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La scuola e l’apprendistato alle emozioni.
di Isabella Casadio
(dottoranda in “Pedagogia/Education” all’Università Cattolica di Milano sede di Piacenza)
Ho incontrato l’inventore della clownterapia, il Dott. Hunter Patch Adams , in una sala gremita di ragazzi della scuola media e delle superiori.
Aveva una camicia hawaiana e i pantaloni alla zuava a righe colorate: ha parlato del bisogno dei giovani di amore e di autenticità.
Aveva un ciuffo di capelli color blu e una cravatta gialla a pois rossi: ha domandato come possiamo superare la mancanza di senso e l’alienazione della nostra epoca.
Dai suoi due metri di altezza ben radicati in un calzino giallo e in uno rosso (in pendant con la cravatta), ha chiesto quale fosse il bene più importante per il nostro vivere, e quando tutti hanno nominato l’amore, ha domandato quale fosse il motivo per cui non veniva mai insegnato lungo tutti i tredici anni di scuola: “Se il bene più importante è l’amore, come voi stessi riferite, e la scuola è uno dei luoghi privilegiati dell’educazione, perché insieme alla matematica, alla storia, alla lingua, al computer non c’è anche l’educazione all’amorevolezza? Credete che un’ora di tale insegnamento alla settimana per tredici anni potrebbe forse cambiare qualcosa nelle persone e dunque nella nostra società? ”
Che questa non fosse una domanda retorica quanto la domanda, fu confermato dal permanere a lungo dell’eco di queste sue parole in un silenzio attonito.
Nonostante il modo di presentarsi così poco convenzionale, Patch Adams aveva posto all’attenzione di noi tutti questioni fondamentali per il vivere proficuo di una comunità che si voglia definire educante. Il fatto più sorprendente è che l’uditorio, composto in grandissima parte da ragazzi, si lasciava interrogare dalle sue domande. Non si udivano risate imbarazzate o battute irriverenti, bensì un ascolto attento e grande partecipazione.
Questo è stato l’aspetto che più ha colpito, motivo per cui ho ritenuto degno di nota raccontare e soffermarmi sull’episodio.
Nello spirito del tempo odierno, le emozioni e i sentimenti tendono a essere o banalizzati o esaltati, subordinati comunque alla ragione e considerati senza alcuna importanza conoscitiva, oppure enfatizzati in altri contesti psicologici in modo indiscriminato e assoluto. Là quando, invece, viene condotta una riflessione sul senso e sul valore della vita emotiva, ecco che i giovani rispondono con entusiasmo per coglierne la dimensione autentica, profonda e originale.
1. Fenomenologia della vita emotiva
Tra i numerosi approcci d’indagine alla vita emotiva, quello fenomenologico “presta un’attenzione privilegiata all’esperienza vissuta come via regia alla comprensione dell’umano” attenendosi all’esperienza e sospendendo ogni preconcetto, proprio attraverso la capacità di guardare il mondo sia con il lume della ragione sia con l’occhio del cuore, e arrivare così a cogliere l’essenza delle cose. Nel saggio Fenomenologia dell’affettività e significato della formazione,Daniele Bruzzone offre un’analisi approfondita della vita emotiva e dei suoi aspetti, da cui emerge come gli atti emotivi abbiano una loro «intelligenza» che permette alla coscienza di percepire le qualità di valore del mondo e al tempo stesso di trasformarne il rapporto, ossia il modo di essere e di agire nel mondo. La sfera emotiva, oltre a essere una «finestra sul mondo», è “una via privilegiata alla conoscenza di sé” che “ci mette in contatto con diversi livelli di profondità del nostro essere personale” .
