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A. Modelli organizzativi nella gestione delle urgenze in psichiatria
Ad oltre 30 anni dalla approvazione della legge 833 di istituzione del SSN e dalla approvazione della legge 180 di riforma psichiatrica, in seguito alle quali si è avviato il processo di apertura degli SPDC all’interno degli Ospedali Generali, il ruolo della psichiatria nell’ospedale si è progressivamente arricchito di funzioni e di operatività per dare risposte a bisogni differenziati.
Nel corso degli anni, il tema dell’emergenza psichiatrica è divenuto sempre più complesso sia per la rilevanza di situazioni cliniche nuove, sia in seguito ai cambiamenti organizzativi avvenuti negli Ospedali.
In generale, la psichiatria nell’ospedale generale è diventata non solo luogo contenitivo della crisi, ma anche momento di approfondimento diagnostico e di impostazione di progetti di trattamento a medio-lungo termine, occasione di collaborazione con le altre discipline specialistiche (psichiatria di consultazione) e strumento di promozione e di informazione per gli utenti e i famigliari.
Seppur vi sia un ampio riconoscimento sul ruolo che i reparti di psichiatria svolgono all’interno degli Ospedali e a favore dei percorsi di cura degli utenti dei servizi psichiatrici, è opinione condivisa che la problematica dell’emergenza e urgenza in psichiatria richiede una prospettiva che consideri il rapporto ospedale - territorio. Infatti, la prevenzione delle urgenze avviene principalmente attraverso l’appropriatezza e la flessibilità dell’intervento territoriale. A livello territoriale devono essere considerati e potenziati tutti gli ambiti di intervento (in primo luogo la capacità di intervento dei Centri Psicosociali (CPS)) e deve essere sviluppato il collegamento con i soggetti istituzionali per la gestione delle urgenze, a partire dal rapporto con i Medici di Medicina Generale (MMG) e i medici di continuità assistenziale, coinvolgendo i servizi per l’emergenza-urgenza (118), la polizia municipale e le altre forze dell’ordine (procedure per Accertamenti e Trattamenti Sanitari Obbiligatori (ASO, TSO)). Una sede rilevante e critica per la gestione dell’emergenza – urgenza in psichiatria è il Pronto Soccorso ove dovrebbe essere sempre disponibile un ambiente specifico per la gestione dei casi psichiatrici acuti prestando la massima attenzione agli aspetti strutturali e organizzativi.
L’utenza dei SPDC si caratterizza per una significativa variabilità riguardo alla diagnosi, all’età e soprattutto ai bisogni relativi ai singoli episodi di ricovero. In un SPDC sono ricoverati contemporaneamente soggetti in TSO (nei confronti dei quali, indipendentemente dalla diagnosi, il reparto ha una funzione e una responsabilità di custodia), soggetti con aspetti di ritiro sociale e autismo, soggetti con comportamenti aggressivi, ma anche soggetti affetti da disturbi depressivi con propositi o precedenti di comportamenti suicidari. Gli SPDC mostrano chiari limiti e inadeguatezze nel trattamento di alcune patologie quali quelle delle forme meno gravi di depressione, i disturbi d’ansia gravi, e in genere degli anziani. Queste condizioni psicopatologiche necessiterebbero di ambienti maggiormente differenziati con setting di cura appropriati in un contesto in grado di garantire un’atmosfera di cura serena.
Nell’ultimo periodo è stato posto al centro il tema dell’appropriatezza riguardo alla tipologia degli utenti ricoverati così come dell’appropriatezza e completezza dei programmi di trattamento. Il tema dell’appropriatezza (sia in relazione alla tipologia degli interventi che alle casistiche trattate) viene ulteriormente trattato nella seconda parte (Sezione B.) di questo documento. Riguardo all’appropriatezza dei ricoveri, va qui anticipato che sempre più frequentemente il ricovero in SPDC avviene per problematiche di tipo sociale / assistenziale o per problematiche comportamentali non riconducibili primariamente a quadri psicopatologici. Il ricovero in SPDC dovrebbe invece essere prioritariamente utilizzato per valutazioni di tipo clinico-diagnostico e/o di trattamento per soggetti con disturbi psicopatologici specifici. Vi è inoltre da considerare che, a causa dello stigma, avviene ancora frequentemente che vengano inviati nei reparti di psichiatria soggetti con problematiche primariamente medico-internistiche per il solo motivo di avere una storia pregressa di trattamento nei servizi psichiatrici.
Al fine di ridurre notevoli, inutili e dannosi, prolungamenti di ricovero in SPDC risulta di particolare importanza l’individuazione di luoghi di cura per post-acuti. La disponibilità dei posti letto per post-acuti garantisce una migliore cura a livelli di intensità ridotti rispetto al SPDC, un risparmio di personale e di risorse, una migliore attuazione di programmi riabilitativi e una migliore fluidità del percorso terapeutico. L’utilizzo dei posti attualmente previsti in Comunità Riabilitativa ad Alta Assistenza (CRA) per post- acuti attiva circuiti virtuosi nelle diverse fasi della malattia e un più congruo utilizzo delle altre strutture residenziali e semiresidenziali.
Una particolare attenzione dovrebbe essere posta al momento delle dimissioni per i casi ad alta complessità, cercando sempre di garantire una continuità delle cure attraverso varie articolazioni, al fine di favorire la presa in carico da parte del servizio psichiatrico territoriale (attraverso il Piano di Trattamento Individuale (PTI) e la funzione di case manager), l’attivazione delle risorse familiari e di altre agenzie di supporto clinico e sociale (Comunità Terapeutiche, Istituti, RSA etc), comprese le strutture ospedaliere non psichiatriche a medio-basso livello di assistenza deputate a favorire il turn-over e l’appropriatezza dei ricoveri nei reparti specialistici
Per i pazienti portatori di disabilità fisiche, ritardo mentale e/o con prevalenti problematiche socio assistenziali devono essere, una volta superate le condizioni cliniche psichiatriche acute, attivate iniziative di ricollocamento nelle specifiche aree di competenza. Al fine di garantire un efficace e sollecito intervento, dovrebbero essere attivati protocolli di intesa specifici tra gli organismi individuati alla definizione di percorsi inter-istituzionali.
In tema di emergenza urgenza psichiatrica, vi sono problematiche specifiche sempre più presenti: doppia diagnosi, dipendenze patologiche, problemi comportamentali da un lato, e dall’altro bisogno di ricovero per patologie specifiche quali depressione, disturbi dell’alimentazione, ecc. L'abuso di sostanze psicoattive nella moderna società è sempre più diffuso e va ad inquinare e modificare i quadri di presentazione clinica a cui gli psichiatri sono abituati. L'incremento di interventi per l’acuzie di soggetti con quadri psicopatologici legati ad abuso di sostanze, spesso in codiagnosi con disturbi sia di asse I che di asse II del DSM-IVTR, rappresentano una delle principali criticità attuali. A questo riguardo devono essere specificatamente considerate le problematiche delle realtà metropolitane (affollamento, urgenze psicopatologiche che si associano ad urgenze sociali, uso di sostanze, flussi migratori, etc.) per le quali è necessaria una pianificazione – su base strettamente epidemiologica – di risorse dedicate e/o di possibili interventi di rimodellamento dei modelli operativi tradizionalmente sperimentati.
Un’altra criticità emergente riguarda la problematica del rapporto con la NeuroPsichiatria Infantile (NPI) e la pediatria per gli interventi sull’urgenza nei soggetti minori e particolarmente nella fascia dell’adolescenza. La sempre maggiore frequenza di ricoveri di soggetti minori in SPDC comporta complicazioni nella gestione del reparto, oltre ad essere inappropriata di per sé. E’ necessario, sotto questo aspetto, avviare progetti di integrazione psichiatria – NPI con il coinvolgimento della pediatria per il trattamento ospedaliero delle urgenze in età giovanile – adolescenziali.
In diverse realtà ospedaliere lombarde sono in fase di sperimentazione e di avvio nuovi modelli organizzativi per affrontare il tema della gestione delle urgenze in psichiatria. Il presente documento intende affrontare la tematica principalmente sotto due aspetti: 1) la prevenzione e la gestione dell’urgenza a livello territoriale; 2) i nuovi modelli organizzativi per l’emergenza e urgenza psichiatrica a livello ospedaliero. Infine vengono proposte alcune specifiche raccomandazioni.
L'urgenza in psichiatria si configura come una situazione clinica che può avere origini e cause estremamente differenziate. Ai classici quadri psicopatologici acuti, si aggiungono frequentemente quelle “situazioni di pressione elevata in cui le reazioni emotive sono ampliate ed accelerate, ed in cui il medico ha il compito di dare risposte “sane” e “risananti””. Non sempre infatti in psichiatria i tre fattori (acuzie, gravità e necessità di trattamento immediato), che caratterizzano un'urgenza medica, coesistono. L'urgenza in questo campo è spesso definita come una situazione di rottura di un equilibrio fino ad allora relativamente stabile. L'emergenza comprende anche quei casi in cui, pur non sussistendo un peggioramento del paziente, è presente la rottura di un equilibrio con l'ambiente.
In psichiatria non esistono particolari situazioni che necessitano di un trattamento di emergenza per la loro gravità. Non vi sono infatti, come per patologie di altri apparati od organi, quadri clinici così gravi che, agendo sulle funzioni vitali ed alterandone i parametri, possono mettere in imminente pericolo di vita il paziente. Tuttavia è possibile che dalla sommatoria di problemi di natura clinica con problemi di natura sociale possano prodursi delle situazioni che richiedono un intervento tempestivo e urgente.
Il modello operativo lombardo ha proposto percorsi di cura differenziati utili a governare il processo assistenziale partendo dall’analisi dei bisogni del paziente, per giungere a modalità operative in cui il ruolo dell’equipe costituisce il nucleo centrale dell’operare sul territorio. La presa in carico del paziente portatore di bisogni complessi e la gestione dello stesso attraverso il “case manager comunitario” ha permesso di migliorare la qualità e la gestione dell’assistenza psichiatrica, consentendo agli operatori di ridurre gli interventi sull’urgenza e al tempo stesso pianificare i percorsi di cura. Se a tale prassi operativa integriamo il ”lavoro di rete” inteso come coinvolgimento e integrazione di agenzie presenti sul territorio, finalizzate a favorire il percorso terapeutico-riabilitativo, comprese le segnalazioni delle situazioni di crisi, ben si comprende come tali strumenti potrebbero contribuire a rivedere gli interventi di urgenza sul territorio in un’ottica di prevenzione degli stessi.
Secondo quanto previsto dal Piano Regionale per la Salute Mentale (PRSM) vigente, il SPDC, indicato come la struttura centrale nella gestione dell’emergenza/urgenza, opera nell’ambito dei programmi di cura offerti dalle Unità Operative di Psichiatria (UOP) e dai Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) e in collegamento con le strutture territoriali, garantendo unitarietà e continuità del percorso assistenziale. Vi è tuttavia da considerare che una percentuale significativa dei pazienti ricoverati è rappresentata da utenti al “primo contatto” con i servizi psichiatrici e pertanto non noti alla UOP.
Alla luce delle considerazioni sopra enunciate si ritiene opportuno avanzare alcune indicazioni che possano considerare anche gli interventi di prevenzione dell’urgenza/emergenza sul territorio come prassi operative che da un lato riducano il ricorso ai ricoveri in SPDC e dall’altro rinforzino il lavoro dell’équipe inteso come migliore gestione del paziente in un’ottica di lavoro integrato e condiviso:
1 - Ruolo dell’équipe del CPS intesa come équipe multi-professionale fortemente integrata sul territorio.
2 – Sviluppo dell’integrazione tra soggetti istituzionali e non istituzionali che concorrono alla tutela della salute mentale
3 - Potenziamento del ruolo del CPS attraverso il collegamento con i servizi del terzo settore e con la rete dei servizi per la salute mentale
4 – Ruolo della formazione
Riguardo alla gestione dell’emergenza-urgenza psichiatrica, negli ultimi anni in diversi DSM regionali si sono avviate riflessioni e sono in fase di definizione progetti specifici di riorganizzazione delle attività, sia rispetto alla gestione dei posti letto ospedalieri, sia relativamente all’intervento nelle situazioni di crisi. Infine, a livello ospedaliero, nel corso degli anni si sono consolidate le attività di psichiatria di consultazione e di collegamento con altri reparti specialistici
L’approfondimento e la riflessione sui nuovi modelli di intervento della psichiatria in ospedale avviene da un lato su aspetti generali, e dall’altro con la progettazione di nuovi modelli operativi.
Aspetti generali
Nella progettazione dei luoghi deputati all’emergenza–urgenza in psichiatria, possiamo distinguere due differenti aspetti che influenzano i modelli organizzativi: a) un aspetto squisitamente spaziale, ovvero l’organizzazione dello spazio per pazienti e operatori, parenti e conoscenti; b) l’organizzazione umana, relazionale e professionale, ovvero il sistema di relazioni che regolano il funzionamento della cura e gestione del paziente in quello spazio.
