bene, bisogna esser tagliati a buona luna.

A bene riuscire in una cosa, conviene esservi tagliati, cioè inclinati; essere in buona luna per farla, in buona disposizione,
averne voglia.

Più da noi è bramato, chè più ci vien negato.

Ruimus in vetium—e

Anco Adamo mangiò del pomo vietato.

Quando è alta la passione è bassa la ragione.

Sdegno e vergogna son pien d'ardire.

Se i desiderii bastassero, i poveri anderebbero in carrozza.

Sotto la bianca cenere, sta la brace ardente.

Tempo e fantasia si varia spesso— e

Si cambia più spesso di pensiero che di camicia.

Vedere e non toccare, è un bello spasimare-e

Volontà è vita.

 

(Vedi: Piacere, Dolore.)

 

Agricoltura, Economia rurale

Agli ulivi, un pazzo sopra (o da capo), e un savio sotto (o da piè).

Come pure:

Leva da capo e poni da piè.

Cioè bisogna tagliar molto e molto sugare; ma il primoo vale secondo i luoghi.

Albero che non fa frutto, taglia taglia.

Vale anche figuratamente.

All'apparir degli uccelli non gettar seme in terra.

Si può intendere anche del non far cose che poi ti sieno guastate.

A mezzo gennaio, metti l'operaio.

I buoni contandini pigliano spesso a mezzo gennaio l'oprante di fuori per affrettare i lavori, i quali è bene sieno fatti innanzi
alla primavera.

A Natale, mezzo pane; a Pasqua, mezzo vino.

Significa che il contadino deve procurare d'avere in casa a Natale la metà del pane per il suo consumo, ed a Pasqua mezzo il
vino per le imminenti faccende. Dicesi anche:

A mezzo gennaio, mezzo pane e mezzo pagliaio.

Andare scalzo e seminar fondo, non arricchì giammai persona al mondo.
Ara co' buoi, e semina colle vacche.

Nel lavorare la terra giova fare il solco profondo, ma non tanto poi nella sementa;— e

Chi lavora la terra colle vacche, va al mulino colla pulledra (o colle somare).

Le quali portano poca soma;— e

Ara poco (poco tratto) ma minuto e fondo se tu vuoi empire il granajo da cima a fondo.

Non deesi badare alla quantità, ma alla qualità nel lavoro della terra.

A San Martino la sementa del poverino— come pure
Sta meglio il grano al campo, che al mulino.

In quei giorni il grano da seme vuole già esser sotterrato.

Avaro agricoltor non fu mai ricco.

Beato quel Campetto che ha siepe col fossetto.

Cioè difeso ed asciutto.

Casa fatta e vigna posta, non si sa quel che la costa.

Ma si dice anche:

 

Casa fatta e vigna posta, mai si paga quanto costa. — e

Caro costa la vigna della costa.

Casa fatta, possession disfatta-ovvero

Casa fatta e terra sfatta.

E ben comprare casa in buon essere e podere trasandato.

Cavol riscaldato e garzon ritornato, non fu mai buono— e

Serva tornata non fu mai buona.

Garzoni, gli opranti fissi nelle case dei contadini, quelli che in alcuni luoghi chiamano mesanti, perché gli pagano a mese; ma
se una volta gli abbiano licenziati, non è bene ripigliarli: così della garzona, o fante, o guardiana che non sia della famiglia.
Serva è generico, e s'intende più spesso di quelle che stanno a servizio nelle case.

Cento scrivani non guardano un fattore, e cento fattori non guardano un contadino.

Chi affitta il suo podere al vicino, aspetti danno o lite o mal mattino— e

Chi affitta sfitta — ovvero

Chi affitta sconficca— e dicesi anche

Chi alluoga accatta.

La Toscana è tutta mezzerie: quindi gli affitti in discredito e non a torto, come speculazione da scioperati o da falliti.

Chi ara da sera a mane, d'ogni solco perde un pane.

Cioè, da Ponente a Levante, perché un lato d'ogni porca rimarrebbe senza sole.

Chi ara il campo innanzi la vernata, avanza di ricolta la brigata.-e
È meglio una buona e secca scalfittura che una buona e molle aratura.

Perché:

Chi ara terra bagnata per tre anni l'ha dissipata.
Chi ara l'uliveto addimanda il frutto—e

Chi lo letamina l'ottiene, chi lo pota lo costringe a fruttar bene. — ma
Il letame quand'è troppo forte alle piante dà la morte.

Se il letame è troppo possente abbrucia la capigliatura delle

radici e non possono queste più ricevere e filtrare i sughi della terra. Allora il sugo fattosi glutinoso si condensa e fa talvolta
morire le piante.

Chi assai pone (ed anche Chi lavora e Chi semina) e non custode, assai tribola e poco gode.
Chi ben coltiva il moro, coltiva nel suo campo un gran tesoro.
Chi cava e non mette, le possessioni si disfanno.

S'intende del concime, ed anche del ripiantare.

Chi disfà bosco e prà, si fa danno e non lo sa— e

Chi ha un buon prà, ha un tesoro e non lo sa.

Chi disse piano, disse tanto piano, che non ne toccò a tutti.

Nel primo caso piano vuol dire pianura, nel secondo vale a voce bassa. Questo gioco di parole sta a significare che le terre in
pianura sono desiderate da molti.

Chi dorme d'agosto, dorme a suo costo.

L'estate non è stagione da oziare pe' contadini: Qui stertit ai state, filius confusionis. (Proverbi.)

Chi fa le fave senza concio, le raccoglie senza baccelli.

Fare per seminare.

Chi ha bachi non dorma.

Chi ha carro e buoi, fa bene i fatti suoi.

Chi ha quattrini da buttar via (o Chi ha del pan da tirar via), tenga l'opre e non ci stia.

Tener l'opre, pigliare gente di fuori per fare un lavoro;— e

Fa più il padrone co' suoi occhi, che l'opre col badile.

Badile, strumento di ferro simile alla pala per cavar fossati.

Chi ha tutto il suo in un loco, l'ha nel foco.

Cioè in pericolo.

Chi ha un buon orto, ha un buon porco— e

Chi non ha orto e non ammazza porco, tutto l'anno sta a muso torto.
Chi ha vigna ha tigna.

Usasi a Roma dove le vigne recano grandi fastidj. (SERDONATI.)

Chi ha zolle, stia con le zolle.

Chi lavora di settembre, fa bel solco e poco rende.

Chi lo beve (il campo), non lo mangia.

Nei campi troppo vitati, la sementa rende poco.

Chi non ha il gatto mantiene i topi e chi l'ha mantiene i topi e il gatto.

 

Vale che, chi tiene il custode dei campi per guardarli dai ladri, spesso non fa che mantenere il custode ed i ladri. Il che
deve render cauti i proprietari nella scelta di questo custode. (PASQUALIGO, Prov. ven.)
Chi non semina non ricoglie.

Si usa anche figuratamente.

Chi non sa comprare compri giovane— e
Sulla gioventù non si fece mai male.

Nella compra del bestiame e in altre cose ancora.

Chi pianta datteri non ne mangia.

Credesi che il dattero duri cento anni prima di dar frutto.

Chi pon cavolo d'aprile, tutto l'anno se ne ride.

Posto in aprile spiga presto, ma non fa grumolo.

Chi prima nasce, prima pasce.

// grano seminato per tempo tallisce meglio.

Chi semina buon grano, ha poi buon pane; chi semina il lupino, non ha né pan né vino.

Chi semina con l'acqua, raccoglie col paniere-e

Chi semina nella mota raccolta vuota — e

Chi semina nella polvere, faccia i granaj di rovere — e

Le fave nel motaccio, e il gran nel polveraccio.

Nessuna sementa si fa bene nel terreno molle. Vero è però che l'ultimo di questi proverbi è anche usato diversamente secondo
i luoghi; ed in alcuni dispiace la sementa troppo asciutta. Tempo sementino chiamano quelle giornate coperte, ma non però
troppo fredde, con un po' di nebbia la mattina ed ogni tanto una pioggerella, dopo la quale il capoccio esce fuori a seminare
anche a rischio di dovere per qualche altra scossetta rifarsi più volte, cogliendo il tempo ed agiatamente, come sogliono
d 'ogni faccenda.

Chi semina fave, pispola grano.

La miglior caloria è quella delle fave.

Chi semina in rompone (o arrompone) raccoglie in brontolone.

Chi aspetta a rompere i campi a sementa, oppure, chi semina nel campo solamente rotto e non rilavorato e messo a seme,
raccoglie poco. (LAMBRUSCHINI.)

Chi semina sulla strada, stanca i buoi e perde la semenza.
Chi vuol di vena un granaj o lo semini di febbraio.
Chi vuole aver del mosto, zappi le viti d'agosto.

E un altro dice:

Chi pota di maggio e zappa d'agosto, non raccoglie né pane né mosto.

Chi vuole ingannare il suo vicino, ponga l'ulivo grosso e il fico piccolino.

Chi vuole il buon bacato, per San Marco o posto o nato— e

A San Marco ( aprile) il baco a processione — e

A San Marco nato, a San Giovanni assetato.

Chi vuole tutte l'ulive non ha tutto l'olio— e

Chi vuole tutta l'uva non ha buon vino.

Cioè che ad averlo buono vuoisi l'uva ben matura e non affrettarsi a vendemmiare, come fanno i contadini per la paura che
sia rubata. E chi vuole tutto l'olio gli conviene aspettare e rassegnarsi se qualche oliva gli casca.— Ma il proverbio non tiene
più, dacché si è visto che le olive con lo stare troppo sulla pianta danno olio peggiore; e dicesi anche:

Dal fiore al coppo vi è un gran trotto.

Detto dell'ulivo quando fiorisce molto, ma prima che sia a maturità vi son di gran pericoli.

Chi vuole un buon agliaio, lo ponga di gennaio.

Chi vuole un buon potato, più un occhio e meno un capo.

S'intende della vite, alla quale pure fanno dire:

Fammi povera, ti farò ricco — e

Ramo corto, vendemmia lunga.

Chi vuole un buon rapuglio, lo semini in luglio— e

Se vuoi la buona rapa, per Santa Maria ( agosto) sia nata.

Chi vuole un'oca fina, a ingrassare la metta a Santa Caterina.

/ contadini un po' agiati mettono ad ingrassare delle oche, le quali sogliono poi uccidere a santa Lucia ( dicembre) e le
conservano per la state, come più universalmente si suol fare del porco.

Chi vuole un pero ne ponga cento, e chi cento susini ne ponga un solo.
Chi vuol vin dolce non imbotti agresto.

E nel figurato significa, chi vuole dolce vita non metta male.

Con un par di polli, si compra un podere.

 

Lo dicono i contadini della facilità di mutar podere.

Da San Gallo ( ottobre) ara il monte e semina la valle.
Dice il porco, dammi dammi, né mi contar mesi né anni.

E dicesi anche:

Da vivo nessun profitto e da morto tutto — e

Il porco vuol mangiare sporco e dormire pulito.

Di settembre e d'agosto, bevi il vin vecchio e lascia stare il mosto.

Non t'affrettare alla vendemmia; ma

D'ottobre il vin nelle doghe — e

A vendemmia bagnata la botte è tosto consolata.

Dove è abbondanza di legno, ivi è carestia di biade.

Ne' luoghi boschivi, ed anche nei terreni molto piantati:— e

Piante tante, spighe poche.

Dove non va acqua ci vuol la zappa.

Cioè in collina.

Dove passi il campano nasce il grano.

// campano pende dal collo del becco, guida dell'armento che ingrassa i campi.

E meglio dare e pentire, che tenere e patire.

Può intendersi d'ogni cosa, ma principalmente del bestiame. Giovano le spesse vendite ancoraché si guadagni poco, perché a
tenere le bestie lungo tempo sulla stalla consumano troppo.

E meglio un beccafico che una cornacchia.

Intende che s'abbiano a comprare bestie grasse.

Fammi fattore un anno, se sarò povero mio danno.

E altramente:

Fattore, fatto re.

Fattore nuovo, tre dì buono.

 

 

Figlio di fava e babbo di lino.

Le fave quando riscoppiano dopo il gelo, fanno il loro frutto, non così il lino. (LASTRI.)

Formento, fava e fieno non si volsero mai bene.

È difficile che tutti tRe provino bene lo stesso anno.

Gente assai, fanno assai, ma mangian troppo, (o grande schiamazzo e lavoro mai).

Dei molti opranti a giornata e dei garzoni.

Giugno, la falce in pugno; se non è in pugno bene, luglio ne viene.

Di luglio è tardi a segare il grano: ma fa poi male anco chi anticipa temendo che il sole troppo repente gli dia, come suol
dirsi, la stretta, perché

Non v'è la peggio stretta di quella della falce.
Gran fecondità non viene a maturità.
Grano e corna vanno insieme.

Quando il primo è a buon mercato, il bestiame non è caro, e viceversa.

Grano già nato non è mai perso.

