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Inizialmente considerata da Freud un sintomo causato da un trauma, successivamente una difesa contro gli istinti sessuali, praticamente ignorata dalla Klein, e spesso considerata indistinguibile dalla colpa, la vergogna sembra conquistare un ruolo specifico a partire dagli anni ’50 con Erikson.
Gli studi più recenti di psicoanalisi e psicologia, rivolgono un’attenzione sempre più frequente all’emozione della vergogna, che viene considerata un fattore importante nello sviluppo della personalità sia normale che patologica (Nathason, 1987).
Va sottolineato anzitutto che definire la vergogna è di per sé un compito molto difficile. Per quanto riguarda lo scopo del mio lavoro, penso che basti introdurre una semplice definizione, almeno provvisoriamente: la vergogna è un segnale intra ed intersoggettivo, del fatto che si è subita un’umiliazione. A sua volta, si può definire l’umiliazione come la disconferma della propria pretesa di ricevere attenzione, approvazione e/o rispetto da parte degli altri e/o sé stessi.
Gli studi più attenti sul piano della fenomenologia della vergogna, concordano sul fatto che quando un soggetto prova vergogna, la persona vuole nascondersi, scomparire, morire. E’ questo un vissuto che fa riferimento al sé, e quindi richiede la coscienza. Michael Lewis trova lo spunto da questo dato fenomenologico per accostare lo sviluppo della vergogna allo sviluppo della coscienza. al momento che il vissuto di vergogna implica un riferimento al self, la sua emergenza dovrebbe coincidere con l’emergenza della coscienza. Egli stesso imposta lo sviluppo delle emozioni self-conscions in questo modo: nei primi sei mesi di vita del bambino, sono presenti emozioni primarie quali gioia, paura, rabbia, tristezza, disgusto, sorpresa. Solo con lo sviluppo della coscienza intesa come la capacità di “pensare” al proprio sé, si sviluppano anche le emozioni secondarie o self-conscions. Provare vergogna per aver fatto qualcosa di sbagliato ad esempio, implica un giudizio sul proprio sé. Le emozioni semplici al contrario, non richiedono self-conscions.
Le basi fisiologiche e psicofisiologiche: presupposti
Secondo Izard, la vergogna come le altre emozioni fondamentali, dipende da un particolare processo neuro-chimico. I meccanismi coinvolti in questo processo sono soggetti alle stesse leggi genetiche, che controllano altre caratteristiche strutturali e di comportamento. Poco si conosce circa le trasmissioni genetiche del meccanismo della vergogna. Uno studio di Burton Jones e Kenner nel 1973 suggerì che ci sono differenze sessuali geneticamente determinate nella soglia della vergogna o la tendenza a esprimere vergogna. Questa inferenza è basata sulla loro ricerca, dove i ragazzi ricevevano punteggi significativamente più alti delle ragazze sui diversi indici di socievolezza.
Izard afferma che le emozioni umane si sono evolute per milioni e milioni di anni e i loro processi di adattamento sono divenuti sempre più complessi. Poiché le nostre emozioni sono un prodotto della nostra eredità di evoluzione biologica, si può dedurne che ciascuna emozione serviva come funzione adattiva nella filogenesi dell’essere umano. E’ piuttosto facile dedurre il ruolo di certe emozioni nell’adattamento, ma il ruolo della vergogna non è così ovvio. In superficie la vergogna sembra avere solo conseguenze negativa per l’individuo.
La vergogna ha alcune funzioni che possono avere un valore di sopravvivenza per l’individuo. Dapprima la vergogna sensibilizza l’individuo alle opinioni e ai sentimenti degli altri e così agisce come una forza di coesione sociale. Assicura al gruppo o alla società che l’individuo sarà sensibile alla critica, particolarmente alla critica diretta verso alcuni aspetti centrali del sé. Persino nei tempi moderni, la minaccia della vergogna ha spinto molti uomini giovani a rischiare, dolore e morte in guerra, persino in una guerra che essi non capivano e per la quale non avevano simpatia.
E’ anche possibile che la minaccia di vergogna svolse alcuni tipi di funzione regolatoria nella vita sessuale degli esseri umani preistorici. Molti uomini trovavano la timidezza e la modestia attraenti sessualmente. E’ quasi impossibile che un senso di vergogna abbia un ruolo importante nella riduzione dei conflitti e della aggressività fisica sulle donne. L’emozione di vergogna è probabilmente il motivo fondamentale che guida la gente a cercare la “privacy” per le relazioni sessuali. Una ragione finale per l’evoluzione della vergogna è il ruolo che essa svolge nello sviluppo delle abilità e competenze necessarie per la sopravvivenza dell’individuo nel gruppo.
Per evitare la vergogna di inettitudine l’individuo è spinto a trovare la sua forza e a svilupparla . Individui con elevate svariate abilità e competenze contribuiscono ad un gruppo più forte e più difeso.
ASPETTI EVOLUTIVI
Come Spiegel (1966) notò, la usuale derivazione della vergogna dalla regressione dalle spinte esibizionistiche non coincide con l’osservazione che la vergogna può apparire prima che tale regressione avvenga. Erikson legò la vergogna ai conflitti della fase anale che coinvolgono l’autocontrollo e l’autonomia.
Anche se non c’è dubbio che i conflitti della fase anale sono cruciali per la socializzazione della vergogna, c’è una buona ragione per credere che la vergogna si origina prima, nello sviluppo infantile.
Jacobson vide la vergogna anche come una formazione reattiva agli impulsi istintuali, orali, fallici e specialmente anali. Anche se ammette anche la possibilità che gli impulsi istintuali dallo studio orale possano diventare in seguito origine di vergogna, non suggerisce che le esperienze di vergogna possono apparire nel primo anno di vita. Ella disse che le reazioni di vergogna sono originariamente provocate quando uno perde il controllo istintuale, quando difetti fisici, e frustrazioni sono esposti agli altri. Questo richiede che un bambino abbia raggiunto l’età nella quale diventa auto-cosciente nel senso di essere consapevole di se stesso come oggetto di osservazione degli altri, uno sviluppo che gli studi sull’osservazione infantile suggeriscono avvenga nella parte più tarda del secondo anno di età.
Se la vergogna può insorgere al contatto degli estranei, come Izard descrive, allora sembra proprio che la vergogna possa insorgere nei contatti del bambino con la madre nel momento in cui la madre divenga estranea per il bambino. Questo accade quando il bambino è dispiaciuto, che certo comportamento comunicativo e interattivo non sarà pronto in risposta alla sua prontezza comunicativa. In tal caso possiamo ancora rivolgerci alla formula di Izard, che la vergogna insorge da un disturbo nel riconoscimento, producendo risposte familiari ad una persona non familiare, così come noi consideriamo che la madre “indifferente” sia una persona non familiare. Che una madre (persino abbastanza buona) può essere estranea al suo bambino qualche volta, può non esser sorprendente, poiché l’umore della madre, le preoccupazioni, i conflitti e le difese, disturbano la sua fisionomia e alterano i suoi modelli di comunicazione stabiliti. In aggiunta alla vergogna, come essa insorge in interazioni con “estranei” o la “madre estranea”, ci sono altre situazioni che richiamano ciò che appaiono essere reazioni di vergogna nei bambini.
In un articolo, Broucek ha elencato un numero di studi sperimentali che trattano del controllo del bambino sugli eventi ambientali e la sua gioia nel ricercare eventi contingenti alla sua attività. Questi studi rivelano un acuto stato di malessere corrispondente, associato alla capacità a comprendere un evento che il bambino si aspettava, sulle basi di esperienze precedenti, per essere in grado di controllare o capire. La descrizione di caratteristiche comportamentali o psicologiche di alcuni di questi stadi di malessere infantile suggeriscono una primitiva esperienza di vergogna. I bambini in tale stato mostrano segni di malessere in espressioni facciali e vocalizzazioni, movimenti scoordinati, mutamenti autonomi che consistono in respirazione intensificata e aumento del battito del polso, sudorazione e arrossamento della pelle.
Secondo White (1960) la vergogna è sempre associata alla incompetenza: “Essa accade quando noi non siamo in grado di fare qualcosa che sia noi o un pubblico ritiene che noi dovremo essere in grado di fare”. Anche se White sopravvaluta il caso quando dice che la vergogna è sempre associata all’incompetenza, appare che le esperienze inefficaci, possano essere tra le prime stimolatrici della vergogna. Broucek afferma che c’è un elemento di schok cognitivo coinvolto nello stimolo della vergogna; sia esso lo schok del viso dell’estraneo o lo schok delle aspettative inefficaci fallite a contatto dell’ambiente.
Quando il bambino già capace di vergogna raggiunge lo stadio di sviluppo, quando diventa conscio nel senso oggettivo (lo sviluppo della consapevolezza del sè oggettiva avviene quando il bambino è in grado di riconoscere la sua immagine allo specchio, uno sviluppo che normalmente avviene tra i 18 e i 24 mesi di vita), l’esperienza di vergogna assume nuove caratteristiche fenomenologiche - una penosa, elevata consapevolezza del sè come oggetto di osservazione per gli altri, come un desiderio di sottrarsi o di nascondersi. Gli altri saranno sperimentati come distanti, rifiutanti o alieni e si avrà uno spiacevole senso si solitudine e di isolamento sociale. In piccole ed “inevitabili” dosi, la vergogna può portare il sè a oggettivare le differenziazioni e ad assistere il processo individuale, poiché coinvolge un’acuta consapevolezza della propria separazione dagli altri importanti. In grandi dosi “tossiche”, la vergogna con l’ansietà di abbandono e isolazione, può condurre ad un comportamento di attaccamento, che
mina il processo di separazione-individuazione e promuove sforzi regressivi per ristabilire un tipo simbiotico di relazione. Il vergognarsi come tecnica di socializzazione può facilmente aumentare la reazione di vergogna a livelli tossici.
Inizialmente (entro i primi due anni di vita) si hanno solo emozioni self-conscions cosiddette di primo tipo, ovvero associate semplicemente a coscienza di sé. Fra queste abbiamo imbarazzo, empatia, invidia, ecc.; in seguito nel terzo anno di vita, il bambino sperimenta ed esprime emozioni che implicano un giudizio valutativo su se stessi quali: superbia, soddisfazione, vergogna, colpa. Queste emozioni vengono definite valutative o di 2^ tipo. Esse implicano un processo di valutazione di azioni, pensieri, e sentimenti che portano all’attribuzione cognitiva di successo o fallimento.
Per capire le diverse emozioni che si produrranno, occorre tener presente il diverso grado di focalizzazione sul sé. n particolare si può avere una focalizzazione di tipo globale o specifica. La valutazione di tipo globale si ha quando le persone focalizzano sulla totalità del sé, mentre una valutazione è specifica quando la focalizzazione non e sulla totalità del sé, ma su un comportamento specifico, un’azione del sé in una specifica situazione.
Michael Lewis descrive alcune strategie che verrebbero usate per trattare la vergogna, fra cui la denigrazione, lo spostamento, la risata, la confessione e nelle situazioni più gravi la rabbia e la depressione; grazie a quest’ultime, il soggetto ha la possibilità di allontanarsi dalla vergogna, di spostare il suo punto focale dall’attenzione dalla vergogna ad un’ emozione del tutto diversa. Il trasgressore quindi, può prendere le distanze da sé stesso, ovvero dalla fonte della vergogna ed accostarsi alla posizione dello altro assumendo anch’egli un ruolo di osservatore esterno. I fallimenti che coinvolgono in maniera centrale il proprio corpo, hanno più probabilità di produrre una valutazione globale. Lo stato emotivo della colpa, si produce quando il soggetto valuta il suo comportamento come un fallimento, ma con una focalizzazione su aspetti specifici del proprio sé o dell’azione che ha condotto al fallimento stesso; poiché il processo d’attribuzione cognitiva si focalizza sull’azione del sé, la sensazione che si produce (la colpa) non è così intensamente negativa come la vergogna; inoltre, l’emozione della colpa si associa sempre ad un’azione correttiva. Il soggetto è capace di liberarsi da questo stato mediante la riparazione che rettifica il fallimento ,o ne impedisce la ripetizione.
La vergogna si configura come un livello più arcaico di sviluppo rispetto alla colpa: ad esempio i bambini tendono a dare di sé stessi un giudizio globale, e solo successivamente sviluppano la capacità di esprimere giudizi specifici, ovvero relativi l proprio comportamento e non all’intero sé. Inoltre la vergogna si riferisce ad una famiglia di emozioni che include imbarazzo, umiliazione, timidezza, mortificazione, coscienza di sé, inferiorità; l’elemento comune fra queste emozioni è il sé nella sua relazione con gli altri, con l’idea che l’altro stia valutando il sé negativamente.
Nella vergogna l’ostilità verso il sé è vissuta in modo passivo. Il sé non ha il controllo della situazione ed è sopraffatto dall’ostilità diretta contro di lui. L’altro è colui che viene vissuto come la sorgente dell’ostilità, e questo comporta un sentimento di rabbia verso la persona stessa che respinge.
1.2 La spirale vergogna - rabbia
Da questa situazione, nasce la cosiddetta spirale vergogna-rabbia, ossia una escalation che va dall’evocazione della vergogna alla rabbia, alla colpa e ancora alla vergogna e alla rabbia.
Questa spirale è attraversata da un risentimento in cui la vergogna e rabbia si legano. Perché nasca vergogna ci deve essere un relazione emotiva con l’altro, tale che una valutazione negativa di quest’ultimo, assuma un particolare rilievo agli occhi del primo. Il contrario della vergogna è l’orgoglio: alla prima corrisponde il dileggio, la derisione da parte dell’altro e questi comportamenti determinano un situazione di umiliazione, nella quale una persona è ridotta a posizione inferiore.
All’orgoglio corrisponde ammirazione e apprezzamento da parte dell’altro e si crea una situazione di trionfo. La vergogna e l’orgoglio possono essere definiti come segnali che indicano, che l’amor proprio è stato ferito o esaltato e sono necessariamente connessi dalla relazione intersoggettiva asimmetrica dell’umiliazione-trionfo. Anche il senso di colpa s’innesta in questa relazione: da una parte abbiamo
il senso di colpa per l’umiliazione inflitta, dall’altra l’auto responsabilizzazione per essersi fatti umiliare.
Da parte della vittima il senso di colpa s’innesta anche in un altro modo: l’umiliazione scatena la rabbia verso l’umiliatore, ma anche verso se stessi, e ancora vergogna per aver perso l’autocontrollo; la rabbia è inevitabile quando è presente la vergogna e questo vale anche in senso inverso.
La vergogna può anche essere la fonte come l’inibitore della rabbia; da una parte infatti, la vergogna sostiene e alimenta la rabbia, dall’altra al contrario, trattiene e ferma l’espressione comportamentale della rabbia stessa, in quanto l’essere arrabbiato riduce l’approvazione o la stima dell’altro, che aumentano così il vissuto di vergogna.
L’ostilità evocata ci protegge, in un certo senso dal sentimento d’inadeguatezza di essere stati svergognati; la rabbia quindi, assolve una funzione protettiva nei confronti del self, difendendolo da un’ulteriore vergogna. Quando il self è in stato di vergogna, vi è la sensazione di essere sconnesso dagli altri, e si pone in conflitto con uno dei motivi fondamentali del comportamento umano: il bisogno di mantenere il collegamento e l’attaccamento agli altri. La vergogna implica un netto fallimento del legame naturale d’attaccamento, e questo provoca la rabbia.
1.3 Rapporto fra vergogna e sorriso
Un’altro aspetto di particolare interesse è quello che viene indicato da vari autori circa il sorriso come espediente difensivo nei confronti della vergogna. Un punto di totale accordo fra i teorici del sorriso, è che questo promuove sentimenti di unità fra persone che ridono insieme, così come la vergogna produce disgiunzione (Freud, 1938).
La vergogna viene sollevata e scaricata da una risata umoristica diretta al sé; via via che i sentimenti di vergogna si trasformano in riso, si fa strada un vissuto di piacere che crea in quelli coinvolti nella risata stessa, un legame emotivo di solidarietà.
La risata produce un forte senso di amicizia fra chi vi partecipa, e aggressività nei confronti degli esterni (Lorenz, 1963). Si forma quindi un legame, e nello stesso tempo si traccia un confine. Se non puoi ridere con gli altri, ti senti esterno. Il riso serve quindi a riconnettere i legami tagliati, spezzando la spirale vergogna-rabbia.
Quando un soggetto si sente svergognato, la prima reazione è fisiologica: quello che si rileva, è un improvviso rossore in volto, sudore freddo, aumento della frequenza cardiaca respiratoria e altre modificazioni circolatorie e corporee che inibiscono parola ed azione. Provare vergogna significa quindi, avere una reazione psicosomatica, caratterizzata da una forte sensazione di minaccia e pericolo di fronte all’esposizione del proprio sé, conconseguente blocca del comportamento.
1.4 Rapporto fra vergogna e senso di colpa
Nel caso del senso di colpa non riscontriamo nulla di tutto ciò. Quando un soggetto si sente in colpa, è pronto a parlare a lungo di ciò di cui si sente colpevole.
La vergogna assolve nel bene e nel male, una funzione di adattamento familiare e culturale; per cui, si configura come un’emozione attraverso la quale, lungo l’arco evolutivo, si offrono consistenti occasioni di controllo del comportamento umano.
La vergogna può inizialmente essere vissuta come rivelatrice di una personale inadeguatezza, ma può anche essere l’occasione per la persona stessa di confrontarsi con i propri desideri, ancora non riconosciuti e capire quindi, l’inadeguatezza dalla società nel favorire l’espressione dei medesimi.
Attraverso la vergogna c’è infatti la possibilità di vedere sé stesso ed il mondo attraverso gli occhi degli altri. L’Io è sia più separato che in relazione con le altre persone. La relazione tra colpa e vergogna assume una conformazione circolare, che in altre parole si può spiegare così: la dolorosa percezione d’inadeguatezza, che è alla base della vergogna, spesso conduce l’individuo a commettere atti aggressivi compensatori, cui consegue un sentimento di colpa. La colpa a sua volta rinnova la componente auto-aggressiva denigratoria, che di nuovo significa accrescimento della colpa. Quest’ultima prevede la riparazione per essere sanata; la vergogna è per se stessa riparatoria in senso prospettiva, in quanto porta alla coscienza di sé e alla definizione dei propri limiti e della propria individualità.
Mentre la vergogna sembra più legata ad una sorta di dipendenza sociale, dalla percezione altrui della nostra immagine, il senso di colpa è costituito dall’esperienza interiore di avere infranto il codice morale. La vergogna è infatti la sensazione di essere considerato con disprezzo, di non essere riusciti a vivere all’altezza della propria immagine proiettata; pur essendo vero che in conseguenza di un’azione moralmente riprovevole, si può provare sia senso di colpa che vergogna, dobbiamo dire che mentre la colpa è in riferimento solo ad un confronto col proprio codice morale, la vergogna è un vissuto che fa riferimento al giudizio dell’ambiente , e che può anche prescindere da una trasgressione. Il senso di colpa è considerato un’emozione più evoluta, matura, che si prova rispetto ad un comportamento che ha violato un valore personale o sociale interiorizzato; l’acquisizione di responsabilità non necessariamente si riflette in maniera negativa sulla propria identità o diminuisce il senso del valore individuale : il riconoscimento della propria colpa può essere la base per la riaffermazione dei propri valori e del proprio valore. Dalla vergogna invece, non nasce alcuna esperienza che possa favorire la crescita , perché è solo una conferma del proprio disvalore.
1.5 La vergogna e il sociale
Un sentimento che comunemente viene identificato come vergogna può essere legato a situazioni sociali in cui è dominante l’importanza della “maschera”, dove l’interesse del soggetto è quello di apparire diverso da ciò che ha consapevolezza o timore di essere. La vergogna è inevitabilmente scaturita da un confronto della persona con l’ambiente sociale, un confronto che ha visto frantumarsi la maschera ed il mostrarsi della sostanza sottostante.
Eziologicamente, le prime esperienze che inducono alla vergogna accadono nelle relazioni genitore-bambino e proprio prima dello sviluppo del linguaggio. Da qui, le esperienze di vergogna risiedono al centro del sé e sono inaccessibili alle descrizioni verbali.
Ci mancano le parole per la vergogna, come adulti, precisamente perché non abbiamo mai avuto quelle parole nelle prime esperienze di vergogna.
A questo riguardo, il modo di fare delle prime occasioni di ira dei genitori è cruciale, e il bambino viene avviato sulla strada della vergogna. Ciò che accade nelle seguenti interazioni genitore-bambino continua o a confermare o non confermare la stessa vergogna. La vergogna è generata nei bambini specialmente intorno a quegli aspetti del sé su cui il genitore continua a sperimentare vergogna per sè stesso/a.
Il padre può trasferire al figlio il sua senso di vergogna; se una madre non si sentì voluta dai suoi genitori, ella può sottilmente proibire a suo figlio di avvicinarsi al suo (di lei) padre. L’interferenza induce la vergogna, e quindi mette in atto il dramma. In tal modo la vergogna si tramanda di generazione in generazione. Noi portiamo sempre il profondo impatto di vergogna emotivo, infatti quando qualcuno profondamente valutato, rischia un’esposizione a diventare vulnerabile e apertamente conosce la sua imperfetta umanità, è sopraffatto dalla vergogna.
La separazione del ponte interpersonale seguita dalla restaurazione di questo, è il processo curativo stesso, ovvero il processo di crescita. Questo, è un processo che ci aiuta ad andare al di là della vergogna e a muovere verso un’identità auto-affermata.
CAPITOLO SECONDO
DISTINZIONI PARTICOLARI DELLA VERGOGNA
E’ importante a questo punto, fare una distinzione fra quella che viene definita vergogna da smascheramento, e quella da svelamento. La prima nasce da una disconferma di un’aspettativa di accettazione o approvazione; la seconda , implica che il soggetto non riesca a nascondere qualcosa di sé, che lo mette in una posizione di inferiorità.
La letteratura sulla vergogna dà particolare rilievo alla vergogna connessa con il mostrarsi ed essere visti diversamente da come si pretendeva essere, ovvero alla vergogna da smascheramento. Meno rilievo è dato alla vergogna connessa al volersi nascondere ed essere invece visti quando non si voleva o in ciò che non si voleva mostrare vergogna da svelamento. Quasi completamente trascurata è la vergogna connessa con il mostrarsi e non essere visti, cioè la disconferma di una pretesa attenzione. Tutte queste forme di umiliazione hanno in comune l’essere o il non essere visti, cioè una condizione di oggettivazione del soggetto.
Viene evidenziata anche una distinzione fra “vergogna del fare” e “vergogna dell’essere”: nel primo caso ci troviamo di fronte ad eventi psichici che insegnano in modo acuto, improvviso e che sono sostenuti da dinamiche interne intense vive.
Il soggetti che le presentano, ci appaiono vivi, coinvolti appassionatamente nel rapporto con se stessi e con gli altri: stiamo parlando di persone con identità sufficientemente solide, ben installate in un’area del funzionamento mentale abbastanza lontana da quella psicotica.
Il modo in cui ci appaiono i pazienti che presentano quella che viene definita “vergogna dell’essere” è completamente diversa: infatti, sono persone che con il loro muoversi, con il loro modo parlare, danno un’impressione di incertezza dolorosa (Laing, 1969). Queste persone ci appaiono strane perché si sforzano di essere “normali”, ma non ci riescono, come se sapessero “di dentro” come fare. Nei loro discorsi si evidenzia una situazione interna di vuoto, di futilità, che impedisce loro di fare in presenza di un altro le cose più semplici, come camminare, o prendere un oggetto, a meno che non ci sia la garanzia di un’accettazione piena, simbiotica. Qui troviamo un elemento differenziale importante fra soggetti che vivono una “ vergogna del fare” e soggetti una “vergogna dell’essere”: nel primo caso infatti, il timore è soprattutto quello di essere ridicolizzati e il desiderio più o meno difensivo, è quello di essere ammirati; nel secondo caso, viene tenuta l’irraggiungibilità dell’altro, la sua fredda indifferenza e se ne desidera un’accettazione quasi simbiotica, che è realizzabile solo quando l’altro non c’è, nelle fantasie ad occhi aperti, perché nel rapporto reale, un’accettazione piena, evocherebbe l’angoscia di perdere la propria identità. Un problema che emerge, riguarda la possibilità di affrontare il vissuto della vergogna all’interno del trattamento psicoterapico; diversi autori hanno messo in evidenza la frequenza con cui la presa di coscienza e l’analisi di queste emozioni, possono essere evitate sia dai pazienti che da i terapeuti.
Quanto appena detto è vero soprattutto per ciò che riguarda la vergogna dell’essere e specialmente nei trattamenti psicoanalitici, in quanto la neutralità può facilmente essere confusa con l’indifferenza, tanto più per il fatto che l’analisi , per il suo ruolo, può apparire come una figura minacciosamente ideale.
Sembra che già nel pensiero classico ci fosse consapevolezza che nell’esperienza della vergogna, l’accento può cadere o sul timore del danno provocato da un giudizio negativo esterno (ossia su un vissuto di tipo persecutorio) o sulla necessità di rispettare e proteggere qualcosa di valido (ovvero su un vissuto di tipo depressivo). Queste differenze si ritrovavano anche all’interno dei trattamenti psicoanalitici.
Secondo C. Ausbel (1955), la vergogna può essere definita come una reazione emozionale spiacevole di un individuo ad un presunto giudizio negativo di sè stesso da parete degli altri, e che da come risultato un auto-condanna a confronto col gruppo. Tipici esempi di vergogna non morale sono l’imbarazzo di commettere un abuso di proprietà o nell’avere una parte intima del proprio corpo esposta al pubblici giudizio; la vergogna morale, è una reazione al giudizio morale degli altri. E’ un’esposizione preminente in molte culture sia prima che dopo lo sviluppo della coscienza. La vergogna morale, a sua volta, può essere divisa in due categorie, interiorizzata ed esteriorizzata. Quest’ultima varietà accade quando un individuo reagisce con auto-condanna alle condanne altrui, ma non accetta il valore morale al quale ha mancato di conformarsi, come ad esempio, un bambino può vergognarsi di essere stato colto nel dire una bugia anche se non accetta il giudizio che mentire è sbagliato.
Secondo M. Mead, la vergogna interiorizzata accade solo quando il genitore è l’interprete e il sostenitore della sensazione.
L’osservazione di un adolescente strettamente legato al gruppo comunque, sembra indicare che la vergogna può accadere quando gli adolescenti percepiscono e interpretano la disapprovazione morale dei propri amici contro le regole stabilite e sancite dal gruppo stesso. La vergogna associata con la colpa può essere considerata un caso particolare di vergogna morale; Ausbel mette in rilievo che la vergogna è solo una componente della colpa, la componente che coinvolge il giudizio esterno e la sanzione. La colpa coinvolge anche altre auto-reazioni che sono indipendenti dal giudizio degli altri, vale a dire auto-rimprovero, auto-disgusto, atuo-disprezzo, rimorso, autostima diminuita, ansietà e varie caratteristiche e risposte soggettivamente identificabili, viscerali e vasomotorie. E di converso, la vergogna per colpa è solo uno dei molti tipi di vergogna. Così la presenza della vergogna relativa alla colpa, non preclude l’operazione simultanea di altre forme di vergogna morale o non morale non associate alla colpa. L’eccitazione di alcuni tipi di vergogna non preclude l’operazione dei diversi auto-giudizi che caratterizzano sentimenti di colpa. La vergogna si basa solo su sanzioni esterne; La colpa si basa sia su sanzioni esterne che interne. Le ultime sanzioni consistono e i presunti giudizi di altri, che riguardano mancanza di rispetto agli obblighi morali e il risultante auto-disprezzo nel gruppo, così come l’abituale rappresaglia associata alla trasgressione, genera la colpa.
2.1 Sulla vergogna
L’espressione della vergogna è relativamente semplice da descrivere: chi si vergogna distoglie lo sguardo, volta la faccia girando la testa da un lato e verso il basso, ha la tendenza di far apparire più piccolo il corpo, rannicchiandosi, e c’è il fenomeno del rossore , che fa della vergogna la più umana delle espressioni emotive. Il rossore non è sempre presente e in ogni caso, la soglia dell’arrossire cambia con l’età; quando è presente inoltre, è causa esso stesso di ulteriore vergogna. Non è solo la soglia del rossore a cambiare con l’età: questo si evidenzia negli adulti, che tendono a modificare lo schema motorio della vergogna, perché in molte culture, non è desiderabile mostrare apertamente questo sentimento.