E’ intuitivo quanto i due aspetti possono influenzarsi a vicenda: un luogo troppo piccolo, senza privacy, molto affollato, per di più necessariamente chiuso o comunque con apertura regolamentata e sorvegliata, tenderà a coartare, ad obbligare in un sistema di relazioni più rigide rispetto a quanto accade per i fruitori di uno spazio aperto o semi-regolamentato.
Anche il “modello di malattia” tende ovviamente a influenzare l’assetto e l’organizzazione dello spazio fisico ospitante: l’idea di un paziente (chirurgico o medico) costretto al letto per gran parte del tempo di degenza, portò Le Courbusier a immaginare delle camere con finestre sul soffitto, in cui il paziente potesse vedere cielo e nuvole e non solo muro, così come i sanatori venivano progettati con particolare attenzione allo sviluppo di terrazze rivolte al sole ecc. La maggior parte degli attuali SPDC ha una configurazione spaziale pressoché totalmente omologata ai reparti ospedalieri comuni (a parte serramenti e porte di sicurezza) e ciò se da un lato è de-stigmatizzante (parificando la psichiatria a tutte le altre discipline ospedaliere), dall’altro trascura forse alcune esigenze specifiche di movimento e di attività diurne terapeutico-riabilitative che i pazienti con disturbi psichici possono avere anche in acuzie.
Nel presente documento si intende sottolineare l’importanza della funzione di accoglienza che svolge il SPDC, sia con utenti al primo contatto con i servizi, sia con utenti già in contatto ma in situazione di riacutizzazione sintomatologica. In questa prospettiva la dimensione strutturale, la gradevolezza del luogo, la presenza di spazi per attività psico-socio-educative rappresentano elementi determinanti per garantire un trattamento efficace e un clima di reparto favorente la riduzione dell’aggressività e degli agiti violenti (vedi anche la Sezione B. del documento). Le indicazioni contenute originalmente nell’articolo 64 delle Legge 833/1978, e successivamente confermate nei progetti obiettivi regionali lombardi del 1986 e 1995 e nel Progetto Obiettivo nazionale “Tutela della Salute Mentale 1998-2000”, relativamente alla necessità di considerare 1 p.l. ogni 10.000 residenti e un numero di posti letto in SPDC non superiore a 15/16 sono considerate da questo gruppo di lavoro ancora attuali per la buona efficacia delle cure nei reparti psichiatrici. Allo stesso fine si raccomanda la dotazione di personale per gli SPDC coerente con i requisiti di accreditamento previsti nella DGR 38133/1998 (negli SPDC operano almeno 3 medici di I livello fino a 10 p.l. con incremento di 1 unità ogni 5 p.l. successivi; 240 minuti di assistenza infermieristica per posto letto e comunque presenza in servizio di almeno 3 unità per turno di cui almeno 2 unità infermieristiche).
La necessità di ospitare pazienti in TSO, o comunque di pazienti da limitare nella spinta a sottrarsi alle cure, rende necessaria in linea di massima la chiusura in quanto modalità più esteriorizzata (ma non necessariamente più efficace e sicura) del contenimento psichico necessario nei reparti di psichiatria. Ma è vero anche che gli operatori sanno bene che la quota di pazienti ricoverati in SPDC e che necessitano di un reparto chiuso non sono quasi mai più del 20-40 % del totale. Le diverse esperienze di reparti aperti o semi aperti (con una persona dedicata al controllo della porta) o aperti in giorni della settimana o momenti della giornata in cui il tipo di afflusso lo consente, dimostrano da un lato la natura sovradimensionata della chiusura (e del clima che essa comporta e ispira) per la maggior parte di pazienti ricoverati, dall’altro il prevalere tendenziale di un’inerzia istituzionale per cui di fatto il SPDC è chiuso e l’apertura è un momento sporadico e sperimentale, spesso destinato a non permanere nell’organizzazione.
La coabitazione in regime di ricovero di diverse patologie può diventare una criticità prevalentemente in relazione al livello di gravità dell’espressione sintomatologica delle (pur diverse) patologie. Un problema può essere costituito dalla demoralizzazione, dal livello di angoscia comunicabile o dal vero e proprio contagio psichico che diversi livelli di acuzie presentati o esibiti da alcuni pazienti determinano negli altri pazienti, e spesso dei parenti che insieme al paziente non possono identificarsi nei livelli più gravi di malattia. Tuttavia, differenziare il ricovero per patologie non impedisce necessariamente di avere comunque intensissimi livelli di sofferenza psichiatrica espressa (si pensi ai disturbi bipolari o schizofrenici in fase acuta); è invece acclarata l’utilità di specifici reparti per i disturbi di personalità o per i disturbi di dipendenza da sostanze, che tuttavia si configurano più come assetti di Comunità ad alta protezione.
Modelli operativi per l’organizzazione dei posti letto di psichiatria in ospedale
Per questa e altre ragioni, nei DSM che possono prevedere più di un SPDC, appare altamente raccomandabile valutare la possibilità di pensare a un SPDC organizzato per pazienti a bassa-media intensità di cura il cui connotato differenziante rispetto agli altri SPDC sia quello di essere aperto (o quasi sempre aperto) e, di conseguenza, ospitare patologie differenti o in fase critica differente dall’SPDC a porte chiuse. Appare dunque sensato, in buona sostanza, pensare a una possibile differenziazione dei reparti ospedalieri di psichiatria in base ai livelli di intensità di cura (medica) e di assistenza (infermieristica) - ovvero di sintomatologia rilevabile (e attesa!) - con particolare attenzione al fatto che alta intensità non significa necessariamente solo alta sorveglianza; il rischio infatti di costituire reparti “blindati” con enfasi sulle misure di contenimento e contenzione (tipo seclusion room o stanze a vista con letti di contenzione raggruppati) emerge con grande facilità dalla discussione di questi modelli. Laddove il contesto organizzativo non consenta la differenziazione dei reparti ospedalieri, appare comunque appropriato differenziare aree a diversa intensità assistenziale nei singoli reparti.
E’ opportuno dare specifica enfasi invece alla possibilità che in presenza di diversi reparti ospedalieri in un singolo DSM, uno di questi venga pensato come reparto a bassa–media intensità con affluenza mista rispetto ai territori in cui è suddiviso il DSM, in cui i principi clinici ispiratori siano quelli della possibilità di far sperimentare al paziente il ricovero in SPDC come legato non necessariamente e non solo ai momenti più drammatici della propria malattia, e ciò anche al fine di “fidelizzare” l’utente, nell’eventualità di ricoveri successivi, a un SPDC visto come presidio accogliente, confortevole, inclusivo e aperto. Accanto a questa risorsa relativamente nuova come profilo di utilizzo, è ovvio che si continuerà a dotarsi di SPDC che prevedano al loro interno anche aree a più alta intensità di osservazione e cura.
Specificamente per le situazioni di acuzie gravi e che connotano il quadro clinico come situazione di grave urgenza (sempre più frequentemente oggi riconducibili a situazioni di doppia diagnosi, abuso di sostanze, gravi problematiche comportamentali) appare opportuno progettare aree di intervento in collegamento con le strutture ospedaliere dell’emergenza – urgenza, ove la collaborazione fra psichiatria e servizi medici possa attuarsi secondo modelli innovativi. La presenza di “aree ad alta intensità” per la psichiatria collocate nel Pronto Soccorso rappresenta un possibile modello da sperimentare.
Infine, è necessario riaffermare il principio che il SPDC è una risorsa del territorio, a disposizione del territorio e di tutta l’Unità Operativa, che viene proposta alla comunità e alla comunità degli operatori non solo come luogo capace di accogliere il paziente quando le altre articolazioni della UOP non siano più in grado di farlo, ma anche dove il/la paziente possa sperimentare modalità di accoglienza e cura adeguate ai momenti più critici della propria vicenda personale, in cui l’esistenza di uno spazio fisico contribuisca a creare uno spazio mentale che aiuti a sviluppare consapevolezza non solo della malattia ma dell’utilità delle cure. A questo riguardo appare utile sottolineare che nei DSM nei quali è stata sperimentata un’organizzazione che ha separato le Unità ospedaliere dalle strutture territoriali e residenziali, i risultati sono stati negativi e si è ritornati ad un’organizzazione di Unità Operative di Psichiatria tradizionali nella quale viene garantita sotto un’unica responsabilità clinica di Struttura Complessa l’articolazione delle strutture ospedaliere, territoriali e residenziali.
Il “TRIAGE “ come modello organizzativo territoriale di gestione della crisi
II triage è uno strumento organizzativo volto a selezionare e ordinare gli accessi nei servizi per acuti. L’applicazione del modello anche nell’ambito della gestione dell’Urgenza Emergenza psichiatrica nei servizi territoriali può rappresentare una modalità organizzativa utile per ottenere una valutazione della gravità della situazione e consentire una rapida definizione delle priorità assistenziali e terapeutiche. Partendo dal presupposto che in psichiatria esistono poche situazioni che necessitano di un trattamento di emergenza per la loro gravità, spesso tuttavia il sommarsi di problemi di natura clinica con problemi di natura sociale determina situazioni che richiedono un intervento tempestivo, ma non necessariamente medico-specialistico (psichiatra, internista , ecc.). La tecnica del triage, attraverso la compilazione di una scheda specifica che guida la raccolta dei dati e ne assegna un punteggio, definisce l’attribuzione di un codice colore che classifica la gravità della situazione, consente all’infermiere esperto e addestrato di definire il grado di gravità dell’urgenza e conseguentemente l’intervento più appropriato:
ROSSO: situazione che richiede l’attivazione tempestiva dello psichiatra, contenimento della situazione, eventuale chiamata del 118 eo delle Forze dell’Ordine, invio al P.S.
GIALLO: osservazione e attivazione del medico psichiatra, monitoraggio costante, anche in considerazione della compliance terapeutica e della presenza di figure di supporto (famiglia, risorse di rete) e rivalutazione
VERDE: osservazione e verifica dell’evoluzione della sintomatologia, situazioni che spesso si presentano in maniera eclatante ma che si risolvono con l’intervento infermieristico (colloquio, attivazione di rete,ecc.) e rivalutazione
BIANCO: invio al CPS per visita e o controlli differibili
E’ facile comprendere come la valutazione del paziente e la scelta del codice di priorità da attribuire debba tener conto, oltre che dei parametri oggettivi e misurabili e dei sintomi soggettivi del paziente, anche della possibilità di una escalation della sintomatologia tale da creare pericolo alla incolumità del paziente stesso e altrui. E’ necessario che gli operatori dei servizi territoriali vengano formati e addestrati all’utilizzo del modello organizzativo del TRIAGE con momenti di formazione apposita sia per la definizione del codice colore sia per la gestione della crisi secondo il seguente modello
1 |
Triage |
Valutazione del livello di gravità e attribuzione del codice di triage |
Infermiere |
2 |
Accoglienza / risk assessment |
Diminuire al minimo il tempo d’attesa per l’espletamento della prima accoglienza |
Infermiere |
3 |
Anamnesi – valutazione clinica - diagnosi |
Raccogliere i dati anamnestici da più fonti; valutare le condizioni mediche e psichiche; effettuare una diagnosi differenziale delle possibili cause d’agitazione |
Medico |
4 |
Intervento in area critica |
Interventi strumentali non farmacologici. |
Medico |
5 |
Definizione del programma di cura |
Attenzione al monitoraggio e alla stabilizzazione delle condizioni cliniche acute; garantire un periodo congruo di osservazione e monitoraggio in area critica |
Medico |
Tale modalità di gestione dell’urgenza sul territorio richiede la formazione di una equipe di operatori (infermieri, medici, operatori di supporto) capaci di operare in condizioni extraospedaliere ma anche la disponibilità di un luogo (stanze della crisi) presso il CPS dove la gestione della crisi possa svolgersi in sicurezza e tranquillità.
La Psichiatria di Consultazione
L’integrazione della psichiatria nell’Ospedale Generale ha determinato, negli ultimi anni, una maggior capacità di riconoscimento dei disturbi psichici da parte degli altri specialisti, un incremento delle richieste di visite nei reparti ospedalieri e un aumento della richiesta di programmi di cura per specifiche popolazioni di utenti affetti da patologie primariamente medico-chirurgiche.
L’Ospedale Generale è una delle sedi più importanti per il riconoscimento dei disturbi psichici. Questo accade perché l’esperienza di malattia, soprattutto se grave e/o cronica (la tecnologia medica, in molte patologie, prolunga la durata della vita ma in uno stato di cronicità e riduzione della qualità di vita e funzionamento) può diventare fattore scatenante di molti disturbi psichici.