Eugenio Borgna, psichiatra fenomenologo, riconosce alle emozioni e ai sentimenti la capacità di dare originalità e creatività ai modi di essere e di vivere così come la destrezza di portare conoscenza e metamorfosi. Tutto risiede nel fatto che, pur in presenza di una molteplicità di connotazioni tematiche, vi è un elemento comune a ogni emozione che porta fuori dai confini dell’Io e mette in contatto, in risonanza, con il mondo delle cose e delle persone. Inoltre “il sentire ci permette d’interrogare le situazioni per poterle comprendere, prendere-con noi, farle abitare in noi, e nella dimora del nostro essere dar loro un significato; il pensare diviene fecondo solo quando comincia con un sentimento : dalle situazioni affettive sgorgano domande, e risposte, generatrici di nuove domande, in una ricerca incessante in cui la conoscenza diviene «vitale», legata alla vita, all’esperienza vissuta” .
Da ciò deriva una distinzione che ha il pregio di permettere una migliore analisi dei modi di essere della vita emotiva, ma che al tempo stesso risulta, secondo lo stesso Borgna, incerta e virtuale per quanto riguarda la realtà umana. Lo psichiatra, infatti, distingue le emozioni in stati d’animo (o Stimmungen) e in sentimenti. Le prime sono caratterizzate da una manifestazione interiore autonoma che esaurisce in sé ogni slancio della vita interna e la cui intenzionalità nel relazionare con gli altri e con le cose, non è intensa né vibrante. Le seconde, invece, sono inevitabilmente indirizzate al mondo delle cose e degli altri, la loro insorgenza è legata agli eventi della vita e si tematizzano come sentimenti. Esistono, però, emozioni che hanno in sé entrambe le caratteristiche e che a volte prendono forma come Stimmung, stato d’animo, e a volte come sentimento. Per esempio la gioia, come stato d’animo, nasce anche indipendentemente da eventi vitali, “è friabile e impalpabile, delicata e rugiadosa, come sabbia: si effonde e facilmente si sbriciola, […] è una Stimmung aerea e luminosa nel suo fiorire e nel suo appassire”. Mentre la gioia-sentimento “nasce come risonanza interiore a un’esperienza psicologica e umana intensa, e leggera, profonda, e inattesa, [e] ci avvicina a una falda profonda e incontaminata della condizione umana” .
L’emozione, poi, trova il suo luogo privilegiato nel corpo, da cui nasce, si evolve e si manifesta, tant’è che il corpo viene definito “luogo attraverso cui passa l’emozione, […] il linguaggio attraverso cui esperire i contenuti delle emozioni” . Pensiamo, ad esempio, a come si modificano i parametri respiratori e circolatori a seconda dei differenti stati d’animo quali la gioia, la rabbia o la paura. Si è soliti dire “mi scoppia il cuore dalla gioia”, “una bellezza da mozzare il fiato”, “una rabbia cieca” o “paralizzato dalla paura”. Le emozioni prendono corpo nel gesto, nel tono posturale, nelle tensioni muscolari. Non esiste solo il linguaggio della parola, ma anche il linguaggio del corpo-soggetto, costituito appunto dalle emozioni. Interpretare questo linguaggio può risultare difficile se non ci si educa ad ascoltare gli orizzonti della vita emozionale del corpo vissuto.
Abbracciare la prospettiva di un corpo non più “accessorio” o addirittura separato dal proprio mondo interno , “significa, sul piano pedagogico, conservare la consapevolezza e la responsabilità del corpo che vive e «parla» nella relazione” ; inoltre conduce alla considerazione che l’individuo manifesta il proprio vissuto, la propria esperienza soggettiva su più livelli contemporaneamente: il livello psichico, corporeo, spirituale, relazionale. Tralasciare uno di questi livelli significa perdere l’unità della persona. In questa consapevolezza una visione astratta, scissa dalla dimensione del vissuto e dell’esperienza, permette di spiegare ma non di comprendere (sarebbe come voler illustrare cos’è un fiume da una cartina geografica), così come consente di riconoscere e di comprendere le esperienze vissute degli altri sulla base dell’originaria appartenenza al mondo della vita.