Gran pesto fa buon cesto.

Il bue lascialo pisciare e saziar di arare.

Il buon lavoratore rompe il cattivo annuale.

Annuale, è voce solenne dei contadini per annata, cioè, per l'insieme delle stagioni, o del prodotto di un anno.
Il gran rado non fa vergogna all'aja.

Loda seminare il grano rado. Quanto al grano turco dicesi:

Fatti in là fratello se tu vuoi che facciamo un bel castello.

Cioè una bella pannocchia;— e

Scalzami piccolo e incalzami grande.

E il gran turco che parla: ed è savio consiglio seguito dai buoni agricoltori. E quando si dice:

Del fitto non ne beccan le passere.

deve intendersi che non ne beccano, perché il grano viene di cattiva qualità, e le passere, come gli altri uccelli, cercano
sempre il migliore.

Il campo con la gobba dà la robba.

Il fieno folto si taglia meglio del chiaro.

Nel mentre che il proverbio accenna un fatto chiaro per sé, dà anche un buon consiglio per la seminatura dell'erbe.

Il lino per San Bernardino ( maggio) vuol fiorire alto o piccino.
Il guadagno si fa il giorno della compra.

 

Detto specialmente del bestiame.

Il miglio mantiene la fame in casa.

// miglio seminato spesso è a carico, e non leva la fame.

Il pennato è quello che fa la foglia.

// gelso si rinforza tagliandolo per l'anno seguente; ma il coltello, come dicono i nostri villani, dev'essere ben tagliente onde
non iscorticare quella pianta delicata, che altrimenti ne soffrirebbe assai, tISS.li, anziché averne vantaggio.

Il proprietario di campagna trema sei mesi dal freddo e sei dalla paura.

Il sugo non è santo, ma dove casca fa miracoli.

Il vecchio pianta la vigna, e il giovine la vendemmia.

Il vino nel sasso, ed il popone nel terren grasso.

In campo stracco, di grano nasce loglio.

In montagna chi non vi pota non vi magna.

L'acqua fa l'orto.

La pecora ha l'oro sotto la coda.

Pel concime: onde dice

La pecora sul c. . . è benedetta e nella bocca maledetta— ovvero

La pecora sarebbe buona se la bocca l'avesse in montagna ed il c... in campagna.

Cioè il suo dente è fatale alle piante;— e

La pecora è per il povero, non il povero per la pecora.
Rende molto ma vuol esser trattata bene. (PASQUALIGO, Proverbi veneti).
La prima oliva è oro, la seconda argento, la terza non vai niente.
La saggina ha la vita lunga.

Sta molto sotto terra prima di nascere; ma con un gioco di parole s'adopra pure a significare la felicità del saggio.
La segale nella polverina e il grano nella pantanina.

La segale vuol terreno piuttosto sottile; il grano ama le terre grosse che si chiamano pantanine, perché sono atte a far
pantano (LAMBRUSCHINI.)

La segale o il segalato fece morir di fame la comare.
Lavora o abborraccia, ma semina finché non diaccia— e
O molle o asciutto, per San Luca ( ottobre) semina.
Lavoratore buono, d'un podere ne fa due; cattivo ne fa un mezzo.
Le bestie vecchie muoiono nella stalla de' contadini minchioni.
Loda il monte e tienti al piano.
L'orzòla, dopo due mesi va e ricòla.

Va ' e ricoglila.

Molta terra, terra poca; poca terra, terra molta.

La molta terra lavorata male, equivale alla poca, e viceversa: Laudato ingentia rura, Exiguum colito. (Georgiche.) E
l'Alamanni

Che assai frutto maggior riporta il poco
Quando ben culto sia, che il molto inculto

Neanche il contadino ara bene se non s'inchina.

Non mi dare e non mi tórre; non mi toccar quando son molle.

È la vite che parla;-e

Se tu vuoi della vite trionfare, non gli tórre e non gli dare, e più di due volte non la legare— e
L'annestare sta nel legare.

Le viti si contentano di non esser governate, purché non si spolpi il terreno intorno alle barbe con far semente che lo
dissughino.— Non mi toccare quando son molle, appartiene al potare, e così il più di due volte non mi legare, che non avrebbe
senso opportuno dove le viti vanno su' luppi, ma per le viti basse vuol dire che il capo lasciato non sia tanto lungo da doverlo
legare più di due volte (LAMBRUSCHINI);-e

Vangami nella polvere, incalzami nel fango, io ti darò buon vino.
Non s'ara come s'erpica.

Arare come s'erpica farebbe lavoro troppo leggiero; mai può valere figuratamente, che ogni cosa vuole il suo modo.

Per arricchire bisogna invitire (o avvitire).

Cioè, piantar viti.

Per fare un buon campo ci vuole quattro m: manzi, moneta, merda e mano.
Per San Gallo ( ottobre) para via e non fai fallo.

Para via, conduci i bovi aggiogati sul campo per arare.

Per San Luca chi non ha seminato si speluca.

 

Si speluca, si batte l'anca e si mette le mani ai capelli. Perciò bisogna arare la terra sia molle o asciutta. (PASQUALIGO,
Prov. ven.).

Per Sant'Andrea piglia il porco per la sèa (setola); se tu non lo puoi pigliare, fino a Natale lascialo andare-
-e

Per San Tomè, piglia il porco per lo piè.

/ contadini un po' agiati ingrassano un porco, il quale sogliono ammazzare al principio dell'inverno, e serve poi tutto l'anno
pel consumo della casa.

Per Santa Croce e San Cipriano semina in costa e semina in piano.

Proverbio spagnuolo.

Per Santa Maria Maddalena ( luglio) si taglia la vena.

Per Sant'Urbano ( maggio) tristo quel contadino che ha l'agnello in mano.

Poco mosto, vii d'agosto-ovvero

Poco vino vende vino, molto vino guarda vino — o

Poco vino vendi al tino; assai mosto serba a agosto— e Poca uva, molto vino; poco grano, manco pane.

Quando v'è molto vino, molto se ne beve, e nell'estate rincara; ma quando è poco, si fa bastare: il pane si finisce presto.

Poni i porri e sega il fieno, a qualcosa la chiapperemo.

Pota tardi e semina presto, se un anno fallirai, quattro ne assicurerai.

Presto per natura, e tardi per ventura.

Delle sementi, che fatte tardi è gran ventura se corrispondono; per il che si dice:

Chi semina a buon'ora, qualche volta falla, e chi semina tardi, falla quasi sempre.
Quando canta il Cucco v'è da far per tutto; o cantare o non cantare, per tutto c'è da fare.
Quando canta il Ghirlindò (o Ghirlingò), chi ha cattivo padron mutar lo può.
Quando canta il Fringuello, buono o cattivo, tienti a quello.

Ghirlingò o Zirlingò, è un uccelletto che canta la primavera; il Fringuello canta il verno;— e

Quando canta il Merlo, chi ha padron si attenga a quello.

Canta di settembre e d'ottobre, vegnente il verno, nel quale tempo è mala cosa ai contadini trovarsi senza padrone. Il tempo
utile per le disdette scade in Toscana a ' novembre.

Quando canta l'Assiolo, contadin, semina il fagiolo.
Quando il grano ricasca, il contadino si rizza.

Quando il grano ricasca è segno che v'è molta paglia, ossia, che il grano è fitto e rigoglioso. E però quando pure renda meno,
perché allettato, sempre si raccoglie più che quando è misero. (LAMBRUSCHINI). Il grano ritto sullo stelo accusa spiga
leggiera e piuttosto scarsa.

Quando il grano è ne' campi, è di Dio e de' Santi; (o è di tutti quanti).

E sempre esposto a mille casi: ma

Quando è su' granai (o solai) non se ne può aver senza denai.
Quando la terra vede la vena per sett'anni la terra trema.

Smunge il terreno.

Quando luce e dà il sole, il pastor non fa parole.
Esce subito con le pecore alla campagna.
Quando mette la querciola, e tu semina la cicerchiola.
Quanto più ciondola, più ugne.

L'ulivo.

Quattrin sotto il tetto, quattrin benedetto-e
Guadagno sotto il tetto, guadagno benedetto — e
Dove son corna, son quattrini.

// guadagno della stalla è parte principalissima nella economia del podere.

Rivoltami, che mi vedrai.

Parla qui la terra chiedendo vanga, della quale dicesi:

La vanga ha la punta d'oro — e
Chi vanga non l'inganna.

Cioè, con elissi famigliarmente ardita: chi vanga, dal vangare non è ingannato; il vangare non lo inganna, non lo tradisce, gli
porta frutto; e di chi va molto a fondo negli scassi fino a cercare la terra giovine.

Il curioso raccoglie frutto— e quindi

Vanga piatta poco attacca; vanga ritta, terra ricca; vanga sotto, ricca al doppio — e
Vanga e zappa non vuol digiuno.

Cioè la vanga e la zappa vogliono uomo ben pasciutto che lavori forte. E dello strumento:

Chi vuol lavoro degno, assai ferro e poco legno.

Cioè sia la vangheggiola lunga. Havvene altro grazioso usato in Sicilia che gli abbraccia tutti:

 

L'aratro ha la punta di ferro; la zappa l'ha d'argento; D'oro l'ha la vanga; e quando vuoi far lavoro
degno, metti tra la vanga molto ferro e poco legno.
Rovo, in buona terra covo.

Dove allignano i rovi, i roghi, la terra è buona pel grano. (LAMBRUSCHINI.)

San Luca, cava la rapa e metti la zucca.
Se ari male, peggio mieterai.

Se d'aprile a potar vai, contadino, molt' acqua beverai e poco vino— e
Chi nel marzo non pota la sua vigna, perde la vendemmia.

Bisogna aver potato prima.

Sega l'erba a luna nuova e la vacca al bisogno trova.

Perché allora più prontamente rigermogliano le erbe. Causa ne sarebbe la maggiore umidità dell 'atmosfera nei novilunii.

Se il coltivatore non è più forte della su' terra, questa finisce col divorarlo.

Se tagli un cardo in aprii, ne nascon mille.

Se tu vuoi empir le tina, zappa il miglio in orecchina.

// miglio si fa spesso sulle prode addosso ai filari: quindi a zapparlo conviene andare a sentita, o quasi stare in orecchie, per
non offendere le barbe alle viti.

Solco rado empie il granaio.
Tante tramute, tante cadute— ovvero
Ogni muta, una caduta.

Correggere i padroni troppo facili a mutare i lavoratori; e i lavoratori troppo facili a mutar padrone.

Terra bianca, tosto stanca— e all'incontro
Terra nera, buon grano mena.
Terra coltivata, ricolta sperata.
Terra magra fa buon frutto.

Genera frutta saporite.

Terren grasso villano a spasso.

Tra mal d'occhio e l'acqua cotta, al padron non gliene tocca.

Della raccolta delle fave: non gliene tocca cioè, tra maldocchio o i succiameli che le distruggono, e i contadini che le
cuocciono e se le mangiano innanzi di dividerle col padrone.

Tre cose vuole il campo: buon lavoratore, buon seme e buon tempo.
Vigna al nugolo fa debol vino.

Cioè vigna con poco sole, sia colpa del luogo dov'è posta o dell'annata oscura e piovosa.

Vigna piantata da me, moro da mio padre, olivo dal mio nonno.

 

(Vedi: Meteorologia.)

 

Allegria, Darsi bel tempo

Allegrezza fa bel viso (o fa lustrare la pelle del viso).
Allegria segreta, candela spenta.

L'allegrezza può esser gaudio del cuore segreto, ma propriamente l'allegria è tripudio di molti insieme che abbiano voglia di
stare allegri quando anche non abbiallo allegrezza dentro.

A fare il vecchio si è sempre a tempo.
Animo e cera, vivanda vera.

Buono animo e buon viso, pietanze che fanno prò; e non ne godi tu solamente, ma chiunque vive o mangia teco. E perché
bastano da sé sole è motto di chi si scusa dell'esser scarso nell 'onorare altrui con vivande scelte.
Chi gode un tratto, non stenta sempre— e
Godiamo, chè stentar non manca mai — e

Chi si contenta gode e qualche volta stenta: ma è un bello stentar, chi si contenta.

Spesso suol dirsi ironicamente di chi vuol fare a modo suo;— e

Una voglia non fu mai cara.

Ma chi disse:

Le voglie si pagano, Aveva più esperienza.

Chi ride e canta, suo male spaventa— e
L'allegria, ogni mal la caccia via.
Chi se ne piglia, muore.

 

Chi troppo ride ha natura di matto; e chi non ride è di razza di gatto.
Chi vuol vivere e star bene, pigli il mondo come viene.

E più argutamente:

La morte ci ha a trovar vivi.
Doglia passata, comare dimenticata.

Faccia chi può, prima che il tempo mute: che tutte le lasciate sono perdute-e
Ogni lasciata è persa.

Così si dice delle occasioni di darsi bel tempo.

Fatta la roba, facciam la persona.

