Intelligenza emotiva

Intelligenza emotiva

 

 

 

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Intelligenza emotiva

Peter Salovey and David J. Sluyter (a cura di)
“Emotional development and Emotional Intelligence: educational implications”
1997 New York: Basic Books.

 

CHE COS’È L’INTELLIGENZA EMOTIVA?
Mayer e Salovey

 

Definizione di INTELLIGENZA EMOTIVA (IE):
l’abilità di percepire correttamente, di valutare ed esprimere le emozioni, l’abilità di accedere e/o generare le emozioni che favoriscono i processi di pensiero; l’abilità di comprendere le emozioni e ciò che concerne la conoscenza emotiva; l’abilità di regolare le emozioni che favoriscono la crescita emotiva ed intellettiva.

Questa definizione mette insieme l’idea che l’emozione è in grado di rendere i processi di pensiero più intelligenti con l’idea che si possa pensare alle emozioni come qualcosa che ha una qualche razionalità intrinseca (come qualcosa di intelligente) .

Relazione tra intelligenza emotiva e intelligenza

 

Come si sviluppa il concetto di IE all’interno di una disciplina scientifica quale la psicologia? Per identificare un certo tipo di intelligenza in  psicologia e necessario:

  • Definire cos’è
  • Sviluppare uno strumento per misurarla
  • Documentare la sua parziale o totale indipendenza da altri tipi di intelligenza noti
  • Dimostrare che è in grado di predire qualche criterio reale /concreto

Il punto 3 in particolare è ciò che ha permesso agli psicologi che si occupano di intelligenza emotiva di affermarne l’esistenza. Ciò che si propone è che ci sia non una totale assenza di correlazione con altri tipo di intelligenza,  ma almeno un livello medio-basso di correlazione che permetta di rimanere nel dominio semantico di ciò che si intende per intelligenza, pur individuando qualcosa di differenziato rispetto a ciò che è già stato individuato come intelligenze specifiche.
Guilford e Hoepfner (1971), per primi, e Gardner in tempi più recenti (1983; 1993;1995), hanno messo in luce l’esistenza di più tipi di intelligenza o, come sostiene Gardner, di una intelligenza multipla. Quest’ultima comprenderebbe l’intelligenza linguistica, musicale, corporeo-cinestesica, e una serie di intelligenze individuali all’interno delle quali si potrebbe collocare quella che teorizziamo essere l’IE.
Malgrado la distinzione in più o meno numerose tipologie di intelligenza (cfr. anche Thurstone, 1938)  ciò che emerge è fondamentalmente la ripartizione in intelligenze verbali-proposizionali, spaziali-performative e sociali (quest’ultima sarebbe trasversale alle altre due, ad esempio, nella più nota scala di intelligenza WAIS).
Tuttavia quando si parla di IE non si può dire che essa sia totalmente compresa in quella che viene definita intelligenza sociale e neppure negli aspetti motivazionali spesso implicati nei processi emotivi (cfr. ad esempio la descrizione divulgativa di IE operata da Goleman nel suo best seller).

Per concludere l’IE è correlata, ma distinta da altri tipi di intelligenza,
L’IE è pure distinta dai tratti (modi caratteristici e/o preferenziali di comportarsi: es. essere timido, riservato, estroverso) e dai talenti (abilità non intellettuali quale, ad esempio, l’abilità nello sport).

Relazione tra intelligenza emotiva ed emozioni

È vero che le emozioni irrompono nella vita dell’individuo a disturbare l’efficace approccio razionale alla risoluzione dei problemi?
La risposta è NO. L’emozione, al contrario è ciò che permette di interrompere l’azione diretta ad uno scopo, ad un obiettivo, per spostare l’attenzione e focalizzarla su qualcosa di vitale importanza per l’individuo.
L’IE ha dunque a che fare con il ragionamento emotivo della vita quotidiana in quanto
LE EMOZIONI FORNISCONO IMPORTANTI CONOSCENZE

SULLA RELAZIONE DELLA PERSONA CON IL MONDO ESTERNO

Per meglio comprendere che cosa si intende con questa frase basti pensare all’esempio concreto di alcune emozioni:
Paura: ci avverte della presenza di una minaccia incontrollabile e/o della propria impotenza di fronte al pericolo.
Gioia: fornisce conoscenza sulla relazione appagante ed armonica con le altre persone.
Rabbia: ci permette di percepire il senso di ingiustizia di specifici accadimenti.
E così via…
Ne consegue che ci sono regole generali per valutare la realtà e leggi che sono proprie delle emozioni e ci forniscono tutta una serie di importanti conoscenze sul mondo e sulla nostra relazione con esso.  Tali leggi specifiche possono essere agevolmente impiegate per riconoscere le emozioni (ad esempio le regole che governano la complessa e variegata gamma di espressioni facciali delle emozioni) e anche per ragionare su di esse: per esempio ricevere un insulto da una persona può provocare in noi rabbia, vergogna o colpa, riconoscere e distinguere queste diverse risposte emotive  è una funzione specifica dell’IE.
Vista in questa prospettiva sembrerebbe che l’IE fornisca risposte corrette su come ci si debba sentire nelle diverse situazioni o come si debba reagire quando si è adeguati. Ma esiste davvero un modo corretto di rispondere emotivamente? Esiste la “reazione emotiva corretta”?
Facciamo un esempio concreto: come si dovrebbe reagire ad una persona che ci urla contro?
In una famiglia in cui si urla sempre malgrado scorra una positiva corrente affettiva tra i membri e vi sia un buon legame tra tutti, il bambino apprende che in situazioni di frustrazione può essere lecito urlare, o meglio, che la modalità principale di reagire è quella di urlare per esprimere la frustrazione e il disagio. In questo caso il bambino cresce adeguatamente in un contesto in cui si urla, e i sente a proprio agio anche in mezzo alle urla.
Diversamente, in una famiglia in cui non si è mai urlato ad eccezione di una sfuriata tra i genitori che ha preceduto il divorzio il bambino assocerà il tradimento, la delusione, il profondo dolore alle urla e probabilmente svilupperà una tale repulsione per le urla che le avvertirà come intollerabili.
La risposta dunque è che la reazione emozionale adeguata è strettamente dipendente dall’ambiente familiare in cui l’individuo è cresciuto e l’ambiente culturale e sociale in cui tale contesto è inserito.
La definizione più completa e sistematizzata di IE è data dal complesso articolarsi di 16 abilità che si ritiene un individuo debba acquisire per poter affermare che agisce secondo alti livelli di intelligenza emotiva.
Tali capacità/abilità sono raggruppabili in 4 categorie che vanno dai processi psicologici più semplici e basilari ai processi psicologici più complessi e integrati (cfr. gruppi da 1 a 4) e all’interno di ciascuna categoria, poi, l’acquisizione delle abilità procede secondo il grado di sviluppo che ogni individuo raggiunge con il procedere dell’età (dalle acquisizioni più precoci, es. 1.a ; 2.a; a quelle che richiedono maggiore maturazione individuale es. 1.d. e 2.d.).
Leggendo il diagramma sotto illustrato,  in questa prospettiva (dal basso verso l’alto, procedendo dal raggruppamento 1 al raggruppamento 4) e da sinistra a destra (dalle abilità “a” alle abilità “d”) si giunge alla comprensione dello sviluppo dell’IE nel suo complesso.


4 - Regolazione consapevole delle emozioni che promuove la crescita emozionale e intellettiva


2 - Facilitazione emozionale del pensiero


Una Definizione Riveduta e una Concettualizzazione dell’Intelligenza Emotiva

Nel nostro lavoro precedente abbiamo definito l’intelligenza emotiva secondo le abilitá in essa coinvolte. Una nostra prima definizione é stata: “L’abilitá di controllare i sentimenti e le emozioni proprie e altrui, di distinguere tra di esse e di utilizzare queste informazioni per guidare i propri pensieri e le proprie azioni. Adesso, peró, questa definizione e altre precedenti sembrano a volte imprecise e prive del ragionamento sui sentimenti, trattando solo la percezione e la regolazione delle emozioni. Una definizione che supera questi problemi potrebbe essere la seguente:

‘L’intelligenza emotiva coinvolge l’abilitá di percepire, valutare ed esprimere   un’emozione; l’abilitá di accedere ai sentimenti e/o crearli quando facilitano i pensieri; l’abilitá di capire l’emozione e la conoscenza emotiva e l’abilitá di regolare le emozioni per promuovere la crescita emotiva e intellettuale. (Vedi fig 1)

I quattro rami del diagramma dispongono in ordine crescente i processi psicologici,da quelli di base a quelli piú alti e piú integrati. La prima fila di caselle riguarda le abilitá (relativamente semplici) del percepire ed esprimere le emozioni. L’ultima fila, a differenza della prima,  tratta la regolazione conscia e riflessiva di una emozione. Ogni fila ha quattro caselle, con al loro interno le abilitá rappresentative. Le abilitá che emergono presto nello sviluppo rimangono alla sinistra; quelle che emergono piú tardi alla destra. Quelle alla sinistra sono di solito mal equilibrate una con l’altra; per cui si notano bene le distinzioni tra i quattro rami. Le abilitá che si sviluppano piú tardi (verso la destra) emergono in una personalitá piú adulta e di conseguenza sono meno distinte. Ogni abilitá si riferisce alle emozioni proprie e altrui, tranne dove segnalato diversamente. Le persone ricche di intelligenza emotiva dovrebbero passare piú velocemente da una abilità all’altra e saperne utilizzare un maggior numero.

1. Percezione, valutazione ed espressione dell'emozione
Il primo ramo più in basso, riguarda la precisione con cui gli individui possono identificare le emozioni e il contenuto emozionale. Gli infanti e i bambini imparano ad identificare i propri stati d'animo e quelli degli altri e sanno distinguerli.
Il bambino impara presto a riconoscere le espressioni facciali che riguardano le emozioni e a rispondere a quelle dei propri genitori.  Man mano che crescerà, identificherà sempre più accuratamente le sue sensazioni muscolari e corporali e quelle dell'ambiente sociale circostante.
Un individuo adulto può controllare attentamente le sue sensazioni interne. Se si chiede ad un adulto che sta in piedi fino a tardi come si sente, probabilmente risponderà che in parte è pieno di energia, che in parte è stanco ed è ansionso perchè non ha ben chiaro ciò che prova.
E' possibile riconoscere non solo i propri sentimenti, ma anche quelli degli altri e delle altre cose. Mentre cresce il bambino attribuisce sentimenti alle cose  animate e a quelle inanimate attraverso l'immaginazione. L'immaginazione probabilmente aiuta il bambino a generalizzare e a distinguere se stesso dagli altri. E' in grado di capire quando è lui ad essere ansioso e conosce un ristretta gamma di atteggiamenti, che gli permettono di distinguere la condizione psichica degli animali, degli altri bambini e degli oggetti. Un individuo che ha sviluppato un'intelligenza emotiva adeguata, è in grado di valutare e comprendere l'emozione in qualsiasi forma essa sia espressa: nelle altre persone, nell'architettura, nelle opere d'arte e così via...
Infatti, quando guardiamo "L'urlo", il famoso dipinto di Munch, non solo riconosciamo immediatamente l'espressione ansiosa del viso, ma ci accorgiamo di come lo stesso sfondo del dipinto, che si dissolve nel nulla, esprime il medesimo stato d'animo.
L'individuo,oltre a saper esprimere adeguatamente i sentimenti, è anche in grado di riconoscere i bisogni sottostanti quest'ultimi. Poichè gli individui emotivamente intelligenti sanno come esprimere e manifestare le emozioni e  sono anche in grado di sentire quando non sono autentiche e quando vengono "utilizzate" per manipolare.  
2. L’abilità di accedere e/o generare le emozioni che favoriscono i processi di pensiero

Il prossimo aspetto, “L’abilità di accedere e/o generare le emozioni che favoriscono i processi di pensiero”, concerne l’agire dell’emozione sull’intelligenza. Esso descrive gli eventi emozionali che facilitano i processi intellettivi. L’emozione assolve la funzione di un sistema di allerta essenzialmente dalla nascita. L’infante piange quando ha bisogno di latte, calore, o altre cure, e i ride in risposta a sorrisi ed altri piaceri. L’emozione opera così sin dall’inizio per segnalare cambiamenti importanti nella persona e nell’ambiente. Come la persona matura, le emozioni iniziano a modellare e far progredire il pensiero dirigendo l’attenzione della persona verso cambiamenti importanti. Per esempio, un bambino è preoccupato dei suoi compiti mentre guarda la TV. Un insegnante si mette in apprensione per una lezione che deve essere completata per il giorno successivo. L’insegnante, con il suo pensiero maggiormente sviluppato, si attiva per completare il compito prima che la sua preoccupazione sovrasti il divertimento (riquadro 1).
Un secondo contributo dell’emozione al pensiero è quello di generare emozioni “su richiesta” di modo che esse possano essere maggiormente capite. Quando viene chiesto loro come si sente il personaggio in una storia, o quando decidono come si sente un’altra persona, i bambini possono generare sentimenti dentro loro stessi così da mettersi al posto di un altro. Questo permette un’ispezione immediata, in tempo reale, del sentimento e delle sue caratteristiche. In una persona che si sviluppa, l’abilità di generare sentimenti facilita la pianificazione. L’individuo può anticipare come potrebbe sentirsi entrando in una nuova scuola, iniziando una nuova professione, o affrontando una critica sociale. Anticipare tali sentimenti può aiutare una persona a decidere se  prendere un lavoro o fare una critica. Esiste, in altre parole,  un “teatro emozionale della mente”, o più tecnicamente un’arena dei processi nella quale le emozioni possono essere generate, sentite, manipolate ed esaminate così da essere meglio capite. Più accuratamente e realisticamente opera un tale teatro emozionale, più può aiutare gli individui a scegliere corsi di vita alternativi (riquadro 2).
Le restanti due capacità della branchia n. 2 sono esempi di un più ampio ambito dei contributi emozionali a pensieri più sofisticati ed efficienti.Le emozioni possono aiutare le persone a considerare molteplici prospettive .
Ricordo che un giudizio congruente con l’umore porta stati di buon umore che inducono al pensiero ottimistico ; i malumori invece (inducono) al pensiero pessimistico.
Una studentessa delle superiori più anziana [?] potrebbe sentirsi inadeguata e di conseguenza rivolgersi verso molti college con standard di ammissioni più bassi.
In seguito , con il miglioramento del suo  stato di umore , potrebbe presentare domanda a college più selettivi. Questo slittamento degli stati di umore  ha portato  la ragazza a considerare più possibilità , cosa che sarà un vantaggio in condizioni di incertezza.
E’ probabile che i parenti stretti di soggetti maniaco-depressivi abbiano più slittamenti (umorali) degli altri , aiutandoli a cambiare prospettiva on ten [??]
Questo può spiegare perché certi parenti siano valutati come persone che esibiscono un alto livello di creatività nelle loro attività sia occupazionali che non-occupazionali.
La capacità finale rispetto a questa branchia riconosce che differenti tipi  di compito richiedono differenti forme di ragionamento (ad es. quello deduttivo piuttosto che quello induttivo ) e possono essere facilitati attraverso differenti stati emotivi.