Ma al di là delle influenze naturali generali, esercitate dal gruppo di appartenenza, sono le specifiche modalità di accudimento ricevute ad essere importanti per ciò che riguarda la capacità dell’individuo a gestire i propri affetti.
E’ determinante infatti, il modo con cui i genitori e gli altri adulti che si occupano del bambino modulizzano quella data esperienza affettiva. Ogni specifica modalità di gestione degli affetti da parte dei care-takers verrà successivamente utilizzata dal bambino per elaborare le personali capacità affettive ed anche per apprendere, attraverso la referenza sociale, le cose da non fare, tanto che la vergogna è indicata come un’emozione morale precoce (Emde, 1969).
L’instaurarsi di un temporaneo predominio di sentimenti quali l’imbarazzo, la timidezza e la vergogna durante l’adolescenza, è favorito dal contemporaneo sviluppo cognitivo che permette ad esempio, all’adolescente di entrare in rapporto con una “platea immaginaria”: egli acquisisce infatti una capacità (assente nel periodo della latenza) di pensare che altri stanno pensando a lui, al suo aspetto, al suo comportamento e ai suoi pensieri. C’è dunque un aumento di esposizione del suo Sé all’ambiente, sia nella realtà che nella fantasia, modulata dalla vergogna in un periodo in cui i confini del Sé sono in fase di riassetto e fragilità.
Anche nel corso di un trattamento psicoanalitico è possibile rintracciare dei periodi in cui è più frequente l’insorgere nel paziente, dei sentimenti di vergogna: lo sdraiarsi nel lettino, con la perdita del feed-back visivi, la condizione di dipendenza ed affidamento che evoca uno stato di parziale regressione, la posizione di inermità rispetto ad un estraneo, la novità della situazione ecc.. Tutto concorre all’inizio del trattamento, a determinare transitori stati di fragilità del Sé con la comparsa di ansie persecutorie che hanno intensità varia a seconda della personalità del soggetto in analisi, a seconda della capacità e disponibilità dell’analista a rilevare l’esistenza, a utilizzarne la presenza e a modularne l’intensità. Va tenuto conto del fatto che può non essere facile evidenziare questo affetto, perché contro di essa e contro le penose sensazioni soggettive che l’accompagnano, possono erigere barriere difensive di vario genere.
CAPITOLO TERZO
UNA LETTURA PSICOANALITICA
Quando la psicanalisi funziona, produce, fra le altre cose, un’attenuazione progressiva della vergogna. Per riuscire in questo in misura ottimale, è necessario analizzare le numerose reazioni in cui la vergogna risulta coinvolta. Poiché i forti sentimenti di vergogna sono molto sgradevoli, l’Io, in accordo col principio del piacere, cerca di evitare di sperimentarli. Durante il processo di sviluppo, questi tentativi possono manifestarsi sotto forma di difese, tra le quali le più tipiche sono :
1) limitazione dell’autoesposizione. Al fine di proteggersi dalla vergogna che può essere indotta dagli altri, le persone imparano a evitare di esporre certi loro pensieri, sentimenti e impulsi.
2) Regressione. Man mano che la personalità si sviluppa e il processo della vergogna viene interiorizzato, certi pensieri, sentimenti e impulsi potranno suscitare vergogna anche in assenza di autoesposizione. Di conseguenza, al fine di proteggersi dalla vergogna, può risultare necessaria la rimozione di questi pensieri, sentimenti e impulsi.
3) Sviluppo dell’ideale dell’Io. Le numerose aspirazioni che vengono organizzate all’interno dell’ideale dell’Io sono un riflesso del desiderio di comportarsi in modo tale da potersi proteggere dal fatto di essere esposti alla vergogna da parte degli altri.
4) Limitazione dell’investimento libidico. Riducendo la quantità di libido investita in una persona, si può diventare meno vulnerabili alle critiche o ai rifiuti e perciò meno predisposti a sperimentare la vergogna.
5) Scarica dell’aggressività. Spesso le persone si difendono dalla vergogna accusando gli altri per un loro fallimento. Possono essere usate come difese in tal senso forme ancor più dirette di aggressività (R.R. Grinker, 1955). Per esempio, è facile che un uomo che prova vergogna per la sua scarsa virilità, si comporti in modo sadico nei confronti degli altri al fine di mostrarsi virile o di dirigere l’attenzione degli altri sulla sua aggressività piuttosto che sul suo comportamento sessuale, sul quale tende a concentrarsi appunto la vergogna.
La linea di demarcazione a cui si ricorre più spesso è quella relativa al tipo di conflitto che è all’origine della tensione intrapsichica. Se la colpevolezza deriva da un conflitto tra l’Io e il Super-Io, la vergogna deriva da un conflitto tra l’Io e l’Ideale dell’Io (Piers e Singer, 1953). Nella stessa ottica, Lewis fa risalire la differenza fra colpa e vergogna principalmente alla qualità della figure genitoriali interiorizzate. “ Se si ha anche fare con l’Ideale dell’Io o figure d’identificazione positive, ne risulta la vergogna di fallire; questa vergogna può essere morale o meno. Se si ha che fare , invece, con figure d’identificazione negative o castranti, ne risulta un senso di colpa per trasgressione”. La Lewis mette in evidenza un altro elemento di distinzione tra i due fatti: il rapporto con gli altri. La vergogna sembra più riferita al Sé nella sua globalità nei suoi attributi, nelle sue qualificazioni, mentre invece la colpa si riferisce al registro dell’azione.
“L’esperienza di vergogna riguarda più direttamente l Sé, che è al centro della valutazione. Nella colpa, il Sé non è al centro della valutazione negativa, ma piuttosto lo è cosa fatta o non fatta”.
Anche Susan Miller sottolinea questa distinzione. Nell’esperienza di vergogna si verifica una diminuzione dell’atmosfera come conseguenza di un determinato aspetto della persona o in seguito ad un’azione che lede l’immagine positiva che si ha di se stessi. In questo caso, l’attenzione è centrata sulla propria immagine che assume connotazioni negative.
Nel caso della colpa invece, l’attenzione è centrata sull’azione negativa, senza che venga coinvolto l’intero Sé.
Bisogna aggiungere a questo punto che non sempre essa nasce in seguito ad una azione reale, ma anche in seguito all’omissione di un’azione o a causa di un’azione semplicemente pensata. Per cui, si potrebbe dire che la vergogna è più legata alla qualità della persona, mentre nel caso della colpa ci troviamo di fronte alla qualità della relazione della persona con un oggetto. Nel caso specifico della vergogna morale, troviamo una vera e propria fusione fra vergogna e senso di colpa.
“Fusione” non va intesa nel senso di semplice compresenza di vergogna e senso di colpa, poiché possono esistere situazioni in cui si prova insieme vergogna e senso di colpa, ma non vergogna morale. Perché ci sia fusione ci vuole qualcosa di più; da un lato occorre che l’azione attivante la vergogna morale sia stata eseguita intenzionalmente nel proprio interesse (o nel senso di ottenere un vantaggio, o nel caso di arrecare danno ad altri), ma questa è soltanto una condizione necessaria per il senso di colpa. Manca ancora ciò che nell’azione è specifico della vergogna.
Vi sono delle azioni che quasi inevitabilmente, a date condizioni, suscitano vergogna morale (e disprezzo da parte degli altri): gli atti di viltà e tradimento. Il vigliacco e il traditore sono in perfetta continuità con l’impostore, il truffatore, e la caratteristica che li accomuna è la doppiezza, lo scarto fra pretesa e la realtà, fra la dichiarazione e i fatti. Questa è esattamente una condizione necessaria alla vergogna. Perché si provi vergogna morale occorre ancora che l’atto di viltà o tradimento venga scoperto, cioè il vigliacco o il traditore venga smascherato, da altri o dalla persona stessa. La vergogna morale per la viltà e il tradimento è una vergogna da smascheramento. Se si ritiene che lo smascheramento può essere lo smascheramento a sé stessi, si può comprendere come si possa provare vergogna morale per una impostura ben riuscita (rispetto agli altri , non rispetto a sé stessi).
Tutte le azioni attestanti una doppiezza dell’attore possono suscitare in questi una vergogna morale (e disprezzo degli altri). Vale anche per le trasgressioni sessuali, quando taluni comportamenti sessuali sono colpiti da forti sanzioni, come è stato, ed è ancora per l’omosessualità e le relazioni extramatrimoniali. L’omosessuale è a doppio senso (nel senso di ambiguo), perché non si comporta come ci si aspetterebbe dal suo sesso biologico.
Da questa analisi appare chiaramente che qualunque azione illecita può suscitare vergogna morale, se scoperta o interpretata come atto o, ancor meglio, segno di doppiezza. Perché questo è il punto: ci si può sentire in colpa o provare vergogna morale in risposta alla stessa azione (Miller, 1985). Il discrimine, che costituisce il prerequisito finora non formulato esplicitamente, è dato da ciò che viene messo a fuoco; se viene messo a fuoco l’azione ci si sente in colpa, mentre se viene messo a fuoco il sé, l’azione rivela una intrinseca identità negativa dell’attore e si prova vergogna morale. Non soltanto, la stessa azione suscita o vergogna o senso di colpa, ma la vergogna morale è anche senso di colpa. Come ben sappiamo, il senso di colpa persecutoria nasce dal bisogno di espiare dell’Io che si sottomette all’aggressività del Super-io, dominato dall’istinto di morte.
Come per il senso di colpa, mi sembra si possa distinguere tra una vergogna persecutoria, volta attraverso modalità fobiche di evitamento a impedire verifiche interne e esterne, e una vergogna depressiva, nell’affioramento e nella scoperta di aspetti obsoleti, negati e mai integrati, di sé e della sue modalità relazionali. In tal senso l’esperienza della vergogna depressiva rappresenta uno stadio fondamentale di transizione nel processo maturativo verso una più adeguata presa di coscienza del sé.
3.1 La vergogna secondo tre diversi psicoanalisti: Erikson, Wallace, Jacobson
Erikson Erik
La vergogna è un’emozione che secondo Erikson non è stata abbastanza studiata perché la nostra civiltà la confonde con molta facilità e fretta con la colpa. La vergogna presuppone il trovarsi esposto all’osservazione altrui e la coscienza di tale esposizione. Essa implica in breve uno stato di semi-coscienza: si è visibili, si sa di esserlo, ma non si è pronti ad esserlo, il che spiega perché ci vediamo seminudi nei sogni di vergogna . L’espressione più immediata della vergogna è un impulso a nascondere il volto o a sprofondare sotto terra, il che più che altro esprime a giudizio di Erikson, la rabbia rivolta contro se stessi. Chi si vergogna vorrebbe imporre alla gente di non guardarlo, di non avvertire il fatto che egli si è scoperto; vorrebbe togliere agli atri gli occhi, ma è invece costretto a ripiegare sul desiderio di diventare lui invisibile. Questo aspetto della vergogna è ampiamente usato nei metodi didattici di alcuni popoli primitivi, che in alcuni casi, cercano di attenuare la volontà di distruzione che essa comporta con accorgimenti volti a “salvare la faccia”. La sensazione visiva della vergogna precede quella uditiva della colpa che l’uomo sperimenta quando è solo con il proprio Super-Io; la vergogna sfrutta la sensazione della propria piccolezza che nel bambino cresce con la capacità di tenersi in piedi e di stabilire dei confronti di taglia e di forza. Quando è indotta in misura eccessiva, la vergogna non produce una genuina correttezza, ma piuttosto una determinazione segreta a farla franca senza essere visto, ove non determini addirittura un atteggiamento di sfida fondata su una totale assenza di pudore.
Molti bambini contro i quali si è usata l’arma della vergogna al di là dei limiti della sopportazione, possono trovarsi cronicamente nella condizione d’animo di esprimere la sfida in termini analoghi, anche se non posseggono il coraggio e le parole. Con questo richiamo Erikson intende che esiste un limite alla sopportazione del bambino e dell’adulto per la richiesta di considerare se stesso, il suo corpo e i suoi desideri come sporchi e cattivi, e alla sua fede nella infallibilità di coloro che esprimono giudizi tali.
La sensazione che gli adulti che lo circondano godono di dignità e di indipendenza fondate sulla giustizia e sulla legge, permette al fanciullo di nutrire il confidente presentimento che la sua autonomia fondata nell’infanzia non lascerà il posto più tardi al dubbio o alla vergogna.
Wallace Leon: Il meccanismo della vergogna
Freud descrisse la vergogna come una delle forze che limitano la direzione presa dagli istinti sessuali insieme al disgusto, pietà e le strutture di moralità e autorità erette dalla società. Egli la descrisse come la forza che si oppone alla scopofilia e all’esibizionismo. In particolare la vergogna è stata chiaramente collegata all’erotismo uretrale (Fenichel, 1945) e i suoi derivati nello sviluppo sessuale. Verso queste formulazioni Wallace non è critico.
Wallace crede che elemento costante ed estremamente importante nella vergogna, sia il sentimento di essere guardati. Infatti, secondo la sua formulazione, la vergogna è coinvolta nello sforzo di guardare supporti narcisistici esterni. Questo può essere parafrasato a considerare la sua funzione come difesa contro il sentimento dell’anichilimento che sopravviene se i supporti vengono a mancare. Il primo trauma come nella colpa, è la mancanza del cibo (sostegni narcisistici, affetto) nello stadio orale di sviluppo psicosessuale. Il fatto che ci si voglia nascondere, non può negare la presenza di fantasie originali, e la vergogna è stata già associata agli impulsi esibizionistici inconsci. Nel contesto delle ipotesi di Wallace, questo sentimento di essere guardati, può essere considerato come uno sforzo a ricevere sostegni narcisistici (affetto o approvazione), dopo la perdita narcisistica coinvolta nel fallimento o nel far male. Ci sono numerosi esempi clinici dove essere visti o guardati è interpretato come essere accettati o amati, costituendo così una sorgente di gratificazioni orali. La vergogna può quindi essere considerata differente della colpa poiché il super-ego è la sorgente dei sostegni narcisistici nella colpa, mentre nella vergogna si richiedono questi supporti da oggetti esterni in situazione dove le introiezioni non sono adeguate. L’affermazione “Dovresti vergognarti!” Cosa penseranno i vicini?” certamente richiede coscienza della persona esterna.
Il sentimento di sentirsi piccolo, di nascondersi, di affondare nel pavimento, può essere anche considerato nel contesto di questa ipotesi. Da una parte questo costituisce paura, nella vergogna di essere abbandonati e senza aiuto.
Allo stesso tempo la manifestazione di ciò costituisce una punizione autoimposta allo scopo di guadagnare l’approvazione dall’esterno. Esprime anche le fantasie di una volontà di rimanere piccolo e bambino per guadagnare l’approvazione della persona.
Arrossire è considerato dal paziente come l’evidenza della sua vergogna, e deve essere pensato come una confessione per ricevere perdono e amore. Così colpa e vergogna contengono una punizione autoimposta, nella sfera affettiva con il proposito di guadagnare approvazione rispettivamente, del super-ego e dell’oggetto esterno o della figura genitoriale. La funzione dell’ego e ego ideale è adeguatamente interiorizzata e l’oggetto di relazione è abbandonato; l’ego ideale e l’ego si fondono. Se l’introiezione non è completa, una necessità di oggetto rimane, e l’individuo continua a cercare sostituti per i sostegni narcisitici genitoriali originali. Wallace, pensa che questo meccanismo sia la sorgente della preoccupazione della persona vergognosa per le opinioni degli altri. Riassumendo, se c’è una maggiore deficienza di introiezione durante l’infanzia non c’è la possibilità di sviluppo dell’ego, e il risultato è la psicosi. Se la deficienza è meno intensa, si sviluppa la vergogna come un meccanismo di compensazione alla paura dell’abbandono e quando questo fallisce nelle sua funzioni, il risultato è la depressione.
Sentirsi vergognosi fa riferimento alla consapevolezza degli altri; sentirsi in colpa si riferisce alla consapevolezza di se stessi. Quando la vergogna risulta da un fallimento a raggiungere uno scopo interiorizzato, si può affermare che sia la colpa che la vergogna sono presenti. Uno dei criteri clinici dell’individuo maturo può derivare da ciò. Più l’individuo è motivato da scopi interiorizzati (realistici) più è considerato maturo. Quando questi scopi sono ampiamente determinati dalle opinioni degli altri, dalle minacce di vergogna (cosa penseranno i vicini?), qui c’è un chiara debolezza dell’ego, e la persona è considerata meno matura.
Poiché nella vergogna la persona si sente piccola, dipendente dai sentimenti degli altri, il sentimento di vergogna è vergognarsi di per sé particolarmente perché è spesso accompagnato da una fantasia che l’altra persona possa leggere nella sua mente. Il ciclo della vergogna è quindi qualche volta interrotto da rabbia dopo lo stimolo originale.
La rabbia gli permette di sentirsi più forte e meno dipendente dagli altri, almeno per un po’. Poiché la vergogna utilizza un desiderio non sessuale di essere guardati, non sorprende che quando questo e sessualizzato, il meccanismo diventa più complicato. A questo punto la vergogna è di nuovo vergognosa di sé stessa , in quanto nella fantasia essa rivela l’interesse sessuale verso l’altra persona. Può essere mobilitato come un motivo molto importante di regressione dell’esibizionismo e della scopofilia, come suggerì Freud. Questo aspetto del meccanismo di vergogna che è ampiamente riconosciuto, non garantisce ulteriori elaborazioni.
Jacobson Edith
Il problema delle reazioni di vergogna e la loro relazione con i sensi di colpa, è un soggetto sul quale Erikson ha richiamato particolarmente l’attenzione in connessione con la consapevolezza di sé dell’adolescente e i suoi problemi di identità. Collegati a questi si hanno gli interrogativi riguardanti le relazioni del Super-Io con la colpa e la vergogna, e dell’autostima con i sentimenti di sè.
Hartmann e Loewenstine sono dell’opinione che la vergogna possa essere distinta dalla colpa solo in senso descrittivo, e non in termini di psicologia analitica. Jacobson non è completamente d’accordo con questa visione, sebbene ritenga sia vero che i conflitti di vergogna divengono parte dei conflitti del Super-Io. Tuttavia la distinzione tra vergogna e conflitti di colpa le sembra essere giustificata per motivi clinici e teorici, poiché i conflitti di vergogna svolgono un ruolo particolare nello sviluppo normale dell’adolescente; inoltre, essi compaiono in modo regolare ed evidente in pazienti con conflitti di identità e, in altri casi, sono un’espressione caratteristica della patologia dell’Io e del Super-Io dei pazienti e dei loro specifici conflitti narcisistici. La vergogna insorge abbastanza presto per reazione alle tendenze pregenitali (orali e specialmente anali) e fallico-esibizionistiche ed essa è rinforzata nelle bambine dal loro conflitto di castrazione. Le reazioni sono originariamente suscitate quando vengono svelati agli altri una perdita di controllo istintuale, e dei difetti fisici (castrazione), degli insuccessi.
E’ comunque vero che le reazioni di vergogna hanno una base molto più ampia dei sentimenti di colpa, e a causa delle loro precoci origini infantili, pregenitali-narcisistiche, possono derivare da molti fonti e conflitti, che coinvolgono tutti gli attributi di una persona, e non solo quelli morali. Da questo punto di vista, è significativo che la vergogna si riferisca ad una esposizione visiva, la colpa prevalentemente a richieste, proibizioni e critiche verbali. La loro ampia base e il tipo arcaico di ansietà, che le reazioni possono generare, sono certamente il motivo per cui esse possono avere un tale effetto schiacciante e annichilente su sé. Esse possono per esempio svilupparsi in relazione a problemi morali, così come a questioni di tatto, buone maniere, comportamento formale, aspetto fisico; ed in gran numero di persone, in risposta a difetti visibili esterni e più concreti, piuttosto che per difetti personali e soprattutto morali.
Poiché la vergogna insorge come una funzione reattiva a tendenze istintuali proibite, essa diviene meno parzialmente integrata nella complessa risposta dell’Io al Super-Io. I sentimenti di vergogna morali appariranno allora comunemente nell’adulto maturo, ogni volta che egli diviene conscio di impulsi bassi, meschini, moralmente inferiori, cioè di tendenze infantili soprattutto pregenitali, “degradanti”, disprezzabili. Percui, possiamo dire che le reazioni di vergogna si estendano tra i sentimenti di colpa e quelli di inferiorità, e possono essere accompagnati dagli uni e dagli altri, o da ambedue i sentimenti. Il bambino che ha degli “incidenti” e non è capace di produrre le feci secondo le aspettative si sente cattivo (moralmente), vergognoso ed inferiore.
In generale, le cause di vergogna e di colpa, possono essere diametralmente opposte; per esempio, una persona può sentirsi colpevole a causa di una sua aggressione sessuale, ma si vergognerà dell’impotenza. Potrà sentirsi colpevole per aver attaccato sadicamente e sfruttato un’altra persona, ma si vergognerà di essere “una sanguisuga” o di avere sofferto una sconfitta “umiliante”. In generale, gli impulsi sadici sono atti a suscitare colpa, mentre le tendenze masochistiche passive, di dipendenza che possono causare inibizioni sul lavoro e quindi inettitudine, tendono a suscitare sentimenti di vergogna ed inferiorità.
Vergogna e colpa: le differenze suscitano subito certi interrogativi riguardanti l’ideale dell’Io e del Super-Io ed i loro ruolo nello sviluppo della colpa e della vergogna. Considerando l’Ideale dell’Io come una struttura precedente, Piers la separa perciò, rispetto al livello di sviluppo., dal Super-Io che provoca i sentimenti di colpa. In vista del fatto che, comunque, la vergogna può essere causata, per esempio da impotenza sessuale. La Jacobson ritiene che questa distinzione, sia fuorviante a meno che non si estenda il concetto di Ideale dell’Io fino a fargli perdere il suo significato. Poiché l’Ideale dell’Io, come formazioni matura, è così strettamente legato con gli imperativi morali e le proibizioni del Super-Io e con le sue specifiche direttive, costrittive ed autocritiche, ritiene che sia meglio considerarlo, così come Freud, una parte del sistema del Super-Io.
I sentimenti di inferiorità e di vergogna, anche vergogna morale, conservano chiaramente il loro riferimento a nozioni di valore “premorali” epidiche e preepidiche. Per questo motivo svolgono un ruolo particolare durante il periodo dell’adolescenza, che fa rivivere quei primi scopi e tendenze. Sebbene si presentino spesso anche fra gli adulti normali, la prevalenza della vergogna e della inferiorità sui conflitti di colpa, dopo l’adolescenza, è soprattutto indicativa del tipo di disturbi narcisistici che causano problemi di identità. A questo punto, la Jacobson sottolinea ancora che i sentimenti di vergogna morale, una formazione reattiva alle tendenze pregenitali, possono svilupparsi negli adulti insieme a sentimenti di colpa.
Nei primi stadi di sviluppo del bambino, per la Jacobson sentimenti di disgusto e di vergogna, una formazione reattiva ai desideri esibizionistici, sono già presenti e da questo momento in poi l’aiutano nella sua lotta con i suoi proibiti desideri pregenitali, e più tardi genitali.
Ma per quanto riguarda l’adolescente, la rapida crescita ed il cambiamento richiedono continui riadattamenti nelle sue rappresentazioni del sé. Ciò rende estremamente difficile la verifica della sua realtà psichica e corporea attuale e anche delle sue potenzialità fisiche e mentali. Perciò, non c’è da stupirsi che in questo stadio possano presentarsi una intensa vergogna e conflitti di inferiorità, insieme a penosi conflitti di colpa; tradendo la qualità sadiche il Super-Io ha temporaneamente assunto.
I conflitti di inferiorità e la vergogna dell’adolescente, rivelano che le sue oscillazioni di autostima derivano non solo da conflitti morali, ma anche da più primitivi conflitti narcisistici: discordanze tra immagini della persona adulta, potente, affascinante, brillante e sofisticata che desidera essere e talvolta credere, e l’aspetto di creatura, sia a livello fisico che mentale, innegabilmente immatura, instabile che egli è in realtà.
Il miscuglio di conflitti morali con conflitti di vergogna ed inferiorità è responsabile delle fluttuazioni nel suo senso di identità. Questi conflitti narcisitici più primitivi, provocati dalla regressione temporanea e dalla risultante riorganizzazione delle strutture psichiche, provocano non solo una perdita di stima morale, ma anche una perdita di autostima.
La perdita di autostima causata sa questi conflitti narcisitici primitivi, che si esprime in una forte vergogna e in sentimenti di inferiorità, tende a colpire i sentimenti di identità in maniera molto più pericolosa.
Durante gli anni dell’adolescenza, osserviamo solitamente conflitti passeggeri di liberazione della famiglia, di affermazione della indipendenza. Ma ogni volta che i genitori rifiutano di accettare l’imminente separazione finale dai figli durante l’adolescenza, si sviluppa necessariamente una patologia cronica.
Tali pazienti possono essere soggetti da adulti, una tendenza a gravissime reazioni di vergogna, derivati da fonti infantili; reazioni che possono portare a stati depressivi con occasionali meditazioni su ricordi ostinati di situazioni vergognose ed umilianti. Alcuni di questi pazienti mostrano una netta preponderanza di reazioni di vergogna su quelle di colpa, e timori sociali piuttosto che superegoici. Questo può indicare una interiorizzazione insufficiente, o una nuova esteriorizzazione regressiva, sia nei conflitti di vergogna che in quelli di colpa ed una fissazione finale del paziente, o regressione a scale infantili di valori, durante l’adolescenza. I loro timori sociali, solitamente si manifestano in un comportamento goffo, combinato con quei penosi sentimenti di autocoscienza che compaiono regolarmente in modo temporaneo nell’adolescenza; ma se questi sentimenti si verificano in adulti, sono espressione caratteristica di persistenti problemi di identità.
3.2 Colpa, vergogna e dinamiche suicidarie
Secondo G. Kaufman (1974), l’esperienza di vergogna è inseparabile dalla ricerca di se stesso dell’uomo. La ricerca di una vera collaborazione con gli altri e la risposta alla domanda “chi sono?” è centrale nella nostra esperienza di esseri umani. L’esperienza di vergogna deve essere differenziata dai sentimenti di colpa, in quanto i due concetti sono frequentemente confusi. La colpa è un sentimento che si ha, quando si è fatto qualcosa di sbagliato. Si sa ciò che si è fatto e si sa ciò che si deve fare per riguadagnare. Sentirsi in colpa può essere un modo di far penitenza con la fantasia di riuscire a fa qualcosa in cui spera.
Kaufman sostiene che la vergogna invece, è l’esperienza di essere fondamentalmente cattivo con le persone. E’ un’esperienza totale che proibisce la comunicazione con le parole. Gli individui sono unicamente differenti e così la loro propria esperienza di vergogna è differente. Un’altra dimensione della vergogna, è un’intensa forma di rivelazione, che la propria cattiveria sia vista dagli altri.
Tale rivelazione è intollerabile, a causa di un sotterraneo senso di essere irreparabilmente e inspiegabilmente in difetto, ciò che separa una dal resto dell’umanità.
Questa paura di rivelazione vieta di sfuggire alla solitudine della esperienza di vergogna, poiché non si può esprimere l’intera pena e necessità.
Le esperienze di vergogna, usualmente iniziano con un’improvvisa auto-coscienza, si evolvono in un penoso scrutinare se stessi, culminando in un profondo sentimento di tormento, che generalmente rimane privato e incomunicabile. Mentre la vergogna, sia nell’infanzia che in età adulta, infrange sia il funzionamento intrapsichico che interpersonale, l’impatto cumulativo della vergogna dipende dalla natura di tali esperienze straordinarie. All’estremo più distruttivo, la vergogna interferisce con il processo di formazione dell’identità, al punto che l’individuo fallisce a stabilire una base interiore sicura. Si sente vergognoso e la vergogna diventa la sua identità quantunque frammentata e non soddisfacente. Al minimo estremo distruttivo, in riferimento all’impatto di vergogna, la stessa può diventare una esperienza inevitabile quando le necessità di uno non sono corrisposte appropriatamente dall’altro significativo. Quando la cura e il rispetto di qualcuno cominciano ad interessarci, emerge la possibilità che sorga la vergogna. Dicendo ciò, Kaufman è consapevole di legare la vergogna a interazioni interpersonali, ad uno specifico tipo di interazione interpersonale. Il modo di base in cui la vergogna è generata coinvolge una persona significativa a rompere il ponte interpersonale con l’altro. Il ponte diventa un veicolo per facilitare una reciproca comprensione, crescita e cambiamento. Questi processi sono distrutti nel caso che il ponte si spezzasse. Il legame interpersonale tra individui, può essere separato emotivamente e il ponte spezzato senza mai cercare definire veramente la relazione. L’impatto di vergogna aumenta profondamente quando la relazione tra gli individui coinvolti è di centrale importanza per loro. Il potenziale per le conseguenze di vergogna è più grande nei primi anni dell’infanzia, specialmente quando la vergogna è sperimentata in relazione alle persone che sono più importanti nel mondo del bambino: i genitori.