L’Ospedale Generale è un “territorio” ad alta morbilità psichiatrica a ragione:
Quindi l’SPDC all’interno dell’Ospedale Generale assolve compiti specifici di risposta alle richieste di consultazione che progressivamente i vari reparti effettuano in numero sempre maggiore a ragione delle migliorate capacità di riconoscimento del disagio psichico. Pertanto si ritiene necessario individuare come strumento organizzativo dell’SPDC nell’Ospedale Generale ed espressione “forte” della sua integrazione con le altre specialità mediche, una funzione organizzata per la Psichiatria di Consultazione e Collegamento che assolva ai seguenti obiettivi:
B. Elementi clinici ed organizzativi generali in relazione alle casistiche trattate ed ai comportamenti aggressivi o violenti
Come si è detto, l’SPDC si rappresenta talvolta come una realtà frammentaria, soprattutto in considerazione della connotazione di urgenza degli interventi in condizioni psicopatologiche acute, e caratterizzata da un elevato transito di pazienti con manifestazioni cliniche estremamente differenziate.
Questo si può riflettere nell’organizzazione e nel clima relazionale interno al reparto, il che rende maggiormente difficoltosa la gestione clinica del paziente e lo sviluppo delle condizioni favorevoli alla (ri)presa in carico del paziente stesso da parte dei servizi territoriali.
In questo contesto, comportamenti aggressivi e violenti si verificano con una certa frequenza, e ancor più frequenti sono gli stati di agitazione psicomotoria nei pazienti ricoverati.
Stime condotte nel nostro Paese riferiscono una prevalenza di episodi di aggressività variabile tra il 3 e l’8% dei soggetti ricoverati (Grassi et al, 2001; Ballerini et al, 2007; Biancosino et al, 2009; Cornaggia et al, 2011).
Fattori associati a tali comportamenti sono in parte aspecifici, simili a quelli che risultano associati all’aggressività ed alla violenza nella popolazione generale, in parte specifici per la popolazione psichiatrica (Amore et al, 2008; Bowers et al, 2011; Cornaggia et al, 2011).
Tra i primi si ricordano il sesso maschile, la giovane età, e l’abuso attuale o pregresso di sostanze stupefacenti o alcool, ma soprattutto una storia personale di pregressi comportamenti impulsivi/ostili, la lunghezza del ricovero ospedaliero e la condizione di obbligatorietà del ricovero stesso.
Tra i secondi, soprattutto nei disturbi psicotici, risultano significativi la presenza di sintomi psicotici acuti – in particolare sintomi paranoidei e disorganizzazione del pensiero – in atto o precedenti il ricovero. Alcuni disturbi di personalità, anche indipendentemente dalla presenza di patologie in comorbidità, presentano poi un intrinseco accresciuto rischio di comportamenti auto/ eteroaggressivi: si tratta in particolare del disturbo borderline e del disturbo antisociale di personalità (vedi oltre).
In ogni caso, variabili “di contesto”, legate all’organizzazione, alle regole ed alla routine di reparto, appaiono ancor più rilevanti. Fattori come: - l’affollamento di pazienti e operatori nel reparto, - la condizione ambientale, in particolare le caratteristiche del reparto favorenti o meno il comfort “abitativo”, - la chiarezza, univocità ed empatia della comunicazione con i pazienti da parte dello staff, risultano particolarmente significativi. Anche le attività svolte all’interno del reparto, la limitazione dei tempi vuoti e della noia degli utenti, consentendo agli ospiti un adeguato livello di stimolazione (Cowin et al, 2003), giocano un ruolo non secondario nella prevenzione di comportamenti di agitazione, aggressività e violenza.
E’ stata anche delineata una correlazione “a cascata” tra tipo e intensità della leadership di reparto, caratteristiche strutturali e procedure organizzative, qualità del lavoro di equipe, livello di burn-out degli operatori, percezione di difficoltà nella gestione dei casi e probabilità di ricorso alla contenzione fisica (Bowers et al, 2011).
A fronte di queste evidenze, dovrebbero essere dunque sistematicamente valutati, monitorati e affrontati secondo le migliori pratiche i fattori di rischio per l’emergenza di fenomeni di ostilità/aggressività nei pazienti ricoverati.
Dovrebbero a tal proposito essere adottati sistematicamente protocolli di valutazione del rischio di aggressività e violenza e di trattamento e gestione dell’agitazione e dell’aggressività in SPDC.
Dovrebbe essere inoltre posta attenzione ai fattori che condizionano il rischio di comportamenti aggressivi in SPDC, con particolare riguardo a:
Tra i fattori strutturali ed organizzativo/funzionali, oltre al rispetto puntuale dei criteri di accreditamento previsti per gli SPDC, andrà posta attenzione al comfort abitativo, alla sicurezza ambientale, ad evitare il sovraffollamento dei reparti.
Risulta particolarmente indicato approntare e regolarmente aggiornare un regolamento di reparto, conosciuto ed approvato dalla Direzione Sanitaria del Presidio Ospedaliero di afferenza, comprendente anche specifiche regole di comportamento per pazienti e operatori. Alcune problematiche da tenere in considerazione nell’ambito dei Regolamenti di reparto :
La chiarezza delle regole di reparto, della loro comunicazione, e la consistenza di applicazione da parte dei membri dello staff sono elementi di sicura utilità (Alexander e Bowers, 2004), mentre la eccessiva strutturazione/rigidità delle regole, seppur necessaria per alcuni disturbi e in alcune fasi della malattia psicotica, non sembrano utili nella gran parte dei casi. Dannose risultano poi le regole applicate in modo solo sanzionatorio.
Si fa anche strada l’indicazione, derivante da esperienze ben documentate, di diversificare tali regole organizzative in funzione della gravità e della fase del disturbo – per esempio “modulo della crisi”, “del trattamento”, e “della dimissione” – con livelli crescenti di autonomia decisionale e gestionale concessa al paziente (Steinert et al, 2008), e con la possibilità di individualizzare e negoziare con il singolo degente regole chiare, comunicate anche in forma scritta (Alexander e Bowers, 2004, Alexander, 2006) (vedi anche quanto enunciato nella sezione A. del documento).
Un posto di rilievo in tutte le revisioni sul tema è rappresentato dal “clima relazionale” nel reparto, al quale va posta pertanto attenzione costante e progettualità correttiva specifica.
Nel primo contatto, in un contesto caratterizzato da una condizione di emergenza/urgenza, è importante che il colloquio si svolga in uno spazio fisico che non sia angusto, cercando di caratterizzare la relazione con una collaborazione diretta e reciproca, e in presenza di altro personale sanitario, della cui identità e ruolo il paziente deve essere correttamente informato. È necessaria un’adeguata valutazione delle condizioni del paziente e delle sue problematiche senza allarmarlo, provocarlo o agitarlo, attraverso un'intervista semplice ed essenziale, comunque appropriata alle sue capacità cognitive. Diviene, quindi, fondamentale curare la comunicazione sia verbale sia non verbale: avvicinare il paziente agitato con calma, lentamente, senza causare ulteriore allarme o sorpresa; parlare in maniera chiara e comunicare attenzione ed interesse ma non minaccia; guardare apertamente senza fissare, per evitare la molesta sensazione di un’intrusione nei pensieri, da parte dell’interlocutore; cercare di mettere a proprio agio, senza insistenze che potrebbero essere vissute come tentativi di coercizione; decidere la priorità delle informazioni da richiedere, per la difficoltà da parte di un paziente con scarsa attenzione, confuso ed irrequieto a sostenere un colloquio prolungato. La sedazione, finalizzata alla riduzione dei sintomi del comportamento violento, laddove non sono risultate efficaci misure di contenimento sul piano psicologico e relazionale, se da un lato deve rispondere a criteri d’efficacia, rapidità d’azione e ridotti effetti collaterali, senza perdere di vista il disturbo di base sottostante, dall'altro deve essere la premessa per un sollecito riadattamento del paziente.
Tra gli aspetti organizzativo/funzionali è sicuramente da collocare il tema delle attività da svolgere in reparto al fine di rendere il periodo del ricovero un momento significativo non solo per il superamento dell’acuzie, ma anche per l’avvio o la verifica del progetto di presa in cura/carico del paziente in collaborazione con il CPS di competenza, e per lo svolgimento di appropriate attività psicoeducative e/o risocializzanti senza escludere l’eventuale coinvolgimento delle famiglie.Interventi con programmi e percorsi adeguatamente strutturati, con tempi costanti, con modalità interattive e non esclusivamente “direttive”, con il coinvolgimento partecipe sia dei degenti sia degli operatori dei diversi servizi (ospedaliero e territoriali), migliorano la comunicazione e le informazioni, aumentano la consapevolezza di malattia e la conseguente adesione al trattamento. Possono essere considerati:
Ricoveri inappropriati sono quelli di pazienti affetti primariamente da patologie correlate all’abuso/dipendenza/astinenza da alcool o droghe (vedi oltre), ma anche di pazienti con ritardo mentale, di soggetti portatori di richieste/bisogni di tipo sociale o assistenziale, o attori di comportamenti antisociali in assenza di una psicopatologia maggiore riconoscibile e trattabile. In questi ultimi casi, inoltre, è noto come i ricoveri tendano a protrarsi nel tempo, aggiungendo cioè ai fattori di inappropriatezza diagnostica crescenti rischi di violazione delle regole e di conflitto con l’equipe.
Per quanto detto sopra, le degenze prolungate vanno comunque considerate inappropriate per i reparti di degenza ospedaliera.
Inappropriati risultano i ricoveri in SPDC di soggetti con demenze, di Alzheimer o di altro tipo. Sebbene i dati disponibili siano scarsi ed eterogenei, risulta infatti che la demenza costituisca una condizione caratterizzata da elevata incidenza di eventi impulsivo-aggressivi, anche se spesso di basso impatto sugli operatori e sul contesto, e che tali comportamenti siano favoriti dalla degenza in ambiente ospedaliero. Gli interventi e i comportamenti atti a ridurre tale rischio richiedono una imponente azione sul contesto, il che rende l’SPDC un luogo del tutto inadeguato ad accogliere tali pazienti, nei cui confronti non può inoltre esercitare funzioni terapeutiche specifiche e/o sostitutive rispetto ad altre soluzioni di assistenza e cura.
Inappropriati risultano anche ricoveri di adolescenti con disturbi del comportamento non correlati ad un disturbo psicotico, specie se senza differenziazione dei luoghi e delle modalità di trattamento rispetto alla normale routine terapeutica dell’SPDC (vedi oltre).
E’ necessario pertanto che i Dipartimenti di Salute Mentale completino ed aggiornino protocolli di intesa e collaborazione rispettivamente con i Servizi per le Dipendenze, i Servizi Disabilità ed il Servizio Sociale delle ASL, le Unità Operative di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza delle Aziende Ospedaliere, per la messa a punto di percorsi di cura per i pazienti con patologie di confine e comorbidità e che comprendano l’evenienza e la fase del ricovero ospedaliero.
E’ necessario anche prevedere la messa a punto di un protocollo condiviso con i Dipartimenti di Emergenza ed Accettazione della propria Azienda Ospedaliera per la gestione delle urgenze ed emergenze psichiatriche o delle richieste di valutazione psichiatrica in situazioni di emergenze medico-chirurgiche, nonché di un protocollo che preveda i casi di possibile ricorso all’intervento da parte delle forze dell’ordine (condiviso con le stesse).
La formazione del personale riveste certamente un ruolo significativo nella prevenzione e nella migliore gestione di episodi di violenza/aggressività e nella riduzione degli episodi di contenzione negli SPDC.
Le esperienze svolte in diversi contesti ospedalieri di vari Paesi ne ribadiscono l’importanza ma anche i limiti. Sembrano preferibili (Bee et al, 2005; McCann et al, 2005) programmi di formazione rivolti all’intera equipe a quelli destinati a singoli operatori nonchè le formazioni interne, “sul campo”, rispetto a quelle esterne. Appare opportuno poi identificare i bisogni formativi specifici degli operatori coinvolti e programmare l’intervento formativo con fasi sia teoriche che pratiche e addestrative.
Tuttavia, la sola formazione non ha un impatto decisivo sulla riduzione degli episodi di aggressività e/o di contenzione, mentre è necessario che essa si inserisca in progetti di miglioramento di qualità che contemplino anche interventi al livello organizzativo-funzionale e clinico (Bowers et al, 2006).
Devono essere pertanto contestualmente affrontati anche i problemi relativi alla stabilità del personale operante nel reparto, alla relazione tra gli stessi operatori, così come va anche posta attenzione al punto di vista degli utenti e agli input degli utilizzatori del Servizio.
In ogni caso, progetti di formazione specifici, con le caratteristiche sopra citate, andrebbero costantemente programmati e realizzati, e successivamente ripetuti in occasione di cambi significativi di composizione dell’equipe.
Una forma specifica di formazione teorico-pratica andrebbe riservata alle patologie ed ai comportamenti emergenti associati al maggior rischio di aggressività/ violenza.