3. Capire e Analizzare le Emozioni Usando la Conoscenza Emotiva

Il terzo ramo riguarda le abilitá di capire le emozioni e di usare la conoscenza emotiva. Dopo un po’ il bambino riconosce le emozioni, comincia a classificarle e a percepire relazioni tra queste classificazioni. Per esempio, molte emozioni formano delle classi per assi di intensitá. Il bambino incomincia a riconoscere le similaritá e le differenze tra voler bene ed amare;tra irritazione ed ira e cosí via (casella 1). Il bambino impara contemporaneamente il significato di ogni emozione in termini dei suoi rapporti. I genitori insegnano ai propri bambini il ragionamento emotivo legando le emozioni alle situazioni.  Il legame tra la tristezza e la perdita viene spiegato per esempio facendo rendere conto al bambino che lui é triste perché suoi amici non gli prestano piú attenzione. Una filosofia formale delle emozioni si é sviluppata lungo i secoli. Spinoza ha definito la vergogna come ‘il dolore accompagnato dell’idea di una propria azione per cui crediamo di essere biasimati degli altri.’ Esiste un consenso per quanto riguarda queste definizioni: la rabbia é vista solitamente come il risultato della percezione di una ingiustizia, la tristezza sorge dalla perdita, la paura dalla minaccia ecc. La conoscenza emotiva comincia nell’infanzia e si sviluppa durante la vita, con una maggiore consapevolezza di queste definizioni emotive (casella 2).
La persona in via di sviluppo inizia a riconoscere l’esistenza di emozioni contraddittorie e complesse in certe situazioni. Il bimbo impara che é possibile amare e odiare la stessa persona. Probabilmente in questo periodo dello sviluppo, miscele (o combinazioni) di emozioni vengono riconosciute. Per esempio,il timore  puó essere visto come una combinazione di paura e sorpresa; la speranza come una combinazione di fede e ottimismo (casella 3).Le emozioni tendono ad avvenire in serie predefinite che si ripetono. L’ira potrebbe intensificarsi fino alla rabbia, e quindi esprimersi e poi trasformarsi in soddisfazione o un senso di colpa, secondo le circostanze. La persona continua a ragionare sulle sequenze di emozioni: una persona che si sente non amata, potrebbe rifiutare l’attenzione da un altra per evitare un rifiuto piú avanti. Il ragionamento sul proseguimento dei sentimenti nei rapporti interpersonali e’ una parte essenziale dell’intelligenza emotiva.

4. La regolazione riflessiva delle emozioni per promuovere la crescita emotiva e intellettuale.

La più alta branca della Figura 1.1 concerne le regolazione consapevole delle emozioni per aumentare la crescita emotiva e intellettuale. Le reazioni emotive devono essere tollerate – persino gradite – quando arrivano, piuttosto indipendentemente dal fatto che siano piacevoli o spiacevoli. Soltanto se una persona presta attenzione alle emozioni, può imparare qualcosa su di esse. Per questa ragione, questo livello più alto della branca comincia con il mantenere aperta la possibilità di provare emozioni.
Quando una bambina cresce, i suoi genitori le insegnano a non esprimere certe emozioni: sorridere in pubblico anche se si sente triste, andare nella sua camera se è arrabbiata. Gradualmente, la bambina interiorizza questa divisione tra emozioni e azioni: la bambina comincia a imparare che le emozioni possono essere separate dal comportamento. I genitori insegnano strategie rudimentali di controllo emotivo (“Conta fino a 10 quando sei arrabbiato”). Come conseguenza, la bambina impara a entrare in contatto o meno con un emozione in momenti appropriati. La rabbia contro un altro o un’ingiustizia potrebbe essere utile se in accordo con la situazione, ma probabilmente meno quando l’emozione è al suo climax. In questi momenti l’individuo emotivamente maturo saprà ritirare e discutere l’argomento con confidenti più calmi. Successivamente, l’insight emotivo e l’energia prodotta da una tale esperienza potrebbero essere applicati al processo di ragionamento, e potrebbero sia motivarlo, sia fornire uno strumento con il qual, per esempio, provocare la rabbia degli altri contro un’ingiustizia. Quando un individuo matura, emerge anche un’esperienza costantemente riflessiva o meta-esperienza degli stati d’animo e delle emozioni. Queste emozioni implicano esperienze di stati d’animo come “Non capisco appieno come mi sento”, o “Questa emozione sta influenzando il mio modo di pensare”. Tali pensieri sono riflessioni consapevoli sulle risposte emotive, in opposizione alla semplice percezione delle emozioni. La mete-esperienza degli stati d’animo sembra divisibile in due parti: meta-valutazione e meta-regolazione. La valutazione include quanta attenzione si pone al proprio stato d’animo, e quanto chiaro, tipico, accettabile e influenzabile sia il proprio stato d’animo.
La regolazione concerne se l’individuo stia cercando di migliorare una stato di malumore , smorzarne uno di buon umore , o lasciar perdere lo stato dell’umore .
Le meta-esperienze dello stato emotivo  sembrano essere correlate con importanti fenomeni come quanto una persona indugi su esperienze traumatiche . L e leggi delle meta-esperienze non sono ancora state del tutto comprese  ma sono state sviluppate nuove misure per accertare  le loro qualità sia continuative che dinamiche e caratteriali.
Una qualità che sembra importante è quella per cui le emozioni vengono comprese senza sovrastimare o minimizzare la loro importanza.

Esempio di Intelligenza Emotiva messa in gioco nella risoluzione di un problema in età evolutiva:

Un bambino della quarta classe (in USA le classi elementari sono 8), in una fredda giornata d’inverno, se ne stava tutto tremolante nell’angolo del cortile di una scuola, quando un’insegnante gli chiese se possedeva una giacca più calda. Lui rispose di no (ed il suo amico confermò). 
Il  pomeriggio stesso l’insegnante e l’educatrice della scuola chiamarono a casa del ragazzo e si offrirono di acquistargli un nuovo cappotto. La madre del ragazzo era felicissima,  così, la mattina seguente, equipaggiarono il ragazzo con il nuovo capo di abbigliamento.
Due ragazzi, nell’intervallo, notarono il nuovo cappotto del bambino e lo accusarono di averlo rubato. Quando il bambino negò di averlo fatto gli accusatori lanciarono un attacco così velenoso e aggressivo che nessuno degli altri bambini  osò difenderlo. Gli insegnanti e l’intero staff della scuola arrivarono e cominciarono a dissolvere la disputa.
Uno degli accusatori sfogò la sua collera gridando contro l’educatrice della scuola “Ciucciati le uova!” (suck eggs). Lei replicò “Ciucciati tu le uova!” (you suck eggs).
L’insegnante che aveva acquistato il cappotto era mortificata per il fatto che il suo regalo avesse causato un tale disagio.
L’educatrice della scuola si domandava come avesse potuto dire “ciucciati le uova” ad un bambino.
Le insegnanti della classe a cui appartenevano i ragazzi che avevano causato tutti quei problemi si domandavano come avessero potuto, i suoi alunni,  reagire in quel modo.
I membri del collegio insegnanti discussero a lungo su ciò che era successo e sulle decisioni che avrebbero dovuto prendere a seguito di quanto accaduto.

Ragionare su questo episodio richiede sofisticate competenze di “problem-solving”. Quali risposte si potrebbero date alle domande sotto riportate.
Quali regole sociali sono state rispettate e quali sono state trasgredite?

  • Quali percezioni dell’accaduto sono state logiche e quali illogiche?
  • Era presente un supporto di rete per ottenere la disciplina dei bambini?
  • In che modo problemi del genere potrebbero essere evitati in futuro?

In ognuna di queste domande è implicita la necessità di raccogliere informazioni sulle emozioni:

  • Perché è scaturita tanta rabbia negli accusatori?
  • Cosa si può fare per il senso di colpa dell’educatrice?

 

Scelte educative effettuate nella scuola americana in cui ebbe luogo l’episodio al fine di promuovere e favorire lo sviluppo dell’intelligenza emotiva:

  • Innanzi tutto fu fatta la considerazione che occorreva essere consapevoli della spaccatura tra ceti sociali più alti e quelli più bassi, spaccatura che non essendo stata esplicitata procurò una serie di problemi difficilmente decifrabili.
  • I ragazzi che offesero il bambino meno fortunato furono convocati dal direttore e venne richiesto loro che scrivessero una lettera di scuse alla vittima per riflettere sull’esperienza e sviluppare autocoscienza dell’accaduto.
  • Giornata di riflessione tra insegnanti per elaborare le proprie emozioni, in particolare quelle emerse nell’educatrice che rispose in modo simmetrico ai ragazzi.
  • Al ragazzo che ricevette il cappotto in regalo fu richiesto che scrivesse una lettera di ringraziamento all’insegnante e questo costituì il pretesto per parlare ancora con lui delle complesse dinamiche suscitate dall’evento e della necessità di riflettere sulle modalità di gestione delle situazioni stressanti.

Il commento di un educatore (Karol Defalco) alla
definizione di Intelligenza emotiva di Mayer e Salovey:
Credo che siano pochi a non condividere la consapevolezza che la scuola abbia come obiettivo quello di promuovere unicamente abilità scolastiche e trasmettere conoscenze, per far procedere gli allievi da un livello cognitivo a quello superiore.
Tuttavia è difficile portare a termine tale obiettivo se, ad esempio, lo studente è assente, è stato espulso dalla scuola, se sta attraversando un lutto, o se pensa che la vita sia qualcosa che gli capiti suo malgrado e sulla quale non ha alcun controllo. Talvolta ci sono studenti che, pur essendo presenti fisicamente, non lo sono con la mente. Sebbene questi ragazzi siano nelle nostre classi le loro menti sono “prese” da pensieri che sono di tipo socio/emozionale. Lo si può comprendere dal fatto che non prestano attenzione, perdono facilmente la concentrazione, partecipano poco, dimenticano di fare i compiti, spesso reagiscono aggressivamente.
Per questi ragazzi vengono prese spesso delle decisioni sui programmi, sui testi, sull’affiancamento di insegnanti di sostegno, di educatori ma non ci si chiede realmente quali siano i loro bisogni. 
I programmi ministeriali, quindi, non sempre riescono a dare risposta alle necessità dei ragazzi che sono presenti solo con il corpo e non con la mente, e neppure a quei ragazzi descritti nell’episodio del “cappotto”: La vittima, gli accusatori, i ragazzi che hanno assistito alla scena, sono stati tutti coinvolti in questioni che hanno a che fare con eventi di tipo socio/emozionale e probabilmente, la mattina in cui quell’episodio ebbe luogo non furono  così “presenti”, mentalmente,  in classe. 
I giovani protagonisti di quella storia hanno tutti bisogno di sviluppare competenze che non sono quelle tipiche di un curriculum scolastico: il controllo degli impulsi, la gestione dello stress, l’empatia, il sapere come reagire ad un’accusa, e il problem–solving. Per ottenere che questi ragazzi raggiungano via via i loro livelli di sviluppo cognitivo superiore occorre incontrarli dove sono e dare loro quelle abilità e quelle risorse per affrontare e superare gli eventi stressanti, così che possano essere più abili nel rispondere alle richieste scolastiche. Senza queste competenze socio-emozionali gli eventi stressanti prendono il sopravvento e impediscono ai nostri allievi di mettere a frutto le proprie potenzialità per il raggiungimento degli obiettivi scolastici.
In America esistono dei programmi scolastici sull’intelligenza emotiva che insegnano “il miglior modo di sentirsi, il modo corretto di agire”. Io non sono un ispettore del provveditorato e non so giudicare la veridicità di questa affermazione. Tuttavia applico programmi scolastici che comprendono l’acquisizione di competenze sociali come parte integrante di un programma sequenziale di comprensione della realtà.
Molte sono le materie che trattiamo:

  • Controllo degli impulsi
  • Gestione della rabbia
  • Empatia
  • Riconoscimento di similarità e differenze tra le persone
  • Buone maniere
  • Monitoraggio di sé stessi
  • Comunicazione
  • Valutazione del rischio
  • Autostima
  • Problem solving
  • Presa di decisioni
  • Pianificazione degli obiettivi
  • Resistenza alla pressione dei pari

