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GESTIONE INFERMIERISTICA
DELLA
CRISI PSICHIATRICA
ACUTA
PREMESSA
L’approfondimento in questione nasce dalla possibilità di trovarsi a dover fronteggiare un’emergenza del genere, anche nelle U.O., non propriamente dedicate alla patologia in oggetto, in quanto la persona con problemi psichiatrici, può essere ricoverata per problemi di salute diversi e può accadere, che il ricovero scateni una crisi psichiatrica, come reazione ad uno stato di stress.
A qualsiasi infermiere di qualsiasi reparto, dunque, può capitare di dover gestire una crisi psichiatrica, senza essere debitamente preparato, magari di notte, vedendo in pericolo la sicurezza sua, della persona stessa e degli altri ricoverati.
Questa piccola ricerca, costituisce un primo contatto con l’universo della psichiatria ed ha l’intento di fornire degli accorgimenti di comportamento, che possano aiutare noi infermieri, in un momento sicuramente difficile e……..inquietante!
Non ha certamente la pretesa di aggiungere nulla alle conoscenze e all’esperienza dei colleghi dell’SPDC che sicuramente, sarebbero gli unici in grado di fornire linee guida provate “sul campo” ed anzi, colgo l’occasione per chiedere la loro collaborazione, nel segnalare eventuali inesattezze ed utili integrazioni.
Buona lettura…………….
URGENZE IN PSICHIATRIA
Al di là delle controversie sul riconoscere o no l'esistenza di una psichiatria d'urgenza isolabile per le sue caratteristiche peculiari nel contesto della clinica psichiatrica, è accettato che esistono momenti di urgenza nel formarsi e nel risolversi della sofferenza psichica, momenti che richiedono particolare attenzione di valutazione e di intervento.
La crisi è un momento di frattura che causa sconvolgimento per l’utente, i suoi familiari, amici e colleghi di lavoro. Affrontare le emergenze psichiatriche in modo esclusivamente clinico o medico costituisce certamente un approccio obbiettivo, ma la differenza cruciale tra le emergenze psichiatriche e quelle mediche risiede nel fatto che, nel secondo caso, i problemi sociali tendono ad unirsi a quelli clinici e ad essere mascherati da essi.
Una crisi psicologica acuta esprime la sensazione soggettiva acuta di rottura dell'equilibrio emotivo in cui il meccanismo di difesa e le consuete capacità di adattamento psicosociale sono sopraffatti.
"Krisis" è un termine greco che ha un duplice significato: quello di "scelta" e quello di "momento della sentenza". Ippocrate si riferisce alla crisi come al momento critico della malattia: i sintomi sono esacerbati e la loro evoluzione puó portare al peggioramento, alla guarigione o al cronicizzarsi del processo patologico.
Se la crisi è sempre una crisi della presenza del soggetto nel suo essere al mondo, il mondo in crisi non sarà solo quello soggettivo o intrapsichico, ma anche quello interpersonale, in cui si colloca la storia personale del soggetto: la rottura di tale equilibrio determina la crisi.La crisi si rivela in tutta la sua drammaticità e manifesta la rottura dell'iter esistenziale del soggetto: si potrebbe trattare di un conflitto irrisolto e del conseguente cedimento della personalità sotto il peso di fattori stressanti acuti e cronici.
Al di là di tali fattori di carattere negativo e patologico, le stesse modalità comportamentali possono venire considerate come risposta alla trasformazione e al cambiamento, dunque, come soluzioni pseudo-adattative.
LA PAURA IN PSICHIATRIA.
Introduzione
Il nostro modello culturale chiede che si occulti tutto ciò che allontana dalle convenzioni sociali; anormalità, devianza, follia sono "macchie", che continuano a turbare ed incutere inquietudine. Le immagini della follia sono veicolate dai media con rappresentazioni spesso fallaci. Le distorte raffigurazioni psichiatriche nei set del cinema o nell'arte letteraria, difficilmente delineano il folle nel suo reale disagio, quasi ogni volta si scivola nel ridicolo e nella follia in tutta la sua veste caricaturale. Sulla vera follia c'è una disinformazione diffusa che ci ridà la maschera del folle o come minus o come un individuo pericoloso, violento, geneticamente tarato (matri-patri-infanticida, giovane killer che uccide senza causa, neo Jack squartatore, una bomber etc.). Non viene rappresentato un individuo che, pur vivendo un profondo disagio, ha in sé risorse per vivere, amare, capacità di scelta, ed è comunque soggetto di diritto. Si afferma sempre più il paradigma dell’”ereditarietà” genetica della follia, che si traduce nell'idea di inguaribilità e nella conseguente attesa del farmaco miracoloso o di una reclusione risolutiva, organizzata, certo pulita e soprattutto privata.