2. Nei sentieri dell’adolescenza
Alcune emozioni cambiano nel corso della vita mentre altre perdurano inalterate e significative al di là degli anni. E’ noto che l’adolescenza è l’età delle emozioni che si manifestano con assoluta intensità, immediatezza e spontaneità, e sono caratterizzate tanto da gioia e speranza, quanto da ansia, smarrimento e tristezza. La dimensione emozionale si amplia e al contempo si approfondisce: inequivocabili sono “l’esigenza di assoluto”, “l’incandescenza” e la “temeraria risolutezza” in essa contenuti .
E’ il periodo in cui sbocciano i primi amori, quelli con la “A” maiuscola, verso la compagna o il compagno di scuola, o nascono le infatuazioni verso un divo del cinema o della musica, ma è anche il momento in cui si cerca di contenere sulle pagine scritte del diario il traboccare di sensazioni nuove. Si consolida il bisogno, la paura e il desiderio (anche se il confine è labile) dell’amicizia, “come quel sentimento capace di darti il massimo di potenza o di annientarti” , perché a un amico ci si abbandona, ma si può anche essere abbandonati e brucia tanto quanto un tradimento.
Il corpo si trasforma con tumultuosa sollecitazione e, come un fiume in piena, dà forma all’identità, lasciando irrompere le istanze pulsionali. Tuttavia il cambiamento della percezione del proprio corpo comporta un modo diverso di abitare il mondo con il proprio corpo. Tra gli adolescenti, infatti, è diffuso il sentimento della vergogna che si nasconde dietro alle metamorfosi corporee e che nasce proprio dal timore di mostrarsi e di risultare inadeguati, di non essere come gli altri, tra il bisogno di appartenenza e la ricerca d’identità .
Iniziano ad affacciarsi le domande sul senso della vita, della morte e si delineano i grandi ideali, si comincia a sognare a occhi aperti senza preclusione alcuna. Proprio la dimensione di poter-essere, di totale potenzialità per divenire ciò che sei, secondo il monito heideggeriano , causa a un tempo entusiasmi di onnipotenza e insicurezza per il futuro che, a loro volta, hanno bisogno di libertà per esprimere il proprio poter-essere e di rassicurazione per mitigare l’incertezza. E tuttavia sia le domande di senso sia gli ideali, se non vengono opportunamente sostenuti, coltivati e accompagnati dagli adulti, genitori e insegnanti in primis, rischiano di sfociare in alcune forme di contestazione giovanile, che testimoniano l’incapacità di riconoscersi nell’insignificanza del mondo circostante, con la conseguente voglia di ribellarsi, oppure precipitano il giovane in quelle “passioni tristi” di impotenza, disgregazione, noia e apatia che lo ripiegano su di sé.
Eppure basterebbe far leva sul vivo desiderio degli adolescenti di poche ma vere relazioni, di incontri non solo culturalmente importanti ma soprattutto emozionalmente significativi, che siano di riferimento contro l’indifferenza e l’inautenticità dilagante. In particolare, il diffondersi della tecnica ha ampliato la conoscenza e l’informazione indirizzandole verso una smaniosa ricerca di produttività e di efficienza che hanno, però, deposto ogni forma di vita interiore e di comunicazione autentica . Per esempio l’utilizzo di internet, così diffuso tra i giovani, ha permesso la connessione istantanea in rete con un numero infinito di persone di ogni parte del mondo, ma si tratta di forme non autentiche e astratte di comunicazione, svuotate di contenuti emozionali significativi. Come specifica Borgna, “non c’è relazione autentica, non c’è relazione che abbia a fondare una comunicazione e un incontro, che non sia mediata dal linguaggio, anche corporeo, delle emozioni: dalla possibilità di guardarsi in volto e di scambiarsi una stretta di mano, di sorridere e di accompagnare la parola con un gesto che ne dilati i significati” . Il rischio è di rimanere imprigionati in forme di vita “autistiche” , caratterizzate da individualismo, chiusura, sfiducia, che allontanano dal senso dell’umana solidarietà. In tal senso la scuola potrebbe e dovrebbe porsi come fucina di relazioni autentiche da cui apprendere la cura verso l’alterità, che fonda nel rispetto, nella fiducia e nella reciprocità, le relazioni che si stabiliscono con gli altri.
