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Il riconoscimento ed il trattamento della depressione nel paziente cardiopatico da parte del medico di medicina generale
Niccolò Colombini (Psichiatra, Dipartimento di Salute Mentale AUSL Modena, CSM di Castelfranco Emilia)
Marco Rigatelli (Professore Straordinario di Psichiatria, Università di Modena e Reggio Emilia)
Introduzione
In questo intervento ci proponiamo di offrire alcuni spunti di riflessione sulla Consulenza Psichiatrica al Medico di Medicina Generale nei pazienti depressi affetti anche da patologie cardiache.
Gli studi internazionali e l’attuale orientamento teorico-culturale della psichiatria considerano l’eventuale sintomatologia depressiva presente nelle più severe patologie organiche (Tumori, Malattie Neurologiche, Malattie Cardiovascolari) non solo come una reazione naturale ed inevitabile alla malattia od un sintomo di essa, ma anche come l’espressione di una patologia autonoma che, se non riconosciuta e curata adeguatamente, può peggiorare di molto la prognosi della malattia organica.
Nella attività di Consulenza con i Medici di Medicina Generale, è emerso, sia attraverso discussioni di casi clinici che tramite attività formative più strutturate, come una parte dei colleghi di medicina generale tenda a considerare la depressione presente in pazienti affetti da patologie cardiache gravi come una reazione secondaria alla malattia organica primaria.
Questo atteggiamento può comportare, oltre ad un misconoscimento della patologia depressiva, ad un astensionismo terapeutico da parte del medico di medicina generale, che tende a delegare al consulente psichiatra la prescrizione di un’adeguata terapia farmacologica, anche perché spesso non si sente adeguatamente competente ad effettuare trattamenti farmacologici complessi.
Ne può risultare quindi che la depressione non sia trattata adeguatamente, con gli inevitabili rischi prognostici che questo astensionismo terapeutico comporta e che spesso si accompagna ad una percezione comunque negativa e minimizzante del disagio psicologico, simile a quella che di questo spesso hanno lo stesso paziente ed i suoi familiari.
Secondo l’ipotesi della Depressione come Reazione alla Patologia Organica, o Sintomo di questa patologia, la sintomatologia depressiva dovrebbe cessare col miglioramento e con la guarigione della patologia primaria. Naturalmente in caso di patologie croniche, inguaribili e/o incurabili, questo semplicistico schema si complica, ed appare quindi inevitabile ricorrere alla ipotesi concettuale della Comorbidità per offrire un adeguato trattamento alla depressione, che appare sempre di più come uno dei principali fattori prognostici negativi nelle gravi malattie cardiache, anche se non risulta poi assolutamente chiaro se un precoce trattamento dei sintomi depressivi abbia un sostanziale effetto sulla prognosi della patologia cardiaca.
Nella pratica clinica la consulenza diretta sia ospedaliera sia domiciliare dello psichiatra al paziente depresso con comorbidità medica, assume allora un valore formativo per i colleghi, oltre che terapeutico al paziente, sia come indicazioni farmacologiche specifiche sia come approccio globale a questi malati, il cui trattamento necessita di specifiche conoscenze; valore formativo ancora maggiore hanno discussioni di casi clinici tra psichiatri e colleghi non specialisti, sia medici di medicina generale sia ospedalieri, come dimostrano le ormai numerose esperienze di psichiatria di consulenza che hanno proprio nella discussione di casi clinici in piccolo gruppo una delle modalità operative più proficue ed efficaci.