Annualmente, almeno un programma di Miglioramento Continuo di Qualità del DSM dovrebbe riguardare uno dei temi trattati, includendo gli opportuni interventi di formazione. Tra questi è opportuno prevedere la messa a punto di un protocollo oggetto di formazione sulla gestione del comportamento aggressivo.
I progetti di miglioramento e di formazione relativi ai protocolli di minimizzazione e gestione delle contenzioni sono trattati in un paragrafo successivo.
2.TRATTAMENTO DI POPOLAZIONI SPECIALI
2.1.LE DOPPIE DIAGNOSI
Il termine Doppia Diagnosi indica la comorbilità tra abuso-dipendenza da sostanze e un'altra condizione di sofferenza psichiatrica, diagnosticabile come disturbo di asse I o II.
L’alcol e/o altre sostanze di abuso, interagendo con la struttura della personalità del soggetto ed i diversi contesti relazionali, sovente aumentano la probabilità di un comportamento aggressivo o violento.
Un settore di intervento complesso come quello che riguarda i pazienti a doppia diagnosi comporta il coinvolgimento, a titolo e con misura differenti, di distinti Servizi specialistici, ed evidenzia alcune questioni sul piano etico e gestionale: la titolarità della presa in carico, la responsabilità della gestione e dell’attuazione di percorsi terapeutico-assistenziali, i modelli di trattamento etc.. La comorbilità, in questo caso, si identifica attraverso: il disturbo psichiatrico primario, con uso di sostanze; il disturbo tossicomanico primario, con slatentizzazione di fenomeni psicopatologici; il disturbo psichiatrico ed il disturbo tossicomanico primari.
La comorbilità per schizofrenia e disturbi da uso di sostanze non è facile da trattare, per le complicanze nella terapia psicofarmacologica e nella gestione psico-sociale: sovente questi pazienti vengono vissuti come difficili, indesiderabili (con ammissioni, talvolta, negate e/o dimissioni precoci) e l’atteggiamento dell’équipe è, generalmente, poco favorevole.
La comorbilità per disturbi di personalità e disturbi da uso di sostanze si caratterizza per il movimento oscillatorio tra i diversi servizi, la maggiore prevalenza di disturbi comorbili in asse I (d. d’ansia e dell’umore), l’inadeguata collaborazione e la conseguente scarsa compliance, l’abbandono precoce del trattamento.
Il ricovero risulta, comunque, non appropriato per l’eventuale disintossicazione sia da alcol sia da altre sostanze. Mentre assume carattere di appropriatezza per la valutazione ed il trattamento delle eventuali condizioni di salienza psichiatrica con l’obiettivo di:
In ogni caso, deve sempre essere effettuato il monitoraggio delle sostanze attraverso le analisi di laboratorio come parte della valutazione clinica e del piano terapeutico e l’aggiornamento dei risultati come parte di un percorso condiviso di trattamento.
Anche in degenza, gli interventi farmacologici sono finalizzati ad intervenire sulle sequele dell'uso di sostanze, sui disturbi psichiatrici non correlati all'uso e su entrambe le condizioni, con particolare attenzione al trattamento dell'instabilità affettiva ed emotiva, dell'impulsività, degli stati psicotici, e della sintomatologia cognitiva e percettiva.
Di norma, mentre le équipes dei servizi di Salute mentale (SPDC e CPS) non hanno una formazione adeguata ed hanno un’esperienza limitata nella gestione dei disturbi correlati alle sostanze, quelle delle dipendenze (SerT e NOA) manifestano una situazione omologa per i disturbi psichiatrici maggiori e segnalano una bassa soglia di tolleranza alla recidiva.
Nel suo continuum, un valido trattamento del paziente che presenta questa comorbilità pone, quindi, il problema della corretta integrazione tra i Servizi per le dipendenze e i Dipartimenti di Salute Mentale.
Date queste premesse, nel contesto istituzionale diviene fondamentale l’elaborazione di un protocollo operativo fra i Dipartimenti per le Dipendenze delle ASL ed i Dipartimenti di Salute Mentale con l’obiettivo di permettere e facilitare la gestione clinica di questi casi, definendone:
Occorre, infine, avviare percorsi formativi per preparare gli operatori dei Servizi per la salute mentale alle esigenze di nuovi e diversi percorsi clinici nel trattamento di queste patologie, incrementare la competenza psicopatologica nei Servizi per le dipendenze ed integrare, reciprocamente, la gestione dei programmi terapeutici.
2.2. PAZIENTI CON DISTURBI DI PERSONALITA’
Numerosi problemi risultano connessi al trattamento ed all’ospedalizzazione di pazienti con disturbi di personalità, ma per frequenza, complessità gestionale, e implicazioni medico-legali ci limitiamo ad affrontare due di essi, il Disturbo Borderline ed il Disturbo Antisociale di Personalità.
Esistono pareri contrastanti sull’indicazione al ricovero in reparti per acuti, in particolare per pazienti che presentino intenzionalità autolesive.
Emerge la necessità di un valutazione diagnostica attenta (usando strumenti quali interviste o questionari strutturati come la SCID II) sia per identificare il tipo di disturbo di personalità, sia per valutarne le eventuali comorbidità (disturbo affettivo in asse I, uso di sostanze)
L e linee-guida dell’APA (American Psychiatric Association), sebbene ormai datate (2001), danno alcune indicazioni per l’ospedalizzazione breve (che dovrebbe corrispondere ad un ricovero in SPDC):
I reparti psichiatrici per acuti non sono però indicati per trattamenti a lungo termine, ma solo per risolvere i problemi emergenti che hanno precipitato la crisi (Fagin, 2004) ele evidenze sono generalmente equivoche sul valore dell’ospedalizzazione (Vijay N. et al., 2007). Le raccomandazioni ricavabili sono:
Un problema da considerare è quello dell’assenza di trattamenti attivi in SPDC sotto il versante psicologico e della presenza di trattamenti non standardizzati sotto il versante farmacologico. Chiesa M. & Fonagy (2004) hanno mostrato il valore di un programma di ospedalizzazione di media durata seguita da gruppi terapeutici nelle strutture territoriali a forte caratterizzazione psicoterapica, ma questo tipo di programma non è applicabile in reparti per acuti.
E’ rilevato un rischio di approfondimento della regressione in ospedale generale per questi tipi di pazienti, insieme con fenomeni di splitting marcato nell’equipe curante. Le ricerche (Winship 2010) documentano in modo univoco un frequente rifiuto da parte del personale sia medico che infermieristico dei pazienti con disturbo borderline perché “falsi” e manipolatori e perché non rispondono all’usuale trattamento ospedaliero. Ne consegue la necessità di provvedere una specifica formazione e supervisione per il personale.
Molto utili risultano le discussioni di equipe e forti interazioni tra responsabile medico ed infermieristico, anche a fronte del rischio frequente di riammissione di questi pazienti.
Gli elementi utili in caso di ospedalizzazione sono:
Consigli gestionali di carattere generale sono:
Duggan (2002) elenca le competenze chiave per il personale: resistenza, chiarezza sui limiti, abilità a tollerare le intense emozioni, necessità di supervisione.
A partire dalla revisione di Vita et al (2011 in corso di stampa), gli studi pubblicati, sia RCT che “in aperto”, individuano come:
La letteratura è relativamente concorde nello sconsigliare ricoveri in reparti per acuti per i pazienti con disturbo antisociale di personalità.
Come sottolineano le linee guida NICE il ricovero può essere considerato solo nel caso in cui sia necessario gestire una crisi specifica o in cui si debbano trattare comorbidità. E’ invece sconsigliato il ricovero per il trattamento del disturbo di personalità o dei rischi ad esso associato, che dovrebbe essere delegato a strutture specialistiche di terzo livello anche collegate alla rete giudiziaria.
Fagin (2004) concorda che l’ammissione di questi pazienti in strutture di ricovero per acuti è da evitare in quanto mette a rischio il trattamento degli altri pazienti ricoverati. Anche in questo caso le risposte dello staff vanno dalla fascinazione al totale rifiuto. Nel caso di ammissione, il paziente deve essere valutato attentamente ed immediatamente al fine di prendere una decisione clinica rispetto al ricovero.
Nel caso in cui sia necessario il ricovero per un trattamento focale su aspetti di crisi è importante:
Secondo Lion (1999) alcuni suggerimenti possono essere utili nel trattamento di pazienti di questo tipo:
Evidenti appaiono le difficoltà nella rilevazione e presa in carico delle situazioni di urgenza che compaiono in adolescenza e che necessitano di trattamenti in regime di ricovero.
La rete sanitaria di comunità e specialistica (UONPIA, Pediatria di base, Medicina Generale, SERT e Psichiatria) mostra significative carenze e inadeguatezze nella risposta ai bisogni espressi da soggetti in questa fascia di età.
La valutazione dei ricoveri ospedalieri psichiatrici in adolescenza è piuttosto imprecisa, spesso sottostimata e non ben conosciuta nella sua specificità, data la frequente comorbidità con episodi di abuso di sostanze che slatentizzano problematiche psicopatologiche ed emergenze comportamentali.
Scarsi sono anche i dati nazionali sui ricoveri psichiatrici per adolescenti. Dati da Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Lazio, indicativamente riferiscono che circa il 35% dei ricoveri avviene presso gli SPDC, meno del 10% in Pediatria e il resto nelle strutture NPI.
Alcuni autori (Nardocci 2005), attraverso l’analisi delle SDO, hanno valutato il fenomeno dei ricoveri psichiatrici in adolescenza indicando un tasso di ospedalizzazione tra i 14 e i 17 anni stimato intorno al 1,5/1000, un dato da confrontare con quello emerso dal progetto “Progres Acuti” per le ospedalizzazioni psichiatriche di soggetti adulti (a livello nazionale del 2,7/1000), e vicino a quanto indicato negli USA con un tasso di ospedalizzazioni di adolescenti tra i 12 e i 17 anni del 2-3/1000.
Quindi un fenomeno per nulla trascurabile, a fronte del quale significativo è il ricorso all’ SPDC in mancanza di strutture adeguate per la cura in condizione di degenza ospedaliera.
Il tavolo di lavoro ASL Città di Milano ha rilevato nel 2009 265 pazienti con età inferiore ai 20 anni seguiti dai DSM milanesi, dei quali solo 48 erano stati seguiti precedentemente e inviati dalle UONPIA, con diagnosi prevalente di Disturbi di personalità e disturbi d’Ansia e confermando la scarsa intercettazione degli esordi psicotici in età giovanile. E’noto che i servizi NPI ed i DSM non intercettano tempestivamente gli esordi psicotici, dato confermato dal monitoraggio delle attività territoriali di psichiatria, che indicano che la percentuale di soggetti psicotici nei CPS quintuplica a partire dai 25 anni. Tale criticità è nota alla DGS della Regione Lombardia, che ha favorito il finanziamento e lo svolgimento di Progetti Innovativi di area Territoriale sul tema del riconoscimento e degli interventi precoci dell’esordio psicotico sia per l’area Psichiatrica che di NPIA per la quale in particolare sono stati attivati progetti specifici regionali sulla gestione della urgenza-emergenza di minori in età adolescenziali in collegamento con i DSM, Pediatrie e DEA.
La difficile predittività dei ricoveri psichiatrici risulta correlata anche alle difficoltà di riconoscere i segni preclinici e clinici di disturbi psichici in adolescenza (disturbi della condotta, disturbi d’ansia) che possono dare luogo a crisi improvvise che richiedono interventi in emergenza ed alla scarsa attenzione data al fenomeno della continuità tra i disturbi emergenti in età infantile e adolescenziale e quelli dell’età adulta.
Altrettanto note sono le controverse difficoltà che le Agenzie Educative primarie coinvolte (famiglia, scuola) incontrano nell’individuare i fattori di sofferenza psichica al loro iniziale manifestarsi.
Una recente ricerca epidemiologica (PRISMA) condotta su preadolescenti tra gli 11 e i 13 anni ha evidenziato come 8 ragazzi su 100 presentano segni clinici riferibili ad un disturbo psicopatologico con prevalenza di ansia e depressione. La stessa ricerca indica come solo il 14% degli adolescenti diagnosticati avesse consultato un centro specialistico. I dati PRISMA confermano le difficoltà ad intercettare la psicopatologia adolescenziale prima che si manifesti con segni clamorosi che conducono a situazioni di urgenza-emergenza (tentativi di suicidio, psicosi, disturbi di panico..)
Un ruolo significativo del fenomeno del ricovero psichiatrico in adolescenza è svolto dalla commistione con episodi di abuso di sostanze che slatentizzano quadri psicopatologici e ancora scarsa attenzione viene data ai legami tra ADHD, abuso di sostanze ed esordi bipolari.