3. Dissonanze col mondo adulto
L’incandescenza e la risolutezza delle emozioni dell’adolescenza si scontrano contro la razionalità e l’opacità del mondo adulto a cui si imputa una più povera e superficiale dimensione emozionale. Nell’età adulta le emozioni tendono a indebolirsi e a essere vissute come inferiori rispetto alla luce della ragione, all’interno di un orizzonte di senso frequentemente contrassegnato da modelli tecnologici, individualistici e spersonalizzanti di vita.
Infatti nella maggior parte delle forme di vita adulta, le emozioni che resistono di più sono proprio quelle conseguenti a questi modelli di vita, e per questo chiamate “forti”, come l’aggressività, l’interesse alle cose e alle situazioni, l’impegno politico e sociale, l’orgoglio, l’ambizione, l’ira, l’indifferenza, l’alterigia; mentre le emozioni “deboli” come l’amore, la sensibilità, la condivisione di ideali di vita, l’immedesimazione nell’interiorità e nelle esigenze degli altri, la gentilezza d’animo, la partecipazione emozionale al dolore e alla sofferenza, la capacità di cogliere il senso della solidarietà, la timidezza, la gratitudine, la dolcezza, la tenerezza , la rinuncia all’egoismo, rischiano maggiormente di soccombere e scomparire.
Ciò che cambia nel passaggio dall’adolescenza alla adultità, come in ogni altra età della vita, è l’esperienza emotiva del tempo che nell’adolescenza si estende nel presente protendendosi verso il futuro come una freccia che sta per essere scoccata, mentre nella vita adulta s’indebolisce di questa tensione al futuro per acquisire, invece, la ricchezza del passato. Tale differente percezione del tempo interiore nelle sue dimensioni di passato, presente e futuro, comporta inevitabilmente diversi modi di stare al mondo e di rispondere agli eventi incontrati nell’esistenza. Così, di fronte agli adolescenti, gli adulti diventano ansiosi poiché “essi ci testimoniano tutto il possibile che in noi è divenuto reale. Di fronte a noi l’adolescente racconta già la nostra morte, la sequenza, neppure tanto sepolta nella nostra memoria, di tutti i nostri no alla vita. Gesti che non sono diventati stili di vita, azioni che si sono esaurite nei gesti, progetti che si sono dileguati tra i sogni” .
Nel passaggio alla vita adulta avviene, poi, un rovesciamento all’interno del rapporto fra vita emozionale e vita razionale, per cui le emozioni e le ragioni del cuore tendono a essere vissute come subalterne al pensiero e alla ragione calcolante. La routine, la passività, i modelli tecnologici e individualistici di vita rischiano col tempo di inaridire e pietrificare il dinamismo tra pensiero e istinto, tra pensiero discorsivo e vita emozionale, fra elementi razionali ed elementi irrazionali della vita psichica. Tutto questo non può che corrodere gli ideali, oltre che smorzare la passione e la spontaneità del vivere. Infatti avverte Umberto Galimberti: “I suoi [dell’adulto] reiterati no alla vita sono stati riformulati sotto il sigillo dei principi; non più azioni esaurite nei gesti, ma azioni inghiottite dall’abitudine; progetti non più dileguati nei sogni, ma costruzioni, mattone dopo mattone, in cui reperire quel compenso alla felicità mancata che si chiama sicurezza. Notti senza sogni, perché le passioni hanno abbandonato non solo le notti ma anche i giorni, non potendo considerare passioni le vogliuzze che talvolta interrompono la serietà, questa divinità a cui tanto si è sacrificato per poter essere riconosciuti e, nel riconoscimento, poter cancellare tutte le incertezze che continuano a dilaniare l’anima ben nascosta dietro lo sguardo tranquillo della nostra maschera” .