La paura è un istinto primordiale, “cui tutti gli animali ubbidiscono”. E' un meccanismo di difesa che stimola il nostro organismo a tirar fuori ciò che di meglio possiamo dare sia sul piano fisico che psicologico. Dal lato fisiologico produce adrenalina e mobilita le energie per evitare una situazione di pericolo imminente. Il cerbiatto, se non avesse paura del leone, non riuscirebbe a fuggire e verrebbe ucciso. Vi è dunque una paura che risponde allo spirito di sopravvivenza, alla conservazione e all'adattamento, una paura che non va eliminata ma piuttosto elaborata.
Alla paura si risponde con due possibili automatismi: la fuga o l'aggressività, legati alla capacità di percepire alcune relazioni pericolose dove la percezione del pericolo si fonda su due meccanismi:
Oltre alla paura come risposta ad un pericolo reale, distinguiamo altre velate maschere di una paura più interiore come l'ansia che si ha senza una obiettiva sorgente di pericolo, il panico, la timidezza eccessiva, la fobia e l'ossessività; J.Gray considera anche la frustrazione una forma di paura in quanto vissuto di inadeguatezza e percezione sgradevole dei propri limiti.
Per capire la paura, quindi, dovremmo indagare sulla vera causa che la determina, che può essere fuori di noi, nella reale aggressione, o dentro di noi, in una predisposizione mnemonica protesa ad evitare un pericolo e allontanarci dalla relazione con l'altro ritenuto ipoteticamente pericoloso. Non è il leone che ci assale, ma un'angoscia interna, apparentemente ingiustificata, rivolta al leone in senso universale... alla "Leoninità"comedirebbe Platone.
Così Heidegger analizza il fenomeno della paura differenziandolo dall'angoscia che non è temporale come la paura, ma un modo di essere essenziale e permanente. Non è solo angoscia davanti a ... ma è anche angoscia per... . E come il davanti a ... così il per ... riportano al senso di rottura tra l'individuo e il mondo, ovvero, alla perdita della possibilità di un rapporto.
Questo è ciò che accade negli orizzonti della psichiatria, dove il sentimento della paura spesso è insito nello stigma verso la malattia mentale e fa pensare più a un'angoscia esistenziale che induce la maggior parte degli individui alla "difesa" dalla persona con problemi psichiatrici (inteso come idea di persona con problemi psichiatrici) perchè condizione di potenziale pericolo.
Dopo il 78, ricordiamo il fenomeno migratorio degli infermieri che furono assegnati ai vari dipartimenti di salute mentale, senza aver ricevuto alcuna formazione specialistica di base nè alcun sostegno.
L'urgenza psichiatrica: i luoghi del potere
Distinguiamo tra l'autorità di cui può disporre il terapeuta nel cambiare, in modo lecito o illecito, lo stile e la qualità di vita degli utenti e la supremazia, che definirei camaleontica che, in determinate condizioni, gli utenti, esercitano sull'operatore. Nel teatrino dell'urgenza tra il ruolo di aggressore e quello di aggredito intercorre talvolta una linea sottile che delinea a fatica i confini del potere. La scena del conflitto vede ognuno di noi (ma anche i familiari) assumere di volta in volta il ruolo di vincitore e quello di vinto o più esattamente l'uno e l'altro insieme a seconda degli spostamenti in cui siamo vittime e insieme carnefici e in cui la violenza assume via via un'espressione diversa, ora subìta ora reagita. Il sentimento di sconfitta o di vendetta, il vissuto di impotenza od onnipotenza, l'aggressione e la fuga, sono estremi che si abbracciano e si confondono repentinamente. Quante volte ci siamo trovati di fronte ad una persona violenta, in acuzie, minacciato da TSO? Nella cifra del potere chi è lo Zeus che scaglia il fulmine, utente o terapeuta?
Gli utenti violenti sono soliti suscitare forti emozioni. Spesso evocano paura, ma possono anche indurre collera nell'esaminatore. Prestare attenzione alle proprie risposte soggettive nei suoi confronti, non entrare in competizione e non adottare misure punitive è di fondamentale importanza. Generalmente l'obiettivo di chi aggredisce è quello di spaventare, persuadere e sottomettere l'altro alla propria volontà quindi, da parte dell'operatore riconoscere la paura e palesarla abbassando la guardia e perfino dicendo: - "mi fai paura" - può centrare l'obiettivo e affievolire di colpo l'ira che poi non sempre mira alla distruzione dell'oggetto. I problemi sorgono quando invece di fermarsi al rito, come è regola nelle specie non-umane, l'aggressività è distruttiva.