Cioè godiamocela; e dicesi pure:

Chi ha fatta la roba, può far la persona.

Può riposare: e usasi pure quando alcuno si leva da letto tardi.

Gente allegra Iddio l'aiuta.

Grave cura non ti punga, e sarà tua vita lunga.

Il pianger d'allegrezza è una manna.

Il piangere puzza a' morti e fa male a' vivi.

Il riso fa cuore-e

Il riso fa buon sangue — e

Ogni volta che uno ride, leva un chiodo alla bara.

(Vedi Illustrazione I, in fine al volume.)

L'allegria è il primo rimedio della scuola salernitana.

La roba non è di chi la fa, ma di chi la gode.

E dicesi per scherzo: Chi non consuma, non rinnuova.

Non è il più bel mestiere, che non aver pensiere.

Non s'ha se non quello che si gode.

Palla in bocca e fiasca in mano.

Para via malinconia, quel ch'ha da essere convien che sia.

Pazzo e colui, che strazia sé per dar sollazzo altrui.

Pensiero non pagò mai debito-o

Malinconia non paga debito — e

Un carro di fastidi non paga un quattrin di debito.

Scrupoli e malinconia, lontan da casa mia.

Va' in piazza, vedi e odi: torna a casa, bevi e godi.

 

Ambizione, Signoria, Corti

Alla corte del Re ognun faccia per sé.

Chi a molti dà terrore, di molti abbia timore.

Multos timere debet, quem multi timent (PUBLIO SIRO);-e

Chi fa temere ogni uomo, teme ogni cosa.

Chi bene e mal non può soffrire, a grande onor non può venire— e

Chi attende a vendicare ogni sua onta, o cade d'alto stato o non vi monta.

// procedere dell'ambizioso vuole pazienza: è un farsi strada tra una folla d'accorrenti, e qualche botta pure si tocca; convien

beccarsela in santa pace e tirar via.

Chi è in alto, non pensa mai al cadere.

 

Il rubare non fa truttare.

Il mondo è un pagliaio, chi non lo pela è un minchione.

Pelare, per cavar la paglia filo per filo.

I morti non rubano perché hanno legate le mani.

Da questo si può giudicare d'altri molti proverbi che sono spropositi di chi per la rabbia non sa quello che si dice, o di molti
sguaiati per farsi onore con gli sguaiati.

I bei partiti fanno andare gli uomini in galera— o

 

Per vantaggio, si va in galera.

Ladro piccolo non rubare, che il ladro grande ti fa impiccare.

La molta cortesia, fa temere che inganno vi sia.

La roba degli altri consuma la propria.

La roba degli altri ha lunghe mani.

Ripiglia tosto la roba sua e di più, te medesimo.

La roba del compagno fa enfiar le gambe.

La roba va secondo che la viene— e

Chi mal tira, ben paga.

Molti ladri siedon bene.

Quel che vien di ruffa raffa, se ne va di buffa in baffa.

Di ruffa raffa, d'imbrogli e di ruberie; di buffa in baffa, dal portare il berrettino al metter la barba.

Reputazione e guadagno non istanno quasi mai nello stesso sacco.
Roba trovata e non consegnata è mezza rubata.

Tre cose fanno l'uomo ricco, guadagnare e non ispendere, promettere e non attendere, accattare e non
rendere.

 

(Vedi Coscienza, Castigo dei falli.)

 

Gioco

Al gioco si conosce il galantuomo— e
Il tavolino è la pietra di paragone.
Al balordo mutagli gioco.

Perché l'antico ha imparato a mente, ma il nuovo non indovina.

Assai vince chi non gioca.

Carta che venga, giocator si vanti— e

Ognuno sa giocare, quando la gli dice bene.

Carta para, tienla cara.

Chi dal Lotto spera soccorso, mette il pelo come un orso— e
Chi gioca al Lotto è un gran merlotto— e
Chi gioca al Lotto, in rovina va di botto.
Chi dà vantaggio, perde.

Dare vantaggio nel gioco, o dare dei punti e simili, vale far giocare l'avversario a migliori condizioni, e trattandolo come da
meno, rendergli più facile la vincita.

Chi è più vicino al sussi (o al lecoro), fa sei.

Sussi (o lecoro secondo i giuochi e secondo i luoghi), la carta o segno qualunque dove si raccolgono tutti i denari che formano
il banco.

Chi gioca a' trionfini, perde la pazienza e i quattrini.

Chi gioca a primiera e non va a primiera, perde a primiera.

Andare a primiera è tenersi in mano quelle carte che poi conducano a far primiera—e

A primiera i due assi, menano a spasso.

Cioè, fanno perdere.

Chi gioca per bisogno, perde per necessità.
Chi gioca, non dorme.

Può dire egualmente che il giocatore sta all'erta per non essere ingannato, o che perde la tranquillità e il riposo.

Chi ha buono in mano, non rimescoli.

Cioè, chi ha buone carte. Figuratamente vale che chi sta bene, non cerchi altro.

Chi ha fortuna in amor non giochi a carte.
Chi non può dare alla palla, sconci.

Cerchi mandare all'aria il gioco, quando non può riuscirgli a bene.

Chi non può giocare metta al punto.

Chi non vuol perdere, non giochi.

Si dice contro a' brontoloni, i quali, se perdono, buttano all'aria il tavolino.

Chi perde, giocherà, se l'altro vuole.

Chi è in isvantaggio non sa difendersi dal ricominciare.

 

Chi presta sul gioco, piscia sul fuoco.

Chi sa il gioco, non l'insegni.

E si dice anche fuori del gioco.

Chi si vuol riaver, non giochi più— e

Egli è molto da pregiare, chi ha perduto e lascia andare.

Chi va al gioco, perde il loco.

Chi vince da prima, male indovina (o perde da sezzo)-e

Chi vince da sezzo empie il sacchetto— e

Chi vince prima, perde il sacco e la farina-e

Chi vince poi, perde il sacco e i buoj.

Chi vince non dileggi, e chi perde non s'adiri.

Denari di gioco, oggi te li do, domani te li tolgo.

Giocare e perdere lo sanno far tutti.

Il gioco di bambara, chi più vede manco impara— e

Sette e figura, prova tua ventura, sette e fante dagli tutte quante.

Il gioco è guerra.

Ludimus effigiem belli. (VIDA.)

Il gioco ha il diavolo nel core— e

Dove si gioca, il diavolo vi si trastulla.

Il perdere fa cattivo sangue— e

Il gioco vien dall'ira, uno paga e l'altro tira.

Non bisogna giocare con chi propone i giochi.

Perché ne sa troppo.

Non si deve far torto al gioco.

Non ti mettere a giocare, se non vuoi pericolare— e

Il gioco risica la vita e rosica la roba.

Quando è perduto il re, è finito il gioco.

Tolto dagli scacchi.

Si gioca per vincere-e

Non si può vincer sempre.

Si perde molto, per essere stolto.

Terno, il duol dell'inferno.

Perché non vengono mai— e

Che tu possa vincere un ambo al lotto!

E imprecazione perché chi ha vinto un ambo seguita a giocare e si rovina: lo stesso popolo dice in quest'altro proverbio che
lavorare e lavorare danno le sole vincite che fanno prò.

Ambo lavorar, terno seguitar, quaderna e cinquina lavorar dalla sera alla mattina.

 

Giorno, Notte

Chi fa di notte, si dipar di giorno— e
Opra di notte, vergogna di giorno— e
Lavoro fatto di notte non vai tre pere cotte.

/ due primi dicono le donne più specialmente dei cuciti, o d'altro lavoro fatto a veglia, che non riesce mai bene, e le magagne

si veggono poi di giorno.

Di giorno tingi, e di notte fingi.

La mattina è la madre de' mestieri, e la notte de' pensieri.

La notte assottiglia il pensiero— e

La notte è madre de' consigli.

La notte è fatta per gli allocchi-e

All'Ave Maria, o a casa o per la via— e

Tra vespro e nona, non è fuor persona buona— e

Cani, lupi, e botte, vanno fuori di notte— e

Da nona alla campana esce fuora la...

La campana suonava in Firenze dalle , alle di sera. Del s'è guadagnato ch'ella non suoni più— e

 

Chi va di notte, ha delle bótte o (va alla morte)— e

Sta' sul fuoco quando è sera, a grattar la sonagliera, se aver vuoi la pelle intera.

Le ore della mattina hanno l'oro in bocca.

Né donna né tela non guardare al lume di candela— e

Al lume di lucerna, ogni rustica par bella— e

Alla candela, la capra par donzella— e

Ogni cuffia per la notte è buona— e

Al buio la villana è bella quanto la dama— e

Al buio tutte le gatte son bigie.

E tutte le donne a un modo: non importa che le guardino troppo al vestito che le hanno in dosso; e però lo dicono quando
escono vestite da casa alla buona.

Parole da sera, il vento se le mena.

La sera non è fatta per le faccende, ma per la conversazione, dove le parole portano meno a conseguenza.
Quando vien la sera, la vecchia si dispera.

// cadere della sera accresce malinconia: la tristezza diventa disperazione, massime nelle donne vecchie e prive di conforti e
di passatempi.

Vegliare alla luna e dormire al sole, non fa né prò né onore.

 

Gioventù, Vecchiezza

A cane che invecchia, la volpe gli piscia addosso.
Al gran vivere la morte è beneficio.

Al vecchio non manca mai da raccontare, né al sole né al focolare-e
Il vecchio ha l'almanacco in corpo.
Amicizia e nimistà non sta ferma in verde età.
Angelo nella giovanezza, diavolo nella vecchiezza.
A testa bianca spesso cervello manca.

L'età non sempre dà senno.

Beata chi di vecchio pazzo s'innamora.

Correggi: quella che sa innamorare un vecchio pazzo.

Bue fiacco stampa più forte il piè in terra.

I vecchi sono più considerati che i giovani nelle cose loro, e più saldi e più fermi e costanti nelle risoluzioni.

Chi barba non ha e barba tocca, si merita uno schiaffo nella bocca.

Allude al rispetto dovuto a chi è maggiore d'età.

Chi dà una giovane per moglie a un vecchio, gli dà la culla per dote.
Chi ha cinquanta carnevali, si può metter gli stivali.

Cioè mettersi in ordine di partenza— e
Dai sessanta in su non si contan più.

Chi mangia la midolla con i denti, mangia la crosta con le gengive.

Usasi per dire che chi ha fuggito la fatica da giovane stenta da vecchio.

Chi non fa le pazzie in gioventù le fa in vecchiaia— e

Chi non s'innamora da giovane, s'innamora da vecchio.

Chi più vive, più muore.

Chi ride in gioventù, piange in vecchiaia.

Ciò che la vecchiezza guasta, non c'è maestro che la raccomodi.

Consiglio di vecchio, e aiuto di giovane.

Credi agli anni.

Dal vitello si conosce il bue.

Anche il diritto ha bisogno d'aiuto.
Chi a piati s'avvicina, a miseria s'incammina.
Chi compra il magistrato, vende la giustizia.
Chi è in tenuta, Iddio l'aiuta.

Cioè, in possesso: ed il concetto medesimo si suole esprimere in quest'altro modo:

A cacciare un morto ce ne vuol quattro; a cacciare un vivo ce ne voglion ventiquattro.

Altri dichiarano il concetto in questo modo:

A cavar di casa un morto, ce ne vuol quattro dei vivi.
Chi fugge il giudizio, si perde— e
Chi non compare, si perde.

Vadimonio fiunt.

Chi ha la sentenza contro, e se n'appella, a casa porta due triste novelle.

Chi ha ragione teme, chi ha torto spera.

Chi negozia con scrittore e con notaro litiga di raro.

Chi mette in carta ogni cosa, e procede legalmente.

Chi perde a ragion non perde nulla.

Cioè, chi perde giustamente, avendo già il torto.

Chi si giustitica dalla legge, cade dalla grazia.

Chi troppo prova, nulla prova.

Colle mani in mano non si va da' dottori.

Con le leggi si fa torto alle leggi.

Con ragione patisce, chi senza ragione piatisce.

Da giudice che pende, giustizia invan s'attende.

Di tre cose il diavolo si fa insalata, di lingua d'avvocati, di dita di notaj, e la terza è riservata.
È meglio esser martire che confessore.

Meglio, per coloro che sono in forza della giustizia patire i tormenti, che confessare i delitti commessi. (SERDONATI.)

E meglio una mano dal giudice, che un abbraccio dall'avvocato.
Perché l'avvocato ti dà ragione sempre.
Finché la pende, la rende.

Finché la lite pende, porta guadagno a procuratori, avvocati e notai.

Gran giustizia, grande offesa.

Summum jus, summa injuria.

Il buon giudice, spesso udienza, raro credenza-e
Il buon giudice tosto intende, e tardi giudica.
Il litigare è uno smagralitigatori, e ingrassavvocati—e
La penna dell'avvocato è un coltello di vendemmia— e
Piatire e litigare all'avvocato è un vendemmiare.
I patti rompon le leggi.