In questi problemi si prevede spesso l’esercizio di risoluzione di problemi che avvengono nei bar, nei corridoi, in palestra o nel cortile della scuola (come nel caso dell’esercitazione “il cappotto”) tuttavia io preferisco un programma che assuma l’ottica della prevenzione: cioè l’offerta a tutti gli studenti – non solo ai “ragazzi problematici” di ridurre la probabilità di comportamenti antisociali o a rischio, in modo tale che tutti i ragazzi, qualora si trovino nella loro vita ad affrontare eventi stressanti,  possano sapere come affrontarli. Dopo tutto, quale ragazzo non si è trovato di fronte alla necessità di resistere agli impulsi?  Quale ragazzo non si è mai trovato di fronte alla necessità di valutare il rischio? O a dover fare i conti con la gestione della rabbia? Insomma programmi di intelligenza emotiva sono importanti proprio per tutti.
Se si considerasse l’intelligenza emotiva come una qualsiasi altra materia la si penserebbe come lo sviluppo sequenziale di abilità da proporre ogni giorno, ad ogni bambino, in ogni grado di scuola e in tutti gli anni scolastici. E come tutte le altre materie scolastiche l’insegnante dovrebbe presentare la materia, illustrare le abilità da acquisire facendo un esempio alla lavagna, dare agli studenti la possibilità di fare pratica, richiedere che gli studenti applichino tali abilità in un qualche progetto concreto, e prevedere una “ricompensa”, per quegli studenti che applicano correttamente quello che hanno appreso. Negli Stati Uniti “presentare-illustrare-far fare pratica-rendere applicabile-elargire una ricompensa” sono i requisiti che ogni materia curricolare deve possedere per essere insegnata nelle scuole.
Nel New Haven , dove insegno, è previsto un corso che prevede tutti questi passaggi ed è pensato per ogni giorno, rivolto ad ogni bambino in ogni grado e scuola in ogni anno: è il programma di sviluppo sociale- insegnamento K-12:
Dalla scuola materna alla terza classe si sviluppano capacità di “consapevolezza di sé”, di  “relazione interpersonale” e di “presa delle decisioni”. Al quarto e quinto anno ci si focalizza sull’ “allenamento all’empatia”, sul “controllo degli impulsi” e sulla “gestione della rabbia”. Nelle scuole medie, io sono educatore proprio in questo grado di scuola, gli studenti sviluppano abilità  di “problem-solving” utilizzando strategie di “gestione dello stress” e di “identificazione del problema”, abilità nello “stabilire obiettivi raggiungibili” e nel “generare soluzioni diverse”, promozione  del “pensiero sequenziale (anticipazione delle conseguenze di un’azione)” e della “pianificazione”. Loro apprendono anche la capacità di resistere alla “pressione dei pari”. Nelle scuole superiori, infine, gli allievi apprendono a prendere decisioni in modo consapevole, attraverso la capacità di “assumere il punto di vista degli altri” e la capacità di riconoscere “rischi  ed opportunità”.
A seguito dell’episodio descritto si è detto che si sono fatte una serie di azioni quali il far chiedere scusa, il far scrivere una lettera di ringraziamento ecc.., ma si può dire che sia stato fatto abbastanza? I “bulli” hanno imparato qualcosa circa la capacità di essere empatici? Hanno imparato ad accettare gli altri?  Hanno imparato ad esprimere adeguatamente le emozioni? La vittima ha imparato ad affrontare situazioni stressanti? Oppure ha acquisito abilità in termini di problem-solving? Si può dire che ha acquisito delle capacità che gli permetteranno di affrontare situazioni problematiche simili che si dovessero presentare nuovamente nella sua vita? In quel caso specifico il fatto di avere parlato di emozioni è stato sicuramente un inizio. Costruire competenze emotive è invece l’obiettivo che occorrerebbe perseguire in ogni contesto scolastico.

Ma che cosa si intende per COMPETENZA EMOTIVA?

 


 COMPETENZA EMOTIVA E AUTOREGOLAZIONE (di Carolyn Saarni)

Gli psicologi non parlano molto di “saggezza”, tranne me, una psicologa che ha proposto un ennesimo costrutto concettuale fondato sulla cultura occidentale: la competenza emotiva.
Ma che cosa si intende per “competenza emotiva”? E ancora, può esistere competenza emotiva senza saggezza? Io penso di sì: noi acquisiamo le abilità della competenza emotiva  che sono ancorate al contesto culturale in cui viviamo. Tuttavia, perché noi possiamo diventare saggi occorre che: primo diventiamo competenti sul piano emotivo, secondo che viviamo pienamente la nostra vita, terzo che coltiviamo la capacità di discernimento sulla strada del cuore, vale a dire che dobbiamo esaminare ed apprendere qualcosa sul carattere umano, con l’ampiezza di visuale che proviene dall’abbracciare culture differenti dalla nostra e con la profondità che deriva dal gustare le proprie relazioni interpersonali.

Racconto che spiega due costrutti concettuali importanti:
Competenza emotiva e autoregolazione.
Questo racconto illustra anche un contesto che potrebbe condurre potenzialmente ad un comportamento disadattato, ma che risulta compensato da importanti fattori di protezione.

Samuel, un bambino di 6 anni, vive in un appartamento di due camere con sua madre e la sua sorellina Jessie, in una zona decadente della città. Attività delinquenziali, crimini, droga e violenza ad esse associate erano all’ordine del giorno. Un giorno accadde che il video del loro televisione esplose a causa di una pallottola vagante. Ora la mamma tiene le saracinesche chiuse giorno e notte. Poi le brutte notizie colpiscono duro: la mamma scopre di essere stata fatta fuori dal suo lavoro diurno e l’unica soluzione immediata che ha è quella di accettare un turno di notte in un hotel della periferia. Freneticamente cerca di trovare una sistemazione notturna con qualcuno che si prenda cura dei due figli per poter continuare a lavorare. Poiché il tempo corre l’ultima spiaggia risulta quella di persuadere la vecchia donna che si occupa del ristorante dell’albergo a dormire nel loro appartamento durante le notti in cui deve lavorare. La donna, di nome Mary, accetta, seppure con ambivalenza, di provare solo per due settimane. Né la mamma né i bambini sapevano che il figlio, ormai adulto, della signora Mary è un tossiocodipendente che regolarmente terrorizza sua madre per estorcerle denaro per procurarsi ciò da cui dipende.
Il figlio di Mary, Fred, viene a scoprire ben presto dove la madre  trascorre alcune notti e la manipola convincendola a farsi aprire la porta dell’appartamento. Immediatamente si precipita dentro casa e comincia a infilare diversi oggetti dentro un grosso sacco per portarli via. Mary lo colpisce da dietro con una lampada e lui si volta di scatto per picchiarla. Samuel si sveglia per le urla, e immediatamente lo coglie il terrore che sia sua madre ad essere picchiata. Avverte che sua sorella sta tremando accanto a lui e le dice di nascondersi nel bagno. Dopo di che si rende conto che è Mary che viene  picchiata. Lui sa che secondo le “istruzioni in caso di emergenza” della madre lui è tenuto a chiamare il 911 (numero della polizia) per chiedere aiuto, ma il telefono si trova nell’altra stanza! Si assicura che Jessie sia nel bagno, e poi parlando sommessamente ad alta voce tra se e sé prova a raffigurarsi cosa potrebbe fare. Se lui riuscisse a spegnere le luci l’uomo cattivo non potrebbe vedere. Lui sa che l’interruttore è appena fuori dalla sua porta così scivola lentamente fuori e spegne la luce. L’uomo cattivo comincia ad urlare e ad imprecare; Mary si lamenta e piange. Samuel sente la porta di fronte sbattere e così si precipita nella stanza buia. Fortunatamente i suoi occhi si sono già abituati all’oscurità e riesce  a scorgere l’uomo che se n’è andato. Dà un doppio giro alla porta di ingresso e si precipita al telefono per comporre il 911.
La polizia fu impressionata che un bambino di soli 6 anni avesse avuto un tale  “sangue freddo” da saper cosa fare in una tale situazione di emergenza. Era stato in grado anche di dire alla polizia dove chiamare la madre e aveva detto loro che non avrebbe fatto entrare nessuno a meno che non avessero pronunciato la parola d’ordine che la madre gli aveva insegnato ma al contempo lui non era in alcun modo autorizzato a dare loro tale codice. La polizia telefonò dunque alla madre e si fecero dare da lei la parola d’ordine, e mentre la polizia si recava a casa loro anche la madre lasciò immediatamente il lavoro per raggiungere i figli. Mary fu portata via dai medici dell’ambulanza, e Jessie, quando arrivò la madre, le si avvinghiò al collo. Mentre i poliziotti lo interrogavano Samuel teneva la sua mano tra le mani della mamma. Il giorno dopo i giornali riportarono la notizia sulla cronaca ed un giornalista lo intervistò per l’edizione serale del tg. Il giornalista gli chiese come aveva fatto a gestire la situazione senza avere paura e Samuel rispose: “Io ero terrorizzato ma sapevo che i ragazzi cattivi non possono vedere al buio”.

La competenza emotiva di Samuel e l’auto-regolazione sono evidenti nella sua abilità a gestire la sua paura a supporto di un effettiva strategia di problem-solving in occasione di un evento critico.
Spesso, quando siamo sopraffatti da emozioni negative e in situazioni di emergenza, come questa appena descritta, non sempre è possibile processare adeguatamente le informazioni. Soprattutto in situazioni di sfida estrema il nostro obbiettivo più pressante  è quello di evitare il pericolo, tuttavia, quando non esiste una via di fuga immediata occorre che siamo capaci di immagazzinare il più possibile informazioni su ciò che dobbiamo fare per avere il controllo della situazione e provare ad usare queste conoscenze per affrontare situazioni di rischio o di minaccia.

  • Parlare ad alta voce a sé stessi serve per ridurre il terrore e rendere il pensiero più costruttivo e propositivo (cfr. il comportamento prosociale di protezione nei confronti della sorellina)
  • La sua credenza/convinzione che i ragazzi cattivi non riescano a vedere al buio non era di sicuro corretta ma era funzionale alla necessità di avere, in qualche misura, la situazione sotto controllo.
  • Quando realizza concretamente il raggiungimento del piccolo obiettivo di spegnere la luce appena dietro la porta, aumenta la propria sicurezza nel realizzare la sua attenzione sulla strategia di problem solving l’istante dura abbastanza da fargli trovare l’energia di chiudere la porta e di mettere in atto il piano di emergenza della madre: chiamare il 911.

(Importante: quando i genitori ripetono con i loro figli che cosa fare in caso di emergenza stanno loro fornendo una strategia di auto-regolazione)
Possiamo dunque concludere che Samuel abbia un buon concetto di sé  e ciò trova le sue radici all’interno della sua famiglia. In sintesi insieme ai fattori di protezione che aiutano i bambini ad affrontare le situazioni di avversità cronica, il piccolo Samuel dimostra di avere buone abilità di problem-solving, una buona relazione con i membri della sua famiglia e, molto probabilmente, un elevato senso di competenza ed efficacia.
Con questa storia il lettore si è  probabilmente fatto un’idea intuitiva di che cosa sono competenza emotiva e auto regolazione che andrò a specificare meglio di seguito.

 


1. COMPETENZA EMOTIVA

Definizione La dimostrazione dell’autoefficacia (self-efficacy) nelle transazioni sociali che suscitano emozioni (Emotion- eliciting social transactions)

Ma che cosa significa auto-efficacia (self-efficacy) e perché le relazioni sociali sono così centrali?
Self-efficacy: Capacità e abilità dell’individuo di raggiungere un risultato desiderato.
Emotion- eliciting social transactions: in relazione al discorso sull’autoefficacia ci permette di comprendere come le persone possono rispondere emotivamente, e contemporaneamente e strategicamente applicare la propria conoscenza sulle emozioni e sulla loro espressività, alle situazioni di relazione interpersonale. In questo modo si può sia negoziare la modalità dello scambio interpersonale, sia regolare la propria esperienza emotiva.

1. 1. Competenza
Quando si parla di competenza in relazione alle emozioni si fa riferimento alla necessità dell’individuo di affrontare i cambiamenti dell’ambiente così da ricavarne maggiori capacità di differenziarsi, di adattarsi, di essere efficace di avere fiducia in se stessi..

1. 2. Il significato sociale delle emozioni

Noi abbiamo appreso i messaggi che ci vengono trasmessi dalla cultura sia per quanto riguarda il significato delle transazioni sociali, sia per quanto riguarda le relazioni interpersonali, sia, infine, per quanto riguarda la definizione di se stessi. La competenza emotiva, dunque, è inseparabile dal contesto culturale.
La nostra evoluzione biologica ci ha indotto ad essere emotivi, ma il nostro coinvolgimento nelle relazioni con gli altri ci induce a differenziarci nel nostro modo di vivere le esperienze emozionali, nell’affrontare le sfide emotive che ci si presentano, e nelle immensamente ricche modalità con le quali comunichiamo le nostre emozioni agli altri. Dunque si può dire che le nostre relazioni interpersonali influenzano le nostre emozioni e le nostre emozioni, reciprocamente, influenzano le relazioni.