La fase o i periodi di crisi rappresentano un delicato passaggio teso alla risoluzione di una precarietà comportamentale, relazionale ed esistenziale. Le prime crisi, nella storia psichiatrica di una persona, generalmente sono violente, non solo nella maniera espressa (acting out) ma anche nel vissuto emozionale, con il passare degli anni le crisi, se ve ne seguono, si affievoliscono fino a rientrare in momenti preventivabili e superabili con ricoveri volontari o variazioni dei programmi terapeutici farmacologici e psicoterapici. Difficilmente si assiste alle impennate di crisi in un utente cronico, la cronicità trova quasi sempre un equilibrio nell'ago della vita.
IL SOGGETTO VIOLENTO: VALUTAZIONE E GESTIONE
I soggetti violenti e potenzialmente violenti costituiscono una pratica importante nell'emergenza psichiatrica. Occorre intanto sottolineare che i soggetti più violenti nella nostra società non sono malati psichici nè sono definibili come malati. I soggetti violenti che risultano di competenza psichiatrica sono:
Di coloro che non sono mentalmente malati e che non possono essere aiutati dall'intervento psichiatrico sarebbe cosa giusta che se ne occupassero meglio le autorità giudiziarie.
Sistemi predittivi e linee guida
Lo sviluppo di sistemi predittivi di un comportamento violento è un processo molto complesso in quanto la violenza in sè è un fenomeno complesso. I sistemi esistenti presentano gravi limitazioni, ma anche potenzialità che l'equipe è chiamata a cogliere e gestire, e che non deve perdere di vista per un approccio il più possibile sereno anche in prospettiva di una continuità terapeutica.
Le linee guida del Servizio di Prevenzione e Protezione dell'Az. Ospedaliera Fatebenefratelli e Oftalmico di Milano, schematizzano l'episodio di aggressività in un ciclo sequenziale di cinque fasi tipiche:
1. Fase del fattore scatenante
Il ciclo inizia con un primo scostamento dal baseline psicoemotivo della condizione ordinaria. Comportamenti verbali ed espressivi (mimici e comportamentali} rendono percepibile l’avvio del processo.
2. Fase della escalation
E' contraddistinta da una ulteriore deviazione dal baseline. Le probabilità di successo degli interventi sono legate alla tempestività con cui vengono messi in atto. Schemi appropriati di intervento in questa fase prevedono l'utilizzo del cosiddetto talk down, approccio verbale mirato al contenimento progressivo della persona tramite il riconoscimento positivo e affermativo delle sue istanze e l’avvio di una procedura di negoziazione che recepisca il contenuto emotivo e razionale della crisi ma ne devii il percorso comportamentale. Una manovra aggiuntiva, in questa fase, può essere l'allontanamento dal contesto, soprattutto quando fattori ambientali abbiano contribuito a determinare la condizione di crisi.
3. Fase critica
Viene raggiunto il punto culminante di eccitamento. L'attenzione deve essere focalizzata sulla sicurezza e sul contenimento delle conseguenze. L'intervento non deve essere condotto sul presupposto della possibilità di una risposta razionale, ma piuttosto fondarsi sulla scelta di opzioni sintetiche e massimali: contenimento, fuga, autoprotezione.
4. Fase del recupero
E' caratterizzata dal graduale ritorno al comportamento normale del baseline, ma con un livello di attivazione psicofisiologica (arousal) ancora elevato e potenzialmente recettivo a nuovi fattori scatenanti. Rappresenta la fase più delicata perché interventi troppo precoci volti all'elaborazione dell'episodio possono scatenare una riacutizzazione della crisi.
5. Fase della depressione post-critica
contraddistinta dalla comparsa nel soggetto, di emozioni negative legate a sentimenti di colpa, vergogna o rimorso. Si stabilisce una recettività per interventi di carattere psicologico volti all'elaborazione dell'evento verificatosi, alla risoluzione dei sentimenti più gravi, come la colpa, e alla comprensione razionale delle circostanze che hanno scatenato l'incidente.
Potrebbe essere utile ricostruire la storia della persona, nei suoi periodi più critici attraverso un'intervista che metta in risalto gli elementi caratterizzanti i pregressi atti di violenza. La scheda identificativa della storia del sogetto violento potrebbe prevedere i seguenti interrogativi:
1
In quale circostanze il soggetto è stato violento nel passato?
2
Qual'è la frequenza degli episodi di violenza?
3
Se sono episodici qual'è la loro durata?