La giustizia è fatta come il naso, che dove tu lo tiri viene.
La giustizia catalana, mangia la pecora e la lana.

Proverbio nato nei tempi del governo spagnolo.

La legge effetto, e la grazia affetto vuole.

La limosina si fa colla borsa, e non col bossolo.

Vale che per compassione non si dee offendere la giustizia in favor de' poveri. Il bossolo è l'urna che va attorno per i partiti.

La lite vuol tre cose, piè leggiero, poche parole e borsa aperta.

La propria roba si può prendere dove si trova.

La veste de' dottori è foderata dell'ostinazione de' clienti— e

Gli sciocchi e gli ostinati fanno ricchi i laureati.

L'inferno e i tribunali son sempre aperti.

Lite intrigata, mezza guadagnata.

Meglio assolvere un peccatore, che dannare un giusto.

Né solamente delle sentenze dei magistrati, ma dei giudizi degli uomini.

Meglio la corte che la croce.

Meglio un magro accordo, che una grassa sentenza.
Muovi lite, acconcio non ti falla.

Detto di chi muove liti spallate per istrapparne, in via d'accordo, qualcosa.

 

Né a torto né a ragione, non ti lasciar mettere in prigione.

E al tempo del Serdonati si diceva:

Dio mi guardi dalle prigioni del Duca.

Nessun buono avvocato piatisce mai.

Non c'è cattiva causa che non trovi il suo avvocato.

Ma s'intende spesso della diversità dei pareri e delle gatte a pelare che molti pigliano favellando.

Non trescar co' ferri di bottega.

Per ferro di bottega s'intende la gente di tribunale— e

Notai, birri e messi, non t'impacciar con essi— e
Birra, potestà e messo, tre persone e un birra stesso.
Piatire, dolce impoverire.
Procuratori, pelatori, piluccatori, pericolatori.
Proteste e serviziali non fan né bene né male.
Quattrini e amicizia rompon le braccia alla giustizia.

E per via di un giuoco di parole:

Donato ha rotto il capo a Giusto.

Se tu hai torto fa' causa, se tu hai ragione, accordati.

Quel sublime imbroglione del Mirabeau soleva dire dell'avversario suo l'Abate Maury: — quando egli ha ragione disputiamo,
e quando ha torto io lo schiaccio.

Son più i casi delle leggi.
Tra due litiganti, il terzo gode.

 

Governo, Leggi, Ragion di Stato

All'ufficio del Comune, tristo o buono, ce ne vuol uno.
A popol sicuro non bisogna muro.
Beata quella città che ha principe che sa.

Savio e sapiente più che saputo: «Federigo di Prussia credette (come i filo sofisti di quel tempo) che l'amore della virtù
consistesse nel decomporre, negare, discredere; e nelle lettere private sfoggiò cinico disprezzo per ogni credenza; ma
l'egoismo di quella scuola applicava agli interessi di re, e diceva: Se volessi gastigare una mia provincia la darei a governare
ad un filosofo.»

Biasimare i principi è pericolo, e il lodargli è bugia.

Chi comanda non suda.

Chi dice parlamento, dice guastamento.

Antico proverbio fiorentino dei tempi della Repubblica: fare parlamento allora significava chiamare il popolo in piazza; il che
ogni volta portava seco qualche mutazione nello Stato, ed era ogni volta cagione di scandali.

Chi disse ragion di Stato, disse un tristo; e chi disse ragion di confino, disse un assassino.

Chi fa la legge, servarla degge.

Chi fonda in sul popolo fonda in sulla rena.

Sul popolo, cioè su quella parte mobile d'esso popolo che ad ogni vento si leva in alto, e levata, si disgrega; e perché sola si
mostra e sola si muove, acquista un nome che si conviene a tutti: cercate più in giù e troverete il terreno sodo.

Chi mangia la torta del comune, paga lo scotto in piazza.
Chi non ha visaccio, non vada in Palazzo.

Chi non è sfacciato, chi non ha il viso inverniciato, non si metta a stare in corte; così spiega il Serdonati, e certamente bene
assai: ma il Proverbio forse era nato prima di lui e della corte.

Chi più edifica più distrugge.

Segnatamente quando si tratta di ordinamenti civili o politici.

Chi serve al comune, non serve a nessuno.
Chi troppo mugne, ne cava il sangue.

Si dice delle troppe gravezze.

Con poco cervello si governa il mondo.

Videbis, fili mi, quam parva sapientià regitur mundus. Ricordo lasciato dal grande Cancelliere Oxenstiern.

Dappoiché i decreti hanno avuto ale, e i soldati valigie, e che i monaci vanno a cavallo, ogni cosa è andata
male.

Da principe bugiardo lìbera nos, Domine.
Dio ci manda la carne, e il diavolo i cuochi.
Dov'è il Papa, ivi è Roma.

 

Roma illic est, ubi est imperator. Erodiano: e Atene era sulle mura di legno (ne' navigli che la difendevano) e a mal grado
Napoleone la Spagna a Cadice; e prima, Siena a Montalcino.

Dove parlano i tamburi taccion le leggi.
D'un disordine nasce un ordine.
Duro a vecchia licenza, nuova legge.

Duro, latinamente durum; dura cosa è frenare con leggi la licenza passata in abito.

È meglio città guasta che perduta.

Detto crudele di Cosimo padre della patria.

E' si danno gli ufficii, ma non la discrezione.

Fatta la legge, pensata la malizia.

Forca vecchia, spia nuova.

Forca si dice ad uomo degno di forca.

Garbuglio fa pe' male stanti.

Gli inconvenienti degli Stati sono come i funghi.

Che nascono in una notte.

Guai quando i giovani comanderanno e che le botteghe si toccheranno.

E antichissimo a Venezia, e tutto improntato di quella politica sapienza, della quale si conservano pur tuttavia le tradizioni nel
popolo veneziano. Lo avemmo noi dal Sagredo, che uomo di quella scuola, e che bene vi scorgeva quasi una profezia del
presente. «La smania del comandare (dice) egli ed il rinnegare che s'è fatto l'autorità dell'antico senno, e l'esorbitante
vastità delle industrie, donde le turbe dei nulla aventi accesi ad ogni cupidità queste cose a noi recarono i mali frutti che tutti
assaggiano, e son la piaga del tempo nostro ".

Guelfo non son, né Ghibellin m'appello; chi mi dà più, io volterò mantello— o
Chi mi dà da magniar, tengo da quello.
I birri pigliano, e il popolo impicca.

Quando alcuno è preso, il popolo subito giudica della pena che dee patire. (SERDONATI.)

I cervi non comandano a' leoni, ma i leoni a' cervi.

II buono a nulla è assistito dalla legge di tutti.
Nel che sta il bene e la ragione delle società civili.
Il buon pastore tosa, ma non iscortica.

Il buono ufficiale vuol aver due cose, mano larga e brachetta stretta.

Chi è a governo d'altri né avaro né libertino. (SERDONATI.)

Il fisco è come l'idropico.

Cresce il corpo e impiccollisce le membra.

Il governo che arricchisce, sempre a' sudditi gradisce.
Il magistrato è paragon dell'uomo.

Ed il Guicciardini disse stendendo il proverbio alla forma del suo scrivere: «Il magistrato fa manifesto il valore di chi lo
esercita.»

Il peccato del signore fa piangere il vassallo— e
De' peccati de' signori fanno penitenza i poveri.

Spesso i principi fanno eccessive spese, e non bastando loro le proprie entrate, si rinfrancano con balzelli. (SERDONATI.)

Il pesce comincia a putir dal capo-e

Dal capo vien la tigna.

Spesso il male vien da' reggenti.

Il popolo, quando falla, dev'essere gastigato; ma il principe, se erra, dev'esser avvisato.
Il re va dove può, non dove vuole.

Anch'egli (guardandovi) è servo dei servi; niuno ha maggiori obbligazioni e niuno dipende da maggior numero di persone;
dipende da tutti. Il buffone di Filippo II diceva al re: «se quando voi dite sì, tutti dicessero no, come, o Sire, ve la
cavereste?)».

I principi confettano gli stronzi.

Cioè indorano i da nulla.

I principi hanno le mani lunghe— e

Un gran principe sempre have, lunghe mani ed ira grave.

I principi sono come i contadini, ogni anno ingrassano un porco e poi se lo mangiano.

Questo Proverbio somiglia al detto di Catone maggiore: «Il re per natura è un animale carnivoro.» (GIOBERTI.) lo credo
piuttosto che qui si debba intendere dei favoriti; e il proverbio sia nato sotto il governo spagnolo, dove ogni re aveva i suoi
creati e i suoi privati che un tempo ingrassavano e per il solito facevano mala fine.

I sudditi dormono cogli occhi del principe.
L'acqua e il popolo non si può tenere.

 

La legge nasce dal peccato— e

Dai mali costumi nascono le buone leggi.

L'altissimo di sopra ne manda la tempesta, l'altissimo di sotto ne mangia quel che resta, e in mezzo a due
altissimi restiamo poverissimi.

Questo Proverbio nacque con Napoleone I; ma non è morto nel maggio. (Raccolta veneta.)

La pietra del ministro al reo non giova.
Cioè, che il ministro sia lapidato.
L'avarizia de' re, peste dei regni.
Le leggi si volgono dove i regi vogliono.
L'ordine è pane, e il disordine è fame.
L'unione alla città è gran bastione.
Mai sbandito fe' buona terra.

Lo ha riferilo il Cantù.

Bisogna compartire il refe secondo le pezze.

Accomodare i mezzi al fine.

Bisogna far la spesa secondo l'entrata.

Chi butta via oro con le mani, lo cerca co' piedi.

Cioè, mendicando o esulando.

Chi compra il superfluo venderà il necessario.

Chi dà del pane a' cani d'altri, spesso viene abbaiato da' suoi .

Chi dà il suo avanti di morire, apparecchiasi a ben soffrire.

Detto specialmente contro i vitalizii.

Chi della roba non fa stima o cura, più della roba la sua vita dura.
Chi fa tutte le feste, povero si veste.

Rimane povero, e non ha poi da rifarsi il vestito.

Chi getta la sua roba al popolazzo, si trova vecchio poi, povero e pazzo.
Chi ha poco, spenda meno.

Chi ha quattro e spende sette, non ha bisogno di borsette.

Chi imita la formica la state, non va pel pane in presto il verno.

Chi la mattina mangia il tutto, la sera canta il cucco.

Cucco, animale di cui si dice che ha più voce che penne.

Chi la misura, la dura— e

Chi non si misura, non dura.

Chi mangia la semenza, caca il pagliaio.

Chi mette la tovaglia, mette la casa in isbaraglia-e

Pranzo di parata, vedi grandinata.

Chi non tien conto del poco, non acquista l'assai.

Chi scialacqua la festa, stenta i giorni di lavoro.

E detto pe' mestieranti che in Firenze massimamente si mangiano la domenica il guadagno della settimana, poi fanno festa
anche il lunedì. Lo Strozzi dice a questo proposito: lavorare poco sempre è piaciuto alla nostra plebe; il Venerdì de' Beccai, il
Sabato degli Ebrei, la Domenica de' Cristiani, il Lunedi de' Battilani, de' Calzolai, e in oggi de' Sarti; questi lavorano sino a
mezzo la festa, poi fanno la Lunigiana.

Chi si stende più del lenzuolo, si scuopre da piedi—e
Bisogna distendersi quanto il lenzuolo è lungo— e
Chi ha poco panno, porti il vestito corto.
Chi tutto dona, tutto abbandona.
Chi tutto mangia tutto caca.

Detto di chi spende il suo in mangiare.

Chi va a cavallo da giovane, va a piedi da vecchio.
Chi veste il domenicale, o bene bene, o male male.

Cioè, o non ha altri panni, o può consumarne quanti vuole; il domenicale è l'abito delle feste.

Chi vuol godere la festa, digiuni la vigilia.
Dal campo deve uscir la fossa.

Da quel che c'è si vuol prima cavare quel che bisogna, dal poco il necessario.
E meglio il pan nero che dura, che il bianco che si finisce— o
Son meglio le fave che durano, che i capponi che vengon meno.
E meglio morir di fame, che di stento.

A chi spende troppo nel mangiare.

E meglio perdere, che disperdere.

E meglio puzzar di porco, che di povero.

Porco, è guitto, gretto, sordido, meschino.

Erba che non ha radice, muor presto.

Dicesi contro quegli che, avendo poca facoltà, vogliono sfoggiare e non posson durarla.

Grassa cucina (o grasso piatto), magro testamento-e

A grassa cucina, povertà vicina— e

La cucina piccola fa la casa grande.

Guai a chi gode tutto il suo.

Guai a quelle feste che hanno la vigilia dopo.

Vale dal far festa o gozzoviglia, ma s'intende anche d'ogni fortuna o allegrezza.
Il costo fa perdere il gusto— e

 

Ciò che gusta alla bocca, sgusta alla borsa— e

Al mangiare gaudeamus, al pagare suspiramus.