La consapevolezza delle dissonanze nei modi di sentire e di vivere tra adolescenti e adulti aiuta a far luce su una questione molto importante connessa al tema della vita emotiva: precisamente il fatto che la disposizione a provare emozioni e sentimenti sia innata (ma abbiamo visto come può cambiare col tempo), mentre la consapevolezza di quali sentimenti si provino o la loro elaborazione e rielaborazione sia solo frutto di apprendistato (e in questo gli adulti dovrebbero avere e fornire più strumenti). I sentimenti si conoscono vivendoli, ma anche accettandoli e dando loro un nome, perché solo così è possibile riconoscere quali sentimenti esistono in noi, come regolano i nostri rapporti con gli altri e come ci fanno operare nella vita. Mi riferisco per esempio al sentimento della rabbia che, proprio perché socialmente riprovevole, difficilmente viene accettato e riconosciuto quando compare, con conseguenze a volte imprevedibili sul proprio modo di agire e d’interagire. Ecco che allora diventano necessari luoghi di apprendistato .
4. La scuola: luogo di apprendistato alla vita emotiva
Mentre nell’infanzia la famiglia è il luogo principe deputato alla conoscenza e alla manifestazione dei sentimenti, con l’adolescenza questa possibilità si smorza se non addirittura scompare. Il ruolo lasciato vacante dalla famiglia, spesso e purtroppo viene raccolto da un’altra “istituzione” educativa ormai sempre più accreditata, la televisione: a essa viene affidata l’educazione sentimentale dei ragazzi attraverso forme di spettacolarizzazioni che non hanno altro scopo se non quello di suscitare sensazioni, emozioni forti e pur effimere e non autentiche .
E la scuola? Dovremmo chiederci se non sia più opportuno che la scuola supplisca a questa mancanza e si faccia promotrice di una vera educazione alla vita emotiva.
In realtà la scuola di oggi ha perduto la centralità di un tempo, tanto che è ancora alla ricerca di una posizione sociale che ne riconosca l’identità: non è più vissuta come luogo di sapere per eccellenza, quanto un luogo di formazione tra tanti. Anche se internet, televisione e giornali per lo più non formano, distribuiscono informazioni sotto le smentite spoglie del sapere. Eppure posso riportare l’esperienza di mia madre, insegnante di matematica e pioniera della “scuola” in televisione già negli anni Settanta , che afferma quanto la televisione le abbia fornito prestigio e autorevolezza di fronte ai ragazzi: non solo la stessa lezione sembrava più chiara quando era spiegata in televisione piuttosto che in aula, ma l’apparizione in TV le aveva fatto acquisire un carisma maggiore agli occhi dei suoi allievi.
Così di fronte al fascino e al potere della televisione o di internet, la scuola deve recuperare appetibilità e autorità. È forse questo che più di tutto mina quel patto tacito di fiducia tra docenti e genitori, tra famiglia e società che è alle fondamenta della scuola e che ha sempre più incrinato la possibilità di fruttuose alleanze.
La scuola, dunque, come luogo di apprendistato alla vita emotiva. In essa i ragazzi imparano l’amicizia e tutti i sentimenti a essa connessa, conoscono la gratificazione e la soddisfazione per la riuscita nello studio ma anche l’invidia nei confronti degli altri (spesso alimentata dal senso di competizione dei genitori), oppure l’egoismo e l’orgoglio che può sfociare in presunzione e superbia. Inoltre accrescono il desiderio di nuove conoscenze e nuove amicizie, sono sollecitati al rispetto dell’altro e al prendersi cura delle cose come alla tolleranza nei confronti della diversità; a volte provano rancore per le umiliazioni subite di fronte a un rimprovero dell’insegnante o quando sono vittime di bullismo. Per di più dovrebbero imparare quel giusto timore per un’interrogazione o un compito in classe che solleciti in loro il senso di responsabilità a presentarsi preparati e senza angoscia.