1. 3. Carattere morale

Per ultimo la competenza emotiva si integra con i concetti di simpatia, autocontrollo, onestà e senso di reciprocità. Insomma c’è uno stretto legame tra C. E. e ciò che Aristotele, e più recentemente il filosofo Wilson (1993. The Moral Sense, N.Y.: Free Press) chiama senso morale o carattere morale, in quanto scindendo le due cose si potrebbe avere una personalità camaleontica o essere sociopatico pur avendo capacità di empatia con i sentimenti altrui. Nella mia definizione di Competenza emotiva è implicita la capacità di “fare le cose giuste”.

2. AUTOREGOLAZIONE (SELF-REGULATION)
Definizione: L’abilità di gestire le proprie azioni , pensieri e sentimenti in modo adattativo e flessibile in base alle diverse varietà di contesto, sia sociale sia fisico. Un’autoregolazione ottimale contribuisce al benessere, al senso di autoefficacia e fiducia e ad un  senso di coinvolgimento  con gli altri.
Ciò non significa essere sempre felici, essere coinvolti in relazioni che non sono mai conflittuali o non vivere mai situazioni di dubbio e incertezza. Piuttosto, in breve, significa avere una ricca e varia esperienza emozionale, che è condivisa con gli altri e che affronta le inevitabili sfide che l’ambiente gli pone con un repertorio di strategie efficaci.
Self- regulation ed emotion-regulation si distinguono per il fatto che la seconda fa riferimento ai processi intrinseci ed estrinseci responsabili del monitoraggio, della valutazione e della modificazione delle reazioni emotive, mentre la prima utilizza tali reazioni emotive come schemi sia per l’azione sia per affrontare la situazione all’interno della relazione interpersonale.

IL SISTEMA SÉ E L’ESPERIENZA EMOTIVA

 

La nostra esperienza emozionale è strettamente connessa con il nostro sistema SÉ /self System, (per noi semplicemente Sé) . Senza la capacità del sé di riflettere su se stesso noi potremmo avere emozioni ma non sapere che siamo noi stessi ad esperirle. Non saremmo capaci di usare un linguaggio descrittivo delle emozioni per comunicare i nostri sentimenti agli altri, collocandoli nel tempo e nello spazio, non potremmo utilizzare la nostra esperienza emotiva per comprendere le emozioni degli altri. 
Sé soggettivi e sé oggettivi:
Il sé soggettivo può essere considerato quello che non ha consapevolezza di sé stesso, quello che
processa, dà luogo unicamente all’esperienza . Può essere definito il sé esistenziale, l’IO.
Il sé soggettivo è quello che ha una conoscenza pratica che è più evidente nelle azioni di routine e nei comportamenti intenzionali. Gli psicologi dello sviluppo fanno risalire l’emergere di questo sé soggettivo nel corso dello sviluppo individuale quando imparano ad esercitare un qualche controllo su una sequenza d’azione apprendendo che c’è una relazione contingente tra l’esito di una loro azione corporea e il risultato da loro atteso. Questo avviene molto presto nello sviluppo e permette di distinguere il Sé dal non-Sé. Quando al bambino viene data l’opportunità di esercitare questi giochi routinari o di intraprendere interazioni contingenti con una persona di riferimento, la ripetizione suscita estremo divertimento e si protrae all’infinito (es. il gioco del cucù)

Il sé oggettivo è quell’aspetto del sé che implica auto-consapevolezza.
Noi possiamo parlare del sé facendo riferimento alle categorie del lessico concettuale. Per esempio, noi possiamo dire di noi stessi: “io mi considero una persona molto sensibile ai sentimenti altrui”. In questo caso stiamo facendo l’operazione di collocarci ad un alto livello lungo il continuum della categoria concettuale “sensibilità”. Per fare ciò occorre che io abbia autoconoscenza in quanto devo poter osservare me stesso e categorizzare come mi vedo. Le categorie utilizzate dal sé per classificare se stesso possono essere più o meno accurate e corrette, perché tale processo è strettamente correlato al livello di autostima individuale.

 

In un certo senso possiamo dire che noi siamo dotati di un sé soggettivo da una fase molto precoce dello sviluppo: il bambino agisce nel mondo, ha degli stati emozionali, e risponde a stimoli fisici e sociali. Ma finchè non sviluppa la capacità di riflettere su se stesso non si può dire che cominci un oggettiva conoscenza del sé (self-awarness o autocoscienza).
Spesso l’idea che ci facciamo di noi stessi dipende in parte o totalmente dai rimandi che gli altri ci fanno (sei un bambino simpatico, sei una bambina capricciosa, ecc…) ma  a partire da una certa fase dello sviluppo il bambino comincia ad apprezzare o riflettere sulle opinioni che gli altri hanno di lui/lei. Chiaramente il fare minore o maggiore affidamento sulle opinioni altrui o sulle proprie è indice di benessere soggettivo  ed è strettamente legato alla qualità dell’esperienza emozionale.

Il modello del sé tripartito di Neisser è molto utile per comprendere come agisce l’individuo in situazioni emotigene:
il sé ecologico ci dice come risponde agli stimoli dell’ambiente fisico e sociale,
il sé esteso in relazione ad uno spazio temporale,
il sé valutativo in risposta agli standards e ai valori della famiglia e del contesto sociale.
In sintesi i concetti di sé ecologico, esteso e valutativo ci permettono di vedere le interazioni funzionali tra gli individui e il loro ambiente fisico e sociale.

 

ATTACCAMENTO ED AUTOREGOLAZIONE

Il grado in cui l’esperienza emozionale è integrata in modo adattativo  con i processi di autoregolazione potrebbe derivare dall’esperienza delle nostre relazioni di attaccamento  primario che si realizzano in uno stadio molto arcaico del nostro sviluppo.
Cassidy, partendo dalla teoria dell’attaccamento di Bowlby descrive come il bambino sia biologicamente predisposto a mantenere una certa vicinanza con la figura (caregiver) che si prende cura di lui/lei (solitamente la madre) e quindi apprende presto ad adattare le sue risposte al caregiver alla luce delle risposte che questi mette in atto con lui. In altre parole il bambino, fin da piccolo, fa uso del feedback nell’adattare le proprie strategie che gli servono per favorire la stretta vicinanza con la madre.
Secondo la teoria dell’attaccamento a seguito di una separazione momentanea dalla madre, se il bambino ha sviluppato un attaccamento sicuro, il ricongiungimento sarà caratterizzato da reazioni di calore, conforto, e recettività agli stimoli della madre, se ha sviluppato un attaccamento insicuro o ansioso sarà caratterizzato da sospetto, evitamento o resistenza.
L’attaccamento sicuro è caratterizzato da un atteggiamento di accoglienza e sensibilità ai segnali emotivi dei bambini, anche e soprattutto a quelli negativi, così che il bambino percepisce la madre come un “porto sicuro” dal quale il bambino può avventurarsi nell’esplorazione dell’ambiente.

Cassidy specifica che per un bambino che ha sviluppato un attaccamento sicuro le emozioni negative come la rabbia, e la paura finiscono con l’essere associate con una sorta di assistenza materna empatica (e non con una sensazione di svalutazione e tanto meno con il bisogno di negarne l’esistenza come avviene per altri stili di attaccamento). In questo modo, sul piano della regolazione emotiva, si mette il bambino nella condizione di tollerare le emozioni negative per un lasso di tempo sufficiente perché possa dare significato alla situazione frustrante o conflittuale di fronte alla quale si trova e perché provi ad escogitare una qualche risposta. Anche nel contesto educativo familiare i genitori che dimostrano di tollerare le emozioni negative, ad esempio rendendole talvolta divertenti (come il terrore che si può provare ad un luna park) trasmettono al bambino la possibilità di provare un ampio ventaglio di emozioni.
Diversamente un contesto in cui le emozioni negative sono mal tollerate finiscono con l’inibire l’espressione delle emozioni negative in presenza del caregiver da parte del bambino.
Le strategie di regolazione emotiva da parte del bambino, in questi casi, sembra essere: “La mamma starà con me se eviterò qualsiasi trambusto”

Capire se e quanto questi stili di attaccamento precoci abbiano una qualche ripercussione sulla regolazione emotiva in età adulta non è ancora così chiaro. Una ricerca retrospettiva su ragazzi di 18 anni sembra dimostrare uno stretto legame tra il loro stile di attaccamento e il loro funzionamento emotivo: ragazzi con stile di attaccamento sicuro,  intervistati sullo stile di relazione con la famiglia di origine, hanno mostrato livelli di ostilità più bassi, minore ansietà, maggiore ego-sintonia, meno stress e maggiore appagamento nei rapporti interpersonali.

Un importante punto da tenere a mente è il fatto che la competenza emotiva è fortemente legata al contesto culturale in cui se ne parla: nella cultura occidentale, ad esempio, sono fortemente condivise alcune credenze che non trovano riscontro nelle culture orientali, come ad esempio il fatto che le emozioni mantenute inespresse possano esplodere in modo incontrollato (teoria del vulcano) o che le emozioni cacciate via dalla mente possano volatilizzarsi (teoria del “lontano dagli occhi lontano dal cuore), o, ancora, che le emozioni non sono niente in confronto al pensiero logico (secondo la teoria del dottor Spock, tanto in auge negli anni 60/70). Occorre per tanto, anche alla luce di queste ultime considerazioni, chiarire quali sono le abilità che un individuo dovrebbe acquisire perché possa dirsi che ha una buona competenza emotiva.
LE ABILITÀ DELLA COMPETENZA EMOTIVA

Da una accurata e rigorosa indagine scientifica emergono alcune abilità implicate nella competenza emotiva che possono essere riassunte in 8 punti.

  1. La consapevolezza del proprio stato emozionale, compresa la possibilità che si stiano esperendo emozioni multiple e, ad un più alto livello di maturazione, la consapevolezza che si possa non avere coscienza di quello che si sta provando a causa di dinamiche inconsce o di disattenzione selettiva.

Esempio del ragazzo, figlio di genitori separati, che è indeciso con chi sia meglio vivere e giunge ad una soluzione che da tempo i servizi sociali avevano individuato come ottimali per lui e per il fratello. Talvolta il rendersi conto dell’ambivalenza o del fatto che non si è del tutto consapevoli di emozioni contrastanti, ad esempio nei confronti di una stessa persona cui si vuole bene, fa sì che emergano nuove strategie di soluzioni ai problemi che sono assolutamente ottimali e positive. Infatti il negare o non essere consapevoli di questi aspetti ambivalenti riduce notevolmente la capacità di valutare la complessità della relazione. Di conseguenza l’autoefficacia nelle transazioni sociali che elicitano emozioni potrebbe essere limitata o addirittura deficitaria.

  1. L’abilità di discernere le emozioni degli altri, basata su schemi situazionali ed espressivi il cui significato trova un qualche grado di consenso all’interno di uno specifico contesto culturale.

Questa abilità va di pari passo con la consapevolezza dei propri stati d’animo, con l’abilità ad essere empatici e la capacità di concettualizzare le cause delle emozioni e la capacità di anticiparne le conseguenze. In aggiunta, più impariamo sul come  e perché le persone agiscono in una determinata maniera , maggiore è la nostra capacità di inferire cosa sta per accadere emotivamente nelle persone, seppure ciò non sia così ovvio e talvolta sia addirittura controintuitivo.
I bambini imparano presto a decifrare le espressioni facciali delle persone per disambiguare le situazioni poco chiare. Questo ha  a che fare con il riferimento sociale che è oggetto di studio di molte ricerche. Ma al di là del riferimento sociale che cosa ha bisogno di capire il bambino per generare un sofisticato “insight” (vale a dire comprensione immediata) di ciò che l’altro prova?

    • Ha bisogno di decodificare il significato comunemente attribuito alle espressioni facciali delle emozioni
    • Ha bisogno di capire le situazioni che generalmente provocano uno stesso tipo di emozione
    • Ha bisogno di realizzare che gli altri hanno una mente, delle intenzioni, delle credenze e che tutto ciò può essere definito “stato interno”
    • Ha bisogno di recepire informazioni sull’altro che rendono conto dell’unicità della risposta emotiva dell’altro che reagisce in modo non streotipato, unico, diverso da quanto avrebbe messo in atto un altro o se stesso.
    • Ha bisogno di dare un etichetta all’esperienza emozionale così da poter parlare delle proprie emozioni e condividerle con gli altri.

Tra i 7 e gli 8 anni i bambini dimostrano di poter possedere l’abilità di comprendere le emozioni altrui tale capacità sembra fortemente correlata al successo nelle relazioni con i pari ed in particolare con l’attribuzione da parte dei pari di ruoli sociali di più alto livello.

  1. L’abilità di usare un vocabolario delle emozioni e termini per indicare le espressioni che sono comunemente disponibili nella propria cultura (o sottocultura)e, ad un più alto livello di maturazione, l’abilità di acquisire copioni (scripts) culturali che legano l’emozione con i ruoli sociali.

La capacità di rappresentare la propria esperienza emotiva attraverso parole, immagini e simboli porta a due importanti traguardi: a) possiamo parlare dei nostri stati emotivi tanto al telefono quanto attraverso l’arte. b) a livello concettuale avere una rappresentazione verbale o figurativa delle proprie emozioni permette di compiere quelle operazioni di elaborazione dell’informazione che ci permette di compiere inferenze (es. sugli stati emotivi altrui), aumentare la consapevolezza dei propri stati d’animo e delle proprie ambivalenze, e compiere tutte quelle operazioni di confronto e comprensione delle emozioni che sarebbero altrimenti impossibili.
Ad esempio la costruzione di copioni d’azione (script = una struttura di conoscenza di un tipo di evento per mezzo della quale l’evento viene pensato come sequenza di una serie di sottoeventi) è l’esito di questa abilità e ci permette di verificare se un bambino è in grado di tenere conto, nello sviluppo di tali script, ad esempio, dei ruoli sessuali imposti dalla cultura, del contesto o delle differenze individuali.
Facendo l’esempio dello script della rabbia: 1. ha luogo un’azione offensiva che è intenzionale e dannosa nei confronti di una persona indifesa 2. la vittima  esprime emozioni negative a chi l’ha offeso 3. la vittima sperimenta modificazioni fisiche in concomitanza con le emozioni negative es digrigna i denti e si sente accaldato; 4. la vittima escogita un’azione di rivalsa 5. la vittima offende a sua volta.