La scarsa comunicazione tra rete territoriale e servizi ospedalieri, tra NPIA e DSM, la carenza di servizi dedicati a questa fascia di età e la scarsa formazione dei neuropsichiatri e psicologi nella presa in carico di questo tipo di disturbi giocano un peso rilevante.
Il ricovero in SPDC di soggetti adolescenti è caratterizzato da notevoli difficoltà e criticità, sintetizzabili come segue:
Proposte
1) Valutazione del bisogno di attivazione di posti letto dedicati alla gestione delle emergenze psichiatriche in Adolescenza eventualmente con la creazione di strutture finalizzate alla gestione dell’urgenza-emergenza in adolescenza
2) Creazione di equipes dedicate all’interno dei DSM con figure professionali con specifiche conoscenze e competenze nell’area dei disturbi psichiatrici dell’adolescenza e della prima età adulta, al fine di garantire la qualità degli interventi
3) Eventuale attivazione di spazi di ricovero dedicati, contigui al SPDC, con particolare attenzione alle caratteristiche dell’utenza ed alle diverse necessità strutturali ed organizzative (camere singole o al massimo a 2 letti)
In ogni caso, nell’evenienza di un ricovero di adolescenti in SPDC, dovrebbero essere tenute in considerazione le seguenti raccomandazioni:
C. Contenzione
1. CONTENZIONE E CONTENIMENTO
“Contenzione”, come tutte le parole della Psichiatria, è termine scivoloso, dai diversi significati.
Può certo partecipare dell’ambito del “contenimento”, esserne in qualche misura un aspetto. Racamier soleva dire che “non c’è un oggetto buon contenitore che non sia anche un po’ un oggetto-ostacolo”. In alcuni casi la contenzione-contenimento può contribuire a proteggere, definire i limiti, fronteggiare il dilagare caotico dell’esperienza psicotica, limitare i danni. In altri casi è semplicemente inevitabile, faute de mieux. E’ dunque opportuno mitigare le idealizzazioni e le attese di una psichiatria completamente e definitivamente monda di qualsiasi grano di violenza. Chiunque abbia una certa esperienza clinica sa bene che ci sono certi pazienti, in certi casi, che la chiedono, come un sollievo.
Temple Grandin, la più celebre autistica ad alto funzionamento del mondo (descritta anche da Oliver Sachs) ha raccontato più volte della “squeezing machine”, quella macchina che lei stessa ideò, copiandola dai marchingegni che servivano per immobilizzare le mucche per la marchiatura, nella quale da sola entrava quando la presssione del caos e la perdita dei confini diventava intollerabile. Julien de Ajuriaguerra e poi i suoi allievi ginevrini hanno a lungo pasticciato, fino a pochi anni fa, con le tecniche di “Packing”, mutuate da antiche pratiche manicomiali e trasformate in un registro di “maternage”: impacchi caldo-umidi di lenzuola avvolgenti lasciati a poco a poco raffreddare (in presenza di un interlocutore umano) per ristabilire i confini del sé, dimostrandone la pari efficacia rispetto alle terapie farmacologiche in certi casi di psicosi acuta.
Ma se tutti questi riferimenti ci sono utili, va detto con chiarezza che in genere le diffuse pratiche di “contenzione” dei nostri servizi di Psichiatria (e anche di quelli delle altre parti del mondo) non appartengono a quest’ambito semantico del “contenimento”; e neppure a quello del “contenimento ambientale”, di cui parlavano De Martis e Racamier. Appartengono a quello della repressione sintomatica, del cortocircuito tra esplosione psicotica e risposta che la tacita e ne sopprime anche non solo l’espressione ma le possibilità trasformative, che richiedono un transito (e un “contenimento”) diverso dell’esperienza che essa segnala. Sono dunque l’espressione di un “fallimento” del contenimento.
Nessuna demonizzazione, dunque. Conosciamo tutti le condizioni in cui lavoriamo e lo stato dei luoghi in cui afferiscono le urgenze psichiatriche. Ma nella maggior parte dei casi la pratica della contenzione e la sua diffusione sono gli indicatori della povertà e della rigidità delle risposte e dei contesti (automatici, medicalizzati, improntati al cortocircuito sintomatico…) deputati al “contenimento” dell’esperienza psicotica (e, si spera, alla sua trasformazione). Bisogna ragionarci su, non certo per demonizzare la contenzione o pensare ad una psichiatria che, nel confronto inevitabile con gli aspetti anche più radicali della distruttività umana, possa “non sporcarsi le mani”; ma semplicemente per lavorare per situazioni di “contenimento” migliori.
Varie esperienze dimostrano la possibilità di pratiche alternative. L’esperienza di Cascina Rossago ad es. mostra che in 9 anni, in questa fattoria sociale che ospita in 3 case 24 adulti con grave autismo e ritardo mentale di livello diverso, buona parte dei quali epilettici, alcuni con lunghe storie di SPDC, TSO ecc, in 9 anni, con un solo psichiatra (disponibile peraltro 24 ore su 24), malgrado innumerevoli e quotidiani episodi di agitazione, non c’è stata né una sola contenzione né un solo ricorso ai SPDC (salvo in un caso, in cui un inserimento è fallito); tutto è stato gestito grazie al “contenimento” ambientale, alle risorse del contesto e al lavoro di équipe. E’ ovvio che questo è un esempio limite, che si tratta, per varie ragioni, di una eccezione non generalizzabile e non facilmente ripetibile, ma ha comunque un significato interessante. Il lavoro del nostro gruppo interseca dunque inevitabilmente quello sui contesti di cura e accoglimento, tenendo conto che anche altri SPDC sebbene con dimensioni e contesti ambientali molto diversi vanno sperimentando da anni la possibilità di un uso ridotto o nullo della contenzione fisica.
1.2 CONTENZIONE MECCANICA IN MEDICINA E IN PSICHIATRIA
Va ancora richiamato il fatto che pur nella sua estrema sgradevolezza la contenzione meccanica è una misura universalmente applicata in medicina e chirurgia .
In chirurgia (e in anestesiologia) , l’assicurazione del malato al tavolo operatorio mediante una o più fasce di contenzione è il prerequisito per ogni intervento chirurgico in sicurezza; e l’applicazione viene fatta spesso a malato sveglio o in pre-anestesia. Nel post-operatorio viene applicata in tutte le situazioni in cui la confusione o l’agitazione metta a repentaglio la tenuta delle procedure di sutura e contenimento anatomico effettuate. In quasi tutte le procedure neurochirurgiche il post-operatorio è contrassegnato da agitazione e contenzione, lo stesso in molta ortopedia ecc. In tutte queste situazioni la contenzione provoca insofferenza nel paziente ma viene mantenuta il tempo necessario pro-bono, anche contando sulla collaborazione, spesso difficile, dell’interessato.
In medicina, soprattutto in geriatria, la contenzione fisica viene operata in situazioni molto diverse sempre allo scopo di tutelare il malato da proprie attività motorie poco o non controllate che possono interferire con la somministrazione delle cure, il decorso o la sicurezza stessa del paziente. Lo studio della contenzione nella prevenzione delle cadute è materia costante di monitoraggio, revisione e aggiornamento e si basa quasi sempre sulla contenzione come stato di fatto di partenza, da migliorare o superare .
L’aspetto esteticamente sgradevole o eticamente inaccettabile è particolarmente sviluppato in alcune situazioni: anziani defedati o doloranti e urlanti e bambini assicurati al lettino o alla culla per necessità . Questa sgradevolezza è contestualmente superata dal fatto che la prevalenza dell’aspetto di utilità rispetto al rischio di più gravi danni è spesso evidente ictu oculi come nei casi pediatrici, in cui pure è percepibile l’aspetto in apparenza (e in sostanza) violento e angosciante che la manovra assume per la soggettività del piccolo paziente. Soggettività che spesso è possibile solo immaginare o desumere come nel caso di bambini molto piccoli o di anziani confusi.
La protesta automatica, e spesso riflessa, alla limitazione meccanica , viene tollerata dal corpo sanitario che assume su di sé una rappresentazione altra, più mediata, delle necessità sanitarie del corpo del paziente come soggettivamente presentato.
Questa assunzione su di sé della capacità di tollerare (e di compiere!) atti dolorosi o prevaricanti per il paziente è uno degli aspetti inevitabili della pratica medica (si pensi alla semplice iniezione a un bambino, o al bisturi chirurgico in emergenza) che va ovviamente sempre attentamente sorvegliata e limitata per il rischio di pratiche inappropriate o eccessive.
Ma è verosimile che una delle radici antropologiche che rende così inaccettabile la contenzione abbia a che fare non solo con la visività della prigionia del malato ma con il disvelamento della radice sadica di una parte della medicina tutta.
Medicina che, ripetiamolo, a volte per guarire ha bisogno di ferire.
In psichiatria la drammaticità e la drammatizzazione umana della patologia è ancora più evidente e la possibilità di interpretare (e di effettuar ) come sopruso la contenzione è moltiplicata: dalle caratteristiche dei pazienti interessati, dei pazienti astanti, dei familiari, degli operatori stessi. E’ pressoché impossibile insomma depurare l’atto della contenzione meccanica da tutti gli altri significati che la rendano un puro atto tecnico facente parte di una sequenza terapeutica utile, proprio perché la contenzione stessa mostra in maniera troppo crudele lo scandalo della malattia; e in ispecie in psichiatria con la procedura della contenzione cosiddetta ai quattro arti è difficile sottrarsi alla suggestione del martirio della crocefissione, specie con un paziente che si lamenta o grida.
L’evenienza di aspetti reattivi e controtransferali nel corpo sanitario, indotti dal tipo di paziente e di patologia, complica ulteriormente la sequenza di eventi che portano alla contenzione.E la contenzione del malato psichiatrico concentra su di se l’attenzione la drammaticità di tutte le altre contenzioni in altri campi proprio per la capacità del malato (e dei curanti) di farne risaltare il carattere: l’attenzione al sopruso in psichiatria , attenzione del tutto salutare , fa sì che oggi solo le contenzioni psichiatriche abbiano una procedura e una registrazione obbligata, mentre a nulla sono tenuti gli altri operatori che in altre branche mediche operino la contenzione fisica sul paziente, se non una facoltativa (e spesso omessa) nota in cartella medica o infermieristica.
Tuttavia va ribadito che proprio per il tipo di patologia fortemente distruttiva, per sé oltre che per gli altri ( ed è bene reimpossesarsi con serenità di terminologia colpite da tabù) il paziente psichiatrico ha diritto al contenimento della propria patologia e dagli effetti distruttivi che può avere in tutte le forme disponibili. Il contenimento relazionale e interpersonale, insieme al contenimento farmacologico è ovviamente la forma elettiva per evitare di arrivare al contenimento fisico . Ma l’omissione di strategie volte al contenimento anche “estremo” del paziente deve essere considerata di pari se non superiore gravità del rischio di eccesso, pena la caduta in un’attitudine di medicina puramente difensiva ed elusiva da parte dell’operatore . E’ bene cioè ricordare che il mancato evitamento degli effetti distruttivi degli agiti del paziente può essere ben più grave del ricorso in emergenza alla pur pessima contenzione fisica . Spesso si dimentica di soffermarsi sul danno (ad altri pazienti , operatori e al paziente stesso) che è stato sventato con la contenzione oltre che sul danno psicologico che può essere stato apportato al paziente contenuto. E la intensa e a volte paradossale vicenda della pratica psichiatrica conosce bene anche l’evenienza della gratitudine del paziente che nella valutazione a posteriori delle peripezie attraversate ringrazia per essere stato fermato e contenuto o addirittura arriva a richiederlo quando sente crescere l’angoscia clastica dentro di sé.
Ancora, nella cultura dei servizi andrebbe introdotta la pratica di “contare “ e registrare, nella memoria collettiva del servizio , il numero degli interventi di mancata contenzione, di quegli interventi cioè che proprio in virtù della capacità di ricorrere a procedure di descalation più o meno informali , di assorbimento e deviazione dell’aggressività, infine di accoglienza di una mente dentro un'altra più ampia e capace mente collettiva , abbiano portato alla defervescenza di una patologia sul punto di tradursi in atti distruttivi. In altro, e se possibile più tragico ambito, la psichiatria è abituata a contare i suicidi , i mancati suicidi, i tentati suicidi, ma non si dedica forse abbastanza a contare gli sventati suicidi, che sicuramente sono in numero pari o superiori alla prima e più angosciante coorte.
Una fondamentale distinzione, inoltre, va fatta tra contenzione per agitazione e confusione da un lato e contenzione per aggressività dall’altro.
Si stima che circa il 50 % delle contenzioni rilevate in psichiatria pertengano a casi di confusione e agitazione del tutto identici ai moltissimi casi presenti in medicina, geriatria neurologia o neurochirurgia dove verrebbero trattati esattamente alla stessa maniera a scopo di tutela da danni propri (ivi compreso il venire percossi da altri pazienti disturbati) .