Questi e molti altri sono i sentimenti vissuti a scuola. Fondamentale, però, risulta il ruolo del docente nell’offrire occasioni “per «dissodare» parti di sé sconosciute o sopite, per «rastrellare» interrogativi di senso che insegnino a vivere oltre la superficie di se stessi, per «seminare» una conoscenza diversa e ulteriore di sé, dell’altro, della vita, per «coltivare» emozioni e sentimenti, per far «fruttificare» nuovi pensieri e per «raccogliere» relazioni intense e toccanti” . La disponibilità da parte degli adulti al dialogo autentico non può che essere una delle vie affinché i mondi degli insegnanti e degli allievi s’incontrino senza scontrarsi. Essa, a sua volta, comporta la capacità di andare oltre le proprie rigidità, le proprie maschere al fine di superare “quella presunzione di aver già capito per il solo fatto di aver da più tempo vissuto” . Il che significa anche rispettare l’intera persona nei suoi aspetti emotivi e razionali, permettere che accolga ed esprima il proprio vissuto, il proprio modo di essere nel mondo, sviluppando “una coscienza e una responsabilità della propria vita emotiva, anziché tentare di imbrigliarla nelle categorie dell’oggettività o costringerla entro le maglie della razionalità” . Perché ciò accada diviene allora indispensabile promuovere una educazione alle emozioni e ai sentimenti, che includa il recupero del corpo-soggetto e l’ascolto dei modi di essere del corpo vissuto, la promozione del “vivere” e del “dire” le emozioni evitando repressioni e censure e l’acquisizione di consapevolezza sulle proprie e altrui modalità emozionali. S’intende una educazione che sappia far tesoro dei vissuti, della saggezza del corpo e del suo linguaggio arcaico. Questo vale sia per le femmine sia per i maschi, anche se è indubbio che educare alle emozioni risulta più familiare al genere femminile che a quello maschile, come è altrettanto vero che “per ogni donna stanca di essere chiamata femmina emotiva, c’è un uomo che non sopporta più di vedersi negato il diritto di piangere e di essere tenero” .
Educare alla vita emotiva risulta, dunque, un’urgenza che la scuola non può più evitare. Non significa “spiegare che cos’è l’amore , ma imparare ad amare. A capire quante sono le forme di amore e come talvolta ci si confonda e ci si odi per amore” . E però solo dando tempo è possibile educare i sentimenti, nel senso di “restituire il proprio tempo come propriamente dell’altro”, anche solo per quell’ora lungo i tredici anni di percorso scolastico di cui menzionava Patch Adams; ma anche nel senso di “restituire l’altro a se stesso. Dargli tempo. Il suo tempo” , affinché l’allievo si avvii per la propria strada. Come afferma Elisabetta Musi “il valore formativo del sentire sta dunque nella frontalità con cui il soggetto dis-vela a sé stesso la potenzialità del proprio essere, che attende di essere modellato secondo una forma, di essere ad-domesticato cioè condotto letteralmente nella casa dell’essere soggettivo e particolare con cui ognuno affonda le proprie radici nel mondo” .
All’interno di questa idea, risiede la possibilità di vivere nella “fedeltà a sé”, in contatto con i propri vissuti, bisogni e desideri, senza disperdere la propria individualità nell’anonimato della massa. Questa diventa la via per essere ciò che si è e diventare ciò che si desidera, ponendosi al centro di questo essere e diventare.
PER APPROFONDIRE:
Medico statunitense che ha introdotto l’umorismo come vero e proprio strumento di guarigione all’interno degli ospedali già dagli anni Settanta. Secondo Adams scopo del medico non è curare le malattie ma aver cura delle persone malate e il buon umore può incidere sulla loro guarigione, soprattutto quando si tratta di bambini.