Il pazzo fa la festa, e il savio se la gode— e

Chi fa la festa, non la gode.

Il sarto fa il mantello secondo il panno.

Che se no

Il più corto torna (o rimane) da piede.

Cioè, da ultimo.

I quattrini bianchi van serbati pe' giorni neri.
La povertà gastiga il ghiotto.
La roba si fa colle mani, e si disfà co' piedi.
La seta non tiene il nodo.

Dicesi di quei che sfoggiano sopra le forze, e la roba sguscia via.

Le piccole spese son quelle che vuotano la borsa.

Lo sparagno è il primo guadagno— e

Cava, e non metti ogni gran monte scema— e

Non mettere e cavare, si seccherebbe il mare.

Non sempre lo spreco è segno d'abbondanza— e

Allo scialacquatore non mancò mai roba— e

Ruina non vuol miseria.

// fallito è prodigo.

Non si satolla nessuno con l'uova bevute.

Passata la festa, il pazzo in bianco resta.

Piccion grossi e cavalli a vettura, è bravo chi la dura.

Prodigo e bevitor di vino, non fa né forno né mulino.

Quando il padre fa il carnevale, a' figliuoli tocca a far la quaresima.

Quattrino risparmiato, due volte guadagnato.

Secondo i beni sia la dispensa;

il savio lo crede, il pazzo non ci pensa.

Si può amar la salsa verde, senza mangiar le biade in erba.

Mangiare le biade (o il grano) in erba si dice del vendere le entrate che son di là da venire, o consumare le rendite prima che
sieno maturate.

Son più i pasti che i giorni.

E in altre province dicono:

Vi son più dì che lucaniche (salsicie).

Tanto sparpaglia una gallina, quanto radunan cento—e

Fa più uno a spargere, che cento a radunare.

Trista quella ca' che mangia quanto ha.

Tristo è quel villano che dà il mangiare a' cani.

E tristo ognuno che si lasci mangiare il suo dai parassiti o dagli imbroglioni.

Troppa cera guasta la casa.

Non fare a tutti buon viso, tanto che ti vengano a mangiare o a comandare in casa.

Velluto a' servitori, e rascia a' gentiluomini.

Questo dicevano ai tempi del Serdonati, quando il fasto di già smodava nelle livree.

Viver parcamente arricchisce la gente.

 

(Vedi Temperanza)

 

Paura, Coraggio, Ardire

A can mansueto, lupo nel salceto.

Ai mali estremi, estremi rimedi.

Bene fatto per paura non vai niente e poco dura.

Cane scottato dall'acqua calda, ha paura della fredda— e

Chi è inciampato nelle serpi, ha paura delle lucertole-e

 

Al tempo delle serpi, le lucertole fanno paura.
Carico di ferro, carico di paura.

Chi molto si guarda, molto teme.

C'è una pazzia, che è un gran giudizio.

Ardire a tempo è prudenza.

Chi corre, corre, e chi fugge vola— e

Benché la volpe corra, i polli hanno l'ale.

Chi fugge il lupo, incontra il lupo e la volpe— e

Chi si guarda dal calcio della mosca, tocca quel del cavallo.

Chi fugge, mal minaccia.

E grida sì, che lo può ben sentire,

Aspetta, che chi fugge, mal minaccia. (BERNI, Ori. Inn.)

Chi guarda i nemici, li grida più di quelli che sono.

Chi ha paura d'ogni figura, spesso inciampa nell'ombra.

Chi ha paura, non vada alla guerra— e

Chi teme acqua e vento, non si metta in mare.

Chi ha paura si faccia sbirro.

Chi ha paura, si guardi le brache.

Chi muor di paura, si seppellisce nelle vescie.

Vescia, è specie di fungo bianco che nasce ne' prati: ma nel traslato, fantasia vana, falso concetto, cosa senza conclusione;
che si direbbero anche vesciche.

Chi non risica, non rosica— o

Chi non s'arrischia, non acquista (e anche: non perde, e non acquista)-^
Chi non arrischia il suo non acchiappa quel d'altri.
Chi non s'avventura, non ha ventura— e
Chi nulla ardisce, nulla fa.
Chi teme, è in pene— e

Le paure e le sciagure fanno sudar di gennaio.

Chi teme la morte, non stima la fama.

Del mal che si teme, di quello si muore— e

La paura del morire è peggio della morte.

E' non son tutti uomini quelli che pisciano al muro.

Non tutti gli uomini son bastanti a rispondere e a stare a tu per tu con altr'uomo.

Fortuna i forti aiuta, e i timidi rifiuta.

Fuol del pericolo ognuno è bravo.

Gamba mia, non è vergogna, di fuggir quando bisogna.

Fuggire per viltà è vergogna, scansare un pericolo è prudenza; disconverrebbe in bocca a un soldato; in bocca a un che è sul
punto d'innamorarsi, o di mettersi in un ginepraio simile, non starebbe male.

Gli spaventi sono peggio dei mali.

Però dicesi proverbialmente quando s'è scampato un danno o rinvenuto più lieve che non si pensava: la paura è stata
maggiore del male.

Gran pericolo, gran guadagno.

Il bastone fa tuggire il cane dalle nozze.

L'armi de' poltroni non tagliano né forano.

La paura non ha ragione.

La va male, quando si chiama a soccorso.

Le pitture e le battaglie si veggono meglio da lontano.

Mal delibera chi troppo teme— e

La paura scema la memoria.

Neanche Orlando ne voleva più d'uno— e

Contro due non la potrebbe Orlando— e

Contro due fratelli non ne volle il diavolo.

Non bisogna fare (o farsi) il diavolo più nero che non è.

Non bisogna fasciarsi il capo prima di romperselo.

Perdersi d'animo.

Non tutte le volte che si veggono i denti, s'ha paura de' morsi.

 

Ogni timidità è servitù—e
Per timore non perder l'onore.

Per ogni civetta che si senta cantare sul tetto, non sogna metter bruno.
Si presta l'armi, ma non il braccio.
Tal minaccia che vive con paura—e
Chi più teme, minaccia.

Di chi fa il bravo per ismaltire o per ingannare o per nascondere la gran paura che ha in corpo, suol dirsi: «la paura lo fa
cantare.»

Tal piglia leoni in assenza, che teme un topo in presenza.
Tra due poltroni il vantaggio è di chi prima conosce l'altro.
Tutte l'armi di Brescia non armerebbero la paura d'un poltrone .
Tutti son bravi quando il nemico fugge— e
A can che fugge, dàgli, dàgli.

Un furfante governa cento poltroni, e cento poltroni non governano un furfante.

 

Pazienza, Rassegnazione

A questo mondo bisogna o adattarsi, o arrabbiarsi, o disperarsi.
Beato chi porta il giogo a buon'ora.

La disciplina dell'educazione o l'educazione della sventura, beato colui che di buon'ora l'ha prese, cioè innanzi d'avere il collo
indurito.

Bisogna fare di necessità virtù.

Tutti ubbidiscono alla necessità; ma in questo non è né frutto né merito; conviene fare a sé appoggio di forte rassegnazione.

Chi è nelle pene, Iddio sostiene.
Chi ha pazienza, ha gloria.

Chi ha pazienza, ha i tordi grassi a un quattrin l'uno.

Avere pazienza, s'intende non aspettare nel linguaggio più comune.

Chi luogo e tempo aspetta, vede alfin la sua vendetta— e
Siedi e sgambetta, e vedrai la tua vendetta.

Sgambettare, propriamente è dondolare le gambe a modo di chi sta in ozio; vendetta non è qui la vendetta che offende altrui,
ma è compenso, riparazione.

Chi non ha pazienza non ha niente.

Chi patisce compatisce.

Chi si lamenta, non può guarire.

Chi vuol giusta vendetta, in Dio la metta.

Colla pazienza il gobbo va in montagna.

Si fanno adagio le cose, ma pure si fanno.

Colla pazienza, s'acquista scienza.

Colla pazienza si vince tutto.

Col soffrire s'acquista.

Il sopportare non nocque mai.

La pazienza è dei frati, e delle donne che han gli uomini matti-e
La pazienza la portano i frati.

Risposta di chi si rifiuta di averne, celiando sulla parola pazienza che vale altresì scapolare.

La pazienza è la virtù degli asini o de' Santi.

Perché abbiamo più affetti che parole, noi diamo sovente a opposte cose gli stessi nomi; e la pazienza de' forti uomini non è
per nulla quella degli asini, sè noi volgo la intendessimo.

La pazienza è una buon'erba, ma non nasce in tutti gli orti— e
Della pazienza non ne vendono gli speziali.

La pazienza non è da tutti, ma solamente è in quelli che sanno vincere sé medesimi. (SERDONATI.)

Lascia fare a Dio, ch'è Santo vecchio.

(Vedi Illustrazione XXV.)

La vendetta non sana piaga.

Né pianto né bruno non suffraga nessuno.

Non fruttifica, chi non mortifica.

Non v'è mal che non finisca, se si soffre con pazienza.

 

Pace e pazienza, e morte con penitenza.

Pazienza, tempo e denari acconciano ogni cosa. Pazienza vince scienza.
Quel che sarebbe grave, fa pazienza lieve.

Levius fit patientià quidquid corrigere est nefas. ( ORAZIO.)

Saggio è chi sa soffrire, spesa danno e martire.
Sai tu com'ella è? come l'uomo se l'arreca.
Soffri il male, e aspetta il bene.
Sopporta e appunta un mal, chi non vuol giunta.

Chi non vuole tirarsi addosso un altro e peggior male, l'insofferenza.

Tempo verrà che il tristo varrà.

Tristo qui vale meschino; un tristanzuolo non è un malvagio: «così tisicuzzo e tristanzuol mi parete» (BOCCACCIO.)

Un buon paio d'orecchi stancano cento male lingue.
Vince colui che soffre e dura.

 

(Vedi Conforto ne' mali.)

 

Perseveranza

A goccia a goccia s'incava la pietra.

Alla fin del salmo si canta il Gloria— e

Al levar delle nasse si vede la pesca— e

Allo sfrascar si vede quel che hanno fatto i bigatti— e

Al levar delle tende si conosce la festa.

Alle prime minestre non s'ingrassa.

Al primo colpo non cade l'albero.

A nullo luogo viene, chi ogni via che vede tiene.

Cento cale e cento pesci, una le paga tutte.

Proverbio dei pescatori per non lasciarsi scoraggiare dalla mala riuscita delle prime cale o calata della rete. Questo qui si
deve alla gentilezza e amicizia del sig. Enrico Mayer.

Chi di dieci passi n'ha fatti nove, è alla metà del cammino.
Chi la dura, la vince.

Il buon nocchiero muta vela, ma non tramontana.

Il palio si dà da ultimo.

Imprendi, e continua.

I pesci grossi stanno in fondo.

La coda è la più cattiva a scorticare— e

Nella coda sta il veleno.

La fine è la parte più difficoltosa delle cose; gli affari si lasciano dietro sé una coda malagevole a venirne a capo, perché
impensata o non curata da principio.

La fatica promette il premio, e la perseveranza lo porge.
L'importuno (o l'impronto) vince l'avaro.

Dicesi anche d'altro che del chiedere.

Per un miracolo non si va sull'altare.

Ride bene chi ride ultimo.

Chi ha avuto il gusto, prenda il disgusto.
Chi mangia aloè, campa gli anni di Noè.

Nel proprio, per la qualità medicinale dell'aloè.

Chi perde piacere per piacere, non perde niente.

Chi vuole allettare i colombi alla colombaia, bisogna dargli del ciminio.

Delizie temporali portano mille mali— e

Da diletto temporale temer dei qualche gran male.

Di dolore non si muore, ma d'allegrezza sì.

Dolce vivanda vuol salsa acerba.

Dopo il dolce ne vien l'amaro.

Medio de fonte leporum surgit amari aliquid, quod in ipsis floribus angit.

Grave è la tristezza che segue l'allegrezza.
I gran dolori sono muti.

Parva curace loquuntur, ingentes stupent. (TERENZIO.)

I guai non son buoni col pane.

Fanno cattivo companatico.

II dolore è sempre asciutto.
Il dolore non invecchia.
Cioè, o muore o uccide.

Il duol fa bello.

Il mèle si fa leccare, il fele si fa sputare.

Il piacere non ha famiglia e il dolore ha moglie e figliuoli.

Il piangere è un sollievo.

Il ricordarsi del male raddoppia il bene— e

Quel che fu duro a patire, è dolce a ricordare.

E viceversa: non è «maggior dolore Che ricordari del tempo felice Nella miseria.» Il che si esprime giocando sul nome
d'un fiume noto in quel di Pisa con questo altro proverbio:

E un mal fiume l'Èra.

Cioè, la memoria e il desiderio d'un bene perduto, o «Il misero orgoglio D'un tempo che fu.»

Impara piangendo e riderai guadagnando.
In cibo soave spesso mosca cade.