Naturalmente la disponibilità di personale in rapporto 2 a 1 o 1 a 1 e per il numero necessario di ore sarebbe il prerequisito minimo per arrivare alla contenzione meccanica zero . Tuttavia è vero che in alcune situazioni psichiatriche dove è particolarmente enfatizzato il desiderio di non fare contenzione fisica una equipe ben sensibilizzata e formata può riuscire nello scopo come dimostrano alcune esperienze di SPDC italiani .
Motivazioni umanitarie, di politically correctedness, di desiderio di trasformazione della prassi in psichiatria, animano queste equipe quasi sempre estremamente coese e solidali tra loro e con i loro malati.
La ricerca di buone pratiche alternative alla contenzione meccanica dovrebbe potere entrare negli obbiettivi qualitativi dei DSM, anche collegandosi a un gruppo regionale che funga da Osservatorio Regionale sul superamento della contenzione e che abbia una funzione di approfondimento permanente per coordinare e monitorare l’evoluzione delle procedure e iniziative in questo campo e costituirsi come risorsa per tutti gli operatori del settore.
2. PRESENTAZIONE DEI DATI ELABORATI DALLA RILEVAZIONE 2009 - 2010 SULLA CONTENZIONE
Nell’aprile dell’anno in corso è stata svolta una rilevazione sulle contenzioni praticate nei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura della Lombardia negli anni 2009 e 2010.
I Dipartimenti di salute mentale lombardi hanno offerto la massima collaborazione fornendo alla DGS tutte le informazioni richieste circa i pazienti ricoverati, le contenzioni effettuate, gli strumenti utilizzati.
La tabella seguente presenta i dati riassuntivi elaborati a partire dai risultati della suddetta rilevazione. Si possono formulare alcune considerazioni.
La contenzione fisica, nei due anni oggetto della rilevazione, risulta una metodica di intervento presente in quasi tutti (salvo uno) gli SPDC della Regione e mediamente il ricorso ad essa si verifica per 12 pazienti su 100 ricoverati.
Vi è un significativo decremento della pratica della contenzione tra i due anni considerati, sia in termini assoluti che relativi (- 8%).
Inoltre, mentre si osserva che la maggior parte (86%) degli SPDC mostra una percentuale di pazienti contenuti tra l’1 e il 20%, va pur notato che un numero considerevole di essi nel 2010 si é spostato sulla fascia inferiore, quella con tassi dal 10% in giù, confermando la tendenza diffusa ad un uso più moderato della contenzione.
Analoghi commenti si possono fare circa la durata e il numero degli episodi di contenzione e il loro rapporto con l’attività degli SPDC.
In generale, se da un lato risulta che negli SPDC lombardi tra il 2009 e il 2010 si ricorra alla contenzione fisica con minore frequenza, dall’altro lato non appare che questo fenomeno sia in assoluto raro né probabilmente, specie in talune realtà, limitato a situazioni eccezionali.
Tra i pochi raffronti rintracciabili, si può citare quello con l’area romana. “Sia il numero assoluto delle contenzioni che i tassi di episodi di contenzione, 20 ogni 100 dimessi, come pure i tassi di pazienti sottoposti a contenzione, 11 ogni 100 dimessi, hanno evidenziato che il ricorso alla contenzione fisica avviene con una discreta frequenza e costanza”(La contenzione fisica nei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura dell'area metropolitana di Roma, Pietro Sangiorgio e Cinzia Scarlatto, 2009). Pertanto, l’analisi dei dati sembra decisamente avvalorare l’importanza di affrontare le problematiche sottese alla pratica della contenzione fisica in termini culturali, organizzativi e gestionali, formativi ed educativi, nell’ottica del miglioramento di qualità. Tale lavoro, come suggerito dalla raccomandazione della Conferenza delle Regioni del 29. 7. 2010, richiede una prospettiva di sistematicità che inizia dai servizi psichiatrici ospedalieri ma dovrebbe coinvolgere le diverse organizzazioni sanitarie e i percorsi clinici al loro interno.
Il materiale del capitolo che segue, attinto dalle buone pratiche in atto, viene proposto a servizio di queste finalità, allo scopo cioè di migliorare la pratica quotidiana in SPDC e di contribuire alla prevenzione della contenzione fisica, coerentemente con gli obiettivi assegnati ai Direttori Generali delle Aziende sanitarie lombarde.
Inoltre, per le medesime ragioni, sarebbe auspicabile la possibilità di monitorare costantemente, in modo omogeneo e sistematico, i dati che rilevano il fenomeno contenzione attraverso un registro regionale informatizzato collegato con il sistema Psiche.
Tabella
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2009 |
2010 |
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PAZIENTI CONTENUTI |
12,8% |
12,0% |
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SPDC 0% |
2% |
2% |
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SPDC 1-10% |
29% |
43% |
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SPDC 11-20% |
60% |
43% |
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SPDC 21-30% |
9% |
12% |
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n. pazienti contenuti |
2.054 |
1899 |
-8% |
% sul totale pazienti ricoverati (a livello regionale) |
12,80% |
12% |
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DURATA CONTENZIONI |
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di cui <6 h. |
39% |
39% |
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di cui 6-9 h. |
33% |
32% |
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di cui 13-24 h. |
20% |
22% |
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di cui>24 h. |
9% |
7% |
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DURATA CONTENZIONI IN RAPPORTO ATTIVITA' SPDC |
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ore di contenzione totali |
61646,5 |
54960 |
-11% |
ore di contenzione per ggdd (mediana) |
0,20 |
0,15 |
|
ore di contenzione per ricovero (mediana) |
2,36 |
2,09 |
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ore di contenzione per paziente ricoverato (mediana) |
3,18 |
2,66 |
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EPISODI DI CONTENZIONE IN RAPPORTO ATTIVITA' SPDC |
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episodi di contenzione totali |
5897 |
5426 |
-8% |
pazienti ricoverati/episodi di contenzione |
3,4 |
4,0 |
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ricovero/episodi di contenzione |
4,2 |
5,9 |
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gggdd/episodi di contenzione |
52,8 |
72,1 |
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numero medio di episodi di contenzione per pazienti soggetto a contenzione |
2,1 |
2,2 |
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ore di contenzione per episodio di contenzione |
10,6 |
10,3 |
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Linee di indirizzo nazionali e regionali in materia di contenzione
L’attenzione ad utilizzare la contenzione solo come fatto straordinario dovrebbe indurre a una riflessione su quanto invece accade nella pratica assistenziale quotidiana.
Il ricorso alla contenzione, inoltre, in passato come oggi, interroga gli operatori sanitari su quali siano i loro valori in quanto persone, cittadini e professionisti.
Infatti, per quanto motivata e giustificata possa essere la contenzione di un paziente, si avverte la sensazione di aver ferito la persona assistita negandole temporaneamente o limitando in modo significativo un diritto umano fondamentale: il diritto alla libertà.
Le raccomandazioni contenute nel documento “Contenzione fisica in psichiatria: una strategia possibile di prevenzione” emanato dalla Conferenza delle Regioni, Roma, 29 luglio 2010, sollecitano le diverse realtà organizzative a realizzare strumenti che regolino la pratica della contenzione, viste le grandi disomogeneità presenti sul territorio nazionale.
La riduzione e la tensione verso l’eliminazione della contenzione nella pratica psichiatrica è realizzabile solo passando dalla riduzione dei comportamenti violenti nei luoghi di cura: lo strumento è dato dall’adozione e/o il potenziamento di buone pratiche cliniche in luoghi di cura sicuri e confortevoli
La condivisione di valori all’interno del gruppo curante e di una filosofia clinico-assistenziale che pone al centro l’assistito, richiede all’operatore sanitario un’attenta valutazione del paziente e il vaglio di tutte le possibili soluzioni alternative affinché sia possibile prevenire la contenzione o questa possa trovare una sua legittimità etica e giuridica nella pratica clinica come scelta motivata ed estrema.
E’ utile soffermare l’attenzione su ciascuna delle sette raccomandazioni contenute nel documento allo scopo di valutare gli obiettivi che tali raccomandazioni si prefiggono con, di seguito, le considerazioni ed i commenti da parte del gruppo di lavoro regionale.
Realizzazione ed implementazione di un registro delle contenzioni informatizzato: il processo di raccolta delle informazioni dovrebbe prevedere l’invio sistematico e periodico del dato da parte delle Aziende Ospedaliere e dei DSM verso la Regione Lombardia per consentire l’analisi del fenomeno. Inoltre è auspicabile sia l’individuazione di indicatori per l’analisi degli aspetti rilevanti (numerosità degli episodi di contenzione, numerosità dei pazienti contenuti, durata della contenzione, contenzioni notturne, ecc), sia la costituzione di un sistema che porti a evidenziare la contenzione come “evento sentinella” attraverso idonei flussi informativi e indicatori specifici.
Realizzazione ed implementazione di un registro che rilevi gli agiti auto-etero-aggressivi, violenti o non controllati (riportando violenze agite e subite dai pazienti, incidenti a carico del personale, codegenti, o altri soggetti), con possibilità di elaborazione dei dati.
Le Unità Operative di Psichiatria devono progressivamente sistematizzare interventi formativi di addestramento all’approccio corretto in situazioni critiche nonché alle tecniche di de-escalation e agli interventi relazionali alternativi alla contenzione.
Analogamente a quanto avviene nelle discipline di urgenza-emergenza, è necessario garantire con sistematica periodicità (addestramento e re-training) l’aggiornamento su temi caratterizzanti la specificità dell’agire nei contesti critici-acuti.
Vanno assolutamente favoriti i momenti di condivisione e supporto all’equipe per la gestione dei momenti critici. La formazione degli operatori deve promuovere una cultura di gruppo che favorisca coesione dell’equipe, condivisione dei valori di riferimento, sviluppo di competenze professionali trasversali che mettano l’operatore in grado di agire sempre in base a decisioni cliniche piuttosto che a regole predeterminate. La realizzazione di un clima di reparto basato sul rispetto del singolo, sull’ascolto e l’accoglienza è senza dubbio il primo passo per detendere l’aggressività e, nel contempo, una leadership capace di valorizzare i singoli operatori nel rispetto delle specifiche professionalità rappresenta la garanzia di un processo terapeutico integrato.
I Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura, sono identificabili a tutti gli effetti come servizi ad alta specializzazione: le caratteristiche psicopatologiche dei pazienti, l’alta complessità assistenziale, il rischio di stress da lavoro correlato, il livello di competenza necessario a sostenere il processo terapeutico-assistenziale e relazionale con il paziente acuto, nonché la gestione di pratiche specifiche e delicate quali la contenzione, implicano un elevato livello di attenzione nell’organizzazione dei servizi. E’ necessario dotarsi di indicazioni per la gestione degli atti violenti, impulsivi o incontrollati: rilevazione degli aspetti predittivi; adozione di strategie preventive; gestione relazionale e strutturale/ambientale dell’agito.
Vanno garantiti standard ottimali anche in termini di impiego delle risorse nelle diverse condizioni critiche: congrua presenza del medico in termini attivi ed operativi sia nella fase di gestione dell’agitazione o dell’aggressività che durante l’eventuale contenzione (dalla prescrizione ai controlli in itinere sino al termine della contenzione); presenza di personale infermieristico sufficiente per la gestione dei momenti critici e per garantire un livello elevato di assistenza durante la contenzione (auspicabile H 24).
La formazione alla buona pratica clinica in sinergia con buoni sistemi di organizzazione delle risorse può certamente essere finalizzata alla riduzione degli atti violenti e della necessità di contenzione fisica.
Monitorare il modificarsi (in termini quantitativi e qualitativi) dei fenomeni di discontrollo comportamentale o violenti e del ricorso alla contenzione in relazione al modificarsi degli assetti organizzativi: misurazione delle ricadute della formazione continua, dei momenti di confronto e di supporto tra gli operatori sanitari, delle azioni migliorative introdotte nell’agire professionale a livello d’équipe.
Prevedere incontri di analisi, restituzione e condivisione dei dati raccolti dai registri di monitoraggio degli atti violenti e della contenzione promuovendo azioni di miglioramento. Favorire momenti di confronto sull’agire il proprio ruolo professionale e di condivisione delle criticità rilevate e/o percepite dal personale nella gestione degli eventi acuti e della contenzione anche attraverso momenti di debriefing in equipe successivi all’episodio di contenzione (che vedano anche il coinvolgimento del paziente interessato).
L’apertura dei servizi verso l’esterno pone l’operatore sanitario nella irrinunciabile posizione di agire all’insegna della buona pratica. La capacità di rapportarsi con l’esterno riduce il livello di autoreferenzialità dei servizi.
L’evoluzione dei contesti di cura implica la possibilità/necessità di compartecipazione al processo assistenziale da parte del paziente e dei familiari. In risposta ai bisogni di educazione sanitaria è necessario proporre, insieme con le associazioni, iniziative informative che garantiscano la trasparenza dell’agire professionale e che, al tempo stesso, favoriscano un atteggiamento collaborativo da parte del paziente, dei famigliari e dei caregiver.