  1. Capacità di coinvolgimento empatico e “simpatetico” nelle esperienze emozionali degli altri.

L’empatia è una delle componenti più significative della competenza emotiva perché promuove legami tra le persone e favorisce i comportamenti pro-sociali.
L’empatia = sentire con l’altro e l’essere simpatetico = sentire per l’altro, ci mettono in relazione con gli altri. Alcune ricerche dimostrano che noi abbiamo bisogno di avere un senso di responsabilità nei confronti degli altri che sentiamo di dover aiutare o confortare in caso di disagio. Ricerche sullo sviluppo  suggeriscono che i bambini piccoli che sono più propensi ad aiutare gli altri e condividere maggiormente  sono più capaci di comprendere i bisogni degli altri ed è più prevedibile che abbiano genitori che siano altrettanto simpatetici.
Nel fenomeno del bullismo noi vediamo il fallimento della competenza emotiva in quanto i bulli non provano empatia o “simpatia” nei confronti degli altri.

 

  1. L’abilità di realizzare che uno stato emozionale interno non necessariamente corrisponde con l’espressione esibita e, ad un più alto livello di maturazione, la capacità di comprendere che il comportamento emozionale-espressivo può avere un certo impatto sugli altri e tenerne conto nelle proprie strategie di auto-presentazione.

I bambini in età prescolare hanno abilità nella “gestione delle emozioni” nel senso che sanno separare  quello che provano da ciò che esprimono seppure non sappiano articolare adeguatamente questa dissociazione, abilità che è, invece, ben presente in bambini in età scolare che pure pensano che non si possa  assolutamente inferire il loro stato d’animo quando viene da loro dissimulato volontariamente. Per “gestione delle emozioni” (“emotion management”) intendo il conoscere quando esprimere le proprie emozioni in modo spontaneo e quando modificare o addirittura sopprimere la loro espressione, sulla base delle circostanze di tipo sociale e come sia importante per se stessi  controllare o esprimere ciò che si prova. La dissociazione tra vissuto emozionale e sua espressione assume dunque il significato di una delle tante strategie di gestione delle emozioni.

  1. La capacità, nell’affrontare adattivamente emozioni avverse o stressanti, di usare strategie di autoregolazione che migliorano l’intensità o la durata temporale di un qualche stato emotivo (come ad esempio la resistenza fisica  allo stress).

Prerequisiti essenziali per sviluppare tale abilità sono uno stile di attaccamento sicuro (cfr. sopra) e l’assenza di traumi significativi (separazione dei genitori, povertà, violenze o abusi).


Lista 1: Da moderato ad elevato controllo sulla situazione (strategie di coping quando si ha il controllo della situazione):

  • Strategie di problem-solving
  • Ricerca di supporto (aiuto o conforto)
  • Strategie di distanza (distacco)
  • Strategie di internalizzazione (autobiasimo, ansia, comportamenti di preoccupazione)
  • Strategie di esternalizzazione (biasimare gli altri, attacchi aggressivi)

Lista 2: Poche o nessun controllo sulla situazione (Strategie focalizzate sull’emozione – emotion-focused strategies) quando non si ha il controllo della situazione)

  • Sostituzione o distrazione dal contesto o dallo stato emotivo
  • Riorganizzazione o ridefinizione del contesto o dell’emozione negativo/a
  • “smussamento” cognitivo o strategie di ricerca di informazioni
  • evitamento del contesto o dell’emozione negativo/a
  • Diniego o negazione del contesto o dell’emozione
  • Dissociazione di sé dalla situazione

Ovviamente le ultime due strategie della lista sono quelle che meno garantiscono l’adattamento.
Chiaramente con il procedere dell’età aumenta la capacità di fare uso di più strategie, soprattutto si è in grado di analizzare la situazione da più punti di vista ed è dimostrato che già a 10 anni i bambini (con attaccamento sicuro e senza traumi) accedono al livello più alto delle strategie focalizzate sull’emozione.

  1. Consapevolezza che la struttura o la natura dei rapporti interpersonali è in parte determinata dalla qualità della comunicazione emotiva all’interno della relazione.

È importante essere consapevoli del fatto che la relazione viene costantemente definita dallo stile di comunicazione delle proprie emozioni. Ma l’espressione delle emozioni è anche fortemente influenzata dal tipo di relazione che intercorre tra gli interlocutori: il fatto che il rapporto sia asimmetrico (genitori-figli, capo-subordinati) fa sì che sia diverso il grado di condivisione delle proprie emozioni intime, allora si può dire che si agisce in modo autoefficace se si è consapevoli di come vengono comunicate le proprie emozioni agli altri e se si riconosce che la scelta del livello di comunicazione emotiva dipende dalla natura della relazione.

  1. La capacità di essere emotivamente auto-efficaci: avere un punto di vista individuale su se stessi e sul proprio modo di “sentire” e, soprattutto, del modo in cui si intende provare emozioni.

Essere autoefficaci a livello emotivo significa che uno accetta la propria esperienza emozionale, malgrado essa sia unica, eccentrica o culturalmente convenzionale, e questa accettazione è in linea con le convinzioni individuali sulla desiderabilità di un equilibrio emotivo.  Essenzialmente, si può dire che una persona sta vivendo coerentemente secondo la propria teoria ingenua delle emozioni quando dimostra un certo livello di efficacia emotiva, così come quando vive coerentemente con i propri valori morali.
Quindi non è sopraffatto dall’intensità e la complessità dell’esperienza emotiva come pure non sente l’esigenza di inibire o negare  alcun tipo di emozione.
Questo tipo di capacità è strettamente connessa  con il benessere individuale e con la capacità di adottare uno stile di valutazione ottimistico della propria vita.


La verifica dell’acquisizione dell’intelligenza emotiva
Peter Salovey e John Mayer

Distinzione tra Intelligenza emotiva - Successo emozionale - Competenza emotiva
Fino ad ora abbiamo parlato del concetto di intelligenza emotiva come di qualcosa che si riflette in un set di abilità.

Nell’ambito dell’apprendimento scolastico per intelligenza si intende un’attitudine personale, il successo  rappresenta ciò che uno ha realizzato e le competenze indicano che il proprio successo corrisponde ad un particolare standard.
In modo analogo si può dire che:
L’intelligenza emotiva è l’attitudine o l’abilità cruciale per ragionare con le emozioni.
Il successo emotivo è l’ammontare di ciò che l’individuo è stato in grado di apprendere sulle emozioni o su informazioni correlate alle emozioni, infine,
la competenza emotiva è presente quando uno è stato in grado di raggiungere il livello richiesto di successo.
Se tutte le cose fossero uguali, l’intelligenza emotiva di una persona determinerebbe il suo grado di successo emotivo, tuttavia le cose raramente sono uguali per tutti, e la famiglia in cui uno cresce, le lezioni sulle emozioni che ciascuno ha tratto dalla propria esperienza, gli eventi della vita quotidiana a cui ciascuno va incontro, influiscono su ciò che l’individuo è in grado di apprendere sulle emozioni.

Molti psicologi preferiscono parlare di competenza emotiva piuttosto che di intelligenza emotiva, come sostiene anche Saarni in questo stesso volume.
L’ideale sarebbe trattare sempre questi tre aspetti, vale a dire intelligenza, successo e competenza emotivi, insieme.
L’intelligenza emotiva sembra essere un buon obiettivo per una cultura democratica in quanto non fornisce dettami su quali dovrebbero essere gli esiti del comportamento emotivo di una persona, piuttosto incoraggia ad intraprendere un processo di indagine personale all’interno del proprio contesto politico, sociale, culturale, religioso, ecc…

La valutazione (assessment) dell’intelligenza emotiva

Ora che abbiamo descritto l’intelligenza emotiva occorre dimostrare che le abilità incluse in tale concetto siano significativamente diverse dall’intelligenza in senso generale seppure debbano essere ad essa sufficientemente correlate da poterle considerare come intelligenti.
La definizione media di un quoziente intellettivo monolitico è per ora ancora prematura. Determinare cosa sia l’intelligenza emotiva ovvero se sia una intelligenza autentica, una serie di abilità correlate all’intelligenza in senso stretto, o qualcosa che sta nel mezzo dipende unicamente dalla sua misurazione e valutazione.

La misurazione dell’intelligenza emotiva:
Preventivamente ai nostri studi abbiamo consultato la letteratura per verificare quanti e quali degli aspetti elencati nel diagramma delle abilità dell’intelligenza emotiva risultassero effettivamente misurabili.
Sono pochi gli studi empirici in grado di informarci sull’esistenza o non esistenza dell’intelligenza emotiva perché per dimostrarne l’esistenza occorre che tali studi soddisfino tre criteri:

  1. Almeno una delle abilità descritte nel diagramma della definizione deve essere misurata. (questo esclude la misurazione di aspetti quali le qualità personali -ottimismo, motivazione- che non coinvolgono in modo specifico il contributo delle emozioni nel migliorare le capacità intellettive o la comprensione delle emozioni)
  2. La ricerca deve misurare direttamente l’abilità piuttosto che l’autodescrizione di quanto una persona si sente emotivamente intelligente.  Resoconti verbali o autodescrizioni sono sicuramente importanti ma non sono in grado di rendere conto dell’esistenza o meno dell’IE.
  3. La ricerca dovrebbe connettere l’una all’altra le diverse abilità contenute nella definizione di IE, o almeno correlare più di una delle abilità descritte ad un medesimo criterio importante per le diverse abilità.

Ricerche che rispettano questi criteri:

  • Mayer, Di Paolo, Salovey (1990). Perceiving affective content in ambiguous visual stimuli: a component of emotional intelligence. Journal of Personality Assessment, 54,772-781.

Esiste una abilità di base che rende conto delle differenze individuali nel riconoscere (consensualmente) le emozioni non solo nelle espressioni facciali ma anche nei disegni astratti oltre che nei colori. In sintesi in un determinato individuo si può identificare una capacità alta, media o bassa, nel decodificare le emozioni veicolate dai volti, dai disegni e dai colori e tale abilità è fortemente correlata ai punteggi ottenuti dagli stessi soggetti su scale di self-report circa la propria capacità di empatia (presente tra le abilità contemplate per la definizione di IE).
Questi risultati depongono a favore del primo raggruppamento delle prime 4 abilità di intelligenza emozionale, quella definita “percezione delle emozioni”.

  • Mayer, e Geher (1996) Emotion intelligence and the identification of emotion. Intelligence, 22, 89-113.

Ulteriori ricerche hanno dimostrato che la capacità di percepire le emozioni dei personaggi in determinate situazioni, è correlata  ai punteggi SAT (una misura dell’intelligenza), all’empatia, e all’apertura verso l’esperienza emotiva (menzionata nelle abilità appartenenti al 4° raggruppamento, il più elevato-vale a dire quello relativo alla regolazione delle emozioni-).

  • Mayer, Salovey & Caruso (1997). Emotional IQ test [cd-rom version]. Needham, MA: Virtual Knowledge.

Una replica ed una estensione dell’articolo di Mayer e Geher è contenuta in questo lavoro che è una vera e propria scala di misurazione dell’intelligenza emotive che tiene conto delle abilità di tutti e quattro i raggruppamenti  consiste in una scala/test somministrata al computer.
In molte parti si chiede al soggetto di dire che cosa sta provando il personaggio di una storia. La difficoltà principale, ovviamente consiste nel definire che cosa si intende per risposta corretta e quindi nel decidere che punteggio attribuire alla risposta.
Uno dei criteri era basato sul fatto che il personaggio si facesse coinvolgere dalla situazione (le situazioni utilizzate dal programma al computer erano situazioni realmente accadute).
Un altro criterio era il consenso della maggior parte dei partecipanti su quella determinata risposta (una scelta fra una lista di alternative possibili) relativa all’emozione provata dal personaggio in questione.
L’adattamento a questi due criteri avevano andamenti che non erano analoghi ma dimostravano l’esistenza reale dell’intelligenza emotiva.

  • Averill & Nunley (1992). Voyages of the heart: leaving an emotionally creative life. New York: Free Press.

Uno studio che è in grado di rendere conto delle abilità del terzo raggruppamento, quello relative alla comprensione delle emozioni proviene dal lavoro sulla creatività di Averill e Nunley, I quali, in uno dei loro compiti richiedevano ai soggetti di fare una breve descrizione di una situazione in cui avrebbero dovuto provare tre emozioni insieme (gioia, sollievo e disagio). Secondo la previsione della nostra concettualizzazione di IE (o della loro, di creatività emotiva) il successo in questo tipo di compito risulta correlato, seppure indipendente, ai punteggi di intelligenza in senso generale.

 

Questi pochi studi suggeriscono che molte delle abilità menzionate per definire l’IE sono correlate una all’altra e sono parzialmente indipendenti dall’intelligenza generale.
Il problema principale in questo tipo di ricerche è costituito, come già detto, dalla difficoltà di stabilire a priori “che cosa si intende per risposta corretta ad un item che misura l’IE” (cfr. Mayer e Geher, 1996).

Che cosa è in grado di predire l’intelligenza emotiva?