Sentimenti di colpevolezza e vergogna, qualora si sviluppino in età precoce, possono costituire un ostacolo al processo maturativo ed alla costruzione di una funzionale struttura di personalità, oltre che contrastare il conseguimento delle finalità psicoterapeutiche. I sentimenti di colpa e di vergogna, proprio perché rappresentano l’espressione di una lotta fra pulsioni di segno opposto, fra spinte instintuali di vita e di morte, occupano un ruolo di primo piano nelle dinamiche delle condotte suicidarie. Il sentimento di colpa secondo una chiave di lettura psicodinamica, deriva dalla presenza di una tensione conflittuale fra Io e Super-Io: la trasgressione dell’Io di fronte all’espressione delle istanze normative genitoriali “precipitate” nel Super-Io, genera un sentimento di colpa come reazione del Super-Io che condanna o inibisce gli impulsi egoici (Molinari, 1955). Il sentimento della vergogna invece, può essere ricondotto ad un conflitto fra Io e Ideale dell’Io e rappresenta la reazione emotiva al fallimento di un’aspirazione narcisistica polarizzata su una rappresentazione ideale dell’Io. Il concetto di vergogna risulta pertanto strettamente collegato alla presenza di componenti narcisistiche della personalità.
Tale struttura si delinea come condensazione patologica di alcuni aspetti del Sé ideale e del l’oggetto ideale e compensa la mancata integrazione del normale concetto del Sé. Il sentimento della vergogna intacca l’autostima appunto nascendo da uno “scacco” narcisistico, dalla capacità di perseverare questo Sé grandioso da una minaccia di frustrazione e/o di abbandono tanto sul piano reale quanto su quello fantasmatico.
L’equilibrio narcisistico dei soggetti dotati di un Sé grandioso è alimentato da una capacità minima di tollerare la separazione o la perdita e di affrontare la conseguente solitudine, per cui si trova perennemente in una situazione di compenso assai precaria. Ogni perdita “attuale” viene vissuta dal soggetto con tratti narcisistici come una ritualizzazione di una antica perdita , e precisamente del fallimento della separazione, in una atmosfera emotiva intrisa di un sentimento di profonda vergogna. La scelta suicidaria si avvale anche del potere del narcisismo di morte che consente di cancellare la ferita narcisistica proprio grazie alla soppressione dell’Io ( Ballerini e Pazzagli, 1988).
Come già da più parti segnalato, in corso di psicoterapia la relazione più frequente ad un suicidio di un paziente sono sentimenti di “incredulità, vergogna, irritazione, senso di colpa e diminuzione dell’atmosfera” da parte del terapeuta. Si potrebbe concludere allora che, di fronte ad un tentativo di suicidio, vergogna e colpa sembrano seguire un destino parallelo nel determinare il vissuto di irreparabilità che si accompagna all’atto suicida sia a proposito della vergogna, per il soggetto con tratti narcisistici della personalità, umiliato dal disonore di cui si sente coperto per aver fallito, sia per quanto attiene alla colpa, per il soggetto melanconico, schiacciato dal crimine che è convinto di aver commesso e tormentato dal rimorso (Rycroft, 1968).
3.3 La vergogna per l’altro
Di altrettanta importanza risulta essere il fenomeno translativo per cui una persona si fa carico, vergognandosi, delle colpe constatabili o solo immaginarie, commesse da un altro. Si qualifica come “disagio” la relazione di chi, in un pubblico, è testimone di un atteggiamento o di un linguaggio osceno da parte di un altro. La “vergogna per l’altro” rinvia, marcatamente, ad un rapporto intensamente affettivo fra il colpevole e colui che dell’altrui colpa si vergogna. Poiché è l’affetto a giocare un ruolo determinante in tale fenomeno, si constata che quanto più esso è intenso, tanto più la relazione di chi si fa carico della vergogna dell’altro è massima. La vergogna per l’altro, sebbene riconosciuta a livello cosciente come estranea al proprio sé, coinvolge a tal punto chi l’assume in proprio da condurlo spesso al suicidio.
Colui che si vergogna per l’altro, di solito, si comporta come la parte complementare del colpevole, la parte che dichiara: ”Tu non ti vergogni o non ti vergogni abbastanza, io mi vergogno per te!”.
La società si vergogna dei suoi membri pericolosi, siano essi pazzi, delinquenti, o vecchi inutili e li relega in aree delimitate ed a volte sorvegliate. In realtà, la società si vergogna anche di, coloro che non posseggano i requisiti riconosciuti idonei al vivere sociale. Pertanto, oltre alle colpe giuridicamente punibili, certe malformazioni fisiche, alcune malattie pericolose, la povertà e la ricchezza, lo stato sociale, la nazionalità e perfino la voce e l’abbigliamento possono generare vergogna per un altro.
Due genitori, da più di vent’anni, nascondono in casa l’oggetto della loro vergogna : un figlio handicappato che, come l’insetto mostruoso della Metamorfosi kafkiana, ogni volta che si affaccia al ballatoio perché vorrebbe vedere gli ospiti che spesso vengono in famiglia, viene ricacciato dentro e celato allo sguardo altrui.
L’identificazione, nel nostro caso, e connotata dall’introiezione e dall’immedesimazione che comportano: “l’inclusione dell’oggetto all’interno dell’Io”. La necessità di vergognarsi per un altro soddisfa, tramite il transfert, un duplice bisogno, ovvero il bisogno della trasgressione e la successiva espiazione.
3.4 L’esperienza della vergogna nella malattia oncologica
A volte, durante l’esperienza della malattia i pazienti oncologici riferiscono di avvertire il senso di “mutamento” spesso radicale e drammatico nella loro esistenza, che si traduce in un vissuti di estraneità. L’individuo ha l’impressione di avere dentro di sé una realtà diversa da quella propria abituale. Il modo di essere si trasforma, la relazione con il mondo esterno, con le persone, con gli oggetti si modifica: l’intero progetto di vita cambia o si annulla.
Il cancro diviene allora una esperienza drammatica in cui il vissuto di malattia si intrica con il vissuto di morte. Nel suo saggio “Malattia come metafora” Susan Sontag definisce il cancro “ una malattia non soltanto mortale ma vergognosa”, riferendosi
soprattutto ai casi in cui vengono colpiti organi del corpo considerati culturalmente “intimi”, “privati”, la cui esposizione genera profondi sentimenti di vergogna. Le terapie oncologiche sia chirurgiche che chimiche e/o radiologiche hanno, effetti altamente devastanti ed invarianti provocando mutilazioni e trasformazioni corporee. Inoltre le stesse modalità del morire che portano i segni della devastazione e del divoramento del male generano reazioni di sgomento e di rifiuto sia nel malato che in quelli che lo circondano. Gli operatori che si occupano della cura e dell’assistenza dei pazienti oncologici si trovano spesso a contatto di penosi sentimenti di inadeguatezza di vergogna espressi dai pazienti durante diversi momenti dell’iter diagnostico-terapeutico-riabilitativo.
Si evidenzia come i sentimenti di vergogna siano strettamente connessi non solo al cambiamento del senso di identità, che risulta alterato nelle sue dimensioni fisiche e psichiche, ma forse più ancora nell’inadeguato riconoscimento da parte dell’ambiente dei vissuti emozionali dei pazienti. Di fronte alla nuova condizione di vita che inevitabilmente si trovano ad affrontare, essi reagiscono non solo con sentimenti di rifiuto, ostilità, angoscia e depressione ma anche e soprattutto con la vergogna di esporsi allo sguardo degli altri, e quindi con il timore di essere rifiutati da loro. Il processo di frammentazione innescato dall’evento malattia è destinato, in qualche modo, a perpetuarsi nel lungo iter terapeutico-riabilitativo cui i pazienti devono sottoporsi.
L’emozione della vergogna può essere letta da un lato come un segnale di allarme contro il rischio della frammentazione del Sé, dall’altro come difesa in tutte quelle situazioni in cui alla esigenza di un buon rispecchiamento si contrappone la dolorosa discrepanza tra l’immagine alterata del Sé e quella che l’ambiente gli rimanda.
3.5 Vissuti di vergogna suscitati dall’AIDS
In tema della colpa legata alla malattia è stato riproposto drammaticamente dell’epidemia di AIDS. In questa malattia i comportamenti a rischio sono ben individuati e, soprattutto i rapporti sessuali sono direttamente coinvolti come veicolo di contagio.
Inoltre, proprio a causa del ruolo che la sessualità ricopre nell’infezione dell’HIV, in questa malattia la fisicità del paziente non può essere dissociata dalla sua storia di vita e conduce più facilmente ad un atteggiamento colpevolizzante da parte dei pazienti; rende per altro molto più difficile la creazione di quella distanza che, nel rapporto medico paziente, trasforma abitualmente il corpo-soggetto (il leib) in corpo-soggetto (il korper), puro organismo sottoposto ad un’indagine medica ispirata dal principio deterministico della reazione causa-effetto.
Questo ineludibile cambiamento di prospettiva, questo riproporsi del corpo nella sua totalità di significati e di relazioni, comporta un ben diverso coinvolgimento da parte del medico, e nel rapporto diretto col malato ci sembra che proponga in maniera molto evidente palesi sentimenti di vergogna. Se il problema della vergogna è in qualche modo connesso con l’impossibilità di nominare ciò che sembra fin troppo evidente, bisognerebbe chiedersi, sempre in relazione all’AIDS, quale significato possono avere alcune direttive degli assessorati alla Sanità a proposito delle strutture deputate all’assistenza dei pazienti affetti da HIV.
Nella Regione Lazio è fatto espresso divieto agli Ospedali di porre sulle porte degli ambulatori e negli ambienti circostanti alcuna scritta che faccia riferimento all’AIDS. Questo naturalmente è motivo della necessità di preservare la privatezza dei pazienti. Per cui, spesso il paziente è un po' spaesato la prima volta che deve raggiungere l’ambulatorio, e quando si rivolge all’infermiere per avere informazioni, spesso usando una circonlocuzione verbale che nel suo dire indica l’oggetto innominabile della richiesta, ottiene talvolta risposte di questo tipo: “Ah il medico... quello particolare? E’ lì guardi!”.
Ci si potrebbe dunque interrogare sul significato di un’eventuale “vergogna delle situazioni”, che sembrano confermare nella sostanza i sentimenti di vergogna provati dai pazienti. Forse utilizzare il concetto di vergogna ci potrebbe aiutare meglio a capire quanto possa essere opportuno, per una migliore assistenza a queste persone, modificare o meno alcune abitudini ormai acquisite.
3.6 Colpa e vergogna nei disturbi gravi di personali
La colpa può essere vista come un derivato dell’impatto di pulsioni e sentimenti aggressivi edipici e pre-edipici con le varie strutture della personalità (e di personalità) con percorsi ed espressività diverse, tra il dentro e il fuori. La vergogna appare maggiormente correlata ad aspetti narcisistici della personalità e, nel caso di evoluzione patologica, al loro fallimento. Esisterebbe quindi un diverso conflitto all’origine che Piers e Singer vedono come conflitto tra Io e Super-Io per la colpa, tra Io e Ideale dell’Io per la vergogna . Se il riuscire a tenere dentro i sentimenti di colpa e di vergogna è il presupposto per una adeguata crescita psicologica e per una relativa normalità, in tale percorso tra il dentro e il fuori, esistono possibilità intermedie suscettibili di evoluzione patologica. La colpa in particolare, se non tollerata e non accettata dall’Io anche in quanto legata ad eccessiva ambivalenza, produce la necessità del castigo e la depressione.
I bordeline che per varie vie arrivano allo psichiatra, presentano generalmente grossolani disturbi comportamentali e/o l’emergere di sintomi deliranti o rabbiosamente depressivi.
I pazienti, definibili anche come “personalità antisociali”, appaiono vistosamente privi di sentimenti di colpa e di vergogna; queste sono concretamente agite e fonte di un distruttivo ed effimero piacere, l’unico forse per loro possibile. Quando è presente il delirio e, più raramente l’allucinazione, questi pazienti spesso vistosamente paranoiacali, possono presentare un altro peculiare atteggiamento: una sorta di sessualizzazione del racconto di “vergognose colpe” che prevede un particolare uso dell’interlocutore.
Il racconto, la confessione viene infatti ad assumere un significato di atto esibizionistico e figuratamente sado-masochistico; inoltre all’ascoltatore-spettatore più o meno coatto, si tenta di estorcere una punizione anch’essa altamente sessualizzata.
Le colpe e la vergogna possono essere correlate a minimi atti trasgressivi o a fantasie di danneggiamento, ma più spesso sono collegate a fantasie sorprendentemente simili a quelle dei pazienti con perversioni sessuali. Ma in questo caso l’infiltrazione aggressiva di tutti i desideri sessuali è così massiccia da impedire la realizzazione. Siamo nel campo de quello che Kernberg definisce “narcisismo maligno”.
Per concludere, se l’accesso alla comunicazione e l’utilizzo dei temi della colpa e della vergogna suggeriscono in questi pazienti l’esistenza di rapporti oggettuali non frammentati e frammentari come nella schizofrenia, la qualità del rapporto e il modo in cui sono maneggiati i temi, riporta ad una qualità estremamente distorta degli oggetti interni e della relazione che rende arduo qualsiasi tipo di intervento terapeutico. Inoltre il rischio del suicidio e quello dell’automutilazione sono sempre sullo sfondo.
CAPITOLO QUARTO
LA SOCIALIZZAZIONE DELLA VERGOGNA
Non si può fare a meno di supporre che la socializzazione di modelli e norme di condotta nei primi anni di vita abbia la sua parte nell’induzione di sentimenti di vergogna.
Regole di condotta, obiettivi da raggiungere, criteri e parametri di giudizio ci sono sempre. L’elemento che conta può non essere tanto l’imposizione di criteri esigenti, quanto la risposta alla loro mancata realizzazione. In questo processo di socializzazione, le differenze individuali sono legate soprattutto alla reazione dell’altro, a trasgressioni e insuccessi. Tali differenze porteranno a differenze nelle situazioni suscettibili di causare vergogna.
La diversità dei modelli che intervengono nei processi di socializzazione può contribuire alle differenze sessuali. I genitori hanno spesso un diverso atteggiamento educativo verso i maschi e le femmine: le bambine vengono comunemente orientate verso modelli di condotta che hanno a che fare coi rapporti interpersonali, mentre i modelli maschili riguardano piuttosto la competenza e la padronanza di strumenti. Da queste diverse socializzazioni possono scaturire, per esempio, differenze nelle reazioni di vergogna legate a comportamenti aggressivi. Infatti, l’atteggiamento educativo nei confronti dell’aggressività è spesso diverso per i due sessi: quando a manifestarla è una bambina, i genitori cercano d’inibirla con punizioni o col rifiuto dell’amore, mentre l’aggressività del maschio non è affatto scoraggiata e può addirittura essere incoraggiata attivamente.
4.1 Attribuzione interna ed esterna
Stabilire modelli e norme di condotta, prefiggersi degli scopi, è
solo un aspetto del sistema cognitivo che interessa l’immagine di Sé e
che sfocia nelle reazioni di vergogna.
Un secondo aspetto ha a che fare col giudizio che l’individuo dà di sé stesso, con un’attribuzione di responsabilità che può essere specifica, focalizzata sulle singole azioni e i loro effetti, oppure globale, coinvolgendo tutta la persona. La vergogna si ha solo in presenza di un’attribuzione interna, cioè quando il soggetto si considera responsabile del fallimento. Questo può essere fatto risalire ad altri o al caso, mediante quella che viene chiamata attribuzione esterna.
Un fattore da cui discendono importanti differenze individuali è quindi la tendenza all’attribuzione interna. Più i bambini sono piccoli, più sembrano esposti all’attribuzione interna. Si è notato che i figli dei depressi tendono ad addossarsi la colpa della malattia dei genitori. Il fatto che un individuo tenda ad addossarsi le colpe o a scaricarle all’esterno è importante nel determinare se reagirà con la vergogna in caso d’insuccesso. Quanto più si riesce ad incolpare cause esterne, tanto più facile è evitare la vergogna. La tendenza all’uno o all’altro tipo di attribuzione può dipendere anche dalla particolare situazione o da caratteristiche individuali. Alcuni fanno sistematicamente attribuzioni interne o esterne, quale che sia la situazione, mentre altri si regolano a seconda del contesto in cui avviene il successo o l’insuccesso. è quest’ultimo il comportamento che possiamo definire “normale”, quello tipico della grande maggioranza, mentre adottare sempre e comunque lo stesso tipo di attribuzione si associa spesso a forme di patologia. Succede poi anche che lo stesso individuo passi dall’attribuzione esterna all’interna, e viceversa, a seconda della riuscita. Si danno tutte le combinazioni possibili: c’è chi si attribuisce il merito di tutti i successi ma scarica sugli altri (o sul caso) la colpa dei fallimenti, come pure ci sono quelli che fanno l’inverso, prendendosi tutte le colpe e nessun merito.
La personalità narcisistica, com’è descritta da Morrison e da altri autori, attribuisce sistematicamente i successi ai propri meriti personali, anche quando non c’è alcuna ragione per farlo, ma non sono disposte ad accettare la responsabilità degli insuccessi. Chi ha questo tipo di personalità tende ad attribuzioni globali: se dovesse farsi carico degli insuccessi, non potrebbe sfuggire alla vergogna e quindi cerca ad ogni costo di evitarli. Se esaminiamo la tendenza all’attribuzione interna o esterna in funzione del successo o insuccesso, scopriamo alcune interessanti differenze fra i sessi. Fra le bambine e le donne prevale la tendenza ad accollarsi la responsabilità degli insuccessi, attribuendo i successi all’azione degli altri o del caso, mentre nei maschi c’è la tendenza opposta. Questi diversi orientamenti sono stati ricondotti a differenze nel comportamento di genitori e insegnanti verso maschi e femmine, sebbene dipendano anche dalla natura delle attività considerate: è infatti nel campo dei rapporti interpersonali e del successo scolastico che è più marcata la tendenza femminile a interiorizzare gli insuccessi e proiettare su cause esterne i propri successi.
L’ambito in cui si hanno più dati a sostegno di questa differenza fra i sessi è la scuola. Sembra che, nel corso del processo di socializzazione, alle bambine s’insegni a farsi carico dei fallimenti e a non prendersi merito dei successi, mentre i maschi sono educati a fare l’opposto. Queste differenze individuali nello stile cognitivo di attribuzione, interna o esterna, rappresentano la condizione di partenza che determina se e in che misura sono possibili emozioni che implichino un giudizio su di sé: chi non si assume la responsabilità dei fallimenti o il merito della riuscita è ben difficile che possa provare sentimenti di vergogna, colpa, superbia e orgoglio. Soltanto coloro che fanno attribuzioni di tipo interno sono esposti a provare vergogna a seguito di loro insuccessi o mancanze.
4.2 Fattori di socializzazione nell’attribuzione globale
Le madri depresse non solo tendono ad incolpare se stesse dei
loro problemi, ma reagiscono agli insuccessi con attribuzioni globali, sia nei propri confronti che nei confronti dei figli. Inoltre, i figli di madri depresse sono più esposti alla punizione mediante il ritiro dell’amore e tendono a sentirsi responsabili dei problemi materni. La depressione della madre, in altre parole, è interpretata dai figli come se fosse colpa loro; di conseguenza , questi bambini si mostrano più preoccupati del benessere dei genitori, in confronto a quelli che non hanno genitori depressi (Di Biase R. e Lewis, 1989).
Generalizzando questi risultati, si può concludere che i genitori in difficoltà (per alcolismo, droga litigi o contrasti di coppia ecc.), tendono forse a stimolare inizialmente un comportamento più empatico da parte dei bambini, perché questi si sforzino di aiutarli. Dato che questi sforzi ben difficilmente vanno a buon fine, è probabile che i bambini se ne facciano una colpa. Si può dire che, in ambiente familiare segnato dal disagio dei genitori, i figli tendano più facilmente ad un’attribuzione globale nei propri confronti, vedendo se stessi come causa del problema. In queste circostanze, può instaurarsi una tendenza all’attribuzione globale destinata a durare degli anni, fino all’età adulta.
Eventi traumatici nella vita del bambino, possono per la loro stessa intensità, costringerlo ad una attribuzione globale di responsabilità a se stesso: è la pura e semplice gravità dell’evento a creare un’autoattribuzione negativa globale, in quanto al bambino risulta troppo difficile articolare pensieri più precisi (attribuzione specifica) in circostanze così pesanti. Quindi, un aspetto dell’esperienza precoce di socializzazione che favorisce la tendenza all’attribuzione globale in risposta a insuccessi e mancanze ha a che fare con l’intensità degli eventi traumatici. Si può ipotizzare per cui, che l’effetto traumatico sia mediato dal tipo di attribuzione cui il bambino è costretto dalla violenza stessa degli eventi. Lo stile cognitivo segnato dalla tendenza all’autoattribuzione, che ha la sua parte in tanti disturbi psicologici, si crea nel crogiolo dello stress.
4.3 Uso di attribuzioni globali da parte degli adulti
La tendenza a dare un giudizio globale o specifico sul proprio conto nel caso del fallimento può anche essere appresa dagli adulti. Vi contribuisce con molta probabilità il modo in cui i genitori o gli insegnanti descrivono il comportamento del soggetto. Per esempio, la madre che dice alla bambina quando non riesce a fare una cosa “sei una stupida”, non si limita a darle la responsabilità del suo insuccesso (attribuzione interna), ma enuncia anche un giudizio globale su di lei. In queste condizioni , è probabile che la bambina impari a fare lo stesso. Questi stili cognitivi di attribuzione, i altre parole, possono essere appresi. Mentre i dati sull’uso di attribuzioni globali o specifiche da parte dei genitori sono relativamente scarsi, sappiamo invece qualcosa sul comportamento degli insegnanti riguardo al rendimento scolastico, con specifico riferimento alle differenze fra i sessi.
Gli studi sulla risposta al successo o all’insuccesso in età scolastica, hanno evidenziato differenze precise quanto all’attribuzione globale e specifica dei risultati negativi. Le bambine tendono ad attribuire gli insuccessi alla propria incapacità, mentre i maschi chiamano in causa fattori specifici ed esterni, come l’atteggiamento dell’insegnante (Deaux K, 1976; Dweck C.S. e Leggett E.L., 1988; Nicholls J.G., 1984). Inoltre, le bambine cercano di evitare le situazioni in cui rischiano di non riuscire, mentre i maschi le affrontano come sfida, indicando con questo che l’insuccesso influisce diversamente sull’autostima (e quindi sulla vergogna). Le bambine, quando non riescono, tendono a pensare di essere generalmente incapaci (un giudizio globale di disvalore) subendo quindi una perdita della stima di sé, mentre i maschi non pensano che l’insuccesso dipenda da loro e non intaccano così la loro autostima. Nei termini di questo modello, si può dire che i maschi non ricorrono ad un’attribuzione interna, giustificandosi col dire “Non è colpa mia se ha fallito”.
Negli anni della scuola elementare, uno degli agenti primari di valutazione, tale da esercitare probabilmente un influsso notevole sullo stile cognitivo di attribuzione e sul comportamento finalizzato al successo, è l’insegnante. E’ documentato un trattamento differenziale degli alunni dei due sessi da parte dell’insegnante (Minuchen P.P. e Shapiro E.K., 1983). La maggior parte della critiche che la maestra rivolge ai maschi riguarda casi specifici di cattiva condotta o di svogliatezza, non una situazione generale di scarso profitto: non c’è un’attribuzione globale. Le bambine hanno meno problemi di condotta, nell’insieme sono più impegnate e coscienziose dei maschi nel lavoro scolastico e in media frequentano con maggior profitto; tuttavia sono più inclini ad attribuire qualunque cattivo risultato alla propria incapacità. E’ questo giudizio d’incapacità quello che si intende quando si parla di attribuzione globale.
Ci sono poche ricerche sullo stile di attribuzione adottato dai genitori in funzione del sesso dei figli. Dato che prima dell’ingresso nella scuola la socializzazione procede nella famiglia, con i genitori che fungono da agenti primari di valutazione, può darsi che le differenze fra maschi e femmine abbiano origine in età prescolastica.
Questi studi, mettono in evidenza differenze sia individuali che di sesso. Si trovano un’ampia varietà di stili nei genitori, senza una spiccata uniformità né fra padri, né fra le madri ( chi usava più attribuzioni specifiche, chi più globali), e in generale con ampie differenze negli atteggiamenti dei genitori verso i bambini. Si è potuto però registrare le loro risposte di orgoglio e di vergogna al successo o all’insuccesso, trovando una correlazione fra l’uso di attribuzioni globali da parte dei genitori e frequenza delle manifestazioni di vergogna da parte dei bambini in risposta all’insuccesso. Questi dati indicano che esistono differenze individuali nella tendenza all’attribuzione globale o specifica e che tali differenze sembrano legate alle prime esperienze di socializzazione.
4.4 Disgusto, disprezzo e umiliazione
Un esempio, è l’espressione disgustata dei genitori quando il bambino fa qualcosa che disapprovano: “Non lo toccare!”, dice la mamma, sollevando le narici e il labbro superiore. Questa mimica può balenare per un attimo, ma i bambini la percepiscono: quando vedono la faccia disgustata dei genitori, distolgono lo sguardo di colpo e appaiono per un momento inibiti; comportamenti come questi che con molta probabilità rispecchiano un sentimento di vergogna . La mimica di disgusto è uno strumento efficace di socializzazione mediante vergogna, oltre ad ammonire il bambino a non ripetere quell’azione.
I genitori impiegano una serie di metodi educativi. Quando però non si ricorre al ragionamento e alla persuasione e si trova che non sia il caso di alzare la voce, o dare uno sculaccione, ecco che la mimica di disgusto-disprezzo è una soluzione ideale. La mimica sprezzante non solo segnala un giudizio negativo, ma costringe anche ad un’attribuzione globale, quindi la vergogna del bambino in risposta all’espressione materna nasce automaticamente..
Mentre sono evidenti differenze individuali nel ricorso a questa mimica, è tutta da esplorare la questione delle differenze fra i sessi. Non ci sono dati che diano conferma dell’ipotesi che le madri ricorrano a questo metodo con le bambine più che coi figli maschi, anche se esiste qualche indizio a conferma di questo.
La letteratura esistente indica che le madri tendono ad essere più punitive verso le figlie, ma usano le punizioni corporali più coi maschi. Quanto appena detto riflette per l’appunto il più frequente ricorso alle espressioni di disgusto-disprezzo nei confronti delle bambine: se infatti le madri puniscono le figlie più spesso dei maschi, ma le picchiano meno, devono ricorrere con loro ad altre forme di punizione, fra cui l’arma della vergogna. Nel rapporto speciale che sembra legare madri e figlie, una delle componenti proprio l’uso e la trasmissione della vergogna a fini pedagogici e disciplinari.
Inoltre la disparità nell’esperienza della vergogna fra madre e figlio ha forse origine nell’uso differenziale di questo metodo educativo da parte della madre.
L’osservazione psicoanalitica della vergogna infantile per le funzioni corporee può essere legata alle forti reazioni di disgusto mostrate dai genitori in tali situazioni: la vergogna del bambino è creata dal disgusto dei genitori verso le attività incriminate.
Chiaramente il metodo di disgusto-disprezzo ha i suoi vantaggi in quanto evita ai genitori di alzare la voce, fare scenate in pubblico ricorrere a punizioni corporali e in più, ha buone probabilità di ottenere gli effetti voluti. Il suo uso frequente, spesso senza che ve ne sia consapevolmente l’intenzione. Lo è anzi troppo, e il lavoro di Alice Miller è un tentativo di sensibilizzarci al problema, mettendo in rilievo l’uso patologico che di questo metodo educativo fanno alcuni genitori.