In guerra, nella caccia e negli amori, in un piacer mille dolori.
I travagli fan tornare il cervello a bottega.
I travagli son ladri del sonno.
I travagli tiran giù l'anno.

Un giorno tifa invecchiare d'un intero anno: si narra che la Regina Maria Antonietta incanutisse ad un tratto la notte che fu
presa a Varennes.

La fine del riso è il pianto— e

Chi mangia molto riso beve lacrime.

Lungo piacer fa piangere.

Mille piacer non vagliono un tormento.

Nell'allegrezza non si trova fermezza.

Non è l'amo né la canna,

ma gli è il cibo che t'inganna-e

Pesce che va all'amo, cerca d'esser gramo.

Ogni uccello conosce il grano.

Ognuno corre al piacere; ma perché il piacevole non è il buono, e di rado s'intende il vero nostro bene, si dice anche:

 

Non ogni uccello conosce il buon grano.

Piacer preso in fretta, riesce in disdetta.

Poco fiele, fa amaro molto miele.

Quel che duole, sempre non è scabbia.

Se i segreti vuoi sapere,

cercali nel disgusto o nel piacere.

Un torso di pera cascata, è la morte di mille mosche.

Vergogna fa perder piacere.

Chè gran piacer si perde per vergogna (BERNI, Ori. Inn.)

 

(Vedi Felicità, Infelicità.)

 

Pochezza d'animo

Chi non vuol piedi sul collo, non s'inchini.

Chi pecora si fa, lupo la mangia— e

La pecora che dice esser del lupo bisogna che la sia.

Chi si mette tra la semola, gli asini se lo mangiano— e

Chi canto si fa, tutti i cani gli pisciano addosso.

Chi si sputa addosso, non vale un grosso.

Chi troppo scende, con fatica rimonta.

Si può intendere del cadere a basso, ma pure anche dell'abbassarsi.

Chi va dietro agli altri, non passa mai avanti.

Condanna più specialmente la dappocaggine degli imitatori nelle arti, nel pensare ed in ogni cosa. «E quel che luna ta e
l'altre fanno ecc.» non le pecore sole.

Chi vuol essere stimato, stimi se stesso— e
Tanto vale l'uomo, quando si stima.

Ed ha ragione, perché:

Chi non rispetta sé, non rispetta nemmeno gli altri.

Non bisogna buttarsi fra i morti.

Non bisogna far troppo palla di se stesso.

Darsi, offerirsi troppo, lasciarsi da tutti sbatacchiare.

Povero né minchione non ti far mai (ovvero Povero né poltrone, ecc.)

 

(Vedi Orgoglio, ecc.)

Povertà, Ricchezza

Abbi pur fiorini, che troverai cugini— e
Chi ha della roba ha de' parenti.

Quand'ero Enea nessuno mi volea;
Or che son Pio, non vi vogl'io.

Versi comunemente posti in bocca a Pio II (Enea Silvio Piccolomini), che poi ne volle anche troppi.

A granaio vuoto formica non frequenta.
All'uomo ricco berretto torto.

Al nascer delle doppie (cioè del danaro) il mondo ha finito d'esser semplice.
A scrigno sgangherato non si crolla sacco.

Non si offre, non si dà nulla a chi non paga, o paga male.
A veste logorata, poca fede vien prestata.

// povero non ha credito.

Buono è l'amico e buono il parente,

ma trista la casa dove non si trova niente.

C'è il povero di Dio, e quello del diavolo.

Chi del buono ha in cassa, può portare ogni traccia— e

Chi ha buon cavallo in stalla può andare a piedi.

E i Francesi dicono: «Il a beau aller à pied qui méne sonn cheval par la bride.»

 

Chi dice a un povero uom dabbene, gli fa una grande ingiuria.

Uomo dabbene, qui e nel mondo, è l'uomo che il mondo stima— e

Sacco rotto non tien miglio,
pover'uom non va a consiglio;
se parla ben non è inteso
se parla mal e' vien ripreso.

Sacco rotto, si dice poi anche di quelli che non sanno tenere un segreto.

Chi è povero nun lo fugge-e
Dove non è roba, anche i cani se ne vanno— e
Chi cade in povertà, perde ogni amico.
Chi è ricco, ha ciò che vuole.

Chi ha buon vino in casa, ha sempre i fiaschi alla porta.

Perché gli amici mandano a chiederne: e parimente si dice:

Ognuno è amico di chi ha buon fico.
Chi ha de' ceppi, può far delle schegge.
Chi ha della roba è visto volentieri.
Chi ha del pepe, ne mette anche sul cavolo.
Chi ha del panno, può menar la coda.

Perché la ricuopre sotto all'ampiezza delle vesti; onde variamente dicesi:

I denari son come le brache degli stufaioli; cuoprono le vergogne— e

La roba fa stare il tignoso alla finestra.

Chi ha del pane, mai non gli manca cane.

Chi ha pane e vino, sta me' che il suo vicino.

Chi ha più bisogno, e più s'arrenda-e

Chi abbisogna, non abbia vergogna.

Non abbia, cioè, falsa vergogna e non ritegni intempestivi quando la necessità stringe.

Chi ha quattrini, ha tutto.

Ma si dice meglio:

I quattrini non sono ogni cosa.
Chi ha quattrini, non ha cuore.

E il ricco del Vangelo.

Chi ha terra, ha guerra.

Chi la fa, chi la disfà, e chi la trova fatta.

Suole intendersi della roba.

Chi leva muro, leva muso.

Chi arricchisce, chi s'inalza, doventa superbo.

Chi n'ha ne semina, e chi non n'ha ne raccatta-*?

Chi non ne ha, non ne versa.

Chi non ha del suo, patisce carestia di quel d'altri.

Perché

La roba va alla roba, e i pidocchi alle costure.

solamente

La roba, alla roba-e
Ogni acqua va al mare— e

più tirano i meno.

Si dice quest'ultimo e degli uomini e dei denari. L'opinione dei più si tira dietro quella dei meno; più uno ha denari, più ne fa.
Il ricco ha in tutte le cose miglior mercato del povero: se prendendo a credenza spenderai dieci, ti bastano sei pagando a
pronti contanti. —Sinquì il nostro Beppe. Ma quest'ultimo Proverbio ha egli stesso applicato agli uomini, e ne ha fatto titolo di
un Sonetto che tutti sanno a memoria.

Chi non ha, non è (o non sa).
Chi perde la roba, perde il consiglio— e
Chi perde il suo, perde il cervello— e
Il danno toglie il consiglio.

Ed un certo proverbio così fatto

Dice che il danno toglie anche il cervello. (BERNI, Ori. Inn.)

Chi più ne ha, più n'imbratta.

Cioè, chi ha più roba più ne consuma.

 

Chi poco ha, poco dà— e

Nessuno dà quel che non ha.

Chi si porta dietro la casa, può andare per tutto.

Proverbialmente d'un povero: è come le chiocciole, che si portano la casa in capo.

Col pane tutti i guai sono dolci— e

Tutti i dolori col pane son buoni.

Com'è grande il mare, è grande la tempesta.

Con poco si vive, con niente si muore.

Con trentamila ducati la si può tórre in chiasso.

Dalla rapa non si cava sangue.

Della superbia de' poveri il diavolo se ne netta il sedere.

Anche i Libri Sapienziali vituperano il povero superbo, il ricco bugiardo, ecc.— e

Superbia senza avere, mala via suol tenere.

Dove non n'è, non ne toglie neanche la piena.

Dove più ricchezza abbonda, più di lei voglia s'affonda.

Due item fan l'uomo beato.

Item ti dono, item ti lascio, ecc.

Gli errori dei medici sono ricoperti dalla terra, quelli dei ricchi dai danari.
Gli stracci medicano le ferite.

La povertà fa dimenticare ogni altro male.

Gli uomini fanno la roba, non la roba gli uomini.

Vuol dire che l'uomo non si ha da stimare secondo ricchezza.

Gran nave, gran pensiero— e

Ha più il ricco quando impoverisce,

che il povero quando arricchisce.

I danari cavan le voglie.

Sotto l'ovvia significazione del cavarsi una voglia nel senso di spendere a piacere è qui nascosta un'altra pur vera: che cioè
l'uomo desidera meno quando è più avvezzo a soddisfarsi.
I danari hanno sempre i lattaioli.

Cioè, son sempre giovani, e non vengono mai tardi: lattaioli si chiamano i denti de' bambini che dopo l'infanzia cadono.

I danari sono il secondo sangue.

I danari stan sempre con la berretta in mano.

Per tórre commiato, per andarsene— e

I danari vanno e vengono— e

I danari vengono di passo, e se ne vanno via di galoppo— e

I danari son tondi e ruzzolano-e

I quattrini non hanno gambe ma corrono— e

I danari van via come l'acqua benedetta.

Perché molti ci intingono.

I debiti de' poveri fanno gran fracasso.

II bene de' poveri dura poco.

Il martello d'argento spezza le porte di ferro— e
L'argento tondo compra tutto il mondo-e
Colle chiavi d'oro s'apre ogni porta-e
Il suon dell'oro frolla le più dure colonne— e

I chiavistelli s'ungon con l'oro.

// quale usasi propriamente a significare che le udienze s'ottengono co' doni.

II mendicante può cantare dinanzi al ladro.
Il molto fa l'uomo stolto.

Il pane del povero è sempre duro.
Il pan solo fa diventar muti.
Il più ricco è il più dannoso.
Il povero mantiene il ricco.

Col lavoro mantiene se stesso e mantiene tutti: e tutti siamo poveri, perché a tutti bisogna lavorare in qualche modo.
Un altro Proverbio dice:

Chi lavora, fa la roba a chi si sta.

E il farsi fare le spese (guardandoci bene) è anche più faticoso del guadagnarsele.

 

Il pover'uomo non fa mai ben:
se muor la vacca, gli avanza il fien;
se la vacca scampa, il fien gli manca.
Il tribolato va dietro al condannato.

Nel parlare dei Toscani, tribolato si scambia con povero; i Greci e per greca imitazione anche i Latini scambiavano beato con
ricco.

Il veleno si beve nell'oro.

Nulla aconito bibuntur fictilibus. (GIOVENALE.)
I migliori alberi sono i più battuti.

Sono più spesso bacchiati, perchè danno maggior frutto, che molti cercano trarne.

In panno fino sta la tarma— e

Nelle belle muraglie si genera il serpe.

In povertà è sospetta la lealtà.

I poveri cercano il mangiare per lo stomaco, ed i ricchi lo stomaco per il cibo.
I poveri hanno le braccia corte.
I poveri mantengono la giustizia.

Perché contr'essi si procede severamente, e sono gastigati. (SERDONATI.)
I poveri non hanno parenti.

I ricchi hanno il paradiso in questo mondo, e nell'altro, se lo vogliono.
L'abbondanza, foriera è d'arroganza-e
Prima ricco, e poi borioso.

La pecunia, se la sai usare, è ancella; se no, è donna.
La povertà è fedel servitore.

Sempre ti segue da per tutto.

La povertà è il più leggero di tutti i mali.
La povertà mantiene la carità.

La ricchezza non s'acquista senza fatica, non si possiede senza timore, non si gode senza peccato, non si

lascia senza dolore.

La roba ruba l'anima.

La troppa carne in pentola non si cuoce.

// troppo avere non tifa prò.

Le facoltà fanno parere ardito chi non è, e savio chi non sa.
Le ricchezze hanno l'ali.

Le ricchezze sono come il concio, ammassato puzza, e sparso fertilizza il campo.

L'ora del desinare, pe' ricchi quand'hanno appetito, pei poveri, quand'hanno da mangiare.

L'oro non compra tutto.

L'ho sentito dire a proposito d'una ragazza del popolo che aveva rifiutato un regalo offertole per sedurla. (G.)

L'oro presente cagiona timore, e assente dà dolore.
Meglio star vicini a un crudo che a un nudo.

Meglio aver per vicino un ricco, benché avaro, che un povero dal quale non può venir nulla— ovvero:

Meglio con un avaro che ne ha

che con un prodigo dispera'.

Miseria rincorre miseria.

Né cavalli né giardini, non son pe' poverini.

Non fu mai sacco si pieno, che non v'entrasse ancora un grano.

Non si può dire abbondanza se non n'avanza.

Exilis domus est in qua non multa supersunt.

Non si può dire a uno peggio che dirgli povero.
Ogni ricchezza corre al suo fine.

Cioè, alla miseria.

Per ben parlare e assai sapere,

non sei stimato senza l'avere.

Pignatta vuota e boccale asciutto, guasta il tutto.

Povero è chi ha bisogno— e

Povero è il Diavolo.

Povertà, fa viltà (ovvero fa l'uomo vile).

 

Povertà, madre di sanità.
Povertà non è vizio— e
Povertà non guasta gentilezza-o
Il povero non guasta il galantuomo.

Onde non è sempre vero che

Quando il bisogno picchia all'uscio, l'onestà si butta dalla finestra.