BRUZZONE, D., “Fenomenologia dell’affettività e significato della formazione”, in IORI, V. (a cura di), Quando i sentimenti interrogano l’esistenza, Guerini, Milano, 2006, p. 105
Ibid., p. 119
BORGNA, E., L’arcipelago delle emozioni, Feltrinelli, Milano, 2001, p. 18
WEIL, S., Lezioni di filosofia, Adelphi, Milano, 1999, p. 58
AUGELLI, A., “L’avventura di esserci: rischi, possibilità, difficoltà e bellezze”, in IORI, V. (a cura di), Quando i sentimenti interrogano l’esistenza, cit., pp. 248-249
BORGNA, E., L’arcipelago delle emozioni, cit., p. 19
NICOLODI, G., Maestra aiutami, CSIFRA, Bologna, 1995, p. 28
La fenomenologia e i successivi sviluppi dell’esistenzialismo e del personalismo hanno portato a considerare il corpo non più nella sola accezione biologica e fisiologica di corpo-oggetto da possedere, quanto nell’esperienza vissuta di corpo-soggetto da essere. Per un approfondimento: IORI, V., Nei sentieri dell’esistere: spazio, tempo, corpo nei processi formativi, Erickson, Trento, 2006
IORI, V., “Per una pedagogia fenomenologica della vita emotiva”, in ID (a cura di), Quando i sentimenti interrogano l’esistenza, cit., p. 24
BORGNA, E., L’arcipelago delle emozioni, cit., p. 29
FERRARO, G., La scuola dei sentimenti, Filema, Napoli, 2003, p. 114
cfr. IORI, V.,”Il corpo in cambiamento: preadolescenza e adolescenza”, in ID, Nei sentieri dell’esistere: spazio, tempo, corpo nei processi formativi, cit., pp. 170-180
HEIDEGGER, M., Essere e tempo (trad. dal tedesco), Longanesi, Milano, 2005, p. 180
cfr. BENASAYAG, M., SCHMIT, G., L’epoca delle passioni tristi (trad. dal francese), Feltrinelli, Milano, 2004
cfr. GALIMBERTI, U., Psiche e tecne. L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano, 1999
BORGNA, E., L’arcipelago delle emozioni, p. 32
Ivi;
sulla tenerezza come virtù fondamentale per un agire autentico si veda FILIPPINI, M., “La responsabilità del sentire intenerito”, in IORI, V. (a cura di), Quando i sentimenti interrogano l’esistenza, cit., pp. 327-360
GALIMBERTI, U., Parole nomadi, Feltrinelli, Milano, 1994, p. 15
Ibid., p. 16
Questa riflessione è emersa durante la lezione tenuta dalla Prof.ssa Vanna Iori nel corso di Pedagogia della famiglia all’Università Cattolica sede di Piacenza
IORI, V., “La competenza affettiva a scuola”, Scuola e didattica, 9, 15 gennaio 2007, p. 7
Mi riferisco alla trasmissione “S.O.S. Scuola” che andava in onda su TVM 66, cui mia mamma, Rosalba Copelli Casadio, partecipava in qualità di esperta di matematica
CASADIO, I., “Attraversare il dolore con lo sguardo della speranza”, in IORI, V. (a cura di), Quando i sentimenti interrogano l’esistenza, cit., p. 326
GALIMBERTI, U., Parole nomadi, cit., p. 17
BRUZZONE, D., “Fenomenologia dell’affettività e significato della formazione”, in IORI, V. (a cura di), Quando i sentimenti interrogano l’esistenza, cit., p. 138
VARGAS, B., citato in RESTREPO, L.C., Il diritto alla tenerezza (trad. dallo spagnolo), Cittadella, Assisi, 2001, p. 12
FERRARO, G., La scuola dei sentimenti, p. 63
Ivi;
MUSI, E., “La vita emotiva: risorsa delle professioni di cura”, in IORI, V. (a cura di), Quando i sentimenti interrogano l’esistenza, cit., p. 180
Fonte: http://www.tesionline.it/tesiteca_docs/8632/La_scuola_e_l'apprendistato_alle_emozioni.doc
Sito web da visitare: http://www.tesionline.it/
Autore del testo: sopra indicato nel documento di origine
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"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
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