In ordine ai sentimenti di vergogna, vanno considerati vari altri tipi d’intervento pedagogico-disciplinare, più precisamente l’imposizione, il ragionamento e il rifiuto dell’amore. Di solito si sente dire che l’imposizione pura e semplice dell’autorità, con coercizioni, punizioni o minacce, produce ansia, paura e sensi di colpa. Quale sia il nesso preciso tra questi metodi autoritari e la vergogna non è ancora chiaro, ma ci sono buone ragioni per ritenere che l’imposizione autoritaria basti di per sé generare vergogna, in quanto la violenza del messaggio impedisce al bambino di riflettere sul suo contenuto, mettendolo così nell’impossibilità di riparare al danno o correggere il proprio difetto.
Il ragionamento, invece, dovrebbe favorire non la vergogna ma i sentimenti di colpa: facendo riflettere il bambino sulle cause del problema e inducendolo ad esaminare le proprie azioni e possibilmente a riparare, si favorisce un processo di attribuzione interna specifica. Inoltre, essendo il messaggio meno traumatico, il bambino più facilmente presta attenzione al suo contenuto e può quindi farlo proprio.
4.5 Il rifiuto dell’amore
Il rifiuto dell’amore è per sua natura un messaggio intensamente minaccioso, tale da impedire al destinatario di concentrare l’attenzione sulla cause precise che l’hanno determinato. Esso produce ovviamente un’attribuzione interna di responsabilità ma, dato che riguarda la persona intera, - “Io non ti amo” - l’attribuzione non può essere che globale. La vergogna risulta quindi anche in questo caso dallo stesso processo cognitivo di attribuzione fin qui descritto.
Per cui, il rifiuto dell’amore da parte di una figura significativa di riferimento, ha una parte cruciale nello sviluppo del bambino. Si può vederne l’importanza dal punto di vista dello sviluppo delle emozioni e del concetto di sé, in particolare per quanto riguarda la maggiore o la minore vulnerabilità alla vergogna. L’idea di fondo che si avvicina alle più tradizionali teorie dei rapporti oggettuali, è la convinzione che una carenza nella relazione madre-bambino porti a conseguenze patologiche, attraverso lo sviluppo di un a forte disposizione alla vergogna. Un’analisi del genere è difficile da verificare nei bambini piccoli, ma talvolta (soggetti adulti normali, pazienti in terapia, coppie in crisi risulta evidente che il ritiro dell’amore è fattore scatenante della vergogna.
CAPITOLO QUINTO
LA REAZIONE AI PROPRI SENTIMENTI
La vergogna affrontata e aggirata
La vergogna incide maggiormente sulla nostra vita proprio in quanto emozione esclusa dall’esperienza consapevole, e può darsi che gran parte della vergogna che proviamo, rimanga inconsapevole o sia evitata. Ciò non toglie che una certa frazione di vergogna sia avvertita e riconosciuta per quello che è.
La vergogna aggirata, negata, rimossa o comunque non riconosciuta per tale, esercita la sua azione nociva nella vita intrapsichica in due modi. Il primo riguarda il problema di non capire quello che ci succede, ovvero la vergogna negata, causa un comportamento che non possiamo facilmente spiegarci e ci mette quindi nei guai attraverso il suo effetto comportamentale. L’altro, rimanda al problema generale di tutte le emozioni intense che vengono rimosse o negate.
Secondo Lewis, quando la vergogna e aggirata, “la componente affettiva della reazione di vergogna si esprime come un sussulto, un sobbalzo, una scossa emotiva senza parole, seguita da un’attività ideativa che considera il Sé dal punto di vista dell’altro” (Lewis H.B., 1971). Questa definizione contiene due elementi: il primo, esprime un’espressione emotiva indicante che la vergogna ha colpito, nel qualcaso il “sussulto”; il secondo, per qualche ragione (forse la particolare difficoltà ad accettare la vergogna) subentra un’ideazione rivolta a sé secondo la prospettiva dell’altro. Lewis, sembra quindi intendere che la persona prima cerca di sbarazzarsi della componente affettiva della vergogna - il sussulto, la scossa emotiva senza parole - e poi si serve dell’ideazione per prendere le distanze da questa emozione.
Lewis inoltre, utilizza il concetto di vergogna aggirata in molti modi; in uno di questi, la paziente si considera colpevole invece di provare vergogna: per aggirare la vergogna si serve del senso di colpa, dato che è un’emozione meno acuta. In certe circostanze, la vergogna può essere trasformata in sentimento di colpa. Il fatto che la paziente summenzionata, aggiri la vergogna saltando al senso di colpa, può significare semplicemente che una trasformazione possibile della vergogna è per l’appunto il senso di colpa. Ma il senso di colpa è secondario rispetto alla vergogna. Questo può significare che chi non vuole provare vergogna , la nega tramite il meccanismo di concentrare l’attenzione sui propri comportamenti anziché mettere in discussione tutto su sé stesso. In altre parole, si esegue un’attribuzione non globale ma specifica. IL senso di colpa può sussistere anche di per sé, non come derivato della vergogna (Lewis H.B., 1971). Comunque, è ragionevole pensare che la vergogna possa essere aggirata e convertita in sentimento di colpa, mentre la trasformazione opposta, è improbabile data la diversità delle due emozioni.
Trattando della vergogna aggirata, traviamo indubbiamente due idee di fondo: pensieri e sentimenti possono essere rimossi e la loro rimozione, agendo come un irritante psichico, produce difficoltà che si esprimono sotto forma di sintomi. Questi sintomi a loro volta, ci mettono sull’avviso, segnalando che c’è stato un processo di rimozione e conversione.
Per accettare l’idea che la vergogna possa essere rimossa e convertita in qualcos’altro, dobbiamo ammettere l’esistenza di un processo inconscio di conversione della vergogna per effetto della rimozione (Eagle M.N., 1989)
Nella vergogna riconosciuta, aggirata, il punto focale della nostra consapevolezza oggettiva viene distolto dalla spiacevole stato interno di vergogna: ciò può avvenire subito (in quel caso, un’osservatore noterà soltanto un sussulto o una breve scossa) o gradualmente, attraverso un processo come l’oblio.
Possiamo intendere la vergogna riconosciuta come un’emozione che esiste a pieno titolo, causata dall’autoconsapevolezza oggettiva, di cui tuttavia non si prende atto in quanto si scegli di non concentrarvi l’attenzione.
Si sostiene che esistano principi che si basino sulla gerarchia delle emozioni potenzialmente accessibili a quel tipo di persona in quel tipo di situazione particolare. Oppure, i meccanismi possono derivare dall’apprendimento: gli apprendimenti dei primi anni di vita ci mettono a disposizione delle abitudini consolidate che troviamo già pronte quando è il momento di operare una sostituzione.
Le emozioni sostitutive che hanno una sostanziale rilevanza rispetto alla situazione di vergogna negata sono quelle associate agli stimoli e alle risposte tipiche di questi casi. Le due che meglio corrispondono al requisito sono la tristezza e la rabbia.
La tristezza prende il posto della vergogna non riconosciuta per varie ragioni. Emozione negativa, sgradevole, ha per oggetto l’individuo stesso: sentirsi scontenti, infelici ed abbattuti non poi uno stato troppo lontano da quello di chi prova vergogna (Morrison A.P., 1989). Inoltre, i processi cognitivi di attribuzione sono molto simili nei due casi: il peso ricade tutto sulle proprie spalle ed è coinvolta la persona intera. La tristezza può presentarsi spontaneamente a sostituire la vergogna anche perché questa si presenta spesso quando si è a contatto degli altri o a causa loro: la tristezza è più che naturale, visto che qualcuno ci ha fatto del male causandoci un sentimento di vergogna. In questo caso, l’individuo concentra l’attenzione sul contesto sociale in cui è avvento l’incidente o su coloro che l’hanno suscitato, anziché sulla propria autentica reazione emotiva. La tristezza è probabilmente più sopportabile e si capisce quindi che siamo disposti a viverla in luogo di un’emozione intrinsecamente più sgradevole com’è la vergogna.
Anche la rabbia si presta come sostituto per molte ragioni. Da un punto di vista fenomenologico, la vergogna è accompagnata da un dolore; quest’ultimo implica sempre una causa, è la rabbia è un’emozione adeguata ad affrontare e superare qualcosa che ha causato dolore.
Si è notato che la mimica del dolore ha una certa somiglianza con l’espressione della collera e che il dolore fisico spesso è accompagnato da una mimica di rabbia (Izard C.E., Hembree E.A., Huebner R.R., 1987). Può darsi, che la manifestazione di rabbia in risposta a qualunque dolore fisico o mentale sia il risultato di precedenti processi di apprendimento. Così la rabbia è ai primi posti nel repertorio delle possibili risposte emotive alla vergogna, anche se questo tipo di reazione sostitutiva e più tipicamente maschile che femminile.
Invece di rivolgere la rabbia all’esterno, contro chi ci ha causato il dolore della vergogna, possiamo arrabbiarci con noi stessi per la “stupidaggine” che abbiamo fatto. La “stupidaggine” è stata in primo luogo la causa dell’autoattrbibuzione negativa, e quindi la causa della vergogna. Concentrando l’attenzione sulla causa, possiamo evitare il sentimento spiacevolissimo che ne risulta. La rabbia indirizzata sulla nostra azione maldestra ci permette di aggirare il vissuto emotivo della vergogna e nello stesso tempo ha il vantaggio di favorire una correzione utile per il futuro. C’è infine un terzo uso possibile della rabbia come sostituto emotivo della vergogna, che consiste nel prenderne di mira le cause esterne, interpersonali. Dato che la vergogna nasce spesso in un contesto sociale, chi non vuol prendere atto di questo sentimento può arrabbiarsi con qualcuno, facendone una sorta di capro espiatorio delle proprie autoaccuse. Ciò gli permette di scaricare all’esterno le responsabilità, riducendo così il suo coinvolgimento diretto. Questo tipo di reazione non permette di correggere gli errori ma solo di eludere la responsabilità. La rabbia, come la tristezza, è più sopportabile (o meno insopportabile) della vergogna.
Il ricorso ad emozioni sostitutive, qualunque forma prenda, comporta un prezzo da pagare nell’equilibrio intrapsichico: essere oggettivamente inconsapevoli dello stato emotivo reale. Concentrando l’attenzione non su di esso ma su i suoi aspetti parziali o su altre emozioni, perdiamo l’opportunità di capire le forze che sono all’opera dentro e fuori di noi. Tale strategia può avere una funzione protettiva proteggendo la psiche da un’esperienza emotiva intensa e dolorosa, ma non è del tutto benefica in quanto quell’emozione continua ad esistere e agire nel nostro comportamento, anche se non vi badiamo. La sostituzione emotiva è una forma di autoinganno: allevia il dolore e il disagio ma non modifica lo stato interno, almeno non immediatamente.
La valenza adattiva - o disadattiva - della vergogna negata si vede ancora meglio a livello interazione sociale. Trattando in generale delle emozioni, va sottolineato che queste non sono soltanto stati interni dell’individuo, ma anche segnali comunicativi, parte integrante del materiale di cui sono fatti gli scambi e i rapporti sociali. Una stato emotivo non riconosciuto, qualunque esso sia, ha di necessità un affetto disturbante nell’interazione sociale.
CAPITOLO SESTO
LA VERGOGNA ACCETTATA: COME SBARAZZARSENE
I processi cognitivi di attribuzione della responsabilità ci hanno portato a vergognarci di noi stessi e a questo punto dobbiamo considerare questo sentimento. Data la sua intensità e spiacevolezza, si avverte un bisogno fortissimo di sbarazzarsene. allo stesso tempo, fare i conti con la vergogna risulta molto difficile, proprio per la sua violenza e per il suo carattere disturbante e distruttivo. Il metodo più semplice per farvi fronte, è accettarla, farsene carico e poi lasciare che si dissolva col tempo: non appena è possibile, se è possibile, si esce dalla situazione che ha causato la vergogna e poi si aspetta che passi da sola. Come tutti i fenomeni intensi, anche la vergogna finisce per sbiadire, sostituita da altre emozioni e altri pensieri, poiché nessuna emozione dura per sempre. Ci sono almeno tre altri metodi che si usano per sbarazzarsi della vergogna: negare e dimenticare l’avvenuto, riderci sopra, confessare tutto.
6.1 La negazione e l’oblio
La negazione può agire in molti modi sul fenomeno della vergogna. Supponiamo che ci sia stata un’esperienza umiliante e che l’interessato voglia liberarsi in qualche modo dalla vergogna: l’ha provata e riconosciuta per quello che è, ma per la sua estrema sgradevolezza vuole sbarazzarsene al più presto.
Ora, per quanto “negazione” sia un termine adeguato in casi del genere, si può parlare di “oblio”. Infatti, in questo caso la vergogna non è realmente negata ma resta accessibile al soggetto, che semplicemente la espelle dal campo focale della sua attenzione.
Il ricorso all’oblio, lasciando cadere la cosa e mettendola al bando di ogni attiva considerazione, è un modo per fare un stacco e prendere le distanze dall’emozione, ma differisce dalla negazione propriamente detta, in quanto la vergogna che si finisce per dimenticare è stata però ammessa, riconosciuta per quello che era.
Si ha la netta sensazione che molte di queste negazioni siano retrospettive, rispecchiando non quello che l’interessato pensava prima dell’esperienza umiliante, ma ciò che pensa o crede do pensare dopo.
Questi processi ideativi rappresentano un tentativo di allontanarsi dalla vergogna negando che sia successo qualcosa di male. In generale, si ha il sospetto che la negazione sia usata più come un mezzo per aggirare un reale sentimento di vergogna che non per impedire fin dall’inizio la comparsa.
Ma può verificarsi , che talvolta la negazione intervenga prima dell’esperienza stessa di vergogna, prevedendola, oltre che come rimedio tardivo per aggirarla.
La negazione si manifesta anche in altri modi. Possiamo ad esempio servircene per evitare l’attribuzione interna di responsabilità: così facendo si evita qualunque vergogna.
6.2 Il riso
Anche ridere è un modo per attenuare o eliminare del tutto la vergogna di cui si è dovuto prendere coscienza. L’uso di questo metodo implica numerosi meccanismi diversi.
Primo, ridere di se stessi serve a prendere le distanze dall’esperienza emotiva. Essendo uno stimolo potente, il riso ci permette di spostare il punto focale dell’attenzione dalla vergogna a un’emozione del tutto diversa.
Secondo, il riso -specialmente su una propria trasgressione in un contesto sociale- offre al trasgressore l’occasione di unirsi agli altri nel ruolo di osservatore esterno: in questo modo si passa dall’altra parte della barricata.
Un terzo aspetto importante del riso è la sua violenza sociale. La vergogna, è contagiosa: spettatori che abbiano un minimo di empatia e sensibilità si vergognano della vergogna dell’altro. In altre parole, il riso serve ad interrompere il circolo vizioso che s’instaura fra la vergogna di chi è osservato e quella di chi l’osserva (Chapman D.J., 1976).
6.3 La confessione
La confessione, per certi aspetti è come il riso: per confessare all’altro, dobbiamo metterci nell’ottica dell’altro che ci osserva. Ciò permette uno spostamento, un prendere le distanze da sé, ovvero dalla fonte della vergogna, e un accostamento alla posizione dell’altro. Ed è tale spostamento, a sua volta, quello che consente a chi confessa di osservare se stesso come oggetto anziché come oggetto.
La confessione ha anche un’altro effetto; se uno si vergogna di se stesso - e questo è un giudizio che coinvolge la persona tutta intera - confessare questa vergogna dà un certo sollievo proprio dal punto di vista della valutazione globale di sé.
Un altro punto degno di nota, riguarda l’effetto della confessione nel creare una particolare vulnerabilità alla vergogna. Dando al confessore il potere di alleviare la vergogna mediante il perdono, si rischia di accrescere addirittura la probabilità di essere esposti in seguito a questo sentimento. L’effetto liberatorio della confessione è dovuta al fatto che l’altro, con un atto d’amore, assolve la persona intera dal “penitente”. Dal momento che il perdono riguarda tutto se stesso, che lo riceve tenderà ancor più a fare attribuzioni globali di responsabilità, che coinvolgono il Sé nella sua totalità. Il perdono e l’amore ricevuti dal Sé servono ad unirlo al confessore, il solo che può erogarli. Ma se il perdono coinvolge tutto se stesso, sarà sempre il Sé globale al centro dell’attenzione: ogni nuova trasgressione gli sarà attribuita e richiederà quindi una nuova confessione. In senso molto concreto, un sistema che promuove l’assoluzione globale del Sé favorisce anche un’attenzione concentrata su se stesso come persona intera. La confessione può dal luogo a una forma di dipendenza, in quanto favorisce l’autoattribuzione globale di responsabilità (quindi la vergogna) e allo stesso tempo offre l’opportunità di alleviare la vergogna.
Per mezzo dell’oblio, dell’umorismo e della confessione la gente cerca di sbarazzarsi in vario modo della vergogna. Dato che questa, come tutte le emozioni, ha un carattere transitorio e tende a dissiparsi da sola, questi metodi hanno l’utile funzione di facilitare il processo. In tutti questi casi, la vergogna è prima accettata e riconosciuta, poi ridotta o eliminata del tutto.
CAPITOLO SETTIMO
VERGOGNA e DEPRESSIONE
La vergogna non riconosciuta può trasformarsi in tristezza. Dal momento che la tristezza è un anormale emozione che si presenta di quando in quando, mentre la depressione è un tratto patologico duraturo, il nesso fra vergogna e depressione va riesaminato. Alcuni autori, riconducono la depressione a un’attribuzione negativa che coinvolge la persona intera e perdura nel tempo. Si può concludere che il risultato di certe situazioni è la vergogna e/o la depressione. Parerebbe quindi che la depressione non fosse una trasformazione della vergogna, ma un’emozione concomitante: si può dire che talvolta l’individuo sceglie di concentrare l’attenzione sull’aspetto depressivo anziché sulla vergogna.
In questa ottica vergogna e tristezza hanno in comune la causa e presentano analogie comportamentali. In situazioni di vergogna, i soggetti mostrano nel comportamento tutti i segni della tristezza: sguardo sfuggente, ripiegamento su se stessi, inibizione generale, difficoltà di pensiero. Dal punto di vista espressivo, queste persone appaiono semplicemente tristi.
Dar luogo alla tristezza oppure alla vergogna, è il processo di sostituzione emotiva, cioè l’ottica particolare con cui si guarda noi stessi. Lo stesso vale per il nesso vergogna-depressione. Chi è sottoposto ad esperienze ripetute di vergogna, a quanto pare, invece di provare semplicemente tristezza cade in depressione.
Il Sé ripetutamente attaccato dalla vergogna, se non può sostituirla con un’altra emozione più tollerabile ha buone probabilità di destrutturarsi: la conseguenza più comune è la perdita dell’identità personale, quale si osserva nella schizofrenia.
Nel caso che l’individuo si trovi esposto a ripetute esperienze di vergogna, ha in teoria molte alternative per farvi fronte: negarle o dimenticarle, riderci sopra o confessarsi. Ma queste manovre sono praticabili nei singoli casi, mentre il ripetersi dell’esperienza è troppo pesante perché continuino ad essere efficaci: qui, il tentativo di impedire la disintegrazione del Sé, rende quasi inevitabile la comparsa di un quadro sintomatico da sostituzione emotiva.
Dato che nella nostra cultura alle donne, diversamente che agli uomini, non si permette di agire aggressivamente - anzi la socializzazione delle bambine scoraggia attivamente di agire aggressivamente- è più probabile che una donna, per salvaguardare l’integrità personale, scelga come sostituzione emotiva la depressione.
7.1 Rabbia, furore e vergogna
Dobbiamo distinguere fra il nesso vergogna-rabbia e quello vergogna-furore. Qui la reazione di rabbia è la conseguenza di un evento specifico. Quello che viene chiamato furore, invece, è la risposta ad una situazione di vergogna prolungata. In maniera analoga a quanto è stato già descritto a proposito della tristezza e della depressione, anche la rabbia e il furore sono sostituti emotivi della vergogna. Una sostituzione del genere si spiega facilmente in veri modi. Anzitutto c’è la reazione di rabbia per il dispiacere associato alla vergogna.
Una persona sottoposta continuamente alla vergogna può sviluppare un vero e proprio furore. Questo può rivolgersi contro il suo persecutore, oppure spostarsi su obbiettivi diversi per varie ragioni: l’altro può essere troppo potente o pericoloso, può essere un persona amata, per cui l’aggressione è incompatibile con gli altri sentimenti; inoltre, può darsi che la vittima abbia bisogno dell’altro e non ne possa fare a meno. Gli esempi di aggressività deviata o repressa sono abbondantissimi nella vita quotidiana, specialmente in famiglia. La violenza contro oggetti inanimati è frequentissima, specialmente da parte di chi si sente ridotto all’impotenza.
Il nesso fra vergogna e aggressività può mettere in moto una spirale perversa, dove l’aggressività diventa a sua volta la fonte di nuova vergogna. La spirale vergogna-furore-vergogna-furore è importante per capire tutta una serie di conflitti interpersonali. E’ importante precisare, che la spirale può instaurarsi sia all’interno del singolo individuo, sia in un’interazione fra più persone. Per esempio, una persona umiliata si infuria e manda in pezzi un oggetto cui teneva molto, cosa di cui si vergogna: da qui un nuovo attacco di furore, seguito dalla vergogna ecc. Questo circolo vizioso generalmente si traduce in un’escalation di violenza e distruttività, sempre più incontrollabile: si conclude solo per esaurimento o per l’intervento pacificatore di qualcuno.
Può anche succedere, che l’oscillazione dell’uomo fra vergogna e furore inneschi nella moglie un’analoga spirale, che a sua volta alimenta le reazioni di lui.
La rabbia è un’emozione primaria, una risposta neuromuscolare consistente in una particolare mimica facciale e in una attività corporea finalizzata a superare un ostacolo od una frustrazione. Il nesso frustazione-aggressione è noto da tempo. La rabbia è un evento normale nella vita degli organismi animali, uomo compreso, nei loro sforzi quotidiani per avere la meglio sugli ostacoli che incontrano.
Il furore, oltre ad essere più intenso, non è così finalizzato al superamento di un ostacolo. E’ una rabbia incontrollata, legata a un grave attacco che ferisce l’identità personale; la rabbia è una risposta a un ostacolo che frusta la nostra azione, mentre il furore è una risposta ad una ferita che colpisce noi stessi. Quindi, mentre la rabbia è la normale reazione che ci permette di superare un ostacolo, l’aggressività incontrollata si scatena in risposta alla vergogna (Lewis M., 1990).
L’analisi di Retzinger, elenca nove differenze fra le due emozioni:
- 1) la rabbia è una semplice risposta somatica, mentre il furore è un processo che alterna la reazione aggressiva al sentimento di vergogna, secondo un circolo vizioso; - 2) la persona arrabbiata si sente giustificata, mentre quella infuriata prova un senso di impotenza; - 3) l’offesa subita è riconosciuta nella reazione di rabbia, mentre nel furore è negata; - 4) la rabbia è consapevole, mentre il furore innescato dalla vergogna è bandito dalla coscienza; - 5) mentre la rabbia si risolve facilmente, il furore provocato dalla vergogna avvia un circolo vizioso; - 6) la rabbia non è deviata su bersagli sostitutivi, il furore sì; - 7) la rabbia è concentrata sulla causa reale della frustrazione, mentre il furore è generalizzato; - 8) la rabbia è un fenomeno individuale, il furore un fenomeno interpersonale; - 9) la rabbia comporta poche conseguenze negative, il furore molte. Come indicano i punti elencati da Retzinger, la rabbia è una risposta circoscritta, focalizzata, che ha un oggetto specifico, mentre il furore tende a diffondersi, sia nelle occasioni che nei bersagli. Infine, mentre la rabbia è una reazione delimitata entro confini temporali precisi, in quanto ha una sua naturale risoluzione, il furore è in linea di principio illimitato.
CAPITOLO OTTAVO
LA VERGOGNA NELLE RELAZIONI INTERPERSONALI
Vergogna-furore
Il comportamento del bambino che si mette a strillare quando gli viene impedito di strisciare per terra fa vergognare la madre che si sente osservata; da qui il suo furore, che ottiene l’unico risultato di aumentare la vergogna e di farla infuriare sempre di più.
Questo circolo vizioso è probabilmente all’origine di molte forme di violenza: anche se l’episodio non ha i caratteri drammatici dei fatti di cronaca che leggiamo sui giornali, la struttura di base è la stessa. I bambini maltrattati sono spesso bambini con particolari difficoltà; evidentemente i genitori che finiscono col maltrattare i figli, una volta cominciato a picchiare, hanno difficoltà a smettere. Ciò avviene, perché nel loro caso, la spirale vergogna -furore sfugge al loro controllo, cosicché quella che potrebbe essere un semplice punizione corporale, diventa un vero e proprio abuso fisico, fino a provocare lesioni e in qualche caso la morte del bambino.
All’inizio delle sequenze che sfociano nell’abuso dell’infanzia c’è la percezione di un fallimento nel ruolo genitoriale: l’adulto, cerca di ottenere dal bambino un certo comportamento e, se non ci riesce, sente di avere fallito come genitore; da qui la vergogna.
Questa reazione di vergogna può avere cause diverse: i genitori possono pensare di dato un dispiacere, o temere di perdere il suo affetto. E’ interessante notare che il rifiuto dell’amore da parte del proprio bambino può attivare la vergogna nell’adulto, esattamente come la perdita dell’amore del proprio partner. La spiegazione naturalmente, va cercata nella connessione vergogna-furore: la ribellione e il pianto del bimbo fanno scattare nei genitori un reazione di vergogna, che si traduce in aggressività.
Che le umiliazioni e la vergogna possano provocare violenze trova conferma nelle ricerche di Katz, secondo cui all’origine di tanti litigi in famiglia, spesso anche con spargimento di sangue, ci siano proprio sentimenti di questo tipo (Katz J., 1988). Lansky, studiando i sentimenti di coppia, ha trovato che le situazioni caratterizzate da maltrattamenti e violenze si segnalano per un’abbondante presenza della vergogna, come stimolo specifico di questi comportamenti aggressivi (Lansky M.R., 1987).
8.1 Delinquenza e razzismo
IL furore può prendere la forma della violenza, contro le persone e contro le cose. Questo viene appunto trattato in un articolo dove viene evidenziato che fra le conseguenze della povertà e della discriminazione razziale non c’è soltanto uno stato di impotenza disperata, ma anche la vergogna alimentata dalle continue umiliazioni. In questo caso, si applica oltre che a livello individuale, anche a livello sociale. L’irrazionale vandalismo che devasta le nostre città dev’essere in qualche modo collegato al fenomeno intrapsichico della vergogna. Tutte queste cause di vergogna hanno buone probabilità di suscitare una reazione violenta. Una soluzione risolutoria potrebbe essere un programma d’intervento articolato a livello cognitivo e affettivo, mirante a ridurre i sentimenti di vergogna e inadeguatezza personale: la spirale vergogna-furore quindi, potrebbe essere utile per capire il comportamento antisociale.
8.2 Il suicidio: depressione o vergogna?
Di solito, si considera il suicidio come la misura estrema della depressione, spinta fino alla distruzione del sé. Scrive però M. Lansky (1988) nel suo lavoro sulla famiglia e il suicidio: “Ma è improbabile che la tendenza al suicidio derivi dalla depressione in sé per sé, piuttosto che dalla vergogna del paziente per le sue idee depressive”. Il suicidio è probabilmente il risultato di un intenso di un intenso sentimento di vergogna, che da luogo a un’aggressività rivolta contro se stessi.
Durkheim, nel suo classico studio sull’argomento, notava una stretta connessione fra il suicidio e la vergogna.
Gran parte della nostra vita interpersonale ruota intorno all’asse vergogna-furore. Nei rapporti familiari e di amicizia non si può fare a meno di affrontare questo nodo irrisolto. Data l’esistenza nella nostra cultura di una marcata differenza sessuale, il fenomeno caratterizza il comportamento maschile più di quello femminile, col risultato di esasperare il conflitto fra i sessi. L’unico modo di affrontare il problema della violenza nella nostra società consiste nel ridurre il carico di umiliazione e vergogna che grava su certi settori. Punizioni e rappresaglie non solo non servono a ridurre l’aggressività, ma possono anche alimentarla dato che prendono di mira la violenza in sé per sé, invece delle sue cause.
L’incapacità di far fronte a ripetute esperienze umilianti e l’impossibilità di sfuggire ad un contesto ambientale che alimenta di continuo la vergogna costringono l’individuo ad adottare altre strategie per sopravvivere: nei casi più gravi, si osservano depressioni o manifestazioni di violenza, nelle forme estreme un vero e proprio deterioramento della personalità, fino alla psicosi.