Personalità, Reazione e Comorbidità
Il rapporto tra depressione è patologie cardiovascolari è stato considerato e descritto in vari modi, ma, secondo una prospettiva più specificatamente clinico-psichiatrica, sinteticamente si possono definire tre prospettive:
Dalla concettualizzazione della ipotesi della comorbidità tra patologie depressive e cardiovascolari, derivano almeno due assiomi, confermati da numerosi ed accurati studi internazionali:
Secondo alcuni influenti autori si potrebbe anche arrivare in via teorica, per altro discutibilmente per le eventuali conseguenze pratiche (uso “preventivo” degli antidepressivi in ampie fasce di popolazione), ad affermare che:
fattore di rischio per lo sviluppo di patologie depressive. [Kupfer, 2004]
Risulta ormai provato con attendibile probabilità che sono presenti numerosi correlati biologici comuni tra Depressione e patologie Cardiovascolari, e sono probabilmente presenti alcune basi fisiopatologiche ed etipatogenetiche comuni tra le due patologie, almeno per quanto riguarda il metabolismo della Serotonina, che, oltre ad essere uno tra i più importanti e filogeneticamente antichi neurotrasmettitori, è presente sulle piastrine e rientra anche nei meccanismi a cascata della coagulazione. Sono inoltre comuni l’ipertono simpatico, ed anche una alterazione del metabolismo lipidico ma rimane tuttora comunque ancora da chiarire quale possa essere l’effettivo ruolo reciproco tra questi fattori etiopatogenetici nello sviluppo delle due patologie.
Di fatto nel 36% dei pazienti cardiopatici si riscontrano disturbi depressivi, contro il 10 – 15% circa nella popolazione generale (O’Connor et al. 2000); dopo un infarto miocardico acuto si hanno sintomi depressivi nel 30 – 40% degli infartuati (Malzberg, 1937); la presenza di un disturbo depressivo rappresenta un fattore di rischio per la comparsa di un evento cardiaco acuto (incidenza di sei volte superiore alla popolazione generale) (Jannuzzi et. Al., 2000) e la presenza di depressione post-infartuale aumenta la mortalità nei 18 mesi dopo l’evento acuto di 3-6 volte rispetto ai pazienti non depressi(Freasure-Smith, 2003). Un punto fortemente controverso è però l’efficacia del trattamento depressivo sulla sopravvivenza del paziente cardiopatico: dallo studio ENRICHD (JAMA 2003) non risulta alcun significativo risultato sulla sopravvivenza a 29 mesi nei pazienti infartuati e depressi, trattati per depressione.
Il riconoscimento ed il trattamento dei disturbi psichici da parte del medico di medicina generale è divenuto negli ultimi anni uno dei principali argomenti di ricerca e di approfondimento teorico e pratico per la Psichiatria e la Medicina Pubblica, principalmente per le ormai chiare e definitive evidenze epidemiologiche che dimostrano che la maggior parte dei disturbi psichiatrici (il 70-90% delle patologie psichiatriche nella popolazione generale) è trattata dai Medici di Medicina Generale e che comunque i disturbi psichiatrici rappresentano una percentuale consistente dei disturbi trattati dai medici di medicina generale (20-40%).
Maggior attenzione si è posta sui disturbi ansioso-depressivi, per la loro assoluta maggiore prevalenza ed incidenza tra tutti i disturbi psichici.
Tra i vari studi dedicati a questo argomento, in particolare un recente studio italiano (SUPREMA, Balestrieri, Bellantuono, 2003) ha evidenziato e confermato alcuni punti salienti:
Un altro dato empirico e clinico che è stato successivamente dimostrato (Luutonen et al., 2002), è che la contemporanea presenza di severe patologie cardiovascolari interferisce col riconoscimento e col trattamento della patologia depressiva. Questo importante dato può essere spiegato secondo diversi prospettive che sono qui sintetizzate:
•Difficoltà di diagnostica differenziale tra le due patologie.
•Espressività psicopatologica particolare della sintomatologia depressiva.
•Difficoltà socio-culturali nel paziente.
•Difficoltà teorico-culturali nel medico.
•Polifarmacoterapie complesse.
•Difficoltà nella scelta della corretta terapia psichiatrica.
Queste evidenze contribuiscono a spiegare come il medico di medicina generale e in generale i medici non psichiatri (ma anche gli stessi psichiatri) abbiano comunque difficoltà diagnostiche e terapeutiche nei casi in cui siano contemporaneamente presenti patologie complesse.