Non è facile definire cosa l’IE sia in grado di predire vista l’esiguo numero di studi sull’argomento. Quando parliamo dell’intelligenza in generale si dice che essa sia in grado di predire, ad esempio, il successo scolastico e il livello occupazionale. Tuttavia si dice che l’intelligenza sia in grado di spiegare solo il 10-20% della variabilità totale del fenomeno, il resto è affidato ad altri fattori esplicativi, tra cui sicuramente c’è spazio anche per l’IE. Se consideriamo che le differenze individuali sono in grado di spiegare una percentuale molto bassa del successo di un individuo, si può dire che il 10-20% è già parecchio.

  • Kelly & Caplan (1993). How Bell Labs creates star performers. Harvard Buisness Review, 71, 128-139.

Questi ricercatori hanno dimostrato come l’IE abbia contribuito al successo degli ingegneri dei laboratori Bell, in particolare favorendo la loro abilità nel lavorare efficacemente in net-work, dove per net-working si intende trovare delle risposte vicendevolmente attraverso il “baratto” delle informazioni. Raggiungere il successo significa, presso i Bells Labs, 
diventare prima un tecnico esperto di una sotto area dell’azienda, poi lasciare che gli altri accedano al proprio  expertise, infine rendersi disponibile per gli altri. Una volta che un ingegnere ha sviluppato i propri gettoni di contrattazione ha la possibilità di ottenere l’accesso al resto dell’informazione del network.
Tale forma di scambio sembra fare riferimento più alla capacità di leggere le domande non scritte di un lavoro piuttosto che avere a che fare con l’IE, tuttavia riteniamo che effettivamente l’IE possa contribuire al successo nell’ambito lavorativo, occorrerebbe individuare delle forme di misurazione di tale competenza nel contribuire al successo (variabile questa, più facilmente misurabile in termini di compenso economico o di passaggi di carriera, ecc.. in quanto è un aspetto definito in modo più sfumato).
Sicuramente l’IE può contribuire, in ambito lavorativo, a migliorare lo stato di benessere dei lavoratori, a migliorare la comunicazione, a progettare e realizzare prodotti in cui coesistano l’aspetto emotivo e l’aspetto estetico.

Acquisizione dell’Intelligenza Emotiva

Se dunque si volesse favorire l’acquisizione dell’ intelligenza emotiva che cosa si dovrebbe fare?
Sicuramente molte di queste abilità possono essere fatte acquisire per mezzo di processi educativi.

Le abilità emozionali, infatti,  iniziano in casa da una buona relazione genitori-figli.
I genitori insegnano ai bambini ad identificare e a dare un nome alle loro emozioni , a rispettare i propri sentimenti e a connettere le emozioni alle situazioni sociali. Questo processo avviene ad un livello più o meno alto in ciascuna famiglia.
Ciò che è importante sapere è che ogni individuo inizia il suo processo da diversi punti di partenza.
E questo è da considerarsi il bagaglio di conoscenza emozionale di base. I genitori possono soffrire, talvolta di limiti psicologici così gravi da non permettere neppure l’inizio di un processo di conoscenza delle emozioni. Il bambino può imparare da “lezioni” scorrette sulle emozioni: i genitori potrebbero essere persone che evitano le emozioni, un genitore può negare di essere arrabbiato anche se si comporta con ostilità,. Come conseguenza il bambino, talvolta, sviluppa disordini tali per cui prende le distanze dalle proprie emozioni o non le comprende. In questi casi è necessario l’intervento di uno psicoterapeuta che aiuti a risolvere il problema. Lo psicoterapeuta è formato in modo tale da porsi in relazione attraverso un ascolto empatico, il rimando, come in uno specchio, dei sentimenti, alla ricerca delle emozioni che sono state “perse” e che hanno bisogno di essere ricostruite, riscoperte o esperite in modo migliore.
Per esempio, uno psicoterapeuta può avere un paziente che è stato abusato, sfruttato e malgrado questo neghi di provare rabbia. In questo caso è importante che si indaghi se c’è una qualche forma di rabbia e lo si aiuti a canalizzarla in modo produttivo al fine di mettere in atto comportamenti di autoprotezione e di porre dei limiti al comportamento inappropriato di chi gli fa del male.

Malgrado quanto si è detto anche in ambito scolastico/didattico è possibile mettere in atto processi di apprendimento sulla conoscenza delle emozioni.Alcuni dei principali processi di apprendimento avviene, infatti, attraverso le relazioni informali tra il bambino e l’insegnante; non bisogna dimenticare, infatti che l’insegnante riveste il ruolo di un importante e potenziale modello di adulto saggio.

Introduzione dell’Intelligenza emotiva nelle attività didattiche.
Particolarmente utile, a questo proposito, può essere l’insegnamento delle emozioni che scaturisce in modo naturale da quelle materie di arte o di espressione libera che comprendono la narrazione di storie, per esempio. Attraverso il racconto, infatti, i ragazzi possono apprendere molto dai sentimenti dei personaggi protagonisti delle storie. I personaggi delle storie, infatti, sono caratterizzati in modo tale da avere una propensione a comportarsi in modo tale da perseguire stati emotivi di gioia, di paura, di gelosia e così via. In questo si può osservare e prendere coscienza dei motivi che inducono a sperimentare determinate emozioni piuttosto che altre, o del modo in cui affrontano la situazione in risposta a determinati eventi o a seguito di determinate risposte emozionali. Questo tipo di apprendimento va oltre le finalità dei programmi scolastici e didattici e più la narrazione si fa complessa e maggiore è la possibilità di apprendere sulle emozioni.
Un esempio di applicazione di quanto detto finora può essere così esplicitato: il modo in cui i sentimenti dei personaggi motivano all’azione, determina il modo in cui procede la trama, una lezione sulle percezioni emotive dunque può fornire un utile supporto, soprattutto nei ragazzi più grandi, per il processo di comprensione della costruzione della trama di un racconto. Infatti nessuno può valutare la trama di un racconto senza chiedersi “Che cosa prova in questa situazione questo personaggio, secondo la sua storia, il suo stile di vita?” o ancora “Quanto è ragionevole che una persona che prova queste emozioni agisca in questa determinata maniera?”. La letteratura è forse la prima “casa” dell’intelligenza emotiva. Ma lo stesso si può dire dell’arte, della musica e del teatro.

Introduzione di veri e propri corsi sull’Intelligenza Emotiva.

Forse è improprio pensare che si possa insegnare l’intelligenza emotiva come una vera e propria materia scolastica anche perché, secondo quanto detto finora sull’IE non si può “insegnare un’intelligenza”. L’abilità, infatti, [nei termini in cui ne parlano Mayer e Salovey quando definiscono l’IE, ndr] è una capacità piuttosto che un argomento che può essere insegnato. Insegnare una materia quale l’intelligenza emotiva potrebbe piuttosto avvicinarsi all’idea di allenamento per l’acquisizione di un’abilità sportiva. In questo senso, allora, come si esercitano i muscoli per costruire la resistenza fisica, così possiamo dire di poter insegnare le abilità emozionali per costruire l’Intelligenza emotiva.

Sicuramente trattare tale argomento in ambito didattico richiede che si tenga conto del fatto che individui che provengono da diversi contesti culturali hanno un approccio diverso alle emozioni e non sempre è opportuno che si propongano in classe esercitazioni in cui occorre far fluire liberamente le emozioni o si parta dal presupposto che ci si debba fidare ciecamente gli uni degli altri (si pensi a gruppi etnici che vivono il conflitto di doversi integrare in una cultura molto diversa dalla propria, per credo religioso, tradizioni culturali, ecc…).

Un più promettente punto d’inizio è rappresentato da alcuni corsi intrapresi in USA sulla risoluzione dei conflitti. Linda Lantieri, ad esempio, ha creato il
“programma di risoluzione creativa dei conflitti”
nel sistema scolastico pubblico di New York City. In questo programma, la risoluzione dei conflitti si basa sull’apprendimento delle abilità della persona emotivamente intelligente (il modello è presentato da Goleman nel suo libro del 1995). In particolare si insegna come riconoscere le emozioni dell’avversario, come riconoscere e identificare le proprie emozioni, infine, come riconoscere le emozioni delle persone coinvolte nell’episodio. Questo programma sembra molto efficace nella riduzione della violenza nella scuola, tema assai urgente nel sistema scolastico americano, ma non solo. La minaccia di tale fenomeno rappresenta un ostacolo che interferisce in modo molto negativo con la possibilità di concentrarsi in modo ottimale e, di conseguenza, interferisce sull’apprendimento.
Seppure sembri una scorciatoia intraprendere un corso sulla “risoluzione creativa dei conflitti” piuttosto che sull’IE, individuare degli obiettivi più circoscritti e focalizzare l’attenzione su alcune e specifiche abilità permette, in realtà di evitare l’errore di trasmettere l’idea che esista la possibilità di insegnare il modo “giusto” o “corretto” di reagire emotivamente, o il modo “migliore” di provare emozioni.
Sempre a proposito della prevenzione della violenza nelle scuole possiamo fare riferimento ad un altro lavoro pubblicato da Asher e Rose sulla promozione dell’adattamento socio-emozionale con i pari.

Promozione della regolazione socio-emotiva con i pari.
Steven Asher e Amanda Rose

Un giorno un’insegnante intercettò un bigliettino che i bambini si stavano passando di banco in banco. In questo bigliettino c’era scritto:
“chi odia Tom faccia una firma qui sotto”
il bigliettino doveva poi arrivare alla scrivania di Tom…tutti i bambini avevano firmato.

Approssimativamente il 10-15% dei bambini ha seri problemi di relazione con i propri coetanei. Negli ultimi 25 anni molte ricerche sono state condotte su questo tema principalmente per tre motivi:

  • Per raccogliere utili informazioni sulla funzione della relazione fra pari, e sulle conseguenze che possono verificarsi a seguito di seri problemi relazionali con i coetanei.
  • Per comprendere quali abilità sono importanti per adattarsi in modo efficace alla relazione con i pari, e la mancanza di quali abilità determinano, invece, le difficoltà dei bambini.
  • Per comprendere a quali rischi vanno incontro i bambini che incontrano difficoltà in quest’ambito.

Punti trattati in questo capitolo:

Cosa significa avere un’integrazione ottimale fra i coetanei nel periodo dell’infanzia?

Descrizione di tre differenti indicatori dell’adattamento nelle relazioni interpersonali tra coetanei:

1 In che misura i bambini sono accettati dai coetanei

 

Innanzi tutto le ricerche dimostrano che il rifiuto da parte dei compagni è un fattore che perdura nel tempo anche molto a lungo, nell’ordine di 5 anni. Vale a dire che un bambino rifiutato lo sarà, mediamente anche nei cinque anni successivi, malgrado il cambiamento del ciclo scolastico. Questo significa che, secondo gli esiti delle ricerche, il bambino si porta con sé una sorta di cattiva reputazione di cui si viene subito a conoscenza e questo impedisce spesso al bambino di integrarsi tra i pari.
Non solo, secondo gli studi di Coie e Kupersmidt, anche in un gruppo di coetanei che non conoscono il bambino rifiutato avviene la medesima cosa: nel giro di tre incontri di un’ora di gioco libero tra un bambino “disadattato” e altri tre bambini ignari delle sue difficoltà, questi sarà emarginato come è sempre accaduto nella sua vita quotidiana. Chiedendo, infatti, a ciascun bambino, attraverso un’intervista in disparte di dare un giudizio di gradevolezza dello stare con ciascuno degli altri membri, si verifica un fenomeno analogo a quello che si osserva tra il bambino rifiutato e i suoi compagni di classe abituali. IL fenomeno è dunque stabile anche al di là della conoscenza della reputazione del soggetto e si può dire che anche dopo 6 settimane il fenomeno mantiene una certa stabilità.

  • Coie, J. & Kupersmidt, J. B. (1983). A behavioral analysis of emerging social status in boys’ groups. Child Development, 54, 1400-1416.

Altre ricerche inerenti l’integrazione fra coetanei vengono condotte attraverso metodi “sociometrici” vale a dire attraverso la richiesta, all’interno di gruppi di coetanei, di esprimere un giudiazio, da parte di ciascun componente sulle emozioni che si provano nei confronti degli altri. In particolare il sociogramma [di Moreno, ndr] si basa sulla richiesta di compilare una lista mettendo i nomi di tre persone che piacciono di più all’interno del proprio gruppo e 3 persone che piacciono di meno. È chiaro che in questo modo, essendo a conoscenza di tutti i pareri dei membri del gruppo è facile individuare i soggetti più emarginati e disadattati del gruppo.
Queste rcerche hanno tanto più valore se si considera che la verifica di quato e chi sia più emarginato nella relazione tra pari ha una bassissima correlazione con i giudizi a riguardo da parte degli insegnanti. Detto in parole semplici: gli insegnanti non sono in grado di valutare con precisione chi e come viene emarginato nel gruppo dei pari. Per questo motivo si preferisec condurre indagini in merito chiedendo direttamente, seppure con cautela, ai gruppi stessi.

Per meglio comprendere in che misura può entrare in gioco la competenza emotiva in questi fenomeni di integrazione sociale, occorre chiedersi quali siano le caratteristiche dei bambini più ricercati dai coetanei e quali quelle dei bambini più rifiutati. Per una rassegna si veda:

  • Coie, J. Dodge, K. A. & Kupersmidt, J. B. (1990). Peer group behavior and social status. In S. R. Asher and J. D: Coie (Eds.), Peer rejection in childhood (pp. 17-59). New York Cambridge University Press.