Ma certo è che

Non v'è pensier penoso, quanto onore e povertà.
Quando il povero dona al ricco, il diavolo se la ride.
Quando non c'è, perde la Chiesa.

Che nei contratti deve guadagnar sempre, com'è ordinato pe' canoni.

Quanto più manca la roba, tanto più cresce lo strepito.

E con più mite significazione:

Vaso vuoto suona meglio.

Quei ch'han ducati, signori son chiamati.

Ricchezza e scienza insieme non hanno residenza— o

I Signori non possono avere due cose, giudizio e quattrini.

Nullus enim ferme sensus communis in Ma Fortuna. (GIOVENALE.)

Richezza e sopruso son fratelli.
Ricchezza non fa gentilezza.
Ricchezza poco vale a quel che l'usa male.
Sacco pieno rizza l'orecchio.

Orecchio, l'estremità del sacco chiuso che sopravanza la legatura.

Sanità senza quattrini è mezza malattia.

Se i signori avessero giudizio, i poveri morirebbero di fame.

Signori, in Toscana, vale ricchi; e avere giudizio, d'economia parlando, significa mettere da parte: se chi ha danari non gli
spendesse, non vi sarebbe lavoro.

Se ti trovi dal bisogno stretto, prima che dagli altri vai dal poveretto.

In lui trovi più facilmente misericordia.

Tutti i guai son guai, ma il guaio senza pane è il più grosso.
Tutto è fumo e vento, fuorché l'oro e l'argento.
Uomo senza quattrini è un morto che cammina.
Uomo senza roba è una pecora senza lana— e

Se vuoi veder un uom quanto gli è brutto, un uom senza danar guardalo tutto— ma

II danaro fa l'uomo intero.

Al peso che si compra bisogna vendere.

A mani monde Dio gli dà da mangiare.

Chi ha ragione, Iddio l'aiuta— e

La ragione Iddio l'ama.

Chi non ha fede non ne può dare.

Chi non vuol rendere, fa male a prendere.

Chi promette, in debito si mette— e

Ogni promessa è debito.

Chi promette nel bosco, dee mantenere in villa.

Chi ha promesso nel pericolo, mantenga poi quando è al sicuro.

Chi tarda a dar quel che promette, del promesso si ripente.

 

Chi va diritto non fallisce strada.

Qui ambulai smpliciter, ambulai confidenter. (Proverbi.)

Chi vuol ben pagare, non si cura di bene obbligare.

E per lo contrario dicesi:

Il promettere è la vigilia del non attendere-e
Chi scrive non ha memoria.

Chi vuole che il suo conto gli torni, faccia prima quello del compagno.

E probità ed è accortezza: se ognuno faccia i conti per se solo, il saldo lo faranno le bastonate.

Chi vuole ingannare il comune, paghi le gabelle.

Perché andando sinceri, non si paga il frodo ch'è sempre più caro.

Col suo si salva l'onore, e con quel d'altri si perde.

Dei giudizi non mi curo, che le mie opere mi fanno sicuro.

Dove non c'è onore, non c'è dolore.

E ingiuria da dirsi allo svergognato.

È meglio mendicare, che sulla forca sgambettare.

Gli avventori non mancano a casa Dabbene.

Il bel rendere, fa il bel prestare.

Il ben fare è guerra al tristo.

Il galantuomo ha peloso il palmo della mano.

Il galantuomo ha piacere di veder chiudere.

La vigna pampinosa fa poca uva.

Cioè, chi promette molto, attiene poco.
Poe 'uva fa la vigna pampinosa,

E il dire e il far non son la stessa cosa. (RICCIARDETTO.)

E di profferte per cerimonia, ed anche di un discorso molto frondoso che sieno frasche senza costrutto, sogliamo dire
proverbialmente:

Assai pampini, e poca uva.

Le parole legano gli uomini, e le funi le corna ai buoi— e
Il bue per le corna, e l'uomo per la parola.
Le parole non empiono il corpo— e
Le parole non s'infilzano.

Non se ne può far capitale, perché non si conservano come le scritture, le quali si sogliono tenere insieme infilzate— e

Le parole son pasto da libri.

Parola sta qui sempre in luogo di promessa, ma nell'ultimo si gioca sulla parola.

Non si cava mai la sete, se non col proprio vino.

Che poi non t'ubriaca, come dice un altro proverbio.

Non si dee dar tanto a Pietro, che Paolo resti indietro.

A ciascuno il suo avere: giustizia distributiva.
Non toccare il grasso colle mani unte.

Non ti s'attacchi alcuna cosa.

Ognuno faccia col suo.

Pesa giusto, e vendi caro-e

Caro mi vendi, e giusto mi misura.

Cosi il compratore: ma il venditore poco onesto:

Dieci once a tutti, undici a qualcuno e dodici a nessuno.
Piuttosto pecora giusta, che lupo grasso.

Qui è gioco di parola: cosa giusta è cosa mezzana; giusto, né grasso né magro, né grande né piccolo, ecc.

Pochi denari, e molto onore.

Promessa ingiusta tener non è giusto.

Promettere e non mantenere è villania.

Promettere è una cosa, e mantenere è un'altra— ovvero

Altro è promettere, altro è mantenere— ma

Chi promette e non attiene,

l'anima sua non va mai bene.

Quel ch'è di patto, non è d'inganno.

Tra galantuomini, una parola è un istrumento.

Val più un pugno di buona vita, che un sacco di sapienza.

 

Vuoi vendicarti de' tuoi nemici? governati bene.

 

 

(Vedi Virtù, Illibatezza.)

 

Prudenza, Accortezza, Senno

Accerta il corso, e poi spiega la vela.
Assai avanza chi fortuna passa.

Interrogato Sieyès come egli avesse passato quegli anni del Terrore: «Ho vissuto,» replicava; ben parendogli aver fatto assai.

Bisogna gustare il male con le punte delle dita.

Bisogna essere più furbi che santi.

Bisogna navigare secondo il vento-e

Chi piscia contro vento, si bagna la camicia.

Bocca chiusa e occhio aperto,

non fe' mai nessun deserto.

Deserto, cioè misero, derelitto.

Buona la forza, meglio l'ingegno.
Chi ben congettura, bene indovina.
Chi ben giudica, bene elegge.
Chi ben si guarda, scudo si rende-e
Chi si guarda, Dio lo guarda.
Chi è avvisato, è armato.

Avvisato (spiega la Crusca) accorto, avveduto, savio.

Chi è minchion, suo danno— e

Chi è minchione, resta a casa— e

La parte del minchione è la prima mangiata—e

L'ultima rendita è quella dei minchioni.

Chi è savio, si conosce al mal tempo.

Chi ha fatto la pentola, ha saputo fare anche il manico.

Chi sa far le cose, sa fare anche il modo come pigliarle.

Chi nasce tondo, non muor quadro.

Chi non guarda innanzi, rimane indietro— e

Chi dinanzi non mira, di dietro sospira.

Chi non ha giudizio, perde la cappella e il benefizio.

Chi non ha testa (o giudizio), abbia gambe.

Chi non vede il fondo, non passi l'acqua.

Chi piglia la lancia per la punta, la spezza o non la leva di terra.

Chi sta a casa, non si bagna.

Questo si dice dell'uomo cauto: ma ve n'è un altro:

Chi va a casa, non si bagna.

E significa che è poco pigliare la pioggia quando tornando a casa tu puoi mutarti tutto o scaldarti. E figurai, è il rumores fuge
dei Latini.

Chi teme il cane, si assicura dal morso.
Chi sta a vedere, ha due terzi del gioco.

Si dice dell'avere il vantaggio colui che sagacemente si sta di mezzo, e lascia tentare agli altri le cose pericolose.
Chi vive contando, vive cantando.

Cioè chi ben conta, chi ben ragiona i fatti suoi, se la passa bene.

Chi vuol saldar piaga, non la maneggi.

Con un po' di cervello si governa il mondo— e

A chi ha testa, non manca cappello.

Si sa approvecciare, non gli manca il bisognevole: ma cappello anticamente significava corona o altro segno d'onore:
Ed in sul fonte

Del mio battesmo piglierò il cappello. (DANTE.)

Cosa prevista, mezza provvista.

Dalla prudenza viene la pace, e dalla pace viene l'abbondanza.

 

Di notte parla piano, e di giorno guardati d'intorno.
Disavvantaggio muta pensier nel saggio.
Donasi l'ufficio e la promozione, e non la prudenza né
la discrezione.

Dove non è ordine, è disordine— e

Dove non è regola, non ci sta frati.

È meglio aver la paura, che la paura e il danno— e

Chi non teme pericola— e

Chi non teme, non si guarda; chi non si guarda, si perde.

Paura e timore si pigliano qui per l'antiveggenza del pericolo.

E meglio cader dal piede, che dalla vetta— o
Meglio cascar dall'uscio che dalla finestra.
Guarda che tu non lasci la coda nell'uscio.

Che tu non sii preso quando ti credi beli' e scampato.
Guarda il tuo coltello dall'osso.

// coltello si rompe o sfila quando incontra l'osso; e così la volontà dell'uomo, quando vuol dare di punta contro a certe
difficoltà, le quali è meglio scansare.

Il bello è star nel piano, e confortare i cani all'erta.

Quindi stare nel piano di Bellosguardo, cioè al sicuro. Ma rassomigliano troppo quei noti versi d'un assai cattivo moralista.

Suave, mari magno turbantibus cequora ventis,

E terra magnum alterius spedare laborem. (LUCREZIO.)

Il Cristo e i lanternoni toccan sempre ai più minchioni.

Nelle Processioni delle Confraternite portare il Crocifisso e i lanternoni è tra gli ufficii il più faticoso.

Il male previsto è mezza sanità.

Il minchione di quest'anno se n'accorge quest'altr'anno— e

Chi non si governa bene un anno, sta cinque che non ha allegrezza.

Il mondo è come il mare,

è vi s'affoga chi non sa nuotare— e

Mondo rotondo chi non sa nuotar vassene a fondo.

Il piano ha occhi, e il bosco orecchi.

Nel piano ti scuoprono gli occhi altrui: nel bosco gli orecchi altrui.

Il vedere è facile, e il prevedere è difficile.
I minchioni si lasciano a casa.
In letto stretto mettiti nel mezzo.
I piselli son sempre nelle frasche.

Piselloni son detti gli uomini semplici che sempre vivono impacciati.

La briglia regge il cavallo, e la prudenza l'uomo.
La prudenza non è mai troppa.
Largo ai canti.

Propriamente vuol dire che passeggiando bisogna girar largo alle cantonate, d'onde può venirti addosso un pericolo o una

offesa non preveduta. E figuratamente; alle difficoltà che spuntare non riesce, girare attorno a scansarle.

Mal va la barca senza remo.

Non si fa più lunga strada,

che quando non si sa dove si vada.

Non si può sforzare le carte.

Proverbio tolto dal gioco.

Ogni cosa va presa per il suo verso.

Cioè, pigliare il gomitolo o la matassa di queste umane faccende da quel capo donde poi elle si possono facilmente svolgere;
che si dice trovare il bandolo.

Quando brucia nel vicinato, porta l'acqua a casa tua.
Quando tu puoi ir per la piana, non cercar l'erta né la scesa.

Anzi:

Per andare a piano si scendon molte miglia.
Quando tu vedi il lupo, non ne cercar le pedate.
Senno vince astuzia.

Si può imporre la legge, ma non la prudenza.
Temperanza t'affreni, e prudenza ti meni.

 

Un occhio alla pentola, e uno alla gatta— e
Occhi che veggono non invecchiano.

Ma

Per i ciechi non è mai giorno.
Uomo assalito è mezzo perso

E parimente:

Uomo affrontato è mezzo morto.

Uomo colto all'improvviso.

Uomo nasuto di rado cornuto.

Nasuto, latinamente, avveduto accorto.

Val più un moccolo davanti che una torcia di dietro.

 

(Vedi Riflessioni, Ponderatezza.)

 

Regole del giudicare

Ai segni si conoscon le balle— e
Chi porta la cappa è degli ufiziali.

O come dicevano più anticamente degli statuali; di quelli ch'erano in ufizio, o si direbbe oggi, al governo.

Al batter del martello si scuopre la magagna.

Alla prova si scortica l'asino.

Alla vista si conosce il cuore.

Al paragone si conosce l'oro.

Al pelo si conosce l'asino.

Ed anche:

Gli asini si conoscono al basto— e

Al ragliar si vedrà che non è leone.

A pazzo relatore, savio ascoltatore.

A sentire una campana sola si giudica male.

«Priore, odite l'altra parte;» era scritto sopra lo stallo del Priore o Pretore o Giudice, nel Tribunale di Lucignano.

Bisogna guardare a quello che si fa, non a quello che si dice.

Ed a chi predica bene e razzola male ironicamente si attribuisce questo:

Fate quel che dico e non quel che faccio.
Chi non è buon turco, non è buon cristiano.
Chi non mi vuole non mi merita.
Chi non sa di male, non sa di bene.