4
Come si comporta la persona tra un episodio e l'altro?
5
Qual'è l'entità della violenza? Può rivelarsi utili domandare al soggetto qual'è la cosa più violenta che abbia mai fatto.
6
Che mezzi ha impiegato per perpetrare la violenza?
7
Ottenere eventuali dati riguardo a passati arresti, denunce o precedenti penali
8
Informazioni utili su un cattivo uso dell'automobile (come una storia di liti durante la guida, o violazioni multiple del codice stradale)
9
Come è giunto al Pronto Soccorso, da chi era accompagnato (quale dei familiari, forze dell'ordine, etc), o quale altro percorso è stato intrapreso per l'attivazione dell'urgenza.
10
Testimonianze dei familiari, vicini o altre persone.
11
Il soggetto teme la violenza? Da parte di chi?
12
Fa progetti di violenza? Quali? Ha formulato un piano?
13
La persona è in possesso di armi o altri mezzi pericolosi?
14
Ha esperienza di arti marziali o altre capacità di difesa?
15
Il soggetto è abitualmente violento?
16
Se la violenza è ben orientata, le vittime destinate sono facilmente raggiungibili? (il codice penale fa riferimento all'obbligo di avvisare le vittime potenziali)
17
Quali stress ambientali e familiari hanno predisposto alla violenza?
18
Note sull'autocontrollo: è in grado di farlo? Ha difese precarie?
19
Ci sono persone in grado di controllare e influenzare evitando il comportamento violento. Quali?
Anche l'eroe ha paura
Nella cultura occidentale, dal mondo greco, l'eroe è uno che ha paura, uno che avverte che c'è una grande prova da fare e, a differenza della maggior parte della gente, lui non scappa, pur percependo quella paura, fa il grande gesto, e quindi può arrivare ad affermarsi proprio in virtù della paura o di una forte inquietudine interiore.
Al termine inquietudine (uneasiness) ha dato una lettura empirica John Locke, intendendo per essa un disagio che scaturisce da un bisogno irrisolto, per cui la quiete è possibile solo se le proprie inclinazioni vengono soddisfatte. Locke vede nell'inquietudine il movente principale della volontà umana, ovvero qualcosa che spinge alla ricerca per la soddisfazione dello spirito cui manca qualche bene.
Come eroe, il soggetto in acuzie, può provare una forza e una determinazione straordinari che mirano a risolvere il proprio bisogno irrisolto. Egli può attivare talvolta azioni estreme e pericolose rivolte ad altri o contro se stessi. Prendere sul serio ogni minaccia, gesto o tentativo omicida o suicidario, anche se può sembrare una manifestazione manipolativa, costituisce un passaggio da non sottostimare.
Contenere la paura
L'operatore ha il compito di tutelare l’utente, se stesso e gli altri attraverso un'opera di prevenzione e protezione soprattutto nella fase iniziale, quando non si è entrati metaforicamente e fisicamente nello spazio dell'aggressore, quando non si è misurato il misurabile, conosciuto il conoscibile e soprattutto quando ancora non si è contenuto quanto di contenibile c'è in lui e nell'ambiente che lo circonda, questo momento richiama a importanti considerazioni sulla sicurezza nonchè, prima ancora, richiede un lavoro sulla auto-consapevolezza delle proprie emozioni in quanto la paura è forse l'elemento principale per misurare la cifra del pericolo e per adottare misure di protezione.
E' bene valutare se esistono i livelli di garanzia per l'incolumità fisica come, ad esempio, il libero accesso alla porta, la presenza di personale di sicurezza, la possibilità di defenestrazione, l'uso di materiali contundenti o pericolosi, etc., verificare se le persone intorno svolgono un'influenza stabilizzante o destabilizzante. Prestare attenzione all'eloquio e all'attività motoria del soggetto (tono minaccioso, aumentata tensione muscolare, iperattività e incapacità a stare fermi, sbattere porte o rovesciare mobili...). Qualora la sicurezza non è garantita conviene ritornare in un secondo momento insieme alle forze dell'ordine.