In particolare gli autori concludono, dai risultati delle loro ricerche, che i bambini più ricercati dai loro coetanei esibiscono caratteristiche “pro-sociali” quali tendenza ad essere amichevoli, capacità di cooperazione, disponibilità ad aiutare gli altri e gentilezza. Bambini poco accettati dai coetanei, invece, mostrano meno comportamenti “pro-sociali” e tendono ad esibire maggiormente aggressività, impulsività, o comportamenti di ritiro eccessivo. Il grado di accettazione tra pari, inoltre sembra fortemente correlato al sense of humor ed al fatto di essere bravi a scuola e negli sports.

Molto interssante a questo proposito è il lavoro di Hopmeyer ed Asher i quali studiano le reazioni dei bambini in una situazione di violazione di diritti.

  • Hopmeyer, A., & Asher, S. R. (1998 circa). Children response to conflicts involving a rights infraction. Merrill-Palmer Quarterly.

In questo esperimento ai bambini, in possesso di un oggetto, si avvicinava un coetaneo con l’intento di sottrarglielo. Questa violazione dei diritti non garantisce certo che i bambini, anche quelli più integrati, amati dai coetanei e ben inseriti nei gruppi, mettano in atto comportamenti pro-sociali, quali il condividere l’oggetto o stabilire dei turni. Infatti, i risultati della ricerca mostrano come i comportamenti dei bambini, sia di quelli più integrati sia di quelli più rifiutati non sono ascrivibili tra le abilità pro-sociali in egual misura. Tuttavia, si può osservare come i bambini più integrati nel gruppo tendano a far valere i propri diritti attraverso strategie assertive e determinate per riavere l’oggetto, che sono prevalentemente di tipo verbale. In ogni caso le loro reazioni non sono mai tali da compromettere la possibilità di una futura relazione interpersonale con i propri pari anche se in quel momento hanno violato i loro diritti.

2 Partecipazione a relazioni di amicizia

Verificare se un bambino ha un “amico del cuore”

Questo aspetto si differenzia dall’essere accettato in gruppo perché per un bambino avere un amico significa stabilire una relazione diadica con un coetaneo, che sia caratterizzata da una forte e reciproco piacersi, un’esplicita tendenza a ricercare vicendevolmente la compagnia l’uno dell’altro, e avere un senso di “storia condivisa”.
Questo tipo di ricerche vengono condotte chiedendo semplicemente ai soggetti di indicare il nome del proprio migliore amico. La scelta vicendevole conferma il legame privilegiato di amicizia tra i due. Rispetto a quanto detto precedentemente sui soggetti più o meno accettati all’interno del gruppo di pari si osserva, nei dati delle ricerche a riguardo, una sostanziale indipendenza tra l’accettazione dei coetanei e la presenza di un amico del cuore: sia soggetti molto ricercati dai coetanei sia quelli esclusi possono avere un rapporto privilegiato di amicizia con un coetaneo, così pure non è raro osservare l’assenza di un amico del cuore in chi è molto ricercato dai pari. Chiaramente prevale l’amicizia duale in soggetti ben integrati nei gruppi.
Al di là di queste considerazioni generali è interessante vedere, sulla base delle interviste condotte in soggetti che dichiarano di avere un amico del cuore, quali sono i benefici, i vantaggi che conseguono dai rapporti di amicizia duale.

  • Asher, S. R. & Parker, J. G., & Walker, D. L. (1996). Distinguishing friendship from acceptance: Implications for intervention and assessment. In W. M. (Bukowski, A. F. Newcomb, & W. W: Hartup (Eds.), The company they keep: friendship during childhood and adolescence. (pp. 366-405). New York. Cambridge University Press.

Ciò che la partecipazione ad un rapporto di amicizia provvede, o i benefici che maggiormente apporta sono:

  • la compagnia: il cercarsi l’un l’altro e il divertirsi l’uno per la compagnia dell’altro, sia a scuola o nel gruppo, sia a casa. Anche i bambini molto piccoli sono in grado di riconoscere il piacere del giocare insieme.
  • La formazione di un’alleanza fedele: Avere qualcuno su cui contare. Questo implica anche il comportarsi in modo leale. Nel senso che si diventa confidenti degni di fiducia, l’uno per l’altro, e si possono condividere problemi e segreti.
  • Possibilità di ricevere aiuto e consigli: chi ha un amico del cuore sa che può contare sull’altro per avere un aiuto nei compiti o risolvere problemi personali, diversamente chi non ha questo tipo di supporto deve sempre sbrigarsela da solo.
  • Aumenta l’autostima: Tutti sperimentano situazioni di insicurezza, chi  può contare su un amico sperimenta invece come affrontare tali insicurezze e spesso si fa un’immagine di sé come competente e capace, sia in base alla rassicurazione ed ai complimenti diretti che il ragazzo riceve sia in base al confronto sociale che l’amicizia rende accessibile in modo più protetto e circoscritto. All’interno di una relazione diadica, infatti, gli amici si considerano simili, pertanto è facile confrontarsi e trovare comunanze piuttosto che differenze, tra amici poi c’è rispetto e ammirazione per cui il confronto è molto più valorizzante di quanto accada quando ci si confronta con degli estranei o con coetanei con cui non c’è alcun rapporto di amicizia.
  • Lo scambio intimo: può essere considerato conseguenza della valorizzazione e dell’aiuto. Infatti, impegnarsi in una relazione interpersonale stretta significa permettere all’altro un’apertura che può essere anche valorizzante per un amico in quanto lo scambio di confidenze implica una grande fiducia nell’altro e un grande rispetto e considerazione per l’opinione e i consigli che l’amico può dare.

Secondo alcuni approcci teorici l’intimità, il supporto emotivo e la valorizzazione dell’altro, sono tutti aspetti che non emergono, nelle relazioni interpersonali se non in adolescenza. In realtà questi aspetti emergono molto prima, fin dai 3-4 anni (esempio: bambino di 3 anni e ½ che vuole giocare allo scheletro e dice che nessuno lo vuole e tutti pensano che lui si un po’ stupido, la sua amichetta di 3 anni e ½ gli dice che lei è un dinosauro, che trova molto simpatico lo scheletro e vuole giocare con lui).
3 Qualità dell’amicizia
Conoscere quali sono le caratteristiche dell’amico del cuore
in termini di qualità positive o di supporto.

Questo aspetto è molto importante perché si focalizza l’attenzione sulla natura del rapporto di amicizia, con particolare attenzione alla gestione emotiva dei conflitti.
In un recente lavoro Parker ed Asher hanno sviluppato una scala (un test) per valutare la qualità dell’amicizia (Friendship Quality Questionnaire).

  • Parker, J. G., & Asher, S. R. (1993). Friendship and friendship quality in middle childhood: links with peer group acceptance and feeling of loneliness and social dissatisfaction. Developmental psychology, 29, 611-621.

 

A bambini di III – V elementare (parlando in termini di cicli scolastici italiani) è stato chiesto di esprimere una valutazione dell’amicizia con il proprio amico del cuore tramite 40 domande relative a 6 caratteristiche di amicizia (il questionario prevede che si espliciti il nome del migliore amico):

  • Compagnia e ricreazione (es. Jamie ed io giochiamo sempre insieme all’intervallo);
  • Aiuto e consigli (es. Jamie ed io ci aiutiamo molto con i compiti);
  • Valorizzazione e prendersi cura (CARE): (A Jamie interessano i miei sentimenti)
  • Scambio Intimo (Jamie ed io parliamo delle cose che ci rendono tristi)
  • Conflitto e tradimento (Jamie ed io ci arrabbiamo molto l’un l’altro);
  • Risoluzione dei conflitti (Jamie ed io facciamo pace facilmente quando litighiamo).

La possibilità di dare dei punteggi a queste affermazioni a seconda di quanto sono vere per il soggetto che risponde permette di misurare, in qualche modo la qualità dell’amicizia. Tanto più che se messe in relazione con altri aspetti della vita quotidiana dei bambini possiamo vedere come ciascuna di queste qualità sia in grado di predire il livello di benessere che un bambino sperimenta nel contesto scolastico. Di conseguenza sembra plausibile l’idea che si possa includere la qualità dell’amicizia come uno degli indicatori dell’adattamento del bambino al mondo dei coetanei.

A questo punto non ci resta che mettere insieme il punto 1, il punto 2 e il punto 3 e domandarci se esiste una correlazione tra l’essere accettati o rifiutati dai pari e avere delle relazioni privilegiate con un amico del cuore, se esistono delle abilità specifiche per avere rapporti di amicizia di alta qualità o sono sufficienti quelle necessarie per partecipare semplicemente ad un rapporto di amicizia.
Asher , Parker e Walker sostengono che occorre assolvere 10 compiti sociali specifici per farsi degli amici così pure per mantenere l’amicizia o avere rapporti d’amicizia di alta qualità.

  • Riconoscere e rispettare lo “spirito di uguaglianza” (mantenere la reciprocità)
  • Saper aiutare quando l’amico è in difficoltà
  • Saper essere degni di fiducia
  • Saper gestire i disaccordi e risolvere (o impedire che avvengano) conflitti più seri
  • Essere consapevoli che l’amicizia è inserita all’interno di un contesto più ampio di rapporti di gruppo e di classe e dunque saper prestare attenzione sia all’interno che all’esterno del proprio rapporto di amicizia duale.
  • Essere consapevoli che l’amicizia trascende il contesto specifico e dunque occorre essere in grado di mantenere la relazione di amicizia anche al di fuori di dove è nata o in contesti differenti da quelli consueti.
  • Avere la capacità e la disposizione necessarie per essere percepiti come divertenti, pieni di risorse e compagni gioiosi.
  • Sapersi aprire
  • Saper esprimere che ci si prende cura, si ha interesse, si prova ammirazione e affetto per l’altro, in modo appropriato.
  • Saper perdonare.

Rose ed Asher, concentrando l’attenzione su 5 dei 10 compiti sociali che i bambini devono assolvere nel rapporto di amicizia secondo Asher, Parker e Walker, sostenendo che questi 5 doveri condividono una medesima proprietà che è quella di richiedere ai bambini di gestire le tensioni o i conflitti tra i propri interessi e gli interessi dell’altro o dell’amicizia in generale.

  • Rose, A. J., & Asher, S. R. (1997). Children’s goals and strategies in response to conflicts within a friendship. Submitted for pubblication.

Tale studio è stato condotto allo scopo di verificare se e come gli obiettivi e le strategie dei bambini nell’assolvere i 5 compiti sociali che verranno descritti, siano in grado di predire il grado di adattamento nei rapporti di amicizia (grado di qualità dell’amicizia) e il grado di integrazione all’interno del gruppo dei pari (quanto sono cercati o rifiutati dai coetanei).
Per raggiungere tale obiettivo bambini di quarta e quinta elementare sono stati sottoposti ad un questionario formato da 30 ipotetiche situazioni: 6 situazioni per ciascuno dei 5 compiti sociali.
Immaginando che la situazione ipotetica che mette in gioco ciascuno dei 5 compiti sociali fosse:

  • mantenimento della reciprocità e dell’equilibro tra i due: ciò implica una regolazione dei turni e una buon acondivisione. Un conflitto di interssi in questo ambito potrebbe derivare, ad esempio, dal fatto che uno dei due amici pretenda di scegliere nuovamente che film andare a veder anche se tocca all’altro decidere.
  • Aiutare l’amico: un conflitto in questo tipo di compito potrebbe nascere allorquando volendo aiutare un’amico in difficoltà, per esempio, nei compiti, questi preferisca fare qualcosa di più divertente.
  • Essere degno di fiducia: implica essere sempre disponibili. Un conflitto può nascere quando l’amico da per scontato che si sieda accanto a lui al ritorno a casa sull’autobus e invece questi preferisca sedersi accanto ad un altro compagno.
  • Saper gestire il disaccordo: un conflitto di interessi subentra quando entrambi i soggetti desiderano un oggetto gradito ad esntrambi in egual misura.
  • Saper gestire l’amicizia nel contesto allargato: il che implica anche saper coordinare amicizie multiple e avere a che fare con problemi relativi all’esclusività del rapporto di amicizia e alla  gelosia.  Un conflitto di interesse in tal senso emerge qualora uno dei due voglia includere nel gioco un terzo poco gradito all’altro.

Obiettivi:
Il bambino doveva rispondere in che misura, attribuendo un punteggio da 1 a 5, l’obiettivo espresso in ciascuna delle 30 frasi proposte, poteva essere considerato il proprio obiettivo.
Tenendo conto degli esempi sopra riportati, di situazoni di conflitto di interssi per ciascuno dei 5compiti sociali presi in considerazione nella ricerca, ecco come veniva poposto il questionario
Obiettivi pro-sociali (5 domande erano poste in modo che andassero bene per tutte le situazioni proposte):

  • Obiettivo relazionale: “Proverei a fare di tutto per rimanere amici” (quanto ti poni questo obiettivo da 1 a 5?)
  • Obiettivo morale: “mi accerterei che le cose siano avvenute in modo leale” (…. da 1 a 5?)

Obiettivi non pro-sociali:

  • Obiettivo di ritorsione: “farei altrettanto al mio amico”
  • Obiettivo di controllo: “cercherei di impedire al mio amico di prendermi in giro”
  • Obiettivo di riduzione della tensione: “cercherei di non lasciarmi turbare”
  • Obiettivo strumentale: (questo era specifico per ogni situazion e esi riferiva alla messa in atto di un obiettivo che soddisfasse le proprie esigenze personali (per esempio nel caso del film “proverei ad andare a vedere il film che voglio io”)

In una sessione successiva al  bambino venivano presentate le medesime situazioni stimolo ma questa volta doveva rispondere da 1 a 5 quanto avrebbe messo in atto, a suo parere, le 30 strategie elencate secondo gli stessi criteri menzionati per gli obiettivi:

Strategie pro-sociali (5 domande erano poste in modo che andassero bene per tutte le situazioni proposte):

  • Strategia di accomodamento: “lascerei fare” (quanto applichi questa strategia da 1 a 5?)
  • Strategia di compromesso: “va bene per quest avolta poi tocca a me” (…. da 1 a 5?)