Inoltre, acquisiti tali fondamentali indirizzi generali, Regione Lombardia - coerentemente con gli obiettivi proposti ai Direttori delle AO e delle ASL per il 2011 e con le finalità del Gruppo di Approfondimento Tecnico (GAT) stesso - intende approfondire i risvolti operativi delle raccomandazioni sopra riportate e commentate, individuando strumenti e metodi che forniscano indicazioni pratiche da adottarsi da parte dei DSM regionali per “contenere la contenzione” in modo responsabile ed efficace.
In particolare appare essenziale offrire indicazioni in ordine tanto alle metodologie per prevenire il ricorso alla contenzione quanto agli strumenti per gestirla correttamente quando risulti indispensabile, che tengano conto:
Ne deriva il suggerimento pratico di utilizzare sia le precedenti note che le successive “Indicazioni operative sulla prevenzione e gestione della contenzione in SPDC”, riportate in appendice, per sviluppare il lavoro formativo degli operatori e per farne oggetto di attenta riflessione attraverso gruppi di miglioramento finalizzati all’analisi e al cambiamento della pratica, oltre che per la revisione dei protocolli e procedure operative in uso.
D. Raccomandazioni sul tema dei modelli organizzativi e di gestione delle urgenze in psichiatria, e della prevenzione e gestione dei fenomeni di aggressività negli SPDC
1 – La prevenzione delle urgenze psichiatriche avviene principalmente attraverso l’appropriatezza, l’efficacia, la continuità e la flessibilità dell’intervento territoriale. E’ necessario garantire una equipe territoriale forte e multiprofessionale, integrata sul territorio, capace di operare secondo il modello della “presa in carico” e capace di fornire risposte appropriate anche ai bisogni emergenti (gravi problematiche comportamentali, doppia diagnosi, disturbi psichici in ambito carcerario, ecc)
2 – La risposta alle situazioni di urgenza psichiatrica necessita di interventi coordinati che coinvolgano diversi Soggetti, sanitari e non sanitari. E’ necessaria la definizione di protocolli operativi nel DSM per fronteggiare la segnalazione di urgenze sul territorio, la definizione di protocolli con la rete dell’emergenza urgenza (118), con le forze dell’ordine, con i MMG e di continuità assistenziale, oltre alla strutturazione di luoghi appropriati di intervento in Pronto Soccorso. E’ necessario inoltre prevedere la messa a punto di un protocollo condiviso con i Dipartimenti di Emergenza ed Accettazione della Propria Azienda Ospedaliera per la gestione delle urgenze ed emergenze psichiatriche o delle richieste di valutazione psichiatrica in situazioni di emergenze medico-chirurgiche, nonché di un protocollo che preveda i casi di possibile ricorso all’intervento da parte delle forze dell’ordine (condiviso con le stesse). In particolare, per le situazioni di acuzie grave e che connotano il quadro clinico come situazione di grave urgenza appare opportuno progettare aree di intervento in collegamento con le strutture ospedaliere dell’emergenza – urgenza e della medicina interna, ove la collaborazione fra psichiatria e servizi medici possa attuarsi secondo modelli innovativi
3 – II triage è uno strumento organizzativo volto a selezionare e ordinare gli accessi nei servizi per acuti. L’applicazione del modello anche nell’ambito della gestione dell’urgenza psichiatrica nei servizi territoriali ha rappresentato, ove è stato sperimentato, una modalità organizzativa utile per ottenere una valutazione della gravità della situazione e consentire una rapida definizione delle priorità assistenziali e terapeutiche.
4 – L’utenza degli SPDC si caratterizza per una significativa variabilità riguardo alla diagnosi, all’età e soprattutto riguardo ai bisogni relativi ai singoli episodi di ricovero. Appare appropriato pensare a una possibile differenziazione dei reparti ospedalieri di psichiatria in base ai livelli di intensità di cura (medica) e di assistenza (infermieristica), o comunque differenziare aree a diversa intensità assistenziale nei singoli reparti.
5 – Nei DSM che possono prevedere più di un SPDC appare altamente raccomandabile valutare la possibilità di pensare a un SPDC organizzato per pazienti a bassa-media intensità di cura il cui connotato differenziante rispetto agli altri SPDC sia quello di essere aperto (o quasi sempre aperto) e, di conseguenza, possa ospitare patologie differenti o in fase critica differente dall’SPDC a porte chiuse.
6 – L’Ospedale Generale è una delle sedi più importanti per il riconoscimento dei disturbi psichici. L’integrazione della psichiatria nell’Ospedale Generale ha determinato, negli ultimi anni, una maggior capacità di riconoscimento dei disturbi psichici da parte degli altri specialisti, un incremento delle richieste di visite nei reparti ospedalieri e un aumento della richiesta di programmi di cura per specifiche popolazioni di utenti affetti da patologie primariamente medico-chirurgiche. Pertanto si ritiene necessario individuare, in ambito ospedaliero, una funzione organizzata per la Psichiatria di Consultazione
7 – Le problematiche derivanti dal crescente impiego di sostanze nella popolazione (in particolare quella giovanile), dal progressivo incremento dei flussi migratori (che comportano complesse implicazioni di ordine socio-culturale e di accessibilità ai servizi stessi) e, non raramente, l’embricarsi di tali fenomeni, inducono alla progressiva acquisizione di competenze sul tema, ad una più generalizzata fruibilità di strumenti diagnostici specifici, nonché di modelli terapeutico-riabilitativi in grado di offrire valide risposte a tali sottogruppi di utenza. Tali fenomeni sono di particolare rilevanza nelle aree metropolitane. I Servizi di salute mentale sono richiesti, pertanto, di prendere atto della prevalenza delle patologie psichiatriche comorbili e la specificità dei bisogni di salute mentale, spesso associati ad ingenti bisogni sociali, dei migranti.
8 – Fattori associati a comportamenti aggressivi o violenti nei reparti di degenza sono in parte aspecifici ed in parte specifici per la popolazione psichiatrica. Variabili “di contesto”, legate all’organizzazione, alle regole ed alla routine di reparto come l’affollamento di pazienti e operatori nel reparto, la condizione ambientale, in particolare il comfort “abitativo”, la chiarezza ed empatia della comunicazione con i pazienti da parte dello staff e le attività svolte all’interno del reparto e la limitazione dei tempi “vuoti”, appaiono particolarmente rilevanti per la prevenzione di episodi di aggressività. Negli SPDC dovrebbero perciò essere adottati sistematicamente protocolli di valutazione del rischio di aggressività e violenza e di trattamento e gestione dell’agitazione e dell’aggressività. Dovrebbe inoltre essere posta attenzione ai fattori che condizionano il rischio di comportamenti aggressivi in SPDC, con particolare riguardo a: - Aspetti strutturali ed organizzativo-funzionali; - Ricoveri inappropriati; - Formazione del personale.
9 – Tra i fattori strutturali ed organizzativo/funzionali, oltre al rispetto puntuale dei criteri di accreditamento previsti per gli SPDC, va posta attenzione al comfort abitativo, alla sicurezza ambientale, ad evitare il sovraffollamento dei reparti. Risulta particolarmente indicato approntare e regolarmente aggiornare un regolamento di reparto, conosciuto ed approvato dalla Direzione Sanitaria del Presidio Ospedaliero di afferenza, comprendente anche specifiche regole di comportamento per pazienti e operatori. Tra gli aspetti organizzativo/funzionali è da collocare il tema delle attività da svolgere in reparto al fine di rendere il periodo del ricovero un momento significativo non solo per il superamento dell’acuzie, ma anche per l’avvio o la verifica del progetto di presa in cura/carico del paziente in collaborazione con il CPS di competenza, e per lo svolgimento di appropriate attività psicoeducative e/o risocializzanti.
10 – Ricoveri inappropriati sono quelli di pazienti affetti primariamente da patologie correlate all’abuso/dipendenza/astinenza da alcool o droghe senza disturbi psichiatrici in comorbidità, ma anche di pazienti con ritardo mentale, di pazienti con demenza senile, di soggetti portatori di richieste/bisogni di tipo sociale o assistenziale, o attori di comportamenti antisociali in assenza di una psicopatologia maggiore riconoscibile e trattabile. Le degenze prolungate vanno comunque considerate inappropriate per i reparti di degenza ospedaliera. Numerosi problemi risultano connessi al trattamento ed all’ospedalizzazione di pazienti con disturbi di personalità, per i quali vale la raccomandazione di ridurre la frequenza e la durata dei ricoveri, che di norma sono da considerarsi inappropriati per il Disturbo Antisociale di Personalità.
11 – La formazione del personale riveste un ruolo importante nella prevenzione e nella migliore gestione di episodi di violenza/aggressività e nella riduzione degli episodi di contenzione negli SPDC. Interventi formativi con fasi sia teoriche che pratiche e addestrative andrebbero costantemente programmati e realizzati, e successivamente ripetuti in occasione di cambi significativi di composizione dell’equipe. Nei DSM é necessario promuovere azioni formative centrate sulla gestione della crisi e sul ruolo dell’equipe come elemento di coordinamento, anche attraverso una rivisitazione di modelli operativi che hanno caratterizzato in questi anni la gestione del paziente acuto e la formazione specifica su bisogni clinici emergenti (doppia diagnosi, disturbi di personalità, trattamenti in adolescenza). Inoltre, sono necessari interventi di formazione in collaborazione con il personale del 118 e con le forze dell’ordine finalizzati a concordare strategie applicative di ASO e TSO e di integrazione degli interventi sul territorio di fronte a situazioni complesse ad elevata criticità. Annualmente, almeno un programma di Miglioramento Continuo di Qualità del DSM dovrebbe riguardare uno dei temi trattati, includendo gli opportuni interventi di formazione. Tra questi è opportuno prevedere la messa a punto di un protocollo oggetto di formazione sulla gestione del comportamento aggressivo.
12 – E’ necessario che i Dipartimenti di Salute Mentale completino ed aggiornino protocolli di intesa e collaborazione rispettivamente con i Servizi per le Dipendenze, i Servizi Disabilità ed il Servizio Sociale delle ASL, le Unità Operative di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza delle Aziende Ospedaliere, per la messa a punto di percorsi di cura per i pazienti con patologie di confine e comorbidità, che comprendano l’evenienza e la fase del ricovero ospedaliero.
13 – In particolare il protocollo operativo fra i Dipartimenti per le Dipendenze delle ASL ed i Dipartimenti di Salute Mentale dovrebbe definire: i percorsi diagnostici sia territoriali sia ospedalieri; i tempi e le modalità di definizione e di gestione dei percorsi di cura (clinici e riabilitativi, ambulatoriali, degenziali e residenziali); le prassi di gestione dell'urgenza, compresa l'eventuale degenza in SPDC e, più in generale, ospedaliera; le modalità di gestione delle consulenze, pertinenti alla specifica area di intervento, finalizzate anche al mantenimento della continuità terapeutica.
14 – Per la gestione delle urgenze in adolescenza, è opportuno valutare l’eventuale attivazione di spazi di ricovero dedicati contigui al SPDC, con particolare attenzione alle caratteristiche dell’utenza giovanile ed alle diverse necessità strutturali ed organizzative cui ottemperare. Può essere inoltre opportuna la creazione di equipes dedicate all’interno dei DSM con figure professionali con specifiche conoscenze e competenze nell’area dei disturbi psichiatrici dell’adolescenza e della prima età adulta, al fine di garantire la qualità degli interventi. Vi è la necessità che i progetti di collaborazione psichiatria e NPIA si sviluppino anche a livello territoriale, al fine di avviare azioni di prevenzione e per intercettare i disturbi psichici in età giovanile e adolescenziale, creando le necessarie integrazioni con i progetti già avviati in ambito psichiatrico sul tema dell’intervento precoce nei disturbi psichici gravi
Nell’evenienza di un ricovero di adolescenti in SPDC, il ricovero non dovrebbe essere prolungato (eccetto situazioni psicopatologiche complesse che lo richiedano necessariamente), per ridurre il contatto con pazienti adulti gravi e il rischio di acquisizione di comportamenti e modalità cronicizzanti; i giovani pazienti andrebbero coinvolti in attività cliniche, di supporto cognitivo e intrattenimento; dovrebbero essere favoriti rapporti frequenti a scopo informativo e psicoeducativo con i famigliari; dovrebbero essere favoriti i rapporti con insegnanti/ scuola/ compagni di classe/amici facilitando, in tal senso, un sistema di permessi di uscita.