CAPITOLO NONO
PATOLOGIE DEL SE’
La personalità multipla
Lo studio del fenomeno che va sotto il nome di sdoppiamento della personalità, o personalità multipla, è prezioso in quanto ci dice molto sia sulla struttura de Sé, sia sul ruolo che svolge la vergogna nel suo sviluppo.
L’idea che dentro di noi ci siano forze molteplici, che rivaleggiano per ottenere l’attenzione e prendere il controllo, è in realtà diffusissima: l’immagine dell’angelo o del diavolo che ci stanno alle spalle, rispecchia questo concetto del Sé diviso.
I modi in cui ci comportiamo ci spingono naturalmente a pensare alla presenza in noi di entità diverse e separate. Di alcuni di questi processi siamo consapevoli, di altri no, è la dicotomia conscio-inconscio. E’ possibile avere cognizione di una cosa, ma non cognizione della cognizione della cosa, cioè sapere ma non sapere di sapere. Questi diversi livelli del Sé coesistono dentro di noi: il concetto di unità del Sé è una nostra costruzione per spiegare azione disparate e talvolta contraddittorie (Rorty A.O., 1989). La dissociazione, nella sua forma estrema è il segno distintivo della personalità multipla, ma la dissociazione può avvenire a livello del tutto normale. Nel caso più semplice, omettiamo di focalizzare oggettivamente certi spetti di noi stessi, per cui non sappiamo nulla di certe azioni che in ogni casi abbiamo eseguito. Nei casi più gravi di dissociazione, interi aspetti di noi stessi ci sono oggettivamente inaccessibili.
Le cause della personalità multipla sembrano risalire a traumi infantili, quasi sempre sotto forma di abusi sessuali: questa forse è la ragione principale della prevalenza femminile, essendo le bambine più spesso vittime di molestie e violenze sessuali. Gli studi, rivelano che le violenze sessuali possono sfociare in un’ampia varietà di disturbi, tra cui forme dissociative che possono spingersi fino allo sdoppiamento della personalità. Il sentimento di vergogna attivato dalla violenza, sessuale o di altra natura è troppo forte e deve essere trasformato in qualche modo. E’ proprio nel corso dell’operazione difensiva per illudere la vergogna che avviene la dissociazione.
Nei casi più semplici, il processo dissociativo tenuissimo: niente più che mettersi nei panni dell’osservatore e ridere con gli altri del proprio insuccesso. Nelle esperienze più umilianti, aggressività o depressione sono le conseguenze più probabili. Infine, in presenza di condizioni estreme di vergogna, scatta la dissociazione più radicale che dà luogo alla personalità multipla. Sta di fatto che non tutte le vittime di traumi infantili sviluppano una personalità multipla: ci sono altri esiti possibili, fra cui forme diverse di psicosi o il suicidio.
CAPITOLO DECIMO
DIFFERENZE INTEGRAZIONALI E SESSUALI NELLA VERGOGNA
Differenze individuali
Alcuni individui sembrano più inclini di altri alla vergogna. Ma che ci siano delle differenze individuali è un cosa prevedibile, dato che sono diverse da una persona all’altra sia le valutazioni di successo-insuccesso, sia la disponibilità a farsi carico dei fallimenti. Le differenze individuali si studiano meglio in sede clinica e nei gruppi.
La vergogna è un evento naturale. Come tutte le emozioni di cui gli esseri umani sono capaci, anche questa ha un significato adattivo. Quindi, quando parliamo di vergogna e di differenze individuali, non necessariamente intendiamo dire che si tratti di fenomeno disadattivi. Certo, nei casi estremi lo sono: lo psicopatico che non prova mai nessuna vergogna, e chi dalla vergogna è continuamente sopraffatto è una persona disturbata ed ha bisogno di un trattamento.
Le differenze individuali nelle reazioni della vergogna, si manifestano non appena il bambino acquisisce autocosapevolezza oggettiva; queste differenze si evidenziano dal fatto che gli uomini sono più inclini al sensi di colpa che alla vergogna, e al contrario delle donne, quando provano vergogna tendono a trasformarla in rabbia anziché in depressione.
L’esistenza di differenze individuali nella propensione alla vergogna, ci fa intravedere una prospettiva interessante: le persone vivono in due mondi emotivi diversi, e queste differenze causano conflitti interpersonali.
10.1 Le madri e i figli maschi
Quello della vergogna può essere un punto di vista utile per capire i conflitti fra generazioni. Le pratiche educative materne nei confronti dei figli maschi, mirano a promuovere espliciti sentimenti di vergogna, oppure, la vergogna è negata, a far sì che si esprima in forma depressiva e non aggressiva. Dato che il ragazzo è sottoposto contemporaneamente ad una socializzazione in vista del ruolo maschile, dobbiamo aspettarci competizione e conflitto: senza saperlo, la madre vorrebbe dal figlio maschio più manifestazioni di vergogna, mentre il figlio cerca di evitarla e nasconderla. Il contrasto prende molte forme, ma il risultato netto è di allontanare il figlio dalla madre: le lamentele dei maschi sulla madre che li tratta da bambini piccoli e li mantiene in una situazione di dipendenza indicano forse proprio questo conflitto.
Le madri, vorrebbero da parte dei maschi una maggiore confidenza, e soprattutto, che riconoscessero apertamente le proprie colpe. In altre parole, la madre cerca inconsapevolmente di far sì che il figlio provi quello che proverebbe lei, in quanto donna, nella stessa situazione, ma per il ragazzo la vergogna è un sentimento insopportabile e incompatibile con il ruolo maschile che sta cercando faticosamente di conquistare.
Il figlio maschio lotta per raggiungere l’autonomia e ridurre la vergogna, mentre la madre cerca di educarlo in modo che la sua vita sociale sia dominata dalle relazioni anziché dalle azioni, dalla vergogna anziché dal sentimento di colpa. Il figlio, che ha ancora bisogno della madre, delle sue cure e del suo affetto, si sente attratto verso di lei e nello stesso tempo respinto lontano, dati i suoi bisogni legati all’assunzione del ruolo maschile: due obbiettivi incompatibili, che portano all’intenso conflitto psichico.
10.2 Madri e figlie
Gli analoghi conflitti tra madri e figlie dovrebbero essere meno intensi, per due ragioni. La più ovvia, è che l’interazione non è complicata dalla differenza dei ruoli sessuali: in generale le figlie, come le madri, sono più inclini a provare vergogna e tendono ad esprimerla secondo le consuete modalità legate ai ruoli femminili. I contrasti a proposito della vergogna e al relativo processo di socializzazione saranno quindi molto più ridotti. In caso contrario, la figlia dovrà fare i conti con la rabbia causata dalla vergogna, cosa per lei forse tanto più difficile in quanto la stessa rabbia può a sua volta provocare altra vergogna. Questo è un tipo di legame che si forma in presenza della vergogna fra madre e figlia e che è stato al centro di recenti analisi nella letteratura femminista (Chodorow N., 1978).
I processi cognitivi di attribuzione associati all’esperienza della vergogna e alla socializzazione infantile non comportano necessariamente il tipico comportamento maschile e femminile: non c’è ragione i credere che queste differenze siano a base genetica, essendo piuttosto dettate dai ruoli che la cultura assegna alle donne e agli uomini, e che quindi soggette a modificarsi con essi.
Oltre alla somiglianza di ruolo, i rapporti madre-figlia possono mantenersi più stretti anche perché entrambe hanno in comune la tendenza non solo a provare vergogna, ma anche seguire le stesse regole di sostituzione emotiva in presenza di questo sentimento. Si rappresenta che alla vergogna il figlio reagisce tipicamente in maniera rabbiosa, mentre la madre in maniera depressa; ciò crea una discrepanza che tende ad allontanarli l’uno dall’altra. Diversamente, nel caso della bambina la comune reazione depressiva ha l’effetto di risaldare il legame con la madre.
Per i maschi, il conflitto intorno alla vergogna facilita il distacco dalla madre, mentre nel caso delle figlie non c’è conflitto di fondo, cosicché l’esperienza della vergogna e il modo di affrontarle tendono addirittura a risaldare i legami.
Il padre, nei confronti del figlio maschio, con il suo comportamento e la sua azione, gli offre un modello e insieme un alleato: il suo ruolo è aiutarlo ad uscire dal conflitto materno sul tema della vergogna e nello stesso tempo a fare i conti con l’aggressività nella competizione maschile. Purtroppo, mentre la maggior parte dei padri riesce bene nel primo compito, nel secondo i risultati sono meno brillanti. Anche tra padri bisogna fare i conti con la vergogna. Dato che l’asse prevalente è per loro quello vergogna-rabbia, l’interazione sarà imperniata probabilmente sull’aggressività ed è questo il problema da risolvere: se riescono ad elaborare la dinamica che si svolge lungo l’asse vergogna-rabbia-vergogna, i loro rapporti saranno assicurati per tutta la vita; se invece l’operazione non riesce , il figlio maschio dovrà prendere le distanze da entrambi i genitori, anche se per ragioni diverse. Il rapporto padre-figlia è più difficile da descrivere, dal momento che il padre non ha bisogno di servire da modello alla figlia né deve sottrarla ad un conflitto con la madre sul tema della vergogna, anche se può avere pur sempre un suo ruolo (Bernstein D., 1983). Inoltre, come ci suggerisce l’ipotesi dei due mondi, padre e figlia differiscono nei sentimenti di vergogna ed è quindi improbabile che riescano a venire a capo quando si presentano. Il ruolo primario del padre è forse quello di fungere da modello delle figure maschili con cui la figlia verrà in contatto in seguito. Purtroppo, essi non riescono a risolvere fra loro i conflitti relativi alla vergogna e difficilmente il padre può quindi offrire alla figlia un modello di soluzione del problema a cui guardare nei successivi rapporti con gli uomini. Tutto questo, naturalmente, vale finché le figlie rimangono fedeli al ruolo femminile tradizionale. Quando la figlia assume un nuovo ruolo dettato dal processo di liberazione della donna, ecco che il padre si trova ad assolvere nei suoi confronti una funzione simile a quella svolta coi figli maschi.
Il prototipo più semplice, famigliare a tutti, è questo: il bambino che bagna il letto o che, inavvertitamente o per dispetto, se la fa addosso, si rende conto di ciò che è accaduto con un senso di vergogna; in entrambi i casi, teme di essere rimproverato o punito dai genitori.
Un esempio particolarmente importante, che ha origine nella prima infanzia e permane per tutta la vita, è la vergogna collegata al fatto di esporre gli organi sessuali, le attività e i sentimenti sessuali. E’ un paradigma così cruciale che nella maggior parte delle lingue occidentali la vergogna è in pratica sinonimo dell’esposizione sessuale e degli organi sessuali.
Un altro esempio tratto dall’infanzia: un bambino “perde” la pazienza e comincia a scalciare e a strillare finché non si “vede”, ad esempio in uno specchio. A quel punto, prova un profondo senso di vergogna per il suo scoppio d’ira. Naturalmente, può anche sentirsi in colpa per come si è comportato nei confronti dei genitori e per averli “feriti”, ma ciò non impedisce che si senta profondamente imbarazzato e abbia voglia di nascondersi per la vergogna. Qualcosa di simile accade anche negli adulti. Essi non si sentono semplicemente in colpa se perdono il controllo; ancor più intenso è il loro senso di imbarazzo e di umiliazione. Anche qui, come nel primo paradigma, è la perdita del controllo che causa una profonda vergogna.
Un paziente descriveva il suo imbarazzo per aver perso il controllo non solo sotto l’effetto della droga ma anche per una rabbia cieca. Quando sua moglie lo rimproverava aspramente, spesso aveva violente crisi di rabbia: una volta aveva demolito il letto e l’aveva inseguita brandendo una delle colonnine. Il significato simbolico di questo gesto era evidente: aveva distrutto il luogo dell’umiliazione causata dalla sua impotenza e aveva brandito un’arma eretta contro sua moglie.
Un’altro esempio di vergogna lo troviamo nel fallimento nel raggiungere alcuni risultati, per esempio scolastici: Il bambino viene deriso dai compagni, sgridato dai genitori o dall’insegnante e rimproverato per le sue prestazioni modeste. Questa vergogna è tipica soprattutto delle culture che attribuiscono grande valore alle acquisizioni tecnologiche, come ad esempio negli Stati Uniti, o alle prestazioni scolastiche, come in Europa o in Cina. In tutti i casi il successo raggiunto in modo competitivo produce orgoglio, il fallimento produce vergogna. Si prova vergogna per difetto visibile e vistoso nella propria immagine fisica o sociale, come la balbuzie, una deformità fisica, la bruttezza, l’appartenenza a una minoranza o a una famiglia socialmente stigmatizzata (ad esempio, una famiglia con un padre ubriacone), o l’essere figlio illegittimo (L. Wurmser, 1978).
CAPITOLO UNDICESIMO
TRATTI COLLEGATI ALLA VERGOGNA
Quasi tutte le culture condannano come disonorevoli certi tratti personali profondi, non necessariamente espressi da un’azione, ma dotati di una qualità più simbolica, e li considerano alla stregua di un’infamia. Stante la ricchezza dei significati coinvolti, il ricorso a fonti più dettagliate e letterario può consentirci di approfondire il nostro studio fenomenologico.
Uno dei “difetti” più comuni considerati vergognosi è la debolezza sociale: la povertà, la dipendenza dagli altri, specie accettarne la carità, una reputazione di perdente. La povertà, in particolare, è stata considerata un’infamia sin dall’antichità. Conoscendo la realtà di questo pregiudizio, un ente assistenziale che ha sede nel quartiere ortodosso di Gerusalemme si è dato come principale criterio della sua attività caritativa “il rispetto della dignità dell’individuo”: “Uno dei nostri rabbini polacchi ci ha insegnato che un uomo può morire di vergogna prima di morire di fame. Non distribuiamo uova o minestra, ma diamo ai poveri mezzi per andare a comprarsele direttamente”.
A questa stessa categoria appartengono i difetti di carattere o di atteggiamento che riflettono debolezza. Il ragazzo magrolino o effeminato che sente di non essere accettato dagli altri come un ragazzo o come un uomo per la sua pusillanimità, il suo comportamento scarsamente incisivo, la sua timidezza, la sua paura dell’aggressività o i suoi desideri omosessuali, prova spesso una sensazione abissale di vergogna. In molte culture e sottoculture, soprattutto in quelle a predominanza di ceppo germanico, la paura e semplice espressione dei sentimenti, specie quelli teneri e affettuosi (come ad esempio la manifestazione della commozione attraverso il pianto), induce umiliazione e vergogna (vedi numerosi esempi di Nietzsche). E’ considerato particolarmente poco maschile sconveniente per un uomo mostrare debolezza e gentilezza.
Un altro frequente bersaglio sociale della vergogna è la falsità di carattere, come quando una disponibilità e un’arrendevolezza fasulle vengono usate come un mantello per coprire il disprezzo e l’indifferenza. Quando queste forme di falsità di carattere inducono una doppiezza di comportamento, come è inevitabile, siamo di fronte al tradimento, un tema pressoché inesauribile. Il tradimento è considerato in tutte le culture come il prototipo dell’azione socialmente vergognosa. Non è soltanto l’atto in sé, ma è la viltà generale del carattere che viene condannata col massimo sdegno da una società che si sente tradita da uno dei suoi membri.
Di solito questi concetti di “tradimento” e di “congiura”(spiegati popolarmente come “codardia” e “viltà di carattere”) implicano la rottura di un codice d’onore. Esempi a tutti familiari sono il bambino che tradisce il gruppo di coetanei facendo la spia agli adulti (insegnanti o genitori), quello che spettegola, o ancora, tra gli adulti, il “informatore della polizia” che smaschera l’uso di droga o altre attività illecite della sua banda.
Un paziente tornava più oltre sul fatto di essere stato “tradito” o “trattato in modo sleale” da sua madre; di aver scelto una donna che lo tradiva e che lui volentieri tradiva e provocava a tradirlo; e di aver compiuto un analogo tradimento del contratto psicoanalitico. E’ tipico il fatto che, in definitiva, provava sempre un’intensa vergogna per questi tradimenti della fiducia altrui.
Quando ci sono leggi o valori in conflitto, le lealtà diventano diametralmente opposte, e appaiono punti di vista contraddittori su ciò che è onorevole e ciò che è vergognoso.
In particolare, la viltà è uno dei principali motivi di vergogna: “ Gli dei fanno questo per vergogna della viltà” (Shakespeare, Giulio Cesare 2.2. 41). Questo è vero soprattutto quando esiste una gerarchia di valori basata sulla polarità di onore e vergogna, come nell’etica del feudalesimo.
Nel nostro mondo tecnologico e post-borghese, abbiamo norme per meritare l’onore espresso da termini quali integrità, onestà intellettuale, sincerità, e l’inosservanza di questi criteri porta con sé ignominia e vergogna. Mi riferisco alla deontologia professionale e alla sua violazione. Pensiamo ad un medico che si comporta male nei confronti dei suoi pazienti per sentimenti di vendetta, o ne abusa sessualmente, oppure a un giudice o a un poliziotto corrotti. Sebbene possano sentirsi in colpa verso le loro vittime per il danno che hanno loro inflitto. è anche prevedibile che provino vergogna per il loro comportamento indegno, sia verso sé stessi che di fronte ai colleghi o alla società.
Anche al di là di qualunque norma feudale o deontologia professionale, il lasciarsi andare a piaceri “vili” e “bassi” è considerato umiliante. Perdere il controllo nei piaceri sessuali è considerato nella maggior parte dei casi un atto di cui vergognarsi; mantenere il controllo è un atto virile e onorevole. Anche nella “società spudorata” di oggi questo sentimento non può essere del tutto cancellato, ma spesso appare semplicemente spostato.
Possiamo ancora vedere un profondo senso di vergogna in pazienti che si lasciano andare in condotte sessuali promiscue. “ Mi viene in mente un uomo di grande successo, sensibile ma molto narcisista, che, in preda a un profondo senso di solitudine e di insicurezza e traboccante di uno sdegnoso disprezzo nei confronti di tutti, si impegnava in una catena infinita di relazioni. Aveva la sensazione di “avere bisogno” di questo tipo di “scarica”. Ma i suoi sforzi non avevano successo. Non solo non riusciva a spezzare il suo isolamento, ma anche degradando profondamente ogni donna non riparava l’immagine di sé stesso come un bambino castrato ed indegno. Al contrario, sopra questa profonda vergogna di castrazione c’era un senso di vergogna per non essere riuscito a controllare i suoi impulsi”.
Questa vergogna è ancora più accentuata e deve essere nascosta, spostata e razionalizzata con ancora maggior forza se ha una velata qualità anale e masochistica: “ Quanta più merda mi rovescino addosso, tanto più devo cercarne. Quanto più pesante è la degradazione, tanto maggiore è la mia attrazione sessuale, e tanto più profonda la mia vergogna”.
11.1 La vergogna come protettrice dell’integrità del sè
Leon Wurmser (1981), ci parla della vergogna non come nemica dei limiti e frontiere, ma come loro guardiana. Afferma che la vergogna protegge il sè separato e privato con le sue frontiere e impedisce l’intrusione e l’assorbimento. Essa garantisce l’integrità del sè. Allo stesso tempo, essa protegge anche l’integrità delle relazioni umane e impedisce la completa isolazione e rigetto. Più specificatamente, essa protegge il sè contro la sovraesposizione e la curiosità intrusiva. La vergogna è così il meccanismo di protezione sociale negli interscambi espressivi-comunicativi e percettivi-attentivi. Questo concetto implica che la principale funzione della vergogna come meccanismo di protezione sociale, sia diretto contro la esposizione.
Secondo Izard (1977), la vergogna è responsabile del più intimo possesso dell’individuo, l’integrità de sè. La vergogna protegge l’integrità del sè.
Il desiderio di un individuo normale di evitare vergogna, o di sviluppare una alta soglia per la vergogna, rappresenta un motivo importante nello sviluppo di un insieme di abilità intellettuali, fisiche e sociali che danno all’individuo un senso di adeguatezza e di competenza. Comunque, se le prime esperienze degli individui, particolarmente le loro esperienze di vergogna socializzante, hanno dato un loro concetto di loro stessi come dipendenti, inadeguati e gente inetta, essi sono vicini a capitolare su certi tipi di difesa dell’ego.
Il diniego è una delle difese caratteristiche della vergogna.
Negare viene ad essere una difesa, perché la vergogna è un’emozione così penosa, poiché è difficile da tollerare e difficile da mascherare e da cancellare.
Un secondo modo in cui l’individuo difende se stesso dalla vergogna, è per mezzo del meccanismo di repressione delle difese dell’Io. La gente cerca di reprimere i propri pensieri circa le situazioni imbarazzanti o situazione nelle quali esse hanno sperimentato o possono sperimentare vergogna. La repressione ha conseguenze più serie di una regolazione psicologica e per il benessere dell’individuo che il meccanismo di difesa del diniego. Usando il diniego, la gente rifiuta l’imbarazzo nel momento in cui sperimenta vergogna, ma ciò non preclude il loro pensare o lavorare attraverso la situazione. Usando il meccanismo di repressione, la gente si nega la possibilità di pensare attraverso la situazione e di fare auto-riparazione. Lo sforzo per riparare e rafforzare il sè dopo avere sperimentato un’intensa vergogna, spesso continua per molti giorni e settimane. Persino mesi e in alcuni casi anni, dopo un’intensa e imbarazzante situazione, l’individuo può richiamare la situazione provare le tecniche. Attraverso questa prova nella fantasia e nell’immaginazione, l’individuo può sviluppare molte tecniche interpersonali per generare situazioni o condizioni adatte a generare vergogna. Questi processi possono guidare ad un senso di adeguatezza e aumentare l’auto-identità.
Un terzo meccanismo di difesa dell’ego che l’individuo può usare come difesa della vergogna. è l’affermazione del sè.
Si può affermare l’aspetto di sè stessi che è stato criticato. Così se si è frequentemente imbarazzati a causa della bassa statura, si può rispondere alla vergogna sia sviluppando abilità mentali sia distraendo l’attenzione del fisico e sviluppando alcune abilità motorie che aumentano l’attrattiva fisica e compensando la bassa statura. Ci sono molti differenti modi che l’individuo può usare per la difesa dell’auto-affermazione. Un giovane uomo può coprire la vergogna per la sua incapacità o la sua inesperienza in situazioni eterosessuali, parlando delle sue avventure con il sesso opposto, abbellendo e costruendo avvenimenti adatti alle sue necessità. Nella teoria di Lewis, la depressione risulta dalla vergogna non scaricata. Così una persona frequentemente sperimenta vergogna, specialmente vergogna intense e umiliazione ed è incapace di difesa dell’Io, allora l’individuo è vicino a sperimentare l’angoscia, la più profonda diretta ostilità, paura e colpa, le componenti emozionali della depressione.
11.2 Bipolarità
In tutte le esperienze, esistono due poli che la vergogna sembra unire tra loro. Il primo è il fattore di fronte al quale si prova vergogna, il polo oggettuale, mentre l’altro è l’aspetto di cui la persona prova vergogna, il polo soggettivo. Se si pensa all’esempio del bambino che bagna il letto, nella descrizione più generale, il sentimento di vergogna comporta l’esperienza dolorosa di essere scoperto dalla mamma e di dovere affrontare la sua reazione emotiva di disapprovazione, di rimprovero e derisione. Questo è il polo di fronte al quale si prova vergogna, spesso simboleggiato dall’occhio di colui che osserva, dal suo sguardo punitivo e dalla sua espressione disapprovante.
Ma il bambino prova vergogna per l’azione che ha compiuto perché essa è il segno di una perdita di controllo e di tutto ciò che da tale perdita può derivare, con tutte le sue sporche conseguenze. Questo è il secondo polo, indicante ciò di cui il bambino prova vergogna.
I due poli possono essere ulteriormente differenziati: il polo che indica “ciò di fronte a cui si prova vergogna” può essere suddiviso in aspettative, critiche e punizioni. Il contrasto con l’aspetto globale dell’espressione disapprovante della madre, il bambino riconosce che la disapprovazione o la critica sono precedute dall’aspettativa materna che egli non bagni il letto, al cui verificarsi poi conseguono la critica verbale o la punizione fisica. Questo polo è sempre originariamente rappresentato da una persona; in seguito, può essere costituito da un rappresentante interno di questa persona, di solito collocato nel Super-Io. Il polo indicante “l’aspetto di cui si prova vergogna” può essere suddiviso nell’azione stessa, nei suoi risultati e, fattore della massima importanza, nei riflessi di tale azione su tutta la persona. Il bambino prova vergogna per la situazione di avere bagnato il letto, che si contrappone all’aspettativa della madre, che ha esplicitamente proibito simili perdite di controllo. Prova vergogna anche per tutta la confusione che consegue alla sua azione; ma ciò di cui soprattutto e più dolorosamente prova vergogna è l’implicazione che, adesso, lui è un “bambino cattivo”, “un bambino debole”, “un bambino sporco”, o qualunque altro valore altamente negativo che la cultura famigliare decida di imporgli. In altre parole, la sua vergogna ha per oggetto il modo in cui la sua immagine di sé e l’immagine che egli, offre agli altri risultano modificate in una direzione così chiaramente anti-ideale. Questa triplice pecca - debolezza, difettualità e sporcizia - costituisce quindi il nucleo centrale del polo soggettivo della vergogna.
Questa bipolarità ha un’altra implicazione molto importante: la vergogna, come il senso di colpa, è sempre orientata verso un oggetto. Un senso di vergogna o di colpa esteso ed esagerato rimane sempre in relazione con l’immagine che una persona ha degli oggetti esterni o del modo in cui essi diventano parte del Sé (quando vengono interiorizzati, introiettati). Questi oggetti possono essere universalizzati nel genere umano nel suo insieme, o nella figura di Dio, o in qualche altro essere allucinato. Di grande importanza è che questo polo oggettuale viene perpetuato come una parte del Super-Io, cioè in quello che potremmo chiamare “l’occhio interiore” di ciascuno di noi o l’occhio osservante della coscienza.
Una simile affermazione non disturba coloro che, come la Klein, amano parlare di “oggetti interni”: Ma anche se si vuole scartare questo concetto come qualcosa di inafferrabile o comunque di autocontradditorio, si deve però continuare a fare i conti col fatto che una parte importante del Sé mantiene alcune delle qualità dell’oggetto. Il Super-Io conserva una certa distanza dal nucleo del Sé: ciò è espresso dal concetto di “introiezione”, distinto da quello di “identificazione” (J. Sandler, 1963). La bipolarità, dunque, permane, anche dopo l’introiezione completa del polo oggettuale.
Pur sostenendo che la vergogna non perde mai completamente questo carattere oggettuale parziale, possiamo però dubitare dell’esistenza di qualcosa di simile a un umore vergognoso. “Gli umori sembrano rappresentare, se così si può dire, una sensazione trasversale dell’Io nella sua totalità, che presta una particolare colorazione uniforme a tutte le sue manifestazioni per un periodo di tempo più o meno lungo. Poiché essi non sono collegati a uno specifico contenuto od oggetto, ma trovano espressione in particolari qualità connesse a tutti i sentimenti, pensieri e azioni, possono veramente venir definiti come un barometro dello stato dell’Io” (E. Jacobson, 1971). Si potrà allora dire che l’affetto della vergogna induce tipicamente un umore ansioso, o triste, scuro, depresso o paranoide, ma non si potrà parlare di un “umore vergognoso”. Lo stesso discorso si applica al senso di colpa.