L'urgenza psichiatrica: alternative che incutono paura
Oggi le urgenze psichiatriche sono ufficialmente considerate e trattate come comuni urgenze mediche, anche se l'opinione pubblica non concorda completamente con tale considerazione. L'arrivo immediato dell'equipe della C.O. 118 e le forze dell'ordine, riescono a "contenere" e proteggere in misura maggiore operatori e utente rispetto al passato (non troppo remoto), quando i prodi operatori del servizio psichiatrico accedevano, in prima istanza, nelle sedi dell'urgenza. In alcune Regioni d'Italia (come nel Lazio), gruppi di esperti in materia prospettano l'ipotesi che l'urgenza psichiatrica possa essere gestita unicamente dal servizio 118, ovviamente potenziando e qualificando il personale medico-infermieristico nel tentativo di mantenere l'emergenza nella cornice della sua etica medica, non riportando l'intervento ad un atto di controllo sociale e non "psichiatrizzando" ogni situazione che minaccia l'ordine pubblico. Questa nuova presa in carico solleverebbe molti Centri di Salute Mentale che, per carenza di personale, non possono intervenire con apposite equipe di pronta emergenza e quindi sono costretti ad interrompere le attività ordinarie per quelle straordinarie urgenti. Ovviamente questa iniziativa, che definirei di grande coraggio e innovazione sociale, già agli albori suscita grande clamore tra le fila delle associazioni dei familiari e tra gli stessi operatori che si sentono protagonisti unici e padroni delle scene psichiatriche.
Nell'indagine conoscitiva, rivolta agli infermieri dei servizi non psichiatrici, alla domanda - "Chi pensi debba e possa gestire il TSO di un paziente psichiatrico in fase acuta?" - hanno risposto:
L'opinione che ne scaturisce è assiomatica: l'urgenza psichiatrica va considerata e trattata diversamente da altre urgenze mediche.
La paura nel ricordo
Una volta superata la fase acuta, quando l’utente viene dimesso, egli può tornare e decidere di farsi curare, quando con tale scelta, seppur precariamente, manifesta coscienza e comprensione dell'accaduto. L'atteggiamento degli operatori sembra permanere nella sfiducia e nel ricordo della violenza (memoria emotiva), contribuendo ad inscriverlo nel pattern di quelle persone socialmente pericolose, imprevedibili, intrattabili e perchè no, irrecuperabili. Nonostante ora prometta collaborazione, egli continua a suscitare inquietudine, innescando comportamenti di diffidenza ed evitamento da parte di chi ha assistito in prima persona, o per sentito dire, agli scenari violenti. Siamo nel girone dell'irrazionalità, dell'assurdo e dell'oscillazione pericolosa, questo stereotipo stabilisce una distanza relazionale nei suoi riguardi e di conseguenza ne accresce il senso di isolamento sociale.
Da qui la necessità di elaborare tali sentimenti , condizione indispensabile per la continuazione del trattamento. E' utile un colloquio di confronto tra l’utente-aggressore e la vittima (operatore, altro utente o familiare), per evitare la scotomizzazione dell'evento (processo difensivo per cui il soggetto rifiuta di percepire determinati aspetti della sua situazione ambientale o di se stesso, spec. quelli spiacevoli o dolorosi), circostanza che accrescerebbe il senso di sicurezza da parte dell'aggressore nei confronti della vittima. Pertanto è indispensabile un viaggio nel passato e nel presente attraverso la ri-narrazione, il ri-vissuto e il ri-agito del comportamento violento.
Come ricorda Jung, l'ampliamento della personalità passa sempre attraverso un sacrificium mortale, e l'esperienza del conflitto può svolgere una funzione trasformativa, se riuscissimo ad elaborarne il vissuto.
Conclusioni
La parola talvolta inaridisce il senso e parlare di paura non suggerisce certo formule razionali per la gestione di un emozione così dirompente e invalidante, ma può rendere consapevolezza su ciò che siamo e ciò che proviamo, come a suggerire un segno conosciuto, una "spia" che ci orienti al caso, perchè il conosciuto e la consapevolezza riducono l'inquietudine. Così come l'uomo paleolitico anticipava più volte l'episodio di caccia con i graffiti rupestri traendo da questa ripetizione (vissuta e ri-vissuta sulle pareti) una sicurezza interiore capace di guidarlo nella realtà con una memoria rafforzativa, il nostro segno rupestre dovrebbe ripercorrere l'alfabeto di quella violenza vissuta nelle scene dell'urgenza, in modo da ridisegnare un nuovo apparato di risposta, bilanciato tra prudenza e imprudenza, tra paura e coraggio, che ci consenta di mettere in discussione il nostro modo di porci, ogni volta, senza fossilizzarlo come unico modo.
Talk down:
Può tenere conto delle seguenti indicazioni operative generali:
LA GESTIONE DELLE URGENZE
Nel vasto campo delle urgenze psichiatriche, i quadri che più spesso impegnano in una terapia e osservazione d’urgenza, sono rappresentati da:
1) Crisi d’ansia
2) Crisi depressiva
3) Condotte suicidiarie
4) Episodio maniacale
5) Crisi psicotica acuta
6) Comportamento aggressivo violento.