E. Indicazioni operative sulla prevenzione, gestione e limitazione della contenzione in SPDC
Come richiamato nel testo al cap. 3, Regione Lombardia ha fatto propri i principi generali contenuti nelle raccomandazioni sulla prevenzione della contenzione fisica emanate dalla Conferenza della Regioni, ma - coerentemente con gli obiettivi proposti ai Direttori delle AO e delle ASL per il 2011 e con le finalità del GAT stesso - intende andare oltre. Pertanto, il presente documento risponde allo scopo di individuare e fornire linee, strumenti e metodi che i DSM regionali possano utilizzare per “contenere la contenzione” in modo responsabile ed efficace, offrendo indicazioni operative in ordine sia alle metodologie per prevenire il ricorso alla contenzione sia agli strumenti per gestirla correttamente quando essa risulti indispensabile.
L’obiettivo di ridurre la contenzione deve essere perseguito mettendo in atto azioni migliorative e responsabilizzando i diversi livelli coinvolti, approfonditi nelle parti precedenti del documento. Si fa riferimento agli aspetti strutturali, organizzativi e funzionali, alla formazione del personale degli SPDC, ma anche alle attività territoriali dei DSM ed ai loro rapporti con gli altri Soggetti istituzionali e non istituzionali coinvolti, ed al contesto in generale. A questo riguardo devono essere specificatamente considerate le problematiche delle realtà metropolitane per le quali è necessario un rimodellamento dei modelli operativi tradizionalmente sperimentati.
Si ribadisce quindi il suggerimento pratico di utilizzare tanto le precedenti raccomandazioni quanto le seguenti “Indicazioni operative sulla prevenzione, gestione e riduzione della contenzione in SPDC”, per sviluppare un processo di miglioramento finalizzato all’analisi e al cambiamento delle pratiche, oltre che per la revisione dei protocolli e delle procedure operative in uso.
In particolari stati clinici occorre considerare la necessità di contenere il paziente: se ciò comporta l’applicazione della contenzione fisica é indispensabile disciplinare tale scelta con l’adozione di strumenti operativi quali protocolli e procedure.
Si possono riconoscere due momenti decisionali multidisciplinari nell’ambito della strategia di contenimento / contenzione, che precedono la costruzione del protocollo operativo:
Quando si configura uno stato di necessità (art. 54 C.P.: "Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo") e in particolari condizioni cliniche o circostanze nelle quali trova indicazione l’intervento di contenzione, il personale coinvolto deve uniformare i comportamenti: ciò è possibile ricorrendo a strumenti di standardizzazione quali protocolli, procedure, linee guida e percorsi clinico assistenziali atti a garantire la qualità delle cure e a ridurre il rischio clinico. Gli strumenti/documenti operativi che regolamentano la contenzione devono necessariamente essere condivisi tra medici e infermieri, esplicitare in modo chiaro la definizione degli ambiti di responsabilità e competenza degli operatori sanitari e il contesto di utilizzo e contenere indicazioni prescrittive e di applicazione che limitino il livello di discrezionalità operativa, come riportato nelle indicazioni suggerite a seguire.
3. Indicazioni per la costruzione di un protocollo aziendale sulla contenzione in SPDC
Quanto di seguito riportato si configura come un insieme di indicazioni rispondenti al livello minimo necessario in termini di contenuti previsti per un protocollo sulla contenzione.
Le indicazioni derivano sia dal lavoro sistematico di analisi degli elaborati già presenti nelle diverse realtà di DSM pervenuti in Regione Lombardia (in seguito alla richiesta con nota Prot H1.2011.0012230 del 19/4/2011), sia dall’analisi della letteratura scientifica a disposizione in materia. La proposta di protocollo sulla contenzione al quale si fa riferimento nel presente documento deve essere necessariamente ricondotta, in via esclusiva, alla gestione della contenzione del paziente con manifestazioni di disturbo psichico, o derivanti da altra diagnosi, che danno origine a discontrollo comportamentale con rischio di lesione a sé e agli altri.
Pur riconoscendo la straordinarietà del ricorso alla contenzione ma allo stesso tempo consapevoli della numerosità del fenomeno in generale, è oltremodo auspicabile che ogni azienda ospedaliera si doti di un analogo documento per la gestione della contenzione anche in ambito non psichiatrico. Nelle diverse realtà organizzative (Medicina, Chirurgia, Neurologia, ecc), sono innumerevoli le condizioni cliniche che determinano il ricorso a manovre limitanti, parzialmente o totalmente, la libertà di movimento della persona a scopi cautelativi, terapeutici.
Il protocollo sulla contenzione in oggetto deve, in maniera irrinunciabile, essere preceduto da indicazioni o procedure relative alla identificazione e gestione del paziente a rischio di atti violenti o con manifesti segni di discontrollo del comportamento.
Per operare in sicurezza è fondamentale attivare e sostenere programmi di formazione del personale orientati in via prioritaria alla conoscenza e gestione del paziente a rischio di comportamenti aggressivi o violenti e, contestualmente, all’applicazione e gestione appropriata della contenzione, nonché al monitoraggio dell’andamento del fenomeno. Nel governo del rischio clinico è necessario adempiere ad una corretta valutazione, osservazione e controllo del paziente, nei tempi indicati, ed orientarsi ad una corretta scelta ed utilizzo delle attrezzature.
Di fondamentale importanza è l’addestramento al lavoro di gruppo e la definizione dei ruoli anche attraverso l’utilizzo di strumenti e metodologie di lavoro specifici (audit, riunioni, role-playing…). Tutto ciò, oltre a rappresentare un bagaglio personale irrinunciabile per chi opera in ambito psichiatrico, costituisce le base necessaria per costruire modalità gestionali che garantiscano il sostegno e la condivisione del carico emotivo ed operativo che grava sugli operatori.
3.1 PRINCIPALI CONTENUTI DEL PROTOCOLLO
3.2. INTRODUZIONE E SCOPO
La prescrizione della contenzione deve trovare motivazione in condizioni assolutamente chiare, definite e limitate al loro verificarsi. La contenzione non può essere in nessun modo atto repressivo o punitivo né essere adottata per sopperire a carenze strutturali, organizzative o gestionali. E’ altresì auspicabile che non si utilizzi o regolamenti l’uso della contenzione motivata dalla necessità di sottoporre il paziente con disturbi psichici ad indagini diagnostiche o trattamenti terapeutici; non è l’indagine o il trattamento la motivazione al ricorso della contenzione, bensì lo stato comportamentale del paziente.
Limitando la discrezionalità al suo ricorso, ne deriva che la contenzione trova applicazione quando sussista un rischio imminente di danni alle persona o a terzi con dimostrata inefficacia e/o comprovato fallimento di altri strumenti di gestione del discontrollo comportamentale, quali: colloquio, tecniche di de-escalation dell’aggressività, terapia farmacologica, accorgimenti di modificazione ambientale.
Può essere effettuata inoltre qualora si ravvisino condizioni eccezionali di necessità (stato di necessità art. 54 C.P) e ove ricorrano oggettive esigenze di salvaguardare la persona dal pericolo attuale di un danno grave e non altrimenti evitabile (art 32; art 49 C.D. Medico). In questo contesto anche l’infermiere può agire la contenzione secondo quando previsto dal proprio Codice Deontologico (art 4.10 C.D. 2009).
L’adozione del TSO è un provvedimento abitualmente raccomandabile nei confronti del paziente da contenere fisicamente.
Va inoltre considerata la possibilità di espressione del consenso da parte del paziente verso la pratica della contenzione (nel caso di una richiesta ad essere contenuto, espressa dal paziente stesso, essa dovrebbe essere valutata criticamente).
Pertanto l’elaborato avrà l‘obiettivo di fornire indicazioni al personale sanitario sulla contenzione al fine di standardizzarne la pratica garantendo altresì l’omogeneità nei comportamenti da tenere nell’applicazione e nel monitoraggio della contenzione.
All’interno del documento dovrà essere data opportuna informazione delle complicanze derivanti dalla contenzione (a suggerimento, di seguito elencate)
3.3. CAMPO DI APPLICAZIONE
Deve essere specificato il luogo fisico dove il protocollo trova applicazione.
Es: Il protocollo è da intendersi applicabile nel Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura dell’U.O. di Psichiatria di …….. E’ altresì estensibile a tutti i Servizi/UU.OO. del Presidio XYZ, per riconosciuto stato di necessità dovuto a ………., ove il medico ravvisi la necessità di prescrivere la contenzione…..
3.4. TERMINI, DEFINIZIONI, ABBREVIAZIONI
Indicare termini, acronimi, abbreviazioni.
3.5. RESPONSABILITA’
E’ opportuno dare esplicito riscontro dei livelli di responsabilità ricondotti agli specifici profili e mansioni. Se ne riporta di seguito un esempio riassuntivo.
Prescrizione della contenzione |
Medico, Infermiere* |
Azione/manovra di contenimento |
Medico, Infermiere, OSS (personale di supporto) |
Chiusura delle fasce di contenzione |
Medico, Infermiere |
Monitoraggio/interventi/assistenza durante e post contenzione |
Medico, Infermiere, OSS (personale di supporto) |
Controlli del materiale usato per la contenzione |
Infermiere, OSS (personale di supporto) |
Registrazione in cartella clinica medica e infermieristica, compilazione della documentazione specifica |
Medico, Infermiere, OSS (personale di supporto: nelle aree documentali dedicate) |
Infermiere*: nelle condizioni che riconducono allo stato di necessità, vedi punto 3.2
3.6. MODALITA’ OPERATIVE
2. Risorse umane
3. Definizione dei termini prescrittivi
Le condizioni necessarie per autorizzare la contenzione devono rispondere a criteri di:
La contenzione trova applicazione limitatamente al tempo necessario per la risoluzione delle condizioni che l’hanno motivata. L’atto prescrittivo, su modulo specifico o nel diario clinico, ha validità di 12 ore dopo le quali deve essere riconfermato. Qualora, per riconosciuto stato di necessità, gli infermieri abbiano attuato la contenzione in assenza di personale medico (contatto telefonico), la stessa dovrà essere ratificata dal medico, che interviene in sede, con l’apposita documentazione nel più breve tempo possibile.
L’atto deve registrare i tempi di durata in termini di:
Va inoltre documentato:
Per agevolare la stesura del documento prescrittivo viene riportato negli allegati un fac-simile (Allegato A: Modulo prescrizione contenzione).
Nel rispetto delle regole di buona pratica clinica ed assistenziale, ogni Servizio o Unità Operativa, consapevole delle proprie caratteristiche strutturali, organizzative e delle risorse umane a disposizione, declina in modo preciso e schematico le azioni e gli interventi fondamentali previsti nella pratica della contenzione fisica, comprendendo tutto l’ambito che va dalla preparazione della contenzione alla messa in atto della stessa.
Sulla base della corretta pratica clinica si indicano di seguito i termini minimi previsti per i controlli (salvo diversa prescrizione dovuta a particolari condizioni psico-fisiche e cliniche):
ogni 15 minuti |
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Ogni 2 ore |
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Ogni 4 ore |
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Nelle ore notturne e in genere durante i periodi di riposo, in base alle condizioni cliniche del paziente, valutare la priorità di intervento. Dove possibile privilegiare il sonno o il periodo di quiete del paziente, osservare gli aspetti obbiettivi rinviando ad un successivo momento la rilevazione dei parametri (documentarlo in Cartella Clinica).
Così come la contenzione viene prescritta dal medico, anche la cessazione della stessa necessita di indicazione medica attraverso una valutazione multidisciplinare. Per garantire un graduale e sorvegliato passaggio del paziente ad una condizione di autonomia, è opportuno che vengano declinate le azioni e le sequenze più appropriate da adottare.
Ogni azione implicata nella pratica della contenzione deve trovare riscontro nella documentazione clinica del paziente. Sono parte integrante della documentazione: il protocollo, il registro delle contenzioni, il modulo prescrittivo, la scheda di monitoraggio.
Calendarizzare le verifiche periodiche del documento redatto (almeno ogni 2 anni)
3.7. RIFERIMENTI
Bibliografia, riferimenti normativi, ecc.
Allegati A e B
4.Azioni ulteriori finalizzate alla riduzione della contenzione
A supporto delle azioni volte alla riduzione del rischio di contenzione è’ necessario inoltre:
Documento elaborato a cura dal gruppo di lavoro composto da Francesco Barale, Valerio Canzian, Giorgio Cerati, Don Virgilio Colmegna, Antonio Lora, Piero Antonio Magnani, Umberto Mazza, Claudio Mencacci, Cesare Moro, Leo Nahon, Mauro Percudani, Lorenzo Petrovich, Dolores Pisapia, Silvana Radici e Antonio Vita (Coordinatore Scientifico).
Hanno contribuito all’elaborazione del documento anche Massimo Clerici, Vanna Poli e Massimo Rabboni.
Coordinamento: Ida Fortino
Segreteria: Graziella Civenti
Fonte: http://normativasan.servizirl.it/port/GetNormativaFile?fileName=3162_Documento+finale+GAT+SPDC_.doc
Sito web da visitare: http://normativasan.servizirl.it
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