CAPITOLO DODICESIMO
INTERIORIZZAZIONE DEI CONFLITTI DI VERGOGNA
Introiezione
Come già citato, il polo oggettuale può diventare parte del Sé, e la persona non prova più vergogna solo perché gli altri possono vederla e condannarla, ma perché è la sua stessa coscienza a disapprovare. Più precisamente, se il soggetto confronta ciò che egli è o fa con ciò che si aspetta da sé stesso, e nota una discrepanza, critica sé stesso e può provare un doloroso desiderio di nascondersi da sé stesso. Le aspettative, le critiche e le punizioni intrinseche alla vergogna sono ora collocate nelle parti consce e inconsce della coscienza, cioè del Super-Io, anziché nel mondo esterno. Nello stesso tempo, la funzione di mediazione esercitata dal confronto tra ciò che si è o si fa e ciò che ci si aspetta da sé stessi, viene anch’essa a far parte della vita interiore. Questa misurazione può essere considerata far parte di quell’aspetto interno del Sé che opera e valuta, e che la teoria psicoanalitica chiama “Io”. Questa funzione interna prende il posto dello sguardo implicitamente valutante del genitore. Questa doppia natura, interne ed esterna, del polo oggettuale è descritta da Sandler: “ La vergogna può essere ricollegata all’atteggiamento “non posso vedere me stesso come vorrei che gli altri mi vedessero”” (J. Sandler 1963). Accanto a questa interiorizzazione c’è un’ulteriore differenziazione. le aspettative chiamano in causa valori più sofisticati che non il semplice controllo degli sfinteri, valori che di solito si trovano a un livello superiore di astrazione. Per esempio, le aspettative su sé stessi possono riguardare il tatto e la discrezione, e ogni violazione in proposito può far arrossire la persona altrettanto profondamente di un’esposizione concreta. Di conseguenza, nella persona matura le critiche e le punizioni si fanno sempre più discriminatorie e presumono qualità segnale molto più raffinate di un senso di colpa massiccio e schiacciante. Un’inflessione della voce, un voltare le spalle all’altro, può avere come risposta un’autoaccusa “ Perché ho fatto questo?” e un autoesame.
12.1 Spostamento
Analogamente, sul versante del polo soggettivo, non sono le azioni e il comportamento, ma anche i desideri, i pensieri e i tratti di personalità nascosti possono ricevere l’etichetta di “vergognosi”. Inoltre, queste azioni e queste caratteristiche di cui la persona prova vergogna possono estendersi all’esterno. Con l’aumentare della complessità delle identificazioni, anche il polo soggettivo si espande assumendo stratificazioni complesse e sottili: cresce fino a comprendere in sé “oggetti” intimi con i quali il soggetto è in parte identificato. Si comincia allora a provare vergogna non soltanto per la propria personalità, ma anche per la propria famiglia, per un amico, per il proprio gruppo etnico o la propria nazione, in una sorta di “senso di colpa preso in prestito”. Per la pervasività e l’inalterabilità specifiche delle esperienze di vergogna, la vergogna riguardo uno dei genitori può essere più lacerante di quella per sé stessi, ed è analogamente importante un senso di continuità con i propri genitori (H.M. Lynd, 1961). Un altro caso è quello della vergogna dei genitori per la deformità, il ritardo mentale o la malattia cronica di un figlio, che può essere tenuto completamente nascosto al resto del mondo. Sulla stessa linea di queste sublimazioni e differenziazioni, gli aspetti sul versante del soggetto che di solito sono coperti dalla vergogna diventano “neutrali” e sono spogliati dell’intento narcisistico che induce vergogna. é evidente non solo che il polo oggettuale della vergogna diventa sempre più interiorizzato e “spersonalizzato” e il polo soggettivo sempre più differenziato, neutralizzato e spostato, ma che gli stessi conflitti relativi alla vergogna subiscono una varietà di modificazioni dopo che il polo oggettuale è stato interiorizzato, é necessario distinguere due dei destini di questi conflitti interni relativi alla vergogna: la nuova esteriorizzazione e la vergogna in relazione all’integrità.
12.2 Nuova esteriorizzazione
Dato che la vergogna interiorizzata è di solito molto più arcaica e intensa di quella “realistica” ( la vergogna come risposta alla realtà esterna), la vergogna esterna può essere utilizzata come uno scudo per difendersi da quella interna, molto più minacciosa. Possono perciò essere create attivamente delle situazioni nella vita esterna in cui ci si aspetta di sperimentare, e anzi la si provoca, una reazione di umiliazione, così che la persona non deve sperimentare altri esperimenti di svalorizzazione molto più devastanti e profondi. Poiché ciò accade soprattutto perché l’intero conflitto possa essere rivissuto ancora una volta in forma esterna, è forse più corretto parlare di esteriorizzazione che non di semplice proiezione. E’ poi evidente da un punto di vista clinico che, in fin dei conti, l’interiorizzazione della vergogna funziona molto peggio dell’interiorizzazione del senso di colpa.
Basta pensare al caso della timidezza eccessiva, che si ha, ad esempio, quando una donna perfezionista si sente pietrificata, in una situazione mondana, se si rende conto di non riuscire a seguire la conversazione e, in preda ad un profonda senso di stupidità, teme di dire cose sbagliate. Ma proprio il tentativo di evitare un’esposizione vergognosa, fa sì che essa la produca.
All’estremo opposto, abbiamo le persone bizzarre, i clown, gli hippy, che si mettono in mostra con modalità controfobiche, producendo proprio la situazione più spaventosa, al fine di padroneggiare il pericolo e di poter dire a sé stessi: “Guarda, non c’é più nessun bisogno di avere paura.” In modo dispettoso, sono spinti a suscitare un disprezzo e disgusto, oppure, nel caso del clown, il riso.
Altri trasformano la vergogna da un’esperienza passiva di umiliazione nella forma di umiliare gli altri e di farli apparire ridicoli.
Infine, non va dimenticato l’esibizionista vero e proprio. Egli mostra il pene magicamente potente per avere garanzia di non essere debole e castrato, ma di regola queste persone si presentano come straordinariamente timide e riservate, e l’atto esibizionistico è ancora una volta un tentativo controfobico di affrontare l’angoscia di vergogna.
12.3 Vergogna, narcisismo e integrità
C’é però ancora qualcosa da dire sulla “vergogna interiore”. Due aforismi di Nietzsche ci mostrano che esiste una dimensione ancora più profonda della vergogna: “Provare vergogna della propria immoralità: questo è il primo gradino della scala che porta alla vergogna anche della propria moralità.” “Per gli uomini duri, i sentimenti intimi sono causa di vergogna, ma sono anche qualcosa di prezioso.” Nella prima affermazione c’è un senso di integrità e di valore, al cui confronto la moralità convenzionale appare sempre più un puro opportunismo, e dunque un segno di debolezza etica. Nella seconda, la parte più intima della persona, i suoi sentimenti più profondi per l’altro o per un valore supremo devono essere protetti e tenuti nascosti agli occhi di tutti. La vergogna, quindi, è un guardiano che protegge il nucleo dell’integrità. In questo secondo esempio, troviamo un atto di prevenzione: “Per paura di essere svergognato, tengo nascosto ciò che ha di più prezioso.” In questo caso, la “vergogna” è la prevenzione del fatto di essere realmente svergognato.
In questi esempi, le due diverse facce della vergogna - la “vergogna per” e la “vergogna protettiva” - si riferiscono a qualcosa che finora è stato trattato in modo episodico ed è scarsamente concettualizzato nella letteratura. Qui la vergogna si riferisce all’integrità, cioè al concetto di sé stesso come di una persona che integra tutti i suoi sforzi in un Sé continuo (“identità”) sotto la guida di una gerarchia di valori che può essere condivisa con una comunità storica o attuale. Inoltre, le forze che costituiscono questi ideali guida devono essere in gran parte sublimate: il perseguire un’idea delirante o pulsioni nude e crude, anche se in modo coerente, non è certo qualificabile come integrità. L’integrità, il suo tradimento e la vergogna che la protegge e che viene provocata dal tradimento sono tutti fenomeni che chiamano in causa il narcisismo.
In breve, esso fa riferimento ad una situazione in cui il Sé è investito di qualche interesse psicologico, di natura libidica oppure aggressiva, specie se alla libido e all’aggressività si assegnano i loro più ampi significati psicoanalitici. Il narcisismo, dunque, ha a che fare con tutto ciò che riguarda l’autostima, la valutazione alta o bassa del Sé, nonché il senso dei propri diritti e il desiderio di potere. Il narcisismo può essere sano o patologico, secondo la sua estensione e la sua compulsività, rigidità e insaziabilità.
I “conflitti narcisistici” sono conflitti tra l’autostima e la valutazione del valore personale, tra il potere e l’amore di sé. Le forme arcaiche sono rappresentate da conflitti tra il “Sé grandioso” e “l’oggetto - Sé idealizzato”, poiché hanno origine in un’epoca in cui non esiste una demarcazione netta tra il Sé e l’atro. Si caratterizzano per la presenza di desideri di sopravvalutazione massiccia del Sé e dell’altro, che conducono ad una disillusione inevitabile e ai conseguenti affetti soverchianti, soprattutto rabbia, vergogna, invidia e solitudine, e quindi nelle difese primitive contro tali affetti: diniego globale, esteriorizzazione, inversione e proiezione. Ne deriva che i conflitti relativi ai limiti, alle limitazioni e ai confini, assumono una particolare importanza (L. Wurmser, 1978).
Mentre l’integrità e la relativa vergogna si riferiscono ad una forma altamente sublimata di narcisismo, cioè al pensiero “in tutto ciò che faccio, devo essere all’altezza del mio ideale di me stesso”, all’opposto c’è il narcisismo nella forma ferocemente distruttiva, come è stato descritto da Rangell nella “sindrome della compromissione dell’integrità”. Ambizione, potere e opportunismo (“i tre cavalieri”) “crescono selvaggiamente e proliferano”; questo è il narcisismo al di fuori di ogni controllo (L. Rangell, 1980). “Il narcisismo a briglia sciolta è il nemico dell’integrità”. Compare allora la vergogna, a proteggere l’integrità, e come sua antitesi, la vergogna indotta da un narcisismo ferito arrogante. Se l’integrità” è basata su un narcisismo controllato, “normale” e sublimato, e se la sua violazione da parte delle pulsioni di potere appartiene al narcisismo patologico, avremo allora la vergogna, l’affetto che accompagna entrambe le forme di narcisismo. E’ cioè uno specifico atteggiamento affettivo che protegge il narcisismo sublimato, e al tempo stesso , un tipo di angoscia che sorge quando i desideri narcisistici vengono bruscamente delusi e quando le preoccupazioni di autostima vengono inaspettatamente violate. Non solo la maggior parte di ciò per cui proviamo vergogna o di ciò che proteggiamo con la vergogna è interno, potendo addirittura avere a che fare con il nucleo del Sé - ed essendo dunque, per definizione, ”narcisistico” -, ma anche l’ ”occhio” al cui sguardo questi aspetti del Sé sono esposti può essere interno.
12.4 La socializzazione del narcisismo
Il termine “personalità narcisitica” copre un insieme di disturbi che hanno alla base la tendenza, di fronte agli insuccessi, a dare un giudizio di valore globale. Sono molto, nel comportamento genitoriale, gli aspetti che possono favorire nel bambino un’attenzione concentrata sull’immagine globale di sé piuttosto che sulle proprie azioni. Fra questi possiamo riscontrare l’atmosfera familiare e il ricorso alla vergogna come pratiche educative, oltre al rifiuto dell’amore o eventi traumatici, come la perdita di un genitore. Esiste una specifica pratica genitoriale che favorisce lo sviluppo di uno stile di giudizio globale focalizzato sul concetto di sé che non è affatto considerata negativa e generalmente viene raccomandata: si tratta delle lodi rivolte ai bambini. Questo tipo di comportamento si è ampiamente esteso, e può avere conseguenze più gravi di quanto i immagini. Un eccesso di lodi e di indulgenza infatti, può alimentare nel bambino un’attenzione tutta rivolta a sé come oggetto di un giudizio globale: Apprezzamento del tipo “Sei una persona meravigliosa”, mettono a fuoco il Sé complessivo e hanno l’effetto di distogliere l’attenzione dagli aspetti specifici dei singoli comportamenti in questione.
Le moderne idee educative orientano i genitori a incoraggiare i bambini con lodi continue e giudizi positivi e non è escluso che a tutto questo si debba collegare l’aumento dei disturbi narcisistici. Esperienze infantili improntate a tale malintesa indulgenza hanno molte possibilità di favorire un tipo di attribuzione globale, che tenda a generare comportamenti narcisistici.
CAPITOLO TREDICESIMO
DEFINIZIONE DEI DIVERSI AFFETTI DELLA VERGOGNA
La vergogna è senza dubbio uno stato affettivo, passeggero e di lunga durata. Può essere così perdurante da diventare un atteggiamento affettivo; è parte integrante di questo affetto una forma speciale di angoscia, ma vergogna e angoscia non possono essere semplicemente equiparate, né una può essere compresa nell’altra. Se la vergogna assume la tipica qualità stereotipata e compulsiva di un fenomeno nevrotico, che appare senza un debito collegamento con la realtà esterna, è un sintomo (L.S. Kubie 1954). Inoltre, se analizzata secondo la teoria strutturale, la vergogna, al pari di ogni altro affetto, riflette una tensione tra elementi strutturali distinti (L.S. Kubie, 1954), tra l’ideale dell’Io (ciò che si vuole essere) e l’Io (ciò che si percepisce di essere).
A seconda del tempo e dell’organizzazione coinvolti, possiamo distinguere tre tipi fenomenologici principali di vergogna. C’è un’angoscia riguardo a qualcosa che sta per succedere (angoscia di vergogna); c’è una reazione rispetto a qualcosa che è già accaduto (affetto di vergogna in senso più stretto); c’è un atteggiamento caratteriale che ostacola i primi due (un atteggiamento di vergogna, la vergogna come formazione reattiva).
13.1 Angoscia di vergogna
La vergogna è una forma specifica di angoscia suscitata dal pericolo imminente di un’esposizione, di un’umiliazione e di un rifiuto. L’angoscia di vergogna, come tutte le forme di angoscia, è duplice. Può essere la risposta al trauma soverchiante d i un’impotenza già sperimentata, come il trauma di un’esposizione massiccia e di rifiuto. Oppure, la vergogna può funzionare semplicemente come un segnale attivato da una forma più lieve di rifiuto, il cui scopo è di evitare che una forma più intensa di rifiuto giunga a provocare un trauma: l’effetto segnale evita così la regressione allo stato traumatico. Il termine usato la Piers e Levin per questo tipo di vergogna è “angoscia di vergogna”.
13.1 L’affetto di vergogna vero e proprio
Quando l’esposizione e l’umiliazione, la messa a nudo della propria debolezza, hanno già avuto luogo, in forma lieve o in forma traumatica, di solito ne consegue lo sviluppo di un modello di reazione e cognitiva molto più complesso che non quello della semplice angoscia di vergogna. Tale modello, però, comporta la presenza di autoaccusa nonché una serie di tentativi finalizzati in qualche modo a espiare il disordine in quali si è incappati, sia per cancellare l’onta che per prevenire una degradazione ulteriore. Questo affetto complesso è chiaramente il centro dell’intera gamma degli affetti i vergogna.
13.3 Atteggiamento vergognoso
La vergogna (e ancora di più il suo equivalente tedesco, Scham) può essere considerata come un atteggiamento generale di timidezza, di evitamento delle situazioni e delle azioni che possono produrre umiliazione. In questo senso, è una struttura rigida del carattere, usata contro il rischio di essere umiliati, un rischio considerato continuamente presente. La vergogna in questo terzo significato, è espressa come “rispetto, soggezione, venerazione di fronte a qualcosa di sacro”.
Gli stati affettivi collegate a queste forme di vergogna sono, tra gli altri, l’imbarazzo, la timidezza, l’umiliazione, i sentimenti di inferiorità e la bassa autostima, il senso di degradazione e la mortificazione narcisistica. Si possono definirli come segue: la timidezza, il riserbo e la modestia sono tratti di carattere che esprimono un atteggiamento di vergogna. L’imbarazzo è una forma attenuata della vergogna vera e propria. Il senso di umiliazione ne è una forma rinforzata; l’umiliazione stessa, a sua volta, è una situazione che induce vergogna. Disonore, onta, degradazione e avvilimento sono termini strettamente collegati, se non addirittura ampiamente equivalenti, all’umiliazione; le stesse situazioni che suscitano questi sentimenti sono spesso chiamate “vergogna” (“è una vergogna!”, “che vergogna!”).
La timidezza sospettosa “descrive uno stato accentuato di consapevolezza di sé e indica anche il convincimento che la medesima attenzione eccessiva verrà esercitata dagli altri” (A. Reich, 1960). La mortificazione narcisistica (L. Edelberg, 1957) è una sensazione di terrore (“una perdita improvvisa di controllo rispetto alla realtà esterna o interna, o entrambe”) che si verifica quando l’angoscia di vergogna o altre forme di angoscia assumono proporzioni traumatiche. I sentimenti di inferiorità e la diminuzione dell’autostima sono espressioni di una discrepanza tra le aspettative e le esperienze. Essi inducono vergogna solo se si associano alle altre caratteristiche della vergogna, soprattutto agli elementi dell’esposizione e del rifiuto.
Agli antipodi rispetto al modello reattivo della vergogna troviamo l’orgoglio. Gli affetti a esso strettamente collegati sono il senso di onore e di dignità, nonché l’affetto e l’atteggiamento del rispetto. La presunzione può essere considerata come l’opposto della timidezza; è un tentativo incessante, quasi compulsivo, di dimostrare “Non ho bisogno di vergognarmi di nulla, anzi, guarda quanto sono grande!”. La vanità è sinonimo di presunzione. La vanità viene descritta da Nietzsche come il comportamento delle “creature che cercano di suscitare negli altri una buona impressione di sé stessi che essi però non ritengono di meritare, ma un volta ricevuta tale impressione, cominciano a pensare che sia vera”. Mentre nel caso della presunzione la valutazione dell’esperienza soggettiva di sé è molto più elevata di quanto un giudizio obiettivo non permetterebbe di esprimere, e in questa più alta valutazione di sé viene anche esibita, nel caso dell’ambizione il soggetto si sforza realmente di superare la vergogna attraverso un miglioramento soggettivo del proprio valore personale. Si potrebbe quasi dire che, nel caso dell’ambizione, la pulsione esibizionistica viene modificata dalla vergogna.
LA SEQUENZA TEMPORALE NELLA VERGOGNA VERA E PROPRIA
L’esposizione imminente o appena avvenuta s’accompagna a una forma d’angoscia seguita dal desiderio di nascondere l’affetto e dal bisogno di controllarlo.
14.1 Esposizione
Un aspetto fondamentale della vergogna è il ruolo svolto dalla scoperta. Si tratta di solito di un’esposizione più o meno improvvisa, che porta alla luce la discrepanza tra le aspettative della persona e il suo fallimento. Il bisogno di salvaguardare la propria sfera privata in queste circostanze protegge il valore dell’opera che abbiamo creato, che può essere messo in ombra e macchiato da un’attenzione eccessiva per i dettagli della vita e della personalità del creatore. Questo spostamento della vulnerabilità all’esposizione e alla vergogna dalla persona all’opera è importante nella psicologia normale.
14.2 L’angoscia di vergogna e il suo contenuto
La vergogna possiede un ingrediente fondamentale rappresentato da una forma d’angoscia rappresentato da una forma d’angoscia che può variare dalla semplice anticipazione al panico più schiacciante. Una persona può temere d’essere punita, dopo l’esposizione, da procedure d’induzione della vergogna. L’angoscia di vergogna riguarda dunque, quel tipo d’angoscia che è suscitata da un’esposizione improvvisa e che segnala il pericolo di un rifiuto sprezzante. L’angoscia di vergogna s’accompagna a un profondo senso di estraniazione da sé stessi e dal mondo.
14.3 La pervasività della vergogna
Come già accennato la vergogna è molto più globale del senso di colpa. La possiamo definire come un’esperienza che influenza ed è influenzata dal Sé nella sua globalità. Questo coinvolgimento generale del Sé è uno dei suoi caratteri distintivi e costituisce un indizio utile per rilevarne l’identità. Il tratto cruciale della vergogna va ricercato nel polo delle aspettative che non vengono raggiunte. Quando una determinata delusione mette in luce un’ampia incongruenza con l’immagine desiderata, sorge la vergogna.
14.4 Lo “scopo” della vergogna
Come già accennato in precedenza, oltre al temuto disprezzo e all’isolamento, c’è un’altra componente affettiva della vergogna, che fa seguito all’esposizione, all’angoscia e alla diffusione della reazione affettiva.: è il
desiderio di nascondersi, di scappare, di “coprirsi la faccia”, di “sprofondare sotto terra”.
Lo “scopo” dell’ angoscia in generale è la fuga, e nascondersi è un modo di fuggire. Questa finalità del nascondimento in quanto parte dell’affetto della vergogna serve certamente per prevenire un’ulteriore esposizione, e con questa, un ulteriore rifiuto, ma è anche un modo per fare ammenda per l’esposizione che è già avvenuta. Di fatto,
la punizione che proviene dall’esterno consiste tipicamente non soltanto in un’ulteriore esposizione, rappresentata dalla derisione e dall’umiliazione pubblica, ma anche nella richiesta di espiazione attraverso il nascondimento: “Non ti voglio più vedere”.
Un altro aspetto dell’orientamento finalizzato di quest’affetto e la “velatura” della realtà: è come un sipario caritatevole scendesse a coprire l’esposizione dolorosa. Una variante è il rifugiarsi nell’inespressività. Il soggetto abituato ad esprimere la vergogna acquisisce un atteggiamento “di tranquillità marmorea, la calma congelata tipica dell’aspetto di una donna morta”, l’espressione impietrita che caratterizza la maschera.
14.5 Il tentativo di controllare l’affetto
Intrinseco a tutta la sequenza presentata sino a qui c’è il tentativo di controllare la tempesta affettiva innescata dall’esposizione, nonché il suo fallimento rappresentato dalla sperimentazione di una vergogna travolgente e traumatica.
Al pari del senso di colpa, anche la vergogna, è per natura, fortemente caricata di aspetti superegoici. Nessun affetto è esclusivamente intrasistematico (interno all’Io) o intersistematico (tra il Super-Io e l’Io); tutti gli affetti si situano più o meno in prossimità di uno o dell’altro polo dello spettro. Cioè, possono essere controllabili o meno controllabili. La vergogna appartiene chiaramente al secondo gruppo.
La vergogna può ben essere chiamata il più generalizzabile, il più rapidamente diffusivo o straripante di tutti gli affetti. In qualsiasi relazione oggettuale, e soprattutto nella situazione terapeutica, l’esposizione è sempre possibile, e dunque la discrepanza tra ciò che ci si aspetta e ciò che viene mostrato può presentarsi l’improvviso e intensamente.
14.6 La natura bidimensionale della vergogna
Un aspetto particolarmente affascinante della vergogna sta nella sua capacità di mostrare la presenza di queste due dimensioni logiche. Una persona può provare vergogna sia del modo in cui parla, sia di ciò che dice; sia di esporsi fisicamente, sia di sembrare sporca o dipendente. Si può provare imbarazzo per come si appare e per ciò che si vede. in poche parole, un aspetto fenomenologico importante della vergogna è che essa può influire sia sulle funzioni legate all’esporsi da parte della persona e al suo aspetto, sia semplicemente un contenuto particolare che venga esposto. Questo avviene perché l’esposizione, e in misura minore anche la percezione, hanno luogo su due livelli logici: a livello della funzione stessa e a livello del suo contenuto.
CAPITOLO QUINDICESIMO
LA STRUTTURA DELLA VERGOGNA
Tutte e tre le forme della vergogna: la semplice angoscia di vergogna; la vergogna in quanto modello complesso di reazione affettiva e cognitiva; la vergogna in quanto atteggiamento di carattere che previene un’esposizione pericolosa, pur essendo in gran parte originate e modellate da un conflitto interpersonale, acquisiscono la loro peculiare forza umana, simbolica e patogena solo quando diventano intrapsichiche. Tutte e tre le forme rinviano a qualche desiderio specifico, a qualche specifico pericolo, tutte suscitano qualche difesa preferenziale.
15.1 La postura della vergogna
Come le reazioni automiche della vergogna sono abbastanza specifiche e intense da indurre una particolare consapevolezza del corpo, così le reazioni comportamentali, visibili dall’esterno, sono caratteristiche: chinare il capo, curvarsi, guardare in basso ed evitare di guardare l’altro costituiscono la postura della vergogna. Sembra che il soggetto voglia farsi piccolo, tanto da passare inosservato o che eviti di guardare, nella credenza che se non vede di essere guardato non lo sia realmente (Fenichel, 1945). A dire il vero non è necessario ricorrere ad una credenza: di fatto io guardare stimola lo sguardo altrui, e il non guardare può indurre la probabilità di essere guardati (Castelfranchi e Poggi, 1988).
Si può osservare che l’impulso a sparire proprio della vergogna è diverso da quello della paura: infatti, nella vergogna si può voler sparire anche a sé stessi ed inoltre raramente si fugge, ma piuttosto “si sta lì” come paralizzati.
Tutto questo fa pensare che la funzione della postura della vergogna non sia tanto o non soltanto quella di non farsi vedere, quanto quella proprio quello di non vedere, o meglio di non guardare. Più precisamente di non guardare negli occhi l’altro di fronte a cui ci si vergogna, e ancor più precisamente di non incontrare il suo sguardo. Comunque, ci potrebbe essere anche un’originaria vergogna del guardare (Wurmser, 1981; Goldberg, 1985).
15.2 Elaborazione cognitiva della vergogna
Molti autori (Lewis, 1971; Goldberg, 1985) concordano nel sostenere che l’esperienza soggettiva della vergogna è scarsamente elaborata dal punto di vista cognitivo: il soggetto che prova vergogna non sa o non vuole analizzare le ragioni, e corrispondentemente non sa parlarne, se non dicendo che prova o ha provato vergogna, o addirittura non la identifica nemmeno e parla di colpa o di invidia o gelosia (Lewis, 1971). Non è che il soggetto, così facendo, sbagli di molto, perché invidia e gelosia (Wurmser, 1987; Berke, 1987) sono connesse alla competizione e alla competitività. La sconfitta in una competizione è una fonte importante di vergogna e invidiare significa ammettere che si era in gara, si teneva molto alla vittoria e si è stati sconfitti (Castelfranchi, Miceli, Parisi, 1988); tuttavia l’esperienza della vergogna in quanto tale non è nominata e plausibilmente non diventa oggetto di riflessione. Il soggetto, è paralizzato dall’acuta consapevolezza del suo stato emotivo; addirittura la vergogna non può comparire nemmeno alla coscienza e manifestarsi in una rapida e quasi impercettibile esitazione nel parlare o nell’agire.
Molte persone, la cui vita interpersonale appare condizionate dal problema della difesa della vergogna, mostrano, se adeguatamente sostenute nei colloqui clinici, una straordinaria capacità di analisi dei motivi e dei percorsi ideativi che li portano all’esperienza della vergogna o che da questa scaturiscano. Le difficoltà di elaborazione cognitiva e di verbalizzazione sembrano piuttosto dipendere da un’inibizione transitoria facilmente sormontabile, o meglio da una resistenza ad affrontare 9l dolore che le persone proverebbero se prendessero piena coscienza, parlandone delle esperienza umilianti (Miller, 1985).
Nell’elaborazione cognitiva vanno inclusi anche i vissuti e le fantasie che danno la qualità specifica dell’esperienza, a cui alludono le “metafore della vergogna”, cioè le figure che le persone usano quando si riferiscono alla loro esperienza.
Queste sono essenzialmente di tre tipi: quelle della sparizione (sprofondare, farsi piccoli, rendersi invisibili); quelle della paralisi (bloccati, irrigiditi, pietrificati); quelle della nudità (scoperti, spogliati), a cui si aggiunge la denuncia di un senso di disorientamento (Caronia, 1989).
Come per le risposte fisiologiche (rossore) e la postura, compare la contraddizione fra tendenza al nascondimento e tendenza allo svelamento. In secondo luogo, le metafore della sparizione e della paralisi rimandano al morire, e quelle della nudità e del disorientamento all’essere in balia. Già da queste considerazioni è difficile sottovalutare il potenziale distruttivo per l’identità personale e per l’autostima dell’esperienza della vergogna.
15.3 Le condizioni della vergogna: l’esposizione all’altro
Esiste un accordo pressoché unanime su di una condizione che si deve realizzare nel campo fenomenico del soggetto perché questi provi vergogna: la consapevolezza di sé esposto all’osservazione dell’altro, ed esposizione al giudizio altrui.