Cosa fare sempre
Di fronte ad un sospetto di patologia psichiatrica, sempre escludere una causa da patologia organica, che potrebbe aver scatenato la sintomatologia che noi etichettiamo come “psichiatrica”, attivando sempre la
diagnosi differenziale con malattie organiche o intossicazioni che spesso si esprimono con sintomi e segni classici della crisi d’ansia.
Crisi d’ansia
Definizione: l’ansia è il processo psichico attraverso il quale l’individuo reagisce a stimoli esterni ed interni, attivando risposte di pericolo che coinvolgono sia il soma che la psiche, con il risultato di una sensazione soggettiva penosa di paura indefinita, di attesa, di apprensione.
Sintomatologia somatica più frequente dell’ansia
1. a livello vascolare e neurologico:
−Vertigine
−Cefalea
−Paura di perdere conoscenza
−Parestesie diffuse
−Visione confusa
−Perdita della voce
2. a livello cardiaco:
−Palpitazioni (riferite)
−Tachicardia (talvolta presente)
−Dolori toracici vaghi.
3. a livello respiratorio:
−Senso di costrizione toracica
−Senso di soffocamento
−Oppressione toracica
−Dispnea inspiratoria
4. a livello muscolare:
−Tremori
−Senso di affaticamento
−Movimenti incerti
−Dolori muscolari vaghi
5. a livello gastrointestinale
−Senso di peso (gastrico)
−Nausea
−Dispepsia
−Dolore addominale vago
−Flatulenza
−Stipsi/diarrea
6. a livello genito-urinario:
−Pollachiuria
−Diminuzione della libido.
Diagnosi differenziale
Malattie organiche che più frequentemente esprimono sintomi e segni tipici della crisi d’ansia:
Cardiache:
−angina
−aritmie
−prolasso mitralico
−scompenso congestizio
Polmonari:
−embolia polmonare (causa più frequente)
−ipossia (in BPCO)
Endocrino-metaboliche:
−ipertiroidismo
−feocromocitoma
−ipoglicemia
−sindrome di Cushing
−ipercalcemia
−porfiria acuta intermittente
Neurologiche:
−tumori cerebrali
−epilessia (crisi parziali complesse)
−anossia cerebrale
−esiti di trauma cranico
Tossiche/iatrogene:
−ormoni tiroidei
−anfetamine
−caffeina
−aminofillina
−levodopa
−digitale
−efedrina
−corticosteroidi
−cocaina
−astinenze in genere (in particolare alcool)
Classificazione dei disordini d’ansia
a) Attacco di panico
b) Disturbo fobico
c) Disturbo ossessivo - compulsivo
d) Disturbo di ansia generalizzato
a) attacco di panico
definito come “intensa paura e/o sofferenza accompagnata da sintomi somatici o cognitivi". E’ un episodio acuto di ansia grave, che insorge improvvisamente con paura e disagio intensi, durante il quale 4 o più dei seguenti sintomi si sono sviluppati rapidamente e hanno raggiunte l’acme in 10 – 30 minuti:
−palpitazioni, cardiopalmo, tachicardia
−sudorazione
−tremori fini o grandi scosse
−dispnea o sensazione di soffocamento
−dolore toracico
−nausea o disturbi addominali
−sensazione di sbandamento, “testa vuota”, “imminente svenimento”
−paura di “perdere il controllo” o di impazzire
−sensazione di irrealtà (derealizzazione) o depersonalizzazione
−paura di morte imminente
−parestesie
−brividi o vampate di calore
b) disturbo fobico
definito come “timore eccessivo, immotivato di situazioni, oggetti o attività” che determina la comparsa di stati ansiosi o di condotte di evitamento dello stimolo fobico, tali da compromettere il normale funzionamento sociale o
lavorativo del soggetto affetto. Un esempio di fobia semplice è la “paura di volare”.
c) disturbo ossessivo - compulsivo
caratterizzato dalla presenza di ossessioni o compulsioni, ricorrenti, che il soggetto critica e vive come assurde e non congrue, ma dai quali non
riesce a sottrarsi.
Da ciò una elevatissima ansia che si allevia solo se il soggetto si abbandona alle compulsioni (comportamenti ripetitivi finalizzati e intenzionali,
messi in atto in modo stereotipato). Le compulsioni sono sintomi dominanti (ad es.: lavare, pulire, contare, chiedere rassicurazioni)
L’esordio avviene sempre prima dei 25 anni, raro dopo i 40.
d) disturbo di ansia generalizzata
caratterizzato da preoccupazioni irrealistiche ed eccessive riguardo un numero di eventi ed attività quotidiane come il lavoro, la vita scolastica, la
salute dei familiari.