Cioè, non sa di nulla, ch'è il peggio: mancanza d'affetti è in sé principio di malvagità.

Chi ode, non disode.

Chi ode dir male, non ode il più delle volte la difesa, e crede quel che si dice.

Chi tosto giudica, tosto si pente.

Chi vuol dell'acqua chiara, vada alla fonte.

Chi vuol esser chiaro d'una cosa, vada alla sorgente: la guardi, cioè, nel punto d'onde essa deriva, o la domandi alla persona
che più la sa.

Chi vuol troppo provare, nulla prova.
Dal frutto si conosce l'albero.
Dall'unghia si conosce il leone.
Dell'albero non si giudica dalla scorza.

Delle cose che tu vedi, sbattine tre quarti: e di quelle che tu senti, sbattine più.

Danari e santità, metà della metà— e

Denari, senno e fede, ce n'è manco l'uom crede—e

Quattrini e fede, meno ch'un si crede.

Di cose fuori di credenza, non fare isperienza.

Dietro il fumo vien la fiamma.

Dimmi chi fosti, e ti dirò chi sei.

Dimmi chi sono, e non mi dir chi ero.

 

Gli uomini vanno veduti in pianelle, e le donne in cuffia.

«Il fault pour iuger bien à poinct d'un homme, principalement controller ses actions communes, et le surprendre en son touts

les jours.» (MONTAIGNE.)

Il buon dì si conosce da mattina.

Dai loro principii si conoscono le cose: e suole dirsi anco dei giovani che bene incominciano.

Il diavolo non istà sempre in un luogo— e

Il diavolo non letica mai solo.

// torto non è mai tutto da una parte sola.

Il fine dimostra la cosa.

Il mercante si conosce alla fiera— e

Al toccar de' tasti si conosce il buon organista— e

Al suon si conosce il campanello.

Il panno al colore, il vino al sapore.

Il verosimile, è nemico del vero.

I pazzi si conoscono a' gesti— e

Al bere e al camminare si conoscon le donne— e

Al pisciar si conoscon le cavalle.

La buccia ha da somigliare al legno.

La vista non si cura con gli occhiali.

Ma le virtù e le qualità dell'uomo vogliono essere giudicate a nudo, senza ammennicoli né rincalzi.

La volpe si conosce alla coda— e
La troppa coda ammazza la volpe-e
La volpe ha paura della sua coda.

Perché la fa distinguere da lontano, e perché rimane facile alla tagliola.

Le cattive nuove volano-e

La mala nuova la porta il vento—e

Lunga via, lunga bugia.

Delle cose lontane non se ne può sapere il vero.

Lo sbadiglio non vuol mentire, o ch'egli ha sonno, o che vorrìa dormire, o ch'egli ha qualcosa che non può
dire.

L'uomo si conosce in tre congiunture, alla collera, alla borsa ed al bicchiere.
Nell'oscuro si vede meglio con uno che con due occhi-e
Vede più un occhio solo, che cento uniti insieme.

L'autore non era pel suffragio universale.

Non creder lode a chi suo cavai vende, né a chi dar moglie intende.
Non dir quattro, finché non è nel sacco.

Come origine del proverbio il Dal medico narra il fatto di un frate mendicante che mentre sfavasi sulla via ad aspettare la
carità, venne alla finestra una donna con dei pani, a ricevere i quali il frate aprì il suo sacco numerando ciascuno che vi
cadea dentro. Al quarto ch'era per aria, il frate disse: e quattro. Ma il pane invece di cadere nel sacco gli batté sulla testa.
(PASQUALIGO, Race. Ven.)

Non si vende la pelle prima che s'ammazzi l'orso.
Non d'onde sei, ma d'onde pasci.
Non giudicar la nave stando in terra.

Non giudicar l'uomo nel vino, senza gustarne sera e mattino.

Non giudicar le passioni se tu non le hai provate.

Novelle di Banchi (o di mercato), promesse di fuorusciti, favole di commedianti.

Quanto credibili ognun sa. Banchi era la via più frequentata di Roma, ed il ritrovo dei novelisti.

Ogni cosa che senti non è suono— ma

La campana non suona se qualcosa non c'è.

Se un romore nasce, un qualche motivo ve n'è sempre.

Ogni stadera ha il suo contrappeso.

Pallidezza nel nocchiero, di burrasca segno vero.

Quando l'oste è sull'uscio, l'osteria è vuota.

Quando passano i Canonici, la processione è finita.

Sacco legato fu mal giudicato.

È risposta delle donne gravide a chi promette loro maschio o femmina.

Sempre si dice più che non è.

 

Tale è il fiore, qual è il colore.

Tre cose son facili a credere, uomo morto, donna gravida e nave rotta.
Val più un testimone di vista che mille d'udita— e
Aver sentito dire è mezza bugia.

Perché di cosa sentita dire non si è mai certi: con questa regola i giornalisti starebbero freschi.

Vedendo uno, il conosci mezzo; e sentendolo parlare, il conosci tutto-e
Apri bocca, e fa ch'io ti conosca-e
Non ti maneggio, se non ti pratico.

 

Regole del Trattare e del Conversare

A cavai donato non gli si guarda in bocca.

Si quis dat mannos, ne quadre in dentibus annos.

Ambasciatore non porta pena.

(Vedi Illustrazione XXVI.)

A sta troppo con la gente se gli viene a noia--e
Si sta più amici a stare un po' lontani.
A tavola e a tavolino si conosce la gente.

Cioè, a desinare ed al gioco si conosce quel ch'uno è in conversazione, che non è poi tutto l'uomo.
Bisogna fare il muso secondo la luna.

Trattare, comportarsi a seconda delle circostanze.

Burlando si dice il vero— e

Non v'è peggior burla che la vera.

In burla diciamo cose che dette sul serio male sarebbero tollerate.

Cani e villani lascian sempre l'uscio aperto.

Per ischerzo s 'aggiungeva: e nobili Veneziani. In Francia: e Italiani; i quali vuol dire o che non hanno freddo o che non si
guardano.

Chi ben non usa cortesia, la guasta.

Chi canta a tavola e a letto, è matto perfetto.

Chi dà spesa, non dia disagio.

Si usa dire a chi è convitato a casa altrui, perché non si faccia aspettare.

Chi dona il dono, il donator disprezza.

Chi ha creanza, se la passa bene, chi non ne ha, se la passa meglio.

A modo di scherzo.

Chi non rispetta, non è rispettato.

Chi non si ricorda spesso discorda.

Chi parla per udita, aspetti la mentita.

Chi scrive a chi non risponde, o è matto o ha bisogno.

Chi si scusa senz'essere accusato, fa chiaro il suo peccato.

Chi sta discosto, non vuol giostrare.

Chi sta a sé non vuole dimestichezza.

Chi sta in ascolterìa, sente cose che non vorrìa.

Chi tace acconsente; e chi non parla, non dice niente.

Chi va alle nozze e non è invitato, ben gli sta se n'è cacciato (o torna a casa sconsolato).

Dare che non dolga, dire che non dispiaccia— e

Non dar che dolga, e non ischerzar sul vero.

Dimmi quel ch'io non so, e non quel ch'io so.

Di quel che non ti cale, non dir né ben né male.

E meglio esser cortese morto che villan vivo.

È più caro un no grazioso che un sì dispettoso.

Gioco di mano, gioco di villano— e

Il giocar di mani dispiace fino a' cani— e

Tasto di mano, sta lontano.

Guardati da chi ride e guarda in là.

Ch'è atto di beffa— e

Da quei tai che non ridon mai, sta' lontan come da' guai.

 

/ misantropi, i taciturni sono stimati uomini di cattivo augurio e di carattere nocivo.

Guardati in tua vita, di non dare a niun mentita-*?
La mentita non vuol rispetto.
Il dire fa dire— e
Una parola tira l'altra.

// discorrere fa discorrere: ma più sovente quest'ultimo suole accennare al provocarsi con lo scambio di parole che offendano,
e nelle quali andando innanzi vien sempre fatto di rincarare.

Il domandare è lecito, il rispondere è cortesia— ma
Cortesia schietta, domanda non aspetta.
Il tacere è rispondere a chi parla senza ragione— ma
Molto vale e poco costa, a mal parlar buona risposta.

In casa d'altri loda tutti fino i figli cattivi o brutti, fino al gatto che ti sgraffigna, fino al can che ti
mordigna.

(Raccolta Lombarda.)

In chiesa e in mercato, ognuno è licenziato.

Sono luoghi d'eguaglianza: s 'arriva e si parte senza bisogno di salutare nessuno. Ed anche:

In chiesa né in mercato non andar mai accompagnato.

In chiesa per starci quanto ci pare, in mercato per comprare a piacimento.

I paragoni son tutti odiosi.

Cioè, i paragoni tra uomo e uomo, e peggio tra donna e donna.

La burla non è bella, se la non è fatta a tempo— ma
Burla con danno, non finisce l'anno.
La carta non doventa rossa.

Negli affari scabrosi, quando la parola offende, scrivere è miglior partito. Anche si dice del chiedere, al che uno s'arrischia
meglio per lettera.

La parola non è mal detta, se non è mal presa.
La ragione vuol l'esempio.

Pochi hanno voglia o capacità di tener dietro a un ragionamento; ma gli esempi sono figure che saltano subito agli occhi di
tutti, e s'imprimono poi nell'animo perché vi destano un affetto.

L'aspettare rincresce— e

Ogni ora par mille a chi aspetta.

Le buone parole ungono, e le cattive pungono.

Le lettere non ridono.

Cioè, delle parole scritte si valuta più il peso che il tono.
Le licenze son cento, e l'ultima è Vatti con Dio— e
Si dà dicenza in più modi.

A disfarsi d'uno, più modi si hanno: o spiattellargli la cosa chiara, o fargli mal nel viso, o adoperare perch'egli di te si
disgusti.

Lo sciocco parla col dito.

Meglio è non dire, che cominciare e non finire.

Né occhi in lettere, né mani in tasca, né orecchi in segreti d'altri.

Né in tavola né in letto si porta rispetto.

Son bisogni della vita, non si fa complimenti.

Non domandare all'oste se ha buon vino.

Non metter bocca dove non ti tocca.

Non nominare la fune in casa dell'impiccato.

E parimente:

Rammentare il boia, rammenta la fune.

Non rammentar la croce al diavolo.

Non si rammentano i morti a tavola.

Ogni bel gioco dura un poco— e

Scherzo lungo non fu mai buono.

Ogni parola non vuol risposta— e

Non bisogna ripescare tutte le secchie che cascano— e

Non si vuol pigliare tutte le mosche che volano.

Contro coloro che fanno caso d'ogni minima contrarietà, d'ogni parola a traverso.

Ogni vero non è ben detto.

 

Onestà di bocca assai vale e poco costa— e
Onor di bocca assai giova e poco costa—e
A parole lorde, orecchie sorde.

Perché

Le parole disoneste, vanno attorno come la peste.

Onestà sta bene anche in chiasso.

Parole di bocca e pietra gettata,

chi le ricoglie perde la giornata.

Parole di complimento non obbligano.

Per un bel detto si perde un amico— e

I bei detti piacciono, ma non chi gli dice.

Intende le spiritosaggini, gli epigrammi, i motti che fanno ridere a spese altrui; ma ironicamente dicesi:

Meglio perder l'amico che un bel detto.

Per un brutto viso, si perde una buona compagnia.

Per uno s garbo.

Più vale l'ultimo che il primo viso.

Più conto si tiene della cera che tifa l'amico alla partita, che di quella che tifa all'arrivo.

Prima di domandare, pensa alla risposta— e

Chi domanda ciò che non dovrebbe, ode quel che non vorrebbe.

Quel che tu vuoi dire in fine, dillo da principio.

A chi va troppo per le lunghe e a chi ti mena a cavallo, come non voleva madonna Oretta.

Salutare è cortesia, rendere il saluto è obbligo.

(Vedi Illustrazione XXVII.)

Sotto nome di baia cade un buon pensiero.
Tanto è dir pietra in uscio, come uscio in pietra.

«Belle marquise, vos beaux yeux me font mourir d'amour; (e per variare la frase): D'amour vos beaux yeux me font mourir,
belle marquise, ecc.» (Lezione d'un maestro di rettorica). (MOLIÈRE.)

Una berretta manco o più, è un quattrino di carta l'anno, poco ti costano, e amici ti fanno.

Cavar di berretta e scriver lettere, mantengono quelle relazioni di urbanità che si chiamano amicizie.

Una parola imbratta il foglio.

Una cortesia è un fiore— e

Cortesia di bocca, mano al cappello,

poco costa ed è buono e bello.

 

 

 

 



 

Fonte: https://archive.org/stream/DizionarioDeiProverbiItaliani/Dizionario%20dei%20proverbi%20Italiani_djvu.txt

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Autore del testo: G. Giusti - DIZIONARIO DEI PROVERBI ITALIANI con aggiunte e avvertimenti di Gino Capponi

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