Secondo l’analisi li Lewis, nella vergogna si ha la consapevolezza di sé e dell’altro che vede e che giudica. La struttura fenomenica della vergogna è costitutivamente intersoggettiva e comporta una divisione del sé. Infatti, il soggetto è contemporaneamente in due posti: al posto che è suo, vorrebbe allontanarsi, sparire e al posto dell’altro da cui si vede guardato, un altro da cui è frascinato e rischia di perdersi, preso da un desiderio fusionale di diventare l’altro e il bisogno di separasi e preservare la propria identità (ancora una volta la contraddizione tra nascondimento e svelamento). Questa divisione del sé è ancor più accentuata quando ci si vergogna di fronte a sé stessi: si ha l’esperienza di un io che guarda e di un me guardato che appare diverso da me atteso (ideale) e in qualche modo estraneo, in una sorta di autosvelamento, nella vergogna di fronte a Sé l’occhio è rivolto all’interno (A. Morrison, 1987), nel senso che ci guarda dall’esterno di noi stessi e ci si trova diversi , altri da quello che si presumeva o pretendeva di essere, in una triangolazione fra soggetto osservante, soggetto osservato e immagine attesa dal soggetto. Questo mostra chiaramente che dal punto di vista fenomenico, non c’é differenza fra vergognarsi di fronte agli altri o di fronte a sé stessi. In entrambi i casi c’é un altro (in un caso un altro io) che mi guarda e mi fa scoprire diverso, “altro” da ciò che attendevo, e pur sempre me stesso.
Spingendo l’analisi fino in fondo, si potrebbe dire che fra il vergognarsi di fronte agli altri e il vergognarsi di fronte a sé stessi esiste una differenza , e cioè che il vergognarsi di fronte a sé stessi si realizza soltanto il secondo momento dell’esperienza della vergogna. Senza escludere la possibilità di un puro vergognarsi di fronte ad un altro sé stesso, anche quando non c’é nessuno spettatore esterno realmente esistente esiste però molto spesso uno spettatore esterno virtuale. In altre parole ci si immagina in presenza di un altro, specifico o generico, oppure uno “spettatore ideale” (James, 1890) o l’deale dell’io.
E’ importante rilevare la differenza fra vergogna e senso di colpa sotto questo aspetto. Infatti, ci si può sentire in colpa di fronte ad altri, per esempio se si sono danneggiate più persone, ma non nel senso che vi sia virtualmente un altro. Inoltre le situazioni di vergogna comportano spesso un confronto con altri (sentirsi inferiori, diversi) e questa è una differenza col senso di colpa, il quale può essere alleviato o intensificato dal confronto con gli altri, ma non determinato. Si vede così la natura, non solo sociale e intersoggettiva della vergogna, ma specificatamente gruppale.
15.4 Lo sguardo
L’esposizione agli altri è stata quasi esclusivamente intesa come esposizione agli occhi altrui, dunque nella modalità visiva. Ciò corrisponde certamente alla caratteristica dominante dell’esperienza soggettiva: essere visti, sotto gli occhi, e corrispondentemente volersi sottrarre alla vista o non guardare.
In realtà ci si vergogna quando si è osservati e giudicati, e l’essere osservati può coinvolgere altre modalità sensoriali, ed in particolare l’essere ascoltati. Tuttavia, è indubbio che la visione possiede una caratteristica asimmetria che altre modalità non hanno: nessuno può vedersi come gli altri ci vedono. Resta il fatto che la possibilità di una relazione asimmetrica offerta dalla visione non è offerta altrettanto da altre modalità sensoriali. Quando si parla, ad esempio, le nostre parole sono tanto oggetto della percezione altrui come di quella nostra; l’asimmetria è ancor più ridotta o addirittura annullata per il tatto, anche se rimane pur sempre vero, che chi tocca è nel contempo toccato.
15.5 L’oggetto dell’esposizione
La vergogna, essendo correlata ad una esperienza di esposizione allo sguardo altrui, è certamente connessa con l’esibirsi (ma non necessariamente con l’esibizionismo): essa non riguarda soltanto il mostrarsi intenzionale, ma anche o piuttosto l’apparire , e ancor più specificatamente l’essere scoperti. Se la vergogna comporta un impulso a nascondersi, è perfettamente coerente che sia una reazione all’essere scoperti.
In questo essere visti si è anche giudicati in termini molto spesso negativi, ma come hanno notato molti autori (ad esempio Wurmser, 1981; Goldberg, 1985; Lewis, 1971), il giudizio verte sulla persona nella sua totalità, o su qualità che la persona possiede o per attribuzione sociale. Si afferma anche, che il giudizio verte sul sé mentre nel senso di colpa il giudizio verte sulla azione compiuta od omessa e sulle sue conseguenze (Miller, 1985; Wurmser, 1981). L’osservazione ed il giudizio investono non l’azione e nemmeno le caratteristiche, ma proprio la persona in quanto tale, le aspettative sulla persona da parete degli altri o della persona stessa.
Se ci comportiamo in maniera non conforme alla nostra dignità o al nostro statuto sociale, cioè all’immagine di noi che vogliamo difendere, è offeso il nostro amor proprio, mentre se ci comportiamo in maniera autolesiva, come per esempio concedendoci senza riserve ai voleri di un altro, e l’amor di sé che viene sacrificato.
15.6 Le forme dell’umiliazione
La vergogna, è vergogna di sé davanti agli altri, e dunque l’analisi delle situazioni di vergogna deve rivolgersi alle strutture intersoggettive delle esperienze di vergogna.
Una prima forma di umiliazione è data dalla disconferma o delusione di un’aspettativa di attenzione da parte degli altri. Casi esemplari sono il rivolgere una domanda o una richiesta e non ricevere risposta. La delusione proviene da questo tipo di interazione, e si sospetta che sia essere subita molto spesso da molti bambini; è la delusione della non risposta, dell’offrirsi ed essere rifiutati come non degni d’amore.
Una seconda forma di umiliazione è costituita dalla disconferma di un’aspettativa di approvazione da parte degli altri. Non si tratta in questi casi di avere mire troppo elevate: farsi ammirare, surclassare gli avversari, affascinare. Si vorrebbe invece, più modestamente mostrarsi all’altezza della situazione sociale, mostrandosi adeguati al proprio posto, essere “a posto con tutti”.
Tutte queste situazioni di disconferma di una aspettativa propria possono essere descritte anche come disconferma di una aspettativa altrui. Infatti, anche gli altri possono dichiararsi delusi perché si aspettavano di più o di meglio, ed anzi la delusione della persona può nascere proprio dalla dichiarata delusione degli altri. Inoltre, la delusione propria può essere proiettata dalla persona sugli altri ed essere vissuta come delusione altrui.
Si può includere nella disconferma di un’aspettativa di approvazione anche quella delusione anticipata che è la manifestazione di disfiducia.
Si distingue quindi, l’umiliazione per disconferma di una aspettativa di approvazione da quella per disconferma di un’aspettativa per ammirazione.
Esempi pertinenti di umiliazione per disconferma di una aspettativa di ammirazione sono i casi si seduzione non riuscita, quali la ragazza che lascia vedere del suo corpo qualcosa di più per attirare l’attenzione l’interesse di un ragazzo che le piace e ne riceve soltanto l’indifferenza se non commenti ironici, il giovanotto che corteggia una ragazza e viene da lei invitato a desistere; bisogna includere anche le esibizioni professionali malriuscite, come il chitarrista che stecca, il comico che non fa ridere ecc. Ciò che caratterizza questo tipo di umiliazione del precedente, è che in quella la persona voleva mostrarsi come gli altri, ed in questa invece, superiore agli altri. E’ in quest’ultimo caso in cui l’altro compare come termine di confronto, che si può parlare più propriamente d’esibizionismo. Anche l’insuccesso dell’esibizione può essere ovviamente descritto tanto come delusione delle aspettative di chi si esibisce che come delusione delle aspettative degli spettatori.
In entrambe le forme di umiliazione per disconferma di un’aspettativa di approvazione o di ammirazione, la vergogna è la reazione ad uno smascheramento, nel senso in cui, alla prova dei fatti, viene smascherato un’impostore.
Le tre forme di umiliazione già descritte e definite come disconferma di un’aspettativa, possono essere meglio definite come disconferma di una pretesa, rispettivamente di attenzione, approvazione o di ammirazione. La condizione necessaria che bisogna risaltare, è appunto la pretesa, anche solo implicita, viene disconfermata, e in questo sta appunto lo smascheramento. Ci si vergogna dunque, non semplicemente perché si è inferiori od imperfetti, ma bensì si era dichiarato o si era convinti di non esserlo, e invece si appare tali.
La vergogna ha luogo in una dimensione dichiarativa che coinvolge tutti gli attori nella situazione: chi pretende di essere ciò che non è, e chi smaschera ostentamente la pretesa.
15.7 La vergogna come modello complesso di reazione
I conflitti che comportano il fatto di esporsi e di vedere e che coinvolgono aspetti di debolezza e di angoscia, con il rifiuto che ne consegue, vengono interiorizzati e integrati in un struttura interiore composita. L’affetto della vergogna prende il posto del timore della punizione esterna con umiliazione, derisione e disprezzo. Si pensa comunemente che questa interiorizzazione e questa strutturazione abbiano luogo in coincidenza con la conclusione della fase edipica, sebbene qualche interiorizzazione parziale possa verificarsi già da prima (terza e quarta sottofase della fase di separazione-individuazione, cioè tra il secondo e il terzo anno di vita).
Inoltre, è ormai evidente che la vergogna è molto più complessa e ricca di elementi cognitivi che non altri affetti quali la rabbia, l’angoscia o il piacere, che potremmo definire “affetti semplici”. Nella sua complessità, la vergogna assomiglia a emozioni quali la gelosia, l’invidia e il dispetto, l’amore e l’odio, l’euforia e la depressione, nonché la sua stessa controparte, cioè l’orgoglio, appartenendo dunque al gruppo degli effetti “composti”, che sono insiemi altamente complessi di strutture cognitive ed emozionali (E. Glover, 1938).
Dell’analisi del Super-io ci rimanda, da un punto di vista tecnico, a fenomeni di superficie sempre presenti nelle sedute psicoanalitiche, che si confrontano attimo dopo attimo con le lievi ombreggiature operate dalle resistenze collegate con la vergogna.
Dall’altra parte, nella vergogna esiste anche un chiaro aspetto che riguarda l’Es, cioè le pulsioni a guardare e a esporsi, desiderate ma cariche di timori, con tutte le loro molteplici sfaccettature.
Dietro agli aspetti legati sia al Suer-io che l’Es si intravede l’ombra onnipotente del narcisismo. Gli ideali coinvolti nell’esperienza della vergogna, così come quelli presenti nelle pulsioni voyeuristiche ed esibizionistiche, hanno un marcato carattere “narcisistico”. Fanno tutti riferimento a immagini del Sé desiderabili, ammirevoli, persino sopravvalutare, oppure, al contrario, degradate e disprezzate. In altre parole, sono intriseci alla vergogna una “misurazione” dell’immagine del Sé e un continuo paragone tra come è e dovrebbe essere. Tuttavia, questa “misurazione”, che è ovviamente un’attività dell’Io, è derivata da altre attività pulsionali quali l’osservazione, l’esposizione e, soprattutto, il confronto e la competizione, con la loro violenta forza libidica e aggressiva. In termini tecnici, questa “misurazione” è una forma “sublimata” (“neutralizzata”) delle pulsioni.
15.8 La serie delle aspettative
Le aspettative attive nella vergogna mantengono solitamente un carattere di duplicità, potendo essere sia interne che esterne. La forma esterna è costituita dall’immagine che si desidera che gli altri abbiano di noi.
La serie interna delle aspettative è costituita da quella parte dell’ideale dell’Io che è stata chiamata “ Sé ideale”. L’ideale dell’Io è formato da identificazioni con aspetti delle persone amate, ammirate e temute; dall’immagine del bambino amabile come gli altri se lo aspettano e da stati ideali del Sé originati in epoche precoci. La vergogna può comparire quando certe aspettative risultano non realizzate; queste aspettative possono essere criteri consci stabiliti dall’io, o criteri inconsci stabiliti dall’ideale dell’Io.
Questa condizione è necessaria ma non sufficiente per giustificare la complessità del modello di reazione tipico della vergogna. Un semplice mancato adeguamento alle norme dell’Io non suscita vergogna. é fondamentale che si verifichi anche un “tradimento” dell’immagine interiore desiderata del Sé e che vengano messi in moto processi autocritici, autopunitivi e riparativi. Solo a questo punto la vergogna fa la sua comparsa. Se questi criteri non vengono soddisfatti, il mancato adeguamento alle norme dell’Io produce una caduta dell’autostima, ma non la vergogna.
Si presume che la vergogna, a differenza dell’angoscia di vergogna, che ne costituisce il nucleo centrale, coinvolga sempre il Super-io; può dunque comparire solo dopo la formazione del Super-io (probabilmente solo dopo la risoluzione del complesso edipico). Diversamente dalla vergogna vera e propria, i suoi precursori arcaici, cioè l’angoscia di vergogna e la difesa arcaica del nascondimento, precedono di parecchio la fase edipica. nella vergogna è l’immagine della persona nel suo insieme, con i suoi aspetti ideali ad essere utilizzata come paragone per misurare gli aspetti delimitati di noi stessi per i quali ci può accadere di provare vergogna. Non è necessario paragonare il Sé nel suo insieme con questa immagine ideale per sperimentare la vergogna: possiamo anche soltanto confrontare parti del Sé reale con il Sé ideale. I valori rappresentati da questo Sé ideale possono variare, a seconda degli ideali culturali, subculturali e familiari della storia dell’individuo. Ogni volta che il mancato adeguamento ai criteri dell’Io o del Super-io chiama in causa l’immagine interiore del Sé ideale, una delle condizioni alla base della vergogna risulta già rispettata.
Nel senso di colpa, al contrario, come abbiamo già più volte accennato, parliamo di azioni. Come pietra di paragone in questo caso, non utilizziamo più l’immagine ideale, ma un sistema complesso di azioni ideali. In questo caso la serie delle aspettative, non consiste in un’immagine interna o esterna del Sé, ma in una serie interna o esterna di azioni ideali. Questo codice di azioni ideali intrinseco al senso di colpa forma anche una parte dell’ideale dell’Io, pur non costituendo in alcun modo un’immagine del Sé ideale. Se confrontiamo l’immagine del Sé ideale nella vergogna con il codice di azioni ideali nel senso di colpa, ci accorgiamo che la prima è fondamentalmente più arcaica e meno differenziata del secondo. La prima è in collegamento col nucleo centrale del Sé, il secondo soprattutto con l’attività motoria. La vergogna compare quando non vengono realizzate le aspettative più regressive e globali del Sé (come si verifica in particolar modo nel caso dei conflitti narcisistici. Il senso di colpa compare quando non vengono realizzate le aspettative riguardanti un certo comportamento nei confronti dell’oggetto, (si parla infatti di natura meno globale).
15.9 Funzioni
Ogni volta che il desiderio di vedere o di esporsi porta con Sé forti elementi sensuali o aggressivi ed è contrastato da un’idea di pericolo, (che corrisponde ad un’idea di punizione per la motivazione libidica o aggressiva di base o da un dubbio circa il suo adempimento), sorge l’angoscia di vergogna. Va sottolineato che solo le percezioni e le forme di autoesposizione che risultano conflittuali innescano il modello reattivo della vergogna. é l’aspetto funzionale che conta: viene mostrata una parte del corpo (l’aspetto di contenuto) che dovrebbe essere tenuta coperta.
La vergogna è ovviamente diretta al desiderio e all’azione di mostrare un aspetto del Sé corporeo che in quanto tale non è vergognoso: è solo l’atto dell’esibizione a provocare normalmente la vergogna. La situazione cambia se consideriamo il caso della perdita di controllo: in una situazione del genere non è l’atto del mostrare a provocare la vergogna, ma l’assenza di autocontrollo, con la conseguenza di questa assenza che viene presentata davanti agli occhi altrui. Prendiamo come esempio la vergogna di mostrare le proprie emozioni: possedere un sentimento in quanto tale non è di per Sé vergognoso, ma “perdere il controllo” sui sentimenti e mostrarli agli altri può indurre vergogna. Al contrario, provare emozioni forti può essere sperimentato come un segno della tendenza a essere travolti dai sentimenti e quindi può essere equiparato alla debolezza; in questo caso provare una certa emozione è visto spesso come qualcosa di vergognoso.
15.10 Contenuto
Non è l’attività di percezione o d’espressione in Sé stessa a non conformarsi al Sé ideale, ma ciò che viene percepito o esposto. Le categorie di contenuto vengono raggruppate in tre gruppi principali che sono quello della debolezza, sporcizia e difettualità. Gli esempi clinici hanno, in seguito, fornito diversi altri gruppi a questi strettamente correlati: la sconfitta di una competizione, l’eccitamento masochistico, la perdita di controllo sui sentimenti e sulle funzioni corporee.
La vergogna a livelli evolutivi e simbolici più elevati colpisce di solito non solo le attività, ma anche il loro contenuto, come nel caso del tradimento dell’etica professionale o civile, o dell’insuccesso in prestazioni sociali. La vergogna è una difesa molto importante contro altri affetti: per quanto cruciali, questi affetti che la persona non vuole esporre agli altri e neppure a Sé stessa, rimandano a una debolezza o a un difetto. La tenerezza, l’amore, la dolcezza, un senso di dipendenza: tutte queste cose possono provocare vergogna ed essere tenute nascoste. Oppure può essere la vergogna stessa ad essere coperta da altra vergogna; la vergogna manifesta e delimitata può coprire un senso più profondo e globale di vergogna.
E’ noto che il senso di colpa sorge all’interno di relazioni fortemente ambivalenti; la vergogna, al contrario, emerge soprattutto nelle relazioni familiari caratterizzate da forti lotte di potere e da degradazione. Ancora in contrasto con quanto accade nella vergogna, nel senso di colpa esiste un unico livello logico. L’esposizione può avere un contenuto: l’azione in quanto tale no. Essa può avere delle implicazioni, ma non nella forma di un messaggio comunicato. Tuttavia, se l’azione è impiegata per esprimere un messaggio, se viene vista come una forma di comunicazione simbolica, si colloca ancora una volta nella categoria delle attività espressive e può così, condurre di fatto alla vergogna.
Poiché nella maggioranza dei casi la vergogna viene suscitata dalla debolezza e il senso di colpa dalla forza, è evidente che la persona che si difende dall’aggressività altrui con modalità passive è più disposta a mostrare vergogna rispetto alla persona che traduce la propria aggressività in azione. Questo significa che la persona primariamente passiva tende a provare vergogna, quella fondamentalmente attiva tende a provare senso di colpa.
15.11 Autosservazione
Prima di poter fare un confronto tra la serie delle aspettative e degli quella degli aspetti giudicanti è necessario osservare Sé stessi.
1. L’autosservazione è una delle attività del Super-io. Schafer attribuisce al Super-io “l’osservazione del mondo interno ai fini di una valutazione e di una regolazione morale” (R. Schafer, 1960) e fa riferimento all’affermazione di Freud che il Super-io ha il compito di tenere “d’occhio” le azioni e le intenzioni dell’Io e di giudicarle esercitando una censura.( S. Freud 1929) .
2. L’autosservazione è una funzione dell’Io se si tratta “dell’individuazione e organizzazione dei fatti e dell’osservazione esecutiva dei mondi interno ed esterno” (R. Schafer, 1960). Stein sostiene che l’autosservazione diviene, col procedere verso la maturità, sempre più una funzione dell’Io e sempre meno una funzione del Super-io.( M.H. Stein, 1966). Jones pone l’accento sugli impulsi scopofilici presenti nell’atteggiamento vigile del Super-io.( E. Jones 1947). Questo guardare sé stessi, costituisce il chiaro carattere pulsionale dell’autosservazione e la natura scopofilica dell’attività del Super-io, ed è considerato uno degli elementi decisivi nella struttura della vergogna. Solo così il Sé reale è esposto allo sguardo attento del censore interno in un modo che può suscitare vergogna. Come già sottolineato, un semplice conflitto all’interno dell’Io non è in grado di provocare vergogna. L’elemento dell’esposizione e del guardare è dunque indispensabile. Solo il Super-io ha un carattere oggettuale e un’energia aggressiva sufficienti a indurre un tale senso di esposizione.
15.12 Autovalutazione
Il passo successivo consiste nel mettere a confronto la serie delle aspettative e quella degli aspetti giudicanti. E’ sia una forma di discriminazione interiore, e in quanto tale una funzione dell’Io, sia una forma di giudizio di valore, e in quanto tale una funzione dl Super-io. A seconda del modo in cui le facoltà discriminatorie dell’Io si sono sviluppate, il paragone potrà essere acuto, chiaro, succinto e realistico, oppure potrà tendere a oscillare di continuo, a essere inaffidabile, vago, dispersivo e confuso. Tipicamente, quanto più i conflitti sono regressivi, tanto più disturbati saranno il confronto e la discriminazione. I conflitti influiscono sullo stile cognitivo anche da questo punto di vista. Anche lo stile cognitivo può essere studiato dal punto di vista della struttura difensiva: quali difese vengono impiegate per operare l’offuscamento della valutazione, o per far concentrare tutta l’attenzione su un singolo aspetto omettendo invece tutti gli altri e così via.
Nella vergogna l’immagine del Sé ideale viene paragonata alle azioni e ai tratti del Sé sperimentato. In definitiva, il confronto si rivela un confronto tra qualità.
Nel senso di colpa vengono invece messe a confronto le azioni. Se quello stesso atto di tradimento ha avuto come esito il danno o la morte di un’altra persona, colui che lo ha eseguito proverà senso di colpa oltre che vergogna. In questo caso, vengono messe a confronto l’azione ideale di proteggere i propri amici e non far loro del male con l’azione reale di aver procurato un danno a uno di loro. Si giunge così all’individuazione empatica del carattere di qualità primario della vergogna contrapposto col carattere di azione primario del senso di colpa.
Questo sforzo di mettere a confronto trae direttamente la sua origine da un ricorrente motivo di vergogna: la competizione. Questo elemento ha ricevuto sin qui un’attenzione insufficiente nella nostra indagine fenomenologica, ma ci si accorge che diventa sempre più centrale man mano che ci si cala nelle profanità dell’inconscio. Quanto più una persona è competitiva, tanto più sarà sensibile nei confronti delle sue parziali carenze e debolezze, e tanto più infaticabile nella sua tendenza a paragonarsi di continuo ai suoi rivali. Nel nostro caso, il ruolo del rivale e stato assunto dall’immagine interiore del Super-io. Quindi, il Super-io ha preso il posto del rivale invidiato, e si è fatta strada la valutazione che la persona avrebbe fallito nelle sue aspirazioni.
CAPITOLO SEDICESIMO
CRITICA DELLA DISCREPANZA
Ciò che segue è anche una forma molto dettagliata di analisi delle difese. Lo stesso Super-io è una struttura difensiva, e le attività che verranno descritte, sono quelle del Super-io. Il tutto può essere classificato come meccanismi quali “identificazione con l’aggressore”, “rivolgimento contro il Sé”, “trasformazione del passivo in attivo”, “introiezione”.
Il confronto tra queste due serie (il “Sé ideale” e il “Sé reale” è seguito da critiche, disapprovazioni e condanne , che hanno origine nell’autorità esterna (il genitore), ma che vengono ora eseguite dall’autorità introiettata, la parte autocritica del Super-io. Questa attività di critica e di condanna non è meno aggressiva nel caso della vergogna di quanto non lo sia nel caso del senso di colpa.
La qualità e la configurazione della struttura affettiva possono risaltare con maggiore chiarezza se le immaginiamo nei termini del loro originario predecessore esterno, o della loro forma nuovamente esteriorizzata. Se consideriamo le funzioni fisiognomico - espressive, esistono delle differenze piuttosto marcate tra il caso della vergogna e quello del senso di colpa. In entrambi gli affetti, la critica impiega funzioni quali le espressioni mimiche dirette e la gestualità. Eppure, sono lo sguardo punitivo, l’espressione sdegnosa (per esempio l’aggrottare le sopracciglia), la parola umiliante, il tono derisorio della voce e la risata sotto i baffi, il gesto di rifiuto - come fare un gesto di allontanamento con la mano , o girare la testa - a indicare la vergogna. Questi segni e segnali fisiognomici possono in seguito essere duplicati metaforicamente quando il censore viene introiettato sotto forma di “occhio” o di “voce” della coscienza. A loro volta, la frase accusatoria, lo sguardo in cagnesco e l’espressione arrabbiata simboleggiano e significano la condanna emessa al fine di suscitare nell’altro il senso di colpa.
Ciò che risulta subito differente a questo proposito, nel caso in cui la critica sia quella che produce vergogna , sono l’enfasi sul fattore dell’essere esposto o del vedersi in questa luce sfavorevole e il tono affettivo di disprezzo.
Questo conduce alla differenza principale nella simbolizzazione di queste critiche per quanto riguarda la loro espressione “logica”. Le parole usate nel linguaggio comune e in quello letterario di solito distinguono chiaramente tra questi due tipi di critiche. Certo, esistono termini in grado di coprire entrambi gli affetti: condanna, trasgressione, brutto, cattivo e tanti altri ancora. Altrettanto certamente, le due categorie di termini sono talvolta confuse, la differenziazione non è facile da stabilire, le parole della vergogna possono essere usate per il senso di colpa e viceversa. Ma molto spesso questo fatto indica che ci troviamo in situazioni in cui entrambi gli affetti, coesistono.
Tuttavia, un osservatore meticoloso può notare la qualità distinta delle due categorie nel seguente elenco di termini. Ci sono alcuni concetti che sono usati per denominare le critiche che si collegano con gli affetti dello spetto della vergogna: ignominia, disdegno, disprezzo, ridicolo, infamia, disonore umiliazione, onta, vile, basso, meschino, indecente, osceno, ripugnante, rivoltante, degradato, per non parlare di tutti i termini derivati direttamente dalla parola vergogna , come
svergognato o impudente (da pudor= vergogna). E’ interessante notare come tutti questi termini evochino associazioni di carattere anale (sporco, macchiato, insozzato, imbrattato).
Dall’altro lato, troviamo l’elenco dei termini e dei concetti che denotano (seppur meno chiaramente) le critiche collegate all’affetto del senso di colpa: illegale, illecito, pentito, addolorato, afflitto, dannoso, nocivo, distruttivo, violazione dei diritti di una persona, peccaminoso, macchiato di sangue, omicida, e ancora, in particolare, le parole che derivano direttamente da “colpa”: colpevole, incriminato, criminale, incolpabile, incolpante, persino la parola “accusa”. Le associazioni, in questo caso, variano dal sangue, alle ferite, alle mutilazioni, al dolore. Queste due catene piuttosto diverse di associazioni rimandano alla loro diversa genesi: essere trattati come feci nel primo caso, essere mutilati nel secondo.
16.1 L’affetto della punizione
Nella vergogna il censore impiega il disprezzo e la punizione; nel senso di colpa, la rabbia e l’odio. Piers e Singer affermano che dietro al sentimento di vergogna sta non il timore dell’odio, ma il timore del disprezzo. ( G. Piers e M.B Singer). Il disprezzo è una forma d’aggressività più globale: esso intende eliminare l’altro essere, così come ci si libera delle cose sporche. è un affetto freddo, che tratta l’oggetto come se non esistesse e costituisce una forma molto forte di rifiuto, che utilizza l’abbandono e l’isolamento. La relazione minaccia di dissolversi nel nulla. L’odio e la rabbia, al contrario, sono tipi d’aggressività che vogliono ferire, distruggere; in altre parole, sono affetti caldi in cui l’oggetto indubitabilmente esiste, sebbene sia posto in cattiva luce. Nella vergogna la persona si sente congelata, paralizzata, sente quasi di essere diventata di pietra o di essersi trasformata in un’altra creatura; il disprezzo espresso dall’altro è quindi riuscito a “cambiare” l’interlocutore umano in una cosa, in un nulla. La perdita dell’amore che si registra nella vergogna può essere descritta come un crollo radicale del rispetto per il soggetto in quanto persona con una sua dignità: è una forma d’indifferenza totale nei confronti del suo Sé, con i suoi diritti e il suo prestigio.
16.2 L’azione della punizione e dell’espiazione
Le azioni finalizzate a punire il soggetto per la sua vergogna
consistono di solito, in una sua esposizione ancora maggiore e nel presentarlo alla pubblica derisione. Ogni più piccolo frammento della sua vergogna viene messo sotto la “luce dei riflettori” ed esposto, appunto, alla pubblica derisione. La persona viene così segnata sotto il marchio della vergogna. In un secondo momento la persona viene costretta a nascondersi, poiché viene umiliata e degradata da tutti. In questo modo la persona può espiare il peccato dell’esposizione della propria debolezza attraverso la pubblica degradazione e la successiva scomparsa. La persona sente il bisogno di confidarsi e di riconquistare così l’accettazione e al tempo stesso vuole anche scomparire, o quanto meno non pensare più all’avvenimento che ha causato la sua vergogna. Questo nascondimento viene portato avanti attraverso il diniego e la rimozione, oppure in modo più radicale, viene ottenuto col suicidio, con la fuga o con l’intossicazione.