In questo quadro sono spesso presenti molti dei sintomi “somatici dell’ansia”.
Di solito questo disturbo appartiene a soggetti cronici, che frequentemente usano o abusano di psicofarmaci.
In questo caso sospettare sempre una depressione sottostante.
Approccio ai problemi:
non farsi contagiare dall’ansia
non sottovalutare il problema
aiutare la persona a capire che il disturbo non è pericoloso
non somministrare farmaci che il soggetto non accetta o verso i quali ha un vissuto negativo
disincentivare condotte e abitudini che possono risultare dannose o pericolose per la persona.
SEMPRE: accurato esame obiettivo, anche quando appare certissima la diagnosi d’ansia (il prendersi cura della persona è già una forma efficace di trattamento)
Crisi depressiva
Definizione:
“una profonda sofferenza connotata da estrema tristezza, sentimenti di autosvalutazione, di colpa, incapacità di vivere nel presente e impossibilità di
vedere miglioramenti nel futuro” con corteo d’insonnia (o ipersonnia), disturbi del comportamento alimentare (inappetenza, talvolta iperfagia), crisi di pianto, irritabilità, astenia, ridotta libido, anedonia, idee o atti autolesivi, riduzione dell’attenzione o della memoria, riduzione dell’attività.
Diagnosi differenziale.
La diagnosi differenziale riguarda soprattutto l’uso di farmaci (oltre che di quadri organici) che frequentemente causano depressione.
Tra i farmaci i più frequentemente in causa sono:
ipotensivi: reserpina, alfametildopa, clonidina, betabloccanti.
Butirrofenoni usati per gli effetti antimaniacali e deliriolitici.
Flunarizina e cinnarizina
Corticosteroidi: tendono ad accentuare lo stato timico preesistente; e possono provocare stati maniacali.
Antifecondativi (tutti)
Antitiroidei, soprattutto il metimazolo
Antiulcerosi (antagonisti dei recettori antiH2): cimetidina, famotidina.
Levodopa
Disulfiram
Alcool
Droghe psichedeliche
I quadri organici che creano depressione sono rappresentati da:
ipoglicemia
ipotiroidismo
encefalopatia epatica
Morbo di Cushing
Stati post ictali
Epilessia temporale
Neurolue – tumori cerebrali
Morbo di Alzheimer – TBC
Malattie infettive croniche
Retto colite ulcerosa
.
Condotte suicidiarie
L’uccisione di se stessi, rientra nel capitolo delle condotte suicidiarie, che sono:
Suicidio, ovvero autodistruzione intenzionale o volontaria (per lo più nei maschi adulti o in età avanzata), con mezzi efficaci, armi, fuoco, impiccagione, precipitazione, intossicazione.
Tentato suicidio, nasce come tentativo, ma è sostenuto da una scarsa intenzionalità autodistruttiva, ed è per lo più attuato con mezzi poco lesivi (classica è l’assunzione di una intera confezione di EN – Tavor).
E’ anche una forte richiesta di aiuto, soprattutto se attuato da giovani e da donne.
Mancato suicidio, è il sopravvivere a gesti autolesivi, idonei a causare la morte, grazie a circostanze non previste dal soggetto, come l’intervento di soccorsi esterni.
Comportamento dell’infermiere
Il soggetto che ha messo in atto una condotta suicidiaria, deve essere
valutato con accurato esame obiettivo:
eventuali lesioni traumatiche
stato di intossicazione.
sicuri che non ripeta il gesto autolesivo).
indurre il soggetto, fino ad allora riluttante ad aprirsi, a manifestare l’entità della sua sofferenza esistenziale e il suo desiderio di morte.
A questo punto ATTENZIONE:
se il pensiero di morte diventa ripetitivo e assillante e si associa a progetti particolareggiati di morte (su luogo, modo e tempo di attuazione), allora il rischio di ripetere il tentativo diventa altissimo e si impone allora un intervento di ricovero d’urgenza.
Il ricovero, anche se breve (24 – 36 ore), previene grandemente le recidive.
Errori da evitare
Episodio maniacale
Come si riconosce una crisi maniacale.
La persona presenta caratteristicamente un umore espansivo ed euforico, una velocità di eloquio che è difficile interrompere, fino alla fuga delle idee, una
iperattività motoria con atteggiamenti di intolleranza, irritabilità e impazienza.
Questi soggetti, poi, respingono ogni indicazione che possa limitare l’esuberanza manifestata.