Strategie non pro-sociali:

  • Strategia aggressiva verbale: “gli direi di stare zitto”
  • Strategia di interruzione dell’amicizia: “non lo farei più amico”
  • Strategia di abbandono: “me ne andrei”
  • Strategia d perseguimento dei propri interessi: (questo era specifico per ogni situazione e si riferiva alla messa in atto di un strategia che soddisfasse le proprie esigenze personali (per esempio nel caso del film “lo obbligherei a vedere il film che voglio io”)

Sulla base dei risultati della ricerca si è potuto concludere che sia il tipo di obiettivi sia il tipo di strategie messe in atto erano in grado di prevedere il numero degli amici, e il livello di qualità dei rapporti di amicizia dei bambini (cfr. il test sulla qualità delle relazioni di Parker ed Asher).

In particolare: i bambini che attribuivano alti punteggi all’obiettivo relazionale avevano amicizie meno conflittuali.
Al contrario bambini con alti punteggi all’obiettivo di ritorsione (predittore più forte), strumentale e di controllo avevano amicizie molto conflittuali.
Chi metteva in attostrategie di compromesso aveva relazioni di amicizia meno conflittuali cosa che non avveniva, invece, per chi metteva in atto strategie di aggressione verbale, perseguimento dei propri interessi e interruzione.

Descrizione delle conseguenze dei problemi relazionali con i coetanei.

Analisi dei benefici che derivano dalle relazioni interpersonali con i coetanei e le conseguenze emotive e di adattamento scolastico che derivano dall’avere buone o cattive relazioni interpersonali

In particolare le conseguenze sono evidenti sul piano emotivo, vale a dire sul modo in cui i bambini vivono emotivamente la vita a suola, e sul profitto scolastico.
Conseguenze emotive:
Innanzitutto è comprensibil eche l’essere rifiutati e la mancanza di amici o rapporti di amicizia conflittuali influiscono sul piano emotivo e sull’adattamento del bambino alle situazioni di vita scolastica. In particolare è dimostrato come le situazioni di emarginazione e di rifiuto si verifichino, la maggior parte delle volte all’insaputa di insegnanti e adulti in generale.
Le principali conseguenze sul piano emotivo sono:

  • Bassa autostima
  • Maggiore ansia sociale
  • Depressione

La maggior parte degli studi che indagano sulle conseguenze dell’integrazione nel gruppo dei pari si focalizzano sulla solitudine dei bambini. Effettivamente i bamni che venivano accettati di meno dai coetanei risultavano molto più soli. Tuttavia si può essere meno accettati ma avere, come già detto delle buone relazioni di amicizia duale. In tal caso la solitudine è meno presente. Tuttavia, come abbiamo visto,  non è solo la partecipazione a rapporti di amicizia l’indicatore del benessere individuale quanto la qualità del rapporto di amicizia.
In conclusione si può dire che l’accettazione, l’amicizia e la qualità dell’amicizia, costituiscono ciò che più contribuisce al benessere emotivo del bambino.

Adattamento scolastico

I bambini occupano almeno 30 ore della loro settimana alla scuola e questo per circa 10 anni, obbligatoriamente. Il modo in cui si relazionano con i pari influisce notevolmente sul successo scolastico.
E’ risaputo che nelle situazioni nuove l’esplorazione in compagnia di qualcun altro è più entusiasmante, così la vita nella scuola: avendo un amico in classe la scuola viene vissuta come più confortevole e come ambiente meno minaccioso.
L’abbandono scolastico è fortemente correlato al tipo di accettazione da parte die pari, e pur essendo anni di scuola obbligatori tale tendenza all’abbandono lo si può ravvisare nelle numerose assenze. Tali assenze possono essere dovute certamente al tentativo di evitare di incontrare coloro che rifiutano il bambino ma anche alla difficoltà di chiedere aiuto.

Quali progressi sono stati fatti dai bambini che avevano relazioni interpersonali povere, o che erano senza amici, e hanno avuto la possibilità di ricevere un sostegno sulle abilità relazionali

In questi ultimi anni negli Stati Uniti si sono tentati degli interventi per favorire l’accettazione di bambini più emarginati, all’interno del gruppo di pari attraverso delle vere e proprie lezioni teoriche sulle abilità sociali da mettere in atto. Gran parte di questi interventi consistevano nel far prendere coscienza ai bambini delle abilità sociali necessarie per essere accettati dai pari. L’insegnamento di alcuni concetti basilari sulle relazioni sociali, l’invitare a riflettere sulla propria esperienza alla luce di tali concetti è detto “approccio correlato alle competenze” e consiste nel misurare gli effetti di tali interventi in termini di cambiamento nello stile comportamentale e nelle reti sociali, misurabili secondo le tecniche sociometriche.

Tra queste citiamo le più efficaci:

  • Oden, S., & Asher, S. R. (1977). Coaching children in social skills for friendship making. Child Development, 48, 495-500.

In questa ricerca furono valutati dei bambini, in base alla scala sociometrica in grado di evidenziare i soggetti meno accettati. Questi ultimi furono assegnati casualmente a tre condiczioni sperimentali:

  • Con allenatore adulto: I bambini venivano istruiti individualmente, per 10 minuti circa, su 4 concetti relativi alla relazione sociale: PARTECIPAZIONE, COOPERAZIONE, COMUNICAZIONE  E SUPPORTO-VALORIZZAZIONE.  I bambini potevano poi mettere in pratica tali idee in una situazione di gioco di 15 minuti, con un compagno dello stesso sesso, valutato come mediamente accettato dai coetanei. A seguito della sessione di gioco il bambino poteva confrontarsi ancora 5 minuti con l’ “allenatore”. L’adulto l’aiutava dunque a riflettere in che miodo era stato messo in partica quello che era stato spiegato precedentemente, nella relazione di gioco. Tutto questo si ripeteva per 6 volte, con 6 compagni diversi e l’adulto chiedeva ogni volta in che cosa aveva trovato difficoltà per mettere in pratica quanto appreso e quanto l’aver messo in pratica i principi di regolazione sociale rendesse il gioco più divertente.
  • Con i coetanei allenati: I bambini facevano le medesime sessioni di gioco del gruppo precedente ma con i bambini che nel gruppo 1 avevano avuto la funzione di giocare con i bambini allenati dall’allenatore. Non venovano dunque dati suggerimento su alcun tipo di conmportamento o strategia d adottare né venivano fornite informazioni.

 

  • Gruppo di controllo: I bambini giocavano per un numero id volte e per il medesimo tempo degli altri due gruppi, ma da soli e senza alcun tipo di istruzione o indicazione.

I risultati di questa ricerca dimostrarono che i bambini che ricevettero informazioni e sostegno sulle abilità sociali da acquisire ottennero un miglioramento netto che li portarono ad essere molto più accettati dai coetanei. Non accadde lo stesso per gli altri per i quali, invece non ci fu alcun cambiamento. Inoltre, il miglioramento dei bambini del primo gruppo si rivelò efficace anche a distanza di un anno dalla sperimentazione.

  • Ladd, G. W. (1981). Effectiveness of a social learning method for enhancing children’s social interaction and peer acceptance. Child Development, 52,171-178.

Bambini ceh ottenero bassi punteggi di accettazione dei pari alle scale  di valutazione sociometrica, furono assegnati casualmente a tre condizioni sperimentali:

  • Condizione di allenamento alle competenze sociali. Organizzati a coppie i bambini partecipavano ad 8 sessioni. Le prime 6 sessioni i bambini erano guidati a partecipare a tre laboratori di recitazione dovevano mettere in scena tre abilità sociali, attraverso il gioco:
  • Fare domande
  • Condurre (offrire suggerimenti utili e dirigere)
  • Offrire supporto

Alla fine veniva dato loro un feedback sulla realizzazione della performance.
Alla settima e ottava sessione si chiedeva ai bambini di recuperare le informazioni ricevute sulle abilità sociali che avevano insegnato loro. Alla fine, altri due bambini non coinvolti nel progetto dovevano entrare a fare parte del gioco e al termine dovevano dire, allo sperimentatore, che cosa ne pensavano dell’attività messa in scena da loro, e cosa pensavano della reazione degli altri bambini.

  • Condizione del controllo dell’attenzione:

I bambini venivano messi nelle stesse condizioni del gruppo precedente (gioco in diverse sessioni e finale con altri compagni) senza ricevere particolari istruzioni sulle competenze sociali ma semplicemente riflettendo e discutendo su quanto e come realizzavano.

  • Gruppo di controllo (bambini rimanevano in classe)

 

Si è dimostrato come i bambini posti nella situazione 1 miglioravano le loro competenze sociali (due su tre, non risultò significativo il cambiamento sul “fornire supporto ad altri”), aumentò la loro accettazione da parte dei coetanei e tale cambiamento risultò stabile anche dopo 4 settimane dall’esperienza.

  • Lochman, J. E., Coie, J. D., Underwood, M. K., & Terry, R. (1993). Effectiveness of a social relations intervention program for aggressive and non-aggressive, rejected children. Journal of Counsulting and Clinical Psychology, 61, 1053-1058.

Questo studio ha posto l’attenzione sulla differenza tra bambini emarginati che hanno un comportamento aggressivo e bambini disadattati che hanno un comportamento non aggressivo.

Ancora una volta bambini valutati come non accettati dai coetanei sia aggresivi che non vennero assegnati casualmente ad una condizione sperimentale ed una di controllo
Condizione sperimentale (allenamento alle abilità sociali)
I bambini furono sottoposti a 26 sessioni individuali e 8 sessioni di piccolo gruppo.
In sequenza furono così istruiti alle abilità sociali:

  • abilità sociali di problem-solving : riconoscere situazioni problematiche, non reagire impulsivamente, esaminare soluzioni alternative)
  • Abilità quali la negoziazione la cooperazione per favorire il gioco con altri bambini e mantenere relazioni sociali positive
  • Imparare a come entrare in un gruppo di bambini in modo più efficace.
  • Come affrontare la rabbia

Ognuno di questi temi fu affrontato con istruzioni relative ai concetti, con role-playing, e mettendo in pratica i concetti in piccoli gruppi.

Condizione di controllo (nessuna attività)
Risultati:
Il gruppo sperimentale ebbe enormi riscontri positivi: i bambini aggressivi lo furono molto meno, anche secondo il parere degli insegnanti. Entrambi i gruppi, aggressivi e non aggressivi furono molto meno rifiutati dai coetanei, anche a distanza di un anno dalla sperimentazione..

In conclusione si può dire che:
INSEGNARE AI BAMBINI ABILITÀ RELAZIONALI E SOCIALI HA UN EFFETTO ESTREMAMENTE POSITIVO SEPPURE CI SIA ANCORA MOLTO DA IMPARARE SU COSA DEBBA ESSERE INSEGNATO, QUALI POSSONO ESSERE LE ABILITà DA TRASMETTRE E CON QUALE METODO E QUALI TIPI DI CONTESTO DIDATTICO SIANO I PIÙ EFFICACI.

Discussione sull’utilità del contesto di gioco per promuovere la capacità di intessere buone relazioni sociali.
Una cosa è certa: Il contesto di gioco è molto ricco in termini di ampio ventaglio di possibilità di mettersi a confronto con innumerevoli abilità sociali ed affettive.
Sono infatti coinvolte abilità quali:
iniziare un’interazione, gestire il disaccordo, far fronte ai dispetti, chiedere aiuto, cooperare, avere a che fare con il fallimento, oltre che con il successo.
C’è anche un’ampia gamma di obiettivi che un bambino può perseguire in tali contesti.
Usando il contesto di gioco come allenamento per le abilità sociali si ottengono i seguenti  vantaggi:

  • i bambini si divertono a partecipare quindi non richiedono sforzi per essere motivati
  • un umore positivo facilita l’apprendimento e siccome in queste occasioni i bambini si divertono aumenta la possibilità che possano apprendere
  • visto che i bambini meno accettati tendono ad essere meno competenti nei compiti scolastici e negli sports, tuttavia è possibile che si possa offrire loro l’occasione di essere competenti in un altro ambito completamente diverso che è quello del gioco.

Noi riteniamo che il gioco fornisca un contesto per far emergere delle sfide emozionali che sono solitamente suscitate nella relazione con i pari. Molto di ciò che rende la relazione interpersonale difficile per i bambini comprende il tipo di emozione con cui hanno a che fare. Molti dei giochi sulle abilità sociali sopra descritti tendono a suscitare emozioni anche molto intense: rabbia, ansia, imbarazzo, umiliazione, sollievo, piacere, orgoglio e gioia. Le situazioni scolasctiche spesso non permettono di porre sufficiente attenzione alle reazioni emotive messe in gioco nella relazione con i coetanei. Questo è dovuto a diverse ragioni, incluso il desiderio di mantenere separati l’intervento educativo-relazionale da quello didattico. Le situazioni di gioco  può fornire un contesto produttivo e neutro, in cui il bambino può essere aiutato a prendere coscienza della parte emozionale della sua esperienza nella relazione con i pari. 

 

Fonte: http://psicobiologia.campusnet.unito.it/didattica/att/7406.0470.file.doc

Sito web da visitare: http://psicobiologia.campusnet.unito.it

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