Nel senso di colpa la punizione fisica assume un ruolo più centrale. Le parole che possono ferire simbolicamente vengono usate al posto della violenza fisica. Una volta avvenuta l’introiezione, le azioni o le parole autolesive soppiantano la punizione esterna. Gli atti di espiazione consistono in operazioni dolorose e automutilanti, nonché, a un livello più simbolico, in forme d’annullamento e restituzione. A questo proposito merita d’essere segnalata una forma di vergogna interiorizzata consistente in un tentativo attivo e costante di procurarsi una punizione, proprio come accade nel senso di colpa.
CAPITOLO DICIASSETTESIMO
ANGOSCIA DI VERGOGNA
La paura fondamentale nella vergogna è il timore di perdere l’amore e in definitiva, di perdere l’oggetto d’amore: è quindi una versione diversa dell’angoscia di separazione.. Questa angoscia si diffonde su un continuum che va dal panico sperimentato in una situazione traumatica di rifiuto e abbandono, fino a una chiara consapevolezza del potenziale pericolo di subire un rifiuto. Le paure fondamentali e arcaiche presenti nella vergogna sono: la perdita dell’oggetto e la perdita del Sé.
Colui che non è amato smette di amare sé stesso e ha la sensazione di essere una nullità. La paura di fondo con cui ci si deve confrontare è dunque la paura di questa perdita totale dell’oggetto e del Sé. La funzione segnale dell’angoscia in generale può essere orientata verso la realtà esterna o verso la realtà interna. Nella vergogna il pericolo che viene anticipato nella realtà esterna è quello del rifiuto in tutte le sue possibili forme. Il pericolo rispetto alla realtà interna può essere rappresentato, da un lato, da un desiderio di autoesposizione e curiosità, e dall’altro, da una rigida autocondanna per aver fallito rispetto alla meta interna, spesso perché tale meta, aveva origine in un stravagante sistema (narcisistico) di aspettative personali.
Verso il polo del continuum in cui funziona come segnale, l’angoscia di vergogna sembra indicare uno stato di tensione e guidare l’Io a ridurre l’eccitamento con qualche mezzo adeguato (ad esempio con una rinuncia cosciente o con l’evitamento di una situazione d’esposizione).
Verso il polo traumatico del continuum, l’angoscia di vergogna ha una qualità pulsionale. In queste condizioni estreme di angoscia di vergogna, l’inibizione può apparire nella forma di un blocco non specifico (c ongelamento) di tutti i sentimenti
desideri, azioni e percezioni (L. Spiegel, 1966). Questa inibizione o blocco primario, non è più vergogna, bensì un precursore molto primitivo di uno degli elementi strutturali della vergogna: il nascondimento.
17.1 Lo scopo dell’angoscia di vergogna: nascondersi
Sia l’angoscia di vergogna arcaica e traumatica, sia l’angoscia segnale, esitano in un modello specifico di comportamento orientato nella direzione dell’isolamento della persona dalla situazione di pericolo. Potremmo chiamarlo lo “scopo” della vergogna. Tutti gli affetti possiedono uno scopo intrinseco: l’angoscia in generale ha lo scopo di promuovere la fuga, tele o metaforica, globale (scappare via) o parziale (nascondere o dimenticare). L’angoscia di vergogna porta a una reazione di evitamento nella forma di un nascondimento e di un blocco delle attività percettive che sono utilizzate a fini pulsionali. Questa reazione di evitamento può essere considerata una forma molto arcaica di restrizione pulsionale (M. Schur, 1966) contro le richieste pulsionali più globali di fusione con l’oggetto, di imposizione del proprio potere su di esso o di sottomissione al suo potere.
Lo scopo della vergogna è la scomparsa. Questa può essere ottenuta, nel modo più semplice, attraverso il nascondimento; oppure, più radicalmente, nella forma di dissoluzione (il suicidio). Esistono anche altri modi per scomparire: il più arcaico compare sotto forma di “congelamento” ottenuto tramite paralisi e stupore e quello più comune comporta una modificazione del carattere.
17.2 La vergogna come formazione reattiva
La conclusione del processo della vergogna in quanto affetto complesso è la “vergogna come prevenzione”, come “atteggiamento caratteriale che previene un’esposizione pericolosa”. Questa terza forma di vergogna ( accanto all’angoscia di vergogna e alla vergogna in quanto modello complesso di reazione affettiva e cognitiva) è una forma di quella che Freud ha chiamato “formazione reattiva”. Stiamo parlando di un meccanismo di difesa che consiste nello “spostamento” di un’idea o di un sentimento doloroso verso la consapevolezza cosciente mediante un loro opposto (B. E. Moore e B. D. Fine, 1968). In pratica, con l’aiuto di questa difesa, una pulsione terrificante viene sostituita dal suo opposto; questo opposto viene ancorato a un atteggiamento caratteriale più o meno permanente. La vergogna come atteggiamento caratteriale, è una delle forme più comunemente definite, è quella di una controforza diretta contro le pulsioni parziali del guardare e dell’esibire.
La tendenza a mostrare la propria persona o a trarre piacere dal fatto di guardare gli altri viene contrastata dallo sviluppo della modestia personale e della vergogna (E. Jones, 1910). Tale forza diventa una struttura solida che previene l’emergere di queste pulsioni pur facendo ammenda a causa di questi desideri. In molti casi, questa struttura di carattere diretta contro ogni potenziale esposizione è massiccia e rigida: l’intero carattere può mostrare una grave costrizione, poiché il soggetto rimane costantemente in guardia contro ogni possibile esperienza di vergogna. In tal caso il soggetto non è soltanto timido e ritirato nel comportamento generale, ma il suo pensiero e i suoi sentimenti possono essere ristretti e lasciati liberi di occupare solo certe aree sicure ( ad esempio i sogni ad occhi aperti). Un atteggiamento di sicurezza e curiosità, originalità e creatività sono soffocati da una sensazione pervasiva di fallimento, imbarazzo e autocondanna.
Una manifestazione tipica di questo atteggiamento rigido di prevenzione della vergogna è la tendenza a esercitare un controllo eccessivo sulla muscolatura facciale. La sensazione soggettiva è quella di un volto teso e congelato. La fisionomia risulta rigida, controllata l’andatura può apparire simile a quella di una marionetta.
Una forma opposta di formazione reattiva, questa volta diretta contro l’angoscia di vergogna (non contro le pulsioni sottostanti), è l’atteggiamento controfobico descritto da Fenichel in un caso in cui l’atteggiamento di spudoratezza costituiva una formazione reattiva contro un periodo precedente fortemente caratterizzato da vergogna intensa. Questo fenomeno parrebbe costituire ciò che Fenichel definisce una “formazione reattiva contro una formazione reattiva”.
Altre deformazioni caratterologiche che hanno a che fare con una grave vergogna sottostante sono costituite dai caratteri sprezzanti e astiosi Probabilmente essi sono fondati su un’inversione pulsionale caratterologicamente fissa, che rivolge l’aggressività verso l’esterno e in particolare verso l’oggetto. Si cerca di dimostrare che impotente e disprezzabile è l’altro: “Lo derido, così non sarà lui a deridere me”.
17.3 La spudoratezza della vergogna
Si possono isolare due atteggiamenti di base: il primo si fonda su una tendenza alla generalizzazione, in cui tutti gli ideali vengono liquidati, mentre l’altro si caratterizza per una scarsa considerazione soprattutto dei sentimenti, della compassione e dell’impegno, connotando una condizione in cui l’individuo non prova vergogna a vedersi come una persona crudele, sleale, promiscua e priva di principi. Quest’ultima situazione costituisce una forma di sfacciata e arrogante perdita del pudore, una perdita di vergogna in quanto atteggiamento. Una tale condizione di impudenza può essere confrontata col contesto più vasto offerto dalla prima situazione, cioè quella caratterizzata dalla tendenza a lottare contro i valori in generale.
La spudoratezza non è semplicemente una regressione a un livello precedente a quello in cui si stabilisce la barriera della vergogna. E’ piuttosto, al pari del sadismo, il risultato di una stratificazione complessa di difese. La spudoratezza superficiale rispetto a temi quali il tradimento, la provocazione sessuale e l’esibizionismo, associata alla tendenza ad abusare sfacciatamente degli altri e a un atteggiamento intrepido nei confronti del timore della presa in giro e della derisione, è un’esibizione provocatoria del “potere” in forma mascherata. I punti di debolezza di cui la persona può provare vergogna hanno a che fare con i sentimenti teneri, con la gentilezza e il calore: queste emozioni sono forme di soggiogamento e devono essere vietate a qualunque costo.
La persona spudorata è una variante del “delinquente per senso di colpa”, che compie un crimine per potersi finalmente sentire in colpa ed espiare una cattiva azione nota e ben definita, preferendo questa possibilità al rimanere incastrato in una sensazione vaga e informe di senso di colpa interiore, collegata con un desiderio inconscia. Tale meccanismo può essere visto come una formazione reattiva contro una formazione reattiva” (O. Fenichel, 1941), una violazione sfacciata del tabù per difendessi dal senso di colpa che a sua volta è stato attivato per difendersi dalla violazione di un tabù ancora più profondo. Allo stesso modo, la spudoratezza è una formazione reattiva contro la vergogna, che a sua volta è una formazione reattiva contro desideri delofilici e teatofilici. Superficialmente, essa appare soltanto come vergogna spostata.
La persona “spudorata”, così come quella “congelata” o quella spietata, agisce nel tentativo di evitare il terrore psicotico o quasi psicotico collegato con la possibilità di mostrare uno qualsiasi dei suoi sentimenti, dal momento che ritiene che chiunque li percepisse, avrebbe subìto la capacità di imporgli il suo potere. Mostrare i propri sentimenti, o anche uno solo di essi, equivarrebbe a una perdita completa di sé stessi. E questa fondamentalmente la vergogna pervasiva del bambino esposto all’intrusività tirannica e all’estrema tendenza alla manipolazione da parte di un genitore dominante, cioè una formazione generalizzata e arcaica di vergogna della quale ci si difende e che tiene nascosta appunto grazie a una tale forma di comportamento insensibile e spudorato, che viene così a costituire la forma ultima di mascheramento.
La possibilità di cogliere questa connessione può diventare molto importante nel trattamento delle cosiddette sociopatie, ma anche dei pazienti psicotici o quasi psicotici. La tendenza continua di questi pazienti a suscitare odio, rabbia e orrore può essere allora letta come un loro tentativo di non sperimentare la propria vergogna profonda.
17.4 Le funzioni psico-sociali della vergogna
Come Lewis ha indicato, la vergogna aumenta la permeabilità dei limiti del sè, infatti un individuo, è più vulnerabile in stato di vergogna. La sensibilità alla vergogna rende possibile sperimentare vergogna per un’altra persona. Il fatto che la vergogna è generalmente suscitata dalle parole e azioni degli altri, garantisce un grado di sensibilità alle opinioni e ai sentimenti di altra gente, in particolare alle persone con cui abbiamo relazioni emozionali e le cui opinioni noi valutiamo.
La vergogna coinvolge elevata auto-colpevolezza e rossore, coinvolge una più grande consapevolezza del corpo che le altre emozioni.
Questa sensibilità per il sè e per il corpo che si ottiene nella vergogna, può servire certe utili funzioni di natura sia biologica sia psicologica; può inspirare l’individuo a praticare una buona igiene, e da qui, controllare la propria salute. Può anche spingere uno alla propria cura e al vestire e così aumenta la propria socievolezza.
Negli studi di Duval e Wickland (1974), gli sperimentatori indussero l’oggettiva auto-coscienza spingendo il soggetto a vedere se stesso o se stessa in errore, inetto o in qualche modo diverso dal suo standard di correttezza. I loro risultati stabiliscono che tale auto-coscienza oggettiva è un’aspetto dell’esperienza di vergogna.
Inoltre, la persona auto-consapevole diventa più auto-critica. Essi dimostrano che il fuoco dell’attenzione sul sè, costringe l’individuo ad essere conscio della discrepanza interna, e a subire una riduzione che risulta dal cadere del personale standard di correttezza. Un altro modo nel quale il concetto di oggettiva auto-coscienza di Duval e Wickland coincide con il concetto di vergogna, è il loro credere che l’auto-coscienza oggettiva tenda a generare sentimenti di passività e impotenza.
Duval e Wickland, hanno sottolineato che una delle determinanti importanti dell’emergente autoconsapevolezza oggettiva, è la consapevolezza dell’individuo di essere osservato dagli altri.
CAPITOLO DICIOTTESIMO
CONCLUSIONI: Alcune questioni generali riguardanti l’analisi della vergogna
L’intensità della vergogna che una persona sperimenta è determinata da fattori sia costituzionali che ambientali. Sebbene la vergogna non sia presente alla nascita, comincia ad apparire nella prima infanzia e può ricevere un grosso rinforzo o un’accentuazione durante la fase edipica o la fase di latenza. Man mano che lo sviluppo procede, la vergogna tende a concentrarsi sugli aspetti del Sé che sono esposti agli altri e può perciò manifestarsi attraverso preoccupazioni ossessive per certe parti del corpo.
Le ossessioni a cui la vergogna dà luogo possono essere sottoposte a spostamento. In molti casi la causa della vergogna intensa viene spostata dal Sé su un oggetto esterno: un parente, un amico ecc. Per esempio non è raro che un adolescente provi una forte vergogna per i suoi genitori e che cerchi di evitare di essere visto insieme a loro. Ci sono persone assai sensibili che reagiscono alle critiche o ai rifiuti sperimentando una vergogna intensa sin dalle primissime epoche della vita. Tendono spesso ad essere piuttosto riservate e possono essere erroneamente vissute dagli altri come degli snob. Queste persone molto sensibili, sviluppano spesso tendenze perfezionistiche, nella speranza di raggiungere una condizione che li ponga al di sopra di qualsiasi critica. Tendono anche a prestare molta attenzione agli atteggiamenti altrui e possono modificare il loro comportamento in modi estremi al fine di evitare le critiche. Sebbene possano avere un forte desiderio di essere al centro dell’attenzione, tendono a non realizzare mai questo desiderio, a causa del timore di poter essere criticati o rifiutati. I pazienti schizofrenici sono molto sensibili alle critiche e sperimentano intensi sentimenti di vergogna. Proprio a causa della loro sensibilità, diventano spesso molto timidi (E. Jacobson 1974).
Le persone sensibili che mostrano forti reazioni primarie alla vergogna sperimentano spesso, oltre a questa, una vergogna secondaria, che può essere descritta come un ” provare vergogna per il fatto di avere forti reazioni di vergogna”. Questa vergogna secondaria si concentra spesso sulla predisposizione a essere indotto alla vergogna dagli altri, oppure sulle inibizioni che conseguono a questa sensibilità. è un dato comune che i pazienti cerchino di controagire la loro vergogna secondaria negando di essere sensibili, denegando la loro inibizioni. Quando la vergogna intensa ammanta di sé le risposte affettive normali di una persona, le relazioni interpersonali ne possono soffrire. Sebbene l’alleviamento della vergogna nel corso di un’analisi dipenda soprattutto dall’acquisizione dell’insight da parte del paziente, una certa attenuazione può derivare anche soltanto dagli sforzi che il paziente fa per comunicare con l’analista. Quando un paziente introduce un nuovo tema pur vergognandosene, il fatto stesso di verbalizzare quell’argomento tende a mitigare la vergogna. La neutralità dell’analista è molto importante in questa situazione: l’analista, infatti, non esprime alcun atteggiamento intollerante nei confronti del paziente ,e non reagisce, a sua volta, con vergogna alla sua comunicazione, segnalandogli così di non voler evitare di parlare delle cose che suscitano la vergogna del paziente.
Di fatto l’analista assume un atteggiamento serio, finalizzato alla diluizione della vergogna e resta pronto a ricevere ulteriori comunicazioni del paziente. Quando la vergogna primaria produce una pesante situazione di stallo, il paziente può sviluppare un’intensa vergogna secondaria per questo stesso blocco e può avere la sensazione di un fallimento nella situazione analitica. In conseguenza a ciò può manifestare una risposta depressiva al trattamento, spesso espressa da un’aumentata riluttanza a venire in seduta. Se si riesce a chiarire la vergogna secondaria, il paziente diventa, di solito, più tollerante nei confronti della situazione di stallo e la reazione depressiva al trattamento scompare.
Man mano che l’analisi procede anche i blocchi tendono a scomparire. Questo cambiamento dipende in misura notevole dalla chiarificazione che l’analista opera sulla vergogna primaria, la vera responsabile dei blocchi. La chiarificazione è facilitata dall’impiego di termini come “preoccupazione”, “imbarazzo”, “vergogna” e “umiliazione”, usati nei tempi giusti, i quali offrono al paziente alcune utili etichette da applicare ai suoi sentimenti e reazioni di fondo. Talvolta l’analista può rafforzare la vergogna secondaria per cercare di controbattere le tendenze del paziente a utilizzare la resistenza. Per esempio, si può dire al paziente che, per favorire la possibilità di successo dell’analisi, deve cercare di sforzarsi di esprimere i suoi pensieri e le sue fantasie. Un invito di questo genere può far provare vergogna al paziente, poiché sembra suggerire che l’analista sarà deluso se lui non continuerà a combattere le sue resistenze. Inoltre l’aspettativa dell’analista che il paziente sia sincero e aperto contiene in sé una minaccia di disapprovazione se accade che il paziente usi la disonestà come meccanismo di difesa. In molti casi, l’analista deve continuare a stimolare l’autoesposizione del paziente ricordandogli la necessità di esprimere in modo dettagliato le sue comunicazioni. A volte, un’ipotesi “esplorativa” può aiutare a superare la barriera della vergogna. La maggior parte dell’analisi della vergogna deve concentrarsi sulla “paura di sperimentare la vergogna”, un fenomeno chiamato “angoscia di vergogna”(S. Lewin, 1964). Questa angoscia, viene sentita soprattutto come una combinazione di imbarazzo e di timore all’idea di essere svergognati dagli altri. Durante il processo evolutivo, man mano che vengono acquisite le tecniche più adatte per l’evitamento della vergogna, l’angoscia di vergogna, viene sempre più trasformata in una forma di angoscia segnale (O. Fenichel, 1951).
Quando l’angoscia di vergogna viene sottoposta a un’indagine dettagliata, si scopre che è composta da una serie di paure specifiche, che sono per la maggior parte inconsce e che tendono a entrare a far parte del transfert. I contenuti di queste paure includono fattori tra i quali aspetti specifici del Sé per la cui presenza ci si può aspettare di dover provare vergogna e le circostanze in cui ci si può aspettare di provare vergogna, la persone che possono provocare l’innesco di una reazione di vergogna ecc. Sembra evidente che la maggior parte di questi contenuti derivano da esperienze passate. Tuttavia, alcuni contenuti hanno origine nella realtà presente, che contiene sempre molti fattori che realisticamente possono provocare una reazione di vergogna. Nella valutazione di queste possibilità, l’Io funziona come un computer che processa in continuazione i dati dell’esperienza nel tentativo di determinare quali sono le qualità che hanno più probabilità di suscitare una risposta inducente vergogna e quali, invece, possono suscitare la stima altrui. Queste valutazioni comportano l’integrazione di esperienze passate e presenti che avviene a livello inconscio. I processi inconsci che permettono all’Io di organizzare le sue difese, possono essere portati a livello cosciente e analizzati. Non è raro che un paziente entri in analisi con la speranza inconscia di raggiungere una condizione di relativa libertà dalla vergogna. Questi pazienti tendono a sottostimare le reazioni di vergogna degli altri e possono provare un’intensa invidia per le persone che sembrano capaci di mantenere un equilibrio stabile.
Possono anche avere la sensazione erronea che l’analista sia una persona libera dalla vergogna. Questo tipo di distorsione permette al paziente di mantenere l’aspettativa irrealistica di potere sradicare completamente la sua vergogna diventando uguale a una persona da lui idealizzata. Quando anche l’analista giunge all’aspettativa irrealistica di sradicare la vergogna del paziente, si rafforza in quest’ultimo la speranza di poter giungere a una condizione di libertà dalla vergogna. è possibile mitigare la vergogna di un paziente se lo si porta a prendere piena consapevolezza del fatto che anche gli altri sperimentano sentimenti di vergogna del tutto simili ai suoi. Questo paziente può, allora, vedere gli altri come dei compagni di sventura piuttosto che come dei rivali da invidiare e può parlare in termini più realistici delle persone in generale, senza dover estremizzare le differenze fra sé stesso e gli altri. I pazienti controfobici possono comportarsi con una modalità che può essere definita “controvergogna”. Alcuni sembrano privi della capacità di provare vergogna e possono mostrare comportamenti del tutto inappropriati senza sperimentare ne imbarazzo, ne sensibilità alle critiche. A un’analisi attenta, tuttavia, si scopre che la vergogna è stata in realtà rimossa e che, come difesa ausiliaria, gli atteggiamenti critici degli altri, vengono denegati.
Quando queste difese vengono analizzate in modo efficace, possono svilupparsi risposte di vergogna più normali e i comportamenti inappropriati tendono a scomparire. Il paziente che presenta un’intensa controvergogna può anche avere un forte bisogno di sconvolgere gli altri. Non è raro che questo bisogno sia del tutto inconscio e che il paziente non sia consapevole degli effetti sconvolgenti che le sue azioni hanno sugli altri. Inoltre, bisogna sottolineare che quando le persone cercano di evitare di avere contatti con lui, il paziente può non riuscire a capire come mai si comportano così. Può essere necessaria una lunga analisi prima che un paziente di questo tipo possa rendersi conto del fatto che gli altri cercano di evitarlo per proteggersi dall’imbarazzo che altrimenti, sarebbero costretti a sperimentare.
Questa presa di coscienza è di solito accompagnata anche dalla comparsa della consapevolezza del bisogno di sconvolgere gli altri e da una tendenza a sforzarsi di esercitare un controllo su questo bisogno. Di conseguenza, di solito il paziente diventa più capace di analizzare la vergogna che precedentemente teneva del tutto isolata. Talvolta, un paziente che si comporta in modo inappropriato, non isola la vergogna ma la sperimenta come un sintomo doloroso che spera di poter eliminare mediante la psicanalisi. Questo desiderio è irrealistico e il paziente deve essere aiutato a rendersi conto che, per proteggersi dalla vergogna eccessiva, dovrà imparare a controllare i suoi comportamenti inadeguati. Anche nel caso fosse possibile costruire in lui una serie di difese contro la vergogna, la qualità delle sue relazioni con gli altri, continuerebbe, comunque ad essere insoddisfacente. Anche l’infantile “desiderio di perfezione”, che è spesso una motivazione importante per il trattamento, deve essere analizzato con riferimento ai sentimenti di vergogna ad esso sottostanti. Quando l’analista comincia ad indicare al paziente che il suo desiderio di perfezione rappresenta un desiderio di evitare la vergogna rendendosi invulnerabile alle critiche, il paziente può mostrare una forte resistenza ad accettare quest’idea. Questi pazienti possono concentrare tutta la loro attenzione sul tentativo di richiamare alla mente ricordi infantili.
Anche se questi sforzi possono facilitare l’analisi genetica della vergogna, possono però, anche fungere da punti di maggiore resistenza all’analisi rispetto alle reazioni di vergogna attuali. Una volta che sia stato possibile superare queste resistenze e giungere a un’analisi più chiara della vergogna attuale, il desiderio di perfezione tende a scomparire e si tende ad accettare meglio i compromessi. Inoltre, poiché anche il senso di realtà migliora, il paziente si rende conto non soltanto che i sentimenti di vergogna sono universali, ma anche che essi sono un mediatore essenziale nelle relazioni interpersonali normali (S. Lewin.).
Non è affatto raro che i giovani che fanno il loro ingresso nel mondo della relazioni sessuali sperimentano sensazioni intense di vergogna che ne ostacolano il soddisfacimento. Con il ripetersi della attività sessuali, può instaurarsi un certo sollievo dalla vergogna. Ma in molte persone questo effetto benefico non si verifica, perché la vergogna rimane inconscia. Se, a questo punto, la persona entra in terapia e i pensieri, sentimenti e impulsi vergognosi sottostanti sono portati alla coscienza, può finalmente aver luogo una diminuzione della vergogna; l’attività sessuale può allora produrre quel soddisfacimento che il soggetto si era aspettato.
L’esperienza di essere preso in giro dagli altri, così comune durante l’adolescenza, tende a diminuire considerevolmente quando si raggiunge l’età adulta. Tuttavia, quando un soggetto molto predisposto a sperimentare la vergogna arriva all’età adulta, può continuare ad aspettarsi in modo irrealistico da essere preso in giro da chi gli sta vicino e ad avere atteggiamenti ritirati o una tendenza difensiva a prendere lui in giro gli altri. L’analisi può aiutarlo a rendersi conto che la sua aspettativa di essere preso in giro dagli altri è irrealistica e dipende dal persistere delle sue reazioni adolescenziali alla vergogna. Man mano che questa presa di coscienza viene acquisita, gli atteggiamenti difensivi possono scomparire, e il paziente può cominciare a comunicare con gli altri in modo più normale.
Quando la terapia psicoanalitica funziona e la vergogna può essere mitigata, molti pensieri, sentimenti e impulsi che erano stati rimossi appunto a causa della vergogna, diventano consci. e il paziente è in grado di rinunciare ad alcuni dei suoi tratti di riserbo e riesce a presentare agli altri una maggiore quantità dei suoi pensieri, sentimenti ed impulsi, può aver luogo un’ulteriore diminuzione della vergogna , collegata col fatto che il rifiuto da parte degli altri che il paziente si era prefigurato, non si verifica. Questo aspetto del processo terapeutico costituisce una forma di rielaborazione.
Il processo della rielaborazione comporta un confronto graduale con esperienze nuove e può anche passare attraverso un’espansione corrispondente dell’attività sessuale.
Quando un paziente si sente pronto ad affrontare una nuova esperienza col chiaro intento di padroneggiare la sua vergogna, deve procedere lentamente, per evitare dei sperimentare livelli troppo travolgenti di vergogna, che potrebbero portarlo ad un regresso nel suo progetto di completare l’impresa. Prima di decidere di intraprendere un nuovo corso d’azione, il paziente deve prendere in considerazione le reazioni emotive che gli potrà capitare di sperimentare. Ad esempio, se ha difficoltà a parlare in pubblico, può essere saggio che eviti di confrontarsi, come prima prova, con un uditorio molto numeroso. Se invece ha problemi di socializzazione, può essere una buona idea evitare di procedere nelle sue nuove esperienze se non dopo che un ulteriore periodo di analisi sia riuscito ad accrescerne la sua tolleranza.
Sebbene l’analisi della vergogna appartenga soprattutto alla categoria dell’analisi dell’Io, una parte significativa appartiene all’analisi dell’ideale dell’Io e comporta l’esplorazione di numerosi atteggiamenti “positivi” e “negativi” dell’ideale dell’Io (S.M. Kaplan e R.M. Whitman, 1965). Inoltre, la vergogna deve essere analizzata in coincidenza con ogni nuova fase del trattamento, dato che essa rappresenta una delle principali cause delle difese. Per esempio, quando un giovane paziente entra in analisi, la sua paura di essere ferito dall’analista può risultare in gran parte rimossa per motivi che hanno a che fare con la vergogna. Perciò la vergogna deve essere analizzata per prima se si vuole allentare la rimozione e far giungere alla coscienza la paura dell’analista. Man mano che l’analisi procede, si può scoprire che la rabbia del paziente nei confronti dell’analista è rimossa a causa della vergogna; anche in questo caso, la vergogna deve essere analizzata per prima se si vuole portare la rabbia alla coscienza. In seguito, può diventare evidente che i sentimenti sessuali del paziente che hanno per oggetto l’analista sono a loro volta rimossi per ragioni collegate alla vergogna, e dunque se si vuole arrivare a portarli alla luce si dovrà ancora una volta partire dall’analisi della vergogna. Ognuno di questi passaggi può prevedere non solo la necessità di operare un’attenta analisi dell’Io e del Super-io, ma anche degli aspetti genetici.
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Fonte: http://www.psicologi-psicoterapeuti.info/public/pubblicazioni/269.doc
Sito web da visitare: http://www.psicologi-psicoterapeuti.info/
Autore del testo: M.CARRARA
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