Talvolta queste manifestazioni si accompagnano a sintomi francamente psicotici (deliri di grandezza e bizzarri, allucinazioni). Tipicamente, da parte della persona, vi è la mancanza di coscienza di malattia e quindi, non vi è la consapevolezza del bisogno di curarsi. Infatti i soggetti maniacali non sperimentano alcun disagio, precisando anzi di “non essere stati mai così bene”.
La complicanza più grave e frequente è l’ipervalutazione delle proprie capacità, il che può portare, come conseguenza, danni a sé stessi e agli altri.
Diagnosi differenziale
AIDS,
delirium,
intossicazione da alcool,
uso di sostanze psico-stimolanti,
ipertiroidismo,
malattie neurologiche (Huntigton, Wilson, tumore in sede
frontale),
patologie iatrogene (Ldopa, steroidi,
fenciclina, antidepressivi).
Altre patologie psichiatriche (disturbo schizo-affettivo)
Comportamento dell’infermiere
L’infermiere che si confronta con il soggetto maniacale deve mantenere un atteggiamento fermo e calmo, comprensivo per permettere l’accettazione della terapia farmacologia necessaria.
Crisi psicotica acuta
Come si riconosce una psicosi acuta
In generale la caratteristica principale della psicosi acuta è l’alterazione del rapporto che l’individuo ha, sia con il mondo interiore che con il mondo esterno, cioè la realtà.
Da ciò i sintomi di più frequente riscontro sono:
Diagnosi differenziale
Demenza – Alzheimer - Delirium
Farmaci (steroidi,Ldopa,clonidina,cimetidina)
Stupefacenti (LSD, cocaina, anfetamine, alcool)
Malattie endocrine (epilessia temporale, neurolue, tumori cerebrali)
È utile la seguente tabella:
sintomi |
Disturbo mentale organico |
Disturbo schizofrenico |
Disturbo maniacale |
Orientamento |
Disorientato |
Orientato |
Orientato |
Memoria |
Disturbo a breve termine |
Integra |
Integra |
Intelletto |
Indebolito |
Normale |
Normale |
Allucinazioni |
Poco organizzate |
Uditive, complesse, ben organizzate |
Assenti in genere |
Deliri |
A volte, in relazione con eventi reali |
Bizzarri, senza relazione con eventi reali |
Grandezza |
Comportamento dell’infermiere
Comportamento aggressivo violento
Come si riconosce
Quando un soggetto, spesso agitato, manifesta un comportamento ostile, tende a compiere atti violenti, distruttivi, contro gli oggetti, le persone
(eteroaggressività), o contro sé stesso (autoaggressività).
Non necessariamente il soggetto aggressivo – violento deve essere agitato.
Diagnosi differenziale
Recenti o pregressi atti di violenza o criminali
Personalità recidiva ad atteggiamenti criminosi
Alzheimer – demenza - delirium
Tumori cerebrali , neurosifilide, epilessie temporali
Uso e abuso di alcool o stupefacenti o altre sostanze psicoattive
Patologie psichiatriche (schizofrenia, mania)
Disturbo persistente di comportamenti sociopatici.
Comportamento dell’infermiere
Ricordare che:
Ogni comportamento violento può essere non da causa psichiatrica, ma sequela di un precedente atto criminoso.
Errori da EVITARE:
- che la persona arrechi danno a sé stessa, agli Operatori, ad altri utenti, alle cose (attrezzature)
- non indugiare mai di fronte a questi comportamenti: chiamare la Forza pubblica.
- Evitare ogni atteggiamento che possa essere interpretato come aggressivo e di pericolo (avvicinarsi troppo, avvicinarsi da dietro – questi soggetti hanno più bisogno di spazio dietro che non davanti)
- Non assumere toni di sfida (“io non ho paura di te”,“se mi tolgo il camice…”), come fissare duramente il soggetto negli occhi, che lo fanno precipitare ancor di più verso atteggiamenti violenti.
Allora cosa fare?
Tutto ciò, anche in un quadro di confusione, genera fiducia.
Terapia d’urgenza
Sedazione rapida:
Aloperidolo (serenase) 2 – 8 mg/ im o ev,
associato a:
Promazina (talofen) 50 mg/ im, più eventualmente
Lorazepam (tavor) 2– 4 mg/ ev o Clordemetildiazepam (en) 5mg
Se inevitabile la contenzione, questa deve essere preceduta dalla sedazione farmacologia.
BIBLIOGRAFIA
Fonte: http://infermierincontatto.beepworld.it/files/crisipsichiatricaacuta.doc
Sito web da visitare: http://infermierincontatto.beepworld.it/
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