Per valutare empiricamente, ma senza velleità di dimostrazione epidemiologica, il livello di riconoscimento da parte dei medici di medicina generale di una severa patologia depressiva presentata da un paziente affetto anche da una grave patologia cardiologica, è stato presentato in diversi incontri a 100 medici di medicina generale il questionario riportato nella tabella seguente. Gli incontri sono stati seminari formativi, gruppi di discussione o aggiornamenti tradizionali, tutti di argomento psichiatrico, fatti a medici di medicina generale. Sicuramente il contesto ha influenzato parte delle risposte, condizionandole in parte, ma i risultati ottenuti hanno un valore indicativo e fotografano comunque l’atteggiamento dei medici nei confronti del rapporto tra queste patologie.
Un Suo paziente uomo di 50 anni che per un infarto miocardico circa due mesi fa ha subito un breve ricovero in Cardiologia con la prescrizione di una cospicua terapia farmacologica, seguito da un rapido recupero con ripresa dell’attività lavorativa, da tre settimane presenta una sintomatologia psichica, insorta subdolamente, caratterizzata da: A)pensa alla comparsa di complicazioni cardiologiche e/o internistiche, e prescrive al paziente una serie di |
I sintomi depressivi presenti nel caso clinico sono alcuni tra quelli elencati nei criteri diagnostici per l’Episodio Depressivo Maggiore secondo il DSM IV TR, (è stato volutamente tralasciato il criterio “umore depresso”) e la loro contemporanea presenza, come nel caso in oggetto, è sufficiente a poter diagnosticare il grave quadro depressivo.
Lo scopo di questa ricerca, oltre a quello di valutare, seppur superficialmente, le capacità diagnostiche e di esplorare le capacità terapeutiche dei medici di medicina generale, era di avere un quadro orientativo delle potenzialità diagnostico-terapeutiche dei medici di base nei casi di comorbidità psichiatrico-cardiologica, per poter anche programmare ed orientare i successivi programmi formativi con i medici di medicina generale, nell’ambito del più generale programma collaborativo Psichiatria – Medicina di Base, che da anni è attivo nella regione Emilia Romagna, nell’AUSL di Modena e nel Distretto di Castelfranco Emilia.
Negli incontri effettuati, il questionario veniva presentato all’inizio, poi, dopo una eventuale parte teorica, veniva discusso con i colleghi. Questa modalità di proporre un questionario su un caso clinico, oltre a rappresentare un facile anche se impreciso strumento di rilevamento, rappresenta una concreta ipotesi di attività formativa, attraverso la discussione, anche in seminari tradizionali, di vignette cliniche che abbiano pertinenza con l’argomento trattato e che sicuramente possono risultare più coinvolgenti ed efficaci di tradizionali lezioni frontali.
84 (84%) dei 100 medici cui era stato sottoposto, hanno risposto al questionario.
Di questi:
2 (2.38 %) ha dato la risposta A): pensa alla comparsa di complicazioni cardiologiche e/o internistiche, e
prescrive al paziente una serie di accertamenti bioumorali e stumentali.
3 (3,57%) ha scelto la risposta B): pensa che tali sintomi siano una comprensibile reazione psicologica alla
patologia cardiaca e decide per ora di non trattarli.
31(36,9%) ha dato la risposta C): invia il paziente allo specialista psichiatra per una consulenza, chiedendo
chiarimenti diagnostici e/o terapeutici.
9 (10,73%) ha dato la risposta D): immagina che i sintomi presenti siano il possibile inizio di una
depressione, in relazione alla patologia cardiologica, ma che al momento attuale non sia il caso di trattare
i sintomi per evitare al paziente un eccessivo carico farmacologico.
39 (46,42%) ha scelto la risposta E): si preoccupa per l’insorgenza di una sindrome depressiva e prescrive al
paziente dei farmaci antidepressivi.
Nessuno ha dato la risposta F): prescrive dei sedativi per l’insonnia.
Poco meno della metà dei Medici di Medicina Generale cui era stato sottoposto il questionario riconoscerebbe in questo paziente l’insorgenza di un episodio depressiva maggiore. Questo dato, seppur privo di un assoluto valore statistico, dato il ridotto numero di medici coinvolti ed il condizionamento dato dai contesti nei quali veniva effettuata la rilevazione, appare comunque coerente con i dati della letteratura sul riconoscimento della grave depressione da parte dei medici di base, infatti sommando le percentuali delle risposte D) e E) si raggiunge il 56% circa di medici che riconoscono nei sintomi descritti un serio disordine depressivo, inferiore quindi al 65% circa atteso dai dati della letteratura, ma spiegabile per la contemporanea presenza di una patologia cardiologica che interferisce con la formulazione di una corretta diagnosi psichiatrica. In realtà probabilmente anche alcuni del 36,9% dei medici di medicina generale che hanno dato la risposta C), chiedendo una consulenza psichiatrica ipotizzava una patologia depressiva, aumentando così l’effettiva percentuale del riconoscimento dell’episodio depressivo.
Da questi risultati comunque risulta che più della metà dei medici di base non inizia immediatamente un trattamento per l’episodio depressivo, o perché non lo riconosce o perché lo sottovaluta o perché incerto dal punto di vista diagnostico e/o terapeutico, privando il paziente di un supporto clinico comunque importante per alleviare il dolore mentale presente insieme alla patologia organica; la presenza della depressione comunque interferisce col trattamento e con l’esito della cardiopatia, quindi un corretto trattamento psichiatrico risulta imprescindibile ed indifferibile (anche se non risulta influenzare significativamente la sopravvivenza, sicuramente migliora la qualità della vita del paziente).
Dati i risultati ottenuti, ne consegue la assoluta necessità di una costante e continua formazione sia dei medici di medicina generale che degli psichiatri nel trattamento delle patologie depressive in comorbidità con patologie cardiovascolari e/o organiche, al fine di
•Migliorare le capacità diagnostiche.
•Approfondire la formazione specifica sui trattamenti psicofarmacologici.
•Orientare il medico verso una corretta scelta di un trattamento terapeutico mirato ed efficace.
Questi obiettivi si possono raggiungere attraverso vari percorsi formativi clinico-terapeutici:
•Aggiornamenti periodici istituzionali sui trattamenti psicofarmacologica, ipotizzando però la presentazione e
la discussione di casi clinici problematici,
•Aggiornamenti sulle problematiche della polifarmacoterapia, coinvolgendo esperti di varie branche cliniche.
•Programmazione di discussioni cliniche in piccolo gruppo tra psichiatri e medici di medicina generale,
secondo il modello ormai consolidato di consulenza in piccolo gruppo.
•Collaborazione ed integrazione con i servizi di psicologia clinica che sono presenti negli Ospedali Generali e
nei Distretti territoriali per ipotizzare anche una risposta psicoterapica specifica ai pazienti cardiopatici e
depressi.
Infine sono da sottolineare alcune aree critiche e rischi potenziali
che possono derivare dalla mancanza di una specifica formazione ai medici di base sul trattamento della depressione in comorbidità con le cardiopatie e dalla particolare enfasi che esiste attualmente sullo strumento psicofarmacologico per il trattamento della depressione:
•Sovraccarico dei CSM con richieste di consulenza nel caso di percorsi formativi parziali ed insufficienti.
•Enfatizzazione del ruolo terapeutico esclusivo degli psicofarmaci con il risultato di fornire un ristretto
ventaglio di risposte, esclusivamente psicofarmacologiche.
.
•Utilizzo acritico e non mirato dello strumento psicofarmacologico da parte dei medici di medicina generale,
che in mancanza di una corretta informazione e formazione si possono trovare a pensare che il farmaco sia
l’unica terapia efficace per i disturbi depressivi.
•Infine è necessario temere che si possa arrivare alla proposizione dell’utilizzo “preventivo” degli
psicofarmaci quando esistano fattori di rischio di sviluppare una patologia depressiva, (e le cardiopatie lo
sono), evenienza che non ha a tutt’oggi alcun razionale teorico e clinico-terapeutico.
In ogni caso, date le evidenze epidemiologiche e cliniche, è necessario sviluppare costantemente una sempre più
proficua collaborazione interdisciplinare tra psichiatria, cardiologia e medicina generale al fine di ottimizzare i trattamenti congiunti per quei pazienti affetti da comorbidità psichiatrica e cardiologica che probabilmente rappresenteranno una quota sempre più cospicua di utenti dei Servizi Sanitari.
Fonte: http://www.psychomedia.it/grp/siena-2004/colombini.doc
Sito web da visitare: http://www.psychomedia.it
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